Giustizia: una lettera aperta a Camera e Senato sulla situazione delle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 12 luglio 2011 Ecco il testo della missiva inviata a deputati e senatori della Repubblica contenente le proposte per una soluzione rapida della drammatica situazione negli istituti penitenziari italiani, soffocati da un affollamento che rende impossibile ogni possibile reinserimento sociale Magistratura Democratica, Ristretti Orizzonti e Antigone avvertono la necessità di fare appello alla coscienza di ogni parlamentare per affrontare i drammatici problemi che affliggono ogni giorno il c. d. pianeta carcere ed in particolare la condizione dei detenuti. Sono anni che le questioni attinenti l’ambito penitenziario non vengono inserite tra le priorità dell’agenda politica nazionale. Ciò accade in una democrazia avanzata che annovera tra i valori primari della sua Carta Costituzionale il principio secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. 1 - È un appello che vuole essere anche una denuncia Intendiamo denunciare come la dimensione della “quotidianità” del carcere sia ormai drammaticamente distante dalla prospettiva indicata nella Carta costituzionale. Ancora una volta i dati al riguardo sono estremamente eloquenti. Il carcere è un “pianeta”. Nel quale, secondo la c. d. capienza regolamentare, potrebbero essere ospitate 45.551 persone e nel quale, il 31 maggio 2011, erano invece costrette a convivere 67.174 persone, con una elevatissima presenza di soggetti tossicodipendenti (pari nel 2010 al 24,42%). - È un “pianeta” in cui le persone si suicidano molto più spesso che nel mondo dei liberi (a seconda delle stime: da sette a venti volte più spesso). - È un “pianeta” in cui manca il personale necessario a realizzare percorsi di inclusione e reinserimento; manca il personale necessario per garantire il trattamento rieducativo in una cornice di sicurezza; manca il personale necessario ad assicurare il primario diritto alla salute. Le condizioni delle carceri in Italia sono talmente inaccettabili che la Corte Europea per i diritti Umani in occasione della sentenza 16 luglio 2009, nel noto caso Sulejmanovic vs Italia, le ha espressamente dichiarate illegali. Tutto accade nella pressoché totale disattenzione dei media e quindi dell’opinione pubblica, salvo ridestarsi nel periodo estivo, quando i palinsesti del circuito della comunicazione offrono un pò più di spazio e quando, con maggiore urgenza, si percepisce la drammaticità dei problemi, magari in corrispondenza dell’eterna “emergenza sovraffollamento”. 2 - La situazione è urgentissima e bisogna intervenire subito Basta coi proclami sterili e propagandistici. La dignità dei carcerati non può attendere l’ennesimo “piano carceri”, le promesse sempre reiterate e mai mantenute, la costruzione di nuovi edifici per la detenzione. L’imputato viene condannato alla detenzione non al degrado. Il diritto di vivere come “esseri umani” deve essere garantito ora anche negli istituti penitenziari. 3 - Sarebbero auspicabili riforme di sistema Come da tempo segnalano le voci più autorevoli del settore, provenienti dall’Accademia e dalle libere professioni, un legislatore responsabile dovrebbe affrontare alcuni nodi cruciali: la depenalizzazione di molti reati ed il drastico intervento su alcune leggi che producono carcere in misura maggiore (si pensi, ad esempio, alle norme in materia di stupefacenti), il rafforzamento degli strumenti sanzionatori alternativi alla pena detentiva, il superamento di un approccio complessivo nella legislazione che appare ispirato ad una logica meramente securitaria. Occorrerebbe dare corpo ad un valore costituzionale di alta civiltà secondo cui la pena ha anche una funzione rieducativa. Tanto più che il tasso di ricaduta nel reato per coloro che hanno scontato pene in regimi alternativi alla detenzione in carcere è marcatamente inferiore rispetto a quanti hanno scontato tutta la pena in carcere. 4 - Interventi importanti possono adottarsi con urgenza e a costo zero Per avere carceri più umane, in attesa di riforme di sistema, ci rivolgiamo a chi ha assunto responsabilità parlamentari, sottoponendogli la necessità di: - a) prevedere l’ampliamento delle possibilità di accesso alle misure alternative, in particolare superando le presunzioni legali di pericolosità sociale (poste tra le altre dalle numerose norme sulla recidiva e dall’art. 58 quater ord. pen.) e riconsegnando alla magistratura di sorveglianza la responsabilità di valutare - caso per caso e senza automatismi spesso ingiusti - se un condannato possa scontare la pena attraverso percorsi alternativi al carcere; - b) prevedere, per i reati che non siano espressione di particolare allarme sociale ed in concreto sanzionabili con pene non elevate, che gli autori vengano messi in carcere (in caso di rigetto delle richieste di misure alternative alla detenzione) soltanto se negli istituti vi siano posti disponibili rispetto alla capienza regolamentare o quantomeno tollerabile; - c) rendere permanente la previsione legislativa di esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno (ad oggi fissata dalla legge n. 199/2010 sino al 31.12.2013, con previsione temporanea... in attesa del piano carceri); - d) adeguare gli organici della magistratura di sorveglianza, oggi incapace di rispondere tempestivamente alla domanda di giustizia, rafforzandone anche i poteri di vigilanza e la capacità di incidere effettivamente sulle situazioni di violazione dei diritti delle persone detenute. 5 - Gli investimenti indilazionabili La legge penitenziaria italiana è una delle migliori sul piano europeo. Ma quanto delineato dai testi normativi è smentito dalle applicazioni “sul campo”. I rapidissimi ritocchi normativi suggeriti dovrebbero essere affiancati da ulteriori iniziative, necessarie a garantire che la pena sia effettivamente votata a finalità di recupero del condannato alla società e ponga le condizioni affinché il reo, uscito dal carcere non ricada nel delitto. Ci limitiamo a segnalarne alcuni, ed in particolare l’adeguamento: - a) degli organici del personale addetto agli Uffici Esecuzione Penale Esterna; - b) degli organici del personale educativo e sanitario all’interno delle Case circondariali; - c) degli organici del Corpo di Polizia penitenziaria; - d) delle strutture carcerarie, in modo tale da garantire da un lato la separazione, pur prevista dalla legge e rarissimamente attuata nei nostri istituti penitenziari, tra detenuti in custodia cautelare e detenuti condannati con sentenza definitiva; e dall’altro lato la creazione di strutture specifiche e funzionali alle peculiari esigenze di particolari categorie di reclusi, come le detenute madri e i tossicodipendenti. L’appello. L’appello che rivolgiamo alla Politica risponde ad un interesse diffuso della collettività. 1) Il rispetto della dignità delle persone detenute misura la civiltà di un Paese. 2) Un carcere che funziona attraverso la praticabilità di percorsi di reinserimento realmente assistiti e progettati, può restituire alla società persone che più difficilmente commetteranno altri reati. 3) Un carcere a misura d’uomo rappresenta la migliore declinazione di quella richiesta di legalità che giunge dalla società e che si rivolge anche alle istituzioni; una richiesta che, come operatori, ci sentiamo in dovere di formulare pubblicamente. Magistratura Democratica Associazione Antigone Ristretti Orizzonti Coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti Giustizia: il Pd aderisce all’appello di Md, Antigone e Ristretti Orizzonti Agi, 12 luglio 2011 “L’appello sul carcere lanciato oggi da Magistratura Democratica, da Ristretti Orizzonti e da altre associazioni, contiene proposte condivisibili e praticabili. Alcune di queste sono, tra l’altro, parte integrante del programma del Pd sulla giustizia approvato dall’Assemblea nazionale nel maggio 2010. Per risolvere la drammatica situazione carceraria è ormai opinione comune che non si può puntare tutto su un piano straordinario di edilizia penitenziaria, come ha fatto in modo fallimentare il ministro Alfano. Occorre, infatti, intervenire su quelle parti della legislazione che hanno determinato e determinano il sovraffollamento (legge Bossi-Fini su immigrazione, legge Fini-Giovanardi sui tossicodipendenti, legge ex Cirielli sulla recidiva), sulla modifica dei meccanismi della custodia cautelare in carcere, nonché sulla rimozione di tutti gli ostacoli introdotti in questi anni per l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Positive inoltre sono le proposte per le estensione agli adulti dell’istituto della messa alla prova e per la soppressione delle misure di sicurezza negli ospedali psichiatrici giudiziari e nelle case lavoro. Condividiamo, infine, l’esigenza di destinare maggiori risorse al reinserimento sociale e alla cura delle persone detenute con la definitiva attuazione della riforma della medicina penitenziaria”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. Giustizia: come svuotare le carceri a costo zero di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2011 Facciamo schifo. Schifo tutti noi che ce ne freghiamo allegramente dei 67 mila detenuti stipati l’uno sull’altro in carceri da terzo mondo, con celle fatiscenti, promiscue, malsane, insicure, disumane, illegali e criminogene, che ne possono ospitare al massimo 44 mila (meno di 3 metri quadrati per ogni detenuto contro i 7,5 imposti dall’Europa). Schifo i turiferari del purtroppo ancora ministro della Giustizia Angelino Alfano, primo responsabile di questo sconcio, essendo fino a prova contraria il Guardasigilli, avendo annunciato non si sa quante volte un fantomatico “Piano carceri”, ovviamente mai visto come ogni altra cosa promessa da questo governo (ricordate le fesserie sul “braccialetto elettronico”? e le “carceri galleggianti in alto mare come in America”? e la promessa alfaniana di “ 17 nuovi penitenziari con 21 mila nuovi posti entro il 2012”?). Schifo anche l’opposizione che parla d’altro, con la lodevole eccezione di Pannella che però, al momento di proporre soluzioni, non sa far altro che rifugiarsi nella solita amnistia, la trentunesima in 60 anni. Una trovata velleitaria (a due anni o meno dalle elezioni non si troverà mai una maggioranza semplice disposta a votarla, figurarsi quella qualificata dei due terzi prevista dalla Costituzione). E inutile (si svuota il mare col cucchiaino, e dopo qualche mese si ritorna punto e daccapo con le carceri straboccanti). E dannosa (incrementa la convinzione che il crimine paga e il criminale non paga). Anche annunciare, come fanno regolarmente tutti i ministri della Giustizia che si susseguono, da Castelli a Mastella ad Alfano, la costruzione di nuove carceri, di fronte a numeri come quelli di oggi, lascia il tempo che trova: ammesso e non concesso che si bandiscano le gare domani mattina (magari riadattando qualche caserma dismessa o reimpiegando in qualcosa di più utile i 20 - 30 miliardi che ci costerebbe quel monumento all’inutilità che è il Tav per le merci Torino - Lione in Val di Susa), c che non ci mettano le mani le solite cricche, visti i tempi medi delle opere pubbliche in Italia significherebbe avere qualche cella in più fra 15 - 20 anni. Si dirà: allora non c’è nulla da fare. Non è così. Basta cambiare qualche legge a costo zero. E, soprattutto, cambiare filosofia. Per anni. decenni, la cultura della vecchia sinistra ha ripetuto che i detenuti fossero troppi e che si dovessero depenalizzare alcuni reati e ampliare le misure alternative alla detenzione. Poi la pseudocultura berlusconiana s’è saldata con queste campagne, strumentalizzandole per depenalizzare i delitti dei colletti bianchi (quelli in cui l’effetto deterrente del carcere è più efficace perché colpisce i ceti più abbienti) e per varare amnistie e indulti nei quali far rientrare quei delitti. Le famose auto - amnistie e auto - indulti. Nessuno ha voluto fare i conti con la realtà: i detenuti non sono troppi, ma perfettamente in linea con le medie degli altri Paesi europei. Troppi, semmai, in Italia sono i delinquenti e i delitti in rapporto ai posti - cella: non esistono altre democrazie controllate per un quarto dalla criminalità organizzata o inquinate da tassi di corruzione ed evasione fiscale paragonabili ai nostri. Infatti, a cinque anni dal famigerato indulto del 2006, il più ampio e indiscriminato della storia repubblicana (26 mila scarcerati, in parte tornati a delinquere e dunque riarrestati),abbiamo di nuovo le carceri sovraffollate. Perché si continua a non intervenire a valle (sul numero dei posti cella) e nemmeno a monte (sulle cause che producono tanti detenuti). La domanda è semplice: c’è un’alternativa al condonismo e al perdonismo all’italiana per deflazionare la produzione di detenuti? Qualche anno fa la risposta era negativa, perché non c’era null’altro da depenalizzare né da condonare né da relegare nelle pene alternative, salvo mettere vieppiù a rischio l’incolumità dei cittadini. Ma, da qualche anno a questa parte, la risposta è sì: perché una serie di leggi targate Berlusconi ha aumentato artificiosamente e inutilmente il numero medio dei detenuti. Basterebbe cancellarle con un decreto, e gli ospiti delle patrie galere scenderebbe all’istante di diverse migliaia di unità, quante ne bastano per restituire un pò di respiro e di dignità umana ai detenuti che devono restare tali. I livelli del sovraffollamento sono tali da configurare quei requisiti di “necessità e urgenza” che giustificano il ricorso al decreto. La vita in cella II sovraffollamento non è solo un problema numerico: è aggravato dalle modalità della detenzione. Tranne rare e lodevoli eccezioni di carceri modello, i detenuti trascorrono 20-22 ore al giorno in una cella dove si fa di tutto: si mangia, si dorme, si fuma, si cucina, si guarda la tv, si va al cesso. La promiscuità e la conflittualità è aggravata dalle difficoltà di coabitazione di persone molto diverse tra loro per età, estrazione, caratura criminale, stato di salute (anche mentale). I servizi peggiorano con l’aumentare dei detenuti, anche quelli essenziali come il cibo o l’acqua per lavarsi. 11 continuo taglio governativo delle risorse ha fatto drammaticamente diminuire il lavoro dei detenuti, peggiorare la pulizia delle celle, persino scarseggiare le dotazioni per l’igiene personale. A ciò si aggiungono le carenze strutturali di molti penitenziari (a cominciare dall’assenza di un minimo di manutenzione delle strutture) e i vuoti di organico nel personale, soprattutto nella Polizia penitenziaria, che presto renderanno addirittura inutilizzabili alcune carceri esistenti: per cui i posti cella, anziché aumentare come promesso, diminuiranno ancora. Carcere breve È statisticamente dimostrato che l’altissimo numero medio di detenuti dipende non tanto dalle lunghe permanenze in carcere, ma dal continuo turn over di persone che in carcere si fermano pochi giorni per reati minori (furtarelli, liti coi vigili urbani, ingiurie, risse, omissioni di soccorso), o addirittura non - reati (vedi, per esempio, la clandestinità, depenalizzata solo da pochi giorni grazie alla nota sentenza della Corte europea di Strasburgo). Un automobilista che non ha pagato il Telepass, a Roma, è finito dentro per truffa e s’è beccato 7 mesi di reclusione. In un anno. entrano oltre 90 mila persone e ne escono quasi altrettante. Di quelle 90 mila, solo 10 mila sono lì per scontare la pena in seguito a condanna definitiva. Gli altri 80 mila sono arrestati o fermati o in custodia cautelare (cioè “in attesa di giudizio”, che però in Italia comprende anche i condannati in primo e secondo grado che aspettano la Cassazione): cioè in attesa di scarcerazione o di processo. In media, di questi 80 mila, 35 mila escono nei primi 10 giorni. Molti entrano a mezzogiorno ed escono alle 14. Insomma, i 67 mila detenuti di oggi sono diversi quasi per la metà dai 67.000 di un anno fa. É l’effetto “porte girevoli”. Il “carcere breve” del quale, diversamente dal “processo breve” e dalla “prescrizione breve”, il “governo del fare” non si occupa minimamente. Poi ci sono i poveracci che, pur avendo diritto ai servizi sociali, sono mal difesi (di solito da avvocati d’ufficio, mal pagati oppure mai pagati da uno Stato inadempiente) e non conoscono i propri diritti, oppure “dimenticano” di avanzare l’istanza per la pena alternativa: dunque restano dentro. A che serve, dal punto di vista della sicurezza dei cittadini, tener dentro qualcuno per un paio di giorni? Assolutamente a nulla. In compenso ogni detenuto costa alla collettività 115 euro al giorno. Vediamo, dunque, quali leggi andrebbero smantellate o modificate per decreto, e come, con immediate ricadute deflattive sul numero totale dei detenuti. Immigrazione Il 38% dei detenuti nelle nostre carceri sono stranieri, quasi tutti extracomunitari, perlopiù clandestini. La legge Bossi-Fini n. 189 del 2002 non è tutta sbagliata. Ma andrebbe seriamente emendata. Fino a qualche mese fa, quando una direttiva europea ha di fatto depenalizzato la clandestinità e i reati collegati al semplice status di irregolare, l’articolo 15 della legge produceva 10 - 15 mila nuovi detenuti all’anno: un quinto del totale. Perché prevedeva (e prevede ancora) un meccanismo tra l’ipocrita e il demenziale per l’immigrato che rimane sul territorio dello Stato dopo la notifica dell’ordine di espulsione: il clandestino viene fermato, riceve il foglio di via e di solito non va via; se lo ripescano, lo arrestano per 2-3 giorni e le volte successive lo ributtano in carcere per periodi più lunghi a causa del cumulo pena. Basterebbe espellerlo e il circolo vizioso finirebbe in partenza. Ma i rimpatri non si fanno perché mancano i fondi presso le questure e le prefetture; o meglio, i fondi ci sarebbero, ma vengono sperperati per le espulsioni in via amministrativa, che rendono di più sul piano della propaganda e danno il vantaggio di liberare i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) gestiti dal ministero dell’Interno. Risultato: l’immigrato sbarca, viene fermato perché è senza documenti, viene tradotto nel Cie, la Questura avvia le procedure di identificazione e poi lo espelle. Se invece viene arrestato, chi se ne frega: così fa qualche giorno di carcere, contribuendo all’esplosione del sovraffollamento, poi esce, poi lo ribeccano senza documenti, poi rientra e così via all’infinito. Così si scarica sui tribunali e sulle carceri un problema, quello della clandestinità, che andrebbe risolto per via amministrativa. Un altro articolo della Bossi-Fini, invece, andrebbe conservato, ma applicato: quello che consente di “perdonare” al detenuto extracomunitario detenuto gli ultimi due anni di pena, sostituendoli con l’espulsione. Attualmente, al Dipartimento amministrazione penitenziaria, si calcola che - su 20 mila detenuti extracomunitari (il 40% del totale) - siano 6-7 mila quelli in condizione di essere espulsi subito col meccanismo appena descritto. Invece restano in cella: un po’ per mancanza di fondi, un pò per alimentare campagne xenofobe facendo incancrenire un problema risolvibile, un pò per non turbare il mega - business dei centri di raccolta. Detto per inciso: alcuni detenuti extracomunitari, restando in cella, imparano un lavoro e dunque quando escono sarebbero pronti per inserirsi nella società, ma non possono farlo, perché rimangono irregolari, dunque rientrano nel circuito della clandestinità e spesso della criminalità anche se vorrebbero rigare diritto. Ex-Cirielli La legge n. 251 del 2005 firmata dal senatore di An Edmondo Cirielli (che poi ritirò la firma quando si vide aggiungere nel suo testo la norma che dimezzava la prescrizione per mandare in fumo i processi a Berlusconi e ad altri colletti bianchi), introduce in Italia la regola “americana” della linea dura al terzo reato: si vieta di sospendere l’ordine di esecuzione della condanna per l’accesso alle pene alternative se il condannato ha già sul groppone altre due condanne. Indipendentemente dai reati che ha commesso. Il che, in combinato disposto con la Fini-Giovanardi sulle droghe, ha sortito l’effetto di riempire le carceri di tossici, beccati due o più volte a caccia di una dose. In pratica: un condannato per due stupri o per due rapine a mano armata può godere della sospensione dell’arresto e restarsene sostanzialmente libero. Se invece un tizio subisce tre condanne - magari una per furto di provolone al supermercato, una per guida senza patente e una per vendita di un cd taroccato - deve finire obbligatoriamente in galera. Il terzo reato, qualunque esso sia, anche un’inezia, porta necessariamente in carcere anche per i due precedenti. Mentre chi ne commette (o viene condannato per) soltanto due, magari gravissimi, ha buone probabilità di evitare l’arresto. Una norma cieca, ottusa, demenziale, che non fa differenze fra delitto e delitto e non tiene minimamente conto della pericolosità sociale del soggetto. Ma anche una norma che ci vede benissimo, visto che ha per effetto di tener dentro poveracci sostanzialmente innocui e lasciare fuori i grandi delinquenti. Compresi i colletti bianchi, che nelle statistiche della popolazione carceraria non risultano proprio: per reati contro la Pubblica amministrazione, sono attualmente detenute 150 persone (quasi tutti vigili urbani col vizio della mazzetta), e per reati finanziari nessuno. Per l’abuso d’ufficio la pena massima è stata ridotta nel 1997 (maggioranza di centrosinistra, centrodestra d’accordo) alla miseria di 3 anni, con prescrizione assicurata e impossibilità assoluta di finire in carcere, sia in custodia cautelare sia in espiazione pena; invece per un piccolo furto si può arrivare a 10 anni; per la vendita di cd taroccati fino a 5 anni (altro capolavoro del centrosinistra). Pene molto più pesanti anche della corruzione semplice e del falso in bilancio. Così, se uno ruba un po’ di pane al supermercato rischia 10 anni, se un marocchino vende cd contraffatti per strada ne rischia 5 (oltre a eventuali cumuli e divieti di misure alternative se, come spesso accade, è recidivo). Invece, se un politico o un pubblico ufficiale usa la cosa pubblica per fini personali, rubando milioni per sé o per altri, o se un ricco froda il fisco o falsifica bilanci facendo sparire la cassa non rischia nulla: gli basta scegliere il rito abbreviato per ottenere 2 anni o anche molto meno, ed essendo sicuramente incensurato non andrà mai in carcere. Cancellare la ex-Cirielli (e alcune norme contenute nei vari “pacchetti sicurezza” degli ultimi tre anni, di cui parliamo tra un istante) significherebbe alleggerire di molto il sovraffollamento carcerario. Infatti, su 36 mila detenuti definitivi, circa 18 mila devono scontare pene inferiori ai 3 anni e altri 14 mila pene residue di 1 anno o meno. Ma la legge penitenziaria consente a chi ha meno di 3 anni di pena o di residuo pena di uscire in “affidamento in prova al servizio sociale” o (sotto i 2 anni) agli arresti domiciliari. Perché allora 32 mila persone che dovrebbero perlopiù stare già fuori sono ancora dentro? Perché la ex Cirielli e i pacchetti sicurezza limitano l’accesso alla sospensione della pena e alle misure alternative per i recidivi. La ex - Cirielli, poi, nella parte misconosciuta dal suo autore, dimezzava la prescrizione per tutti i delitti degli white collars, rendendo praticamente impossibile condannarli in via definitiva anche una sola volta prima che scatti la prescrizione: così si è creata la categoria dei prescritti seriali, che possono delinquere all’infinito perché risultano sempre incensurati, dunque ottengono sempre le attenuanti generiche, dunque strappano sempre la prescrizione. Un esempio dall’alto: il presidente del Consiglio. Droghe Non tutti e 20 mila i tossicodipendenti detenuti sono in carcere per uso personale di droga: molti sono spacciatori. Ma ogni anno entrano in carcere, magari per brevi periodi (aumentando la media dei detenuti giornalieri), migliaia di persone arrestate solo perché consumatrici di dosi eccedenti quelle stabilite dalla legge Fini-Giovanardi: la n. 49 del 2006, che equipara le droghe leggere a quelle pesanti. E soprattutto prevede pene spropositate per qualunque reato, anche irrisorio (tipo la coltivazione di marijuana sul balcone), legato alle sostanze psicotrope. Di recente un nordafricano s’è buscato 6 anni di carcere per avere spacciato 4 grammi di eroina, un altro 4 anni per cessione di un grammo di hashish. Una norma decente la conteneva persino la Fini - Giovanardi: quella secondo cui una condanna inferiore ai 6 anni può essere scontata in una comunità di recupero: peccato che di comunità adatte alla bisogna praticamente non ne esistano, così quasi tutti i condannati che potrebbero scontarvi la pena restano in carcere. Domanda: non sarebbe il caso di tornare alla legislazione precedente in materia di droghe? E soprattutto di smetterla di inventarsi sempre nuovi reati, se i tribunali, le procure e le carceri non sono in grado di reggere neppure il peso di quelli davvero gravi? Negli ultimi anni hanno tentato, finora invano, di inventare un reato apposito contro i graffitari (esisteva già il danneggiamento), mentre ce l’han fatta per chi maltratta gli animali (da 3 mesi al anno di carcere, mentre chi picchia un uomo rischia solo da 15 giorni a 6 mesi; oltretutto la prescrizione è assicurata, e allora non sarebbero meglio salatissime multe in via amministrativa?). Quel gran genio di Frattini ha proposto addirittura un apposito delitto di “traffico di cuccioli di animali da compagnia”. Pacchetti sicurezza A peggiorare ancora la situazione, il governo ha pensato bene di inserire nell’ultimo pacchetto sicurezza firmato dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, un’ulteriore modifica all’articolo 656 del Codice di procedura penale che regola l’esecuzione delle pene detentive: l’ordine di esecuzione della pena, e dunque l’arresto, non può mai essere sospeso per il reato di furto. Per una rapina a mano armata o per uno stupro, ma anche per due furti o due rapine, il carcere può ancora essere sospeso, e per un solo furtarello non più. Che senso ha una simile follia che finisce col punire più severamente il ladruncolo dell’assassino? Già, perché in Italia è più probabile finire in carcere per un furto che per un omicidio. Prendiamo il caso del marito che ammazza la moglie (ma vale anche per la moglie che ammazza il marito), poi si costituisce e confessa, dicendo che la signora l’aveva provocato. Se tutto gli va liscio, c’è pure il caso che non faccia nemmeno un giorno di carcere. Né preventivo né definitivo. Niente custodia cautelare. visto che non c’è pericolo di fuga (si è consegnato), né di inquinamento delle prove (ha confessato), né di ripetizione del reato (aveva una sola moglie e l’ha già fatta fuori, non può ammazzarne un’altra). La pena base di 30 anni e rotti, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, è 21 anni. Poi c’è l’attenuante della provocazione: si scende a 14. Poi l’attenuante della confessione: si scende a 9 anni e 4 mesi. Se il reo confesso risarcisce il danno ai parenti della signora, altro sconto di un terzo: si scende a 6 anni 2 mesi 20 giorni. A questo punto l’imputato chiede il rito abbreviato, che gli dà diritto a un altro sconto di un terzo: si scende a 4 anni e 2 mesi. Se ha avuto l’accortezza di eliminare la signora prima del 2 maggio 2006, ultimo giorno utile per usufruire dell’indulto, può scalare i 3 anni di sconto e scendere a 1 anno e 2 mesi. Che, essendo ben al di sotto della soglia di tre anni prevista dalla legge penitenziaria per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, gli danno diritto a restare libero, salvo qualche visita a un ente benefico e qualche seduta dinanzi all’assistente sociale che deve verificare il suo “reinserimento nella società”. Dalla quale nessuno, peraltro, l’ha mai disinserito. Ovvero: come ammazzare la moglie senza passare dalla prigione. Col vantaggio aggiuntivo di potersi risposare subito dopo l’uxoricidio, senz’attendere i tempi biblici di una causa di separazione o divorzio. t vero che l’uxoricida ha dovuto risarcire il danno ai congiunti della vittima. Ma in caso di separazione c divorzio, avrebbe speso molto di più per assegni di mantenimento, e chissà per quanti anni. Non c’è dubbio: in Italia conviene sparare. Ma guai a rubare: a fronte delle pene irrisorie scontate in concreto dall’omicida, quella per tre furti può arrivare anche ai 20 anni di reclusione. Conseguenze altrettanto paradossali sortisce l’ultimo pacchetto sicurezza a proposito degli stupri: per questo reato, e solo per questo, il gip durante le indagini non può più disporre gli arresti domiciliari, ma soltanto la custodia cautelare in carcere. In caso di omicidio, invece, i domiciliari sono ancora consentiti. Ma l’omicidio è più grave dello stupro. Così il messaggio agli stupratori è chiaro e vagamente criminogeno: se vogliono sperare nei domiciliari, non devono limitarsi a violentare la ragazza, ma la devono pure assassinare. Bastano questi pochi esempi per dare un’idea dell’impazzimento di un sistema ormai senza bussola. A furia di leggi e decreti e pacchetti varati sull’onda emotiva di questo o quel caso di cronaca, di questa o quella campagna demagogica, abbiamo un sistema repressivo che premia i “delinquenti primari”, cioè i cattivi veri, e penalizza i “secondari”, cioè i poveracci, spalancando le galere ai secondi e chiudendole ai primi. Col risultato di sovraffollare vieppiù le carceri, visto che i delinquenti primari sono molto meno numerosi(ma molto più pericolosi) di quelli secondari. Cose che accadono nel Paese governato da delinquenti primari che legiferano per sbattere dentro i secondari. Lazio: Pochiero (Mp); nelle carceri regionali sovraffollamento e carenza di organico Agenparl, 12 luglio 2011 “Il sistema penitenziario nazionale da anni è costretto a subire gli effetti delle gestioni centrali precedenti che determinano tuttora penalizzanti condizioni operative per chi lavora nelle Regioni Italiane”. A dichiararlo è il Segretario Provinciale di Moderazione Popolare Fabrizio Pochiero il quale aggiunge: “Il numero dei detenuti negli Istituti Penitenziari è in continuo aumento e purtroppo la dotazione dell’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria non cresce di pari passo”. “La situazione è diventata ingestibile ai danni del personale che non riesce a garantire la governabilità degli istituti penitenziari della repubblica, questo grazie alla cronica carenza dell’organico”. Continua Pochiero: “il deficit dell’organico ha raggiunto la soglia del 20% (a livello nazionale) rispetto alla previsione normative di qualche anno fa e soffermandomi ad analizzare la Regione Lazio, questa tocca una percentuale deficitaria che ha punte del 40% sulla base della previsione tabellare”. Il Segretario Provinciale MP precisa: “Inoltre bisogna dire che ad elevare la carenza dell’organico amministrato sono i numerosi distacchi di personale di polizia penitenziaria ad altre sedi che penalizzano in maniera ancora più determinante la maggior parte degli Istituti della Regione”. Aggiunge: “le traduzioni di detenuti vedono un rapporto detenuti/agenti impiegati di 5 a 3. Se a tutto ciò aggiungiamo che la Regione Lazio ha anche il primato per la peggiore qualità ed affidabilità del parco automezzi, quello che ne esce è un quadro assolutamente negativo. Bisogna quindi intervenire al più presto per assumere delle contromisure per aumentare la dotazione organica degli Istituti penitenziari del Lazio cos’ come gli altri istituti della repubblica”. Bisogna salvaguardare la vita lavorativa di tutto il personale della Polizia Penitenziaria costretto, molte volte, ad effettuare turni massacranti e con elevate ore lavorative mal retribuite. È proprio questo Moderazione Popolare intende elaborare e proporre al Dap, al Ministero della Giustizia e di concerto con il Ministero degli Interni, quest’ultimo per il grande flusso migratorio di clandestini, di trovare soluzioni immediate che tutelino allo stesso tempo il personale penitenziario e l’ordine e sicurezza degli istituti. Puglia: nominato il Garante dei diritti dei detenuti. Vendola: “una giornata storica” di Nicoletta Marchitelli www.statoquotidiano.it, 12 luglio 2011 È Pietro Rossi il garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale nominato dal Consiglio regionale con 59 voti favorevoli su 63 presenti, 2 schede bianche e 2 voti espressi invece, nei confronti di un altro candidato. Una figura alla quale viene affidata la protezione e la tutela non giurisdizionale dei diritti delle persone presenti negli istituti penitenziari, negli istituti penali per minori, nei centri di prima accoglienza e nei centri di assistenza di assistenza temporanea per stranieri, nelle strutture sanitarie in quanto sottoposti al trattamento sanitario obbligatorio. Nel quadro nazionale allo stato attuale l’istituzione del Garante è avvenuta in poche città e nelle Regioni Lazio e Sicilia. Inoltre è all’esame della Camera un progetto di legge per l’istituzione di un Garante nazionale. Quindi la Puglia arriva terza rispetto alla nomina di questa figura di garanzia. Non sarà un compito facile quello del garante dei detenuti. Secondo i dati del ministero a fine 2010 erano costretti nelle galere 67.961, a fronte di una capienza regolamentare di 45.022 posti. In pratica circa 150 persone devono dividersi lo spazio previsto per 100. La Puglia rispetto ai dati non se la passa meglio, anzi non se la passano meglio i detenuti nelle carceri pugliesi. Sono 4.449 le persone trattenute nei penitenziari, 2.000 oltre la capienza naturale secondo i dati di marzo, 600 in più della soglia di tollerabilità. Tra il 2010 e il 2011 sono circa una dozzina i detenuti che hanno scelto il suicidio come forma di libertà. Se poi si analizza ogni singolo carcere, scendendo nel dettaglio, la situazione diventa ancor più drammatica. Lecce per esempio è un caso di emergenza vera e propria: 1600 detenuti ammassati in spazi che a norma di regolamento potrebbero ospitare solo 600 persone. In dodici metri quadrati sono sistemati 3 detenuti in un letto a castello. Ma anche a Foggia le cose non vanno meglio. Il dibattito in aula si è svolto con un unico comune denominatore: l’assoluta condanna delle modalità con le quali si svolge la pena per le persone costrette alla detenzione. E lo hanno sostenuto tutti al di là dei propri convincimenti politici o delle differenze culturali. Nichi Vendola Ma “questa giornata importante - così l’ha definita il presidente Vendola - lo è soprattutto perché finalmente ci sarà qualcuno che si occuperà di ciò che c’è dietro le sbarre”. Vendola fa riferimento a tutte le questioni connesse ai disagi di chi è costretto a vivere la condizione del detenuto affrontando non solo la reclusione come pena, ma anche tutto il resto. Dalla carenza strutturale delle carceri, alla mancanza di adeguata assistenza sociosanitaria, alla negazione dell’affettività. Tutti temi sensibili che meritano attenzione. Ma chi sono i detenuti in questo nostro Paese, hanno un volto? Per il presidente Vendola i detenuti in Italia hanno spesso il volto di uno straniero, di un tossicodipendente, di persone rappresentative di un disagio sociale. Non piace a Vendola che “continui a passare l’idea che le complicazioni sociali debbano avere una risposta penale”. Lo stesso grido d’allarme in particolare sul concetto di repressione invece della inclusione sociale, l’ha sollevato in aula anche l’assessore Lorenzo Nicastro, con particolare riferimento agli immigrati, a “coloro che sono venuti in Italia in cerca di accoglienza e si sono scontrati con il muro delle leggi repressive spesso poste in essere con la giustificazione del comune sentire popolare”. Insomma come ha sottolineato il presidente della Commissione sanità, oggi con la nomina del garante per i detenuti, la Puglia è un po’ più civile. E Vendola si augura che questo sia solo il primo passo verso una prigione dove non siano violati i diritti civili e la nostra Costituzione. Rocco Palese (Pdl) “Il garante dei detenuti è un atto di civiltà, una sentinella istituzionale che contribuirà a restituire dignità alla vita carceraria anche in Puglia. Per questo votammo a favore della sua istituzione, come dell’istituzione del garante dei minori, e votiamo a favore oggi per la sua designazione”. Lo sostiene in una nota il capogruppo del Pdl alla Regione, Rocco Palese. “I numeri sulla popolazione carceraria in Italia e in Puglia - ha detto Palese nel suo intervento - bastano da soli a comprendere come sia impossibile garantire una vita carceraria dignitosa: il numero dei detenuti nelle nostre carceri è più del doppio della capienza; in una sola cella convivono numerosi detenuti, spesso per reati molto diversi tra loro, il che rende impossibile una corretta riabilitazione, ma anche una assistenza carceraria degna di questo nome. Le competenze delle Regioni in questa materia non sono molte, ma crediamo che istituire il garante dei detenuti sia un piccolo segnale non solo di attenzione, ma anche di possibile intervento”. “Il garante - chiosa il capogruppo Pdl - sarà la nostra sentinella istituzionale che consente alla Regione, e al Consiglio regionale, di dare una risposta alta, compatta, senza divisioni ad una emergenza di civiltà del nostro Paese portata all’attenzione della politica qualche anno fa anche dal Pontefice che su questo argomento chiese una riunione congiunta delle due Camere. Il dibattito ed il voto pressoché unanime di oggi dimostrano che su argomenti come quello della dignità degli uomini, la politica non si divide. Al neo eletto garante, Dott. Rossi, il nostro augurio di buon lavoro”. Antonio Decaro (Pd) “Oggi la Puglia raccoglie il grido d’allarme che si leva dalle carceri pugliesi. E con la nomina del Garante dei detenuti fa un passo in avanti nella tutela dei diritti di chi, mentre sta scontando una pena, deve prepararsi al suo reinserimento nella società”. Lo sottolinea il capogruppo del Pd alla Regione Puglia, Antonio Decaro, secondo il quale “la funzione primaria del carcere dev’essere quella di rieducare alle regole di una società civile, di ritrovare i valori del rispetto degli altri e delle leggi, di preparare il detenuto al ritorno nel mondo sociale esterno, con la stessa considerazione e gli stessi diritti degli altri cittadini”. Per Decaro, “con il Garante dei detenuti sarà possibile ascoltare non solo le richieste d’aiuto che provengono dai detenuti, ma anche quelle di migliaia di poliziotti che quotidianamente lottano contro la scarsità di personale, il sovraffollamento e le precarie condizioni igienico - sanitarie nelle carceri”. “Ora - ribadisce il capogruppo - la Puglia ha cominciato il suo percorso verso la dignità e la garanzia di migliori condizioni di vita dei detenuti nelle sue carceri. E fondamentale sarà la figura del Garante regionale che dovrà attivare ogni iniziativa volta ad assicurare il diritto alla salute, all’istruzione, alla formazione, alla cultura e allo sport, ai rapporti con la società e con la famiglia, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro. Il Garante, infatti, segnalerà agli organi regionali i fattori di rischio o di danno per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, proponendo agi stessi organi tutti gli interventi, anche legislativi, da intraprendere per assicurare il pieno rispetto dei diritti di queste persone. Come ha già detto il presidente Marino, la Puglia oggi è una regione più civile”. “Non ci resta che augurare buon lavoro al dott. Rossi - conclude Decaro - affinché una nuova stagione dei diritti sia inaugurata nella nostra regione, da sempre attenta alle esigenze dei più deboli”. Onofrio Introna (Consiglio Regionale) “Buon lavoro dal garante dei detenuti. Finalmente, grazie a tutti i consiglieri, è stata colmata una grave lacuna”. È la dichiarazione del presidente del Consiglio regionale, Onofrio Introna, dopo l’elezione a larghissima maggioranza del responsabile della nuova struttura che opererà nell’ambito degli uffici consiliari. “L’auspicio è che la sua azione possa incrociare una più attenta e sensibile politica che veda il Governo nazionale impegnato nel superamento delle storiche carenze della realtà carceraria, per migliorare le condizioni di vita dei reclusi ma anche del personale che opera all’interno degli istituti di pena e detenzione”. “Rinnovo, pertanto, gli auguri di buon lavoro al garante e i complimenti al Consiglio, che in grande unità ha compiuto una buona azione, scrivendo una bella pagina di civiltà sociale” Salvatore Negro (Udc) “L’istituzione dell’Ufficio del “Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale” è il segno di una sensibilità e di un’attenzione crescente verso chi sperimenta la dura esperienza del carcere. L’iniziativa, che trova il favore dell’Unione di Centro, rientra in uno di quei temi che mette al centro della politica l’uomo in quanto tale e il cui obiettivo è tutelarne la dignità e garantirne il rispetto, anche quando ha sbagliato ed è chiamato a pagare per i suoi errori. Un’idea dell’uomo che ci deriva da quella cultura cattolica che è nelle nostre radici di moderati e che non abbiamo mai rinnegato”. Lo ha detto il presidente del Gruppo Udc alla Regione Puglia nel suo intervento durante il dibattito per l’istituzione e la nomina del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, approvato all’unanimità dal Consiglio regionale con la nomina del dott. Pietro Rossi a cui il presidente Negro ha rivolto gli auguri del Gruppo di buon lavoro “Siamo consapevoli - ha sottolineato - che la istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale è solo un primo passo di un cammino irto di insidie e difficoltà che si pone come obiettivo quello di proteggere e tutelare sotto il profilo umano le persone presenti negli istituti penitenziari ma anche nei centri di prima accoglienza e nei centri di permanenza temporanea per stranieri. Un’iniziativa al momento adottata solo da altre due regioni (Lazio e Sicilia), che dà il segno del grado di solidarietà e di profonda umanità che la gente di Puglia è ancora in grado di esprimere, nonostante le difficoltà di una crisi che ha messo in ginocchio la nostra economia e a cui l’intera classe politica guarda con forte preoccupazione”. “Compito primario del Garante - ha continuato il presidente Negro - sarà quello di far emergere le difficili condizioni di vita di chi si trova a sperimentare la durezza del carcere e di altre misure restrittive della libertà personale e di collaborare con le istituzioni preposte a migliorarne la qualità di vita onde favorirne il recupero nella società civile e il reinserimento nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo rappresenta un richiamo per tutte le forze politiche affinché collaborino nel migliorare lo standard di vita qualitativo dei detenuti, in primis attraverso una politica nuova di edilizia penitenziaria ma anche attraverso iniziative sociali utili a fare sentire meno isolati chi è stato privato della libertà personale”. Il presidente Udc ha poi ricordato il difficile contesto e le difficoltà in cui operano quotidianamente gli agenti di polizia penitenziaria. “Occorre dotare sempre più il personale addetto alla sorveglianza - ha spiegato - di adeguati strumenti culturali e umani che gli consentano di affrontare con sicurezza il difficile compito che gli viene affidato. In questo difficile contesto il lavoro del Garante sarà prezioso e utile in quanto sarà da stimolo nel processo di recupero e reinserimento nella società civile e nel mondo del lavoro di chi ha sbagliato ed ha scontato o sta scontando la sua pena. La sua istituzione - ha concluso Salvatore Negro - apre la strada a nuovi percorsi per una società più equa che non dimentica gli ultimi, anche quelli che hanno sbagliato, ma li pone al centro dell’attenzione offrendogli nuove possibilità di riscatto e di vita. Trani (Ba) detenuta di 32 anni muore in cella, polemiche sull’assistenza sanitaria in carcere Ansa, 12 luglio 2011 La donna, 32 anni, è deceduta nella notte, sembra per cause naturali dopo uno choc seguito a una brutta notizia ricevuta dai familiari. Dall’Osapp l’appello sulla situazione sanitaria nel penitenziario, dove è stata soppressa la guardia medica h24. Una detenuta di 32 anni è stata trovata morta oggi - sembra per cause naturali - nel proprio letto, in una cella del carcere di Trani. Lo rende noto il vicesegretario generale nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli. Il corpo della donna è stato scoperto questa mattina nel corso del giro di ispezione degli agenti della Polizia Femminile compiuto nei reparti detentivi del carcere femminile di Trani, in una delle celle situate nel piano superiore dell’istituto penitenziario. A quanto si è saputo, la donna sembra che ieri abbia ricevuto notizie negative dalla propria famiglia, di origine tarantina, tanto da averla notevolmente scossa. “Sulla situazione riguardante la sanità penitenziaria e sulla drammaticità della situazione verificatasi dal 2008, dalla data del passaggio della sanità nazionale penitenziaria a quella regionale - sottolinea Mastrulli - sono stati scritti fiumi di missive ed è intercorsa copiosa corrispondenza tra il sindacato Osapp e le massime espressioni sanitarie nazionali e regionali, con il coinvolgimento della stessa amministrazione penitenziaria a vari livelli, senza a oggi, ottenere adeguato ascolto”. Intanto proprio a Trani - sottolinea l’Osapp - su disposizione della Asl e della Regione “è stata soppressa la figura della guardia medica h24 ed il servizio prima funzionante è stato trasferito in quello della casa circondariale maschile e il carcere femminile è costretto a rivolgersi al 118 ed alla Guardia medica dell’Ospedale Civile Cittadino in casi anche di piccola somministrazione di terapia, tra cui quella della tossicodipendenza e delle medicine riguardanti la sfera psico - mentale”. Mastrulli chiede “l’immediato riassetto medico sanitario e paramedico infermieristico in tutte le Carceri della Puglia senza alcuna interruzione del servizio al fine di evitare ulteriori tragedie umane”. Negrogno (Servizio 118): la burocrazia spesso complice di queste morti Una detenuta del carcere femminile di Trani è stata trovata senza vita questa mattina dagli agenti di polizia penitenziaria durante un’ispezione di routine. La donna, appena 32enne, nativa di Taranto, è stata trovata senza vita nel proprio letto in una delle celle situate nel piano superiore del carcere femminile, ubicato in piazza Plebiscito. La reclusa è morta per cause naturali. Si tratta del decimo decesso dall’inizio dell’anno nelle carceri pugliesi. La donna aveva avuto dei contatti con la sua famiglia 24 ore prima del decesso. Dopo aver parlato con i suoi parenti era apparsa sconvolta e provata. Il giorno dopo è stata trovata senza vita nella sua cella. In merito alla morte della detenuta, Rino Negrogno ha rilasciato alcune dichiarazioni sulle condizioni della struttura penitenziaria: “Ogni volta che intervengo presso il carcere come operatore dell’emergenza urgenza 118 - scrive Negrogno - con l’ambulanza dobbiamo fermarci al primo cancello e poi al secondo e poi dobbiamo dare i nominativi e le qualifiche di tutta l’equipe, poi dobbiamo consegnare i cellulari e qualche volta discutere sul fatto che non possiamo lasciare il cellulare di servizio o sul fatto che sia necessaria la presenza di tutta l’equipe per determinati interventi. In tutto questo passano inesorabili ed implacabili minuti. Considerando che un danno anossico cerebrale irreversibile, in caso di arresto cardiocircolatorio, tende a svilupparsi già dopo alcuni minuti (dai 4 ai 10), fate le vostre considerazioni. Capisco la sicurezza e la sua organizzazione ma ritengo che ci sia la necessità di organizzare diversamente la gestione di certi, spiacevoli eventi. Poi, nella fattispecie, per prevenire questi incidenti, esistono anche figure importanti come psicologi e sociologi che dovrebbero essere presenti in queste tristi e difficili realtà. Per tutti, buoni e cattivi”. Roma: notizia suicidio a Rebibbia è falsa; detenuto ha subito tentato omicidio ed è sopravvissuto Ristretti Orizzonti, 12 luglio 2011 (Rettifica) - La notizia del decesso di Carmine Parmigiano nel carcere di Rebibbia, pubblicata dal quotidiano “La Città di Salerno” lo scorso 4 luglio e ripresa dal nostro notiziario, non risponde al vero. Lo comunica, in una nota, il direttore del penitenziario, Dr. Carmelo Cantone, chiarendo che l’uomo era stato ricoverato all’ospedale “Pertini” a seguito di un tentato omicidio ed è stato dimesso alcuni giorni dopo. Roma: detenuto a Poggioreale trasferito d’urgenza al Policlinico Gemelli per trapianto di fegato Ristretti Orizzonti, 12 luglio 2011 Dichiarazione di Franco Ionta: “Esprimo viva soddisfazione per l’operato della direzione e del personale di Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Napoli Poggioreale e del Nucleo Traduzioni e Piantonamento di Secondigliano per la tempestiva e perfetta organizzazione con cui è stato attivato il trasferimento d’urgenza di un detenuto, avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 luglio, presso il Policlinico Gemelli, per essere sottoposto al trapianto di fegato”. Così ha commentato Franco Ionta, capo del Dap, la notizia che il detenuto M.S., dal 1° luglio detenuto a Poggioreale, affetto da grave patologia e in attesa di trapianto, è stato trasferito dal nucleo traduzioni e piantonamento di Napoli Secondigliano che, allertato dall’Ispettore di Sorveglianza di Poggioreale ha, nel giro di poche ore, consentito di sottoporre il detenuto al delicato intervento presso il Centro Trapianti del Gemelli che aveva comunicato nella notte la disponibilità di un fegato compatibile. “Questo episodio - ha proseguito Ionta - è la prova, e non un caso eccezionale, della professionalità della Polizia Penitenziaria, e della Dirigenza penitenziaria, che ha consentito in questa, e in tante altre situazioni, di salvare una vita umana, adottando una gestione “non burocratica” della propria missione di operatori penitenziari. Bologna: la Commissione Diritti umani del Senato visita il carcere della Dozza Redattore Sociale, 12 luglio 2011 Il commento dell’assessore alle Politiche sociali dell’Emilia-Romagna: “Servono risorse che permettano la gestione quotidiana delle strutture. non è immaginabile pensare di affrontare l’estate in queste condizioni”. Nelle carceri “occorre intervenire nell’immediato, con risorse che permettano la gestione quotidiana delle strutture. Al tempo stesso è necessario garantire l’indispensabile presenza del personale, che rende possibile una giusta custodia: bisogna farlo, e subito. Mi auguro che la visita di oggi alla Dozza sproni il governo ad agire, e ad attuare ciò che è nelle sue competenze: non è immaginabile pensare di affrontare l’estate in queste condizioni”. Queste le parole dell’assessore alle Politiche sociali della Regione Teresa Marzocchi, che ha espresso apprezzamento per la visita del presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del senato Pietro Marcenaro, dei parlamentari Rita Ghedini, Elio Massimo Palmizio, Donata Lenzi insieme al sindaco Virginio Merola. “La situazione - sottolinea Marzocchi - è drammatica, non ci stancheremo mai di ripeterlo: le nostre carceri sono al secondo posto in Italia per tasso di sovraffollamento”. I detenuti in Emilia - Romagna sono infatti 4.373, a fronte di una capienza regolamentare di 2.394. Questo determina un indice di sovraffollamento pari al 182,5%, molto al di sopra del dato medio nazionale (150,95%). A questa condizione di estrema gravità “la Regione - prosegue l’assessore - ha risposto applicando pienamente gli interventi previsti dalla sanità penitenziaria e promuovendo, prevalentemente tramite le amministrazioni locali, numerosi progetti per migliorare le condizioni di vita dentro le carceri e favorendo insieme interventi di reinserimento sociale”. L’assessore sottolinea inoltre come “l’impegno del volontariato, molto presente in queste realtà, e la grande disponibilità di chi lavora ogni giorno dentro le carceri, hanno evitato il precipitare della situazione”. Tutto questo però “non è sufficiente a gestire il tempo che ci separa dall’effettiva realizzazione dell’atteso Piano Carceri che, se applicato come concordato, dovrebbe ridimensionare drasticamente i numeri del sovraffollamento. Per questo - conclude l’assessore - occorre intervenire nell’immediato con risorse che permettano la gestione quotidiana delle strutture. Questo chiediamo al governo, ribadendo ancora una volta la disponibilità a una collaborazione piena, a condizione che ognuno faccia la propria parte”. Bologna: intervista a Desi Bruno, ex Garante; peggio che al canile, il Comune intervenga L’Unità, 12 luglio 2011 Alcune decine di persone sono uscite, grazie alla legge “svuota carceri” che garantisce i domiciliari a chi ha da scontare l’ultimo anno di pena. E, nel rispetto di una sentenza della corte di giustizia europea, non finiscono più dietro le sbarre gli immigrati senza documenti che non lasciano l’Italia dopo il foglio di via. Queste due novità hanno fatto sì che, quanto meno, il numero dei detenuti non aumentasse ulteriormente. Per il resto, in questo ultimo anno per chi sta alla Dozza è successo di tutto. E tutto è peggiorato”. Dal 2005, e fino ad agosto 2010, l’avvocato Desi Bruno è stata la garante bolognese per i diritti delle persone private della libertà personale, detenuti adulti e minori in testa, ma anche immigrati trattenuti al Centro per l’identificazione e l’espulsione di via Mattei. Bruno, entro settembre il Consiglio comunale nominerà il nuovo garante, dopo che l’ex commissario Cancellieri aveva affidato il ruolo all’ufficio del difensore civico. Cos’è cambiato in questo periodo fra le mura di via del Gomito? “Anche se non rivesto più quel ruolo, i detenuti continuano a scrivermi e mantengo contatti con le associazioni di volontariato. L’unica cosa che è rimasta ferma è il numero dei detenuti: seppure sempre su livelli assurdi, almeno non è aumentato ulteriormente”. Non ci sono nemmeno più i soldi per i beni di prima necessità, denunciano i parlamentari in visita alla casa circondariale. “Un detenuto mi ha scritto che se davvero i politaci volevano vedere esseri umani costretti a vivere in condizioni drammatiche dovevano andare alla Dozza, invece che a visitare il canile comunale come è successo tempo fa. In una situazione del genere le misure alternative dovrebbero essere valorizzate al massimo dai magistrati: invece, non si fa abbastanza”. Merola ha annunciato che valuterà se firmare una nuova ordinanza per il miglioramento della situazione igienico - sanitaria. Oltre a questo, cosa possono fare gli Enti locali? “Non dimentichiamo che il primo cittadino è la massima autorità, a livello locale, in materia igienico - sanitaria. Quindi, come l’ordinanza di Cofferati fu utile a suo tempo, un provvedimento simile ora sarebbe altrettanto efficace. Oltre a questo, però, e a fronte di fondi che da Roma continuano a diminuire fin sotto la soglia di sussistenza minima, tutti gli Enti locali dovrebbero prendere in mano la situazione. E, soprattutto, lavorare per creare prospettive e posti di lavoro nel passaggio fra il “dentro” e il “fuori”. Tutti progetti che costano, e lei stessa ha denunciato che situazioni già avviate come quella della tipografia si sono ormai arenate per mancanza di soldi. “Sì, ma creare prospettive fuori è l’unico modo per rendere utile la pena. Certo, fintanto che a Roma non si decideranno a mettere mano alla legge sull’immigrazione, e a far sì che i detenuti tossicodipendenti * a Bologna sono 1/3 - possano scontare la pena in altre strutture, sarà impossibile abbassare i numeri del sovraffollamento”. Bologna: Mumolo (Pd); il governo intervenga prima che alla Dozza finiscano i soldi per i pasti Dire, 12 luglio 2011 Ampliare l’accesso alle misure alternative, eseguire presso il domicilio le pene non superiori a un anno ma anche adeguamento degli organici del personale penitenziario, educativo e sanitario. Dopo la visita di ieri del sindaco, Virginio Merola, e della commissione per i diritti umani del Senato, alla Casa circondariale della Dozza e la denuncia sulla mancanza di fondi, sul sovraffollamento e sulle precarie condizioni igieniche e sanitarie del carcere, il consigliere regionale del Pd Antonio Mumolo raccoglie gli allarmi e lancia un appello al governo. “Il governo deve rompere il proprio immobilismo sul tema e inviare fondi utili a tamponare l’emergenza - dice - possibilmente, prima che, a ottobre, finiscano i soldi per i pasti dei detenuti”. Mumolo pone l’accento, in particolare, sul sovraffollamento e sulle condizioni di igiene del carcere di Bologna. “Tali condizioni non possono lasciare indifferenti, specialmente in questo periodo dell’anno – afferma. La stessa cosa vale per tutte le altre carceri dell’Emilia - Romagna, che secondo la relazione annuale presentata in giunta dall’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, sono attualmente al secondo posto in Italia per tasso di sovraffollamento”. I detenuti in regione sono, infatti, 4.373 a fronte di una capienza regolamentare di 2.934. Antonio Mumolo evidenzia poi quali potrebbero essere i primi interventi per affrontare l’emergenza, in alcuni casi si tratta di interventi a costo zero. “In attesa di riforme strutturali - afferma - si potrebbero ampliare le possibilità di accesso alle misure alternative, per i reati che non siano espressione di particolare allarme sociale si potrebbe prevedere che gli autori vengano messi in carcere soltanto se negli istituti vi siano posti disponibili rispetto alla capienza regolamentare, e si potrebbe rendere permanente la previsione legislativa di esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”. Successivamente secondo Mumolo andrebbero adeguati gli organici del personale addetto agli Uffici di esecuzione penale esterna, del personale educativo e sanitario e degli organici della Polizia penitenziaria. “Il carcere dovrebbe tendere al reinserimento sociale - dice Mumolo - mentre nella realtà rappresenta troppo spesso solo una condanna al degrado: come si può reinserire nella società una persona che vive in un luogo dove, rispetto al mondo delle persone libere, ci si suicida dalle 7 alle 20 volte più spesso?”. Bologna: Bergonzoni; finire in carcere è come ammalarsi, non possiamo dire che non ci riguarda di Alberto Sebastiani La Repubblica, 12 luglio 2011 “Organizzerei gite scolastiche nelle carceri”. Non è una provocazione, è quello che bisognerebbe fare per educare le nuove generazioni a una nuova sensibilità, secondo Alessandro Bergonzoni. In Italia, e non solo alla Dozza, in carcere si sta male, si muore, e se i casi Aldrovandi e Cucchi sono noti, tanti misfatti non lo sono. Domani sera alla libreria. Coop Ambasciatori (via Orefici 19, ore 21,30) Bergonzoni ne parlerà con Luigi Manconi e Valentina Calderoni, autori del libro inchiesta “Quando hanno aperto la cella” (Saggiatore), e con lo stesso sindaco Virginio Merola, che ieri è andato in visita al carcere bolognese. Bergonzoni, la Dozza dovrebbe ospitare 497 persone, la soglia di tolleranza è 882, ma ci sono 1168 uomini e 68 donne, di cui 729 stranieri. Ora mancano i soldi per i pasti. “Dobbiamo intenderci: cos’è patrimonio dell’umanità? La politica è la parte finale di un processo che deve partire prima, in ognuno di noi, per capire che il carcere è patrimonio dell’umanità. Non bisogna dire: “non mi riguarda perché non delinquo”. Né pensare: ci sono cose che vengono prima. Le cose vengono insieme. Il concetto “chi è fuori è fuori e chi è dentro è dentro” va smantellato. Organizzerei gite scolastiche nelle carceri non per far vedere cosa succede a chi delinque, ma cosa non si fa per chi delinque. Parliamo di diritti basilari”. Merola pensa di intervenire con un’ordinanza. Perché si deve sempre arrivare sul baratro per accorgersi dell’emergenza? “La carcerazione interessa al massimo dal punto di vista sociale, ma è un tema culturale, di conoscenza, di coscienza. Domani farò il parallelo con la malattia: perché con quella noi preveniamo e qui diciamo “non mi interessa”? Dobbiamo cominciare a essere dei Don Ciotti che pongono domande e affrontano le cose”. Oltre al danno la beffa: il decreto “svuota carceri” è inutile per i 200 della Dozza che ne hanno diritto, perché senza domicilio. “Nessuno o quasi va a vedere cosa succede nelle carceri. Io ci sono andato alcune volte, e ne parlo non per protestare contro la situazione, ma per capire perché ci siamo arrivati. Sembra che non interessi a nessuno. Specie a chi legifera. Il carcere non porta voti, non è produttivo, non serve: qui è l’errore”. Per Manconi e Calderoni i problemi non sono solo le strutture. “Il libro non è sulle carceri, ma sulle idee di libertà, pena e diritti. Parla delle madri dei detenuti e delle persone che lavorano in quei posti. Parla dell’abbandono dello Stato, tra negligenze, omissioni di soccorso, negazioni di un diritto primario: alla redenzione. Maltrattamento è anche vivere in uno spazio di quattro metri quadrati. Il problema è vasto. Non bastano gli “esperti”, gli operatori, servono uomini “larghi” perché i temi sono troppo larghi. Il carcere deve essere bello perché solo con la bellezza aggiusti il male. Serve una preparazione estrema per chi porta aerei, ma per chi porta ragazzi in galera che formazione c’è?”. Ruba una bici, sei mesi di carcere… e lo Stato spende 200 euro al giorno Adrio Mameli è un personaggio, nel suo genere, ma ieri l’han preso in fragranza e ora è al carcere bolognese della Dozza per sei mesi e venti giorni, salvo anticipi per buona condotta. L’ha detto alla giudice Caselli che cosa fa: “Stavo rubando la bicicletta per comprarmi la dose di eroina”. Baratto da farsi in piazza Verdi o dintorni. Adrio ha quarant’anni, è della vecchia guardia tra i tossicodipendenti. Sei mesi sono tanti, per un furto di bici alla stazione, ma sembra che tecnicamente meno di così non potevano proprio dargli. E non potevano nemmeno rimetterlo in libertà: ha cinque pagine di precedenti penali, la maggior parte per furto di due ruote, qualche volta sottratti con la forza al proprietario che nel frattempo s’era accorto del furto in corso. “Ha preso sei mesi, ma quanto ci costerà adesso quella bicicletta? - si chiede l’avvocato Riccardo Groppoli - . Una persona così dovrebbe essere curata, altro che carcere. Ma non ci sono comunità, niente che possa sostituire la cella. Se lo Stato spende 200 euro al giorno per mantenere un detenuto, fate i conti quanto costa alla collettività un furto di una bicicletta”. Quella bicicletta, secondo gli agenti della squadra della Polizia Ferroviaria, potrebbe costare sui 150 euro. Gli agenti in borghese hanno notato Adrio mentre stava torturando la catena che legava la bici ad un corrimano di piazza Medaglie d’Oro. La tecnica è questa: si spacca un’asta del piedistallo e con quello si attorciglia la catena fino a spaccarla. Non serve nemmeno portarsi una tenaglia da casa. Ma c’è anche chi adotta altre tecniche, come quella di mettere una seconda catena e quando il proprietario stacca la sua e poi va al posto di polizia della stazione a chiedere aiuto, il ladro apre la seconda catena e se ne va. In bici. Bologna: alla Dozza 10 detenuti ottengono la qualifica da muratore Redattore Sociale, 12 luglio 2011 Si tratta di quelli che hanno partecipato al corso di formazione e di reinserimento lavorativo “Dozza in cantiere”. Toccafondi (direttrice carcere): “Iniziativa importante che consente ai detenuti di acquisire conoscenze da spendere nel mondo libero” Sono 10 i detenuti che hanno sostenuto e superato l’esame per ottenere il certificato di competenza per le attività di manutenzione edile e muratura rilasciato da una commissione esterna composta da tecnici della Regione Emilia - Romagna. Si tratta dei partecipanti all’edizione 2011 di “Dozza in cantiere”, il progetto di formazione e reinserimento lavorativo dei detenuti del carcere, organizzato e gestito dall’Istituto professionale edile di Bologna e finanziato dalla Provincia attraverso il Fondo sociale europeo. “L’iniziativa ha una forte valenza tratta mentale oltre che formativa - spiega Ione Toccafondi, direttrice della Casa circondariale di Bologna - perché consente ai detenuti di acquisire conoscenze da spendere nel mondo libero. Inoltre, grazie allo stage, contribuiscono a fare lavori che poi restano alla struttura”. Come racconta ancora la direttrice, “quest’anno hanno sistemato il piazzale di ingresso con una nuova pavimentazione e una fondata in cemento, hanno allargato la piattaforma destinata al laboratorio sul riciclaggio dei rifiuti e hanno costruito nuovi tavoli da ping pong in muratura nelle aree di passeggio, che ora i detenuti possono usare”. L’esame si è svolto il 6 e il 7 luglio ed è giunto al termine di un percorso formativo cominciato il 14 marzo e terminato il 30 giugno. I detenuti hanno seguito all’interno del carcere un corso di 460 ore, di cui 120 ore di stage presso il servizio di Manutenzione ordinaria dei fabbricati (Mof). “I lavoratori che ottengono la qualifica - aggiunge Toccafondi - entrano nella graduatoria interna e possono cominciare a lavorare nella squadra del Mof ancora prima di aver scontato completamente la loro pena: un lavoro per il quale vengono regolarmente retribuiti. Spero proprio - conclude - che questa bella esperienza possa continuare negli anni a venire”. Al corso formativo hanno partecipato 12 detenuti, selezionati in base alle esperienze lavorative pregresse e alle indicazioni della dirigenza carceraria. Di questi, 10 hanno sostenuto e superato l’esame: degli altri 2, uno è stato trasferito in un’altra struttura, mentre l’altro ha finito di scontare la pena ed è stato liberato. Genova: Radicali; affollamento, caldo e mancanza misure alternative minano sicurezza e legalità Agenzia Radicale, 12 luglio 2011 Dichiarazione della delegazione Radicale che per oltre tre guidata dal Senatore Marco Perduca e con, tra gli altri Walter Noli e Susanna Mazzucchelli, ha visitato l’istituto penitenziario di Marassi. La visita ispettiva avviene all’82esimo giorno di sciopero della fame di Marco Pannella e al 36 della deputata Radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’Associazione Detenuto ignoto Irene Testa. “Iniziamo con la unica buona notizia, il Dottor Salvatore Mazzeo, direttore dell’istituto ha firmato l’appello Radicale per l’amnistia. Invece, rispetto alla visita di gennaio di Rita Bernardini la popolazione è aumentata del 10% raggiungendo il picco di 807 di oggi a fronte di una capienza regolamentare di 450 detenuti. L’istituto di Marassi si caratterizza anche per l’altissima presenza di stranieri, 474, e il numero dei presunti tossicomani intorno alle metà e presunto perché è difficile il controllo, sia perché la popolazione è in continua rotazione sia perché il passaggio della sanità dall’amministrazione centrale alla Asl è ancora in itinere. Le cifre più realistiche parlano di un terzo di persone con problemi di “droga” di cui un’ottantina in carico al Ser.T. per la terapia metadonica a scalare. Ai problemi legati alla convivenza forzata di 20 ore in locali dove per legge dovrebbero esser ristrette la metà delle persone oggi presenti, si aggiungono I problemi tipicamente italiani di amministrazione della giustizia. Infatti, degli 807 presenti, i definitivi erano 354, in attesa di giudizio 452 di cui imputati 262, appellanti 122, ricorrenti 69. Solo 45 lavorano in varie occupazioni, la struttura, che ha una buona interazione con la provincia e con cooperative - esiste un attivissimo forno per pane - sarebbe dotata anche di un laboratorio di falegnameria inutilizzato per mancanza di bandi. Se è ben rodata l’attività scolare, pone problemi l’organizzazione dell’assistenza sanitaria per un organico previsto per la metà dei possibili pazienti. Quale assistenza può esser garantita da 6 psicologi a oltre 800 persone? 10 son gli Educatori. Gravissime anche le carenze relative alla pianta organica, dovrebbero essere 472 gli agenti di polizia penitenziaria, di cui assegnati 390, ma effettivamente in servizio 315. L’aumento della popolazione carceraria, l’esiguo numero, circa una 30ina, di persone uscite dal carcere in virtù del dl “svuota carcere”, nonché la mancanza di assunzioni, in Liguria non son stati resi noti i tempi delle nuove eventuali assunzioni, pongono gravissimi problemi di gestione della vita in comune per chi deve stare in meno di tre metri/quadri per 20 ore al giorno a temperature vicino ai 40 gradi. Giovedì 14 i Radicali presenteranno una richiesta di accesso agli atti in Regione relativo alla certificazione sanitaria che l’ufficiale sanitario è tenuto a emettere semestralmente, mentre per il 26 di luglio è prevista una fiaccolata davanti al carcere di Marassi alla quale hanno aderito anche il Direttore e la polizia penitenziaria. Siena: Cenni (Pd); niente di concreto ancora sul fronte dell’emergenza carcere Adnkronos, 12 luglio 2011 “Niente di concreto ancora sul fronte della questione carceri: la discussione deve andare avanti e servono dei provvedimenti al più presto”. Con queste parole Susanna Cenni, deputata toscana del Pd, commenta il breve incontro con la dottoressa Mariapia Giuffrida, direttrice regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in Toscana, avvenuto nei giorni scorsi. “Resto molto preoccupata - continua Cenni - per la situazione del carcere di Ranza e per la mancanza di risposte sia da parte del ministro della giustizia, sia da parte della direzione nazionale del Dap”. “Sovraffollamento, carenza di personale, situazione idrica pessima: queste sono le condizioni in cui versa l’istituto penitenziario di Ranza. La criticità della situazione - prosegue la deputata toscana - è ben chiara anche alla dottoressa Giuffrida, che ha rappresentato le problematiche presenti ai dirigenti nazionali, impegnandosi a verificare ogni possibilità per affrontare intanto il problema idrico. Nonostante la gentilezza e la disponibilità mostrata dalla direttrice, rimango perplessa e preoccupata riguardo alla concreta possibilità di risolvere la questione, o attutirne la gravità alla luce delle novità annunciate sui costi nell’ultimo consiglio comunale aperto a San Gimignano”. La parlamentare senese sostiene che la dottoressa Giuffrida ha confermato la sua assoluta convinzione che Ranza rappresenta una priorità nel quadro delle carceri Toscane, ma la dirigente non è stata comunque in grado di indicare possibili soluzioni, e del resto già sue comunicazioni ufficiali avevano confermato questa opinione. “La situazione del sistema carcerario Italiano - conclude Cenni - sembra oramai piombata in un vicolo cieco e drammatico, in un pozzo di disperazione senza fondo; è di questi giorni anche l’accorato appello dei magistrati sul sistema carcerario, un appello al quale il ministro Alfano, evidentemente occupato nella costruzione del Partito degli Onesti, non ha ancora fornito alcuna risposta. Noi comunque non ci arrendiamo, e soprattutto non lasciamo soli gli agenti ed i lavoratori del carcere e i detenuti che vivono una situazione intollerabile per un Paese civile”. Trieste: i panificatori protestano; “il pane prodotto dai carcerati è concorrenza sleale” Il Piccolo, 12 luglio 2011 Il referente dei panificatori Jerian: “Macchinari regalati e contratti non rispettati così turbano il mercato”. Sbriglia: “È male informato, noi siamo in regola”. È difficile conciliare le esigenze di Enrico Sbriglia e Edvino Jerian. Il direttore del carcere convive ogni giorno con i detenuti che, sul lavoro, inevitabilmente “non possono - dice - essere assenteisti”. E questo inevitabilmente è un costo in meno. Il referente dei panificatori, invece, deve vedersela con gli associati inviperiti. “Siamo passati da 123 forni a una cinquantina con la concorrenza del pane sloveno che viene acquistato dai supermercati - racconta Jerian - È una situazione già pesante e adesso ci si mette pure il Coroneo”. di Pietro Comelli Il pane dei carcerati non piace ai panificatori triestini. Gli ingredienti non c’entrano, alla categoria dà fastidio l’ingresso sul mercato dei prodotti “made in Coroneo”. Quel pane e quei dolci realizzati dai detenuti nel forno del carcere, a detta dell’associazione panificatori, rappresenta di fatto una “turbativa di mercato”. È la posizione dura espressa dal rappresentante dei panificatori Edvino Jerian che, in particolare, se la prende con il direttore del carcere Enrico Sbriglia. Non piacciono, infatti, né le commesse esterne pervenute alla cooperativa né la vendita al dettaglio che potrebbe essere fatta in un chiosco ricavato all’interno del penitenziario. “A questo progetto abbiamo partecipato attivamente, dando il nostro supporto, perché siamo per il reinserimento dei detenuti, ma il tutto senza creare turbative di mercato. E in questo era d’accordo anche Sbriglia”, ricorda Jerian. Puntando il dito sul pane del Coroneo sfornato da “macchinari regalati” e fatto da panettieri-detenuti che nel trattamento economico e previdenziale “non sono inquadrati con i contratti di settore”. Quella del portavoce dei panettieri (“che sono furibondi davanti a quest’ultima concorrenza”) è una polemica che distingue l’apprendimento del lavoro in carcere dalla vendita di pagnotte e pizzette. “Mi sta bene se i prodotti vengono ceduti a enti benefici, non se diventano una concorrenza. E poi questa accelerazione da parte di Sbriglia - dice Jerian - è stata fatta senza nemmeno sentirci e dal direttore del carcere non ce lo aspettavamo. Nel corso dei rapporti con le sigle sindacali, poi, sono stati sollevati alcuni problemi in merito al rispetto del contratto di lavoro che non viene applicato ai detenuti”. Una polemica che lascia Sbriglia interdetto: “Stimo Jerian, ma in questo caso non è perfettamente informato. L’attività che si realizza in carcere rispetta le regole della concorrenza - spiega - anzi proprio il sottoscritto ha insistito affinché i detenuti che lavorano siano inquadrati con il trattamento economico stabilito dalla categoria”. Anche la farina per il Coroneo non ha un prezzo diverso, ma lo stesso direttore del carcere ammette che i prezzi del prodotto finito e venduto sono competitivi rispetto a quello di mercato. “È una scelta commerciale che la cooperativa ha inteso fare, rinunciando ai margini di guadagno. Ma non parlerei di concorrenza sleale - sostiene Sbriglia - anche perché stiamo parlando di persone che lavorando in carcere aiutano le proprie famiglie e, un domani, vogliono affrancarsi nella società che li attende a una nuova vita. Lasciamo che il pane unisca e non divida”. Napoli: progetto di scuola permanente per pizzaioli nel carcere minorile di Nisida Ansa, 12 luglio 2011 Una scuola permanente per pizzaioli nel carcere minorile di Nisida per offrire ai ragazzi detenuti un’occasione di riscatto sociale. L’iniziativa è del marchio “Fratelli la Bufala”, catena campana di pizzerie presenti in molti paesi nel mondo, in collaborazione con la direzione del carcere e con l’associazione “Scugnizzi”. Imparare un mestiere, studiare i prodotti locali, diventare provetti pizzaioli per rientrare nel mondo del lavoro e abbandonare la strada della criminalità. “Finché c’è pizza c’è speranza” è il progetto a lungo termine dei Fratelli la Bufala che ha intenzione di estendere l’esperienza al carcere di Nisida da Napoli ad altre regioni d’Italia. Il corso prevede lezioni teoriche e pratiche sulla pizza e sui segreti di un prodotto di alta qualità amato in tutto il mondo. Materiali per lo studio teorico e pratico saranno forniti dal marchio Fratelli la Bufala, mentre i corsisti, circa 15 ragazzi tra i 17 e i 19 anni ospiti del carcere minorile di Nisida, potranno imparare a fare la pizza nel forno già esistente nella struttura. “Questo è un progetto contro la camorra - spiega il direttore del carcere Gianluca Guida - perché vede fare sistema tra le istituzioni e l’imprenditoria contro la criminalità e lotta per il recupero dell’identità di questi ragazzi e della loro appartenenza a Napoli. Del resto questo progetto è il risultato di un percorso già avviato tempo fa”. Dopo uno dei precedenti corsi da pizzaiolo organizzati nell’istituto penitenziario, infatti, uno dei ragazzi ha cominciato a lavorare proprio in uno dei ristoranti del marchio la Bufala. “Ma questa sarà una vera e propria scuola - sottolinea Sandro Abeille del gruppo Emme Sei che detiene il marchio Fratelli la Bufala - dalla quale speriamo escano i pizzaioli di domani che potranno andare a lavorare nelle nostre pizzerie nel mondo”. “Nisida è un modello - conclude Sandro Forlani direttore del centro di giustizia minorile della Campania - per una regione dove la delinquenza minorile è altissima, speriamo di potere offrire con questi progetti una nuova vita a questi ragazzi”. Agrigento; il nuovo provveditore “promuove” il carcere di Petrusa La Sicilia, 12 luglio 2011 È stracolma come tutte le carceri italiane e siciliane, “ma è ben curato, con personale competente e preparato”. È la Casa circondariale di contrada Petrusa, secondo il nuovo provveditore del sistema penitenziario siciliano Maurizio Veneziano. Colui il quale nel 1997 era il giovanissimo direttore dell’appena inaugurato carcere agrigentino, reduce dai decenni nel vecchio e ormai degradato San Vito, ieri è tornato sul “luogo del delitto” da capo delle case circondariali regionale. Veneziano non ha ancora compiuto 50 anni, ma ha già riscosso la fiducia di chi a Roma e Palermo coordina la sala dei bottoni di questo delicato settore. Insediatosi alla fine del mese scorso, ha deciso di recarsi nei penitenziari isolani per toccarne con mano la situazione. Senza filtri, senza influenze di alcun tipo, ma “solo” con lo sguardo diretto alle varie situazioni esistenti. Ieri mattina è giunto puntuale al Petrusa, accolto dai vertici della struttura e della polizia penitenziaria. Disponibile e attento alla situazione, Veneziano ha visitato ogni centimetro della struttura, dove al momento si trovano rinchiuse circa 450 persone. “Ho trovato più o meno la stessa struttura che avevo inaugurato nel 1997. Di certo ci sono molti più detenuti rispetto a quei giorni, ma mi sento di dire che qui lavora gente perbene e molto preparata”. Veneziano è conscio di essere seduto su una sorta di polveriera, ma con l’esperienza accumulata in questi anni sa come muoversi: “L’amministrazione penitenziaria è conscia delle difficoltà esistenti, ma si sta adoperando per porre i rimedi migliori a ogni situazione. In Sicilia abbiamo un nuovo padiglione in costruzione al Pagliarelli, un carcere ex novo a Favignana, una nuova ala in edificazione proprio qui a Petrusa e tanti altri interventi di vario livello, comprese le manutenzioni”. In Sicilia ci sono 26 carceri e Veneziano dice “di volerne visitare quante più è possibile per rapportarmi in presa diretta con tutti coloro i quali si adoperano in questo delicato settore. Il mio impegno è quello di confrontarmi con le organizzazioni sindacali per stabilire con esse rapporti di collaborazione e stimolo reciproco”. Nella Sicilia in cui sono detenute circa 8.000 persone, Veneziano ha deciso di conoscere per prima la realtà della “sua” Agrigento, simbolo di un settore che tra tante emergenze, conferma la propria efficienza, grazie all’impegno delle persone che da dietro una scrivania o in divisa tra i corridoi garantiscono controllo e attenzione, all’insegna della massima umanità possibile, in condizioni difficili per tanti motivi. Roma: Radicali; domani conferenza stampa alla Camera sul caso di Ismail Ltaief Agenparl, 12 luglio 2011 “Sarà presentata domani, mercoledì 13 luglio, alle ore 11.30 presso la sala stampa della Camera dei Deputati (ingresso da via della Missione, 4) la vicenda che ha visto coinvolto Ismail Ltaief, ex detenuto tunisino che ha scontato la pena nel carcere di Velletri subendo brutali violenze fisiche e psicologiche, per aver scoperto e denunciato personale e agenti dell’amministrazione penitenziaria che accusa di essere complici nella sottrazione di notevoli quantitativi di cibo destinati alle cucine del carcere in cui svolgeva mansioni di cuoco, per il vitto dei detenuti”, questo quanto riporta una nota diffusa oggi dai Radicali. “Secondo Ismail Ltaief sarebbe dovuto a queste sue denunce un pestaggio estremamente violento da lui subito in carcere, e dalle cui conseguenze solo per miracolo è riuscito a salvare la vita”, prosegue il comunicato. “Le persone indicate da Ismail quali autori del suo pestaggio sono state rinviate a giudizio dal Tribunale di Velletri e il processo a loro carico avrà inizio dopodomani, giovedì 14 luglio. Ismail Ltaief, testimone chiave nel processo, è assistito dall’Avv. Alessandro Gerardi. Entrambi saranno presenti alla conferenza stampa dove, oltre all’esposizione dei fatti, saranno mostrate le foto della Procura comprovanti i gravi traumi inflitti a Ismail che lo hanno lasciato per alcuni mesi in pericolo di vita”. Prenderanno parte alla conferenza: Ismail Ltaief; Rita Bernardini, deputata Radicale e membro della Commissione Giustizia, da 36 giorni in sciopero della fame in sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella per il ripristino della legalità della giustizia e delle carceri italiane; Avv. Alessandro Gerardi, dirigente Radicale e Responsabile legale dell’Associazione il Detenuto Ignoto, Avvocato di parte di Ismail Ltaief; Irene Testa, Segretaria dell’ Associazione Detenuto Ignoto, anche lei da 36 giorni in sciopero della fame in sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella; È annunciata inoltre la partecipazione di Marco Pannella, da 83 giorni in sciopero della fame perché “l’Italia torni in qualche misura a essere considerata una democrazia e si provveda con un’amnistia al ripristino della legalità nella giustizia e nelle carceri italiane”. Asti: giovedì prossimo sit-in dei Radicali per l’amnistia davanti alla Casa circondariale Notizie Radicali, 12 luglio 2011 Giovedì 14 dalle ore 20:00 davanti all’ingresso della Casa circondariale di Asti in frazione Quarto Inferiore i Radicali astigiani terranno un presidio a sostegno della lotta nonviolenta di Marco Pannella, giunto oggi all’83° giorno di sciopero della fame, per chiedere un’amnistia “per la Repubblica” di fronte ad una situazione di illegalità che vede come primo delinquente proprio lo Stato che viola le sue stessi leggi ed è pluricondannato di fronte alla giustizia europea per violazione dei diritti umani. Dichiarazione di Salvatore Grizzanti: “Si sta compiendo a pochi chilometri dal centro cittadino di Asti, più precisamente a Quarto, come in tutte le carceri italiane, una vera e propria catastrofe umanitaria: i numeri sono freddi ma inequivocabili: 67.174 detenuti nelle carceri italiane per 45.551 posti disponibili, 20.000 cittadini in sciopero della fame con Marco Pannella, 1.828 morti nelle carceri negli ultimi dieci anni di cui 653 suicidi e infine… 180.000 processi prescritti ogni anno. Ora basta! Si impone la necessità e l’urgenza di un’amnistia quale primo passo per affrontare la crisi della giustizia e l’emergenza del sovraffollamento delle carceri. Chi se ne lava le mani è complice”. Rovigo: torna “Il carcere in piazza”, con lo slogan “In carcere non è mai Ferragosto!” Redattore Sociale, 12 luglio 2011 In programma venerdì 15 luglio. Lo slogan di quest’anno, “In carcere non è mai Ferragosto!”, è in aperta polemica con la passerella dei politici in carcere il 15 di agosto. Sarà lanciato un appello per favorire la detenzione domiciliare. “In carcere non è mai Ferragosto!”. È questo lo slogan dell’edizione 2011 dell’iniziativa “In carcere in piazza (per non dimenticare)” che si svolge da sei anni in centro a Rovigo nel corso dell’estate per sensibilizzare la popolazione sulle condizioni dei reclusi. Quest’anno l’evento, che si svolgerà venerdì 15 luglio nella principale piazza cittadina, potrà contare su testimonial d’eccezione, come la cantautrice Paola Turci, l’attore Luigi Marangoni, la presentatrice Daniela Melle. La scelta dello slogan di questa edizione è, volutamente, una provocazione al mondo politico, che a Ferragosto ha preso l’abitudine di mettere in scena una “passerella” visitando i detenuti in carcere “per poi far tornare tutto nel silenzio del disinteresse e della lontananza”, come spiega Livio Ferrare, ideatore dell’iniziativa, volontario di lunga data e garante dei detenuti del carcere di Rovigo. “Noi vogliamo che il carcere sia visto nelle sue problematiche - incalza - con il rispetto dovuto a tutti coloro che lo vivono, ristretti e personale, e che nel mese di agosto ci siano iniziative non demagogiche, dando voce alle richieste dei detenuti”. Sovraffollamento, suicidi, misure alternative sono solo alcuni dei temi che saranno toccati nel corso della serata. Dal palco, inoltre, sarà lanciato un appello agli enti locali, primo tra tutti il comune, e alle organizzazioni del territorio perché si rendano disponibili all’utilizzo di luoghi chiusi o dismessi da far diventare spazi di accoglienza per rendere maggiormente applicabile la legge sulla detenzione domiciliare. “È in atto un disastro che segna la vita di tante persone e ogni comunità deve farsi carico di questo sfacelo - conclude Ferrari, per quanto nelle sue possibilità, alimentando risposte attraverso la disponibilità a mettere a disposizione risorse inutilizzate, rimuovendo paure e distanze che spesso sono prima di natura culturale che materiale”. L’evento è organizzato dal Coordinamento Volontari Carcere con il contributo del comune di Rovigo, del Csv, della casa circondariale e della provincia. Napoli: al Prap Campania il Convegno internazionale sull’e-learning in carcere Ristretti Orizzonti, 12 luglio 2011 Con il Convegno di Napoli, tenutosi nei locali del Provveditorato Regionale all’Amministrazione Penitenziaria (Prap) della Campania, si è conclusa la fase preparatoria del Programma internazionale di formazione per reclusi. L’attività è il risultato dello studio e ricerca che si è sviluppato in due anni nell’ambito del Partenariato di Apprendimento Grundtvig 2009, Epp-Elearning Education for prisoners and prisoner’s professionals. Al Progetto, hanno partecipato attivamente i seguenti attori istituzionali: Casa di Reclusione Icatt, Eboli (Sa) - Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (Prap) della Campania Ministero della Giustizia (Italia); Praxiling Umr 5267 - Università di Montpellier3 Cnrs, (Francia); Il Centro di Rieducazione Minorile di Buzias, (Romania), l’Università degli Studi di Salerno. Sono intervenuti, per l’Italia, il Provveditore del Prap Campania, dott. Tommaso Contestabile, che ha portato i saluti dell’Amministrazione penitenziaria; il dott. Giovanni Suriano, sociologo e criminologo dell’Icatt di Eboli, ideatore del Progetto di cui ha illustrato la nascita e l’organizzazione, soffermandosi sull’importanza della formazione e della didattica in carcere tramite l’utilizzo della modalità online, in funzione di videoconferenza interattiva, che sicuramente rappresenta la svolta per l’integrazione sociale dei detenuti e la formazione professionalizzante degli operatori penitenziari; la dott.ssa Rita Romano (Direttore della Casa di Reclusione Icatt di Eboli) che ha illustrato la fase della sperimentazione del progetto che parte dalla struttura di Eboli grazie agli interventi di formatori, docenti, terzo settore, da diffondere in ambito locale, regionale e nazionale; il prof. Vittorio Dini (Università degli Studi di Salerno) che ha evidenziato l’apporto e il sostegno dell’Università al progetto internazionale; la prof.ssa Chantal Charnet (Università di Montpellier - Francia) a sua volta ha dato atto all’iniziativa e come, grazie all’input italiano, anche loro si sono prodigati per diffondere nel contesto penitenziario francese l’utilizzo dell’e-learning con metodologie innovative come, ad esempio, la nuova piattaforma Moodle 2.1; la dott.ssa Marina Simonetti (Centro di Rieducazione Minorile di Buzias - Romania) ha messo in evidenza l’importanza di sperimentare anche nei carceri minorili la formazione a distanza, soprattutto in una nazione come la Romania, dove è ancora lungo il percorso di superamento delle difficoltà burocratiche e amministrative. A testimonianza dell’attività realizzata nel nostro Paese, il gruppo di esperti costituitosi nel 2010 all’interno dell’istituzione penitenziaria campana con decreto del Provveditore Dott. Tommaso Contestabile, ha iniziato la sua attività progettuale nel mese di luglio 2009, lavorando interrottamente fino ad inizio luglio 2011. Il progetto internazionale si è concluso come da scadenza contrattuale con l’Agenzia Nazionale Italiana e la Commissione Europea. Vista l’importanza e l’originalità dell’esecuzione dell’azione progettuale, così come evidenziato a livello nazionale dal Ministero della Giustizia - Ufficio Capo del Dipartimento - Coordinatore del Nucleo Permanente Progetti FSE dalla Dr.ssa Luigia Mariotti Culla, continuerà anche in futuro in lavori di progettazione, condivisione e disseminazione di nuovi percorsi didattici, formativi, che possano rispondere alle esigenze multiculturali presenti in Europa. È stato realizzato un sito creato appositamente per il progetto: www.elearninginprison.eu. Il sito raccoglie al suo interno tutti i documenti prodotti durante l’attività di studio e ricerca, e documenta in generale il lavoro svolto dal partenariato. Empoli: “Rosarosso”; stasera alle 21 in scena le attrici detenute Asca, 12 luglio 2011 Stasera alle 21 alla Casa Circondariale Femminile di Empoli andrà in scena Rosarosso, uno spettacolo realizzato dalle donne detenute, che segna il termine di un percorso teatrale realizzato da Maria Teresa Delogu e Rossella Parrucci, operatrici di Giallo Mare Minimal Teatro, nell’ambito del progetto regionale Teatro Carcere. “Il teatro nelle carceri toscane non è più un fatto isolato o episodico - spiega Delogu - ma si è andato sempre più consolidando come strumento di crescita culturale per tutti i soggetti che ne vengono toccati: dai detenuti che partecipano e realizzano tali attività, alle istituzioni che vengono coinvolte, ai cittadini che hanno modo di creare, anche solo per la durata della rappresentazione, un ponte possibile di sensibilizzazione e di relazione con la realtà detentiva. Fra le ragioni forti di un’esperienza teatrale, la più rilevante è senz’altro la constatazione del senso di consapevolezza che questa opportunità dà alla persona che la pratica, persona intesa nella sua interezza. L’attività teatrale, e la sua restituzione in forma di spettacolo, non si riferiscono tanto al “modello” del detenuto, quanto piuttosto alla persona, indipendentemente dal suo ruolo e condizione sociale, e per questo riteniamo che rappresenti anche un valore importante di civiltà”. Lo spettacolo vede in scena un nutrito gruppo di detenute, le quali attraverso un linguaggio corale, a volte scanzonato e comico, a volte più poetico, racconteranno a modo loro le storie di due figure di donne protagoniste delle opere teatrali “Mariana Pineda” e “Donna Rosita Nubile” di Federico Garcia Lorca. Mariana Pineda e Donna Rosita Nubile sono donne opposte per natura e temperamento, ma che hanno in comune, come molte figure femminili di Lorca, il fatto di trovarsi spesso imprigionate dietro sbarre fatte e costruite con le loro stesse mani. In un caso l’attesa, nell’altro la speranza mal riposta nell’amore sbagliato, entrambe in qualche modo “recluse” nel proprio mondo. Lo spettacolo è ad invito. Per informazioni rivolgersi a Giallo Mare Minimal Teatro, via della Repubblica 41 a Empoli, telefono 0571 81629 e - mail info@giallomare.it. Bologna: video inchiesta “Se vivessi in una cella”; giovedì prossimo la proiezione pubblica Redattore Sociale, 12 luglio 2011 La video inchiesta sul carcere realizzata dagli studenti di Giurisprudenza dell’associazione Progré sarà proiettata a Bologna giovedì alle 21 nel parco 11 settembre. In preparazione un nuovo dossier sulla salute in carcere. Proiezione pubblica giovedì prossimo per il documentario sul carcere “Se vivessi in una cella”. Il video, realizzato dagli studenti di Giurisprudenza dell’associazione Progrè, sarà proiettato nell’ambito di una serata dedicata al carcere organizzata dai Radicali: l’appuntamento è alle 21 al Parco 11 settembre. Nel frattempo Francesca De Nisi, una delle autrici della video inchiesta, spiega i prossimi progetti dell’associazione: “a settembre pubblicheremo un altro video, dedicato questa volta alle cause del sovraffollamento”. In preparazione c’è anche un nuovo dossier sulla salute in carcere, e in particolare sui suicidi dei detenuti. Nata a gennaio, l’associazione Progrè conta una ventina di membri, fra studenti e neolaureati in Giurisprudenza. “L’idea di occuparsi di carcere - spiega Francesca - è partita dal tema delle madri detenute, poi abbiamo studiato le normative e approfondito sull’argomento più in generale. Ora l’obiettivo è tentare di sensibilizzare l’opinione pubblica, e soprattutto i giovani”. Per Francesca si tratta di una lotta contro i tanti pregiudizi esistenti sul carcere: “Se si dice che le carceri sono sovraffollate la gente pensa che sia un bene, che il sistema giudiziario funziona. E spesso non si considera la privazione della libertà come una pena sufficiente”. Cambiare la percezione del carcere non è facile, ma i ragazzi di Progrè continueranno a provarci. Immigrazione: Turco (Pd); prolungare i tempi di permanenza nei Cie è misura disumana Dire, 12 luglio 2011 “L’ultima misura decisa da Maroni è all’immagine di questo governo: arrogante, prepotente e ingiusta. Prolungare i tempi nei Cie passando da 6 mesi a 18 è una vera vergogna oltre ad essere una misura disumana. Per questo motivo abbiamo deciso di coinvolgere attraverso un appello tutti i cittadini nella battaglia che attueremo in Parlamento affinché tale decreto non venga varato”. Lo dichiara Livia Turco, responsabile immigrazione del Pd, annunciando l’appello, promosso dal Forum immigrazione nazionale rivolto alla società civile, agli amministratori locali, ai parlamentari, ai politici, a quanti difendono con responsabilità e serietà un Paese che vogliono civile, per dire “no al carcere per gli innocenti”. “Siamo contrari - si legge nel testo dell’appello - a che persone innocenti, che scappano dalla povertà alla ricerca di un futuro migliore, siano private della loro libertà e siano trattenute nei centri di identificazione fino a 18 mesi solo perché colpevoli di essere senza documenti e per dover essere identificati. Tale misura è contenuta nel decreto legge del governo Berlusconi,23 giugno 2011 n.89 ora all’esame del Parlamento. Tale misura calpesta i valori di proporzionalità, ragionevolezza ed uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione. Per questo, ci opponiamo con tutta la nostra determinazione e chiediamo ai cittadini democratici di questo paese di condividere questa battaglia”. A questo appello hanno già aderito: Livia Turco; Associazione Articolo 31; Milena Agus; Giancarlo Bosetti; Khalid Chaouki; Ilda Curti; Graziano Delrio; Vasco Errani; Giuseppe Giulietti; Gad Lerner; Massimo Livi Bacci; Luigi Manconi; Virginio Merola; Valerio Onida; Moni Ovadia; Marco Pacciotti; Lapo Pistelli; Giuliano Pisapia; Roberto Reggi; Josè Luis Rhi-Sausi; Igiaba Scego; Mario Scialoja; Marino Sinibaldi; J. Leonard Touadì; Elisabetta Tripodi; Marta Vincenzi; Roberto Zaccaria; Don Mosè Zerai. Kazakistan: fallisce maxievasione, morti 16 detenuti e una guardia Ansa, 12 luglio 2011 È finito nel sangue un tentativo di evasione di massa da una prigione in Kazakistan. Sedici detenuti nella prigione di Balkhash sono morti per un’esplosione. Durante il tentativo di fuga hanno ucciso un secondino e ferito altre quattro guardie. Lo scrive oggi l’agenzia di stampa Interfax. Sultan Kusetov, capo della Commissione penitenziaria, ha tenuto oggi una conferenza stampa nella quale ha sostenuto che i 16 detenuti “si sono fatti saltare in aria mentre era in corso un’operazione di polizia”. Tutti e 16 i corpi sono stati recuperati dalle macerie. La precisa dinamica dei fatti non è ancora stata ricostruita. Secondo le autorità un folto gruppo di detenuti ha tentato di fuggire. Quando la polizia ha fatto irruzione nell’edificio in cui si erano asserragliati, si sarebbero fatti saltare in aria.