Giustizia: Uil-Pa Penitenziari; 6 suicidi al mese e ogni giorno in 3 tentano di togliersi la vita Redattore Sociale, 14 luglio 2011 È il bilancio dei primi sei mesi del 2011 della Uil. Il dramma dell’affollamento: ci sono oltre 23mila detenuti in più della capienza prevista. Trentaquattro suicidi, 532 tentati suicidi, 2.583 atti di autolesionismo e 3.392 proteste. È il bilancio dei primi sei mesi del 2011 nelle carceri italiane dove, alla mezzanotte di ieri, erano rinchiusi in tutto 66.929 detenuti, di cui 64.081 uomini e 2.848 donne, a fronte di una disponibilità reale di posti detentivi pari a 43.879. Un surplus di 23.050 detenuti in più rispetto alla massima capienza, che determina un indice medio nazionale di affollamento pari al 52,5%. A tracciare il quadro è la Uil-Pa Penitenziari che ricorda come, in dieci regioni italiane, il tasso di affollamento vari dal 15% al 50%. In nove dal 51% all’80%. L’unica regione italiana che non presenta una situazione di sovraffollamento è il Trentino Alto Adige. Capofila, per sovraffollamento, la Puglia (79,4 %), seguita da Marche (71,8%), Calabria (70,6%), Emilia Romagna (69,7%) e Veneto (68,0%). L’istituto con il più alto tasso di affollamento si conferma quello di Lamezia Terme (186,7%), seguito da Busto Arsizio (152,17%), Brescia Canton Mombello (146,6%), Varese (145,3%) e Mistretta (143,8%). Il 50% (102) delle strutture penitenziaria presenta un affollamento dal 50% all’80%; il 35% (72) un affollamento dal 2% al 49%. Il segretario generale del sindacato, Eugenio Sarno, spiega che dal 1 gennaio al 30 giugno del 2011 si sono verificati 34 suicidi in cella. Nello stesso arco temporale in 135 istituti sono stati tentati 532 suicidi, dei quali oltre duecento sventati in extremis dal personale di polizia penitenziaria. Il maggior numero di tentati suicidi si è verificato a Cagliari (28). Seguono Firenze Sollicciano (25), Teramo (19), Roma Rebibbia, San Gimignano e Lecce con 18 tentati suicidi. In 160 istituti si sono verificati 2583 episodi di autolesionismo grave. Il triste primato spetta a Bologna (112), a seguire Firenze Sollicciano (106), Lecce (93), Genova Marassi (77) e Teramo (66). Ad aggravare il quadro complessivo concorrono i 153 episodi di aggressioni in danno di poliziotti penitenziari, che contano 211 persone ferite. Sempre dal 1 gennaio al 30 giugno 2011 in 175 istituti si sono verificate 3392 proteste individuali (scioperi della fame, rifiuto del vitto, rifiuto della terapia). Proteste collettive (battiture, rifiuti del carrello) invece in 126 istituti. Giustizia: ora i giudici si domandano: “c’è reato chiudendo in cella le persone”? di Riccardo Arena La Repubblica, 14 luglio 2011 Piergiorgio Morosini, Gip a Palermo e segretario di Magistratura Democratica ha affrontato la delicata questione delle responsabilità oggettive del giudice che pronuncia una sentenza di condanna e costringe una persona ad entrare in un penitenziario dove le condizioni di vita sono, di per sé, un reato. Parole pronunciate durante la conferenza stampa di presentazione di una lettera inviata a tutti i senatori e i deputati “Noi magistrati, se non si pongono rimedi a questa situazione nelle carceri di oggi, dobbiamo iniziare a pensare anche a forme istituzionali di obiezione di coscienza”. E ancora: “Senza interventi da parte della politica, alla coscienza del giudice penale non resta che una sola strada: quella di astenersi dal mandare in carcere le persone”. Parole importanti, soprattutto se a pronunciarle è un magistrato. Parole coraggiose, che danno la misura del degrado presente oggi nelle carceri italiane. Parole pronunciate oggi da Piergiorgio Morosini, Gip del tribunale di Palermo e segretario nazionale di Magistratura Democratica 1, che marcano un’emergenza. Il contesto è stato quello della conferenza stampa per la presentazione dell’appello redatto da Magistratura Democratica e dalle associazioni Antigone 2 e Ristretti Orizzonti 3, sull’illegalità presente nelle patrie galere e indirizzato a tutti i parlamentari. La questione di fondo. Il giudice Piergiorgio Morosini solleva dunque una questione delicatissima, perché ormai criminale è divenuta la detenzione equiparabile, di fatto, alla commissione di un reato. Infatti, chiudere in una cella di 10 metri quadrati sei o otto persone e lasciarle in quelle quattro mura per 22 ore al giorno, integra il reato di maltrattamenti. Non curare una persona detenuta malata e lasciarla morire in cella, integra il reato di omicidio colposo. Abbandonare una persona detenuta alla propria disperazione, perché non riesce a sopravvivere in quella cella sovraffollata e lasciare che si impicchi, integra il reato di istigazione al suicidio. A questo siamo arrivati grazie all’indifferenza della politica di Governo. Altro che Piano Carceri. Altro che stato d’emergenza. Con l’indifferenza politica si è prodotta solo una carcerazione che appare come criminale. Non si può far finta di niente. Morosini ha ragione nel parlare della necessità di un’obiezione di coscienza da parte dei Giudici nell’emettere oggi un provvedimento restrittivo, perché eseguito in un carcere disumano e degradante. Ha ragione perché se non ci fosse quell’obiezione di coscienza il Giudice oggi concorrerebbe nei reati che si consumano nelle carceri a causa della loro illegalità. Il Giudice oggi genera legittimamente un provvedimento cautelare ineccepibile o una sentenza di condanna con la consapevolezza che però quel provvedimento verrà eseguito in modo illegittimo. In modo contrario alla legge. Una illegittimità che integra dei reati e che può anche uccidere. Il che non è poco. Parole importanti quelle dette oggi da Piergiorgio Morosini. Infatti la Giustizia, il lavoro dei magistrati, non è fatto a compartimenti stagni. Tutto si tiene e tutto si deve armonizzare. Indagini e custodia cautelare. Processo e pena. L’indifferenza, il far finta di non sapere come verrà eseguito un legittimo provvedimento giurisdizionale, non può appartenere a chi lavora nei Palazzi di Giustizia e per la Giustizia. Giustizia: “affievolire e rivedere il 41bis”, la proposta choc del governo di Nicola Biondo L’Unità, 14 luglio 2011 “Affievolire il 41bis o non reiteralo per quei detenuti i cui contatti con le organizzazioni mafiose sono venuti meno”. È questo l’auspicio di Palazzo Chigi. A mettere nero su bianco la proposta è il Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio in una relazione presentata l’11 luglio scorso a Roma. Il rapporto, con l’introduzione del sottosegretario Gianni Letta, prende in esame le contestazioni e le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’amministrazione della giustizia in Italia, in particolare sui ricorsi dei detenuti al carcere duro. Rilievi che consentono al Dipartimento di “invadere” un campo tutto politico in una delle materie più incandescenti nella lotta antimafia, con la proposta di una riforma radicale del carcere duro. “In prospettiva - si legge nel documento - si potrebbe pensare di trasformare il 41 bis da regime speciale a regime ordinario di detenzione (derogabile, quando è il caso, in senso favorevole ai detenuti) o addirittura a pena di specie diversa, inflitta dal giudice con la sentenza di condanna e prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell’esecuzione, alla stessa stregua di quanto accade attualmente per tutte le altre pene in genere”. L’obiettivo - sottolineano i tecnici di Palazzo Chigi nella Relazione al Parlamento - sarebbe quello di evitare i ricorsi dei detenuti al Tribunale europeo, la periodica reiterazione dei decreti per i detenuti e consentirebbe di liberare “rilevanti risorse lavorative”. Insomma il 41bis costa e va rivisto. Ma non solo. Se la proposta venisse tradotta, sic et simpliciter, in legge, la decisione di spalancare per un mafioso o un terrorista le porte del carcere duro passerebbe dalle mani di un giudice e non - come avviene adesso - su decreto del Ministro di Giustizia su proposta delle Procure. “La politica non può demandare ai giudici una responsabilità che le compete - commenta il gip palermitano Piergiorgio Morosini. La sicurezza nelle carceri è uno strumento politico”. Ma il passaggio più delicato sul 41bis, nato come reazione dello Stato alle stragi di mafia del 1992 e divenuto legge solo dieci anni dopo, deve ancora arrivare. Ed è contenuto a pagina 66 della relazione, in cui si parla dell’affievolirsi delle esigenze di mantenere il 41bis per coloro che da molti anni scontano la pena nei bracci speciali. “I primi 41 bis - sostiene il rapporto - sono in proroga continua da circa 15 anni, per cui si percepisce, nella magistratura di sorveglianza, un certo disagio nel motivare la perdurante sussistenza, dopo tanto tempo di mancati contatti con le associazioni criminali di riferimento, anche perché difficilmente la polizia svolge indagini sui condannati e dunque mancano relazioni di polizia giudiziaria effettivamente utilizzabili”. Se il principio passasse, il rischio di vedere uscire dal 41bis boss e semplici gregari sarebbe molto alto. Non Salvatore Riina magari, ma pezzi da novanta come Bagarella e Aglieri, condannati per le stragi del 92-93, da oltre un decennio al 41 bis, potrebbero ottenere di uscire dal circuito carcerario differenziato. Ma c’è un dato che smentisce la relazione: le indagini recenti - e la stessa commissione Antimafia - dicono che anche dal carcere i boss comunicano nonostante le restrizioni. “La Presidenza del Consiglio condivide questo rapporto?”, chiede la capogruppo del Pd in commissione Antimafia, Laura Garavini, in un’interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio firmata anche da tutti gli altri membri Democratici. Per Garavini, “l’ipotesi di trasformare il 41 bis da regime detentivo in pena accessoria muterebbe profondamente la natura di questo provvedimento, limitandolo nel tempo e rendendolo applicabile solo ai mafiosi condannati e non a quelli appena arrestati, come ora avviene”. E aggiunge: “È pericoloso lanciare questo tipo di segnali verso il sistema mafioso che potrebbe intravedere nei contenuti di questa relazione una disponibilità ad attenuare l’attuale regime del 41bis”. “Qualsiasi ammorbidimento è un regalo alla mafia” rincara Giovanna Chelli dell’Associazione familiari delle vittime di via dei Georgofili. Materia incandescente, sia dal punto di vista politico che giudiziario. Due le inchieste aperte proprio sul 41bis: quella della Procura di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia secondo la quale l’uscita dal carcere duro di centinaia di mafiosi, avvenuta nell’ottobre del 1993, fu parte di un accordo tra boss e uomini delle istituzioni. Una seconda inchiesta condotta dalla procura di Roma riguarda i tentativi di controllo di alcuni detenuti al 41bis prossimi alla collaborazione le cui rivelazioni, secondo i Pm, venivano monitorate da uomini dei servizi segreti su input politici con l’obiettivo di “disinnescarle”. Il 41bis d’altronde è sempre stato un “chiodo fisso” per il popolo di Cosa Nostra che più volte ha manifestato pubblicamente il proprio dissenso: prima con Leoluca Bagarella secondo cui “le promesse non sono state mantenute” poi con un clamoroso striscione allo stadio di Palermo il giorno dopo l’entrata in vigore della legge sul carcere duro nel dicembre 2002. “Uniti contro il 41bis - era scritto - Berlusconi dimentica la Sicilia”. Dopo questo rapporto della Presidenza del Consiglio si conferma così un dato: a distanza di 19 anni dalla sua prima applicazione, il 4Ibis rimane una delle frontiere più delicate della lotta alla mafia. Giustizia: Schifani riceve Pannella; impegno per convegno sul carcere in Senato Italpress, 14 luglio 2011 Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha ricevuto per circa un’ora oggi pomeriggio Marco Pannella. Nel corso dell’incontro a Palazzo Madama si è discusso anche della situazione delle carceri in Italia. Al termine i leader radicale ha ringraziato Schifani “che dopo l’intervento del presidente della Repubblica prese l’iniziativa di propormi di fornire alla situazione drammatica che vive l’amministrazione della giustizia delle carceri la sua piena disponibilità e impegno”. Nasce così quella che il leader radicale definisce “una cellula di crisi” per “affrontare i problemi della giustizia”. Questa cellula vedrà al lavoro da “una parte la struttura del Senato e dall’altra noi radicali che lavoreremo per tentare di tenere un grande convegno a palazzo Madama che possa rispondere anche premiando la prudenza e la pazienza di quanti si trovano all’interno delle carceri, non solo i detenuti ma anche agenti e volontari”. Di più Pannella non dice se non che il lavoro della cellula di crisi inizierà già da stasera”. Alla domanda se interromperà lo sciopero della fame, Pannella ha risposto: “Io non soffro la fame, e quindi sto bene così, nel senso che do corpo alla fame di giustizia e di pulizia che miracolosamente questo popolo ha mantenuto”. Giustizia: il “mercato dello spaccio” nelle carceri… di Massimo Bordin Il Riformista, 14 luglio 2011 La deputata radicale Rita Bernardini è una delle migliaia di persone che affianca Pannella nel suo sciopero della fame sulla democrazia in Italia, lo stato delle carceri e l’amnistia. Molte di queste persone - carcerati, avvocati, perfino magistrati - hanno digiunato un giorno, alcuni qualcuno di più. L’onorevole Bernardini non mangia da più di quaranta giorni. Ieri era presente a una conferenza stampa che denunciava un altro “caso Cucchi” avvenuto nel carcere di Velletri, in provincia di Roma. La vittima, neanche a dirlo, un cittadino extracomunitario Ismail Lataief. In quella sede Bernardini ha annunciato una interrogazione parlamentare su una singolare e istruttiva vicenda. Prima colazione, pranzo e cena, in tutto per la modica cifra di 3 euro e 80 centesimi. È la cifra sulla base della quale una unica ditta ha vinto l’appalto per la fornitura dei pasti nelle carceri italiane. Con una cifra del genere non si può fornire altro che quella che, con un linguaggio inventivo degno di Cèline, gli ergastolani chiamano da sempre la “sbobba della casanza”. Ma anche la sbobba a quel costo non può offrire ricavi. Come fa la ditta a guadagnare? Facile. Oltre ai pasti ha l’esclusiva degli spacci interni, dove i prezzi sono quelli di un salumiere dei Parioli. Nessuno pretende che i pasti dei carcerati siano a quattro stelle ma la vicenda è indicativa di come la gestione delle carceri produca non solo sofferenze inutili ma anche profitti, ingiusti mi permetterei di aggiungere, per qualcuno. Giustizia: anche psicologi penitenziari nell’esercito dei vincitori di concorso disoccupati da anni Il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2011 Sono 100mila i vincitori di concorsi nella Pubblica amministrazione che, negli ultimi 10 anni, attendono ancora di essere chiamati in servizio. Alcuni in ruoli chiave, come le decine di psicologi che hanno vinto un impiego per lavorare nelle carceri. E poi i casi beffa, come i 107 funzionari ancora non assunti dall’Ice (Istituto per il commercio estero) e appena soppresso da Tremonti In Italia c’è una macchina che funziona benissimo: è quella dei concorsifici. Muove un giro d’affari da 3 miliardi di euro l’anno, tutto a carico delle amministrazioni pubbliche che devono pagare commissioni, società esterne di consulenza e affitti per le sedi di esame. Funziona così bene che solo nel 2010 sono stati banditi da ministeri, enti locali, previdenziali e di ricerca, e amministrazioni provinciali e comunali oltre 7 mila concorsi. Peccato che - secondo la Cgil - ci siano già circa 100mila tra vincitori e idonei a concorsi nella P.A. pubblicati negli ultimi 10 anni che attendono di essere chiamati in servizio. Insomma, persone che hanno festeggiato un’assunzione mai arrivata, perché ogni anno nella manovra finanziaria viene inserito il blocco del turnover. Anche la legge varata l’altro ieri ha stoppato le assunzioni fino al 2014. Così, se da un lato, il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, annuncia l’esubero di 300mila lavoratori nel comparto pubblico, dall’altro, però, non ferma la stessa Funzione Pubblica che continua a concedere l’autorizzazione a concorsi che sfornano nuovi vincitori precari. Storie paradossali che andranno ad aggiungersi a quelle che già popolano il Comitato XXVII ottobre che riunisce vincitori e idonei di pubblico concorso ancora in attesa di assunzione. Come quella che ci ha raccontato Maria Cristina Tomaselli. “A maggio del 2004 - dice - il ministero di Grazia e Giustizia bandisce un concorso per 39 psicologi da assegnare negli istituti penitenziari”. Maria Cristina supera la prova preselettiva nella quale si presentano in 3mila, poi altri due scritti e infine l’orale. “Nel 2006 - continua - arriva la notizia che ti cambia la vita: “ho vinto”. Una gioia immensa che, purtroppo, svanisce poco dopo, quando noi vincitori scopriamo di non poter essere assunti per carenza di fondi”. Nel 2008 la beffa: la responsabilità delle assunzioni passa tutta al ministero della Salute, quindi alle Asl che, tuttavia per legge, non sono obbligate a chiamarli. “Lo sconforto - spiega Maria Cristina - diventa tale da pensare che il futuro sia solo nero”. I 39 vincitori decidono, quindi, di ricorrere al Tribunale del Lavoro di Roma che a maggio 2010 gli dà ragione, obbligando il ministero ad assumerli. Ma non c’è tempo per esultare, perché, dice la psicologa, “assurdo dell’assurdo, il ministero ricorre in appello e come unico contentino, dall’anno scorso, ci fa svolgere lo stesso lavoro con un contratto a progetto, di 45 ore mensili per 650 euro lordi”. Così mentre in Italia si muore di carcere, con le strutture vicine al collasso, lungo lo Stivale ci sono solamente 16 psicologi di ruolo e appena 450 che collaborano come consulenti esterni. Altra situazione inverosimile è quella dei vincitori dell’Ice, l’Istituto del commercio estero che - nonostante fosse già nell’aria la sua soppressione, nel 2008 pubblica un bando per 107 posti. Si presentano in 15mila, tra cui Cinzia Nannipieri, trentenne laureata in Scienze Politiche e Master in Relazioni Internazionali. “Abbiamo svolto tre prove, ci ha raccontato. Lo scritto nel 2009 e l’orale agli inizi del 2010. Uscita la graduatoria, a stento credo ai miei occhi: sono arrivata 65°. Sono tra le vincitrici”. Ma anche in questa storia, i vincitori non fanno in tempo a stappare lo spumante, perché il ministro Tremonti all’inizio del 2010 prevede il taglio degli enti ritenuti inutili, tra cui quello proprio sull’attività di promozione delle imprese italiane all’estero. Ed anche se lo scorso anno l’istituto continua, comunque, a rimanere a galla, l’avvertimento del responsabile del personale dell’Ice è chiaro: “Sarete assunti da qui a 10 anni”. Una flebile speranza che è naufragata definitivamente in queste ore, visto che la manovra economica ha soppresso l’Ice, con gli uffici all’estero inglobati nelle ambasciate e i dipendenti italiani riassorbiti al ministero dello Sviluppo. “Un sogno infranto che - ammette Cinzia - è costato sudore e tempo”. Ad aiutarli non è, quindi, bastata la lettera che i vincitori hanno scritto la scorsa settimana al presidente delle Repubblica Napolitano chiedendogli “di lottare insieme”. Ora la speranza per i 107 dell’Ice e per tutti i vincitori e idonei di concorso è riposta nelle mani del Comitato Ristretto della Commissione Lavoro che ha il compito esaminare e accorpare i tre progetti di legge presentati da tre parlamentari: Cesare Damiano (Pd), Antonio Di Pietro (Idv) e Giuliano Cazzola (Pdl) che propongono il prolungamento della scadenza dei concorsi al 2013 e l’obbligo per le amministrazioni di pescare nel bacino dei vincitori prima di indire un nuovo bando. “Proposte che, secondo Damiano - interpellato da ilfattoquotidiano.it - hanno una chance di attuazione. Ma con questo governo è impossibile sbloccare le assunzioni. Intanto la mia richiesta di conoscere le sorti dei vincitori dell’Ice non ha ancora ottenuto risposta”. Lettere: gravità situazione delle carceri interpella la coscienza civile e politica di Salvo Torrisi (Deputato Pdl) La Sicilia, 14 luglio 2011 La gravità della situazione delle carceri in Italia costituisce un argomento di larga attualità che interpella la coscienza civile e politica. Il nostro Paese si trova a dover fronteggiare una emergenza. I dati registrano un tasso di sovraffollamento pari al 149%; vi sono 22 mila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili, e nelle celle non vi è lo spazio di 7 metri per ciascun detenuto, come indicato nella legge vigente: in un certo senso è come se il 41 bis, il carcere duro, fosse esteso all’intera popolazione carceraria. Gli allarmanti segnali di questo disagio sono forniti anche dalle crescenti proteste da parte dei detenuti, con migliaia di scioperi della fame e gesti di autolesionismo, fino ad arrivare ai 55 casi di suicidio nel 2010, a cui vanno aggiunti quelli di quest’anno. Per di più, al sovraffollamento si aggiungono le scarse spese per l’assistenza psicologica e le attività culturali; anche il personale della Polizia penitenziaria è sotto organico. Ci troviamo dinanzi ad una realtà che si scontra con la garanzia costituzionale della funzione rieducativa della pena, in parte fallimentare, tanto che oltre il 65% degli ex detenuti torna a delinquere. Un elemento particolarmente significativo è quello di una popolazione carceraria formata per due terzi da immigrati e tossicodipendenti. In tali circostanze il “Piano carceri” che prevede la costruzione di nuove strutture, dovrebbe essere affiancato da un moderno e diverso strumento di recupero sociale dei detenuti. In questo caso, l’alternativa al carcere non significherebbe affatto non scontare la condanna, cioè “farla franca”, ma sostituire la pena detentiva con un recupero della persona tramite dei servizi di utilità sociale, così come avviene nei sistemi giuridici di tradizione anglosassone. Ovviamente, l’obiettivo della classe politica dirigente non può e non deve essere quello di riempire le prigioni, ma di svuotarle. A mio avviso, non con facili amnistie, ingiuste ed offensive nei confronti dei cittadini onesti, ma attraverso un Piano di depenalizzazione per i reati minori (si pensi che nel nostro ordinamento esistono ben 30 mila fattispecie di reato!), cioè l’eliminazione dai Codici di quei reati che destano scarso allarme sociale. Insomma, bisognerebbe cambiare la legislazione in materia, e proprio in tale direzione sto lavorando fin dall’inizio della mia attività parlamentare, sia alla Camera che in Commissione Giustizia. Le proposte di legge in materia che ho avanzato come primo firmatario prevedono: l’istituzione del Garante nazionale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale (presentata l’8 ottobre 2008) l’introduzione dell’articolo 613-bis del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura (presentata il 29 ottobre 2008), dall’istituzione del Garante regionale, provinciale e comunale dei diritti fondamentali dei detenuti e del loro reinserimento sociale (presentata il 3 novembre 2008) fino alle mozioni per favorire lo svolgimento di attività lavorative autonome da parte dei detenuti nel corso dell’espiazione della pena (presentata il 3 novembre 2008). L’anno scorso - a seguito di un sopralluogo - ebbi a dichiarare che il penitenziario di Piazza Lanza a Catania era inadeguato, e che la città necessitava di una nuova struttura. Confermo tale affermazione poiché è giusto che l’edilizia carceraria venga potenziata laddove è necessario, e che si eseguano adeguati interventi di ristrutturazione. Ma è palese che il problema del sovraffollamento va risolto alla base: la depenalizzazione può costituire la migliore soluzione al problema in questione. Infine, mi piace sottolineare il principio per cui uno Stato moderno deve essere rigoroso nell’applicazione della certezza della pena, e allo stesso tempo rispettoso dei diritti che tutelano la dignità della persona, come dell’intera società civile. La depenalizzazione, se ben applicata, risponderebbe appieno a tali principi. Lettere: il carcere inutile… storie di recidivi e sorvegliati speciali di Elias Vacca (Avvocato) Il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2011 Un giorno in tribunale raccontato da un avvocato: in prigione per una canna, un furto al supermercato, un litigio. Quando ho letto le due pagine “Come svuotare le carceri a costo zero” a firma Marco Travaglio sul “Fatto Quotidiano” del 12 luglio, sono saltato sulla sedia. Ero in tribunale in quel momento e si stavano celebrando una mezza dozzina di processi a carico di poveretti. Ho visto cose che voi umani... Uno era stato sorpreso ai giardinetti a scazzarsi con un altro non si sa bene perché. Credo per la campagna acquisti del Cagliari. In sé non c’è nulla di male, ma erano entrambi pregiudicati per piccoli reati. E gli avevano dato la sorveglianza speciale con divieto di “associarsi a pregiudicati”. Un altro, pure lui con la misura, aveva omesso per ben due volte in quattro mesi di firmare il registro di PS. Per il resto condotta irreprensibile. Un altro ancora era rincasato alle 19.20 anziché alle 19.00. Gli altri tre non so, non li difendo io, ma mi sembravano la stessa roba. La sorveglianza speciale è una misura di polizia. E ai limiti della costituzionalità, c’è letteratura a fiumi sull’argomento. Te la danno come “premio alla carriera”, anche se non hai mai commesso reati gravi. Il Questore la chiede ed il Tribunale, 99 volte su 100 te la applica. E certe volte ha ragione il Questore a chiederla ed il Tribunale ad applicarla, specialmente se sei un mafioso conclamato, un trafficante professionale di droga, uno sfruttatore di prostitute. Il più delle volte, invece, te la regalano per taccheggi o se sei stato pluribeccato col fumo in saccoccia, il tuo, ovviamente, ma un grammo più del lecito. Se sei tossico, è come avere l’ergastolo potenziale. È il allora ti danno la sorveglianza con l’obbligo di dimora (o il divieto di dimora) in un certo paese o città, ti prescrivono di non stare fuori casa, per esempio, dalle 20 alle 8, di non associarti a pregiudicati, di non portare armi e di non sbevazzare nei bar. Poi ti impongono di cercare un lavoro, come se fosse facile, e di firmare il registro di PS. nei giorni stabiliti. Se ti danno l’obbligo di dimorare nella tua città, la misura è considerata grave. Se violi quella misura anche in maniera minima, ad esempio rincasando 10 minuti oltre l’orario, o dimenticando per un giorno di firmare, magari perché ti sei addormentato, non è neppure contravvenzione, è proprio delitto. Quindi vale per la recidiva. Becchi 8 mesi, dieci mesi, anche un anno. E te li fai tutti. Perché sei recidivo, sennò perché avresti la misura? Sei buono per la statistica degli arresti. Ne ho viste cose... Uno le ha prese anche, non scherzo, da una massaia cui aveva tentato di rubare le buste dal carrello della spesa. Rapina impropria. Dentro. Uno, praticamente innocuo, devastato da un venticinque anni di eroina, lo hanno arrestato perché trovato “in compagnia” di un altro pregiudicato. Gli stava chiedendo da fumare. Ma di qualunque tipo di fumo si trattasse, non era il fumo il problema, era l’interlocutore. Non denunciato a piede libero: arrestato. Ore per i verbali, il processo, la traduzione dell’arrestato, patrocinio a carico dell’erario perché l’imputato è povero in canna. Otto mesi a 115 euro al giorno, sempre a carico dello Stato. Ci costerà, tra una cosa e l’altra, 40 mila euro tra processo e detenzione e, prima e poi, andrà ad ingrossare le fila dei detenuti. Ce n’è un altro che si chiama Gianni, un tipo più simpatico della media, che l’ultima volta è finito dentro - indulto revocato come è ovvio - per avere depredato una sala giochi d’azzardo, una di quelle dalle quali lo stato lucra sulla disperazione e la propensione degli italiani a buttare via i soldi. Quelle per le quali il governo in carica, ma c’era anche un cattivo segnale da quello precedente, aveva previsto maxi sanatorie in favore dei grandi gestori. Dunque rubava in casa dei grandi ladri ed aveva rubato trecento euro. Un giorno vado a trovarlo in carcere e mi dice che la sua compagna, ancora minorenne, lavora da un tale che per dieci giorni di lavoro a dieci ore al giorno le aveva allungato 100 euro prima di licenziarla senza averla mai assunta: “E poi il ladro sono io...”. Ad un altro, infine, che aveva tre piante di marijuana ed era sorvegliato speciale hanno dato quattro anni per le piante e due mesi perché, pur sorvegliato, si faceva le canne in casa con le foglie di quelle piante. Confermati in Appello, annullati in Cassazione, assolto definitivamente nel giudizio di rinvio. Tra ex Cirielli, Fini-Giovanardi e compagnia cantante, ha fatto un annetto di custodia cautelare. Ci sarà costato più o meno 100 mila euro ed un posto in cella occupato per un anno. Ah sì, tra l’altro aveva commesso il fatto il 13 giugno 2006. Sarà mica per far temporaneamente posto a lui che, nel luglio di quello stesso anno, il Parlamento ha approvato l’indulto facendo uscire Previti? Emilia Romagna: Uil-Pa; sovraffollamento al 70%, 2 suicidi in 6 mesi e 249 quelli tentati Dire, 14 luglio 2011 Il carcere più affollato dell’Emilia-Romagna è Bologna, con un indice del 127,4%, seguono Piacenza e Opg di Reggio Emilia, col 100%. A ieri i detenuti in regione erano 4.013 (3.866 uomini, 147 donne) a fronte dei 2.359 posti attualmente disponibili. Un surplus di 1.644 presenze che fa attestare la media del sovraffollamento regionale al 70,1% È Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, a diffondere i dati e a ricordare anche il numero di suicidi nelle strutture di pena della regione dall’1 gennaio al 30 giugno: due in tutto, a Parma e Piacenza. I tentati suicidi, però, sono stati ben 249, di cui 112 a Bologna che ha il primato nazionale, 50 a Piacenza, 34 a Parma, 21 a Modena, 11 a Ravenna, 10 a Rimini, cinque alla Casa circondariale di Reggio Emilia, quattro a Ferrara e due a Forlì. “I detenuti salvati in extremis dal suicidio da parte della polizia penitenziaria sono stati 129”, aggiunge Sarno e gli atti di autolesionismo, comunque, sono stati nove. Il disagio è stato espresso dai carcerati anche con proteste soggettive come gli scioperi della fame, il rifiuto del vitto o delle terapia, contati ben 241 volte, mentre sono state 337 le proteste collettive (tra cui “battiture” e scioperi del carrello). Il sindacati rileva anche 51 atti di aggressione danno di poliziotti penitenziari (di cui 32 alla sola Dozza di Bologna). n questo quadro, resta il problema della carenza di poliziotti. “L’organico complessivo della Polizia penitenziaria in regione conta 2.401 agenti, ma in servizio ce ne sono 1.978- prosegue la Uil- di cui 79 impiegati in strutture non penitenziarie, come il Provveditorato e gli uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe)”. Non va meglio per il personale amministrativo, con la carenza di 33 educatori, 32 assistenti sociali, 27 contabili e 57 collaboratori amministrativi. “La grave crisi finanziaria, con l’esaurimento dei fondi assegnati sui capitoli di gestione potrebbe, a breve, costringere molte direzioni ad alzare bandiera bianca con la paralisi di ogni attività operativa, amministrativa e trattamentale”, conclude Sarno. Puglia: Garante dei detenuti; un indubbio passo avanti, che però certo non può bastare di Paola Balducci Gazzetta del Mezzogiorno, 14 luglio 2011 Anche la Puglia, tra le prime regioni d’Italia, dopo il Lazio e la Sicilia, compie un importante, quanto doveroso, passo di civiltà con l’istituzione del “Garante dei detenuti”. Un organo di garanzia in ambito penitenziario, con funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Stando alla legge istitutiva, sarà compito del Garante tutelare i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione quali il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione, al recupero e reinserimento sociale, alla libertà di culto, di espressione e di opinione, ma anche vigilare sul rispetto della normativa prevista dall’Ordinamento Penitenziario e da tutte le norme che possano riguardare i detenuti ed interfacciarsi con Autorità ed Amministrazioni competenti per chiedere notizie e sollecitare gli adempimenti o le azioni necessarie per il ripristino di diritti del detenuto eventualmente violati, o parzialmente attuati e , non da ultimo, evidenziare le disfunzioni e le criticità delle strutture carcerarie pugliesi. Una scelta di civiltà e di democrazia di primaria importanza in un momento storico in cui il problema carcerario si fa sempre più pressante e sono sempre più frequenti i casi di suicidio o di morti per cause ignote, richiamando la doverosa attenzione non solo degli addetti ai lavori, ma di tutta la società civile. Come è drammaticamente noto, infatti, il sovraffollamento delle carceri è tale da determinare condizioni di vita intollerabili, che si pongono in palese violazione dell’integrità psico-fisica della persona detenuta. Secondo il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria le strutture detentive italiane si sono ridotte a “meri depositi di vite umane”. In Puglia, il numero di detenuti supera, quasi sempre, del doppio il limite di capienza naturale delle strutture, determinando condizioni di eccessiva promiscuità, lesive di ogni prerogativa di dignità e di riservatezza della persona. Lecce, ad esempio, è un caso di emergenza vera e propria: 1.600 detenuti ammassati in spazi che, a norma di legge, potrebbero ospitare solo 600 persone: in una sola cella convivono numerosi detenuti, spesso per reati molto diversi tra loro, il che rende impossibile una corretta riabilitazione ed anche un assistenza degna di questo nome. Ma anche nelle altre città pugliesi le cose non vanno certo meglio. Un emergenza continua che ci allontana sempre di più dai valori espressi nella nostra Carta costituzionale, che all’art. 27 precisa che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”: quanto di più lontano dalla nostra attuale realtà! L’intenzione dei nostri padri costituenti, infatti, era quella di finalizzare il periodo in cui una persona subisce la punizione per una condotta illecita all’avvio di un percorso che consenta al reo di rivalutare criticamente le proprie azioni e di acquisire consapevolezza del disvalore sociale del reato. In questo contesto, quindi, la figura del Garante può rappresentare uno strumento importante per avvicinare l’amministrazione penitenziaria agli standards imposti dai principi costituzionali, avendo il compito di segnalare agli organi regionali eventuali inadempienze ed omissioni, interne alle strutture carcerarie, che possono pregiudicare il recupero e la reintegrazione sociale del detenuto, nonché ledere gravemente i suoi diritti fondamentali. Può anche esercitare un ruolo propulsivo, attraverso concrete iniziative di promozione e informazione sul tema delle garanzie dei soggetti detenuti. Un indubbio passo avanti, che però certo non può bastare! Il problema delle carceri ha infatti origini lontane, che richiedono un intervento sistematico da parte del legislatore ed una serie di riforme che riguardino a tutto tondo l’ordinamento penale. Partendo, in primo luogo, da un massiccio intervento di depenalizzazione che riservi la pena detentiva ai soli comportamenti realmente lesivi per la collettività, utilizzando per le altre fattispecie meno gravi lo strumento più rapido e flessibile della sanzione amministrativa. Affianco a questo, occorrerebbe senz’altro riflettere sull’uso eccessivo della custodia cautelare ( si pensi che ad oggi la metà dei detenuti sono in attesa di giudizio), spesso utilizzata - dato gli incerti tempi del processo - come strumento di anticipazione della pena, con buona pace della presunzione di innocenza prevista in Costituzione ed incominciare a pensare anche a misure e pene alternative al carcere e più efficaci in termini di rieducazione e di reinserimento sociale. Ben venga, quindi, l’iniziativa della Regione Puglia, purché non si dimentichi che il problema dei detenuti è un problema realmente complesso, che non può certo risolversi con l’istituzione di un garante, ma che richiede un impegno in prima linea del Parlamento, quantomeno nella prossima legislatura. Lazio: accordo tra Garante dei detenuti e Università Roma Tre Agv News, 14 luglio 2011 È stato siglato questa mattina dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni e dal Rettore dell’Università Roma Tre, Guido Fabiani un Protocollo di Intesa. Il Protocollo prevede forme integrate di collaborazione con l’obiettivo primario di offrire ai detenuti la concreta opportunità di accedere agli studi universitari, superando le limitazioni derivanti dal loro stato. “Oggi firmiamo un atto che garantisce la piena tutela del diritto all’istruzione - ha detto Marroni - che è patrimonio di tutti, indipendentemente dalle condizioni in cui ciascuno si trova. Questo Protocollo d’Intesa nasce con l’obiettivo di dare vita ad una offerta formativa qualificata. Siamo, infatti, consapevoli che l’istruzione, la cultura e la formazione sono aspetti che non solo favoriscono l’affermazione di una cultura della legalità nelle carceri, ma sono anche in grado di incidere sul reinserimento sociale e lavorativo di quanti sono sottoposti a regime di detenzione, come per altro statuito dalla Costituzione. Per questo siamo orgogliosi che l’Università Roma Tre abbia accolto il nostro invito a garantire percorsi didattici in favore di quanti intendono utilizzare il periodo di detenzione per prepararsi ad un futuro diverso”. “Il Protocollo siglato oggi con l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio - ha dichiarato Fabiani- è di grande importanza e rappresenta la formalizzazione di una collaborazione già esistente tra le due Istituzioni: nel nostro ateneo sono attualmente iscritti nove detenuti. Roma Tre - ha proseguito - è da sempre impegnata nella promozione e realizzazione del diritto allo studio. Questo Protocollo è una sollecitazione a proseguire su questa strada ed è l’occasione per estendere ulteriormente il nostro impegno a favore delle persone sottoposte a misure detentive. Roma Tre consapevole delle limitazioni derivanti dallo stato di detenuto, si impegna con questo accordo, tra le altre cose, ad individuare già dal prossimo anno accademico (2011-2012) percorsi formativi idonei a garantire la partecipazione alla attività didattiche degli studenti detenuti; ad utilizzare metodiche formative flessibili; a ricorrere, dove possibile, all’insegnamento a distanza; ad organizzare attività di tutoraggio favorendo l’interazione tra docenti e studenti detenuti oltre a fornire supporto per tutte le pratiche amministrative legate allo svolgimento della carriera universitaria”. Il protocollo avrà durata biennale e sarà operativo a decorrere dal prossimo Anno Accademico (2011-2012). Lecce: detenuto di 46 anni si impicca in cella, è il 35esimo suicidio in carcere da inizio anno Ansa, 14 luglio 2011 Un detenuto di 46 anni, Antonio Padula, di Francavilla Fontana (Brindisi), si è tolto la vita nella cella del supercarcere di Borgo San Nicola a Lecce, impiccandosi con i lacci delle scarpe. A scoprire l’accaduto questa mattina è stato un agente di custodia. L’uomo si trovava in carcere per l’omicidio di Donato Andrisani, di 60 anni, originario di Francavilla Fontana, avvenuto nel gennaio scorso e confessato da Padula. Andrisani venne soffocato con una busta di plastica e poi dato alle fiamme. Un suicidio che conferma la denuncia dei sindacati di Polizia penitenziaria in merito al sovraffollamento esistente nell’istituto di detenzione di Lecce. Zazzera (Idv): suicidio carcere, serve riflessione parlamento “Oggi l’ennesimo episodio di suicidio di un detenuto - dichiara l’On. Pierfelice Zazzera (Idv) che da tempo denuncia il problema del sovraffollamento delle carceri, sentito in particolar modo nella sua Regione, la Puglia - e la responsabilità di questa morte è delle istituzioni - prosegue Zazzera - perché nonostante il fenomeno del sovraffollamento abbia assunto ormai dimensioni inaccettabili, non sono state in grado di risolvere responsabilmente il problema. La Puglia è la regione con il più alto numero di sovraffollamento, con un surplus di presenze di 1961 unità. Nel carcere di Borgo San Nicola di Lecce, dove questa mattina l’uomo di 46 anni si è impiccato, i detenuti sono ammassati come bestie, e i diritti umani vengono ogni giorno calpestati. In Italia e in Puglia in particolare - prosegue Zazzera - lo sconto della pena non è, come previsto dalla legge, un percorso volto alla rieducazione di chi sbaglia, ma è l’anticamera dell’inferno. Mentre il piano nazionale carceri del Governo non riesce a partire, la gente continua ad uccidersi nella totale indifferenza del mondo esterno. Noi dell’Italia dei Valori - continua il dipietrista - fermamente contrari ad ogni amnistia o indulto, riteniamo sia necessario adottare una nuova politica penitenziaria aperta alle pene alternative e che favorisca la depenalizzazione dei reati minori, come a esempio il consumo delle droghe leggere o il reato di clandestinità. Si pensi soltanto che in Lombardia di sono 4.200 extracomunitari su 9.000 detenuti. Ma per far questo - conclude Zazzera - serve una riflessione interna al Parlamento, che continua a restare lontano dal problema delle carceri”. Firenze: quattro detenuti di “Solliccianino” si prendono cura dell’Arno In Toscana, 14 luglio 2011 Quattro carcerati del Gozzini di Firenze in permesso premio impegnati oggi in opere di riqualificazione ambientale in un tratto delle sponde di Lungarno Pecori Giraldi. Una giornata speciale per quattro detenuti della Casa Circondariale maschile “Mario Gozzini” di Firenze, più conosciuta come “Solliccianino”, che oggi si sono dedicati alla riqualificazione ambientale delle sponde e della parte d’alveo dell’Arno prospiciente il giardino di Lungarno Pecori Giraldi a Firenze, provvedendo tra l’altro a differenziare i rifiuti raccolti. Otto ore in “regime di permesso premio” (fino ad oggi pomeriggio) concesse dal Magistrato di Sorveglianza dott.ssa Grazia Riccucci, per dare vita ad una iniziativa che rientra nelle attività proposte dalla Provincia di Firenze nell’ambito di un protocollo d’intesa tra i due enti, che collaborano ormai dal 2004 per portare avanti percorsi formativi legati all’educazione ambientale per i giovani detenuti. “Con l’iniziativa di oggi non ci limitiamo a proporre progetti di educazione ambientale, che ogni anno portiamo avanti grazie al Laboratorio Didattico Ambientale di Villa Demidoff, ma estendiamo l’attività laboratoriale anche alla difesa del suolo - spiega l’Assessore provinciale Renzo Crescioli, titolare proprio delle due deleghe all’ambiente e alla difesa del suolo. Durante l’anno scolastico appena concluso i ragazzi hanno imparato le giuste strategie per una corretta raccolta differenziata. Oggi applicano queste semplici regole, contribuendo a lasciare un tratto di sponda cittadina dell’ Arno più bello e pulito. Inoltre abbiamo in cantiere iniziative per portare dentro Solliccianino le pratiche finalizzate alla riduzione e differenziazione dei rifiuti”. Rispetto dell’ambiente, senso di cittadinanza e di appartenenza al territorio: questi i valori che hanno fatto da sfondo alla giornata, che ha visto anche la collaborazione di Quadrifoglio spa, che ha fornito il materiale per la differenziata, e dell’associazione “Amici della Zecca”, con sede proprio nella zona di Lungarno Pecori Giraldi, associazione che già opera nel reinserimento socio-lavorativo e che oggi ha offerto il ristoro ai partecipanti. Hanno coordinato l’iniziativa alcuni Ufficiali Idraulici della Direzione Difesa del Suolo della Provincia di Firenze. “L’obiettivo didattico del progetto educativo di quest’anno - commenta Margherita Michelini, Direttrice della Casa Circondariale Gozzini - è stato quello di non limitarsi alla teoria, ma di passare anche alla pratica, sperimentando da subito una serie di buone prassi apprese negli incontri. È così nata, con il coordinamento dell’Assessorato provinciale all’Ambiente, oltre alla giornata sperimentale svolta oggi, da una parte la collaborazione con Quadrifoglio per iniziare una vera e corretta raccolta differenziata all’interno dell’istituto, dall’altra quella con Publiacqua per un progetto che dovrebbe portare all’istallazione di alcuni fontanelli nei reparti, in modo da contribuire alla riduzione delle bottigliette di plastica”. “Con l’evento di oggi - conclude la direttrice - si è pensato di coinvolgere un primo gruppo di detenuti direttamente nell’attività di recupero delle aree circostanti il fiume cittadino affidate alla gestione della Provincia di Firenze, collaborando direttamente con il settore della Difesa del Suolo. Si auspica che simili interventi possano periodicamente ripetersi, a dimostrazione che proprio a partire da questo contesto, normalmente deputato a sanzionare comportamenti antisociali e devianti, possono svilupparsi modi di fare individuali virtuosi e socialmente apprezzabili”. Bologna: l’assessore al Welfare, Amelia Frascaroli, riapre il Tavolo dell’esecuzione penale Dire, 14 luglio 2011 Far ripartire il tavolo dell’esecuzione penale che riunisce gli attori sociali che si muovono intorno al carcere e far crescere le opportunità di lavoro per chi è dentro e per chi ne esce. Sono queste secondo l’assessore al Welfare, Amelia Frascaroli, le due priorità su cui il Comune può intervenire e contribuire nell’affrontare l’emergenza Dozza. Il tavolo per l’esecuzione penale è fermo dal giugno 2010. “Il tavolo è fondamentale per istituire borse lavoro, per le uscite e per attività che leghino il carcere al territorio e per le condizioni di vita interne- spiega l’assessore- per farlo ripartire basta riconvocare tutti gli attori coinvolti ma a questo punto si farà a settembre”. Per quanto riguarda, invece, la possibilità che il sindaco emetta un’ordinanza sindacale sulle condizioni sanitarie della Dozza, Frascaroli ammette che quello “è uno strumento che abbiamo a disposizione e che possiamo usare, ma poi bisognerebbe capire in che modo metterla in opera”. Dopo il sindaco, anche l’assessore è stata in visita al carcere della Dozza, confermando la “tragicità della situazione al limite della sopportazione umana per le persone”. Nella casa circondariale bolognese sono detenute, infatti, 1.120 persone (la capienza è di 490) e se a queste si aggiungono coloro che lavorano all’interno del carcere si arriva a circa 2.000 persone. “L’ambiente è squallido ma ognuno fa di tutto per renderlo migliore” afferma Frascaroli. Oltre ai problemi della Dozza, infatti, Frascaroli tiene a mettere in evidenza anche l’enorme capacità di resistenza e il grande impegno di chi lavora per rendere più umane le condizioni all’interno della struttura. “Oltre al sovraffollamento, al caldo indegno, alla grande fatica degli operatori, problemi che è giusto continuare a raccontare- spiega- mi piacerebbe trovare il modo di far conoscere alla città la grande capacità di creare progetti, iniziative e instaurare relazioni anche quando non ci sono le condizioni e con la consapevolezza di poter raggiungere solo una minima parte di chi è detenuto”. Qualche esempio? Alcuni volontari hanno coinvolto gratuitamente un gruppo di parrucchieri che, nel giorno di chiusura dei negozi, vanno a fare i capelli alle detenute della sezione femminile. “È solo un esempio tra i tanti ma si tratta di servizi che le istituzioni non riescono a offrire - spiega Frascaroli - perché non ci sono i soldi nemmeno per riparare le tubature dell’acqua o per pagare il lavoro che i detenuti fanno per il carcere, ma c’è gente che li offre gratuitamente: accanto alle brutture, c’è anche la bellezza di questi piccoli gesti”. Dalla Dozza l’assessore è uscita con un obiettivo che condivide con la direttrice, Ione Toccafondi, “trovare il modo di far conoscere questa grande capacità di resistenza e avviare un discorso culturale sul carcere in città“. Genova: Radicali chiedono accesso agli atti per relazioni Asl su carcere di Marassi e Ponte X Agenparl, 14 luglio 2011 Nella giornata di oggi, Walter Noli, membro del Comitato di Radicali italiani presenterà la richiesta di accesso agli atti sottoscritta dai Parlamentari Radicali Rita Bernardini e Marco Perduca, membri delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, relativa alle ultime due relazioni, rilasciate dalla Asl competente (Dpr 1 aprile 2008 e allegato A), riguardanti i requisiti igienico sanitari di tutti gli ambienti degli istituti penitenziari della città di Genova, ivi compresi gli alloggi della Polizia penitenziaria; stato delle strutture edilizie, in rapporto alle tipologie edilizie ed agli standard abitativi previsti dal Dpr 230/2000 (regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario) e dalle normative regionali vigenti in materia di strutture residenziali per adolescenti; nonché i requisiti di igienicità degli alimenti. Bernardini e Perduca avevano visitato il Carcere genovese a gennaio e settimana scorsa riscontrando, oltre che le mancate autorizzazioni sanitarie, una cresce grave situazione di sovrappopolazione, scarso organico sia a livello dirigenziale che di polizia penitenziaria. I Radicali genovesi, assieme ai famigliari dei detenuti e anche a rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria locale terranno una veglia con fiaccolata il 26 luglio prossimo nel quadro delle iniziativa nonviolenta di Marco Pannella per l’amnistia come traino per una grande riforma dell’illegale amministrazione della giustizia in Italia. Napoli: manifestazione dei Radicali davanti a Poggioreale Ansa, 14 luglio 2011 Si è svolta davanti al carcere napoletano di Poggioreale una manifestazione per l’amnistia e la riforma della giustizia, convocata da Radicali Italiani e dall’associazione radicale “Per la Grande Napoli”. Rodolfo Viviani, presidente dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli”, spiega: “Il sovraffollamento e le carenze strutturali del carcere di Poggioreale rendono incompatibile la condizione di detenzione con il rispetto dei diritti umani. Da oltre un mese i Radicali napoletani passano le prime ore dell’alba all’esterno di questa struttura dialogando con i parenti dei detenuti per far crescere la lotta nonviolenta per la democrazia”. Per Viviani “sono ormai oltre ventunomila le persone - oltre 16 mila detenuti, 4 mila loro familiari e decine di agenti, psicologi penitenziari, educatori, direttori di carcere, avvocati dell’Unione camere penali, esponenti di sindacati di polizia e volontari - che chiedono, insieme al presidente della Repubblica, di smetterla con sottovalutazioni e fatalismi di fronte a situazioni, come quella delle carceri italiane, drammaticamente incompatibili con il rispetto della dignità delle persone. È urgente che il Governo e il Parlamento aprano un dibattito, per accogliere o respingere le proposte di Pannella, in sciopero della fame dal 20 aprile, o per trovare altre soluzioni che siano in grado di risolvere i problemi che denunciamo. È necessario inoltre che il servizio pubblico radio televisivo interrompa un comportamento fortemente lesivo dei diritti dei cittadini e consenta finalmente di conoscere e giudicare questa proposta”. Rossano (Cs): cinque agenti della polizia penitenziaria aggrediti e feriti da un detenuto straniero Agi, 14 luglio 2011 Cinque agenti della polizia penitenziaria aggrediti e feriti da un detenuto straniero. A denunciare l’episodio, accaduto nel carcere di Rossano, sono il segretario nazionale, Damiano Bellucci, e il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. “Il detenuto - raccontano - ha divelto il lavabo e, dopo averlo spaccato, ha aggredito gli agenti che sono stati visitati all’ospedale della stessa città, dove i medici hanno riscontrato ferite guaribili in cinque giorni”. Proprio in questi giorni nel carcere calabrese è in atto una protesta di tutto il personale di polizia penitenziaria a causa della carenza di uomini e del sovraffollamento di una struttura nata per ospitare meno di 20 detenuti, mentre adesso ce ne sono oltre 300, dei quali circa un terzo stranieri. “Il personale di polizia penitenziaria - sottolineano Bellucci e Durante - viene impiegato in tre o quattro posti di servizio contemporaneamente, per poter garantire le ferie estive agli altri colleghi. La situazione non è diversa nelle altre strutture della regione, dove ci sono circa 1.000 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata, molti dei quali devono essere quotidianamente portati nelle aule di giustizia, con mezzi vecchi e con pochi agenti. A Reggio Calabria è in atto un maxi processo e, spesso, non ci sono gli agenti per portare i detenuti in udienza. A Vibo Valentia ed a Catanzaro spesso mancano i soldi per pagare la benzina. Presto potrebbero finire anche i soldi per acquistare il vitto per i detenuti”. Siracusa: dallo sport un valido aiuto al processo di reinserimento La Sicilia, 14 luglio 2011 Lo sport varca i cancelli della casa di reclusione di contrada Piano Ippolito. Ciò in forza di un protocollo d’intesa che è stato sottoscritto nei giorni scorsi, tra il Coni e la direzione del carcere di Brucoli. Ha sottoscriverla è stato il direttore del carcere, Antonio Gelardi e Massimo Costa presidente Regionale Coni Sicilia. Il protocollo sancisce l’ampia collaborazione del Coni regionale e la scuola dello sport e formazione rappresentata da Giovanni Caramazza, con la Casa di Reclusione al fine di incentivare l’attività sportiva e implementare nuove strutture. “La formazione tramite lo sport - dicono i promotori dell’iniziativa - rappresenta un formidabile mezzo per il reinserimento del detenuto, cittadino nella società. La convenzione prevede un programma di mantenimento psico-fisico nella vita in carcere del detenuto per superare le tensioni che l’ambiente di costrizione può produrre”. Trampolino di lancio della convenzione sarà il primo corso di formazione della convenzione “sport è vita”, denominato “un brevetto di calcio per ricominciare”. Il corso sarà coordinato da Paola Cortese dell’istituto Ipsia di Siracusa, organizzato dalla delegazione provinciale della Figc del presidente Maurizio Rizza e dal delegato provinciale scuola federazione calcio Pino Maiori che guiderà questo progetto con l’amore la passione e la preparazione tecnico-sportiva che lo contraddistinguono. Droghe: la promessa ipocrita del “Piano di azione nazionale” di Giovanardi di Stefano Anastasia Il Manifesto, 14 luglio 2011 È soddisfatto, il sottosegretario Giovanardi: il suo “Piano di azione nazionale” ci starebbe liberando dalle droghe, rendendoci finalmente “liberi di essere”. Questa la sostanza della relazione annuale al Parlamento, ormai ridotta a una successione di slides, perfettamente adatte a evitare qualsiasi approfondimento. Nel Piano si ribadiva la solita litania, circa i propositi di depenalizzazione del consumo e di incentivazione delle alternative al carcere per i tossicodipendenti. Solo il giorno prima della diffusione della relazione governativa, Forum droghe, Cnca, Antigone e Società della ragione, avevano illustrato gli effetti della normativa voluta dal sottosegretario Giovanardi: l’ipocrita promessa della depenalizzazione e della decarcerizzazione copre la realtà che chiunque conosca il carcere e i tossicodipendenti può testimoniare, e cioè che gli uni senza l’altro non riescono a vivere. Ma il sottosegretario non ci sta: “Smentisco i dati forniti nel libro bianco”, avrebbe detto in conferenza stampa. A parte che le cifre fornite dal Libro bianco provengono da fonti ufficiali (Ministero dell’interno e Dap), vediamo i suoi di dati, se reggono le promesse, non dico della “libertà dalla droga”, ma almeno della vantata depenalizzazione e della decarcerizzazione dei tossicodipendenti. La relazione governativa affida il disegno delle sorti magnifiche e progressive della legge antidroga nel settore penale a tre dati: il calo degli ingressi in carcere a causa della sua violazione; la diminuzione dei detenuti tossicodipendenti e l’aumento degli affidamenti in prova loro riservati. 1. Nel 2010 sono entrati in carcere, in violazione del testo unico sugli stupefacenti, 26.141 persone, 2228 in meno dell’anno precedente. Bene. Se tariamo questo dato sul complessivo minor numero di ingressi in carcere nel 2010 rispetto al 2009, scopriamo che gli ingressi in carcere causati dalla legge anti-droga erano il 30,88% del totale nel 2009 e sono stati il 30,88% del totale nel 2010. 2. I detenuti tossicodipendenti sarebbero diminuiti di poco più di mille unità. Bene. Anche qui va fatta la tara sul minor numero di ingressi, e la relazione governativa la fa: i tossicodipendenti entrati in carcere sono effettivamente diminuiti dal 28,59 al 28,36% sul totale degli ingressi, e tanto basta ai prestigiatori ministeriali per arrotondare il dato del 2009 al 29, quello del 2010 al 28 e asserire così la diminuzione di ingressi tossici di un bell’1% tondo tondo. 3. Infine, nel 2009 i condannati in affidamento al servizio sociale in ragione della loro condizione di tossicodipendenza erano 2022, nel 2010 sono diventati 2526: un bel 24,9% in più. Bene. Spulciando però tra i dati statistici presenti sul sito del Ministero della giustizia (stessa fonte della relazione governativa), non è difficile rilevare che dal 2009 al 2010 le misure alternative alla detenzione sono aumentate del 37,41%, mentre gli affidamenti in prova in generale crescono assai di meno (del 34, 73%, comprendendovi, quindi, anche quei 2526 sbandierati da Giovanardi). Per una indagine seria sugli effetti della legge, e in particolar modo delle sue norme punitive e sanzionatone, servirebbero altri dati, che la relazione purtroppo non fornisce. Sappiamo però che i detenuti presenti in carcere con imputazioni derivate dalla legge sulla droga aumentano costantemente da tre anni a questa parte, in termini assoluti e percentuali: dai 22.727 del 2008 (pari al 39,10%) ai 27.294 del 2010 (pari al 40,16%). Insomma: quasi la metà dei detenuti è in carcere per aver violato la legge sulla droga. I tossicodipendenti in alternativa alla detenzione sono in rapporto di 1 a 10 con quelli che entrano in carcere nel corso di un anno. È proprio sicuro Giovanardi che la sua legge sia per la depenalizzazione del consumo e la decarcerizzazione dei tossicodipendenti e che tutto stia andando nel migliore dei modi? Non gli viene mai il dubbio che se si vuole ridurre stabilmente il disumano sovraffollamento penitenziario italiano non si possa prescindere dalla revisione della legge che porta il suo nome? Zimbabwe: ressa di condannati a morte, ma manca il boia Ansa, 14 luglio 2011 Almeno 55 condannati a morte in Zimbabwe aspettano la loro esecuzione capitale, il più vecchio da ben 13 anni: ma il governo non può fare eseguire le sentenze, perché non trova neanche un boia da ingaggiare. Lo afferma la senatrice Enna Chitsa, citata dal quotidiano governativo Herald. “L’impossibilità di trovare un boia fa sì che un uomo debba passare 13 anni in prigione, mentre vorrebbe subire subito la sentenza capitale”, ha detto la senatrice in un dibattito parlamentare: “lui dice che lo impicchiamo un po’ ogni giorno, perché sa che prima o poi finirà ucciso”. Un altro senatore, Morgan Femai, ha addirittura proposto che i condannati vengano graziati. L’ultima esecuzione nello Zimbabwe risale al 2004, e da allora il governo ha regolarmente pubblicato annunci sui giornali per trovare un boia. Nel dibattito parlamentare un’altra senatrice, Monica Mutsvangwa, ha deplorato il lamentabile stato delle stesse prigioni del Paese, dove i detenuti vengono mal nutriti e dormono su misere coperte, senza brande.