Giustizia: liste d’attesa per le carceri, in caso di capienza superata Patrizio Gonnella Italia Oggi, 21 luglio 2011 Meno carcere per i reati meno gravi, meno custodia cautelare, liste di attesa nel caso di capienza penitenziaria ampiamente superata. Una rete di organizzazioni che vanno dall’Unione delle camere penali italiane, sino al Coordinamento nazionale dei garanti territoriali dei diritti dei detenuti, da Magistratura democratica alla funzione pubblica della Cgil, da Antigone a Ristretti Orizzonti, dall’Arci alle Acli, da Forum droghe alla Conferenza nazionale volontariato giustizia hanno presentato un documento con proposte e soluzioni per fronteggiare il sovraffollamento penitenziario che viaggia verso cifre di assoluta gravità: 23 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari. Il piano carceri, affermano i promotori del documento intitolato “Sovraffollamento che fare”, che avrebbe dovuto prevedere entro la fine del 2012 la realizzazione di nuovi 9.150 posti, per un importo totale di 661.000.000, è insufficiente e procede con lentezza italica. Nel documento, in apertura, si prevedono limiti all’utilizzo della custodia cautelare in carcere. Essendo il documento sottoscritto anche da magistrati questa proposta è ovviamente di grande rilievo. Si consideri che in Italia la percentuale di detenuti in custodia cautelare del 42,2% a fronte di una media europea del 24,8%. Nel testo si ritiene utile superare la legge cosiddetta ex-Cirielli sulla recidiva nonché modificare la legge Fini-Giovanardi sulle sostanze stupefacenti. L’Italia detiene il record in Europa per la percentuale di persone detenute per violazione della legge sulle droghe: il 36,9% a fronte di una media europea del 15,4%. Dall’entrata in vigore della nuova legge le persone tossicodipendenti in affidamento terapeutico sono passate da 3.852 a 2.606. Dei 37.432 detenuti con condanna definitiva al 31 dicembre 2010 il 63,8% dei detenuti aveva un residuo pena inferiore ai tre anni. Si tratta di 23.895 persone. L’applicazione di una misura alternativa alla metà di costoro, si legge nel documento, da sola risolverebbe il problema del sovraffollamento degli istituti. Infine si ripropone per gli adulti una misura che ha dato ottimi risultati nel processo minorile: la messa alla prova. Nel 2004, sotto un precedente governo di centrodestra, un testo simile, vide il parere favorevole della Commissione giustizia della camera dei deputati e approdò all’esame dell’aula. La proposta più audace è quella delle liste di attesa. Le liste di attesa sono applicate, per esempio, in Norvegia da oltre 25 anni, prevedendo per i reati meno gravi, la possibilità di non finire in carcere quando gli istituti penitenziari sono pieni, ma di “attendere” il proprio turno, ovviamente sulla base di una serie di normative molto ristrette e rigide. Giustizia: verso un futura alla Minority Report di Guido Brambilla (Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Milano) Tempi, 21 luglio 2011 Può un tribunale aspirare a “prevenire la devianza” dell’uomo? Un magistrato contro l’uso del diritto come mezzo di risoluzione dei conflitti sociali. A prescindere da libertà, reati e responsabilità. Mi pare di poter affermare come ormai oggi la parola “giustizia”, abbia perso non solo un riferimento, un aggancio all’esperienza, ma anche al concetto stesso di ragione, o ragionevolezza, oggettive. Già il filosofo francofortese Max Horkheimer rilevava come la ragione dell’uomo sia “ormai completamente soggiogata al processo sociale, unico criterio è diventato il suo valore strumentale”. In tale senso, continua l’autore de L’eclisse della Ragione, “concetti come quelli di giustizia, verità, uguaglianza, felicità, che nei secoli precedenti il nostro si credevano una cosa sola con la ragione o sanzionata da essa, hanno perso le loro radici intellettuali. Sono ancora scopi e fini ma non esiste più nessuna entità razionale autorizzata a dare un giudizio positivo e a metterli in rapporto con una realtà oggettiva”. Italo Mancini, autore della nota Filosofa della prassi, ha sviluppato questa idea laddove afferma che “i concetti etici e giuridici di giustizia, verità, uguaglianza, in quanto riferentesi a una realtà oggettiva, diventano inagibili sul piano scientifico e quindi sono privi di senso”. Il diritto, conseguentemente, sarebbe “l’ultima delle autorità prerazionali dell’Occidente (...) esso, cioè, andrebbe ancora sottoposto a quei processi di demitizzazione e secolarizzazione che hanno operato in altri campi delle scelte umane, come, ad esempio, l’economia”. Dico questo, perché, mi sembra di poter ulteriormente scorgere, in questi tempi, una crisi profonda del nostro sistema classico di giustizia, in particolare, per quel che mi occupa, di quella penale. Dietro fenomeni, come è stato quello di Tangentopoli, ma dietro anche alle tematiche del “processo breve”, e dei sempre più costanti ricorsi a procedure conciliative o di giustizia ripartiva, mi pare evidente il tentativo odierno di disinnescare i lunghi (a volte, necessariamente, lunghi) riti della ricerca della verità e delle responsabilità, perché non più al passo con le urgenti necessità di soluzione dei conflitti sociali generati dalle condotte penalmente illecite. Non solo la stessa logica del “processo” sarebbe ormai desueta, ma anche gli stessi concetti tradizionali di evento, di colpa, di punizione. La Conoscenza viene sacrificata alle urgenze dell’informazione del tutto e subito e alla verità si fa bastare la verosimiglianza. Processo ai comportamenti Certo non vi è chi non ritenga, al tempo attuale, quanto meno tra gli addetti ai lavori, la necessità di una diversion delle strategie di politica criminale, resasi necessaria dall’enorme mole dei procedimenti pendenti avanti ai giudici ordinari (crisi di complessità e di contenibilità) e dalla altrettanto improcrastinabile esigenza di trovare soluzioni alternative ai sistemi punitivi classici come il carcere, che dovrebbe, in un paese civile, rappresentare l’extrema ratio. Mi pare però di scorgere, in tutto ciò, un pericolo, derivante proprio dalla tendenza, tutta postmoderna, di esasperazione dei diritti individuali, scollegati sempre più, tuttavia, dai correlativi doveri e responsabilità personali e imputati finalisticamente a una giustizia strumentale e relativa, non più ancorata a una realtà oggettiva di sicuro riferimento. Si notano infatti visibili segni di un passaggio dalla repressione limitata degli illeciti alla necessità di una prevenzione illimitata dei comportamenti. Se dal diritto penale classico, focalizzato sul concetto di “lesione” si sta passando, lentamente, a un diritto penale moderno, focalizzato sul diverso concetto di “rischio di lesione” (proteso a fissare ex ante regole di comportamento e di garanzia, con trasferimento in taluni casi del rischio di evento su soggetti in grado di meglio gestirlo), vi è però, parallelamente, una teoria, tutt’altro che marginale, quella del cosiddetto “Interventionsrecht”, una teoria, alimentata prevalentemente dalle correnti dell’abolizionismo penale, che risolve appunto il diritto in un puro strumento di esclusivo controllo sociale, di prevenzione generalizzata e coattiva. Il pelagianesimo moderno, sempre nemico del concetto di peccato originale e della possibilità della grazia, non si pone più il problema del reato, che viene ad essere definito “un’espressione di disadattamento”, né quello della responsabilità connessa alla libertà dell’uomo. Alcuni anni fa, in un’aula di Tribunale, durante un processo di violenza carnale pedofila, avevo sentito la parte civile pubblica auspicare interventi che preventivamente sottraessero i minori alle famiglie considerate “a rischio” di tale devianza (“rischio” che verrebbe però valutato da arbitrarie teorie sociologiche). La scomparsa della colpa In altri termini non ci sarebbe più bisogno di parlare di reato o di colpa, se si riesce a prevenire coattivamente o a risolvere diversamente il conflitto sociale generato da un’azione o da un’omissione. Non esiste più il reato, né il reo: la situazione-conflitto sfuggita alla prevenzione coatta, verrebbe a essere risolta prescindendo dalla sequenza libertà-responsabilità-punizione: il delinquente è solo un malato da guarire, un disadattato sociale. Al giudice si sostituirebbero gli psichiatri o gli assistenti sociali con ampio ricorso all’eufemismo lessicale. Senza arrivare agli scenari distopici di un Burgess o di un Huxley, o ai “pre-cogs” del famoso film Minority Report di Steven Spielberg, nel più “attuale” racconto dello scandinavo Henrik Stangerup “L’uomo che voleva essere colpevole”, il protagonista, uxoricida, viene neutralizzato attraverso l’intervento terapeutico con somministrazione di medicine, supervisione psichiatrica e l’allontanamento dai figli. Non c’è più bisogno di dichiararlo “colpevole” di qualcosa, perché il conflitto causato è stato risolto altrimenti. Egli però desidera essere riconosciuto responsabile e punito; la colpa, infatti, una volta accettata, può aprire alla possibilità del perdono e della Grazia. Per cui il pericolo è che la violenza, oggi riconosciuta nell’obsoleto sistema punitivo dello Stato, si possa trasferire solo in altri ambiti e trasformare in altre forme di esercizio del potere di controllo, ancor più irrispettosi della dignità della persona umana. La carità dimenticata Senza carità non ci può più essere giustizia: sono esperienze inseparabili tra loro. Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in Ventate, ha infatti affermato: “Ogni società elabora un proprio sistema di giustizia [ma] la carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso “donare” all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è inseparabile dalla carità, intrinseca a essa. La giustizia è la prima via della carità o, com’ebbe a dire Paolo VI, “la misura minima” di essa, parte integrante di quell’amore “coi fatti e nella verità” (1 Gv 3,18), a cui esorta l’apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s’adopera per la costruzione della “città dell’uomo” secondo diritto e giustizia. Dall’altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo”. La nostra speranza è, quindi, tutta riposta non in nuove teorie o in sistemi perfetti, ma in un “io” commosso, in uomini cambiati dalla misericordia di un Avvenimento presente, che nella carità, rende possibile anche la vera giustizia. Giustizia: prima notte in carcere, a Poggioreale, per il deputato del Pdl Alfonso Papa Ansa, 21 luglio 2011 Prima notte in carcere, a Poggioreale, per il deputato del Pdl Alfonso Papa, arrestato intorno alle 22 di ieri sera a Roma dalla Guardia di Finanza, tre ore dopo che la Camera dei Deputati aveva autorizzato l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, nell’inchiesta P4, per una serie di episodi di corruzione e rivelazione di segreto Magistrato con alle spalle importanti incarichi al ministero della Giustizia, di recente sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dal Csm, deputato dal 2008, l’on. Papa - secondo quanto si è appreso - aveva scelto, dopo il voto dell’aula di Montecitorio, di costituirsi nella casa circondariale di Orvieto (Terni), ma ha desistito, consegnandosi alle Fiamme Gialle, quando ha saputo che il gip aveva disposto che doveva essere condotto nel carcere di Poggioreale. L’ingresso nella casa circondariale napoletana è avvenuto intorno alla mezzanotte di ieri: consegnati, nel rispetto del regolamento carcerario, gli oggetti personali, l’on. Papa, accompagnato dalla polizia penitenziaria, ha raggiunto la cella che gli è stata assegnata. In considerazione dell’orario, alcuni adempimenti all’ufficio matricola sono stati rinviati ad oggi. Probabilmente già prima della fine della settimana si svolgerà l’interrogatorio di garanzia, e sarà quello il primo faccia a faccia dell’on. Papa con il gip Luigi Giordano, che ha disposto la cattura, e con i pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock, che hanno chiesto l’arresto del parlamentare. Domani la posizione del deputato e di altri indagati sarà esaminata dal tribunale del riesame, quale giudice d’appello, in seguito all’impugnazione da parte dei pm della decisione del gip di non accogliere la richiesta di misura cautelare per altri gravi reati, tra i quali l’associazione segreta (la cosiddetta P4), costituita - sempre secondo l’accusa - con lo scopo di raccogliere informazioni riservate e utilizzarle per esercitare pressioni, ricatti e, soprattutto, ottenere vantaggi personali. L’on. Papa, intervistato nelle scorse settimana, ha respinto tutti gli addebiti ed anche ieri, prendendo la parola nell’aula di Montecitorio, si è detto innocente. L’on. Papa è il secondo indagato a finire in regime di detenzione nell’inchiesta P4: dal 15 giugno, infatti, è agli arresti domiciliari il consulente Luigi Bisignani: proprio a quest’ultimo Papa avrebbe rivelato notizie coperte da segreto. La misura cautelare nei confronti di Bisignani è stata recentemente confermata dal Tribunale del riesame di Napoli. Legali: andrebbe trasferito in un altro carcere La difesa di Alfonso Papa sta valutando se chiedere alla procura il trasferimento del loro assistito in un carcere più moderno e funzionale di Poggioreale, come quello di Secondigliano, alla periferia di Napoli. Ciò, spiegano i legali, potrebbe permettere di contemperare le esigenze dell’inchiesta con quella di evitare il contatto di Papa con una popolazione carceraria composta in massima parte da pluripregiudicati e delinquenti abituali. Solo 4 autorizzazioni alle manette in 63 anni di storia della Repubblica Nei 17 anni della Seconda Repubblica, i giudici hanno chiesto di arrestare una ventina fra deputati e senatori per reati gravissimi e con prove schiaccianti, eppure mai Camera e Senato hanno dato il via libera (emblematico il caso di Cesare Previti). Ma in 63 anni di storia della Repubblica, gli arresti sono stati concessi quattro volte: per Francesco Moranino, deputato del Pci, condannato per la morte di sette persone durante la Resistenza. Sandro Saccucci, del Msi-Dn, accusato per l’omicidio di un giovane comunista; Toni Negri, capo dell’Autonomia operaia di Padova, eletto deputato per il Partito radicale nel 1983, quando era in carcere in attesa di giudizio dal 1979. E Massimo Abbatangelo, del Msi-Dn, condannato per aver partecipato nel 1970 all’assalto di una sezione napoletana del Pci. In questa legislatura, oltre ai casi Papa e Milanese, la Giunta per le autorizzazioni a procedere è stata chiamata a pronunciarsi molte volte. Quando il “verdetto” è stato alla fine emesso, l’autorizzazione a procedere è stata sempre negata. Alla magistratura non è stato consentito, per esempio, di procedere nei confronti di Nicola Cosentino, Pietro Lunardi e Altero Matteoli. Della Vedova: no a lezioni garantiste dal “partito della galera” “Non accetto lezioni garantiste dal partito della galera”. È quanto ha scritto su Libertiamo.it Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla Camera, rispondendo alle critiche di quanti, tra cui il premier, lo hanno accusato per il voto sul caso Papa. “L’Assemblea di Montecitorio - ha aggiunto - non è una sorta di Tribunale del Riesame, una sede di appello rispetto alla decisione del giudice competente. Alla Camera spetta invece di verificare e motivare la sussistenza di un fumus persecutionis. Che non può essere presupposto sulla base del fatto che, nei complicati e opachi rapporti tra giustizia e politica che segnano da tempo la storia italiana, la persecuzione c’è sempre, anche quando non si vede. In questo caso il fumus non c’era, se in altri riterremo di scorgerlo diremo no”. Ricordando di avere presentato una mozione recentemente approvata dalla Camera che impegna, tra le altre cose, il governo a proporre “una più severa limitazione del ricorso alla custodia cautelare in carcere”, Della Vedova ha sottolineato “di volersi impegnare su questa strada”, che però è “opposta a quella che l’esecutivo ha fin qui percorso, ubriacato da una demagogia securitaria e manettara di cui il presidente del Consiglio scopre la crudeltà solo quando ad esserne vittime sono gli amici”. “Del garantismo trasformistico - ha concluso Della Vedova - che si fa tanto più intransigente quanto più riguarda gli imputati per bene e tanto più cedevole alle esigenze di sicurezza per la folla anonima di poveracci e sbandati che popola le carceri italiane, penso che sia un velenoso contributo all’ingiustizia. Più di un detenuto su quattro nelle carceri italiane sta, come il collega Papa, aspettando di essere giudicato. La metà di loro sarà assolta (come spero accada a Papa). Se vogliamo occuparcene, sono pronto. Ma il garantismo non è un occhio di riguardo per i potenti e uno sguardo distratto per i pezzenti: salvare Papa non sarebbe stato un atto di giustizia giusta, qualsiasi cosa si pensi della magistratura, dei suoi errori e dei suoi orrori”. Lettere: tortura, paura e… allegria di Alessandro Gilioli L’Espresso, 21 luglio 2011 Racconta Cazzullo che era tutto un gran pianto, ieri, nel Transatlantico di Montecitorio, anzi “un’ondata di panico”, “come ai funerali”, “sono terrorizzata”, “portami via da qui”, con tanto di appelli strappa cuori, “ho dovuto dire ai miei figli che questo week end forse il papà non tornerà a casa”, e poi “je songo carcerato e mamma muore”, fino alle maledizioni di Paniz, “verrà un giorno che proverete l’amaro sapore del rimorso!”. Lo capisco, per carità, e per una volta sono perfettamente d’accordo con D’Alema: “Non ci si rallegra per un arresto”. Tocca però anche dire che in questo momento nelle carceri italiane - quelle che ieri in aula sono state definite “seconde solo alla tortura” - sono rinchiusi circa 30 mila cittadini in attesa di giudizio: dunque presunti innocenti, quasi la metà dei quali destinati a essere assolti in primo grado. Non risulta che per alcuno di loro si siano versate lacrime, nei palazzi della politica. Né risulta che il Parlamento abbia preso alcuna misura per quell’emergenza umanitaria che sono i suicidi in cella, l’incidenza dei quali è venti volte superiore alla media nazionale. Né risulta che in Italia - a parte Pannella, Manconi e pochissimi altri - la questione sia mai e in alcun modo filata dalla politica. Non ci si rallegra per un arresto. Ma ci si rallegra ancora meno se questa frase viene pronunciata dai politici solo quando a finirci è uno di loro. Lettere: la doppia morale sul garantismo di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 21 luglio 2011 Il Presidente del Consiglio On. Berlusconi e tanti esponenti del Pdl lanciano anatemi a tutti sulla mancanza di sensibilità garantista nella votazione alla Camera dei Deputati a favore dell’arresto del deputato del Pdl Papa. Vorrei pubblicamente ricordare a lui e agli esponenti della maggioranza che qualche giorno fa al Senato, nel corso della votazione in commissione bilancio , sugli emendamenti alla finanziaria, tutti gli esponenti del Pdl e Lega hanno votato contro un emendamento presentato dal Sen. Luigi Lusi e altri Senatori che voleva introdurre per tutti la riparazione per ingiusta detenzione. Un emendamento che avrebbe introdotto la retroattività per questa legge, affinché tutti coloro i quali erano stati vittima di errori giudiziari e ingiusta detenzione potevano accedere a questo Istituto. Una richiesta più garantista di questa è difficile trovarla. Eppure tutto il Pdl e Lega hanno votato contro, facendo in modo che per un voto non passasse. Un vero scandalo. Oggi invece il Pdl, si dimentica di questo atteggiamento forcaiolo che ha avuto, in palese contraddizione verso le forme più elementari del diritto e inveisce verso l’insensibilità alla cultura garantista, senza rendersi conto minimamente che il garantismo non è una esclusiva del ceto politico, ma dovrebbe essere una cultura giuridica che difende tutti. Lazio: Radicali; rinvio Giunta su mozione carceri, sconcertante mancanza senso istituzionale Dire, 21 luglio 2011 “È con vero sconcerto che apprendiamo dell’esito della seduta odierna del Consiglio regionale che, rinviando la discussione della mozione n. 62 riguardante la gravissima situazione di sovraffollamento delle carceri del Lazio, ha dato prova di una inqualificabile mancanza di senso istituzionale. Ricordiamo che oggi non abbiamo potuto essere presenti in Aula perché impegnati a Tunisi per il consiglio generale del Partito radicale incentrato proprio sulla questione dei diritti umani”. A dirlo, in una nota congiunta, cono i consiglieri della Lista Bonino-Pannella Federalisti Europei al Consiglio regionale del Lazio, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo. “Il Consiglio regionale, quest’oggi, ha completamente ignorato il richiamo del capo dello Stato Giorgio Napolitano, il quale, nella lettera inviata a Marco Pannella durante il suo sciopero della fame e della sete per denunciare, tra l’altro, l’inumana e illegale condizione dei detenuti in Italia, così scriveva: ‘Posso assicurarti che continuerò - come ho più volte fatto nel corso del mio mandato - a richiamare, e ne sento più che mai oggi l’urgenza, su tali questioni l’attenzione di tutti i soggetti istituzionali responsabili sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative”. Se è certamente “grave l’atteggiamento del consigliere Storace - concludono - che non si è reso disponibile a ritirare i suoi emendamenti alla mozione, cosa che non ci sorprende, è certamente ancora più grave quello della giunta che, in particolare con l’assenza dell’assessore Cangemi, ha dato prova di assoluto spregio del richiamo del presidente della Repubblica”. Monza: detenuto algerino di 36 anni muore in cella, era diabetico insulinodipendente di Davide Mosso (Avvocato) Ristretti Orizzonti, 21 luglio 2011 Una persona da me assistita che si trovava nel carcere di Monza in custodia cautelare, il sig. Redouane Messaoudi, nato nel 1974 in Algeria, è stato trovato privo di vita la mattina di sabato 16 luglio. Ieri mattina è stata effettuata l’autopsia (alla quale peraltro non ho potuto partecipare né direttamente né tramite medicolegale non avendo titolo perché non sono riuscito a contattare l’unico familiare con cui avevo parlato, un fratello che vive in Grecia). Il sig. Messaoudi era in quel momento nel reparto di psichiatria del carcere. Affetto da diabete insulinodipendente, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline, dopo un periodo di osservazione nell’Opg di Reggio Emilia era rientrato nel normale circuito penitenziario. Prima di andare a Monza, dove si trovava da circa due settimane, era stato a Voghera, Era stato arrestato ad aprile per un’ipotesi di cessione di stupefacenti (una dose) e resistenza. L’udienza preliminare, già fissata dieci giorni fa, era stata rinviata a ieri data l’impossibilità in quell’occasione per il sig. Messaoudi a comparire (era in ospedale e i medici non avevano dato nulla osta). Ieri era previsto che il giudice incaricasse uno psichiatra di svolgere perizia. Nella comunicazione del carcere sulla possibile causa del decesso si fa riferimento al reiterato rifiuto del sig. Messaoudi di assumere l’insulina. Per somministrargliela forzatamente era stato ricoverato in ospedale in due occasioni. Il giorno precedente al decesso non gli sarebbe stata somministrata per due volte l’insulina perché rifiutata. Modena: carcere senza sapone per i detenuti; lo compra chi può, pidocchi nella sezione femminile di Saverio Cioce La Gazzetta di Modena, 21 luglio 2011 Un frigorifero conquistato. E il prossimo obbiettivo è quello di un paio di congelatori per servire acqua fredda a 150 detenuti, che con 40° nelle celle, in tre per ogni stanza da nove metri quadrati, devono aspettare che passi un altro giorno, uguale al precedente. “Ormai non so più che lingua parlare - sbotta Paola Cigarini, a capo dell’associazione Carcere Città che da anni lavora con i suoi volontari nel carcere di S. Anna - Tutti dicono che la situazione è intollerabile, che così non si può andare avanti ma nulla cambia; ma qual è la situazione dove nessuno può far nulla? Il taglio dei fondi e i risparmi coatti hanno dato la mazzata finale a una situazione già grave. E ora mi sembra che siamo al delirio. Chi ha sete può bere solo l’acqua del rubinetto, calda o se va bene un poco più fresca quando si può miscelare con quella delle bottiglie ghiacciate dai congelatori. Sempre che funzionino, naturalmente: per tutto il carcere ce ne sono sei, uno per ogni 75 detenuti, ma ora due sono rotti e non ci sono fondi per aggiustarli. Ho mandato lettere a Coop e Conad per trovarne due anche vecchi e dismessi ma funzionanti e aspetto una risposta. Per il resto facciamo i conti con i tagli di fondi da parte del ministero”. Per il carcere modenese questo significa che da due settimane non vengono più passate nè le bustine di sciampo nè i dentifrici e neppure i detergenti per le celle. “Chi ha il conto a zero euro, e questo vale per più della metà dei detenuti - prosegue con amarezza la Cigarini - può avere 10 euro ogni due mesi grazie a “Porta Aperta al Carcere”: a quel punto l’alternativa è tra una saponetta in più o un pacchetto di sigarette. Ancora una volta i cittadini devono organizzarsi da soli per far fronte all’assenza dello Stato. Noi dal canto nostro ci occupiamo principalmente delle sezione femminile e siccome ci sono numeri più piccoli possiamo dare 10 euro a settimana, autotassandoci. Così almeno i detergenti sono assicurati anche se i pidocchi fanno strage. In serata avevamo programmato una cocomerata con le detenute durante un’ora d’aria; ci abbiamo rinunciato perché dieci donne su 29 hanno problemi di pediculosi e non si può correre il rischio di allargare l’epidemia. Non vogliamo neppure escluderle; aspettiamo di eliminare i pidocchi”. Così dicendo dà un’occhiata al phone center dove ha accompagnato un detenuto; ha il permesso per un paio d’ore e le sta usando per telefonare alla sua famiglia in Tunisia. La vita quotidiana nel carcere di S. Anna scivola tra il caldo e le zanzare, perché tra le grate passano solo quelle; i più danarosi usano gli spiccioli per comprare gli zampironi, altro non è possibile usare. Il problema dell’occupazione per chi è dietro le sbarre è sempre lo stesso. Persino i piccoli lavoretti interni sono stati tagliati della metà. Il portavitto, il bibliotecario, il cuoco sono stati accorpati: metà spesa con metà personale che fa il doppio. La direttrice Rosa Alba Casella in questi giorni è in ferie e quando tornerà troverà sul tavolo i problemi di sempre e il bubbone sempre gonfio del sovraffollamento. Rossano Calabro (Cs): agenti penitenziari iniziano lo sciopero della fame e della sete Redattore Sociale, 21 luglio 2011 Decisione drastica assunta dopo giorni di proteste cadute nel vuoto. “Non si riesce più a garantire i diritti al personale di polizia penitenziaria”. Il delegato regionale del Sappe Nicola Agazio ha annunciato l’inizio dello sciopero della fame e della sete da parte degli agenti di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Rossano (Cosenza). Una decisione drastica assunta dopo giorni di proteste cadute nel vuoto: dal primo luglio, infatti, tutto il personale in servizio nella casa circondariale è in stato di agitazione ma nessuno dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, si è preoccupato di quanto sta avvenendo nell’istituto di pena. Una delegazione del sindacato Sappe, composta dal segretario generale aggiunto Giovanni Battista Durante e dal segretario nazionale Damiano Bellucci, ha incontrato i dirigenti sindacali di Rossano ed il personale del carcere, in agitazione a causa della carenza di agenti che non consente la fruizione delle ferie, di fondi e mezzi per il normale svolgimento del servizio. “La situazione è davvero grave e preoccupante - affermano Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci - considerato che a Rossano non si riesce più a garantire i diritti al personale di polizia penitenziaria. La cosa più grave è che nessuno finora si è preoccupato di dare una risposta agli agenti in servizio a Rossano. Abbiamo trovato il personale stanco e demotivato, a causa dello stress e del senso di abbandono da parte dei vertici dell’amministrazione. Nonostante ciò il personale è comunque determinato a proseguire la protesta fino a quando non interverranno risposte concrete. Riteniamo opportuno - concludono i rappresentanti del Sappe - indire lo stato di agitazione in tutta la Calabria, vista la drammatica situazione che si registra in tutti gli istituti penitenziari”. A questo proposito è stata fissata per domani, venerdì 22 luglio alle 10.30, una conferenza stampa nell’istituto rossanese, alla quale parteciperà il personale di polizia penitenziaria. Bologna: avvocati penalisti in sciopero della fame, da oggi staffetta di 24 ore a testa Dire, 21 luglio 2011 Stanchi di denunciare le condizioni invivibili in cui versa il carcere della Dozza, gli avvocati penalisti di Bologna hanno deciso di aderire all’iniziativa di Marco Pannella e di inaugurare oggi uno sciopero della fame: l’iniziativa è partita dal direttivo della Camera penale “Franco Bricola” e la prima a restare senza cibo, oggi, è la presidente Elisabetta D’Errico. Lo sciopero andrà avanti a staffetta, spiega la Camera penale in una lettera inviata al presidente della Giunta dell’Unione Camere penali e alla direttrice della Dozza, Ione Toccafondi: prima i componenti del direttivo, poi alcuni avvocati iscritti alla Camera penale, digiuneranno per 24 ore ciascuno a partire da oggi. Lunedì mattina, poi, è già in programma un presidio (alle 11) davanti alla Dozza: la Camera penale vorrebbe non essere sola in questa battaglia contro l’inciviltà delle condizioni di vita dei detenuti e si augura di avere al fianco cittadini e istituzioni. Non è certo la prima volta che il Direttivo della Camera penale si attiva per denunciare lo stato della Dozza e non solo: gli avvocati penalisti si sono scagliati anche contro “l’eccessivo uso della custodia cautelare in carcere e della scarsa applicazione delle misure alternative”, oltre che contro “l’insufficienza e inadeguatezza del piano carceri presentato dal Governo”. Un anno fa, in giugno, la Camera penale presentò anche un esposto-denuncia alla Procura, chiedendo di accertare se all’interno della Dozza fossero garantiti i diritti delle persone detenute. Mesi fa, poi, scrisse al Presidente di Regione e Provincia e al commissario Anna Maria Cancellieri. Soddisfatta delle parole del sindaco Virginio Merola in occasione della visita alla Dozza, la Camera penale chiede però che si apra una “riflessione culturale seria” una volta per tutte. Nella nota, la presidente della Camera penale Elisabetta D’Errico scrive: “Abbiamo apprezzato quanto dichiarato dal sindaco in occasione della visita al carcere, con piacere apprendiamo dell’iniziativa vernissage e della immediata adesione di artisti e filosofi. Auspichiamo però che tutto ciò segni l’avvio di una nuova stagione di riflessione che coinvolga nella sua interezza la società civile”. In questo ripensamento “culturale” della situazione carcere, scrive la Camera penale, vanno coinvolti anche “gli operatori del diritto, affinché si stimoli la rimozione di norme che certamente hanno contribuito a creare sovraffollamento nelle carceri con conseguente schiacciamento dei diritti, tra i quali il diritto costituzionalizzato alla rieducazione”. Occorre riflettere, prosegue D’Errico, sul fatto che più della metà delle persone sia in custodia cautelare (la maggior parte ancora in attesa del primo grado di giudizio) e che in cella ci sono tante persone con pene residue sotto i tre anni (per cui si potrebbe profilare l’accesso alle misure alternative). In conclusione, se i penalisti giudicano “lodevole ogni iniziativa volta a rendere più dignitose le condizioni di vita delle persone detenute”, allo stesso tempo ritengono “non è più rinviabile una seria rivisitazione culturale, che affronti senza falsi allarmismi il tema dell’esecuzione penale e della prevenzione del pericolo di recidiva, senza dimenticare ma anzi divulgando il più possibile lo straordinario dato statistico che dimostra che meno carcere equivale a più sicurezza per il cittadino”. Trani (Ba): Osapp; il carcere femminile e la sanità penitenziaria approdano in Parlamento Trani News, 21 luglio 2011 La recente segnalazione sindacale Osapp è stata ripresa attraverso le Agenzie Stampa dai Parlamentari Radicali che hanno posto specifica interrogazione Parlamentare urgente al Ministro della Giustizia Alfano, sulla precarietà della Sanità Penitenziaria Regionale Pugliese e sulla situazione del Carcere Femminile di Trani di recente attenzionata ai media per il decesso di una reclusa per cause naturali priva di un adeguato continuativo servizio infermieristico e medico all’interno della struttura che ospita circa 42 recluse. Il Sindacato Osapp con ulteriore missiva datata 16 luglio 2011 ha sollecitato il Dipartimento e le Autorità Sanitarie Regionali e Centrali ad un Tavolo di concertazione con le Parti Sociali a cui farebbe parte la stessa Osapp. “Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Turco e Zamparutti Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. Per sapere - premesso che: secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Ansa del 12 luglio 2011, una detenuta di 32 anni è stata trovata morta nel proprio letto, in una cella del carcere di Trani. Lo ha reso noto il vicesegretario generale nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli, il quale ha dichiarato quanto segue: “A Trani, su disposizione della Asl e della Regione, è stata soppressa la figura della guardia medica h24 ed il servizio prima funzionante è stato trasferito in quello della casa circondariale maschile e il carcere femminile è costretto a rivolgersi al 118 ed alla Guardia medica dell’Ospedale Civile Cittadino in casi anche di piccola somministrazione di terapia, tra cui quella della tossicodipendenza e delle medicine riguardanti la sfera psico-mentale”. Mastrulli chiede “l’immediato riassetto medico sanitario e paramedico infermieristico in tutte le Carceri della Puglia senza alcuna interruzione del servizio al fine di evitare ulteriori tragedie umane”; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 che stabilisce “modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria” all’allegato C, nella parte dedicata a “monitoraggio e valutazione” prevede che “Al fine di valutare l’efficienza e l’efficacia degli interventi a tutela della salute dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, garantendo, nel contempo, l’efficacia delle misure di sicurezza, viene realizzato in ogni Regione e Provincia autonoma un Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, con rappresentanti della Regione, dell’Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile, competenti territorialmente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Contestualmente, ai fini del coordinamento nazionale, viene realizzato presso la conferenza Unificata fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e le Autonomie Locali, un Tavolo di consultazione, costituito da rappresentanti dei dicasteri della Salute e della Giustizia, delle Regioni e Province autonome e delle Autonomie locali, con l’obiettivo di garantire l’uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie e trattamentali nell’intero territorio nazionale. Parimenti, allo scopo di assicurare la necessaria coerenza tra le misure connesse alla sicurezza e le misure connesse alla tutela della salute, è opportuno prevedere una struttura di riferimento presso il Ministero della Giustizia, sia nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria sia in quello del Dipartimento della Giustizia Minorile” -: se la situazione relativa al carcere di Trani sia stata oggetto di verifica da parte degli organi previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, o in ogni caso, comunicata al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e quali iniziative per quanto di competenza intenda adottare perché non siano pregiudicati i livelli essenziali di assistenza per i detenuti. Livorno: detenuto suicida nel 2007, assolto agente imputato di omicidio colposo Il Tirreno, 21 luglio 2011 Assolto Giuseppe Paradiso, l’agente di polizia penitenziaria imputato di omicidio colposo per il suicidio di un detenuto che si impiccò nella sua cella alle Sughere, fatto che avvenne anche a causa del numero insufficiente di agenti in servizio nel carcere livornese, visto che è stato appurato che quella notte l’agente svolgeva in pratica due servizi. Il processo davanti al giudice Sandra Lombardi riguardava i fatti avvenuti nelle prime ore del mattino del 13 settembre del 2007, quando un giovane albanese di 22 anni, che era trasferito dal carcere di Prato, tentò il suicidio impiccandosi nella cella dove era stato rinchiusi con altri due detenuti. Furono proprio questi a salvarlo, tenendolo sollevato e dando l’allarme. Il giovane venne visitato e trasferito in un’altra sezione, la “nuovi arrivi” in una “cella liscia”, dove per timore che potesse tentare di nuovo il suo gesto, venne lasciato completamente nudo con solo un paio di ciabatte, e la raccomandazione di una sorveglianza assidua. Ma nonostante questo il detenuto riuscì, non si sa come, a riprendersi la propria felpa con la quale si impiccò di nuovo, stavolta uccidendosi. Della sua morte venne imputato l’agente in servizio in quel momento, Giuseppe Paradiso, per cui si ipotizzò che non avesse svolto in modo adeguato la sorveglianza. Durante il processo, che ha visto sfilare numerosi testimoni, tra i quali molti colleghi dell’imputato, è emerso che l’ora della morte del detenuto andava spostata a fine turno, intorno alle 4, quando c’era il cambio delle guardie, ma anche che Paradiso, oltre che della sorveglianza delle celle, doveva occuparsi del reparto smistamento. Alla fine il pm Massimo Mannucci ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, come d’altronde ha fatto l’avvocato difensore, Luciano Picchi. Questi ha sottolineato come fosse emerso che Paradiso avesse sorvegliato con cura i detenuti della sezione, tanto che l’albanese avrebbe usato una scusa per farlo allontanare a fine turno e riuscire così a commettere suicidio. Alla fine la sentenza che ha prosciolto Giuseppe Paradiso. Vasto (Chieti): detenuto magrebino aggredisce due agenti in servizio al carcere di Torre Sinello Agi, 21 luglio 2011 Guariranno in dieci giorni due agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di Torre Sinello a Vasto aggrediti da un detenuto marocchino. Z.M., 21 anni, di recente trasferito a Vasto dal carcere di Reggio Calabria per scontare pene legate a reati contro il patrimonio, nel pomeriggio di ieri ha affrontato gli agenti e, oltre che con calci e pugni, li ha feriti con la lametta da barba che aveva nascosto in bocca. Dopo essere stato bloccato, il giovane è stato denunciato per lesioni. Non chiare, al momento, le cause dell’aggressione anche se pare che il nordafricano non abbia gradito il trasferimento in Abruzzo. Potenza: la Provincia vota convenzione sulla giustizia riparativa e sui lavori di pubblica utilità www.basilicatanet.it, 21 luglio 2011 Nel corso della seduta di consiglio provinciale di oggi, è stato approvato all’unanimità dei presenti lo schema di convenzione sulla giustizia riparativa e sui lavori di pubblica utilità, con cui l’Ente ha preso atto e ha accolto l’iniziativa proposta dal Ministero della Giustizia, riguardo alla creazione di una rete di strutture per progetti di reinserimento di cittadini detenuti, con il coinvolgimento di associazioni, enti e altri organismi. “I progetti “individuali”, elaborati dallo staff dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria - ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali Paolo Pesacane - prevedono l’inserimento dei detenuti presso le strutture aderenti alla convenzione per l’esecuzione di lavori di pubblica utilità e saranno seguiti da risorse umane messe a disposizione dalla Provincia di Potenza tra le professionalità esperte in materia. Questa convenzione rappresenta un punto di partenza per promuovere un nuovo concetto di giustizia non solo repressiva, ma piuttosto riabilitativa”. Soddisfazione sul progetto è stata espressa dal consigliere Gerardo Ferretti (Pd) e dal presidente della quarta commissione consiliare Antonio Rossino (Psi) per il ruolo di promotore svolto dalla Provincia di Potenza in un contesto così importante. Genova: cocaina nel carcere di Marassi; il direttore dichiara “non mi sorprende” www.genova24.it, 21 luglio 2011 Droga dietro le sbarre, all’interno del carcere di Marassi. È quanto è emerso stamattina dall’operazione “Spiderman”, con cui i carabinieri del nucleo investigativo di Genova hanno sgominato un cartello italo-albanese dedito allo spaccio di cocaina. Secondo gli investigatori un filone di spaccio era collegato anche al penitenziario genovese: la droga arrivava all’interno tramite le donne, principalmente fidanzate o mogli, che la nascondevano senza farsi scoprire. “Non mi sorprende - ha commentato il direttore dell’istituto di pena di Marassi, Salvatore Mazzeo - da sempre i familiari tentano di introdurre gli stupefacenti in carcere. Ogni tanto, grazie alle unità cinofile, abbiamo intercettato hashish o eroina, sempre in piccole quantità”. Un binomio, stupefacenti-carcere, che non fa clamore: a Marassi ci sono attualmente 350 detenuti tossicodipendenti, quasi la metà della capienza totale. “All’interno del carcere abbiamo il servizio Sert che si occupa della loro condizione, ma non sempre le cure si rivelano adeguate”. La dipendenza dalla droga continua spesso anche “dietro le sbarre” come confermato dal direttore: “Una volta dall’esterno hanno catapultato sacchetti di plastica con hashish o cocaina ma li abbiamo recuperati in tempo”. Ma il fenomeno droga in carcere ha diverse facce: più di una volta, a muovere le fila dello spaccio è stato anche il personale interno. “In diverse occasioni abbiamo collaborato con le forze dell’ordine dando il nostro apporto anche per l’arresto di agenti penitenziari, due in tre anni”. C’è poi un altro aspetto che secondo Mazzeo non è adeguatamente considerato: “Il tossicodipendente non dovrebbe scontare la pena in carcere, ma in un’apposita comunità terapeutica, dove poter risolvere adeguatamente la dipendenza fisica e psicologica”. Genova: Radicali; la nuova area verde a Pontedecimo? una goccia nel mare www.genova24.it, 21 luglio 2011 Una nuova area verde sorgerà all’interno della Casa Circondariale di Pontedecimo, per permettere ai figli e ai coniugi dei detenuti di incontrarsi in uno spazio “protetto”. Lo annuncia in un comunicato diffuso oggi alla stampa la Provincia di Genova: 150mq di prato all’inglese, circondato da siepi e piante fiorite “per coltivare anche in carcere gli affetti familiari”. Un progetto realizzato con il sostegno dell’assessorato alle Carceri della Provincia, che ha finanziato anche cinque borse lavoro per i detenuti inseriti nel progetto ideato dalla direzione del carcere e curato dalla cooperativa Il Rastrello. Al taglio del nastro (lunedì 25 luglio alle 11) interverranno il Presidente della Provincia Alessandro Repetto, l’assessora provinciale alle Carceri Milò Bertolotto e il direttore della Casa Circondariale Maria Milano, oltre a rappresentanti di enti e istituzioni e la cooperativa Il Rastrello. “Un’iniziativa apprezzabile”, commenta Alessandro Rosasco, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani. “Di fatto stiamo parlando di un’area che renderà più piacevole lo spazio per i colloqui. Si tratta però di provvedimenti spot, e rispetto a quelli che sono oggi i problemi del carcere è solo una goccia nel mare. I problemi sono ben altri - continua Rosasco - dall’accesso al lavoro, al servizio sanitario, a provvedimenti per rendere più vivibile la vita di persone che trascorrono in cella più di 20 ore al giorno. Sappiamo comunque che le istituzioni locali non possono fare molto per risolvere la situazione drammatica delle carceri, c’è bisogno di un intervento dall’alto”. “Un piccolo atto di civiltà”, dice Sandra Bettio, coordinatrice di Arci Carcere e Giustizia di Genova. “Secondo la nostra esperienza è proprio da piccole cose quotidiane che si possono migliorare le condizioni di vita di tante persone. Ricordiamoci poi che a Pontedecimo vivono anche alcuni bambini, persone innocenti che avrebbero diritto a stare con le proprie madri in un altro contesto, e non dietro le sbarre di una cella”. A Genova intanto continuano le adesioni alla fiaccolata organizzata dai Radicali davanti al carcere di Marassi (martedì 26, ore 21.00). Tra gli altri parteciperanno il direttore del carcere Salvatore Mazzeo, Uil Penitenziari, il consigliere regionale Nicolò Scialfa (Idv), numerosi agenti di polizia e Arci Genova. I detenuti si faranno sentire con la cosiddetta “battitura” delle sbarre. “Nelle carceri italiane la condizione del rispetto dei diritti umani è drammatica”, riprende Sandra Bettio. “Quando si parla di diritti umani, forse sarebbe utile ricordarsi che si sta parlando dei fondamentali bisogni di ogni individuo, troppo spesso non rispettati all’interno delle carceri italiane”. Venezia: suicidio in carcere; inchiesta archiviata, nessuna responsabilità della direttrice Il Gazzettino, 21 luglio 2011 La direttrice della casa di reclusione di Venezia, Irene Iannucci, e il comandante della polizia penitenziaria della struttura, Ezio Giacalone, non hanno commesso alcun reato in relazione alla morte del giovane detenuto di nazionalità tunisina, suicidatosi nell’autunno dello scorso anno, all’età di 22 anni, all’interno di Santa Maria Maggiore. È questa la conclusione a cui è giunta l’inchiesta effettuata dal sostituto procuratore Francesca Crupi, la quale ha concluso nei giorni scorsi gli accertamenti chiedendo l’archiviazione del fascicolo avviato con l’ipotesi di omissione in atti d’ufficio. Le indagini hanno evidenziato una serie di disfunzioni di carattere amministrativo in alcune procedure seguite all’interno del carcere ma, secondo il pm, si tratterebbe di mancanze che non configurano alcun reato. La procura ha accertato che la direzione del carcere aveva correttamente adottato i necessari provvedimenti di “grande sorveglianza” nei confronti dei detenuto ritenuto a rischio suicidio ma, a causa di una disfunzione interna, il secondo provvedimento non fu comunicato, ai sanitari e agli assistenti sociali. Questa mancanza, però, non avrebbe avuto ripercussioni dirette sull’accaduto: lo stesso consulente medico legale incaricato dalla procura, infatti, ha definito quello del giovane tunisino un “suicidio d’impeto” che con molte probabilità sarebbe stato difficile impedire anche se tutte le misure di prevenzione e controllo avessero funzionato alla perfezione. La mattina del 22 settembre 2010 il giovane tunisino aveva aspettato che i sei compagni uscissero per l’ora d’aria e che la guardia carceraria addetta a quell’ala si allontanasse e si era suicidato utilizzando le lenzuola. Reggio Calabria: Ionta (Dap) domani in visita al carcere e a cerimonia in ricordo di Quattrone Adnkronos, 21 luglio 2011 Giornata di impegni, domani a Reggio Calabria, per il capo dell’Amministrazione Penitenziaria. Franco Ionta incontrerà in mattinata il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. All’ordine del giorno la movimentazione di un elevato numero di detenuti, attualmente ristretti in alcuni istituti della regione, che partecipano alle udienze dei processi che si stanno celebrando presso l’aula bunker di Reggio Calabria. L’incontro - si legge in una nota - è volto a stabilire una stretta collaborazione tra la procura di Reggio Calabria e il Dap per pianificare il servizio delle traduzioni, nell’ottica della ottimizzazione dell’impiego del personale di Polizia Penitenziaria addetto alle traduzioni e della gestione dei mezzi delle traduzioni. Nel pomeriggio, il capo del Dap sarà nel carcere di Reggio Calabria dove, ricevuto dal provveditore in missione, Salvatore Acerra, e dalla direttrice Carmela Longo, incontrerà i direttori e i comandanti di reparto degli istituti penitenziari della Calabria. A un anno dalla scomparsa, Ionta parteciperà quindi alla messa in suffragio di Paolo Quattrone, provveditore della Calabria. Alla memoria di Quattrone, il Comune di Laureana di Borrello, sede dell’istituto penitenziario a trattamento avanzato, ha intitolato una strada della città. Alla cerimonia di intitolazione parteciperà, in rappresentanza dell’Amministrazione Penitenziaria, Luigia Culla, direttore generale dell’esecuzione penale esterna. Monza: Centemero e Farina (Pdl) in visita al carcere; sovraffollato, ma clima disteso www.mbnews.it, 21 luglio 2011 “Seguiremo la situazione del carcere di Monza”. Lo hanno assicurato i deputati del Pdl Elena Centemero e Renato Farina dopo la visita di lunedì mattina a Sanquirico. Una visita di tre ore, che segue di pochi giorni quella a San Vittore, per verificare di persona la situazione della casa circondariale brianzola. “L’elemento negativo è il sovraffollamento, e i dati sono eloquenti: ogni detenuto ha a disposizione 3 metri quadrati quando è di 7 lo spazio minimo stabilito dalla Corte Europea per i Diritti Umani, che più volte ha multato l’Italia”, ha sottolineato l’onorevole Farina, primo firmatario di una proposta di legge bipartisan, insieme alla deputata del Pd Alessia Mosca, per incentivare il lavoro dietro le sbarre come deterrente contro la reiterazione del reato. “Provvederò a segnalare questa situazione in Parlamento attraverso un’interrogazione o un’interpellanza”, ha poi promesso precisando che la Finanziaria, approvata recentemente, non porterà nessun taglio alle carceri. “Come deputato ho visitato oltre 20 penitenziari e posso dire che, rispetto ad altri, il clima a Monza è piuttosto disteso - ha aggiunto l’esponente del Pdl -. Merito dei volontari, che svolgono un lavoro eccellente, e delle istituzioni”. Un aspetto, questo, ribadito anche dall’onorevole Centemero: “Quello che più mi ha colpito è la forte interazione tra la realtà interna e quella esterna - ha detto. Oltre alla presenza costante e forte dell’associazione di volontari “Incontri e Presenza”, c’è un’attenta partecipazione da parte delle istituzioni attraverso uno sportello lavoro, uno Afol e uno del comune di Monza, presenti all’interno del carcere. E poi ci sono la scuola, i corsi di alfabetizzazione, i laboratori e i mediatori culturali”. La deputata del Popolo della Libertà ha poi sottolineato che ogni comune brianzolo versa 12 centesimi per ogni abitante per garantire servizi all’interno del carcere, come l’accompagnamento nel mondo del lavoro del detenuto al momento della scarcerazione. Citando in più occasioni l’articolo 27 della Costituzione, hanno poi ribadito che “più che la durezza della condanna, il vero deterrente è la certezza della pena e la velocità di giudizio”. Gli onorevoli Centemero e Farina hanno recentemente sottoscritto l’appello di Marco Pannella. “Non tanto per sostenere l’amnistia quanto per rendere meno ferruginosa, là dove le condizioni lo consentono, l’alternativa al carcere”. Brescia: il Garante è l’unico promotore dell’iniziativa per la donazione dei materassi al carcere di Emilio Quaranta (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Brescia) Ristretti Orizzonti, 21 luglio 2011 Con riferimento all’oggetto e di intesa con il Presidente dell’Associazione “Carcere-territorio”, nella qualità di Garante dei detenuti del Comune di Brescia (dal 27 maggio c.a.), prego voler rettificare l’inesattezza in cui si è incorsi. L’acquisto dei materassi e relativi guanciali consegnati (prima tranche ieri 20 luglio in numero di 201 (duecentouno) è avvenuto esclusivamente su iniziativa del sottoscritto, che si è fatto unico promotore, ascoltato, di una “raccolta fondi per i detenuti”, cui la città solidale e generosa ha risposto in maniera stupefacente. “Carcere e territorio”, benemerita associazione, è totalmente estranea a questo progetto. Questo è quanto, agevolmente provabile. Grazie per l’attenzione, saluto cordialmente. Avellino: detenuto rumeno inscena clamorosa protesta salendo sopra i tetti Agi, 21 luglio 2011 Nella tarda mattinata di ieri un detenuto di nazionalità romena Raileanu Ion di 27 anni (condannato definitivo con fine pena 2013) ha dato vita ad una clamorosa protesta salendo sui tetti dei capannoni delle lavorazioni del carcere irpino di Bellizzi. Il detenuto ha motivato la protesta adducendo precari servizi sanitari e una non puntuale assistenza medica. Solo dopo una laboriosa ed articolata “contrattazione” con il Vice Commissario Andrea Spampanato, nelle vesti di Comandante di Reparto, il detenuto ha terminato la protesta e si è consegnato al personale di Polizia Penitenziaria del carcere avellinese. Nel mentre sono in corso accertamenti interni per stabilire come il detenuto abbia potuto accedere ai tetti delle lavorazioni, lo stesso nel primo pomeriggio odierno è stato trasferito al carcere di Napoli Secondigliano. Desidero esprimere vivo apprezzamento al Vice Commissario Spampanato per la professionalità con cui ha gestito l’evento critico senza che ne scaturissero episodi violenti o il ricorso a mezzi coercitivi. Civitavecchia (Rm): nella casa circondariale nasce il “Giardino delle Farfalle” Il Tempo, 21 luglio 2011 Si conclude il progetto “Il giardino delle farfalle” presentato dal Centro territoriale permanente locale, finanziato dalla Fondazione Ca.Ri.Civ., che ha coinvolto circa 15 detenuti della casa circondariale di via Tarquinia. I detenuti hanno imparato a coltivare piante aromatiche, grazie alle quali potrebbero costituire un circuito di vendita. Durante il progetto sono state realizzate due serre all’interno della casa circondariale, grazie al contributo dei ragazzi del Calamatta che hanno costruito gli impianti elettrici, dopo di che il professore Pierluigi Cambi si è concentrato sulla formazione teorica sulla botanica e sull’agronomia, in modo da intervenire in maniera cosciente sul lavoro che si sarebbe poi svolto in serra. Soddisfatti dell’obbiettivo raggiunto la direttrice della casa circondariale, Elisabetta Bravetti e la preside della scuola F. Flavioni, Vincenza La Rosa. Il progetto è stato accolto favorevolmente dalla Fondazione Cassa Di Risparmio di Civitavecchia che lo ha finanziato. “Dare degli strumenti - ha dichiarato il presidente della Fondazione, Vincenzo Caccialgia - a questi ragazzi, insieme ad un’opportunità per il futuro è un impegno che abbiamo preso con questo progetto”. Immigrazione: Cie vietati ai giornalisti, Bologna anticipa la protesta Redattore Sociale, 21 luglio 2011 Il 25 luglio la mobilitazione davanti alle strutture. Domani a Bologna la deputata Zampa in visita al Cie, dove proseguono le proteste: ieri nella sezione femminile incendiati i materassi “È evidente che il governo non vuole che gli italiani sappiano cosa sta accadendo lì dentro e in quali condizioni sono tenuti i cittadini extracomunitari”. Così la deputata del Pd Sandra Zampa commenta la circolare ministeriale che dal primo aprile impedisce l’accesso ai giornalisti nei centri per gli immigrati, siano essi d’accoglienza o detentivi. Nell’ambito della mobilitazione promossa da Fnsi, Ordine dei giornalisti e Partito Democratico, venerdì alle 16, Zampa, che è anche giornalista, si recherà in visita al Cie di Bologna, in via Mattei. Sarà accompagnata dalla giurista esperta in diritto dell’immigrazione Alessandra Ballerini. La mobilitazione, prevista su tutto il territorio nazionale, proseguirà lunedì 25 luglio in altre città italiane. “Ai parlamentari è concesso entrare nelle strutture e mi recherò al Cie di Bologna per rivendicare il diritto alla libera informazione e chiedere il ritiro della circolare ministeriale”, scrive Zampa in una nota. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, lamenta la democratica, “vuole tapparci la bocca, ma noi abbiamo il dovere di opporci per permettere alla stampa di documentare e informare”. Se “i cittadini italiani sapessero cosa accade in certe strutture avrebbero certamente un moto di indignazione profonda ed è di questo che si tratta: nascondere la verità agli italiani”. I giornalisti che vorranno partecipare potranno recarsi davanti al Cie chiedendo di entrare “ma, soprattutto - conclude il comunicato - chiedendo il ripristino della libertà di espressione e di informazione previsto dall’articolo 21 delle nostra Costituzione”. Ieri anche Vito Totire, medico di fiducia di una persona trattenuta al Cie di Bologna, era intervenuto sulla questione dell’accesso. “Da giugno attendo una risposta dal Prefetto circa la possibilità di accesso al Cie per il medico di fiducia di una persona detenuta” dice Totire. “È verosimile che il Prefetto abbia l’esigenza di consultarsi con il ministero degli Interni - scrive in una nota - tuttavia ci pare che la questione necessiti di una risposta urgente”. Una risposta che “potrebbe se positiva, contribuire ad attenuare il clima di tensione presente nei Cie - aggiunge - superando una condizione che pare essere di persone, paradossalmente, ancora meno garantite che non i detenuti nelle carceri ordinarie”. Questo “mentre ci risulta una grave situazione di tensione e di scontro all’interno del Cie - scrive - a causa di una situazione giuridicamente, socialmente ed eticamente non sostenibile”. La tensione è palpabile: proprio ieri nella sezione femminile alcune donne hanno dato fuoco ai materassi, provocando un incendio che è stato domato grazie all’intervento dei Vigili del Fuoco. “Il Cie va chiuso - conclude Totire - è una struttura anticostituzionale, un’istituzione totale, un luogo del grande internamento riservato ai migranti poveri che ci fa ritornare indietro nella storia e nel diritto al periodo precedente alla Rivoluzione francese”. Immigrazione: a Milano avviata una class action contro la cosiddetta “sanatoria truffa” www.lettera43.it, 21 luglio 2011 Approvato alla Camera il decreto legge sui rimpatri dei cittadini irregolari - che prevede l’espulsione immediata degli immigrati senza permesso considerati pericolosi e l’allungamento della permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione da 6 a 18 mesi - sono arrivate le prime risposte della società civile alle decisioni del ministero degli Interni Da segnalare, in particolare, una lettera che i cinque “ospiti” del Cie di Ponte Galeria a Roma hanno indirizzato al ministro Roberto Maroni descrivendo la situazione “disumana” in cui sono costretti a vivere: “Siamo quasi 200 uomini e 50 donne: siamo detenuti come colpevoli, come persone che hanno commesso un reato. Quelli che fanno queste leggi non sanno niente della nostra situazione e sofferenza. Ti dicono che dopo sei mesi esci e invece una mattina ti svegliano alle sei ed entrano 20 persone coi guanti, ti portano in una stanza e ti tolgono tutta la tua roba e ti rimandano a casa”. E ancora: “Noi siamo otto persone in una stanza di quattro metri per quattro. Chi si alza dopo le otto del mattino non prende la colazione. Chi arriva ultimo in fila non arriva a prendere il pranzo o la cena perché siamo 200 persone”. Nella lettera vengono segnalate anche le maniere forte che vengono usate per i rimpatri: “Quando rimandano le persone al loro Paese le legano come un pacco postale, mani e piedi, e mettono una fascia sulla bocca per non farle gridare, per non farle sentire al pilota. Ti fanno salire per ultimo così nessuno ti vede. I poliziotti sono pronti per intervenire e picchiare come in un mattatoio. Le persone qui vorrebbero parlare ma nessuno li capisce. Noi soffriamo già sei mesi, figurati 18 mesi. Chiediamo che la gente fuori, ogni giovedì mattina, vada a vedere a Fiumicino le persone portate via con la forza, che vada a fermare il massacro”. Se una lettera si può facilmente “dimenticare” in un cassetto, il ministero non può ignorare di sicuro il consenso del Tribunale del lavoro di Milano sulla richiesta di class action presentata dagli immigrati contro la cosiddetta “Sanatoria truffa”. La causa collettiva potrà essere effettuata da tutti quei migranti che hanno perso il lavoro dopo che la domanda di regolarizzazione è stata respinta per aver subito una doppia espulsione. La sentenza, depositata dal giudice Silvia Ravazzoni, ha accolto il ricorso per discriminazione contro il Viminale presentato da Mahadi Hammami, immigrato egiziano, che nel 2009 aveva chiesto il permesso di soggiorno. La richiesta era stata respinta dal momento che il lavoratore egiziano non aveva obbedito all’ordine di espulsione del questore. Nel suo caso il risarcimento non è previsto perché non si è riusciti a provare la perdita del lavoro ma la sentenza apre comunque la strada agli altri immigrati. Il problema nasce dal momento che il governo ha deciso di concedere la regolarizzazione solo agli espulsi non condannati, mentre l’ha negata a quelli condannati. Il 28 aprile, la Corte di giustizia europea ha stabilito che questo è un reato a tutti gli effetti ed è contrario ai diritti umani. Così, il 24 maggio è stata emanata una circolare secondo la quale il permesso di soggiorno va concesso anche agli espulsi-condannati. Ma poi, appena 24 ore dopo, il governo ne ha emanata un’altra, sospendendo quella del giorno prima. Il giudice di Milano ha potuto così stabilire che il ministero degli Interni ha tenuto un comportamento discriminatorio, non allineandosi alla sentenza della Corte di giustizia europea. Così, il 5 luglio, il Viminale ha emanato una nuova circolare in cui ha riconosciuto anche agli immigrati con doppia espulsione la possibilità di vedere accolta la domanda di sanatoria presentata nel 2009. Ma la class action va avanti: il provvedimento, infatti, riguarda le pratiche ancora aperte. Gli immigrati con la pratica già chiusa, pur avendo ragione quanto gli altri, non hanno la possibilità del riconoscimento (a meno che il datore di lavoro non si muova per loro). Usa: giustiziato suprematista bianco, uccise 2 asiatici per vendicare attentati 11 settembre Adnkronos, 21 luglio 2011 È stata eseguita in Texas la condanna a morte di un suprematista bianco che uccise due stranieri per vendicare gli attentati dell’11 settembre. L’uomo, il 41enne Mark Anthony Stroman, è stato dichiarato morto alle 06.53 (ora locale) nel carcere texano di Huntsville. All’indomani degli attentati, Stroman decise di prendere di mira uomini di aspetto mediorientale, ma in realtà le sue vittime erano tutte originarie del subcontinente indiano. Il 15 settembre uccise a Dallas un pachistano e il 4 ottobre ammazzò un indiano ad una pompa di benzina a Mesquite. Fra i due omicidi ferì Rais Bhuiyan, nato in Bangladesh. Bhuiyan, che ha perso un occhio, si è poi battuto per evitare l’esecuzione di Stroman. Stroman aveva un passato di rapine a mano armata e in carcere aveva fatto parte di un gang suprematista bianca, la Fratellanza ariana.