Giustizia: sovraffollamento, detenuti suicidi, Opg… per il Governo è “tutto sotto controllo” Sesto Potere, 19 luglio 2011 Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito - nel corso di un question time in Parlamento - ha riportato i dati aggiornati sui lavori in corso, relativi al Piano straordinario sull’emergenza carceri, varato dal governo nel gennaio 2010. Le azioni recenti, effettuate dal ministero della Giustizia per realizzare quanto previsto dal Piano carceri, registrano: l’intesa firmata il 15 marzo con la Regione Lombardia per la realizzazione dei padiglioni in ampliamento degli istituti di Milano Opera, Busto Arsizio e Bergamo; l’intesa firmata il 16 maggio con la Regione Emilia Romagna per la realizzazione degli interventi di ampliamento, per complessivi 1.000 posti, negli istituti penitenziari di Bologna, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Piacenza (questi ultimi già appaltati); i decreti firmati l’8 giugno per la realizzazione - con carattere di urgenza - dei padiglioni in ampliamento degli istituti penitenziari esistenti. Tutti gli avanzamenti evolutivi sono registrati e visionabili sul sito web www.pianocarceri.it, appositamente istituto lo scorso mese di giugno in un’ottica di trasparenza informativa. Il ministero segnala, peraltro, che con i fondi destinati all’edilizia penitenziaria, sono stati ultimati i lavori dei nuovi istituti di Oristano e Tempio Pausania, mentre i lavori relativi alle nuove strutture di Cagliari e Sassari dovrebbero concludersi nel mese di ottobre. Inoltre, sono in fase di ultimazione i padiglioni detentivi di ampliamento degli istituti di Cremona, Modena, Terni, Voghera, Palermo Pagliarelli e Biella. A seguire la risposta del ministro al quesito presentato dal Pd sulla situazione delle carceri: “Do lettura - ha detto il ministro - della risposta fornita dal ministero della Giustizia, che crede che sia nell’interesse di tutti sgombrare il campo da un equivoco: le condizioni di sovraffollamento, per quanto penose, non hanno un’incidenza diretta sul fenomeno dei suicidi. Dall’analisi dei dati statistici emerge, infatti, un incremento del numero dei suicidi direttamente proporzionale all’aumento della popolazione detenuta: dai 42 casi registrati nel 2008, si è passati ai 58 del 2009 ed ai 63 del 2010. Dall’inizio del 2011, i gesti suicidari sono stati 34. Quanto al piano carceri il ministero comunica, invece, che continuano ad evolversi in senso positivo gli interventi studiati dal Governo per affrontare la difficile realtà carceraria presente nel Paese: il 15 marzo è stata firmata l’intesa con la Regione Lombardia per la realizzazione dei padiglioni in ampliamento degli istituti di Milano Opera, Busto Arsizio e Bergamo; il 16 maggio è stata firmata l’intesa con la Regione Emilia Romagna per la realizzazione degli interventi di ampliamento, per complessivi 1.000 posti, negli istituti penitenziari di Bologna, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Piacenza (questi ultimi già appaltati); l’8 giugno, infine, sono stati firmati i decreti per la realizzazione - con carattere di urgenza- dei padiglioni in ampliamento degli istituti penitenziari esistenti. Il ministero segnala, peraltro, che con i fondi destinati all’edilizia penitenziaria, sono stati ultimati i lavori dei nuovi istituti di Oristano e Tempio Pausania, mentre i lavori relativi alle nuove strutture di Cagliari e Sassari dovrebbero concludersi nel mese di ottobre. Inoltre, sono in fase di ultimazione i padiglioni detentivi di ampliamento degli istituti di Cremona, Modena, Terni, Voghera, Palermo Pagliarelli e Biella. Passando, infine, alle problematiche relative agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari - come è noto rientranti per massima parte nella sfera di attribuzioni del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi del Dpcm del 2008 - il ministero comunica che è tuttora in corso il programma di dimissione dagli Opg degli internati dichiarati dimissibili, ma per i quali il ricovero è stato prorogato, in mancanza di una presa in carico all’esterno. I motivi di un tale rallentamento devono, invero, essere ricercati nella natura stessa del programma in questione, essendo richiesto per il completamento di siffatta, complessa operazione che sia acquisita l’assunzione di responsabilità diretta da parte delle Regioni, nel cui territorio sono residenti gli internati. Peraltro, il ministero della giustizia aggiunge che, proprio al fine di favorire la responsabilizzazione delle Regioni, è stata realizzata - come prima azione- quella tesa a garantire la ricollocazione degli internati da parte della Amministrazione penitenziaria negli Opg più vicini alle Regioni di residenza. Ad ogni buon conto, il ministero della giustizia fa presente che tutti i processi descritti sono già oggetto di monitoraggio da parte del Comitato paritetico, istituito presso la Conferenza Unificata e costituito da rappresentanti del ministero della Salute, del ministero della Giustizia, delle Regioni e delle Autonomie locali e che attualmente, si sta lavorando per l’abolizione della proposta di misura di sicurezza, una volta intervenuta la dichiarazione di dimissibilità”: ha concluso Vito. Giustizia: il 28 e 29 luglio convegno dei Radicali al Senato su riforma e crisi delle carceri Agenparl, 19 luglio 2011 Sarà la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani ad ospitare, giovedì 28 e venerdì 29 luglio, il convegno per la riforma della giustizia italiana dal titolo “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica con il patrocinio del Senato della Repubblica. Articolati in più sessioni, i lavori della due giorni inizieranno, alla presenza del Capo dello Stato, alle ore 11 di giovedì 28 luglio con il saluto del Presidente del Senato Renato Schifani, la relazione introduttiva di Marco Pannella, l’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Al convegno parteciperanno le massime autorità istituzionalmente interessate insieme alle forze politiche e sociali impegnate per la riforma della giustizia e, conseguentemente, per superare l’attuale condizione delle carceri italiane”. Lo si legge in una nota del Senato. Giustizia: la vergogna di non punire la tortura di Patrizio Gonnella Il Manifesto, 19 luglio 2011 Sono passati dieci anni da quando a Genova fu praticata la tortura. I giudici hanno potuto solo evocarla ma non porla a fondamento delle loro sentenze di condanna. Il motivo è banale: la tortura non è un crimine per la legge italiana. Molti dei torturatori della Diaz e di Bolzaneto non solo non sono stati rimossi dai loro incarichi ma sono stati addirittura promossi. D’altronde la tortura non è proibita. Da quei giorni di luglio 2001 a oggi sono accaduti molti fatti. Abbiamo potuto purtroppo constatare come le pratiche di polizia sconfinino nella tortura. Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono stati pestati sino alla morte. Paradigmatica, nella sua drammaticità, è la vicenda del giovane Carlo Saturno, umiliato, vessato, malmenato nel carcere minorile di Lecce, suicidatosi poi nel carcere per adulti di Bari. Il processo leccese per le violenze da lui subite, processo nel quale aveva avuto il coraggio di costituirsi parte civile, si è prescritto. Se la tortura fosse stato reato il processo avrebbe potuto proseguire, essendo un crimine contro l’umanità non prescrittibile. I reati che vengono contestati ai torturatori hanno invece tempi di prescrizione molto brevi. Nei giorni scorsi è finito male un altro processo, quello a carico dell’italo-cileno Omar Venturelli. Le torture che gli inflissero i fascisti di Pinochet sono state dimostrate nelle aule di giustizia, ma i giudici non hanno potuto contestarle ai criminali essendo il delitto non previsto nel codice penale italiano. Gli altri reati opponibili - percosse, abusi vari, lesioni - hanno pene limitate e tempi rapidi di prescrizione. Eppure, come ricorda Luigi Ferrajoli, la tortura è l’unico reato che per espresso obbligo costituzionale dovrebbe essere codificato. Infatti solo una volta si parla di punizione, all’art. 13, proprio per quei funzionari dello Stato che maltrattano persone in loro custodia. Il rapporto tra il custodito e il custode è il rapporto impari del singolo con lo Stato. Un rapporto che richiede tutele, garanzie, protezioni. Un rapporto che pone limiti al potere dello Stato. Dopo Genova il Parlamento italiano ha trattato varie volte il tema della tortura. Nella terra di Cesare Beccaria e Umberto Verri, è accaduto che la leghista Carolina Lussana, l’anno dopo i fatti di Genova, mentre si discuteva del disegno di legge sulla tortura, fece approvare un emendamento tragico e ridicolo in base al quale per essere puniti bisognava torturare almeno due volte. Negli anni di governo del centrosinistra la proposta di legge non ha mai fatto significativi passi in avanti. Nel 2008, tornato Berlusconi al governo, la proposta fu bocciata al Senato con cinque voti contrari. Poi il governo ha solennemente dichiarato alle Nazioni Unite, per voce del sottosegretario Vincenzo Scotti, che non vi è utilità giuridica del crimine di tortura nel nostro ordinamento. Qualche settimana fa, su iniziativa della radicale Rita Bernardini, è stato approvato alla Camera un ordine del giorno che ne prevede l’introduzione nel codice penale. Nulla da allora è accaduto. La definizione di tortura non cambia da Paese a Paese. È unica e universale ed è quella presente nella Convenzione Onu del 1984. Per esserci tortura è necessario che vi sia inflizione di sofferenze psicologiche o fisiche da parte di un pubblico ufficiale con l’intenzione di umiliare o estorcere informazioni. Genova 2001 è un esempio scolastico di tortura. A dieci anni da un episodio criminale di quella portata rinnoviamo l’appello al Parlamento affinché produca uno scatto di civiltà. Esistono già proposte pendenti dirette a codificare la tortura. Le si discuta. Si costringano gli avvocati-deputati del premier a dire che la tortura non deve essere un reato. Si ricordino, però, che il loro datore di lavoro nel lontano 1994, per difendersi da Mani Pulite, ne chiese formalmente l’introduzione nel nostro ordinamento. Giustizia: 10 anni dal G8 di Genova; lunghe ore di violenze… e mai nessuno si è scusato di Claudia Fusani L’Unità, 19 luglio 2011 Cambiò tutto in una notte, a Genova 2001. Quando la zona rossa venne allargata e lo spazio fisico e politico della democrazia divenne asfissiante. La Polizia messa sotto pressione dalla politica. Rumore sordo. Clang. Rumore metallico, ripetuto, ossessivo. Immaginate se nel cuore della notte arriva da fuori - clang, clang - e immaginate anche il giallo delle cellule fotoelettriche. La notte tra giovedì 19 e venerdì 20 luglio 2001 a Genova accadde qualcosa che è rimasto un dettaglio delle cronache. Non per chi c’era. Il quartier generale dei giornalisti era l’albergone di vetro e cemento armato che s’affaccia sul piazzale di Brignole. Molti degli accreditati al G8 dormivano lì da quando era cominciato l’anti-G8, la settimana di dibattiti e incontri che avrebbe voluto dimostrare che un altro mondo è possibile, non solo quello deciso dagli otto grandi della terra. Giovedì c’era stata la manifestazione dei migrantes, migliaia in maglietta e pantaloncini, altrettanti con le divise antisommossa, ma era andato tutto bene, i genovesi, quei pochi rimasti, applaudivano e qualcuno mostrava la biancheria che il premier fresco di nomina Silvio Berlusconi aveva invitato a non stendere alle finestre per un fatto d’estetica. La sera, poi, il concerto di Manu Chaò aveva riempito il piazzale del lungomare. Una festa bellissima. Eravamo andati a letto pensando che sì, dai, dopo mesi di alta tensione e quei primi giorni angosciati dalle bombe anarchiche a Bologna e Genova (un brigadiere perse l’uso della mano), che dopo tutto questo forse il peggio era passato. Alla faccia delle recinzioni metalliche alte dieci metri, dei passaggi solo pedonali tipo check point Charlie, delle grate di ferro da Birkenau che avevano ingabbiato il centro storico di Genova. E invece, clang, clang, ancora clang, tutta la notte. La luce del giorno consegnò l’angoscia di cosa può voler dire un colpo di stato. Su ordine del ministero dell’Interno, Genova non era più solo la zona rossa, la più grande mai vista in un vertice del G8 e la più presidiata. Nella notte, grazie a pesantissimi container allineati per chilometri era stata creata un’altra zona rossa, ben più ampia. La chiamarono “zona di rispetto” per creare - dissero - “un cuscinetto tra la zona rossa e quella dove hanno libero accesso i manifestanti”. Diventò la zona anticamera delle carneficina. Quei container alti due metri e mezzo, lunghi otto e larghi quattro diventarono il confine di ferro tra il bene e il male. Da subito fu chiaro che era una provocazione. E che la guerra di cui parlavano da febbraio le veline dei servizi sarebbe stata combattuta per davvero. Quei container calati nella notte erano la fine dell’ultimo residuo di innocenza. Il G8 di Genova è stata la Caporetto di un modello di ordine pubblico che per vent’anni, dopo il terrorismo, aveva saputo conciliare il diritto a manifestare e la tutela dei diritti di tutti. È stato il tradimento di una polizia, corpo civile, tornata a comportamenti militari. Il sangue e la violenza del G8 di Genova sono stati decisi a tavolino. Da febbraio le intelligence veicolavano allarmi da fine del mondo. Ne ricordiamo alcuni: lancio di sangue infetto da aerei in volo; agenti presi in ostaggio dai manifestanti; chiusura dello spazio aereo e batterie antimissili; radar marini di ogni ordine e grado. L’intelligence italiana - “in continuo contatto info-investigativo con le polizie e i servizi di sicurezza alleati”, recitavano le informative - aveva diviso il Movimento in blocchi colorati, dal bianco, il più innocuo, al nero, il più violento. In mezzo il rosa, il giallo, il blu. I giornalisti venivano invitati a vedere l’addestramento dei reparti mobili e il nuovo equipaggiamento: il tonfa di gomma fuori e ferro dentro, le divise da Robocop di finanzieri e carabinieri. In aprile, con ancora Prodi al governo, c’era stata la prova generale a Napoli durante un vertice, anche lì botte da orbi sui manifestanti. A giugno alcuni giornali scrissero: “A Genova ci scapperà il morto”. “Presidente, c’è il morto”, disse infatti Roberto Gasparotti a Berlusconi venerdì 20 luglio poco dopo le 18 mentre il premier usciva con le delegazioni straniere dal palazzo comunale nel cuore senza rumori né vita che era la zona rossa. Carlo Giuliani era caduto in piazza Alimonda alle 17.47. Un corpo esile, bianco, a torso nudo, giaceva con un buco in fronte e sembrava un Cristo. Prima di uccidere Giuliani, intorno alle 14, i reparti impazziti - non conoscevano le strade - avevano attaccato all’improvviso il corteo delle Tute Bianche dando il via alla guerriglia. Il giorno dopo, sabato, il corteo pacifista di 200mila persone, mamme e bambini e anziani e giovani, riempì Genova nonostante il sangue. Anche quel corteo, dove si erano infiltrati i guastatori violenti che però - grande mistero - nessuno dei nuclei super speciali inviati a Genova aveva fermato in anticipo, fu assaltato con lacrimogeni e manganelli e scudi di plexiglass. La domenica, l’irruzione a freddo nella scuola-dormitorio della Diaz. Erano le undici di sera. “Cercavamo una rivalsa, cioè tanti arresti, dopo i disastri dei giorni precedenti”: lo ha detto ai giudici il prefetto Ansoino Andreassi, capo dell’ordine pubblico a Genova. Uno dei pochi che ha avuto il coraggio di dire la verità. Dieci anni sono sufficienti per tenere separata l’emozione dalla ragione. Il disastro di Genova, visto oggi, può avere un sola scusante: cinquanta giorni dopo Al Qaeda avrebbe lanciato due aerei passeggeri contro le Torri Gemelle e uno contro il Pentagono. Si capisce perché le intelligence insistevano con ogni tipo di minaccia, soprattutto dal cielo. L’opzione kamikaze non era ancora matura nelle situation room dei paesi occidentali. Ma c’erano andate vicino. “Avevo dato l’ordine di sparare se qualcuno si fosse arrampicato sulle reti metalliche della zona rossa” confessò poi l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola. Ecco, Genova fu “la sospensione della democrazia” come hanno detto i giudici. Quel disastro di violenza gratuita aveva un alibi “politico”? Forse sì, se qualcuno di quanti dettero quegli ordini - sono ancora tutti ai massimi livelli del sistema di sicurezza nazionale - si fosse assunto la responsabilità e avesse chiesto scusa. E detto: mai più. È l’arroganza di chi ha sbagliato e non lo ammette che non farà mai lavare il sangue di Genova. Giustizia: Favi (Pd); appalti vitto e sopravvitto, fare chiarezza su sfruttamento detenuti Agenparl, 19 luglio 2011 “Di fronte alle allarmanti notizie circolate in questi giorni relative alla gestione del servizio di sopravvitto fornito negli spacci ai detenuti, auspichiamo urgenti e puntuali chiarimenti da parte del Ministro della Giustizia Angelino Alfano, per sgombrare il campo da ipotesi di sfruttamento della particolare condizione dei detenuti che, se confermate, porrebbero l’Amministrazione Penitenziaria in una inaccettabile compromissione con interessi privati”. Lo ha dichiarato in una nota il Responsabile nazionale carceri del Pd Sandro Favi. Giustizia: Cassazione; la mancata revoca della custodia cautelare va sempre motivata Ansa, 19 luglio 2011 La V Sezione penale della Corte di cassazione con sentenza n. 28018 del 15 luglio 2011 ha stabilito che la custodia cautelare non può essere revocata o sostituita con gli arresti domiciliari o un’altra misura meno grave, per il solo fatto che il detenuto ha tenuto una condotta di collaborazione, che consente la concessione delle attenuanti. Alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari si può procedere soltanto dopo che il giudice competente ha sentito il procuratore nazionale antimafia e i procuratori generali. Tale parere è necessario per permettere al giudice di accertarsi che non vi siano collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o terroristico eversiva, oltre al rispetto degli impegni assunti dal collaboratore. Inoltre da piazza Cavour hanno sottolineato che i pareri del procuratore nazionale antimafia e dei procuratori generali interessati non possono essere considerati alternativi o equipollenti. Secondo i giudici della Suprema Corte deve essere ascoltato il procuratore nazionale antimafia per l’imputato che ha commesso reati in materia di criminalità organizzata di tipo mafioso, mentre devono essere sentiti i procuratori generali delle corti d’appello interessate, per gli imputati che hanno commesso dei reati nell’ambito della criminalità di tipo terroristico eversivo. È in questo modo che , per gli ermellini, deve essere interpretato l’articolo 16 octies del decreto legge n. 8 del 15 gennaio 1991,che disciplina la revoca o sostituzione della custodia cautelare per effetto della collaborazione. Infine la sentenza del Palazzaccio ha precisato che la mancata revoca della custodia cautelare deve sempre essere accompagnata dalle motivazioni, non potendosi ridurre ad una semplice affermazione perentoria priva di giustificazioni. Lettere: da condannato, chiede di essere separato dagli imputati… ma inutilmente di Stefano Anastasia Terra, 19 luglio 2011 M.M. ha 38 anni e sta in carcere da quasi nove, ma gliene toccano ancora quattordici. Condannato definitivamente, chiede di essere recluso in un apposito istituto. Del resto, l’articolo 14 dell’Ordinamento penitenziario sostiene che “è assicurata la separazione dei condannati dagli imputati”, e in fondo M.M. solo questo chiede: da condannato, di essere separato dagli imputati. Non perché li disdegni, ma perché le sezioni e gli istituti per persone in attesa di giudizio sono caratterizzate da quella precarietà che è tipica di quella condizione, forse condivisibile e accettabile da parte di chi debba scontare peni brevi o brevissime (e infatti l’ordinamento penitenziario consente una deroga alla separazione, per i condannati a meno di 5 anni di reclusione), ma intollerabile da chi debba pensare a un bel pezzo della propria vita chiuso in un istituto penitenziario. Chiede M.M., ma non ottiene, nonostante la limpidezza della previsione normativa. Con affidamento nelle leggi e nelle istituzioni di garanzia che gli dovrebbe essere riconosciuto nel prosieguo della sua esperienza detentiva, si rivolge quindi al magistrato di sorveglianza, giudice dei diritti dei detenuti, e dunque anche di questo suo. Il pubblico ministero, non si sa perché, non vuole: M.M. deve restare nella sua sezione di “alta sicurezza”, seppure essa sia destinata a “giudicabili” e non a “definitivi”. Il giudice, invece, decide in senso contrario e “dispone che il predetto sia assegnato a una Casa… o a una sezione di reclusione” e “manda alla Cancelleria… per la trasmissione… al competente ufficio del Dap che vorrà tempestivamente assicurare la sollecita ottemperanza a quanto disposto”. Questo accadeva il 10 gennaio 2010. Un anno e mezzo dopo M.M. è ancora lì. Cosa è successo nel frattempo? Il competente ufficio del Dap, ignorando la sentenza 266/2009 della Corte costituzionale, scambia la decisione del giudice per una mera segnalazione, un consiglio, una cortese richiesta, “se possibile” Ma non si può, superiori ragioni di “ordine e sicurezza” rendono una circolare amministrativa più importante delle norme di legge e regolamento in barba a ogni teoria delle fonti del diritto. Addirittura il Dap chiede al giudice di rivedere la sua decisione, come il Ministro della difesa al termine del processo inquisitorio in The Conspirator di Robert Redford. Puntualmente, la magistrata risponde, segnalando al Dap la possibilità di fare ricorso per Cassazione. Poi più niente: nessun ricorso, nessuna ottemperanza, nessun diritto. Così passa il tempo nelle carceri italiane. Marche: carceri sempre in emergenza, il futuro è nelle pene alternative Redattore Sociale, 19 luglio 2011 Sovraffollamento, vecchiaia delle strutture, carenza di personale: le criticità degli istituti di pena nella relazione della Commissione regionale. Circa 400 mila euro destinati, l’assessore Marconi: “Ne servirebbero almeno il doppio”. Sovraffollamento, vecchiaia delle strutture, carenza di personale. Sono queste le principali criticità degli istituti di pena marchigiani che emergono dalla Relazione della I Commissione assembleare permanente sulla situazione carceraria delle Marche, presentata questa mattina nel corso della seduta del Consiglio regionale. Il rapporto è il frutto di una serie di visite compiute dagli stessi consiglieri nelle carceri della regione e della collaborazione con il difensore civico regionale, Italo Tanoni. “Una situazione che richiede interventi urgenti - ha detto l’assessore regionale ai Servizi sociali, Luca Marconi, intervenendo dopo la presentazione del documento da parte dei relatori di maggioranza e minoranza, Rosalba Ortenzi e Franca Romagnoli -. In questo periodo di crisi ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, il che vuol dire che la Regione interviene nello spirito della legge 28 del 2008 sul sistema degli interventi a favore di detenuti ed ex detenuti ma non può sostituirsi all’Amministrazione penitenziaria. Non è pensabile che la Regione debba occuparsi delle spese interne o della manutenzione degli spazi e delle strutture carcerarie. Servono altre iniziative e soluzioni nuove”. Attualmente la cifra che la Regione impiega per il settore è pari a circa 400 mila euro. “Ne servirebbero almeno il doppio - ha dichiarato l’assessore - per questo chiederò alla Giunta maggiori risorse ma occorre fare scelte coraggiose, a partire dalla realizzazione di progetti pilota per l’inserimento lavorativo dei detenuti che rappresenta l’intervento ponte tra il carcere e il dopo carcere”. “Il futuro - ha sostenuto Marconi - è sulle pene alternative. È su questo che orienterei i nostri sforzi. Nel concreto e immediatamente, dobbiamo interloquire con l’amministrazione penitenziaria evitando la parcellizzazione degli interventi e insistendo, oltre che sull’inserimento lavorativo dei detenuti, sulla realizzazione di iniziative culturali e spirituali che consentano di vivere meglio la dura realtà carceraria oppure sull’inserimento sociale nel territorio di appartenenza degli ex detenuti marchigiani”. Infine, un’ipotesi su cui lavorare riguarda la destinazione degli istituti di pena. “È importante - ha affermato l’assessore - che non si creino quelle che definirei università del crimine. Intendo dire che si potrebbe tentare di avviare una specializzazione delle strutture carcerarie. Personalmente, non ritengo giusto avvicinare un detenuto in attesa di giudizio con un altro che sta già scontando una pena, magari grave. Una distinzione per tipologie di reato sarebbe a mio avviso opportuna”. Rosalba Ortenzi, relatrice di maggioranza dell’atto, ha evidenziato i punti essenziali della relazione: “Nelle carceri marchigiane si è in linea con la situazione del resto del Paese. A livello nazionale il Piano carceri non è mai partito e non sono stati realizzati i carceri necessari. Nelle Marche, tranne il caso di Barcaglione che può essere definito carcere modello, i detenuti trascorrono la loro vita in una cella dove si fa tutto dal mangiare, al fumare, al dormire, all’andare al bagno. Casi di sovraffollamento e promiscuità per stato di salute o di criminalità ovunque. La carenza del personale penitenziario è notevole”. Dopo il dibattito l’Assemblea legislativa delle Marche ha approvato all’unanimità la risoluzione presentata dalla I Commissione. La Giunta proporrà allo Stato iniziative per superare la situazione di sovraffollamento degli istituti marchigiani, anche tramite l’utilizzo delle strutture esistenti come quella di Barcaglione, al fine di decongestionare le strutture di Fermo, Montacuto e Camerino. Le Marche si impegnano inoltre: a richiedere al competente ministero l’assegnazione del personale di polizia penitenziaria negli istituti a totale copertura del personale previsto; ad avviare un approfondimento con le istituzioni locali e governative al fine di risolvere le problematiche emergenti di Fermo e Camerino in vista della realizzazione del nuovo carcere di Camerino; a assicurare la piena attuazione delle disposizioni della legga regionale 28 con particolare riferimento alle iniziative culturali e sportive; a attivare azioni volte a assicurare l’inserimento lavorativo dei detenuti potenziando l’attività formativa all’interno degli istituti; a orientare gli ambiti territoriali sociali nella realizzazione di progetti finalizzati all’inserimento sociale nel territorio di competenza degli ex detenuti. Servono interventi urgenti Carenza di personale e sovraffollamento i problemi più evidenti. Ad Ascoli nel 2010, 24 casi di autolesionismo, 9 tentati omicidi e 2 casi di ferimento. Il problema carceri nelle Marche era emerso nel 2010 in seguito a una interrogazione di Rosalba Ortenzi sul caso dell’Istituto di Fermo. Il Consiglio regionale aveva deciso infatti di costituire una delegazione affidando a Italo Tanoni (Garante dei Diritti dei detenuti) il compito di organizzare un programma di visite in tutti gli istituti di pena regionali. “Una situazione che richiede interventi urgenti”, ha detto l’assessore regionale ai Servizi sociali, Luca Marconi, dopo la presentazione della Relazione della I Commissione assembleare permanente sulla situazione carceraria delle Marche, presentata questa mattina nel corso della seduta del Consiglio regionale. Nella Casa circondariale di Ascoli Piceno i sopralluoghi rilevano una significativa carenza di personale di polizia penitenziaria. In valori assoluti risulta una carenza di 52 unità su un organico di 182. Dai dati del Dipartimento di amministrazione penitenziaria risulta che nel 2010 si sono verificati 24 casi di autolesionismo, 9 casi di tentato omicidio, 2 casi di ferimenti, 27 casi di sciopero della fame, 8 casi di danneggiamento dei beni dell’amministrazione, 1 caso di rifiuto terapie. L’Istituto ascolano ospita solo uomini e il problema più evidente è quello del sovraffollamento. Nel maggio del 2011, ad esempio è stato segnalato che in una stanza di 29 metri quadri vi erano 9 detenuti. La delegazione, composta dai Consiglieri Gino Natali (Pdl), Rosalba Ortenzi (Pd), Maura Malaspina (Udc), Camela, Romagnoli, nonché dai rappresentanti dei gruppi Verdi e Idv, ha effettuato la visita in data 3 dicembre 2010. L’attività trattamentale più significativa è il lavoro interno. Nella struttura operano associazioni di volontariato che collaborano attivamente con l’amministrazione penitenziaria. Per quanto riguarda la Casa circondariale di Fossombrone, si rileva una carenza di personale di 22 unità su un organico di 127. Nel 2010 si sono verificati 1 caso di autolesionismo, 5 casi di ferimenti, 9 casi di sciopero della fame, 1 caso di danneggiamento, 5 casi di rifiuto di terapie. L’Istituto ospita solo uomini con pene medio lunghe e un consistente numero di detenuti condannati all’ergastolo. Nell’istituto non esiste un problema di sovraffollamento. Ogni detenuto condannato all’ergastolo ha una cella singola. Il lavoro svolto è soprattutto interno e vari sono i corsi scolastici seguiti. La delegazione dei Consiglieri era composta dal Presidente Solazzi, consigliere Giancalo D’Anna (Pdl), i rappresentanti dei gruppi dei Verdi e dell’Idv. La visita è stata svolta il 6 dicembre 2010. La Casa Circondariale di Pesaro registra una carenza di personale di polizia penitenziaria di 57 unità su un organico di 169. Nel corso del 2010, sono stati 74 i casi di autolesionismo, 12 i casi di suicidio, 84 i scioperi della fame, 14 i danni all’amministrazione, 6 i casi di rifiuto di terapie. L’Istituto ospita uomini e donne. Una struttura moderna che però soffre del problema di sovraffollamento. Il lavoro svolto dai Consiglieri Giancarlo D’Anna (Pdl), Gino Traversini, Luca Acacia Scarpetti (Idv). Per quanto riguarda la casa circondariale di Monteacuto carenza del personale è di 71 unità su un organico di 201. Nel corso del 2010, 58 sono stati i casi di autolesionismo, 3 i tentati omicidi, 52 i casi di ferimento, 79 i casi di sciopero della fame, 20 i casi di danneggiamento, 2 casi di rifiuto a terapie. L’istituto ospita solo uomini e il problema maggiore è il sovraffollamento. Il lavoro è esclusivamente interno. C’è solo un lavoratore esterno. La delegazione ha svolto la visita il 22 novembre 2010 e era composta dai Consiglieri Paola Giorgi (Idv), Moreno Pieroni (Psi), Luigi Natali (Pdl), Gianluca Busilacchi (Pd) e da rappresentanti dei Gruppi dei Verdi e dell’Idv. All’interno della struttura operano associazioni di volontariato. La casa di reclusione di Barcaglione non ha rilevato nel 2010 nessun elemento critico è per soli uomini ed è nuovissima. Ben attrezzata con un laboratorio di informatica e una biblioteca con libri di letteratura straniera. Vi sono due detenuti per cella. Non vi è quindi sovraffollamento e non operano al suo interno associazioni di volontariato. La visita è stata svolta il 26 novembre 2011 dal Consigliere Paola Giorgi e dai rappresentanti dei gruppi il primo dei Verdi e Idv. La casa di reclusione di Fermo è carente di 8 unità del personale di vigilanza su un organico di 49. Nel 2010 ci sono stati 2 casi di tentato suicidio, 17 casi di sciopero della fame, 2 casi di rifiuto di terapia, un caso di suicidio. L’istituto ospita solo uomini e la struttura delle celle è fatiscente. Il problema maggiore è la vetustà e il sovraffollamento. L’attività lavorativa è solamente interna e all’interno della casa non operano associazioni di volontariato. La visita è stata svolta il 24 novembre del 2010 dai Consiglieri Rosalba Ortenzi, Franca Romagnoli, Maura Malspina (Udc), Paola Giorgi (Idv), rappresentanti dei gruppi Verdi e Idv. In relazione alla Casa circondariale di Camerino mancano 6 unità su un organico di 36, Nel 2010 si sono registrati 9 casi di autolesionismo e 7 casi di sciopero della fame. L’Istituto ospita uomini e donne. Il problema maggiore è il sovraffollamento. Ci sono anche dodici persone in una stanza di 20 metri quadri. Il lavoro è svolto solo internamente. La delegazione ha svolto la visita il primo dicembre 2010 composta dai consiglieri Francesco Massi (Pdl), Erminio Marinelli (Pdl), Angelo Sciapichetti (Pd). Calabria: Napoli (Fli); preoccupa il sovraffollamento delle carceri Ansa, 19 luglio 2011 Angela Napoli, deputato di Fli, ha presentato un’interrogazione al Ministro della Giustizia sulla situazione “davvero preoccupante” del sovraffollamento degli istituti penitenziari in Calabria. “Sono 3.056 i detenuti, dei quali 3004 uomini e 52 donne - afferma Napoli - che si trovano nelle carceri calabresi, a fronte di 1.791 posti attualmente disponibili. L’istituto penitenziario con il più alto indice di affollamento (anche a livello nazionale) continua ad essere Lamezia Terme (186,7%), seguito da Castrovillari (119,1%) e Locri (112%). A fronte di tale situazione vanno segnalati un suicidio in cella (Castrovillari) e 12 tentati suicidi; 182 detenuti hanno attuato proteste soggettive e ci sono state anche 21 proteste collettive”. “Si sono, altresì, registrate sei aggressioni ai danni di poliziotti penitenziari - sostiene Napoli - nei giorni scorsi 5 agenti della Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti e feriti da un detenuto straniero nel carcere di Rossano; il 14 luglio u.s. è stata individuata e bloccata a Lamezia Terme una lettera minatoria con proiettili indirizzata al delegato regionale Ugl della Polizia Penitenziaria, Carlo D’Angelo, attualmente in servizio nel carcere di Cosenza”. Al ministro la parlamentare di Fli chiede “se non ritenga necessario ed urgente attuare un piano straordinario per le carceri, con l’assunzione di un adeguato numero di agenti di Polizia penitenziaria” e “se non pensa di dover revisionare il regolamento del Corpo di Polizia Penitenziaria e delle norme ordinamentali che regolano disciplina e mobilità nazionale”. Nell’interrogazione Napoli chiede ancora “se non ritenga, altresì, di dover procedere ad un adeguamento strutturale e strumentale di risorse e materiali tecnologici per ottimizzare l’espletamento di traduzioni e vigilanza dei penitenziari” e “quali gli effettivi interventi per garantire il completamento delle nuove costruzioni di edifici penitenziari in Calabria e il recupero per le strutture carcerarie in Calabria, costruite per tali scopi, ma di fatto abbandonate”. Abruzzo: firmata intesa tra Dap e Regione; nuovo padiglione detentivo nel carcere di Sulmona Ansa, 19 luglio 2011 Ionta: grazie al Piano carceri 200 nuovi posti detentivi per risolvere l’emergenza dovuta al sovraffollamento delle carceri. Roma, 19 luglio 2011: Franco Ionta, Commissario delegato per il Piano carceri, e Antonio Morgante, Coordinatore della Struttura per l’Attuazione del Programma di Governo della Regione Abruzzo, su delega del Presidente Gianni Chiodi, hanno siglato oggi l’Intesa istituzionale per la localizzazione delle aree destinate alla realizzazione delle nuove infrastrutture carcerarie. L’Intesa, firmata nella sede del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria a Roma, prevede la realizzazione di un nuovo padiglione detentivo a Sulmona. La struttura, che amplierà l’istituto penitenziario di Sulmona di via Lamaccio, avrà un costo di circa 11 milioni di euro e ospiterà 200 detenuti. Il padiglione sarà edificato in tempi rapidi, secondo le disposizioni urgenti per la realizzazione di istituti penitenziari (legge 26 febbraio 2010, n. 26) stabilite per il Piano carceri. Dal punto di vista architettonico, obiettivo del Piano carceri è realizzare istituti tecnicamente e funzionalmente adatti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, ampliando gli spazi e favorendo le attività riabilitative, e a garantire al tempo stesso un elevato livello di sicurezza, ottimizzando il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. Negli 8 istituti penitenziari abruzzesi sono ospitati 1963 detenuti (dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria aggiornati al 30 giugno). “Il sovraffollamento delle carceri - ha ricordato il Commissario delegato Franco Ionta - determina condizioni di vita dei detenuti e di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria che necessitano una soluzione urgente. La realizzazione di nuove strutture detentive dà una risposta immediata all’emergenza in atto, ma l’edilizia carceraria è solo un tassello, pur necessario, dell’azione del Governo che, anche attraverso misure deflattive alla carcerazione e l’assunzione di agenti di polizia penitenziaria, mira alla stabilizzazione del sistema penitenziario. In questa operazione sono fondamentali il ruolo e l’azione degli enti locali: l’efficace collaborazione instaurata con la Regione Abruzzo per raggiungere questa Intesa è quindi la migliore premessa per il lavoro che seguirà nelle prossime settimane. Come Commissario delegato - ha concluso Franco Ionta - vigilerò affinché tutto, a partire dalla stesura del bando di gara concorrenziale per la realizzazione delle opere, rispetti i tempi che ci siamo prefissati per risolvere l’emergenza”. Antonio Morgante, Coordinatore della Struttura per l’Attuazione del Programma di Governo della Regione Abruzzo, ha sottolineato l’importanza strategica del progetto per l’intero Abruzzo. “Anche l’Abruzzo partecipa allo sforzo del governo per risolvere il problema delle carceri - ha commentato Morgante. La proposta del Commissario Ionta e del Ministro Alfano è stata da subito condivisa dal Presidente della Regione Gianni Chiodi, in accordo con il Sindaco di Sulmona. É una occasione importante anche per il carcere di Sulmona che potrà recuperare ulteriore funzionalità”. Il Piano carceri, elaborato dal Governo per risolvere l’emergenza dovuta al sovraffollamento, prevede la realizzazione in tempi rapidi di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni che garantiranno 9.150 nuovi posti detentivi, per un costo complessivo stimato di 675 milioni di euro. Il Piano stabilisce altre due linee d’intervento per stabilizzare il sistema penitenziario: misure giuridiche deflattive e l’implementazione dell’organico di Polizia Penitenziaria. Sulmona: giallo sulla morte di un detenuto di 29 anni, si sospetta un caso di leucemia di Patrizio Iavarone Il Messaggero, 19 luglio 2011 Un detenuto del reparto internati del carcere di via Lamaccio di Sulmona, Mario Fiore ventinove anni di Napoli, è morto venerdì notte all’ospedale di Teramo, dove i medici lo avevano trasferito in prognosi riservata la sera stessa. Dubbi i motivi del decesso, per chiarire i quali la procura della Repubblica di Sulmona ha aperto un’inchiesta, disponendo per questa mattina l’esame autoptico sul corpo di Mario Fiore, esame che verrà eseguito dall’anato-mopatologo Ildo Polidoro. Da tre giorni, intanto, i detenuti di via Lamaccio hanno avviato una protesta, “battendo”, come si dice in gergo, tre volte al giorno sulle sbarre del penitenziario e reclamando giustizia e una migliore assistenza sanitaria. Appena qualche giorno fa, tra l’altro, oltre cento detenuti hanno sottoscritto e inviato al presidente del tribunale di sorveglianza Laura Longo, una lunga lettera-appello, nella quale si denuncia lo stato di abbandono dei detenuti proprio per quanto concerne l’assistenza sanitaria. Il malcontento che covava sotto la cenere nei giorni scorsi è esploso all’indomani dell’ennesimo episodio di morte sospettaincarcere.Ma-rio Fiore si era presentato venerdì sera in infermeria accusando un grave mal di testa e lamentando di non essere più in grado di vedere. Non è ancora chiaro se il suo malessere dipendesse da una presunta caduta dal letto (questa la prima versione che circolava all’interno della struttura penitenziaria) o dall’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute: l’altra ipotesi al vaglio dei magistrati e che dovrà essere accertata oggi dal medico legale, è infatti che il giovane sia stato colpito da una forma di leucemia fulminante. La rabbia dei detenuti, specie del reparto internati, è chiara nel documento spedito al tribunale di sorveglianza e nel quale si denuncia l’assenza di cure tempestive e adeguate, anche per la scarsa presenza del dirigente medico. “Probabilmente non è possibile fare il medico generico, il sindaco di una città come Sulmona e il dirigente medico dell’istituto penitenziario - scrivono i detenuti - Fabio Federico (dirigente sanitario in via Lamaccio, ndr) deve capire che essere al vertice di un servizio così delicato non può richiedere pochi minuti al giorno d’impegno”. “Il passaggio di consegne alla Asl - ribatte Federico - ha peggiorato le cose: i detenuti non mi vedono perché ho 500 persone da controllare con una disponibilità di soli 7 medici precari che coprono turni di 30 ore al giorno, visto che uno è doppio. Mi sembra evidente che se la prendano con chi fa scrupolose relazioni che non permettono loro permessi facili - continua Federico - si tratta di pazienti difficili, che si rifiutano di prendere farmaci generici e sono pronti a denunciarmi perché non prescrivo quelli di marca”. “La situazione sanitaria all’interno del carcere di via Lamaccio - rincara la dose Fabiana Gubitoso, della Camera Penale dell’Aquila- è come una nave alla deriva. Visite specialistiche restano in attesa mesi e quando arrivano spesso è tardi. Stiamo parlando della più grande casa lavoro d’Italia - ricorda Fabiana Gubitoso - che per tipologia e numero di pazienti-detenuti richiede un impegno straordinario”. Anche ieri, per il terzo giorno consecutivo, così, da via Lamaccio si è alzato un grido di disagio: una “voce” metallica contro le sbarre di un carcere indifferente. Sulmona: Camera penale e Osservatorio carcere Ucpi; esposto alla Procura e sciopero della fame www.rete5.tv, 19 luglio 2011 Un esposto sulla “degenerata situazione del penitenziario sulmonese”. Lo hanno presentato ieri la Camera penale di Sulmona e l’Osservatorio carcere dell’Unione camere penali italiane, di cui l’avvocato Cinzia Simonetti è responsabile di zona. L’esposto depositato presso la locale Procura della Repubblica e presso il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, è teso, tra l’altro, “a chiedere l’accertamento del rispetto delle condizioni igienico sanitarie ed in particolare del reparto sanitario oltre che dei tempi di evasione delle istanze avanzate da detenuti ed internati con problemi di salute”. Lo rendono noto il presidente della Camera penale Elisabetta Bianchi e il responsabile dell’Osservatorio Cinzia Simonetti. “A tal proposito - spiegano i due avvocati - è stata coinvolta sul tema l’onorevole Paola Pelino, da sempre sensibile ai problemi del presidio giudiziario e del penitenziario sulmonese, alla quale l’avvocato Simonetti ha provveduto a consegnare una richiesta di istituzione di un Ufficio di sorveglianza a Sulmona corredata da ampia relazione sui presupposti ed i benefici che i detenuti ne ricaverebbero, di cui la parlamentare ha assicurato di seguire l’iter. Certo è che qualora l’operazione andasse a buon fine a trarne vantaggio non sarebbe solo il circuito penitenziario ma di riflesso ne beneficerebbe lo stesso Tribunale di Sulmona, ribadendo quanto sia prezioso come presidio sul nostro territorio. La Camera Penale di Sulmona inoltre - continuano - è in continuo fermento in ordine al tema penitenziario ed è prossima la costituzione di una delegazione dell’Associazione Onlus “il Carcere Possibile” che si occuperà della tutela e del costante monitoraggio dei diritti di chi ha rotto il patto con la società. Infatti le persone private della libertà secondo la Costituzione devono essere rieducate affinché la società possa di nuovo accoglierle tra i consociati all’esito dell’espiazione della pena che deve avvenire attraverso un reale, valido ed umano percorso di riabilitazione. Solo operando in questa ottica non solo i detenuti ma l’intera società potrà senza ipocrisie trarre beneficio dal recupero sincero dei soggetti devianti, laddove un carcere aspro e disumano non sortirà altro che ulteriore acredine in coloro che sono entrati negli istituti di pena italiani con un bagaglio di problemi personali, sociali e culturali, uscendone con un fardello ancor più gravoso che li obblighi a viaggiare a senso unico verso la recidiva. Non si può affrontare il problema della certezza della pena solo ponendosi dalla parte di una società in cerca di tutela e sicurezza. Anche per i detenuti - proseguono i due avvocati - esiste e va urgentemente accertato il problema della “salvaguardia di ciascuno di essi” nel corso della esecuzione della pena per cui ci associamo alla staffetta dello sciopero della fame partecipando alla protesta pacifica per la concessione dell’amnistia portata avanti con determinazione da Marco Pannella, da tanti detenuti, dai loro familiari e da numerosi avvocati dell’Unione delle Camere Penali Italiane sensibili a questi temi”. Parma: Giuseppe Saladino anni morì in cella dopo aver sniffato eroina, il caso è archiviato La Gazzetta di Parma, 19 luglio 2011 Una dose fatale. Un’ultima sniffata tra le quattro mura del carcere. Giuseppe Saladino, 32 anni, morì su quella branda poco dopo aver messo piede in via Burla. Fu il supplemento di consulenza medico-legale, richiesto dalla procura, a chiarire che la morte era dovuta a un’assunzione di eroina quando il ragazzo era già in cella. Droga che molto probabilmente Saladino si portò in carcere quel 6 ottobre 2009. Oppure, anche se l’ipotesi è parsa fin dall’inizio agli inquirenti meno fondata, una dose che qualcuno gli passò in carcere. Ma non ci sarebbero elementi per ipotizzare eventuali negligenze da parte del personale in servizio in via Burla: nelle scorse settimane, infatti, il gip Alessandro Conti ha chiuso il caso, respingendo l’opposizione dei difensori della famiglia Saladino. I legali avevano chiesto un supplemento d’indagine, schierandosi contro la richiesta della procura di archiviare il fascicolo. “La consulenza medico-legale della procura ha accertato che il ragazzo aveva assunto la droga in carcere: è chiaro, dunque - sottolinea Paolo Paglia, difensore della famiglia Saladino insieme alla collega Letizia Tonoletti - che non era stato controllato bene al suo ingresso, oppure aveva avuto modo di trovare l’eroina quando era già all’interno della struttura. Dal nostro punto di vista potevano profilarsi delle negligenze da parte di chi avrebbe dovuto vigilare, per questo avevamo chiesto di non archiviare il caso continuando a indagare”. Ma il gip ha deciso di far calare il sipario sulla vicenda. Nessuno sviluppo, dunque, sul piano penale. Tuttavia, la difesa potrebbe decidere di percorrere altre strade. “A questo punto, valuteremo se intraprendere un’azione civile - sottolinea Paglia. È una questione che discuteremo nei prossimi giorni con i familiari del ragazzo”. Quel 6 ottobre 2009 Saladino, che avrebbe dovuto rimanere in casa perché agli arresti domiciliari per furto, uscì insieme alla fidanzata. Poco meno di un’ora, ma è probabile che i due abbiano avuto tutto il tempo per acquistare la droga. Una piccola parentesi fuori casa, ma tanto era bastato a Saladino per essere rispedito in carcere. Verso le otto di sera, infatti, il ragazzo fu arrestato per evasione dai domiciliari. Durante la notte, secondo quanto aveva riferito il suo compagno di cella, Saladino non aveva avuto problemi. Solo alle 6,45 il detenuto si era accorto che il ragazzo non respirava e aveva dato l’allarme. Sul corpo di Saladino non furono riscontrati segni di violenza. L’aveva ucciso l’eroina. In cella. Dietro le sbarre di un carcere malato di sovraffollamento e poco personale. Bologna: Maisto (Tribunale sorveglianza); calano le offerte di lavoro, così come gli incentivi Redattore Sociale, 19 luglio 2011 La causa delle scarse opportunità lavorative per i detenuti? Per il presidente del Tribunale di sorveglianza, Francesco Maisto, va cercate nella diminuzione delle offerte di disponibilità degli enti locali e delle ditte private e nel calo degli incentivi. Alla Dozza sono pochissimi i detenuti condannati in via definitiva che hanno ottenuto un permesso di lavoro esterno (12). Le ragioni? Secondo il presidente del Tribunale di sorveglianza, Francesco Maisto, vanno cercate nel calo di offerta “sia da parte degli enti locali che di ditte private - spiega - ma anche nelle diminuzione degli incentivi ad assumere detenuti previsti dalla Legge Smuraglia”. Secondo Maisto però non c’è nessuna relazione tra l’ammissione al lavoro esterno in base all’articolo 21 della legge penitenziaria e il sovraffollamento della Dozza che “invece dipende da altre ragioni”. Il presidente del Tribunale di sorveglianza ricorda anche la distinzione tra “lavoro all’esterno” e “semilibertà”. Non si tratta della stessa condizione perché, chiarisce, “la semilibertà è una misura alternativa alla detenzione concedibile dal Tribunale di sorveglianza in presenza di varie condizioni e, quindi, non solo di un lavoro idoneo, mentre l’ammissione al lavoro all’esterno deve essere proposta dalla direzione del carcere e approvata dal magistrato di sorveglianza in presenza di diversi requisiti, ma per tutti valgono i reati ostativi e gli scaglioni indicati dall’articolo 4bis della legge penitenziaria”. Maisto ricorda, inoltre, che il lavoro all’esterno è previsto solo per i condannati in via definitiva che, conclude, “alla Dozza sono pochi”. Modena: l’Assessore Maletti; a fine maggio al Sant’Anna 430 detenuti stipati in 220 posti www.sassuolo2000.it, 19 luglio 2011 “Secondo i dati forniti dalla direzione, la Casa circondariale di Sant’Anna ospitava, a fine maggio, 430 detenuti di cui 28 donne. Il Comune ha più volte segnalato il sovraffollamento alle autorità competenti e sollecitato la nomina di un garante regionale, per tutelare il personale e i detenuti”. Lo ha dichiarato l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Modena Francesca Maletti, rispondendo in Consiglio all’interrogazione di Maurizio Dori (Pd) sulla situazione del carcere Sant’Anna di Modena. “L’indifferenza delle istituzioni mette a repentaglio l’incolumità degli operatori di polizia”, ha detto il consigliere Dori nel presentare l’interrogazione, ricordando che la ricettività dell’istituto è di 220 detenuti, estensibile fino a 409, con 168 agenti di Polizia penitenziaria. “L’organico previsto - ha proseguito Dori - è pari a 221, quindi c’è una carenza di 54 operatori, che comporta il ricorso a straordinari e la soppressione dei riposi. Inoltre - ha aggiunto il consigliere - il nucleo ‘traduzioni e piantonamentò deve soddisfare le esigenze dei tre istituti della provincia, con circa 500 tra detenuti e internati”. Il consigliere ha ricordato il “mancato funzionamento della sala regia e dei sistemi di videosorveglianza nel carcere” e ha chiesto all’assessore lumi sulle eventuali risposte ricevute dal Ministero della Giustizia, valutando eventualmente “anche una raccolta di fondi tra i cittadini, per sanare anche in parte una situazione non accettabile”. L’assessore ha proseguito affermando: “Vincoli nazionali di tipo normativo, finanziario e politico provocano questa situazione e grazie al coordinamento tra soggetti locali, dalle istituzioni al volontariato, cerchiamo di migliorarla”. Ha poi presentato alcuni dati: nel 2011 lo sportello per detenuti stranieri ha svolto 98 colloqui, mentre nel 2010 sono stati presi 1300 contatti per distribuire indumenti, 300 detenuti hanno partecipato a progetti di animazione e formazione e sono stati attivati 12 tirocini. “Dall’inizio dell’anno - ha aggiunto Maletti - ci sono stati 102 trasferimenti in uscita ma numerosi nuovi arrivi, quindi il numero degli ospiti è aumentato”. L’assessore ha chiarito poi che “c’è ancora carenza di organico, ma per il periodo estivo è stato previsto l’invio di personale in missione. Attualmente gli operatori espletano 30 ore di straordinario mensile con un solo riposo settimanale. Stando però ai dati forniti dalla direzione - ha aggiunto Maletti - in nessun caso è messa in pericolo la sicurezza dell’istituto o della scorta. Ora sono in corso lavori per fornire le celle di nuove docce, riteniamo invece discutibile la scelta di investire, anziché nell’adeguamento della struttura, nell’ampliamento. Quello che almeno chiediamo è che nel nuovo padiglione da 150 posti vengano trasferiti gli ospiti attuali e non sia aumentato il numero. Non ci sono state da parte del Ministero nuove assegnazioni di personale: dei 41 agenti promessi ne sono arrivati solo 31. Non ritengo infine opportuna - ha concluso l’assessore - una raccolta fondi tra i cittadini: farebbe ricadere su di loro il peso di una scelta politica che non è locale”. Nel dibattito, Francesco Rocco (Pd) ha ricordato “le proposte del nostro partito, cioè: diminuire il sovraffollamento, incrementare il personale, proporre più misure alternative, più lavori di pubblica utilità, più formazione professionale. Regione ed enti locali - ha aggiunto Rocco - fanno la loro parte, ma il governo no”. Sergio Celloni, Mpa, si è detto “dubbioso. Sento parlare - ha detto - di solidarietà e di docce, ma se queste persone fossero oneste sarebbero sotto il Portico del Collegio. Credo dovrebbero lavorare per ripagare il costo del loro soggiorno. Non so quali condizioni ci siano a Modena, ma non credo sia Sing Sing”. Stefano Barberini, Lega Nord, ha dichiarato: “Il carcere di Sant’Anna non è sovraffollato per errore: non credo si debba pensare, a prescindere, di reintegrare le persone nella società. Spesso - ha detto - tornano a fare quello che hanno fatto prima. Bisogna pensare prima a quelli che, pur facendo fatica ad arrivare alla fine del mese, rispettano le regole”. Il consigliere Dori si è detto soddisfatto della risposta, ma ha precisato: “L’arrivo a Modena di nuovi agenti risale a molto tempo fa, l’organico è immutato da più di un anno. Capisco le affermazioni dei colleghi, ma è la nostra Costituzione a parlare della necessità di recupero dei detenuti. Dopo l’indulto, soltanto il 20% è tornato in carcere e il restante 80% si è integrato perfettamente nella società. Inoltre - ha concluso - sono preoccupato per gli agenti: senza videosorveglianza non c’è sicurezza”. L’assessore Maletti ha replicato: “Bisogna migliorare le condizioni di tutti gli operatori e tentare di ridurre la recidività. Nel nostro carcere ci sono molti detenuti che non sono originari della provincia di Modena: per pene superiori a cinque anni prendono la residenza qui, ma non hanno reti familiari e finisce che il Comune deve farsene carico. Inoltre, molti sono in attesa di giudizio e a volte proprio in carcere apprendono come commettere nuovi e più gravi reati. A causa di trasferimenti mancanti e organici sottostimati - ha concluso Maletti - il Comune sta intervenendo, in materia di vivibilità e di sicurezza, al posto di altri enti”. Venezia: sit-in dei Radicali davanti al carcere contro il sovraffollamento Il Gazzettino, 19 luglio 2011 Manifestazioni in tutta Italia per riproporre all’attenzione pubblica il tema del sovraffollamento delle carceri. Nei giorni scorsi, davanti al carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia, i Radicali hanno effettuato un sit-in a sostegno della lotta a favore di detenuti, agenti di custodia, direttori e operatori delle carceri. A livello nazionale, infatti, su 45mila posti nelle strutture ci sono ben 67mila detenuti. Una situazione a dir poco esplosiva che ha dato vita allo sciopero della fame di Marco Pannella al quale si sono poi aggiunti, a livello nazionale, anche 15mila persone tra detenuti e tra i loro parenti. La scelta della data, il 14 luglio, non è casuale visto che coincide con la presa della Bastiglia. “A queste iniziative - ha detto ieri Franco Fois, dall’associazione Veneto Radicale - hanno aderito anche avvocati, guardie giurate e tante persone che chiedono che il mondo politico prenda in esame il drammatico affollamento delle carceri. Con queste temperature estive la situazione si fa sempre più grave”. Alla presenza dei radicali Maria Grazia Lucchiari, Bruno Martellone e Raffaele Ferraro, sono stati letti alcuni brani di lettere di detenuti ed è stato fatto un volantinaggio. Napoli: il Sindaco; raccolta differenziata dei rifiuti nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano Adnkronos, 19 luglio 2011 Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha fatto visita oggi ai detenuti del carcere di Poggioreale, annunciando “un protocollo tra Comune, Direzione delle due carceri di Poggioreale e Secondigliano, e Polizia penitenziaria per fare la raccolta differenziata”. A Secondigliano, ha sottolineato de Magistris, “stiamo anche pensando a un piccolo impianto di compostaggio”. Il sindaco di Napoli ha poi aggiunto che “da settembre lavoreremo anche per un protocollo d’intesa più ampio per utilizzare i detenuti che possono usufruire di premialità e di affidamento ai servizi sociali”. Preoccupazione è stata espressa, da parte di de Magistris, riguardo il sovraffollamento del carcere di Poggioreale, che accoglie 2715 detenuti nonostante la capienza ottimale sarebbe di 1400 unità, e il limite definito “tollerabile” sia di 1.743 detenuti: “La situazione purtroppo si è aggravata ancora di più”, ha concluso. Ascoli: agenti e detenuti del carcere di Marino del Tronto lavorano come giardinieri volontari Corriere Adriatico, 19 luglio 2011 Quello che si vedeva tra le sbarre, oltre i vetri delle finestre del supercarcere, assomigliava più a una foresta tropicale che a un’area verde abbandonata a sé stessa. Intorno alle mura della casa circondariale e negli angoli interni non c’era solo un po’ d’erba cresciuta troppo ma arbusti che negli anni erano diventati alberi e sterpaglie che rendevano invivibili sia le zone esterne che i cortili dell’istituto di pena. Da giovedì tutto questo è solo un ricordo perché una squadra di volontari formata da personale della polizia penitenziaria e detenuti ha sfidato i 43 gradi del piazzale per ripulire tutta l’area. L’iniziativa è partita in modo del tutto volontario dall’assistente Claudio Di Bernardo e dall’agente scelto Angelo Costantini. Liberi dal servizio e con mezzi propri, invece di andare a cercare un po’ di refrigerio al mare, hanno eseguito una vera e propria deforestazione in tutte le zone verdi del supercarcere. Al loro intervento è seguito quello dell’assistente capo Nazzareno Candidori e di quattro detenuti volontari che hanno eliminato le erbacce rimaste dopo l’abbattimento degli alberi più grandi, rendendo l’ambiente decisamente più vivibile. “Tutto l’istituto è grato a questa squadra improvvisata di volontari - sottolinea il comandante della polizia penitenziaria, Pio Mancini - e colgo l’occasione per ringraziare anche Alfredo De Marco, del Cral della Carisap, che insieme ai suoi colleghi ha regalato al carcere il trattorino utilizzato per tagliare l’erba mettendoci a disposizione anche un congruo quantitativo di carburante per poterlo utilizzare”. San Cataldo (Cl): Ugl; più di 100 detenuti usano solo 4 docce, serve l’impianto in ogni cella La Sicilia, 19 luglio 2011 Docce in cella per tutti i detenuti del carcere di San Cataldo, costretti, attualmente, a lavarsi a turno in un unico locale. Un diritto, piuttosto che un’opportunità, che il sindacato di Polizia penitenziaria dell’Ugl ha trasformato in un progetto da sostenere con una spesa irrisoria per il bilancio dell’Amministrazione regionale penitenziaria. L’iniziativa è partita dal vicesegretario regionale dell’Ugl Penitenziaria, il nisseno Danilo Giambra, e dal segretario provinciale del sindacato Angelo Gattuso, inoltrata dal segretario regionale Francesco D’Antoni ai vertici del sistema penitenziario e al garante dei detenuti. Per migliorare le condizioni dei 108 detenuti nella casa circondariale di San Cataldo dislocati su un unico livello in celle dove convivono fino a 16-18 reclusi, l’Ugl spiega che “queste persone fruiscono della doccia tre volte la settimana a giorni alterni, presso un apposito locale ubicato in una delle due sezioni che vede ad oggi soltanto quattro posti doccia attivi e funzionanti, mentre nell’altra sezione detentiva l’apposito locale docce è inattivo da un periodo di tempo ormai imprecisato”. Un disagio, che per Giambra e Gattuso, stride con la normativa della gestione del popolo carcerario. Da qui il progetto proposto al provveditore regionale Orazio Faramo per dotare le celle di una delle due sezioni, di piatti doccia e acqua calda e fredda. Lavori ,che svolgerà il servizio di Manutenzione ordinaria all’interno del carcere sancataldese (composto da agenti di custodia e detenuti-operai), che consistono nella sostituzione della condotta e l’installazione di tubi “che porterebbe il servizio nelle varie stanze - dicono i sindacalisti - ma lascerebbe agli operatori il compito di erogare o meno l’acqua mediante apposita valvola posta nelle sezioni detentive”. L’Ugl ha predisposto un preventivo di spesa per l’acquisto del materiale idraulico e che ammonta a 2.249 euro. “Il rapporto costi-benefici - aggiungono Giambra e Gattuso nella lettera a Faramo - è favorevole, e darebbe una boccata d’ossigeno alla popolazione detenuta e alla polizia penitenziaria”. Torino: incontro sul Lavoro di pubblica utilità tra Tribunale e Organizzazioni di volontariato Vita, 19 luglio 2011 Si tiene a Torino martedì 26 luglio alle ore 17 presso la sede di Idea Solidale di corso Novara 64 un interessante incontro informativo sul lavoro di pubblica utilità. Il Lavoro di pubblica utilità è stato introdotto dall’art. 73 comma 5 bis D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato a norma dell’art. 54, comma 6, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n° 274. La prestazione di lavoro, ai sensi del Decreto Ministeriale 26 marzo 2001 - effettuata sulla base di convenzioni da stipulare con il Presidente del Tribunale competente per territorio - è svolta a favore di persone affette da hiv, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari; nel settore della protezione civile, nella tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato. Con le modifiche agli art. 186 comma 9 bis e 187 comma 8 bis del Codice della Strada (Guida in stato di ebbrezza), introdotte con la Legge 29.07.2010 n° 120, sono sensibilmente aumentate le richieste di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità. La volontà di contribuire all’attuazione della normativa e la necessità di soddisfare l’esigenza degli eventuali beneficiari di mettersi in contatto con organizzazioni di volontariato disposte all’accoglienza per lo svolgimento dell’attività “sostitutiva” ha spinto il nostro centro ad approfondire maggiormente l’argomento con un primo incontro esplorativo svoltasi l’8 luglio scorso. Verificato l’interesse, sia da parte delle organizzazioni di volontariato sia del Tribunale di Torino ad approfondire ulteriormente le questioni aperte, si è perciò concordato di fissare un nuovo incontro fra le organizzazioni che hanno un qualche interesse rispetto all’argomento e i funzionari del Tribunale - Cancelliere della Segreteria della Presidenza del Tribunale di Torino, Silvio Proglio e il Referente per i Lavori di Pubblica Utilità presso la Procura della Repubblica, Alessandra Albri - che potranno fornire tutte le informazioni e i ragguagli operativi del caso. Per motivi organizzativi le Odv interessate devono annunciare telefonicamente la propria partecipazione (011.0702110) entro il 25 luglio Immigrazione: Touadi (Pd); nel Cie Milano marocchino tenta suicidio… prima vittima di Maroni Agenparl, 19 luglio 2011 “A pochi giorni dall’approvazione dell’infame decreto Maroni che allunga da sei a diciotto mesi il tempo di detenzione nei Cie, si è verificata ieri a Milano la prima drammatica vicenda di disobbedienza civile attuata da un cittadino marocchino che ha provato a togliersi la vita” - è quanto dichiara Jean-Leonard Touadi, deputato del Pd e fra i promotori della campagna “LasciateCIEntrare”. “La maggioranza e il governo stanno privando della libertà personale migliaia di cittadini stranieri che hanno commesso come unico delitto quello di essere poveri e di cercare migliori condizioni di vita. Contravvenendo allo spirito e alla lettera della direttiva rimpatri del 2008 dell’Ue, che richiede misure graduali e proporzionate nell’attuazione dei rimpatri, Maroni ha costellato il Paese di Guantanamo nostrane, senza tutele né garanzie. Tutta l’Italia deve mobilitarsi - conclude Touadi - contro l’immorale legge che istituisce il “carcere per gli innocenti” unendosi alla giornata di disobbedienza civile del 25 luglio promossa da parlamentari, giornalisti ed attivisti dei diritti umani”. Francia: 65.000 detenuti in 56.000 posti; Governo condannato per le condizioni delle carceri Asca, 19 luglio 2011 Lo Stato francese è stato condannato dal Tribunale amministrativo di Versailles al pagamento di un indennizzo per le cattive condizioni di detenzione in due dei suoi stabilimenti penitenziari: quello di Nanterre e quello di Bois d’Arcy. Secondo quanto riporta il quotidiano Le Monde, è la terza condanna in meno di un mese, sempre per le pessime condizioni carcerarie, che un giudice pronuncia a carico dello Stato francese. Per il penitenziario di Nanterre, i giudici amministrativi hanno rilevato che, addirittura dall’apertura dello stabilimento, gli impianti di ventilazione risultano completamente fuori uso. Quanto a quello di Bois d’Arcy, sono state rinvenute gravi carenze negli sciacquoni delle toilette, mancanza di acqua calda nelle celle ed anche difformità nella misura delle celle rispetto ai progetti di costruzione. In Francia, dove è accesissimo il dibattito attorno alla chiusura degli istituti detentivi più vecchi ed alla costruzione di nuove grandi prigioni, questa clamorosa serie di condanne sta suscitando grosse polemiche anche perché alcuni degli stabilimenti coinvolti sono di costruzione piuttosto recente. I detenuti nelle carceri francesi sono poco meno di 65.000 a fronte di una capienza di 56.000, col 75% di condannati ed il 25% di persone in custodia cautelare. Le condizioni delle carceri francesi richiamano inevitabilmente alla mente quelle delle carceri italiane. In Italia, i detenuti sono attualmente circa 67.000 a fronte di una capienza attorno ai 45.000 posti, ed addirittura il 42% di loro è costituito da imputati in custodia cautelare. Russia: detenuti festeggiano travestiti da gladiatori; foto finiscono sul web e scatenano polemica Ansa, 19 luglio 2011 Ha festeggiato i suoi 26 anni in cella con altri 12 detenuti travestiti da improbabili gladiatori e una tavola imbandita con caviale, tequila, verdure e frutta fresche. Peccato che le immagini di questo banchetto proibito siano finite sulla rete, sollevando un vespaio di polemiche e costringendo le autorità ad aprire un’inchiesta per accertare le complicità all’interno del penitenziario di Serpukhov, il più grande centro di custodia cautelare preventiva nella regione di Mosca. Le foto sono finite prima nella rete sociale e poi sul sito di www.lifenews.ru, dove il festeggiato, Anton Kuznetsov, un uomo corpulento condannato per rapina, è immortalato anche mentre riceve attraverso lo sportellino della cella un sacchettino di Mac Donald’s con la sua ordinazione preferita. Le foto documentano anche la presenza di coltelli sul tavolo, vietati dal regolamento penitenziario. Il detenuto è stato già spostato in una colonia a regime severo, ma ora si attendono conseguenze per i responsabili del carcere di Serpukhov.