Sovraffollamento: che fare? Associazioni, Avvocati e Magistrati denunciano l’illegalità delle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2011 Mercoledì 13 luglio 2011, a partire dalle ore 10.30, a Roma, presso la Sala Stampa della sede dell’Unione delle Camere Penali Italiane, in via del Banco di Santo Spirito 42, è indetta una conferenza stampa per denunciare le disumane condizioni in cui versano gli istituti penitenziari italiani destinate a peggiorare durante il periodo estivo e a presentare proposte concrete per fronteggiare una tale situazione emergenziale. Alla conferenza stampa, coordinata da Stefano Anastasia, interverranno Luca Palamara (ANM), Cesare Antetomaso (Giuristi Democratici), Franco Corleone (Coordinatore nazionale dei garanti territoriali dei diritti dei detenuti), Rossana Dettori (CGIl-Fp), Piergiorgio Morosini (Magistratura Democratica), Giuseppe Mosconi (Antigone), Ornella Favero (Ristretti Orizzonti), Valerio Spigarelli (Ucpi) e Franco Uda (Arci). Nel corso della conferenza stampa sarà presentato il documento “Sovraffollamento: che fare?” alla cui realizzazione hanno contribuito A buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Beati i Costruttori di Pace, Cgil-Fp, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Forum droghe, Magistratura Democratica, Ristretti Orizzonti, Unione Camere Penali Italiane. Il testo del documento che verrà presentato A fronte dell’attuale sovraffollamento carcerario e dell’evidente inefficacia delle misure introdotte con il Piano carceri, intendiamo opporci con forza all’idea che la costruzione di nuove prigioni sia la soluzione più idonea e auspicabile a tutti i problemi e rilanciare invece l’orizzonte di una riforma sostanziale del Codice penale, che promuova una drastica riduzione delle fattispecie di reato e delle pene e il ricorso al carcere come extrema ratio. La previsione di pene alternative e misure extrapenali e la riduzione dei minimi e dei massimi edittali, a partire dall’abolizione dell’ergastolo, possono rappresentare soluzioni ben migliori se affiancate alla disponibilità a rivedere normative altamente criminogene, quali quelle che penalizzano i recidivi nell’accesso ai benefici penitenziari, quelle che prevedono il carcere per i ossicodipendenti e quelle che criminalizzano l’immigrazione clandestina. Nello specifico proponiamo: Limiti all’utilizzo della custodia cautelare in carcere L’applicazione della misura cautelare carceraria deve essere utilizzata solo e soltanto in casi eccezionali, quando ogni altra misura risulti assolutamente inadeguata. Ciò attraverso la modifica della normativa di settore che riporti l’art. 275 c.p.p. nell’alveo dello spirito del legislatore del 1988, con un più significativo utilizzo della misura degli arresti domiciliari. Abrogazione della legge cosiddetta ex – Cirielli La Legge ex - Cirielli, diventata famosa come “legge salva - Previti”, non ha soltanto ridotto i termini di prescrizione dei reati, ma ha dato nuova forma e contenuto alla figura del “recidivo” e inventato la disciplina del “recidivo reiterato”, che in realtà penalizza la stragrande maggioranza dei detenuti, che sono condannati per reati di microcriminalità, spesso dovuti alla loro condizione, di tossicodipendenti o di immigrati irregolari. Per loro sono stati introdotti inasprimenti di pena, divieto in molti casi di applicazione di circostanze attenuanti, aumento dei termini per la richiesta di permessi premio, irrigidimento per la concessione delle misure alternative, divieto di sospensione pena. Si chiede in particolare l’abrogazione di tutte le misure che comportano un aggravio di pena e/o la restrizione delle condizioni per accedere ai benefici. Modifica della legge Fini - Giovanardi in materia di sostanze stupefacenti Superamento del carcere per i tossicodipendenti attraverso la ridefinizione delle tabelle ministeriali relative ai quantitativi riferibili all’uso personale; la depenalizzazione totale dell’uso personale includente la coltivazione; la drastica riduzione delle pene per lo spaccio di droghe leggere, la rimozione del limite a due concessioni dell’affidamento terapeutico; l’abrogazione dell’obbligo per gli operatori del Ser.T. di denunciare ogni singola violazione del programma terapeutico. Tutto ciò in vista dell’estensione di percorsi riabilitativi alternativi al carcere, per i quali è necessario un forte impegno degli Enti locali. Disposizioni relative agli immigrati condannati Previsione del rientro nel Paese di origine come “misura alternativa” solo su richiesta dell’interessato e in caso di residuo pena di 3 anni, senza esclusioni pregiudiziali per tipo di reato; - predisposizione di condizioni e risorse idonee a garantire la piena applicazione delle misure alternative agli immigrati condannati. Maggiore e più rapida applicazione delle misure alternative al carcere L’applicazione delle misure alternative al carcere è l’unico strumento idoneo a garantire il recupero del detenuto e ad evitare il rischio di recidiva. Se si considera che circa il 60% dei detenuti definitivi ha una pena o un residuo pena inferiore a tre anni, l’utilizzo razionale delle misure alternative alla detenzione consentirebbe di evitare il carcere e di liberare diverse migliaia di soggetti. Per una maggior applicazione delle misure alternative, sono necessari: - una accelerazione dei tempi di accesso, ottenibile con provvedimenti quali: velocizzazione dei tempi di esecuzione delle sentenze definitive per le persone già in custodia cautelare; potenziamento del Gruppo di osservazione e trattamento con la collaborazione degli Enti locali, al fine di una attivazione di effettive opportunità a sostegno dei programmi di reinserimento; - un aumento delle risorse per programmi di reinserimento di determinate tipologie di soggetti tossicodipendenti, concreta applicazione della legge a favore delle detenute madri con prole fino ai 10 anni), da applicare senza alcun limite per i recidivi; - vanno anche sostenute proposte che prevedano una sistematica concessione delle misure alternative per un tempo significativo nell’ultimo periodo di detenzione, senza limiti oggettivi e soggettivi, per favorire un rientro “accompagnato” nella società delle persone a fine pena e garantire così una maggior sicurezza sociale. Introduzione della messa alla prova anche per gli adulti Estendere l’istituto della sospensione del procedimento con la messa alla prova dell’imputato che, per la sua positiva sperimentazione nel settore minorile, può risultare efficace nel contrasto di fenomeni di microcriminalità, prevenendone l’evoluzione verso manifestazioni criminali più pericolose. Introduzione di entrate scaglionate in relazione alla capienza Ai fini deflattivi rispetto ai numeri che caratterizzano l’attuale popolazione detenuta, proponiamo che, raggiunto il limite della capienza regolamentare, si proceda all’attivazione di entrate scaglionate in relazione alla capienza per potenziali detenuti eccedenti, con previsione di decorso immediato della pena in detenzione domiciliare. Il Ministero della Giustizia determinerà l’ordine di ingresso per i condannati in via definitiva seguendo un ordine cronologico. Nel caso di alcuni reati particolarmente gravi, non verrà rispettato l’ordine cronologico e si potrà procedere direttamente alla esecuzione del provvedimento di condanna. Durante la sospensione del provvedimento di carcerazione la pena scorre regolarmente come se fosse espiata. Il detenuto che non rispetta le prescrizioni relative all’obbligo di domicilio vedrà invece interrompere lo scorrimento della pena. Chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Provvedere alla chiusura degli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) ed eliminare le misure di internamento psichiatrico per attuare quanto previsto dalla legge Basaglia e dal decreto 229 del ‘99. Andare verso il superamento delle altre misure di sicurezza divenute pressoché indistinguibili dalle pene detentive. Tutela dei diritti e istituzione del Garante Sosteniamo inoltre la necessità di garantire la tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, in particolar modo per quanto riguarda la promozione di opportunità di formazione e reinserimento sociale e l’effettiva tutela giurisdizionale dei loro diritti, anche attraverso il ripristino di risorse consistenti per la gestione degli istituti di pena e per le attività promosse da associazioni e cooperative all’interno delle carceri e l’istituzione della figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Considerato che a causa del sovraffollamento non è possibile garantire una detenzione rispettosa della dignità delle persone, è auspicabile che, nell’attesa che siano messe a punto soluzioni di più ampio respiro, siano subito attuate misure per rendere almeno più decenti le condizioni di vita nelle carceri, intervenendo per rendere più umani i rapporti con le famiglie e garantendo una effettiva tutela della salute. L’ergastolo è severo e disumano non meno della pena di morte Il Mattino di Padova, 11 luglio 2011 Ci sono stati anni in cui, nel nostro Paese, si discuteva del senso della pena, della sua durata, dell’opportunità o meno di abolire l’ergastolo, oggi il tema è quasi un tabù, e chi ne parla con senso di umanità rischia ogni volta la ridicola accusa di “buonismo”. Eppure, negli anni 70, un politico equilibrato come Aldo Moro aveva detto cose molto chiare in proposito: “…per quanto riguarda questa richiesta di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale che istantaneamente e puntualmente elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua. L’ergastolo, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento, appare severo e disumano non meno di quanto lo è la pena di morte. Proprio per il fatto che l’ergastolo impedisce una progettualità alla persona detenuta che ha commesso un reato, impedisce di rivedere, di ricostruire se stesso in prospettiva di un reinserimento sociale, di un recupero”. Per tornare a parlarne, ci vogliamo affidare prima di tutto alle riflessioni di Agnese Moro, che dal padre ha assorbito la capacità di parlare delle pene con umanità, e questa umanità non l’ha persa nemmeno quando il padre glielo hanno ucciso le Brigate Rosse, e poi ala testimonianza di un ergastolano. La giustizia non è fatta dal “…ti punisco”, è fatta dal “ti riporto insieme con noi…” Mio padre era molto contrario all’ergastolo. Mio padre è stato per moltissimi anni professore di diritto penale, quindi tra l’altro era materia sua! Lui sosteneva questo: che la sostanza di cui son fatti gli esseri umani è la libertà. Se tu una persona la privi della speranza di ritornare libera, tu quella persona è come se l’avessi uccisa. Io penso che sia una cosa molto vera, molto saggia, molto umana, cioè mio padre guarda tutto nella prospettiva di una pena che viene data non per una vendetta, ma perché c’è qualche cosa che è stato rotto e questo equilibrio si deve ricomporre e si ricompone attraverso la privazione della libertà, che è una forma di afflizione, di dolore che deve portare ad un ripensamento e a un rientrare nella società. Ed è una afflizione che non va condita con altre afflizioni: io ti tolgo la libertà ma questo togliere la libertà non significa togliere gli affetti, il lavoro, tutti gli strumenti che ci possono essere per una crescita. Quindi per lui la pena serve a ritornare nella società, non è una punizione in senso stretto. È un atto che deve servire per ricomporre qualche cosa. A me sembra un concetto, quest’idea che tutti debbano avere la possibilità di ritornare liberi, che è fondamentale per coltivare la speranza di noi tutti. Perché veramente è una cosa troppo triste: tu perché dovresti fare una qualsiasi forma di sforzo per rivedere la tua vita, se non hai la prospettiva di ritornare a viverla? Allora l’ergastolo significa solo che sei un essere pericoloso, ti chiudo dentro una scatola, faccio finta che non esisti, non ti ammazzo perché sono superiore, però come persona non ti voglio più. Il suo ragionamento invece è tutto di un mondo nel quale le persone sono la cosa più importante. Per la nostra Costituzione le persone sono la cosa che viene al primo posto, in ogni caso c’è un’umanità anche nel gesto di fare il male, perché comunque è un gesto di libertà. Chiaramente non è una cosa bella, ma c’è un essere umano dietro. Mio padre contrappone questo ragionamento a tutto un altro tipo di concezione che dice che è la società che ti porta a compiere certi atti, quindi tu non sei niente: apparentemente è una teoria “più buona”, perché ti toglie una responsabilità, ma togliendoti quella responsabilità, ti toglie pure la tua umanità e la titolarità a fare delle cose. Mi sembra che sia abbastanza convincente questo fatto, io considero una cosa terribile l’ergastolo, veramente, ma poi non ha senso. Io, che pure dovrei sentirmi molto piena di giustizia perché comunque le persone responsabili della morte di mio padre sono state tutte condannate (qualcuno è scappato), e il 90% è stato in carcere tutti gli anni che doveva stare, sento che non è che mi dia tanto di più il fatto che loro siano stati presi ed abbiano o stiano scontando la loro sonora condanna, penso lo stesso che mio padre non abbia avuto giustizia perché la giustizia non è fatta dal “…ti punisco”, è fatta dal “ti riporto insieme con noi…”, questo già assomiglia di più all’idea di giustizia. Sento molta più giustizia quando mi trovo in una situazione dove vi sono anche quelle persone che hanno fatto cose sbagliate e che hanno dietro tutto un cammino, e siamo insieme, ne parliamo e ne discutiamo serenamente. Quindi mi sembra che l’ergastolo sia veramente un controsenso, “…Ti vogliamo recuperare, però… ti vogliamo buttare via”. Noi non vogliamo buttare via nessuno, per me questo è fondamentale, noi siamo un Paese che non deve/vuole buttare via nessuno, noi siamo tutti insieme… Dal punto di vista di chi ha ricevuto un torto la cosa più bella è che l’altra persona, quella che il torto l’ha fatto, capisca che ha fatto una cosa sbagliata, secondo me è l’unico pensiero che mi può in qualche maniera confortare. Agnese Moro Ogni giorno che passa ci si sente sempre più estranei nelle vite di chi è fuori Mi chiamo Giovanni e sono di Lecce. Ho 48 anni e da diciotto sono detenuto con una condanna definitiva all’ergastolo. Pagare per i propri errori è giusto e sacrosanto. Pagare però un surplus non lo è più. Quel surplus di pena sono gli affetti, quei rapporti con la famiglia che il tempo e la distanza sgretolano, affievoliscono, inaridiscono. Il cuore diventa un pezzo di ghiaccio, ma il dialogo stesso si interrompe perché ogni giorno che passa ci si sente sempre più estranei nelle vite di chi è fuori. Già è dura mantenere vivo l’affetto attraverso i colloqui settimanali quando si è detenuti nella propria città, se solo si pensa che le sei ore mensili di colloquio consentite corrispondono a un quarto di un giorno e per gli altri 29 e tre quarti del mese non puoi avere i tuoi cari vicino. Ma puoi non vederli per mesi o anni, come succede a me che il periodo più lungo senza poter fare un colloquio è stato di diciotto mesi. Fino a quando sono stato detenuto a Lecce, ho potuto veder crescere i miei due figli cercando di fargli sentire quanto più possibile la mia presenza, consapevole dei miei errori e del dolore che gli avevo procurato. Vederli tutte le settimane, poterli toccare, accarezzare, stringerli forte tra le braccia, tenergli le mani era come fare il carico di ossigeno, sia per me sia per loro. Era un farsi forza reciprocamente, non voler perdere la speranza che un giorno sarebbe stato diverso, che ci sarebbe stato un futuro un tantino migliore, che… non è facile per chi ha l’ergastolo sperare che tutto ciò si possa realizzare. Oggi i miei figli sono grandi. Loro in tutti questi anni hanno rappresentato la mia ancora di salvezza, la mia forza interiore per affrontare una vita che vita non è, perché l’ergastolo ti fa morire dentro un poco ogni giorno e non solo per il peso della condanna in sé che si porta via il tempo, e quello che ti lascia è sempre meno, ma per quelli che sono i rimorsi che uno si porta dentro per tutto il male che ha fatto. Oggi mi ritrovo ad essere nonno di due nipotini bellissimi, figli di mia figlia, Marco di tre anni ed Andrea di uno. Nella prima gravidanza non ho avuto la possibilità di vedere mia figlia, perché per tutti e nove i mesi la sua gravidanza è stata a rischio, e io nel frattempo ero stato trasferito a centinaia di chilometri dalla mia città. Non ho potuto condividere con lei quello stato di grazia, che solitamente ha una donna quando è in attesa di una nuova vita nel suo grembo. Questa è stata una sofferenza durissima per tutti e due. Durante la seconda gravidanza, malgrado anche questa fosse a rischio, ha deciso di venire a farsi vedere. Era di appena 4 mesi, ma era radiosa, ed è stata un’emozione indescrivibile poterle posare la mano sul grembo. Il mio nipotino Marco l’ho visto quattro o cinque volte. Andrea, invece, solo una volta. Non è facile per una famiglia che vive di uno stipendio esiguo e con due figli, spendere dei soldi per venire al colloquio. Né può farlo mia madre che è anziana, sofferente e vive di pensione minima. Una ultima considerazione: ho scontato 18 anni di pena e non ho mai avuto un permesso premio. Se qualcuno osa ancora avere dei dubbi circa l’effettività dell’ergastolo o della certezza della pena, credo che il dubbio potrà toglierselo. Giovanni Prinari Giustizia: le carceri e il passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale di Livio Pepino Il Manifesto, 11 luglio 2011 Chiamato, opportunamente, in causa, rispondo. Ha ragione Michele Passione (“Altre 70.000 buone ragioni”, il manifesto, 7 luglio), e con lui l’Unione delle Camere penali: ci sono moltissime ragioni per chiedere un cambiamento - un profondo cambiamento - delle politiche carcerarie del nostro Paese. Il carcere è in crescita esponenziale. In venti anni le presenze sono più che raddoppiate: erano 25.804 il 31 dicembre 1990 e 67.961 alla stessa data del 2010 (il che corrisponde a circa 90.000, ingressi nell’anno). La capienza regolamentare dei nostri istituti è di 41.500 e, dunque, il sovraffollamento è di oltre un terzo. In molte carceri i detenuti stanno chiusi per oltre 20 ore in celle di tre metri per tre nelle quali occorre stare in piedi o seduti a turno. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento riservato a un detenuto costretto a vivere in uno spazio “inferiore alla superficie minima stimata auspicabile dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura”. Alcuni magistrati di sorveglianza hanno (vanamente) ordinato alla amministrazione di rimuovere analoghe situazioni in diversi istituti. È di pochi giorni fa il ventiseiesimo suicidio del 2011 in un carcere della Repubblica (dopo il triste primato raggiunto l’anno precedente). In questa situazione sono necessari interventi urgenti: anche un’amnistia o un indulto, come chiedono Pannella e pochi altri. A una condizione: non illudersi che si tratti di soluzioni risolutive. Se si vuole davvero cambiare occorre capire perché si è arrivati a questa emergenza e formulare proposte coerenti. E un terreno su cui sarebbe opportuna una iniziativa politica congiunta di avvocati e magistrati (quantomeno della Unione Camere penali e di Magistratura democratica). Per favorirla provo a dare qualche contributo. La crescita del carcere non dipende dall’aumento della criminalità. Secondo le rilevazioni del Ministero dell’Interno e dell’Istat la curva dei reati è stazionaria o addirittura in calo (con picchi vero l’alto solo nel 1991 e nel 1996). Ciò significa che le ragioni del boom, della penalità e del carcere stanno altrove: nel passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale, caratteristica della fase non solo in Italia, sull’onda del pensiero unico che ha ridisegnato i rapporti sociali. Il postulato di questa impostazione è che la garanzia dei diritti e della sicurezza degli inclusi passa necessariamente attraverso la neutralizzazione dei non meritevoli e dei marginali (i “nuovi barbari” da cui la società contemporanea deve difendersi con ogni mezzo). In questa visione, occorre respingere al di fuori o, se ciò non è possibile, rinchiudere, il disordine e chi lo esprime (migranti, tossicodipendenti, poveri: cioè le categorie di soggetti che riempiono gli istituti di pena). Per raggiungere questo risultato l’intervento legislativo degli ultimi anni si è sviluppato lungo alcune direttrici fondamentali: governare i flussi migratori con il diritto penale, affrontare il fenomeno dell’uso di stupefacenti con interventi (prevalentemente) repressivi, aumentare le pene e diminuire le misure alternative per i recidivi, limitare la discrezionalità dei giudici (accusati di buonismo ogni volta in cui non si allineano ai desiderata della maggioranza). Se è esatta l’analisi, i rimedi sono conseguenti. L’emergenza carceraria si affronta - senza danni per il senso di sicurezza dei cittadini (che viene, paradossalmente, messo in crisi proprio da chi semina illusioni di stampo repressivo) - governando i fenomeni migratori sul piano sociale, spostando la disciplina degli stupefacenti dal diritto penale alle misure di tutela della salute, attribuendo ai giudici l’apprezzamento della diversità delle situazioni (senza vincoli prestabiliti e automatismi impropri). Solo così, cercando “qualcosa di meglio” dell’attuale sistema penale si potrà diminuire il ricorso al carcere e dare risposte serie (e non demagogiche) alle richieste di sicurezza della società. Certo, è più facile costruire fortune elettorali sull’invocazione di pene esemplari (per i briganti, non certo per i colletti bianchi). Ma è proprio per contrastare questa tendenza che i giuristi dovrebbero ritrovare la voce! Giustizia: diritti violati; Italia tra le peggiori d’Europa, aumento 30% ricorsi a Strasburgo di Margherita Nanetti Ansa, 11 luglio 2011 Nella classifica dei 47 paesi europei con il maggior numero di violazioni dei diritti umani, l’Italia - nel 2010 - occupa il settimo posto, preceduta da Bulgaria, Polonia, Ucraina, Romania, Russia e Turchia, e seguita da Grecia, Slovacchia e Germania. È pur sempre un piccolo passo avanti rispetto al 2009, quando occupavamo la sesta posizione nella hit delle “maglie nere”. Ma non sembrano esserci motivi di ottimismo: continua l’escalation dei reclami alla Corte europea di Strasburgo. Diecimila e duecento gli italiani che hanno inoltrato ricorso: erano 7.150 nel 2009. Un balzo avanti del 30%. I dati emergono dalla relazione al Parlamento - presentata oggi dal sottosegretario Gianni Letta, insieme tra gli altri al Primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo - e realizzata dalla Presidenza del Consiglio sull’Esecuzione delle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italianò. I ricorsi pendenti, con la nostra malagiustizia sul banco degli imputati, rappresentano il 7,3% dei fascicoli provenienti dai 47 paesi aderenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona. Ma il drappello degli “stati canaglia”, Italia compresa, da solo fornisce i due terzi del lavoro che finisce sulle scrivanie dei giudici di Strasburgo. Le sentenze Cedu emesse nel 2010 contro lo stato italiano sono state 98 (erano 69 nel 2009). Il grosso delle violazioni, 44 casi, riguarda l’eccessiva durata dei processi; in 9 casi vizi nella procedura; in tre, lesioni alla privacy, in sei, al diritto di proprietà. Un caso ha denunciato trattamenti inumani; un altro la violazione della libertà di circolazione, e l’ultimo la violazione del diritto al ricorso individuale. Quasi 8 milioni di euro gli indennizzi che l’Italia deve pagare a favore dei cittadini, vittime della giustizia lumaca e cattiva. La maggior parte andrà in risarcimenti per il lungo corso delle espropriazioni. Nel 2009 l’importo era meno della metà, circa 3 milioni 292 mila euro. Su un capitolo delicato dei diritti, quello che tocca le condizioni di vita delle persone detenute, il rapporto suona un forte allarme per la lentezza con la quale la magistratura di sorveglianza risponde alle istanze di chi è in carcere, in particolare chi è sottoposti al 41bis per i legami con mafie e clan. La situazione è così irrimediabile che lo studio di Palazzo Chigi suggerisce, “in prospettiva”, di trasformare le norme sul carcere duro “da regime speciale a regime ordinario di detenzione” e “prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell’esecuzione, alla stregua di quanto accade attualmente per tutte le altre pene in genere”. La proroga a oltranza, dei decreti che impongono l’isolamento, non è più accettabile davanti all’Europa che ci tiene sotto monitoraggio. “Spesso si protrae per lunghi anni e ormai - annota desolato il report - i primi 41 bis sono in proroga continua da circa 15 anni, per cui si percepisce, nella magistratura, un certo disagio nel motivare la perdurante sussistenza dei contatti con le associazioni criminali di riferimento, anche perché difficilmente la polizia svolge indagini sui condannati e dunque mancano relazioni di polizia giudiziaria effettivamente utilizzabili”. Trasformare il 41 bis da regime speciale a regime ordinario di detenzione È quanto suggerisce la relazione presentata in Parlamento per il 2010 sulla “esecuzione delle pronunce della Corte Europea per i diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano”. In particolare, si fa notare che anche nel 2010, come ogni anno nell’ultimo decennio, “vi sono state sentenze di constatazione di violazione del diritto d’accesso ad un tribunale causate da ritardi nelle decisioni dei tribunali di sorveglianza e della Corte di Cassazione in materia di ricorso avverso l’applicazione del regime speciale del 41 bis dell’ordinamento penitenziario”. Secondo il rapporto presentato questa mattina dalla presidenza del Consiglio dei Ministri “apparirebbe necessario porre mano anche a questa problematica”. In particolare all’Italia viene contestato il fatto che le decisioni del tribunale di sorveglianza, in tema di detenzione del 41 bis, devono avvenire entro un termine di 10 giorni. Secondo il rapporto si potrebbe pensare “a una pena di specie diversa, inflitta dal giudice con la sentenza di condanna, e prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell’esecuzione, alla stessa stregua di quanto accade attualmente per le altre pene in genere”. Questo, secondo il rapporto presentato in Parlamento per l’anno 2010, comporterebbe la liberazione di rilevanti risorse lavorative ed eviterebbe la necessità di “periodica reiterazione dei decreti”. I primi 41 bis infatti, si fa notare nel rapporto, sono in proroga continua da ormai 15 anni. “Si percepisce - si legge nel rapporto - nella magistratura di sorveglianza un certo disagio nel motivare la perdurante sussistenza, dopo tanto tempo, di contatti con le associazioni criminali di riferimento, anche perché difficilmente la polizia svolge indagini sui condannati e dunque mancano relazioni di pg effettivamente utilizzabili”. Giustizia: i Radicali denunciano; la Rai ignora lo sciopero della fame di Pannella Dire, 11 luglio 2011 “La Rai ignora il presidente della Repubblica, insieme ai 368 parlamentari e alle 627 personalità che hanno sottoscritto l’appello a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella”. Lo denunciano i Radicali che oggi hanno scritto al presidente dell’Agcom Corrado Calabrò per ribadire l’urgenza di un suo intervento. “Durante lo sciopero della sete di Marco Pannella, tornato poi allo sciopero della fame che prosegue dal 20 aprile scorso, il presidente Napolitano aveva reso pubblica una lettera al leader radicale nella quale dichiarava di condividere le ragioni di fondo dell’iniziativa, mentre parlamentari di tutti i gruppi politici e intellettuali tra i più autorevoli, hanno sottoscritto un appello che chiede alla Rai di interrompere un comportamento lesivo dei diritti dei cittadini e consentire agli italiani di conoscere le ragioni e giudicare la proposta di Pannella e le altre soluzioni possibili ai problemi che pone. Nonostante ciò - sottolineano i Radicali - la Rai non ha programmato alcuno spazio di approfondimento sullo stato delle istituzioni, della giustizia e delle carceri italiane”. Giustizia: Alfano (Idv); la realtà dei penitenziari è lontana dalla Costituzione Iris, 11 luglio 2011 “Condivido pienamente le riflessioni di Magistratura Democratica sulle condizioni carcerarie italiane. È evidentissima la distanza tra la realtà odierna dei penitenziari e la prospettiva della Costituzione italiana. Suicidi, carenza di personale, assoluta noncuranza rispetto al diritto alla salute dei detenuti. Non a caso, nel luglio del 2009, la Corte Europea per i diritti Umani ha espressamente dichiarato illegali le condizioni delle carceri del nostro Paese”. Lo ha detto Sonia Alfano, europarlamentare Idv, esprimendo il suo sostegno alla lettera scritta a tutti i parlamentari da Magistratura Democratica insieme all’Associazione Antigone, Ristretti Orizzonti e Coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti. “La questione non dovrebbe essere utilizzata quale arma propagandistica come fatto dall’attuale governo, piuttosto andrebbe affrontata in modo serio e costruttivo. Purtroppo però il Parlamento italiano è impegnato in ben altre questioni e i diritti umani sono relegati in fondo alla classifica dei pensieri della nostra classe politica. La lettera di Magistratura Democratica, senza dubbio - sottolinea Sonia Alfano - propone degli ottimi spunti che andrebbero presi in considerazione, affinché il sistema carcerario, la cui legge è ottima ma non applicata, sia parzialmente riformato nei fatti e i penitenziari siano in grado di garantire ai detenuti un trattamento umano e la tanto decantata “rieducazione”. Mi auguro - conclude - che i parlamentari più sensibili al tema si impegnino affinché la questione sia affrontata al più presto”. Giustizia: Clemenza e dignità; per le carceri necessario massimo impegno comune Ansa, 11 luglio 2011 “Le carceri oltre che un mondo a parte, ora potrebbero addirittura apparire, mediante una visione superficiale e veloce, anche un luogo trascurato da Dio e dalla religione”. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità, che aggiunge: “Ne sta parlando soprattutto e con grandi meriti il mondo laico. Eppure, il recente Beato Giovanni Paolo II, è stato proprio il Papa dei detenuti. Si discute, poi, tanto dell’uso dei contraccettivi, di aborto, e quindi di tutela della vita, - rileva - ma la vita non è solo l’embrione, oppure non è solo uno stato vegetativo conseguente ad una malattia, la vita è anche quella degli uomini e delle donne che sono detenuti e che ogni giorno muoiono nell’indifferenza generale. Gesù - continua - nella sua vita ha conosciuto proprio l’arresto, il fatto processuale, la condanna, il decesso a ciò conseguente. Infine, - osserva - per quanto ci si possa sentire diversi e distanti dai ristretti, per quanto ci si possa sentire delle persone giuste, in virtù di una vita tendenzialmente retta, la misericordia è probabile che segua percorsi totalmente diversi dalla giustizia umana, percorsi inaspettati e inspiegabili. A tal riguardo, - conclude - il mondo cattolico non può dimenticare quel malfattore che disse ‘Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regnò e Gesù che gli rispose in verità ti dico: oggi sarai in paradiso con me”. Lettere: ergastolano ostativo al Presidente della Repubblica (presentazione Rita Bernardini) Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2011 Signor Presidente della Repubblica, ci sono delle sere che il pensiero che possiamo rimanere in carcere per tutta la vita non ci fa dormire. E la speranza è un’arma pericolosa. Si può ritorcere contro di noi. Se però avessimo un fine pena… Se sapessimo il giorno, il mese e l’anno che potessimo uscire… Forse riusciremo a essere delle persone migliori… Forse riusciremo a essere delle persone più buone… Forse riusciremo a essere delle persone più umane… Forse riusciremo a non essere più delle belve chiuse in gabbia. Signor Presidente della Repubblica, noi “uomini ombra” non possiamo avere un futuro migliore, perché noi non abbiamo più nessun futuro. E per lo Stato noi non esistiamo, siamo come dei morti. Siamo solo come carne viva immagazzinata ad una cella a morire. Eppure a volte, quando ci dimentichiamo di essere delle belve, noi ci sentiamo ancora vivi. E questo è il dolore più grande per degli uomini condannati ad essere morti. A che serve essere vivi se non abbiamo nessuna possibilità di vivere? Se non sappiamo quando finisce la nostra pena? Se siamo destinati a essere colpevoli e cattivi per sempre? Signor Presidente della Repubblica, molti di noi si sono già uccisi da soli, l’ultimo proprio in questo carcere il mese scorso, altri non riescono ad uccidersi da soli, ci aiuti a farlo Lei. E come abbiamo fatto anni fa, Le chiediamo di nuovo di tramutare la pena dell’ergastolo in pena di morte. Gli ergastolani in lotta per la vita del carcere di Spoleto Luglio 2011 Carmelo Musumeci Roma, 10 luglio 2011 Egregio Presidente, caro Giorgio Napolitano, nella giornata di ieri ho effettuato una visita di sindacato ispettivo alla casa di reclusione di Spoleto dove ho incontrato decine di ergastolani, fra i quali il dott. Carmelo Musumeci che mi ha chiesto di consegnarle una lettera sottoscritta da “gli ergastolani in lotta per la vita”. Come potrà constatare, si tratta di parole tristi di chi non ha più speranza. Pur avendomela consegnata ieri, l’ho letta solo oggi e devo dire che non condivido affatto alcune espressioni a Lei rivolte, come quella nella quale gli ergastolani invocano il Suo aiuto a morire. Ma io non sono al loro posto ed è per questo che ho deciso di consegnargliela lo stesso. D’altra parte, il dramma di cui sono portatori è immenso. Infatti, la nostra legislazione non solo prevede la pena dell’ergastolo - che, a mio avviso, è nettamente in contrasto con l’art. 27 della nostra Costituzione tanto che, assieme ai miei colleghi radicali, ho presentato una proposta di legge di abrogazione - ma addirittura l’ergastolo “ostativo”, cioè una pena che effettivamente non finisce mai e che non dà diritto ad alcun beneficio, anche se il condannato assuma per decenni un comportamento irreprensibile, improntato alla ricerca del bene e della crescita umana di sé e degli altri. Voglia scusarmi, Signor Presidente, anche perché - in questo caso - il messaggero, quale io sono in questo momento, “porta pena” e che pena! Nell’augurarle ogni bene, le porgo i miei più sinceri e deferenti saluti. Rita Bernardini Umbria: la Regione aderisce a progetto inclusione soggetti esecuzione penale Asca, 11 luglio 2011 “Nel quadro delle politiche per l’inclusione sociale e per la creazione di servizi per la qualità della vita una parte importante è quella dedicata alla costruzione di percorsi di integrazione ed al miglioramento del reinserimento lavorativo di persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. D’altra parte la sicurezza ed inclusione sociale sono elementi indispensabili per consentire la realizzazione di qualsiasi processo di sviluppo sociale ed economico del territorio. Ciò porta a rivedere obiettivi e strategie delle politiche per la sicurezza e la legalità che, in sinergia con adeguate politiche sociali, dovranno essere finalizzate alla riduzione permanente e continua delle condizioni di insicurezza pubblica e di illegalità dei territori, intervenendo nel miglioramento dei servizi di contrasto all’esclusione sociale, piuttosto che con la sola compensazione degli svantaggi che queste condizioni generano”. Carla Casciari, Vicepresidente ed assessore alle politiche sociali della Regione Umbria, ha così motivato l’adesione della Giunta al progetto interregionale - transnazionale ‘Interventi per il miglioramento dei servizi per l’inclusione socio - lavorativa dei soggetti in esecuzione penalè promosso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Approvato anche lo schema di Accordo per l’attuazione. Oltre all’Umbria, hanno aderito Abruzzo, Calabria, Emilia - Romagna, Friuli, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, e le province autonome di Trento e Bolzano. Palermo: Corbelli (Diritti Civili); assordante silenzio su morte detenuto paraplegico Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2011 “C’é indifferenza e insensibilità sul dramma delle carceri da parte delle istituzioni, degli esponenti politici e dei media”. Lo afferma in una nota il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli. “Il silenzio - aggiunge - sull’ultimo drammatico caso del detenuto paraplegico cosentino, lasciato morire in carcere, denunciato da Diritti Civili è vergognoso. Ancora una volta sono stato lasciato da solo a combattere l’ennesima battaglia civile per una giustizia giusta e umana. Quello che più colpisce e provoca, in me, tanta delusione e grande amarezza è l’assordante silenzio mediatico su questa ultima disumanità delle carceri, una inaudita vergogna. Tacciono le Istituzioni e i politici ma i media no, non possono tacere, non può una stampa libera chiudere gli occhi, non può non dare spazio e ascolto alla legittima e dignitosa richiesta di verità e giustizia che arriva dai familiari di questo recluso”. “Il detenuto morto - prosegue Corbelli - è un essere umano, non è un fantasma, ha un nome e cognome, si chiamava Ennio Manco, 52 anni, paraplegico, è morto nel carcere di Palermo e ai suoi familiari è stato di fatto addirittura impedito di poter vedere la salma che è stata poche ore dopo il decesso subito chiusa in una bara e il giorno dopo trasferita dalla Sicilia in Calabria. Questo è un fatto gravissimo”. Bologna: il Sindaco; in carcere c’è un’emergenza, quel che ho visto non è da paese civile Dire, 11 luglio 2011 Carcere: è sempre più emergenza alla Dozza di Bologna e il sindaco sta valutando in che modo intervenire. “Sto verificando se ci sono i margini per un’ordinanza sindacale in ambito sanitario”, ha detto Virginio Merola. Si tratta di una strada percorsa già da altri sindaci come, ad esempio, quello di Pordenone, Sergio Bolzonello, che lo scorso aprile ha ordinato di riportare la capienza del carcere cittadino entro limiti tollerabili, altrimenti avrebbe chiuso la struttura, e che a Bologna fu fatta nel 2007 dal sindaco Sergio Cofferati contro la situazione di degrado igienico - sanitario. Questa mattina Merola è entrato alla Casa circondariale della Dozza insieme al presidente della commissione diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro, ai senatori Rita Ghedini (Pd) ed Elio Massimo Palmizio (Pdl) e all’onorevole Donata Lenzi (Pd). La visita rientra in un’indagine conoscitiva sulla carceri italiane che la commissione sta conducendo da tempo e ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica la situazione intollerabile della struttura, dove attualmente si trovano 1.120 detenuti a fronte di una capienza di 450 posti, dove gli agenti sono sotto organico (377 contro i 520 previsti) e dove i tagli stanno mettendo in discussione servizi e percorsi di reinserimento. Merola ha ricordato che “se la situazione alla Dozza è sotto controllo è solo grazie alla collaborazione tra detenuti e agenti, ma ciò che ho visto oggi non è da Paese civile”. Il sindaco ha poi riportato le parole della direttrice del carcere che ha lanciato l’allarme sul budget, “da ottobre non ci saranno più fondi per i pasti dei detenuti”. L’emergenza carcere è nota da tempo ma sembra che i cittadini non sappiamo qual è la situazione all’interno della Dozza. “Un video realizzato dall’associazione Progrè mostra la scarsa conoscenza dei cittadini della situazione carceraria - ha detto Merola - credo, invece, che l’opinione pubblica debba essere informata”. Della stessa opinione anche Pietro Marcenaro, presidente della commissione diritti umani del Senato, secondo cui “il Paese considera il carcere come una questione che non lo riguarda e invece sarebbe importante l’esistenza di un’opinione pubblica meno ostile al carcere: in tempi di tagli, aumentare la spesa per i detenuti non è una scelta popolare, ma è ciò che andrebbe fatto”. Ma che cosa possono fare gli enti locali? Il sindaco si è impegnato, insieme all’assessore al Welfare, Amelia Frascaroli, a contribuire alla situazione della Dozza. “Vedremo cosa possiamo fare con le scarse risorse a nostra disposizione per occuparci di persone a cui è impedito di scontare la pena in modo dignitoso e utile alla società - ha detto Merola - perché la pena ha senso se c’è rieducazione mentre oggi è in forte discussione”. Oltre all’ordinanza, il sindaco ha detto che “farà il possibile per accelerare la nomina del garante dei diritti dei detenuti”. Figura che manca da quasi un anno a Bologna e le cui funzioni sono state delegate al difensore civico. Rispetto della legge. È quanto hanno chiesto i detenuti negli incontri di questa mattina con il sindaco e la commissione diritti umani del Senato. “Fa impressione essere richiamati al rispetto della legge da parte di persone che stanno scontando la pena per un reato - ha detto Marcenaro - ma una cosa è applicare la legge e un’altra è mettere in forse la dignità delle persone”. Al di là, infatti, dei problemi di spazio, cibo, igiene e caldo i detenuti hanno evidenziato altre questioni. “Ci hanno chiesto di incentivare il ricorso alle misure alternative - spiega Elio Massimo Palmizio - di favorire i percorsi di reinserimento e di garantire la certezza della durata del processo”. Non va dimenticato, infatti, che, come ha ricordato Marcenaro, “la maggior parte delle persone presenti alla Dozza è in attesa di giudizio”. Secondo la senatrice Rita Ghedini, l’emergenza carcere si risolve “con una valutazione meno ideologica e più serena e ripensando la detenzione in carcere per le persone con problemi psichiatrici, i tossicodipendenti e gli immigrati per questioni relative ai documenti”. Il presidente della commissione ha inoltre sottolineato che “il problema carcere non si risolve costruendo nuove carceri ma con misure alternative e altri strumenti che riducano il sovraffollamento”. Dall’autunno niente più soldi per i pasti dei detenuti Dal prossimo autunno il carcere della Dozza di Bologna non avrà più un euro neanche per fornire i pasti ai detenuti. Questo il dato emblematico emerso oggi dalla conferenza stampa convocata a Palazzo D’Accursio dal sindaco Virginio Merola, al termine della visita che ha effettuato questa mattina al penitenziario cittadino insieme al presidente della Commissione diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro, e ai parlamentari Rita Ghedini, Donata Lenzi ed Elio Massimo Palmizio. Oltre al problema economico, resta quello del sovraffollamento: al momento il carcere ospita il triplo dei detenuti consentiti dai limiti di capienza (850 unità) ed ha un numero di agenti di custodia sottodimensionato: dovrebbero essere oltre 500 e non sono neanche 390. “La situazione alla Dozza è ancora sotto controllo grazie alla collaborazione tra detenuti e agenti di custodia; le proteste vengono fatte in maniera civile e argomentate” ha affermato Merola, ricordando che però “le scarse risorse del carcere stanno portando ad un empasse totale”. “La direttrice della casa circondariale - ha aggiunto il sindaco - ha spiegato che ha a disposizione un budget da 60 mila euro, cifra che non permette di coprire il costo dei pasti da ottobre e neppure riparare le auto, o fare benzina, alle auto degli agenti di custodia”. Intanto, però, Merola e l’assessore al Welfare Amelia Frascaroli si sono già impegnati ad offrire un contributo del Comune per il problema. “Vedremo come fare, cercheremo forme di sostegno per i percorsi di reinserimento e, più in generale, per intervenire sull’emergenza all’interno del carcere” ha assicurato il primo cittadino, preannunciando che verificherà anche “se ci sono gli estremi per un’ordinanza sindacale che intervenga sull’aspetto igienico - sanitario”. Il Decreto svuota-carceri alla Dozza non ha funzionato Duecento detenuti della “Dozza”, in maggioranza stranieri ed extracomunitari, potrebbero scontare gli ultimi mesi di carcere ai domiciliari, beneficiando di misure di pena alternative che darebbero respiro ad una delle strutture più sovraffollate del Paese. Una struttura che ospita 1.200 persone, a fronte di una capienza di non più di 500. Potrebbero, ma non possono, semplicemente perché un domicilio non ce l’ hanno. Una situazione paradossale che manda in fumo il famoso decreto “svuota - carceri” firmato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano il novembre scorso. Il quale parla chiaro: su disposizione del magistrato di sorveglianza, i detenuti a cui restano da scontare pene non superiori ai 12 mesi possono ottenere la detenzione domiciliare, nell’ abitazione del condannato “o altro luogo pubblico o privato di cura che può definirsi un domicilio”. “Il problema è che la maggior parte di loro una casa non ce l’ ha, e quindi queste misure diventano impossibili da eseguire” sottolinea Massimo Ziccone, responsabile dell’ area educativa della Dozza. Così, alcuni giorni fa, durante un incontro nazionale tra i Garanti delle persone private della libertà personale, è stato lanciato un appello alle associazioni, affinché accolgano i detenuti il cui status giuridico permette loro di scontare gli ultimi mesi di pena fuori dalle celle. Un provvedimento che darebbe respiro agli istituti penitenziari, in particolare a quelli dell’ EmilaRomagna (secondi in Italia per sovraffollamento), e in particolare alla “Dozza”. “Le associazioni, in convenzione col Comune di Bologna, gestiscono degli appartamenti, ma sono pochi” continua Ziccone. Il professor Giuseppe Tibaldi, dell’Avoc (Associazione volontari carcere), queste abitazioni le conta sulle dita della mani: “Gestiamo due appartamenti peri familiari dei detenuti che vengono a far visita, o per quei detenuti che hanno permessi brevi - spiega - e altri quattro locali da destinare a persone appena uscite dal carcere o, in qualche caso, che devono scontare i domiciliari”. Un totale di sedici posti, “diciassette, se ci assegnano un altro appartamento in via del Pratello”. Ma c’ è un altro problema: “A noi comunque arrivano poche richieste di questo tipo - spiega una sua collega - forse perché si tratta spesso di extracomunitarie il percorso per affidar loro le chiavi di una casa è più complicato”. “È stato vanificato un provvedimento che avrebbe tolto dalle carceri italiane 11mila detenuti - è il commento di Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe - bisogna sensibilizzare gli enti locali per fare qualcosa”. La mancanza di un domicilio non riguarda solo lo “svuota - carceri”, ma anche misure di detenzione alternative già esistenti da tempo, come “l’ affidamento in prova ai servizi sociali”. I detenuti che devono scontare gli ultimi tre anni di pena potrebbero uscire dagli istituti penitenziari rispettando, tra le altre, due condizioni in particolare: svolgere un’ attività (lavoro, studio, volontariato) e avere un’ abitazione. Niente casa, niente libertà. Sassari: Melis (Pd); il carcere di San Sebastiano è un luogo di tortura, va chiuso subito Ansa, 11 luglio 2011 “San Sebastiano è un luogo di tortura, è il carcere peggiore d’Italia e deve essere chiuso prima possibile”. La denuncia arriva dal deputato del Pd Guido Melis che stamattina, insieme a una delegazione del Forum giustizia del partito, guidata dal responsabile nazionale Andrea Orlando, ha fatto visita alle strutture giudiziarie di Sassari. Oggi per l’assenza del direttore non è stato possibile fare un sopralluogo a San Sebastiano. Ma la situazione è ben conosciuta ai parlamentari del Pd. “Un anno fa - ricorda Melis incontrando i giornalisti - dopo una visita al vecchio carcere sassarese abbiano anche presentato una denuncia alla Procura della Repubblica proprio sulle gravi condizioni di vita all’interno della struttura carceraria, ma di quella denuncia non sappiamo più niente”. Melis ha poi annunciato che l’apertura del nuovo carcere di Sassari, in costruzione a Bancali, prevista inizialmente per il 2008, dovrebbe avvenire nei primi mesi del 2012. Stamane la delegazione del Pd ha avuto colloqui con il presidente del Tribunale, il procuratore della Repubblica, una rappresentanza degli avvocati, il presidente del Tribunale dei minori e i vertici locali dell’Anm. “Tra le battaglie che stiamo portando avanti - sottolinea Melis - c’è anche quella per istituire a Sassari, finalmente dopo vent’anni, la sede della Corte d’Appello. L’indipendenza da Cagliari - spiega il parlamentare - comporterebbe tra le altre cose un risparmio per il ministero di Grazia e Giustizia”. Brindisi: i Consiglieri regionali Sel chiedono costruzione di un nuovo carcere www.newspuglia.it, 11 luglio 2011 “La Regione Puglia tra le prime regioni in Italia ad eleggere il garante dei detenuti, un difensore civico delle persone ristrette in carcere che operi in completa autonomia rispetto agli organi di ispezione amministrativa interna e della magistratura di sorveglianza, e un nuovo carcere per Brindisi”. È il commento i consiglieri regionali Antonio Matarrelli (Sel) e Giovanni Brigante (Puglia per Vendola) e il neo-responsabile regionale per la sanità di Sel, il dottor Franco Colizzi, al termine della visita alla Casa Circondariale di Brindisi in prospettiva della seduta del Consiglio regionale di domani che eleggerà il Garante dei detenuti. “Il senso della drammaticità dell’esperienza carceraria - continuano gli esponenti di Sel e Puglia per Vendola - è segnalato dal fatto che il rischio di suicidio nelle carceri italiane è di venti volte superiore a quello della popolazione libera, e peraltro gli stessi operatori carcerari corrono lo stesso rischio in misura raddoppiata rispetto agli altri lavoratori”. “Per questo - spiegano Mattarelli, Brigante e Colizzi - diventa una emergenza umanitaria e sociale per la nostra regione l’elezione del difensore civico dei detenuti, figura che peraltro non esiste ancora a livello nazionale e che è stata istituita solo in alcune Regioni, Province e pochi Comuni d’Italia. Il Garante sarà scelto all’interno di una qualificata terna e avrà funzioni e prerogative diverse da quelle degli organi d’ispezione amministrativa interna e della magistratura di sorveglianza. I garanti possono effettuare colloqui con i detenuti e visitare gli istituti penitenziari senza autorizzazione, possono ricevere segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria e sui diritti dei detenuti eventualmente violati, possono chiedere chiarimenti all’autorità competente, possono sollecitare adempimenti e promuovere azioni per garantire la piena dignità umana dei ristretti”. “Il carcere risale a più di un secolo fa - aggiungono Mattarelli e Brigante - accompagnati nella visita dalla direttrice Fiorentino e dagli operatori di polizia penitenziaria, è stato svolto un positivo lavoro di ristrutturazione per buona parte dell’immobile, per rendere più adeguate le condizioni di spazio e di servizi nelle celle (bagni, docce, cucinini, aerazione e luminosità). Ciò nonostante persistono delle criticità. Il sovraffollamento e l’assistenza sanitaria in particolare sono tra le più evidenti, che vanno dal precariato dei due infermieri storici, alla carenza di attrezzature diagnostiche ed odontoiatriche, alla crescita delle patologie psichiatriche, che richiedono un vero e proprio servizio strutturato. Taranto: Osapp; nelle celle situazione disumana, intervenga la Corte di Strasburgo Ansa, 11 luglio 2011 Intervenga la Corte di Strasburgo: lo chiede il vicesegretario nazionale del sindacato di polizia Osapp, Domenico Mastrulli, a proposito della situazione esistente nelle carceri in Puglia, in un comunicato diffuso in concomitanza con la visita che una delegazione di consiglieri regionali di Sel sta compiendo nell’istituto di Taranto dove le condizioni di vita “in cella - afferma l’Osapp - sono disumane”. Il carcere jonico dovrebbe contenere regolamentare circa 350 detenuti ma attualmente ne ospita 650, “in celle strette e maleodoranti, con letti a castello ammassati nelle stanze detentive”. L’Osapp ricorda nella nota il recente scoppio di una bomboletta a gas in una delle celle del carcere di Taranto con il conseguente ferimento di due detenuti, uno dei quali versa in gravi condizioni del Centro Grandi ustionati di Roma. Il sindacato di polizia ricorda anche i recenti tentativi di suicidio e i suicidi avvenuti nei 12 istituti penitenziari pugliesi dove complessivamente ci sono 4.500 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 2.300 persone. Alba (Cn): sovraffollamento, carenze di fondi e di personale Targato Cn, 11 luglio 2011 Il carcere di Alba ha 100 posti ma ospita 190 detenuti, mancano i soldi per la carta igienica e trenta agenti rispetto alle esigenze. Mancano i fondi per le manutenzioni e per comprare la carta igienica alla Casa Circondariale di Alba diretta da Giuseppina Piscioneri. Come in tutte le carceri italiane sovraffollamento e ulteriori tagli ai fondi già risicati dell’anno scorso creano problemi pratici di gestione quotidiana. Lo denunciano in coro il comandante Gerardo D’Errico e il vice commissario Alessandro Catacchio suo successore dall’1 ottobre 2011 al comando della Polizia Penitenziaria interna al Carcere albese. Secondo le dichiarazioni di D’Errico “Per le manutenzioni disponibili circa 600, 1000 euro ma se c’è un guasto bisogna chiamare il Provveditorato che autorizza la riparazione e la spesa”. E poi c’è il problema del sovraffollamento. “La Casa Circondariale di Alba ha 100 posti regolari ma ospita 190 detenuti tutti maschi. In una cella piccola adatta ad un detenuto ce ne sono due. Finora abbiamo evitato la terza branda per terra in una cella dove i letti sono a castello e il posto in alto è pericoloso perché qualcuno è caduto ed ha riportato un trauma cranico”, dichiara il comandante. E mentre il numero dei detenuti da due anni è stabile intorno ai 200, il personale è sempre più ridotto. “Tagli per dieci unità. Ne mancavano già una ventina l’anno scorso e quest’anno siamo sotto di trenta agenti rispetto alle esigenze. Per gestire le carenze si fanno straordinari. Dovremmo fare sei ore fisse al giorno invece, ne facciamo quasi otto per coprire i turni” dice D’Errico. Trieste: ecco i detenuti-panettieri… pronti a servire la città di Laura Tonero Il Piccolo, 11 luglio 2011 Dal laboratorio del Coroneo escono ogni giorno filoncini per tutti i pasti in cella La cooperativa cerca commesse esterne per coinvolgere sempre più carcerati. Ogni mattina dalle 7 alle 13 il seminterrato del carcere del Coroneo si trasforma in un vero e proprio panificio. Il profumo delle ciabattine appena sfornate, le macchine impastatrici a pieno ritmo, teglie con centinaia di panini all’olio e forni ricolmi di pagnotte o pasticcini spargono nella struttura penitenziaria una fragranza di umanità. Da quel laboratorio a un piano di distanza dalle celle sovraffollate, mentre i parenti fanno la fila per incontrare madri, padri, mariti, mogli e figli rinchiusi dietro le sbarre, ogni giorno tre detenuti preparano gli oltre 50 chili di pane necessari agli ospiti del carcere: tre etti ciascuno, tre panini di pane comune. L’iniziativa, sperimentata anni fa e poi sospesa per problemi organizzativi, ora è ripartita, forte di un’importante novità: la costituzione di una cooperativa e la possibilità di produrre prodotti di panetteria e pasticceria anche per realtà esterne. Le prime ad acquistare il pane confezionato al Coroneo sono proprio le persone che ci lavorano. Un contatto è stato avviato anche con i Vigili del fuoco. Inoltre il prodotto in eccedenza potrebbe essere destinato anche a San Martino al Campo. “Rivolgiamo un appello a enti, realtà private e pubbliche - afferma Moustapha Dioh, responsabile della cooperativa sociale “Bread and Bar” che gestisce l’iniziativa - affinché qualora debbano acquistare pane e dolci fruiscano di questa struttura. Più commesse esterne abbiamo, più detenuti riusciamo a instradare su percorsi di formazione, in vista di un possibile inserimento socio-lavorativo”. La cooperativa non ha fini di lucro: tutto quanto viene incassato è destinato alla formazione e al lavoro dei detenuti. Ogni mattina le guardie penitenziarie li prelevano dalle celle e li accompagnano in laboratorio. Si lavano, indossano la divisa da lavoro e per sei ore staccano la mente dai reati commessi, da chi li attende a casa, dal conteggio degli anni che li separano dalla libertà. Uno lavorava nel settore della sicurezza, il secondo faceva il pizzaiolo, il terzo si arrangiava con lavori di fortuna. “Per noi - raccontano i tre detenuti - questa opportunità è importantissima. Ci stanchiamo e la notte riusciamo a dormire; e poi possiamo guardare al futuro con un briciolo di ottimismo. Anche se da una situazione come la nostra è difficile”. Ad acquistare i prodotti realizzati dal laboratorio del penitenziario, permettendo così a più detenuti di imparare un lavoro, potrebbero essere mense aziendali, scolastiche, case di riposo. Ma anche i privati che necessitano di un servizio catering. “Se si prenota con un po’ di anticipo - avverte il coordinatore - riusciamo a soddisfare ogni esigenza: pizzette, stuzzichini, torte o pasticcini”. “Per me - sottolinea Enrico Sbriglia, direttore del Coroneo - è sempre stato importantissimo avviare dentro il carcere attività e laboratori che consegnino a queste persone una specializzazione lavorativa, che al termine della reclusione permetta loro di trovare un’occupazione; sarà meno probabile che ricomincino a delinquere”. Il laboratorio e i corsi di formazione sono stati finanziati dalla Cassa delle ammende del ministero di Giustizia. Ma ci potrebbero essere altre prospettive: “La mia idea - chiude Sbriglia - è di sistemare una piccola struttura in legno in quel pezzo di cortile tra il carcere e il Tribunale, per permettere anche ai privati di prenotare e ritirare pane o dolci. Dentro il carcere, per ovvi problemi di sicurezza, non è possibile”. Progetto già avviato in altri penitenziari Visitando il carcere del Coroneo ci si rende conto di come quella struttura sia a tutti gli effetti una piccola città nella città. “Da questa complessa realtà noi miriamo a far uscire delle persone rieducate - avverte Anna Bonomo, responsabile dell’Area pedagogica del penitenziario triestino - per questo cerchiamo di avviare attività che, oltre a tenere impegnati i detenuti, forniscano loro strumenti utili ad un futuro reinserimento nella società e nel settore occupazionale”. Quello del panificio, ad esempio, è un progetto già avviato in più penitenziari italiani: il Due Palazzi di Padova, quello di Opera a Milano quello di Marassi a Genova, che cucinano ogni giorno quintali di pane anche per “commensali liberi” e per molte mense scolastiche. La cooperativa Banda Biscotti porta avanti lo stesso progetto nella struttura penitenziaria di Verbania. Nel seminterrato del Coroneo ci sono anche laboratori di ceramica, la falegnameria e una tappezzeria. La gestione non è facile, gli strumenti che utilizzano - cacciaviti, martelli, seghe e punteruoli - sono costantemente tenuti d’occhio dalle guardie penitenziarie. Prima di risalire in cella i detenuti vengono perquisiti. Attività che richiedono l’uso di strumenti affilati vengono escluse. “Il prossimo progetto che punterò a realizzare è un laboratorio per il lavaggio e la riparazione di tappeti pregiati - annuncia il direttore del penitenziario Enrico Sbriglia - l’esperienza di detenuti extracomunitari potrebbe essere preziosa”. Padova: ergastolano aggredito da un altro detenuto, è ricoverato in gravi condizioni Ansa, 11 luglio 2011 Un detenuto della casa reclusione di Padova è stato portato all’ospedale civile a seguito di un aggressione subita da parte di un compagno di detenzione: a darne notizia è Angelo Urso, segretario nazionale Uil-Pa Penitenziari. “Il detenuto - rileva Urso in una nota - è attualmente in pronto soccorso, in codice rosso. Si tratta di un sessantenne ergastolano ad elevato indice di vigilanza, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso”. L’aggressione è avvenuta all’interno del reparto detentivo dove i due si trovavano. “A quanto pare - aggiunge Urso - l’aggressore ha colpito ripetutamente il malcapitato con una bomboletta di gas sfondandogli letteralmente il cranio”. “La Polizia Penitenziaria, ma anche tutti gli altri operatori penitenziari - continua Urso - fanno del loro meglio per tenere sotto controllo la situazione ma evidentemente, vista la frequenza con cui si registrano aggressioni all’interno degli istituti penitenziari, la situazione è a rischio, soprattutto adesso che il periodo estivo riduce ulteriormente la già scarsa presenza di personale”. “Il Governo - conclude Urso - non può proclamare lo stato di emergenza delle carceri come ha fatto negli ultimi due anni e poi lasciare l’intero sistema penitenziario nell’oblio e ora anche con un Ministro della Giustizia precario. La situazione economica del Paese non agevola la situazione ma è altrettanto vero che il sistema da solo non regge più e le conseguenze sulla sicurezza sociale dei cittadini potrebbero presto essere allarmanti”. Voghera (Pv): detenuto in sciopero della fame da 28 giorni e della sete da 6 giorni La Provincia Pavese, 11 luglio 2011 Dopo 28 giorni di sciopero della fame, con alimentazione solo di acqua e zucchero, ha iniziato da 6 giorni anche lo sciopero della sete. La protesta estrema riguarda un detenuto del carcere di Voghera, Roberto Lucchini, uno degli imputati dell’operazione “Infinito”, sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia, per la quale è attualmente in corso il processo nell’aula bunker del tribunale di Milano. Lucchini, che è incensurato, in questo procedimento è accusato di estorsione, ma la sua protesta non riguarda le contestazioni che gli vengono rivolte, bensì le condizioni dei locali di detenzione che sarebbero, secondo la denuncia, “inadeguati e inumani”. Visto che esiste un pericolo per lo stato di salute del detenuto il suo legale, l’avvocato Massimiliano Meda, ha invitato, con una nota scritta, il direttore della Casa circondariale di Voghera, la procura della repubblica e il tribunale di Milano a intervenire per “adottare le misure atte ad impedire che il gesto possa avere conseguenze irreparabili”. Un appello in questo senso è stato lanciato anche dal figlio di Lucchini. Nella lamentela si sottolinea il sovraffollamento della struttura detentiva in cui si vivrebbe in meno di un metro di spazio. Milano: detenuto clona carte credito dal call-center del carcere di San Vittore Ansa, 11 luglio 2011 In carcere era finito con l’accusa di aver clonato carte di credito. Dal carcere avrebbe ricommesso lo stesso reato. Ottenuto un lavoro al call center istituito per la raccolta di fondi per Telethon e gestito dai detenuti all’interno di San Vittore, l’uomo, romeno avrebbe colto l’occasione, per trascrivere i numeri identificativi e i codici operativi delle carte di credito dei numerosi donatori che sotto Natale hanno chiamato per fare beneficenza. Questa l’accusa per cui ora dovrà affrontare un processo. L’inchiesta condotta dal pm di Milano Silvia Perrucci è nata in seguito alla denuncia di un agente di polizia giudiziaria che lo ha sorpreso con carta e penna in mano. Secondo il pm, dunque, il rumeno avrebbe violato ancora una volta la legge sulle carte di credito al fine di trarne profitto illecito. Pisa: scuola in carcere; tutti promossi i detenuti-alunni del Don Bosco Il Tirreno, 11 luglio 2011 Un piccolo libro e una penna: è questo il ricordo consegnato ai dodici detenuti del carcere Don Bosco, durante la festa organizzata presso le aule scolastiche della casa circondariale in occasione della fine dell’anno scolastico. Nove detenuti hanno ottenuto l’idoneità alla classe terza dell’istituto Matteotti, altri tre hanno conseguito presso la stessa scuola la qualifica di operatori della gestione aziendale. Tutti promossi, un vero successo. Insieme a loro più di 30 detenuti iscritti alla scuola primaria, che fa capo al Centro territoriale permanente per l’educazione degli adulti. Uomini che per la prima volta si sono accostati alla lettura e alla scrittura, uomini che durante la detenzione hanno deciso di conseguire quel diploma tante volte accantonato per intraprendere altre strade. In un clima festoso si è svolta la cerimonia della consegna degli attestati e dei diplomi. Con una stretta di mano la professoressa Annarosa De Robertis, referente del Centro, ha salutato per nome ogni giovane, in mezzo agli applausi dei presenti. È stata poi la volta dei detenuti della scuola superiore, che hanno ricevuto parole di elogio dalla coordinatrice, professoressa Giuliana Occhipinti, per la serietà e l’impegno profuso, nonostante le difficili condizioni rappresentate dalla detenzione. Alla festa hanno partecipato le educatrici Lorenza Di Lorenzo, Claudio Carrieri e Alessandra Truscello; e la polizia penitenziaria rappresentata dal commissario Marco Garghella e dal vice commissario Angela D’Aniello. Anche un Corso settimanale di scrittura creativa (Ristretti Orizzonti) Nel settore femminile della Casa Circondariale di Pisa “don Bosco” alcune volontarie delle associazioni “Casa della Donna” e “Controluce” tengono da poco più di un anno un corso di scrittura creativa: un’ora e mezzo settimanale in cui si legge, si parla, si scrive all’impronta e si leggono i componimenti scritti da tutte coloro che, durante la settimana, hanno voluto fissare sulla carta i propri pensieri. Naturalmente si cura anche la partecipazione ai vari concorsi letterari che via via vengono indetti per la popolazione carceraria. E talvolta viene vinto anche qualche premio, come è accaduto recentemente a C. M. che è stata invitata a Torino per la serata finale di un premio letterario nazionale organizzato dal Rotary Club Torino Polaris e dal Rotary International Distretto 2030 , a cui C.M. si è classificata seconda tra circa 350 concorrenti aggiudicandosi la cifra di 500 euro oltre alla partecipazione alla serata conclusiva. Vogliamo diffondere questa notizia perché ci sembra una piccola nota positiva nel buio dei gravi problemi (sovraffollamento, mancanza di fondi, personale insufficiente, strutture carenti etc etc) che angustiano tutto il mondo carcerario compresa la casa circondariale di Pisa. Bologna: come si vive in cella? video-inchiesta fatta da neolaureati della facoltà di legge Dire, 11 luglio 2011 Come si vive in cella? Rispondono ex detenuti, volontari che prestano servizio in carcere, agenti penitenziari, ma anche normalissimi passanti. Così la video - inchiesta “Se tu vivessi in una cella” mette a confronto la realtà delle carceri italiane con la sua percezione, tentando di accorciare la distanza. A realizzarla è un gruppo di studenti e neolaureati della Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, riuniti da gennaio nell’associazione Progrè. Il video (on line su http://www.progre.eu/2011/07/08/se-tu-vivessi-in-una-cella-2/) fa parte però di un più ampio “progetto carcere” portato avanti dall’associazione. Oltre alla video - inchiesta, il primo frutto del lavoro di Progrè è il dossier “Evasione dal diritto?”, con cui l’associazione fa il punto sulle stato delle carceri italiane. Si parte dai principi e dalla legislazione per arrivare ai dati sul sovraffollamento, sulle morti e i suicidi in carcere, ma anche sui reati commessi dai detenuti, la loro nazionalità e posizione giuridica. Il dossier si può scaricare dal sito web dell’associazione, www.progre.eu.