Giustizia: carcere come extrema ratio; il sistema penitenziario disegnato dalle associazioni Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Un gruppo di associazioni promuove un documento con le soluzioni per eliminare il problema del sovraffollamento, ribadendo la propria contrarietà al Piano carceri. Meno fondi (-10,4%), più detenuti: in Italia ce ne sono 147,3 ogni 100 posti (in Ue 96,6). Creare nuovi istituti di pena non serve e non basta, c’è bisogno di una riforma sostanziale del codice penale, che preveda il ricorso al carcere come “extrema ratio”. È netta la presa di posizione di un team di associazioni che si scaglia contro il recente Piano carceri, ribadendo l’accusa di inefficacia alle misure introdotte. Acli, Giuristi Democratici, Antigone, Beati i Costruttori di Pace, Cgil-Fp, Conferenza nazionale volontariato giustizia, magistratura democratica, Ristretti Orizzonti e Unione camere penali italiane hanno firmato il documento unitario “Sovraffollamento: che fare?” presentato oggi - cui hanno già aderito anche A Buon Diritto, Arci, Forum Droghe, per ribadire quella che, secondo loro, è la giusta strada da seguire. I numeri del sistema carcerario italiano sono noti: a fronte di 45.732 posti sono stipate 67.394 persone, con un rapporto di 147,3 detenuti ogni 100 posti, mentre la media europea è di 96,6. Il Piano carceri, dal canto suo, prevede la predisposizione di 9.150 posti, per un costo di 661 milioni di euro, ma i posti che mancano all’appello sono molti di più, oltre 14 mila. Inoltre, i tempi di realizzazione sono già più lunghi di quelli previsti: impossibile che si finisca nel 2012. Intanto, la legge “svuota carceri”, al 30 giugno 2011 ha fatto uscire 2.666 detenuti. E calano i fondi messi a disposizione, a fronte di un aumento dei reclusi: “Nel 2007, con una presenza media giornaliera di 44.587 detenuti, lo stanziamento era di 3 miliardi 95 milioni 506 mila euro - è riportato nel documento - . Per il 2010, che ha registrato una presenza media di 67.156 detenuti, lo stanziamento è stato di 2 miliardi 770 milioni 841 mila euro”. Risorse a quota -10,4%, detenuti a +50,6%. È una situazione precaria, tanto da far dire a un sindacato di polizia penitenziaria che nel prossimo futuro sarà un problema perfino il sostentamento dei detenuti. Se questo è il quadro, ecco il contro-piano: misure alternative, riduzione dei minimi e dei massimi delle pene, abolizione dell’ergastolo, revisione delle leggi in materia di recidiva, tossicodipendenza e immigrazione. L’utilizzo della custodia cautelare in carcere, che ingolfa gli istituti, è tra le priorità da affrontare: i detenuti in questa situazione sono 28.257, il 41,9% del totale, un dato ben al di sopra della media europea, che si ferma al 24,8%. Se l’Italia si adeguasse al trend delle altre nazioni, i detenuti scenderebbero a quota 55.861. Utile a decongestionare le carceri sarebbe anche l’introduzione di entrate scaglionate in relazione alla capienza per i reati meno gravi, come già accade in Norvegia. Tra le altre misure sollecitate dai promotori del testo c’è anche la chiusura dei 6 Opg, anch’essi sovraffollati, e l’istituzione del Garante nazionale. Nell’immediato, occorre “rendere almeno più decenti le condizioni di vita nelle carceri, intervenendo per rendere più umani i rapporti con le famiglie e garantendo un’effettiva tutela della salute”. Giustizia: contro sovraffollamento e recidiva, potenziare le misure alternative Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Appello delle associazioni. Dei 37.432 detenuti con condanna definitiva a fine 2010, il 29,9% aveva un residuo pena inferiore all’anno, il 63,8% inferiore ai 3 anni. In tutto 23.895 persone. Chiesta anche l’introduzione della messa alla prova per gli adulti. “L’applicazione delle misure alternative è l’unico strumento idoneo a garantire il recupero del detenuto e a evitare il rischio di recidiva”: per chi si interessa di carcere queste affermazioni non sono nuove, ma i tanti appelli al potenziamento di questa opzione finora sono andati deserti. Ecco perché il documento “Sovraffollamento: che fare?”, sottoscritto da molte associazioni attive in materia di carcere, dedica particolare attenzione alla questione. A supporto della loro tesi, i firmatari riportano alcuni dati: dei 37.432 detenuti con condanna definitiva a fine 2010 il 29,9% aveva un residuo pena inferiore all’anno, il 63,8% inferiore ai tre anni, per un totale di 23.895 persone. “Applicando una misura alternativa almeno alla metà di costoro, il numero dei detenuti scenderebbe a 55.446” spiegano. L’invito, dunque, è ancora una volta a un “utilizzo razionale” delle misure alternative. Ma perché ciò sia possibile devono essere soddisfatte precise condizioni. In primis, si deve ottenere un’accelerazione dei tempi di accesso, tramite una riduzione dei tempi di esecuzione delle sentenze definitive per le persone già in custodia cautelare e il potenziamento del Gruppo di osservazione e trattamento con la collaborazione degli enti locali, per garantire effettive opportunità a sostegno dei programmi di reinserimento. Parallelamente, si sollecita l’aumento delle risorse per programmi di reinserimento di alcune tipologie di soggetti, come i tossicodipendenti e le detenute madri, e l’accesso alle misure alternative nell’ultimo periodo di detenzione, per favorire un rientro “accompagnato” nella società. Nella stessa direzione va la proposta di introdurre la “messa alla prova”, frequente nel processo minorile, anche tra gli adulti. “Nel 2004, sotto un precedente governo di centro - destra, un testo simile vide il parere favorevole della Commissione giustizia della Camera e approdò all’esame dell’Aula - riferiscono le associazioni. Gli effetti sulla popolazione detenuta dipenderebbero dall’ampiezza con cui viene disegnato questo istituto”. Giustizia: abrogare la ex-Cirielli rivedere le norme su droghe e immigrazione Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Le richieste delle associazioni per ridurre il problema del sovraffollamento: abrogazione della legge ex-Cirielli sulla recidiva e revisione delle norme su droghe e immigrazione. Pesante il loro impatto sul pianeta carceri. Recidivi, immigrati, tossicodipendenti: la partita della riduzione del sovraffollamento si gioca su queste tre “categorie” di detenuti. Rivedendo le leggi in vigore in questi ambiti si potrebbe snellire il sistema carcerario italiano: ne sono convinte le associazioni firmatarie del documento “Sovraffollamento: che fare?” presentato oggi (vedi lancio precedente). La prima norma su cui si chiede di intervenire è la cosiddetta ex - Cirielli sulla recidiva, di cui si sollecita l’abrogazione. La norma, che risale al 2006, ha inventato la disciplina del “recidivo reiterato”, che “in realtà penalizza la stragrande maggioranza dei detenuti, condannati per reati di microcriminalità, spesso dovuti alla loro condizione di tossicodipendenti o di immigrati irregolari” spiegano i firmatari. Inasprimenti di pena, rifiuto delle attenuanti e delle misure alternative, aumento dei termini per i permessi premio, divieto di sospensione della pena sono alcune tra le misure introdotte. Gli effetti, in termini di sovraffollamento, non sono marginali: all’inizio del 2006, prima della legge, le persone in misura alternativa erano 23.394, nel giugno del 2011, a fronte della più alta presenza di detenuti di sempre, sono arrivate a 17.487. Se si tornasse ai numeri del 2006 i detenuti diventerebbero 61.487. La legge Fini - Giovanardi sulle droghe è la seconda norma sul banco degli imputati: dalla sua entrata in vigore le persone in affidamento terapeutico sono passate da 3.852 a 2.606. Se si tornasse alla situazione del 2006 il numero dei detenuti scenderebbe a 51.658. Alla luce di queste stime, le richieste dei promotori sono articolate: ridefinizione delle tabelle e depenalizzazione dell’uso personale, drastica riduzione delle pene per lo spaccio di droghe leggere, rimozione del limite a due concessioni dell’affidamento terapeutico, abrogazione dell’obbligo per il Ser.T. di denunciare ogni violazione del programma terapeutico. “Tutto ciò in vista dell’estensione di percorsi riabilitativi alternativi al carcere, per i quali è necessario un forte impegno degli enti locali”. Anche in materia di immigrazione le associazioni hanno le idee chiare. In dieci anni la popolazione detenuta è cresciuta del 117%, soprattutto per l’ingresso di detenuti stranieri: gli italiani sono passati da 30.104 a 43.162, gli immigrati da 5.365 a 24.232, diventando il 35,9% dei reclusi, contro la media europea dell’11,5%. Questo è dovuto anche all’impossibilità di accedere alle misure alternative: i detenuti stranieri beneficiari a fine 2010 erano solo 1.926 sul totale di 15.762 (il 12,2%). “Se ci allineassimo alla media europea il numero dei detenuti scenderebbe a 50.949” si riferisce nel documento, in cui si accetta la previsione del rientro nel paese di origine come “misura alternativa” solo su richiesta dell’interessato e in caso di residuo pena di 3 anni. Giustizia: Md; giudici facciano obiezione coscienza, per non mandare altra gente in carcere Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Avvocati, magistrati e associazioni uniti nel denunciare l’inferno delle carceri. Spigarelli (Unione camere penali): “Sciopero della fame a staffetta per tutta l’estate”. Morosini (Magistratura democratica): “Se il Parlamento non provvede, obiezione di coscienza: i giudici si astengano dal mandare in carcere”. Avvocati penalisti, giudici penali, magistrati e associazioni che operano nelle carceri, per la prima volta uniti nel denunciare le condizioni infernali delle carceri italiane, che peggiorano sensibilmente durante l’estate. Ma anche per proporre una depenalizzazione per i reati con condanne inferiori ai tre anni. “C’è una larghissima condivisione da parte di chi nel carcere opera dall’interno, è un dato politico importante” ha affermato Valerio Spigarelli (Unione camere penali), nell’ambito della conferenza stampa “Sovraffollamento: che fare?”, coordinata dall’associazione Antigone. “Il tema del carcere è un’emergenza nazionale e patologica - ha continuato l’avvocato. Noi abbiamo anche aderito all’appello e alla lotta non violenta di Marco Pannella, i nostri associati continueranno a fare la staffetta dello sciopero della fame nel corso dell’estate che per le carceri è la stagione peggiore. Il documento congiunto indica come prima questione quella dei numeri: oltre 60 mila detenuti è un numero insostenibile, non garantiamo lo spazio minimo vitale”. Altro problema affrontato è quello delle misure cautelari in carcere. “Il 42% dei detenuti sono in custodia cautelare, il sistema carcerario di riempie di imputati che non sono condannati - ha spiegato Spigarelli - . Una vasca che si riempie in continuazione a ogni emergenza sicurezza. Evitiamo di introdurre nuove norme di custodia cautelare obbligatoria, dichiarate già incostituzionali dalla Consulta. C’è un problema che non riguarda solo le norme processuali ma riguarda anche il codice penale”. Per quanto riguarda le proposte, c’è la messa alla prova del giudizio minorile che può essere esportata per gli adulti. “C’è un’altra questione importante per gli avvocati - ha sottolineato il presidente dell’Ucpi - noi verifichiamo una significativa diversità delle misure alternative a seconda della geografia. La questione non è solo nord - sud. Sono le misure alternative che vanno applicate in maniera più omogenea”. Anche il giudice penale Piergiorgio Morosini di Magistratura democratica ha portato la sua esperienza: “Quotidianamente per dovere siamo portati a infliggere la condanna alla detenzione, ma anche quando siamo di fronte al delinquente più incallito, quell’ordine di mandarlo in carcere deve portare al reinserimento dopo la pena”. Morosini ha sottolineato la gravità di mandare i condannati in prigioni degradate. “Noi magistrati dobbiamo iniziare a pensare a forme di obiezione di coscienza se non si risolve la questione delle carceri - ha dichiarato. Sulle misure di custodia cautelare in carcere, diciamo che le leggi degli ultimi tre anni hanno obbligato a mandare in carcere le persone prima del processo, i pacchetti sicurezza hanno esteso la carcerazione obbligatoria. Con le condizioni del carcere in questo momento otteniamo un risultato opposto. Produciamo un effetto criminogeno, il detenuto aumenterà la sua caratura delinquenziale in carcere. Di fronte a questa situazione, se non intervengono rimedi da parte della politica, alla coscienza del giudice penale resta una sola strada: astenersi dal mandare in carcere, ce lo impone l’etica della nostra costituzione che vieta trattamenti inumani”. L’associazione Antigone per bocca di Giuseppe Mosconi ha sottolineato la “profonda crisi che lo strumento penale sta attraversando e l’incapacità di rispondere alle sue funzioni stabilite dalla Costituzione, come la rieducazione, che è fallita nel momento in cui il 70% dei reclusi sono recidivi reiterati”. Il rapporto indica che Ex cirielli, Bossi-Fini e Fini-Giovanardi sono le leggi simbolo del destino penitenziario. “Vanno riaffrontate e destrutturate lì dove è evidente il loro potenziale carcerogeno” - ha detto Mosconi - proponiamo misure a costo zero come la messa alla prova prima della condanna, così come avviene nel processo penale minorile. L’istituzione del garante nazionali dei diritti dei detenuti. Entrare in carcere solo se ci sia la possibilità di una pena che segua il dettato costituzionale”. Giustizia: Palamara (Anm); bisogna procedere a una depenalizzazione ragionata Redattore Sociale, 13 luglio 2011 L’intervento del presidente dell’Associazione nazionale magistrati alla conferenza sul sovraffollamento nelle carceri. “Il processo lento e il problema delle carceri affliggono la giustizia, il Parlamento non perda tempo a occuparsi di cose ininfluenti” L’Associazione nazionale magistrati (Anm) si schiera a favore di una depenalizzazione dei reati minori per fare fronte all’emergenza del sovraffollamento e delle condizioni disumane delle carceri italiane. Lo ha detto il presidente dell’Anm, Luca Palamara, nell’ambito della conferenza stampa sul tema coordinata dall’Associazione Antigone che opera per i diritti dei detenuti. “Chiamiamo la politica alle sue responsabilità, la condanna alla pena non significa condanna al degrado - ha dichiarato - servono misure alternative alla detenzione, favorire la detenzione domiciliare con pene inferiori a un anno. Togliere il carcere per reati che non determinano allarme sociale”. Secondo il presidente dell’Anm “il carcere non può essere una risposta a qualunque devianza marginale, è da tempo battaglia dell’Associazione nazionale magistrati quella di procedere a una ragionata depenalizzazione”. Palamara ha sottolineato che “molti sono in carcere per reati legati all’immigrazione o alla tossicodipendenza. Riteniamo di non condividere il tema dell’edilizia carceraria, bisogna invece incrementare le misure alternative. Recentemente un provvedimento ha fatto riferimento alle pene brevi, anche su questo tema riteniamo che il principio introdotto debba portare all’affermazione che le pene brevi e quelle residuali devono essere espiate fuori dal carcere, queste sono tutte misure a costo zero”. Sono questi i veri problemi della giustizia, ha ribadito il presidente Anm. “Il tema delle carceri è stato riproposto e collegato al problema dell’amnistia con lo sciopero della fame di Marco Pannella - ha continuato. Il problema è vero e reale, il processo lento e il problema delle carceri affliggono la giustizia e in questi anni sono stati trascurati, si è parlato di altro. Si devono affrontare i problemi reali, mettendo da parte le polemiche sterili. Il parlamento non perda tempo a occuparsi di cose ininfluenti, si occupi di cose importanti, tra cui il carcere”. Palamara ha anche voluto soffermarsi sul fatto che “per la prima volta allo stesso tavolo siedono i rappresentanti della magistratura italiana e degli avvocati penalisti. Questo è un segnale di attenzione, anche all’interno della magistratura il problema del carcere è sentito”. Giustizia: nelle celle spazi disumani, in 18 regioni legge violata di Ilaria Sesana Avvenire, 13 luglio 2011 In 18 regioni su venti il numero di detenuti presenti supera (in alcuni casi quasi del doppio) la capienza regolamentare. Le carceri campane, ad esempio, sono state progettate per ospitare 5.593 persone e invece ne accolgono 8.061, in Lombardia ci sono 9.503 reclusi per 5.652 posti, in Puglia 4.486 detenuti per 2.492 posti. Complessivamente nei penitenziari italiani ci sono 67.394 persone, stipate in spazi pensati per 45.732. Parte da questi numeri (ma non solo) la denuncia lanciata oggi a Roma, durante una conferenza stampa, da associazioni, avvocati e magistrati: “Gli istituti penitenziari italiani versano in condizioni disumane, destinate a peggiorare durante il periodo estivo”. In mattinata, durante una conferenza stampa, verrà presentato il documento “Sovraffollamento: che fare?” alla cui stesura hanno contribuito varie realtà tra cui Acli, Antigone, Associazione nazionale giuristi democratici, Cgil - Fp, Ristretti Orizzonti, Magistratura democratica e Unione delle Camere Penali. “Se si guarda ai numeri, la situazione è abbastanza simile a quella dell’estate 2010 - spiega Alessio Scandurra di Antigone - . La differenza è che lo scorso anno c’era la speranza che alcuni provvedimenti annunciati dal governo, come la cosiddetta legge svuota carceri, potessero migliorare le condizioni di vita”. Altro elemento che contribuisce ad aggravare la situazione è che quest’anno si percepisce ancora più dolorosamente il taglio di fondi destinati al carcere. Il caso forse più drammatico è quello della Dozza di Bologna dove, dal prossimo autunno, non ci saranno più i soldi necessari per fornire i pasti ai detenuti. Per contrastare il sovraffollamento non serve costruire nuove carceri, ma mettere in atto una riforma sostanziale del Codice penale “che promuova una drastica riduzione delle fattispecie di reato e delle pene e il ricorso al carcere come extrema ratio”. La prima richiesta è di limitare l’utilizzo della custodia cautelare in carcere: attualmente 14.148 persone si trovano dietro le sbarre in attesa del primo grado di giudizio. E se si sommano gli appellanti e i ricorrenti in Cassazione si arriva a 28.257. “Inltaliail41,9% della popolazione penitenziaria è in attesa di giudizio - commenta Scandurra - mentre la media europea è del 24%. Se ci allineassimo alla media europea ci sarebbero 10 - 15mila detenuti in meno”. I firmatari dell’appello chiedono poi di abrogare la cosiddetta “ex-Cirielli” che ha inasprito le pene per i recidivi e di rivedere la “Fini - Giovanardi” in materia di stupefacenti. “Circa il 33% dei detenuti sono tossicomani. Si parla di circa 22mila persone e la maggior parte di loro sono consumatori che, per procurarsi la dose, hanno commesso piccoli reati - dice Luigi Manconi, presidente di “A buon diritto” onlus. Devono avere come destinazione il carcere o i percorsi terapeutici, peraltro previsti dalla legge, peraltro sempre meno utilizzati?”. L’elemento su cui si insiste con maggior forza è una maggiore e più rapida applicazione delle misure alternative: circa il 60% dei detenuti definitivi ha una ha una pena o un residuo di pena inferiore a tre anni, l’utilizzo razionale di queste misure consentirebbe di evitare il carcere o di liberare migliaia di soggetti. “Le alternative sono lo strumento più coerente rispetto al mandato costituzionale e le più efficaci per abbattere la recidiva. Che resta al 68% per chi sconta tutta la pena in carcere”, puntualizza Manconi. Servirebbe anche un pò di coraggio, aggiunge “per introdurre nel nostro ordinamento la messa alla prova anche per gli adulti, un provvedimento che nel nostro codice è previsto solo per i minori. Non così negli Usa e in Gran Bretagna, dove dà buoni risultati”. Accanto a queste proposte “di ampio respiro” l’associazione Ristretti Orizzonti di Padova presenta anche una serie di “Proposte minime” per la riduzione del danno da sovraffollamento. “Con il caldo si vive in condizioni disumane - dice Ornella Favero - per migliorare un po’ questa situazione, chiediamo di tenere i blindi aperti 24 ore su 24, favorire la ventilazione e dare ai detenuti la possibilità di usufruire di un’ora d’aria in più al giorno”. Tra le altre proposte per migliorare la vivibilità delle carceri l’autorizzazione all’acquisto di frigoriferi da installare nelle celle e l’accesso dei volontari almeno fino alle 18. Giustizia: il ministro Vito; suicidi non dovuti al sovraffollamento, piano carceri va avanti Agv News, 13 luglio 2011 “Le condizioni di sovraffollamento, per quanto penose, non hanno un’incidenza diretta sul fenomeno dei suicidi. Dall’analisi dei dati statistici emerge, infatti, un incremento del numero dei suicidi direttamente proporzionale all’aumento della popolazione detenuta: dai 42 casi registrati nel 2008, si è passati ai 58 del 2009 ed ai 63 del 2010. Dall’inizio del 2011, i gesti suicidari sono stati 34”. Lo dichiara il ministro per i Rapporti col Parlamento Elio Vito, replicando a un’interrogazione del Pd sulla situazione nelle carceri italiane. “Quanto al piano carceri - ha proseguito il ministro - continuano ad evolversi in senso positivo gli interventi studiati dal Governo per affrontare la difficile realtà carceraria presente nel Paese: il 15 marzo è stata firmata l’intesa con la Regione Lombardia per la realizzazione dei padiglioni in ampliamento degli istituti di Milano Opera, Busto Arsizio e Bergamo; il 16 maggio è stata firmata l’intesa con la Regione Emilia Romagna per la realizzazione degli interventi di ampliamento, per complessivi 1.000 posti, negli istituti penitenziari di Bologna, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Piacenza (questi ultimi già appaltati); l’8 giugno, infine, sono stati firmati i decreti per la realizzazione dei padiglioni in ampliamento degli istituti penitenziari esistenti”. “Il ministero della Giustizia - ha proseguito Vito - segnala, peraltro, che con i fondi destinati all’edilizia penitenziaria, sono stati ultimati i lavori dei nuovi istituti di Oristano e Tempio Pausania, mentre i lavori relativi alle nuove strutture di Cagliari e Sassari dovrebbero concludersi nel mese di ottobre. Inoltre, sono in fase di ultimazione i padiglioni detentivi di ampliamento degli istituti di Cremona, Modena, Terni, Voghera, Palermo Pagliarelli e Biella. Passando - ha concluso il ministro - alle problematiche relative agli ospedali psichiatrici giudiziari, il ministero comunica che è tuttora in corso il programma di dimissione dagli Opg degli internati dichiarati dimissibili, ma per i quali il ricovero è stato prorogato, in mancanza di una presa in carico all’esterno. I motivi di un tale rallentamento devono, invero, essere ricercati nella natura stessa del programma in questione, essendo richiesto per il completamento di siffatta, complessa operazione che sia acquisita l’assunzione di responsabilità diretta da parte delle Regioni, nel cui territorio sono residenti gli internati”. Giustizia: Bernardini (Ri); 3,8 € al giorno per il vitto di un detenuto, come è possibile? Ansa, 13 luglio 2011 “Vorrei presentare un’interrogazione su una questione che andrebbe chiarita: quella delle cucine delle carceri. Sembra che l’appalto sia stato vinto da una sola ditta per tutta Italia che, con 3,8 euro, fornisce a ogni detenuto colazione, pranzo e cena. Come fanno non si sa... avranno qualche santo...”. Così la deputata radicale Rita Bernardini è intervenuta alla conferenza sulla vicenda di Ismail Ltaief, “nuovo caso Cucchi del carcere di Velletri”. “Il guadagno di questa ditta appaltatrice - ha detto Bernardini - starebbe nei prodotti venduti all’interno delle carceri, alimentari e non, che hanno prezzi di molto superiori a quelli di un normale supermercato. I detenuti e le loro famiglie si svenano per acquistarli”. Giustizia: Confsal-Unsa; per carceri e tribunali occorre valorizzare le risorse umane Italia Oggi, 13 luglio 2011 Carceri e tribunali rappresentano settori cruciali per tutto il sistema paese. Malgrado ciò molte delle loro criticità non sono state ancora risolte. Incontriamo il segretario generale della federazione Confsal-Unsa, Massimo Battaglia, con il quale cercheremo di capire quali sono i problemi che affliggono questo settore che si ripercuotono tanto sulla collettività quanto sulla stessa attività dei lavoratori. Cosa ne pensa segretario, dell’emergenza carceri? Sono almeno 15 anni che in questo periodo estivo si parla di emergenza del mondo penitenziario. Il sovraffollamento, unito alle condizioni climatiche, mettono in scacco, anno dopo anno, la capacità di tenuta di tutto il sistema dell’esecuzione intramuraria. Aumentano i suicidi dei detenuti e aumentano le tensioni interne che mettono a rischio la sicurezza degli istituti. Cose purtroppo note, ma a cui la politica ancora non è stata in grado di dare una risposta. Non è un problema solo di edilizia penitenziaria, naturalmente. È invece un problema di come si intende il carcere oggi e delle risorse reali che si mettono in campo. Mantenere questo stato di crisi, o pensando di risolvere i problemi solo con misure momentanee come l’indulto (che rappresenta un fallimento della capacità rieducativa dello stato), significa pensare che il carcere sia una vera e propria discarica da tenere lontano da sé, invece che essere una realtà sociale che coinvolge tutti e che merita un’attenzione anche con investimenti. Una delle strade, inoltre, è quella di potenziare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, da cui scaturiscono bassi indici di recidività. Ma il governo si è impegnato per affrontare direttamente il problema degli istituti penitenziari con il piano carceri. Cosa ne pensa? Guardi, ho appreso con soddisfazione l’iniziativa del governo riguardo al piano carceri presentato dal ministro della giustizia Alfano. Purtroppo devo constatare che i risultati positivi non si vedono, anche per la scarsezza delle risorse economiche che la politica di austerità del governo ha imposto a tutte le amministrazioni, compresa quella della giustizia. Questo trend è confermato dalla recente manovra di stabilizzazione finanziaria che non assegna fondi al pianeta penitenziario. Alla lentezza delle procedure per costruire un nuovo carcere (si parla di anni), si affianca un’errata politica del personale. Per esempio per mancanza di risorse umane il nuovo carcere di Rieti lavora a regime ridotto: ci sono 150 detenuti su una disponibilità di 450 posti; sono attive tre sezioni detentive su 11 previste. Manca, ed è drammatico, un serio piano di assunzioni per supplire alla carenza di personale amministrativo - contabile, tecnici, educatori e assistenti sociali. La risposta della parte pubblica in questi anni è allarmante: per due volte si è ridotta del 10% la pianta organica. Mi sembra qui che più di miopia si debba parlare di cecità. Davanti a questa emergenza che sembra continua, come si pone il personale “civile”? La Confsal-Unsa è intervenuta più volte rispetto alla grave e intollerabile carenza organica che deprime ogni, ripeto ogni, professionalità. In alcuni casi limite, abbiamo un educatore ogni 300 detenuti. Mi dica lei come è possibile, in questa situazione, dare attuazione al dettame costituzionale che orienta la pena alla rieducazione del reo, che presuppone un rapporto costante con gli operatori penitenziari, che però non esistono per via della carenza di personale. Ciò mortifica l’attuazione concreta di uno degli ordinamenti penitenziari che sulla carta è tra i migliori al mondo. Sulla carta però. Quali sono gli interventi che un’organizzazione sindacale può intraprendere in questa situazione? Come sindacato abbiamo il mandato di proporre azioni volte al miglioramento della condizione dei lavoratori. Una delle risposte pratiche, in questa situazione, è quella di aumentare gli organici, pur in una cornice di miglioramento della produttività individuale; il che è esattamente l’opposto rispetto alla cieca tendenza attuata dal governo che prevede una forte limitazione del turn over. L’amministrazione penitenziaria paga questa scelta ogni anno con un depauperamento di risorse umane: per pensionamenti escono dal ciclo produttivo, senza essere rimpiazzate da nuove leve, molte unità nel settore amministrativo e del servizio sociale. Dall’ultimo consiglio generale della Federazione Confsal-Unsa del 7 luglio, riunitosi per valutare le iniziative da adottare a seguito della manovra di stabilizzazione finanziaria, è emersa la richiesta di eliminare dalla manovra le norme che rallentano ancora il turn over. Inoltre, abbiamo chiesto l’assunzione degli idonei in graduatoria dell’ultimo concorso da educatori. Purtroppo, il governo non ha dato risposta. Quali saranno le iniziative che la Confsal-Unsa prenderà qualora il governo continuerà a non realizzare interventi risolutivi nel settore penitenziario? La mia Federazione ha dimostrato senso di responsabilità per evitare ulteriori disagi alla già grave situazione delle carceri italiane. Tradotto: alla piazza e alla tensione sociale abbiamo preferito il confronto e il dialogo. Cosa, non trascurabile, che ha portato anche risultati concreti e positivi per il personale, tra cui la sottoscrizione, dopo 10 anni, del nuovo contratto integrativo. Ciò non toglie che la gravità dei problemi, anche per il personale stesso, è tale che una inerzia da parte sindacale non è neanche immaginabile. Al contrario, le dico che a sostegno delle rivendicazioni del nostro coordinamento per il settore penitenziario, siamo pronti a presentarci compatti con diverse iniziative, comprese quelle che prevedono manifestazioni pubbliche, qualora le nostre rivendicazioni rimangano inascoltate. E siccome siamo convinti che affrontare i problemi del personale penitenziari dare risposte ai problemi del sistema carcere nel suo complesso, crediamo che la nostra battaglia sia - importante anche per gli interessi generali della società. Segretario, dopo aver parlato di carcere, apriamo il capito relativo al mondo giudiziario. Procure, tribunali, corti d’appello, uffici esecuzioni penali... quale è la situazione del pianeta giustizia in Italia? Purtroppo anche su questo versante, come l’evidenza ci dimostra ogni giorno, la situazione non è rosea. I tempi dei processi sono da barzelletta, se non fosse una cosa molto seria. Una giustizia celere, certa ed equa è un diritto di ogni cittadino. Offrire un sistema giudiziario efficiente è un dovere primario di ogni stato. Invece di anno in anno si aggrava il carico di lavoro pendente (gli arretrati), sia civile che penale. Per questo siamo in attesa dell’applicazione delle riforme, successive alla stipula del nuovo contratto collettivo integrativo per il personale, che il ministero della giustizia deve prendere. Come vede l’attivazione del processo telematico in Italia? In linea puramente teorica è un fatto totalmente positivo. Ma io sono abituato a lavorare sul campo ogni giorno e a verificare la distanza che spesso c’è tra i grandi proclami e la loro attuazione pratica. Se il processo telematico funzionerà verranno accorciati i tempi della giustizia, a oggi vergognosi. Ma gli effetti positivi della sua introduzione ci potranno essere solo se verrà informatizzata tutta la procedura, dall’alfa all’omega. Vale a dire che tutti gli operatori, dalla più piccola stazione dei carabinieri alla più piccola cancelleria italiana, sapranno compilare e gestire la denuncia e gli atti giudiziari informatici. È una innovazione dei processi lavorativi, e necessita di formazione per i lavoratori in servizio e di apertura ai giovani che hanno dimestichezza con le procedure informatiche. Non fare questo significa far abortire il processo telematico e sarebbe un’occasione persa. Le recenti disposizioni in materia finanziaria, prevedono qualche cosa per affrontare la crisi del pianeta giustizia? Qualcosa c’è. L’art. 37 del di 98/11 reca disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario. C’è un’apertura per esempio a personale esterno: si dà la possibilità ad esempio ai tirocinanti della pratica forense di svolgere un’attività in regime di convenzione con gli uffici giudiziari, senza oneri per la finanza pubblica. Questo non basta, perché la giustizia ha bisogno di risorse economiche da investire nel sistema, per facilitare il lavoro del personale. Risorse significa formazione e significa dotazioni strumentali. Una quota dei maggiori introiti derivati dall’aumento del contributo unificato devono essere indirizzati verso la politica del personale. Inoltre proprio per valorizzare il personale, abbiamo chiesto da tempo che il Fondo unico giustizia, costituito anche dai sequestri alla mafia, sia utilizzato in parte per il personale. Per fare questo però c’è bisogno di un atto legislativo, non basta un accordo sindacale. È necessaria la volontà politica di investire sul personale. Il ricorso a risorse esterne è essenziale per migliorare il livello del servizio dell’amministrazione giudiziaria? Non ho mai pensato che il livello del servizio offerto dalla p.a. dipenda dall’uso di risorse esterne piuttosto che interne. L’equazione pubblico uguale inefficiente non mi vede d’accordo. Semmai, è la cultura lavoro, o il senso civico, che fanno la differenza tra la nostra realtà e quella di alcuni paesi del nord Europa. Ma anche da noi sono straordinarie le risorse interne e pubbliche che l’amministrazione ha a disposizione. Solo che manca il coraggio di metterle alla prova. Noi invece crediamo nel personale, e nell’opportunità di trasformare le eccellenze interne in elementi funzionali alla crescita dell’amministrazione; per questo già nel 2000 abbiamo proposto un accordo contrattuale in virtù del quale alcune figure professionali avrebbero potuto coadiuvare i magistrati per attività para - giurisdizionali. Purtroppo innovazioni di tale portata necessitano di dosi di coraggio che non sempre si riscontrano nella controparte pubblica. Come vede il futuro della giustizia in Italia? Ritengo che il sistema giustizia sia ancora ingessato e farraginoso. I processi civili e penali sono garantiti, ma solo formalmente. La loro lungaggine ne pregiudica il senso. Il personale soffre di carichi di lavoro non più sopportabili, e al tempo stesso sta scemando l’orgoglio di appartenere al sistema giudiziario italiano. Al contrario, fino agli anni 90, lavorare per il l’organizzazione giudiziaria era un vanto, tanto che veniva riconosciuta anche un’indennità specifica per le funzioni svolte. Oggi, a seguito di persistenti politiche di appiattimento tra il personale pubblico, si stanno invertendo anche i flussi della mobilità tra amministrazioni. Prima c’era la coda per entrare nei tribunali, oggi sembra esserci una voglia di esodo. È il segno di un disagio che la politica non può trascurare e che il sindacato ha il dovere di esprimere, specie se è il primo sindacato del ministero della giustizia per numero di iscritti come è la Confsal-Unsa. Solo se saranno prese misure che hanno al centro la politica del personale e la sua valorizzazione potrò pensare a un giustizia di domani migliore di quella di oggi. Lettere: urgente sostenere recupero dei detenuti e lavoro penitenziario di Nicola Boscoletto (presidente Consorzio di cooperative sociali Rebus) Avvenire, 13 luglio 2011 Le proteste e il malumore che si vanno diffondendo nel mondo carcerario impongono una riflessione in profondità e interventi urgenti. L’esperienza di vent’anni di attività a contatto con questo pezzo di società, di cui ci si ricorda a corrente alternata, mi suggeriscono alcune considerazioni e proposte. 1) L’albero si vede dai frutti, e i frutti oggi sono, per la quasi totalità, immangiabili. Il mondo carcerario è un albero ormai vecchio, trascurato e abbandonato da trent’anni. Prendersela con l’ultimo arrivato o pensare di non c’entrare è un atto di grande irresponsabilità. La trascuratezza materiale è conseguenza di una trascuratezza ben più grave che è la perdita del senso, del significato di tale “istituto” e cioè della “correzione”. Allora si capisce quale rivoluzione porterebbe alla società il tornare a considerare l’errore e la relativa correzione come l’unica vera fonte di una crescita umana personale e sociale, con una ricaduta di benessere per tutto il Paese. 2) Viviamo nella società del “tutto subito”. Ogni cosa vera, solida ha bisogno di un tempo e di una certa cura. Un bambino, per nascere, ha bisogno di 9 mesi. Chi pianterebbe un albero, una coltivazione, per avere il primo raccolto dopo 10 anni, se non fosse certo che dall’undicesimo anno inizia a guadagnare una cifra tale che gli permette sia di pagare ogni anno una parte dei debiti, sia di guadagnare per poter vivere? Perciò prima si investe economicamente nel mondo carcerario, prima guadagniamo in sicurezza sociale e in risparmio economico. 3) È necessario superare filoni di pensiero artificiosi, come quelli che oppongono giustizialisti e buonisti, costringendo la società a decidere sotto la pressione di “scariche emotive” che spesso portano a scelte irrazionali. Oggi più che mai sono necessarie persone di ogni ordine, grado e schieramento politico, che con coraggio sostengano ciò che veramente è buono e utile per il Paese. L’invito pertanto è il seguente. Ritornare a agire secondo ragionevolezza e lungimiranza, abbandonando interessi e visioni personalistiche. Mettersi tutti insieme, forze politiche, sociali ed economiche, per dare una risposta concreta ai problemi del carcere, sostenendo tutte le iniziative che vanno in questa direzione, segno di una riconquistata dignità della persona e pertanto della nostra società. Sostenere il lavoro penitenziario, pilastro del trattamento e del recupero delle persone detenute, sia nell’immediato rifinanziando la legge Smuraglia, sia approvando il disegno di legge presentato alla Camera e al Senato in materia di lavoro penitenziario. Non rimandare ulteriormente la soluzione dei problemi legati al sovraffollamento, alla salute dei detenuti, all’incremento, cura e formazione del personale dell’amministrazione penitenziaria. Per molti di questi interventi non servono soldi, basta solo la buona volontà, e laddove occorrono finanziamenti basta sbloccare immediatamente, ad esempio, i 100 milioni di euro della Cassa ammende sottratti al lavoro penitenziario a favore dell’edilizia carceraria. Palermo: il Garante; al “Pagliarelli” due decessi in quattro giorni… sono davvero troppi Ristretti Orizzonti, 13 luglio 2011 Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, su decessi al Pagliarelli: “È impensabile che in carcere si debba morire per la scarsa assistenza sanitaria o per la disattenzione dei medici”. Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, a seguito dei decessi avvenuti presso la C.C. di Palermo Pagliarelli. “Un infarto annunciato e uno sciopero della fame mal gestito hanno determinato gli ultimi eventi luttuosi evitabili se i sanitari avessero prestato maggiore attenzione ai segnali che spesso i reclusi lanciano e che, ancora più spesso, rimangono inascoltati. Sono certo, ha proseguito il Sen. Fleres, che la Direzione, alla quale vanno i segni della mia stima, farà il possibile per fare luce su quanto accaduto. Per quanto mi riguarda porrò in essere tutti gli strumenti che la legge consente al Garante di utilizzare in tali tristi circostanze. Intanto - ha concluso il Sen. Fleres - per protestare contro l’immobilismo della Regione, che dopo oltre 3 anni non ha ancora recepito il decreto che prevede il trasferimento della sanità penitenziaria al SSN, ho ritirato il rappresentante dell’Ufficio del Garante dal tavolo tecnico istituito presso l’Assessorato regionale alla Sanità che avrebbe dovuto garantire tale passaggio”. Bologna: sovraffollamento, condizioni sanitarie e tagli, la Dozza rischia di esplodere La Repubblica, 13 luglio 2011 Non solo sovraffollamento. Non solo problemi igienici e sanitari, celle che scoppiano, detenuti tossicodipendenti e con problemi psichiatrici, carenza di agenti: da ottobre, al carcere “Dozza”, anche i pasti saranno a rischio. Lo striminzito budget di 60mila euro a disposizione della direttrice Ione Toccafondi, rischia di non riuscire a coprire le spese per il cibo dal prossimo autunno. La denuncia è arrivata da Virginio Merola che ieri, assieme al Presidente della Commissione diritti umani del Senato Pietro Mercenaro (Pd) e i parlamentari Rita Ghedini e Donata Lenzi (Pd) e Massimo Palmizio (Pdl), ha visitato l’istituto penitenziario bolognese. E non ha nascosto “l’imbarazzo per un amministratore pubblico” nel vedere un mondo al contrario: “Un gruppo di detenuti ha chiesto semplicemente che le leggi siano rispettate. Insieme all’assessore Amelia Frascaroli, con le scarse risorse che abbiamo a disposizione, cercheremo forme di sostegno per i percorsi di reinserimento e per intervenire sull’emergenza all’interno del carcere”. Il sindaco ha poi parlato di provvedimenti più netti: “Verificherò se ci saranno gli estremi per un’ordinanza sindacale”, simile a quella firmata nel 2007 dall’allora primo cittadino Sergio Cofferati, dove si denunciava la necessità di intervenire sulle pessime condizioni igienico - sanitarie della struttura, oltre a disporre disinfestazioni da blatte e derattizzazioni. Per il senatore Pietro Mercenaro, a Bologna come in tante altre carceri italiane avviene “una sostanziale violazione dei principi fondamentali e della dignità delle persone”, soprattutto a causa di un “drammatico taglio delle risorse”. “Serve un maggior utilizzo delle misure di pena alternative oltre a un miglioramento delle condizioni di reinserimento dei detenuti nella società”, aggiunge Elio Palmizio. E poi c’è il problema della carenza di agenti di polizia penitenziaria, poco più di trecento a fronte di una richiesta di cinquecento unità: “Sono uno per ogni sezione. Significa che ogni agente ha in custodia 75 detenuti”, conclude. Per la senatrice Rita Ghedini “è necessaria una riflessione in chiave meno ideologica sulla funzione della pena”. E a margine dell’incontro, ha parlato dell’intenzione di “un gruppo di detenuti di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e chiedere un risarcimento danni. Soldi che donerebbero proprio al carcere”. Un precedente importante risale al 2009, quando Strasburgo condannò l’Italia a pagare mille euro a un ex detenuto bosniaco che aveva trascorso due anni nel carcere di Rebibbia. Il coro ieri è stato unanime: “Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica”. E Merola ha citato l’inchiesta video dell’associazione universitaria Progrè, che con il lavoro “Se tu vivessi in cella” ha chiesto alla gente “comune” cosa sa del pianeta carcere, confermando “una forte differenza tra le condizioni di vita negli istituti e la percezione delle persone”, come racconta Roberto, uno dei ragazzi dell’associazione. Reggio Emilia: appello per la chiusura degli Opg… un buco nero che va sanato Redattore Sociale, 13 luglio 2011 “Gli Opg sono luoghi di custodia, dove non ci sono le condizioni per curare”. Lo dice Matteo Sassi, assessore comunale alle Politiche sociali di Reggio Emilia. Ecco perché bisogna chiuderli. L’alternativa? “Creare strutture sul territorio” Chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari. È l’appello che arriva dalla campagna Stop Opg. Ma come? La loro abolizione è possibile solo a livello nazionale: è il governo che dovrebbe adottare una politica di questo tipo. Ciò che si può fare a livello territoriale è investire su reti, servizi e solidarietà. Ne è convinto Matteo Sassi, assessore alle Politiche sociali del Comune di Reggio Emilia. “Gli Opg sono il buco nero del nostro ordinamento giudiziario che va assolutamente sanato - dice - ma per farlo è necessario aprire altre realtà e fare un lavoro forte sul piano della territorialità: l’unica alternativa è creare piccole realtà sul territorio che diano risposte in termini di sicurezza alla comunità e di cura per la persona”. Non mancano esempi sul territorio regionale, come, ad esempio, il caso di Castrocaro Terme. La territorialità, quindi, è la chiave di volta. E invece in Italia ci sono 6 Opg su tutto il territorio nazionale che ospitano attualmente circa 1.400 persone. L’Opg di Reggio Emilia è stato creato per accogliere 132 persone, ma, come afferma Sassi, “oggi ne ospita oltre 300”. La ragione di questo sovraffollamento? “Il bacino di utenza formale sarebbe Emilia-Romagna, Veneto e Marche - spiega l’assessore - ma giungono a Reggio anche persone provenienti da Lombardia e Piemonte, per ragioni di mancanza di strutture”. La struttura di Reggio Emilia è poi particolare. È, infatti, all’interno della Casa circondariale, di cui costituisce un’ala. “Per accedere all’Opg si deve passare dal carcere - chiarisce Sassi - quindi di fatto è come stare in carcere”. Ma il sovraffollamento non è l’unico problema degli Opg. “Al di là della mancanza di spazio, di servizi e di limiti architettonici - afferma - è la stessa concezione degli Opg a essere sbagliata: basta metterci piede per 10 secondi per capire che non ci sono le condizioni per un percorso di cura, e questo al di là dell’impegno delle persone che ci lavorano”. Rispondere in prossimità del problema attraverso residenze sanitarie psichiatriche attive a livello territoriale. “Ogni Regione in accordo con il governo dovrebbe farsi carico del proprio bacino di utenza creando strutture sul territorio - continua Sassi. È la sola risposta possibile ed è confermata anche dai magistrati di sorveglianza che, per revocare la misura di sicurezza, devono avere garanzie sufficienti dal territorio dell’esistenza di una rete famigliare, di servizi sociali e di solidarietà”. Se non c’è la rete, la misura di sicurezza viene reiterata, potenzialmente per tutta la vita. “Ciò significa che la permanenza nell’Opg non viene determinata dalle condizioni della persona o della pena - chiarisce Sassi - ma da condizioni esterne”. Della possibilità di chiudere gli Opg e delle alternative possibili si parlerà sabato 16 luglio a Reggio Emilia in un incontro organizzato da Società della ragione all’interno della campagna Stop Opg. “Oltre a ospitare un Opg, Reggio Emilia ha una storia importante sul fronte della psichiatria - conclude Sassi - Il movimento critico verso la psichiatria degli anni Sessanta e Settanta e per la democratizzazione dell’intervento psichiatrico è stato ed è ancora molto forte”. Come uscire dall’inferno degli Opg? Il caso di Castrocaro Terme Borghi (Società della ragione): “Anche con la legislazione attuale è possibile stipulare convenzioni e accordi tra magistrati di sorveglianza e comunità in cui sia possibile un vero recupero terapeutico fuori delle mura degli Opg” A Sadurano di Castrocaro Terme, a pochi chilometri da Forlì, dal 2007 c’è una comunità che secondo Gianluca Borghi potrebbe essere un modello di come risolvere il problema degli internati degli Opg. Borghi, membro della Società della ragione ed ex assessore regionale dell’Emilia - Romagna, nel 1998 presentò a nome della Regione un progetto di legge di riforma dell’istituto degli Ospedali psichiatrici giudiziari, che, come denuncia, “non fu mai discusso alla Camera, così come avvenne per il progetto Corleone: sembra che in Italia ci sia un tabù sull’argomento, e non lo si voglia affrontare in maniera risolutiva”. In una tale situazione di immobilità legislativa le possibilità di intervento sono poche e le difficoltà molte, ed è per questo che Borghi pensa che un’esperienza come quella di Casa Zacchera possa porsi come esempio. Il centro è una piccola comunità gestita dalla coop Sadurano Salus nella campagna di Castrocaro Terme, che ospita e segue nel proprio percorso di riabilitazione una quindicina di pazienti, tra cui ex ospiti di Opg. “Il punto di forza di quell’esperienza è che è stato possibile attuarla già all’interno di questa legislazione”, dice Borghi. Ma come ricollocare gli oltre 1.400 uomini e donne attualmente internati in 6 centri in Italia garantendone una corretta riabilitazione? Per l’ex assessore, in assenza di una disciplina nazionale, buoni risultati possono già essere raggiunti tramite convenzioni singole, da stipulare tra specifiche realtà del territorio, le Asl regionali e i magistrati di sorveglianza preposti ai singoli Opg. “Se ogni regione titolare di ospiti all’interno dell’Opg si facesse carico dei suoi internati e li indirizzasse attraverso singole convenzioni verso percorsi terapeutici come quello di Casa Zacchera, sarebbe possibile seguire queste persone in un modo adeguato al di fuori degli Opg, procedere a un corretto trattamento terapeutico e non per questo sacrificare l’aspetto custodiale - conclude Borghi - La Regione Emilia Romagna ha già fatto tanto in questa direzione, e le chiediamo di continuare sull’esempio che già ha dato finanziando il progetto di Castrocaro Terme e Terra del Sole. Alle altre Regioni chiediamo di favorire progetti di questo tipo, che permettano alle persone di uscire dagli Opg”. Savona: detenuti del carcere di Sant’Agostino impegnati alla conservazione del litorale Agenparl, 13 luglio 2011 Si realizza anche quest’anno il progetto “Detenuti al lavoro”, l’iniziativa promossa fin dal 2006 dal Comune di Savona e in particolare dall’Assessore Franco Lirosi in collaborazione con la Casa Circondariale di Savona ed Ata e con il contributo della Fondazione Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona. Il progetto è mirato a favorire il percorso di rieducazione, integrazione e recupero dei soggetti in esecuzione di pena attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità, volte a fornire supporto nel processo di conservazione e valorizzazione del territorio. Il progetto prenderà il via in data 18 Luglio e proseguirà nel mese di Agosto. I soggetti interessati, scelti tra la popolazione carceraria del Sant’Agostino, in base alla possibilità di applicazione dell’art. 21, si dedicheranno alla pulizia delle spiagge, con il seguente orario: dal Mercoledì al Sabato, dalle ore 6,00 alle ore 11,00; la Domenica ed il Lunedì, dalle ore 5,30 alle ore 11,30; la giornata di riposo sarà il Martedì. Le zone interessate sono: - l’arenile compreso tra Piazzale Eroe dei due mondi e Zinola; - particolare cura sarà dedicata ai due campi solari in corso Vittorio Veneto, presso la scuola materna Giribone e scuola elementare XXV Aprile) ed allo Scaletto, dove è presente il servizio di sorveglianza e accompagnamento in mare delle persone disabili e con difficoltà motorie. L’attività dei detenuti è svolta sotto il coordinamento di ATA, attraverso gli operatori della Coop Il progetto è reso possibile grazie al contributo finanziario della Fondazione A. De Mari e dal Comune di Savona - Assessorato comunale ai Lavori Pubblici, che forniscono ai detenuti una retribuzione e la necessaria copertura assicurativa e previdenziale. Dichiara l’Assessore Lirosi: “Il progetto presenta molti aspetti favorevoli: per la popolazione carceraria interessata, che potrà godere di un parziale reinserimento nella società e nel mondo del lavoro, con una occupazione salariata, assicurata e pensionabile; per la Pubblica Amministrazione e dell’Autorità Carceraria che, in sinergia, eserciteranno le loro funzioni in modo estremamente positivo; per la Fondazione A. De Mari, che corrisponde i fondi necessari producendosi in un intervento altamente meritorio in favore di soggetti più sfortunati”. Aggiunge l’Assessore Lirosi: “Desidero ringraziare la Cooperativa la Bitta e l’Ata per il loro impegno e, in particolar modo, l’avvocato Roberto Romani, Presidente della Fondazione A. De Mari, per la sua immediata e generosa adesione al progetto, nonché il dr. Mangraviti, Direttore del carcere, per il suo indispensabile interessame nto presso il Ministero di Grazia e Giustizia”. Frosinone: presto aprirà nuova ala del penitenziario; i detenuti aumentano, le guardie no Il Tempo, 13 luglio 2011 L’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, minaccia di attuare nuove forme di protesta. Lo fa in una nota inviata al neo provveditore regionale del Lazio Maria Claudia Di Paolo per denunciare una serie di problematiche esistenti nell’istituto ciociaro, con particolare riferimento alla cronica carenza d’organico, ma anche all’assenza di ordine e sicurezza. Problemi gravi quelli esposti dalla segretaria provinciale che aumenteranno con la prossima apertura della nuova ala del carcere. L’istituto penitenziario di Frosinone, infatti, a breve sarà in grado di ospitare un migliaio di detenuti. Un surplus che, unito alla carenza di personale della polizia penitenziaria, genererà un vero e proprio allarme sociale. Ed è proprio questo il motivo principale che ha spinto l’Osapp a scrivere al provveditore regionale: “A Frosinone, da tempo, il servizio in h 24 viene ufficialmente distribuito nei quattro quadranti, ma di fatto il servizio si realizza con lo svolgimento dei rientri nel doppio turno al quale, quasi mai, viene associato il giorno seguente smontante, trasformando le ore svolte in più come lavoro straordinario. Si registrano, quindi, prolungamenti di orari che vanno dalle iniziali sei ore di servizio alle nove, addirittura alle dodici, e questa è divenuta la storia di tutti i giorni. Le chiediamo di fare un sopralluogo - continua la nota - e vedrà che il lavoro viene svolto in sezioni che sono totalmente indipendenti l’una dall’altra, celle disposte su di un solo lato del corridoio che di fatto prolungano notevolmente il percorso della sezione. I colleghi che lavorano in sezione sono abbandonati a sé stessi anche con casi di aggressione fisica. Abbiamo chiesto maggiori supporti ed invece è arrivato l’ordine dell’accorpamento di due sezioni nei turni di 1 -24 e 0-6, con l’apertura di una doppia porta (perennemente chiusa dal lontano 1992) che unisce i due lati dell’edificio detentivo costringendo l’operatore a svolgere un servizio da maratoneta. Annunciamo, perciò, che a breve verranno attuate proteste che seguiranno le medesime attuate l’anno scorso”. Per fare il punto sulla situazione delle carceri di Frosinone e Cassino, venerdì prossimo, alla Provincia, interverrà il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Casa circondariale di Cassino Nella Casa circondariale uno spazio riservato ai reati sessuali. Nella struttura penitenziaria cassinate, oltre ai reparti destinati ai detenuti per reati comuni, sia in attesa di giudizio che definitivi, c’è la nuova ala dedicata a coloro i quali sono accusati o devono scontare reati a sfondo sessuale. Una peculiarità che rende la casa circondariale particolarmente fruibile sia agli operatori sia alla sicurezza interna. La struttura costruita nel 1980 ha due edifici di tre piani ciascuno. Il nuovo complesso ultimato nel 2002 ha cameroni di venti metri quadrati ciascuno. Circa duecento i detenuti di varie nazionalità. Nel 2009 c’è stata l’inaugurazione del campo di calcio. La struttura, infatti, era carente di impianto sportivo, e grazie a un finanziamento di 50.000 euro è stato realizzato orami da due anni. Un complesso penitenziario che è sempre molto vicino all’abazia di Montecassino, di recente don Pietro Vittorelli ha tenuto una visita con la consegna di una Croce. Insomma il carcere di via Sferravalli a Cassino nel corso degli ultimi dieci anni è cresciuto e migliorato, questo grazie all’attenzione dei responsabili. Sassari: Garante dei detenuti; domani la nomina di Cecilia Sechi, ex assessore comunale La Nuova Sardegna, 13 luglio 2011 Tutto rinviato a domani per la nomina del Garante dei detenuti del Comune di Sassari. Il nome indicato dalla maggioranza, quello dell’ex assessore comunale alle Politiche Sociali Cecilia Sechi, non ha infatti raggiunto la quota dei due terzi delle preferenze espresse dai consiglieri comunali, come prevede il regolamento che istituisce e regola la figura del garante. In tutto 23 i voti registrati dall’ex assessore. Alcuni voti, presumibilmente provenienti dall’area del Pdl, sono andati all’ex consigliere provinciale Antonello Unida. Per la nomina del garante la quota fissata nella seconda votazione rimane dei due terzi, mentre a partire dalla terza votazione è sufficiente la maggioranza assoluta. Nel centrosinistra non tutti hanno condiviso il metodo seguito. Alcuni consiglieri hanno lamentato di essere stati informati ufficialmente solo all’ultimo momento della scelta di puntare sul nome di Cecilia Sechi (che informalmente circolava da una decina di giorni). Secondo Simone Campus (Pd) sarebbe stato preferibile seguire la strada del bando pubblico, che, per esempio, avrebbe potuto indicare un profilo più prettamente giuridico o più sociale per la persona da scegliere come garante. Oppure, ancora, legare l’ufficio sassarese al garante regionale, istituito da una precisa normativa, fornendogli così maggiori strumenti seppure delegati. Il garante sassarese, istituito nel 2007 su iniziativa dell’allora capogruppo socialista Vinicio Tedde, oggi assessore nella Giunta Ganau, svolge infatti la funzione di garantire il rispetto dei diritti in un rapporto triangolare fra detenuti e Amministrazione penitenziaria. Ricorda Simone Campus che i suoi compiti, fissati dal regolamento comunale, sono essenzialmente due: la prevenzione dei conflitti nei luoghi di detenzione e la mediazione fra i soggetti che in questi luoghi insistono per motivi di pena o di lavoro. Ma per il garante comunale non c’è ancora nessun diritto di accedere alle strutture carcerarie. È necessaria infatti l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza. E questo rimane un grave limite. Camerino (Mc): passo avanti per il nuovo carcere, affidato l’incarico per il progetto Corriere Adraitico, 13 luglio 2011 Passo avanti nell’iter che porterà alla costruzione del nuovo carcere di Camerino, in località Morro, per cui si prevede una spesa di circa 40 milioni di euro, per ospitare circa 450 detenuti. Il commissario delegato Franco Ionta del Dipartimento di edilizia penitenziaria del ministero, ha infatti conferito, lo scorso 15 giugno, l’incarico di predisporre il progetto preliminare per la realizzazione dei nuovi istituti penitenziari di Camerino e di Torino. Con grande soddisfazione l’amministrazione apprende - dice il sindaco Conti - che, dopo la firma del protocollo d’intesa, si sta andando avanti nella procedura della progettazione del nuovo carcere di Camerino che certo rappresenterà un importante volano economico per la città e per il territorio circostante. Durante la firma del protocollo d’intesa, e in altre occasioni come la visita a maggio del sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo, era stato preso l’impegno preciso di realizzare la gara d’appalto ed il relativo bando, entro fine anno. Più incerti appaiono i tempi per il completamento definitivo della struttura, durante la festa regionale della polizia penitenziaria Raffaele Iannace, provveditore regionale del Dipartimento amministrazione penitenziaria, aveva stimato in circa tre anni. Padova: c’è un filmato sul tentato omicidio nella Sezione di Alta Sicurezza del carcere Il Gazzettino, 13 luglio 2011 C’è un filmato sul tentato omicidio per mafia accaduto lunedì mattina nell’As 1”, il reparto di Alta Sicurezza del carcere di strada Due Palazzi. Le immagini sono state visionate ieri pomeriggio dal pubblico ministero Vartan Giacomelli e dagli investigatori della polizia penitenziaria che conducono le indagini. E le telecamere, che riprendono sia all’interno della cella che all’esterno, ricostruiscono minuziosamente la dinamica dell’aggressione. Mostrano chiaramente che Giovanni Di Giacomo voleva uccidere Francesco Bruno, entrambi ergastolani di mafia. Francesco Bruno, sessant’anni, palermitano, sta lottando tra la vita e la morte nella Neurochirurgia del Policlinico. Di Giacomo, cinquantaseienne, killer di Totò Riina e in passato molto vicino anche a Bernardo Provenzano, ha sulle spalle sette delitti. Ha partecipato alla guerra di mafia tra il 1977 e il 1982. Poi ha anche condanne per droga. Francesco Bruno non usciva mai dalla cella per l’ora d’aria giornaliera. E forse non aveva neanche contatti con Giovanni Di Giacomo, che era detenuto in un’altra cella del reparto di alta sicurezza. Ma lunedì mattina, di ritorno dalla sua ora d’aria, l’ex killer di Riina si è piombato nella cella di Bruno. La dinamica dell’aggressione è molto semplice. Le immagini mostrano che Di Giacomo è entrato nella cella di Bruno e lo ha scaraventato a terra. E si è messo a sbattere la testa sul pavimento del detenuto fino ad aprirgliela. E lo ha colpito anche con una bombola. Il sangue è schizzato dappertutto. L’aggressione è avvenuta prima di pranzo. Evidentemente Giovanni Di Giacomo era convinto di aver ucciso il concittadino palermitano. Perché dopo il fatto è andato tranquillamente a mangiare. Ed era a tavola quando gli agenti sono andati a prenderlo. Voleva soltanto sapere se Francesco Bruno era ancora vivo. Il movente dell’aggressione non andrebbe ricercato nei rapporti in carcere dei due ergastolani. L’ordine di uccidere sarebbe venuto da fuori. Sappe: sempre più alta la tensione nelle carceri italiane “Sconcerta ed inquieta quanto avvenuto nel carcere di Padova, dove un detenuto ergastolano appartenente ad un clan mafioso è stato aggredito da 2 componenti del suo stesso clan e colpito più volte alla testa. Dopo un intervento d’urgenza durato più di 7 ore gli sono stati applicati oltre 500 punti di sutura! Un episodio gravissimo, accaduto in un Istituto - come la Casa di Reclusione di Padova - caratterizzato da un grave sovraffollamento (per 439 posti letto regolamentari c’erano il 31 giugno scorso oltre 820 detenuti presenti, il 45 per cento dei quali regolamentari) mentre il Reparto di Polizia Penitenziaria ha ben 121 agenti in meno in organico: dovrebbero esserci 431 Baschi Azzurri, ve ne sono in forza 310. Un ennesimo episodio di estrema criticità penitenziaria”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Anche altri episodi critici confermano questa emergenza” prosegue Capece. “Mi riferisco alle aggressioni a poliziotti penitenziari avvenute a Rieti, Reggio Emilia ed Ivrea. È del tutto evidente che la tensione nelle carceri sta salendo in maniera esponenziale: e l’afa ed il caldo di queste settimane acuiscono inevitabilmente i problemi connessi alla detenzione ed alla promiscuità. Problemi rispetto ai quali i numerosi richiami del Presidente della Repubblica sulla criticità situazione penitenziaria del Paese non sembrano suscitare l’attenzione di una classe politica colpevolmente distratta. È importante che il Governo ed il Parlamento mettano concretamente mano alla situazione penitenziaria del Paese, ormai giunta ad un livello emergenziale. A nostro avviso l’unica via d’uscita da questa situazione è il ricorrere alla misure alternative alla detenzione che è dimostrato dai numeri che sono lo strumento migliore per garantire la vera sicurezza per i cittadini. Soltanto chi ha la possibilità di allontanarsi dal carcere per una seria prospettiva di lavoro all’esterno non tenta di commettere altri reati”. Ruzzante (Pd): la Regione intervenga sul ministero della Giustizia “Intervenire sul ministero della Giustizia con l’obiettivo di ottenere il pieno raggiungimento della dotazione organica del personale (polizia e operatori carcerari), la riduzione del numero dei detenuti, lo stanziamento di risorse per ripristinare adeguate condizioni sia igienico-sanitarie, sia sul fronte della sicurezza”. Lo chiede con un’interrogazione alla Giunta regionale il consigliere regionale del Pd, Piero Ruzzante, all’indomani dell’ennesimo fatto di violenza verificatosi al Due Palazzi di Padova, dove un uomo è stato brutalmente aggredito da un compagno di detenzione, che lo ha colpito ripetutamente con una bomboletta di gas”, questo quanto riporta un comunicato rilasciato oggi. “Da mesi continuiamo a sollecitare con atti ufficiali la Giunta regionale ad intervenire sulla drammatica situazione delle carceri, - ribadisce l’esponente democratico nel comunicato - ma il governo veneto continua a guardare. Le cronache relative alle carceri venete - prosegue Ruzzante - assomigliano sempre più a bollettini di guerra. Eppure la Giunta regionale ha azzerato i finanziamenti destinati alle attività formative ed educative gestite dalle onlus e rivolte ai carcerati”. L’esponente democratico sottolinea come “le condizioni dei detenuti raggiungono proprio in questi giorni il clou dell’intollerabilità. Durante l’estate infatti si riduce ulteriormente la presenza del personale di sorveglianza, con conseguente minore garanzia di sicurezza”. Nell’interrogazione Ruzzante chiede anche alla Giunta “se intenda ripristinare i finanziamenti destinati alle attività formative e culturali gestite dalle onlus e dedicate alla popolazione carceraria; se intenda verificare l’adeguata dotazione e l’effettiva attività di medici e psicologi che prestano servizio negli istituti carcerari veneti, intervenendo per fronteggiar ne eventuali carenze”. Piacenza: detenuto aggredito; ha diverse fratture al volto, tre gli indagati www.piacenza24.eu, 13 luglio 2011 Un detenuto piacentino di 60 anni, originario della Liguria, è stato brutalmente aggredito all’interno del carcere. L’uomo è stato picchiato da più persone che gli hanno procurato diverse fratture al volto. La procura ha avviato un’indagine e disposto il trasferimento dell’uomo in un altro carcere, così come per un’altra persona aggredita insieme all’uomo. Per ora, ci sono tre indagati, accusati di lesioni volontarie aggravate: un sudamericano, un nordafricano e uno slavo. Gli investigatori della squadra di polizia giudiziaria della procura stanno sentendo diversi detenuti e nei prossimi giorni saranno sentiti anche alcuni agenti della penitenziaria. L’aggressione è avvenuta il primo luglio, ma in precedenza l’uomo era già stato picchiato. Quel giorno, il 60enne è stato prima picchiato, in un corridoio, mentre la persona che era con lui ha ricevuto una gomitata. Il 60enne, poi, dopo essere stato medicato in infermeria, all’uscita è stato aggredito di nuovo da altri detenuti. Gravi le lesioni riportate: fratture alla mandibola, al naso, allo zigomo, all’orbita oculare. Il sostituto procuratore Ornella Chicca sta indagando per accertare le cause che hanno portato a un gesto così violento e anche inusuale nel nostro carcere. A individuare le prime tre persone sono state le indagini subito avviate dalla polizia penitenziaria. Intanto, la famiglia del detenuto si è affidata all’avvocato Paolo Cattadori, per tutelare il proprio congiunto. Per capire la dinamica dell’aggressione e l’importanza dei traumi sono state disposte due consulenze tecniche, una della procura e una del legale della famiglia. Bologna: domani una forca in piazza Maggiore, per ricordare le morti in carcere Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Giovedì nella piazza centrale di Bologna la lettura dei nomi degli 840 detenuti morti nelle carceri italiane dal 2002 a oggi. L’iniziativa, lanciata dai Radicali per chiedere un provvedimento di amnistia, continua in serata con un dibattito pubblico Un cappio sospeso in piazza Maggiore e un rosario di 840 nomi: quelli dei detenuti morti nelle carceri italiane dal 2002 a oggi. È l’iniziativa “shock” con cui i Radicali bolognesi provano domani mattina a mantenere accesi i riflettori su quella che definiscono “la tragedia delle carceri italiane”. La lettura degli 840 nomi e cognomi, in programma alle 11, servirà “a dare un volto e un nome a quelli che finora erano soltanto numeri”. L’iniziativa fa parte della mobilitazione con cui i Radicali chiedono un provvedimento di amnistia per alleggerire la situazione nei penitenziari e ricalca quella analoga svolta a Roma in piazza Navona. “Vogliamo dare un segnale molto forte”, spiega Monica Mischiatti, segretaria dei Radicali di Bologna, che giudica positivamente la visita di Virginio Merola alla Dozza: “Il sindaco deve essere attento a quello che succede in carcere, perché riguarda la società bolognese” In serata si continuerà a parlare di carcere al Parco 11 settembre, alle 21, nel dibattito pubblico “Illegalemente carcere”. A spiegare perché “oggi il carcere è la totale negazione di principi e valori giuridici e costituzionali” ci saranno fra gli altri Massimo Pavarini, docente di Diritto penale dell’Università di Bologna, Giovanni Durante, responsabile del Sappe Emilia - Romagna e Mario Mancuz dell’associazione Antigone. In programma anche la proiezione della video inchiesta “Se tu vivessi in una cella” realizzata dall’associazione Progrè. Velletri (Rm): Radicali; rischiato nuovo caso Cucchi, processo a cinque agenti penitenziari Ansa, 13 luglio 2011 Poteva essere un nuovo caso Cucchi quello di Ismail Ltaief, ex detenuto tunisino di 45 anni che ha scontato quattro anni di carcere a Velletri. Alla vigilia del processo per i suoi presunti aggressori che si aprirà domani presso il Tribunale di Velletri, Ismail ha riferito le “brutali violenze fisiche e psicologiche subite da alcuni agenti carcerari dopo aver denunciato che sottraevano dalle cucine notevoli quantitativi di cibo destinate ai detenuti”. Nel corso di una conferenza stampa organizzata dai Radicali presso la Camera dei Deputati Ismail ha raccontato la sua storia insieme al suo legale, Alessandro Gerardi, il leader dei Radicali Marco Pannella, la deputata Rita Bernardini e la segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa. “Mentre lavorava nelle cucine del carcere di Velletri - ha detto Gerardi - Ismail si è accorto di un sistema che andava avanti da tantissimo tempo: alcuni agenti che sottraevano carichi di cibo destinati ai carcerati. È stato l’unico ad essersi ribellato, nonostante fosse stato blandito con promesse di vario genere. Poi è stato minacciato fino ad un pestaggio violento che lo ha condotto quasi alla morte”. “Per ritrattare mi hanno promesso una cella singola, un computer, 15 mila euro. Non ho accettato e un giorno mi hanno portato nell’ufficio dell’ispettore e mi hanno picchiato con calci e pugni. Io ero attorcigliato a terra come un verme e loro continuavano, poi sono svenuto”, spiega Ismail. Secondo il suo legale “la fortuna di Ismail è stata aver incontrato un magistrato di sorveglianza che preso subito provvedimenti per tutelarlo e farlo trasferire”. A maggio del 2010 c’è stato il pestaggio, a giugno è stato spostato nel carcere di Viterbo, in fine a Regina Coeli. La Procura di Velletri - spiega - non ha esitato a svolgere le indagini e a chiedere provvedimenti cautelari nei confronti dei cinque agenti coinvolti: tre di loro hanno scontato già quattro mesi di domiciliari, due l’obbligo di dimora. Il Dap ha sospeso tutti dal servizio in via cautelare”. Per domani è previsto l’inizio del processo a loro carico presso il tribunale di Velletri. Civitavecchia (Rm): sciopero della fame dei detenuti e protesta degli agenti Dire, 13 luglio 2011 Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ha espresso la propria solidarietà ai detenuti dei settori A e B del carcere di Civitavecchia, che da domenica scorsa hanno iniziato una protesta pacifica a sostegno dell’iniziativa di Marco Pannella contro il degrado delle carceri italiane. Sospesa anche la spesa del sopravvitto, tranne che per bevande, caffè, the, camomilla, zucchero, cartacei e tabacchi. “Esprimo la mia solidarietà e la mia vicinanza - ha detto Marroni - ai detenuti di Civitavecchia e a quelli di tutta Italia che, in queste ore, stanno pacificamente manifestando per rivendicare condizioni di vita più umane. Tutti insieme dobbiamo fare in modo che non scemi l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema delle carceri, nata a seguito delle mobilitazioni di queste ultime settimane. Fra sovraffollamento, strutture fatiscenti, carenze di personale e di risorse negli istituti di tutta Italia si vive una situazione che diventa, di giorno in giorno, sempre più difficile. Tocca alla politica, per quanto alle prese con altre priorità, farsi carico di questa emergenza varando un intervento di sistema in grado di spostare la pena per alcuni reati dal carcere alle misure alternative”. Protestano anche agenti Una carenza di agenti di polizia penitenziari pari al 30-35%, un sovraffollamento di detenuti che sfiora il 50% e, in prospettiva, l’imminente trasformazione di due sezioni che attualmente ospitano reclusi comuni in sezioni speciali per criminali ad alta sorveglianza. Il combinato disposto di tutto ciò, ad avviso di Cgil Funzione Pubblica, Cisl, Osapp e Sinappe rende esplosiva la situazione nel supercarcere di Borgata Aurelia a Civitavecchia. “Attualmente - scrivono i sindacati in una nota congiunta - sono presenti 230 agenti a fronte dei 380 previsti in pianta organica. Dovrebbe essere quindi chiaro che con il personale attualmente in forza non è possibile gestire la presenza di decine di detenuti ad alta sorveglianza”. Ad avviso dei sindacati, prima di trasformare le due sezioni, è indispensabile assegnare almeno altri 30-40 agenti. “Se le nostre richieste non dovessero essere accolte - prosegue la nota, fatto salvo che la polizia penitenziaria non può scioperare, programmeremo altre iniziative di protesta”. Sulla situazione del carcere civitavecchiese, il deputato Pd Pietro Tidei ha rivolto un’interrogazione al ministro della Giustizia per chiedere “se non ritenga opportuno attivarsi al fine di incrementare l’organico degli agenti di polizia penitenziaria impiegati nella struttura la cui situazione rischia di precipitare da un momento all’altro”. Bologna: una colletta fra i detenuti e “Nonno Winter” torna in Africa di Rosario Di Raimondo La Repubblica, 13 luglio 2011 Solidarietà dietro le sbarre del carcere bolognese della Dozza: grazie ai soldi raccolti fra i carcerati il neozelandese, 73 anni, che ha lasciato la cella dopo tre anni e mezzo, potrà raggiungere la sua compagna in Benin. C’è chi ha messo dieci euro, chi venti, chi cinquanta. I detenuti della Dozza si sono messi di buona lena per mettere insieme quei mille euro che servivano a riportare in Africa nonno Winter. Anche lui detenuto per tre anni e mezzo, neozelandese, Winter ha lasciato il carcere domenica a 73 anni, “e non avrei mai trovato i soldi per andarmene da questa città”. Invece ce l’ha fatta. Oggi alle 17,30, grazie ai compagni detenuti che per lui hanno fatto una colletta che ha raccolto mille euro, Winter si imbarcherà al Marconi: direzione Benin, Africa. “Se non fosse per lei, che è una persona meravigliosa, io ora sarei sulla sponda di un fiume”. “Lei” è l’avvocato Chiara Rizzo. Lui, Winter Edward Raul, 73 anni, neozelandese, fino a domenica era un detenuto della “Dozza”. Oggi alle 17.50 partirà dall’aeroporto Marconi, direzione Benin, in Africa, grazie a un biglietto che gli è stato regalato dai detenuti del settore penale del carcere. Una colletta di mille euro. “Sono stato molto fortunato, non avrei mai avuto i soldi per andarmene - racconta - Ho un amico jugoslavo, lui mi ha aiutato molto”. Lui e decine di altri detenuti: chi con dieci euro, chi con venti o cinquanta. Il perché di questo gesto sembra non saperlo neanche, “ma Winter era per tutti un padre o un nonno”, racconta l’altra persona che gli è stata molto vicina, il suo legale. Nella casa messa temporaneamente a disposizione dall’Avoc, Winter ha trascorso i primi giorni di libertà dopo tre anni e mezzo di detenzione. Addio “Stanza 25 sezione “I” del settore penale”. Si accarezza la lunga barba, che non ha tagliato dal primo giorno di carcere, pensa volentieri al futuro e al suo viaggio in Benin dove lo aspetta la compagna Pasqualine. E racconta il passato, mentre il suo sorriso ormai allegro stride visibilmente con le condizioni fisiche, provate dalla detenzione. Del carcere parla, certo, ma quasi con distacco, malvolentieri in prima persona: “Il tempo in prigione è distorto. Un giorno mi sembravano tre anni. Adesso, a ripensarci, tre anni mi sembrano un giorno”. Il problema però è un altro: “La prigione non dà nessuna speranza: non insegna, non aiuta, non educa”. Se poi sei straniero, e in più non spiccichi una parola d’italiano, è ancora peggio: “Il carcere ha dei limiti linguistici enormi. Se non sai l’italiano, non ottieni nulla semplicemente perché non puoi chiedere nulla. Al processo, chiesi una copia dei documenti della condanna tradotti in inglese. Per capire. Il giudice mi guardò quasi come per dire: “Perché, non si fida?”. Ero molto deluso, arrabbiato”. Di Bologna conosce solo la “Dozza” e l’ospedale, “dove sono entrato accompagnato da tre agenti, due ai lati e uno dietro. Non in manette, almeno”. Del resto, lo stesso viaggio in Italia è stata una parentesi brevissima, da uomo libero almeno. Era consulente finanziario, nel 2008. Gli affari andavano male. Problemi di soldi. La chimera di guadagnarne in modo veloce, vendendo cocaina. “Un incidente di percorso inspiegabile per una persona colta come lui”, sottolinea l’avvocato Rizzo, “mi sono così appassionata alla sua storia che lo avrei ospitato a casa mia, in questi giorni, se non avesse trovato l’alloggio dell’Avoc”. Parentesi finita. Winter vuole lavorare “per i prossimi trecento anni, escluse le domeniche”. Molti giorni da recuperare. “Goodbye, see you in Africa”, augura salutando dal balcone. Milano: Centemero e Farina (Pdl) in visita a San Vittore; aderiamo all’appello di Pannella Agv News, 13 luglio 2011 “Abbiamo compiuto nei giorni scorsi un’accurata visita al carcere milanese di San Vittore accertandoci della difficilissima condizione dei detenuti, costretti in celle soffocanti, in spazi angusti, contrastanti con l’articolo 27 della Costituzione che impone l’umanità della pena e constatando il sacrificio richiesto agli agenti di polizia penitenziaria ben al di là dei loro doveri”. Lo affermano i deputati del Pdl Elena Centemero e Renato Farina. Quest’ultimo si occupa da anni della situazione degli istituti di pena e in particolare è primo firmatario di una proposta di legge bipartisan (seconda firmataria Alessia Mosca del Pd) per promuovere il lavoro nelle carceri. “Presto - dichiarano Centemero e Farina, che aderiscono all’appello di Marco Pannella - secondo le prerogative ispettive dei parlamentari visiteremo la prigione di Monza e ne comunicheremo all’opinione pubblica gli esiti”. Arezzo: venerdì prossimo si riunisce il Coordinamento nazionale del teatro in carcere www.arezzoweb.it, 13 luglio 2011 Si terrà venerdì 15 luglio alle ore 10, presso la Sala danza via della Bicchierata 26, il primo seminario ufficiale dl Coordinamento nazionale Teatro in carcere di recente fondato su iniziativa di Vito Minoia, Gianfranco Pedullà e Donatella Massimilla. Il tema dell’incontro - promosso dal Centro Studi della Rete Teatrale Aretina in collaborazione con la Regione Toscana - è “Il teatro carcere oggi in Italia”. Costituito domenica 16 gennaio 2011 a Urbania nell’ambito del Convegno “Immaginazione contro emarginazione” organizzato dalla rivista “Teatri delle diversità”, il Coordinamento nazionale teatro in carcere si presenta ufficialmente nella sua veste legale, il Coordinamento nasce per offrire progettazione, relazione, luoghi di confronto e di qualificazione del movimento teatrale sorto all’interno delle carceri italiane in questi anni. Sarà impegnato in modo particolare nella promozione di un censimento e di un monitoraggio costante dei profili e delle identità operative delle singole esperienze vissute, nella creazione di relazioni e contatti fra queste, nella realizzazione di un archivio con tutta la documentazione raccolta nonché di una vera e propria banca dati e nell’organizzazione di momenti pubblici di confronto e di scambio a livello nazionale ed internazionale. Si occuperà, inoltre, di gestire lo scambio di informazioni e creare canali di comunicazione mediante siti internet o altri strumenti elettronici e cartacei, della formazione di formatori nonché della promozione di relazioni con le istituzioni nazionali e regionali. Per un miglior raggiungimento dei suoi scopi il Coordinamento si ritrova ad Arezzo, città che ha storicamente avuto un’importanza fondamentale nel teatro in carcere a livello regionale e nazionale. Ricordiamo l’intensa esperienza del Teatro popolare d’arte e della Compagnia Il Gabbiano, formata da attori - detenuti, diretta da Gianfranco Pedullà che (in stretta collaborazione con la Casa Circondariale di Arezzo, il Comune e la Provincia di Arezzo) ha realizzato esperienze di grande intensità artistica e sociale per oltre un quindicennio. Attualmente l’esperienza aretina è sospesa a causa dei lavori di ristrutturazione del carcere aretino ma riprenderà alla fine dei lavori stessi previsti nel 2012. Il seminario del 15 luglio - aperto a tutti gli operatori aretini e i rappresentanti delle istituzioni interessati al tema - vedrà la presenza di Ilaria Fabbri, responsabile del settore spettacolo dell’Assessorato alla cultura della Regione Toscana, sicuramente una regione all’avanguardia nelle esperienze di teatro in carcere. Pavia: “Torre del Gallo concert”, sabato canzoni rock dal carcere su Radio Ticino La Provincia Pavese, 13 luglio 2011 “Torre del Gallo concert” è il nome dell’evento che propone Radio Ticino in accordo con la Direzione della Casa circondariale pavese. Una mattinata di musica all’auditorium del carcere - si terrà sabato a partire dalle 9.30 - per avvicinare Pavia al suo penitenziario, e viceversa. “Suoneranno cinque gruppi pavesi: “La nuit”, “Corte dei Miracoli”, “Nasty”, “Jah Love” e “Audio Lazy” - spiegano Alex e Luca, i due giovani presentatori della maratona rock - I gruppi sono molto orgogliosi di partecipare a questa iniziativa”. Poi Alex aggiunge: “Non abbiamo ancora organizzato lo spettacolo, ma certamente tra un gruppo e troverà spazio un po’ di cabaret per divertirci, e divertire”. Ma per capire il senso del concerto bisogna ascoltare le parole di Alessandro Repossi, direttore del Ticino e di Radio Ticino Pavia, che cita la Messa di Natale celebrata da monsignor Giovanni Giudici “durante la quale il Vescovo, molto attento alla realtà del penitenziario, ha sottolineato come sia necessaria un’attenzione maggiore nei confronti della realtà carceraria”. E aggiunge: “Come in ospedale, anche in carcere si completa un percorso di guarigione non fisica ma morale”. La proposta è quella di considerare “Torre del Gallo” come una parte di Pavia. Come infatti afferma Iolanda Vitali, direttrice del carcere: “Il fine del carcere è quello di proporre attività costruttive e di avvicinamento alla società. Queste manifestazioni dimostrano il sostegno della città nei confronti dei detenuti”. Sostegno e calore che “sono la cosa più importante”. L’iniziativa nasce da una trasmissione radiofonica “Oltre il muro”, in programmazione da alcuni mesi su Radio Ticino, condotta da Simona Rapparelli e realizzata con i detenuti, che hanno la possibilità di intervenire e raccontare la loro storia e i loro sogni. Ma la trasmissione, che ha generato il “Torre del Gallo concert”, è un seme che sta germogliando: “L’idea è quella di realizzare anche un corso di musica all’interno del carcere” afferma Simona. Un progetto in evoluzione, quindi, che “è qualcosa di importante per i detenuti - aggiunge Alberto Portalupi, agente di rete del carcere pavese - la progettualità è un elemento fondamentale all’interno di un penitenziario”. “Opportunità” è comunque la parola più utilizzata dagli organizzatori. Un’opportunità che Radio Ticino regala a tutta la città, e al Carcere Torre del Gallo, che ne fa parte. Immigrazione: lettera Cie Ponte Galeria; rinchiusi per 18 mesi? qua la gente si ammazza Redattore Sociale, 13 luglio 2011 Appello di un gruppo di detenuti racconta di gente legata e imbavagliata al momento del rimpatrio, picchiata, tenuta in condizioni disumane e imbottita di psicofarmaci. Il Forum immigrazione del Pd: “No al carcere per gli innocenti”. Protesta dei detenuti del Cie di Ponte Galeria contro la detenzione a 18 mesi mentre in Parlamento si discute l’approvazione del decreto voluto dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Un gruppo di cinque detenuti ha scritto una lettera - appello contro questa misura che proroga la reclusione nei centri di identificazione e di espulsione da sei mesi a un anno e mezzo. “Siamo quasi 200 uomini e 50 donne detenuti al centro di Ponte Galeria - scrive un immigrato che racconta di essere nato nella città di Claudia Cardinale - quelli che fannno queste leggi non sanno niente della nostra situazione e della nostra sofferenza”. L’inferno di Ponte Galeria viene descritto così nella lettera: “Noi siamo detenuti qua, otto persone in una stanza di quattro metri per quattro. Viviamo uno attaccato al letto dell’altro. Chi si alza dopo le otto del mattino non prende la sua colazione. Chi arriva ultimo per la fila non arriva a prendere il pranzo e la cena perché noi facciamo la fila in 200 persone per prendere il nostro pasto. Anche per fare la doccia, l’acqua non c’è tutti giorni e nemmeno shampoo, asciugamano e dentifricio. La gente scappata dalla morte non ha portato lo shampoo e la roba per fare la doccia dal suo paese”. Il racconto prosegue con quello che succede al momento del rimpatrio. “Quando rimandano le persone al loro paese le legano come un pacco postale, legano mani e piedi e mettono una fascia sulla bocca per non farle gridare, per non farle sentire al pilota. Ti fanno salire per ultimo così nessuno ti vede - sostengono gli immigrati - i poliziotti sono pronti per intervenire e dare botte come in un mattatoio. I detenuti spesso si sentono male, hanno fatto il viaggio in mare, vengono dal loro paese e non sanno parlare, nessuno li capisce e la polizia li mena per farli calmare, così quelli dormono e basta. Le persone qui vorrebbero parlare ma nessuno li capisce, non hanno lingua per parlare e nessuno li ascolta, quindi per questo si ribellano e la polizia li picchia con i manganelli, con calci, pugni e tutto”. E ancora: “la gente è venuta dal mare, fanno viaggi della morte per arrivare qua. Quando arrivano sentono sei mesi e gridano tutta la notte, non hanno la testa normale e chiedono al medico tranquillanti perché hanno solo paura del domani, non dormono la notte e cercano un modo nelle medicine. Gli infermieri ti danno le terapie per drogati e la gente dorme tutto il giorno, hanno la faccia gonfia come drogati e la notte urlano e gridano, sono disperati. Prendono le gocce e se il giorno dopo devi partire te ne danno di più, così quando ti vengono a prendere non capisci nulla, è per evitare che ti ribelli alla deportazione”. L’appello è rivolto ai cittadini italiani con delle richieste. “Noi chiediamo l’aiuto della gente fuori, aiutateci e dovete capire che qua c’è gente che non ha fatto male a nessuno e che sta soffrendo - si legge nella lettera - Noi soffriamo già 6 mesi, figurati 18 mesi. Se passa la legge qui c’è gente che fa la corda perché già così, con i sei mesi, c’è gente che si è tagliata le mani, figurati con diciotto mesi, la gente si ammazza, la gente esce fuori di testa. Chiediamo che la gente fuori, ogni giovedì mattina, vada a vedere a Fiumicino le persone portate via con la forza, che vada a fermare il massacro”. Contro il decreto dei 18 mesi si è schierato anche il Forum immigrazione del Partito Democratico che ha lanciato una raccolta firme rivolta alla società civile, agli amministratori locali, ai parlamentari, ai politici “per dire no al carcere per gli innocenti”. “L’ultima misura decisa da Maroni è all’immagine di questo governo: arrogante, prepotente e ingiusta. Prolungare i tempi nei Cie passando da 6 mesi a 18 è una vera vergogna oltre ad essere una misura disumana - spiegano i promotori dell’iniziativa - Per questo motivo abbiamo deciso di coinvolgere attraverso un appello tutti i cittadini nella battaglia che attueremo in Parlamento affinché tale decreto non venga varato. Siamo contrari a che persone innocenti, che scappano dalla povertà alla ricerca di un futuro migliore, siano private della loro libertà e siano trattenute nei centri di identificazione fino a 18 mesi solo perché colpevoli di essere senza documenti e per dover essere identificati. Tale misura calpesta i valori di proporzionalità, ragionevolezza ed uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione”. Egitto: 2 ex ministri e l’ex premier Nazif condannati a pene detentive per corruzione Adnkronos, 13 luglio 2011 Due ministri della passata amministrazione di Hosni Mubarak e l’ex premier egiziano Ahmed Nazif sono stati condannati a pene detentive dalle autorità egiziane per corruzione e malversazione. Lo riferisce l’agenzia di stampa Dpa. Nazif, l’ex ministro dell’Interno Habib el Adly e l’ex titolare del dicastero delle Finanze Youssef Boutrous - Ghali erano coinvolti in un’inchiesta sulla forniture di targhe automobilistiche da parte di un’azienda tedesca e sono stati condannati anche al pagamento di una multa complessiva di oltre 33 milioni di dollari. Boutrous-Ghali, in particolare, è stato condannato in contumacia a dieci anni di reclusione. L’ex ministro delle Finanze era già stato condannato la scorsa settimana a 30 anni di carcere per corruzione. Ad el Adly, invece, è stata comminata una sentenza a cinque anni di prigione. L’ex ministro sta già scontando 12 anni di carcere per malversazione e insieme a Mubarak e ai suoi figli, Alaa e Gamal, verrà processato perché sospettato di aver avuto un ruolo nelle violenze contro i manifestanti che all’inizio dell’anno hanno costretto l’ormai ex rais alle dimissioni. Nafiz è stato condannato a un anno di prigione con la condizionale. Le autorità giudiziarie egiziane hanno anche condannato in contumacia a un anno di reclusione il direttore dell’azienda tedesca coinvolta nell’inchiesta, la Utsch, Helmut Jungbluth. L’azienda, precisa la Dpa, respinge ogni accusa e sostiene di non avere rappresentanti in Egitto. Tunisia: Pannella; il 25 luglio ci sarà una grande amnistia, per celebrare la Repubblica Ansa, 13 luglio 2011 “Il 25 luglio è stata proclamata una grande amnistia in Tunisia per celebrare la Repubblica. Non conosco ancora i dettagli, ma riguarderà soprattutto i detenuti anziani”. Lo ha riferito il leader dei Radicali Marco Pannella, in sciopero della fame da 85 giorni per il ripristino della legalità nelle carceri italiane, nel corso di una conferenza su un caso di violenza nel carcere di Velletri, vicino a Roma. Borghezio (Lnp): con amnistia esodo di criminali? Con un’interrogazione alla Commissione e al Consiglio, l’On. Borghezio chiede che le competenti Autorità dell’Unione Europea, in vista della “prevista mega-amnistia che verrà proclamata per celebrare la Repubblica in Tunisia il prossimo 25 luglio” che “pone il problema di un prevedibile esodo degli ex detenuti per crimini comuni verso i Paesi dell’Ue e segnatamente verso l’Italia”, assumano “adeguate misure che impediscano l’esodo di detenuti per reati comuni, che saranno liberati in forza dell’amnistia, verso i Paesi dell’Unione Europea”. “L’Europa non deve permettere - conclude Borghezio - un altro sgradito e pericolosissimo esodo di delinquenti verso le sue frontiere meridionali, posto che - almeno per quanto riguarda l’Italia - di delinquenti ne ospitiamo già noi in numero tale da poterli direttamente esportare in tutto il resto del mondo” . Birmania: Hrw denuncia; detenuti costretti a lavorare come “muli umani” al fronte Ansa, 13 luglio 2011 L’esercito birmano costringe detenuti delle carceri nazionali a compiere estenuanti e pericolose operazioni di trasporto per le truppe impegnate nelle offensive contro le milizie etniche al confine orientale, con una pratica nota ma probabilmente intensificatasi nell’ultimo anno. Lo ha denunciato Human Rights Watch, con un rapporto presentato oggi a Bangkok. La ricerca “Dead men walking: detenuti portatori al fronte nella Birmania orientale” si basa sui racconti di 58 ex prigionieri che sono riusciti a scappare, portando con sé testimonianze di torture, pestaggi ed esecuzioni. “I detenuti sono fondamentalmente dei muli umani per l’esercito birmano. Devono trasportare materiale molto pesante attraverso zone minate”, ha detto Elaine Pearson, direttrice aggiunta dell’organizzazione in Asia, aggiungendo che tale pratica è “solo uno dei crimini di guerra in corso” nel Paese e sollecitando un’inchiesta internazionale. Dall’anno scorso, quando le autorità birmane hanno iniziato un tentativo di pacificare le zone della guerriglia nel nord e nell’est del Paese in vista delle elezioni del 7 novembre, tra l’esercito ed alcune milizie etniche ribelli - in particolare i Kachin e i Karen - si sono verificate periodiche ondate di scontri per il controllo del territorio, dopo che questi gruppi si sono rifiutati di entrare a far parte di un nuovo corpo di “guardie di confine” agli ordini delle autorità centrali.