Giustizia: diritti umani in Italia; presentato oggi a Roma il rapporto di 83 organizzazioni Dire, 9 giugno 2011 “L’Italia ad un anno dalle raccomandazioni del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani: Primo rapporto di monitoraggio delle Organizzazioni Non Governative e Associazioni del Comitato per la Promozione e Protezione dei Diritti Umani”. È questo il titolo del documento presentato oggi a Roma, con una conferenza stampa presso la sede del sindacato giornalisti (Fnsi), con la presenza di una decina di esponenti di ben 83 associazioni italiane di varia estrazione culturale, sociale e politica che si occupano di diritti umani e che hanno collaborato alla stesura del testo. “Il rapporto - come ha spiegato Carola Carazzone, portavoce del comitato e presidente del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) - viene proposto a un anno esatto dall’adozione, il 9 giugno 2010, nei confronti dell’Italia delle raccomandazioni da parte del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nell’ambito della Revisione Periodica Universale e a pochi giorni dall’assunzione, il 19 giugno 2011, dell’incarico come uno dei 47 stati membri dello stesso Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani”. Secondo Carazzone “occorre una nuova consapevolezza della centralità dei diritti umani, insieme alla divulgazione di una cultura diffusa e alla elaborazione di una politica sistematica, coerente, trasparente e partecipata per la realizzazione di tutti i diritti umani per tutti”. Il principale rilievo posto dal comitato per i diritti umani nei confronti del governo italiano è quello - come ha spiegato Carola Carazzone - “che in questo anno dalla ricezione delle raccomandazioni c’è stata pochissima diffusione delle stesse e non si è provveduto alla creazione dell’Istituto Nazionale Indipendente per i Diritti Umani, che quasi tutti i 47 paesi del Consiglio d’Europa hanno, esclusi tre, tra cui appunto l’Italia”. Il comitato chiede inoltre al governo “di preparare un rapporto a medio termine, di renderlo pubblico, inviandolo all’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e di promuovere la diffusione in Italia dei contenuti delle raccomandazioni e del meccanismo di Revisione Periodica Universale”. Celina Frondizi, rappresentante della Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha sottolineato che “l’Italia non ha ancora ratificato la convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti”. Ha ricordato che ci sono quattro anni di tempo per dare attuazione alle raccomandazioni ricevute e ha quindi precisato che con il cosiddetto “Pacchetto sicurezza” del 2009, l’ingresso clandestino è considerato reato e ciò rende più difficile e complesso il processo di accoglienza e integrazione a volte necessario, in presenza di rifugiati, o perseguitati politici o richiedenti asilo. Sempre la giurista Celina Frondizi ha ricordato altri campi nei quali il nostro paese evidenzia lacune nella tutela dei diritti umani: ha citato la tutela delle minoranze quali rom, sinti, camminanti come pure la carenza di una legislazione organica per richiedenti asilo politico e rifugiati. Ha quindi parlato delle contraddizioni della nostra legislazione circa il riconoscimento dei diritti sociali su scala universale, “con numerose discriminazioni ed esclusioni”, ha detto, ma anche “con eventi positivi come il riconoscimento di permessi per protezione umanitaria ai profughi dai paesi del nord Africa”. Sulla stessa lunghezza d’onda, Patrizio Gonella dell’associazione “Antigone”, che si occupa di diritti dei carcerati e di giustizia penale. Oltre ai temi del sovraffollamento delle carceri italiane, ha richiamato il fatto che “le autorità internazionali non hanno il diritto di ispezione nelle nostre prigioni”, limitando così “la credibilità del nostro paese”. Tra gli eventi positivi ha richiamato il parere favorevole espresso ieri dal vice - ministro Roberto Castelli circa l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale, finora ritenuto inutile in quanto già escluso da altri articoli di legge. Tra i “diritti negati”, il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), Roberto Natale, ha citato il “divieto di accesso per i giornalisti ai Cie, Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati clandestini, e ai Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo”. Dal canto suo, Federica Giannotta di “Terre des Hommes Italia” ha parlato del rischio di diminuzione delle tutele per i minori, derivanti “dai tagli di risorse per scuola, istruzione, famiglia, servizi sociali, che si ripercuotono necessariamente sulla possibilità di assistere soprattutto i minori in condizione di maggior bisogno”. Quanto alla giustizia minorile, ha sottolineato che “non si è ancora provveduto alla sua riforma organica”, mentre ha riconosciuto che “è stato adottato il piano nazionale per l’infanzia, ma con un problema di finanziamento che rischia di farne lettera morta”. Tra i diritti di cui si occupa il rapporto, ci sono anche quello alla privacy, al matrimonio e alla vita familiare, alla sicurezza sociale e a un adeguato standard di vita, all’educazione e partecipazione alla vita della comunità. Giustizia: Antigone; condizioni delle carceri peggiorano aspettiamo legge su reato tortura Redattore Sociale, 9 giugno 2011 Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione, interviene alla presentazione del primo Rapporto di monitoraggio di Ong e associazioni del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani. “Sovraffollamento delle carceri? Le condizioni peggiorano, con violazioni dei diritti umani gravissime che non dipendono dagli operatori: in cella per 20 ore al giorno, in pochi metri quadrati, e migliaia di detenuti stanno facendo lo sciopero della fame totalmente pacifico e non violento, ma sono stati trasferiti in senso punitivo per aver espresso la loro opinione; purtroppo le carceri vengono visitate solo a Ferragosto dai parlamentari, come fossero una ribalta”. E sulla tortura, l’Italia ha dichiarato che una legislazione non è sufficiente; proprio ieri, mentre si discuteva dell’introduzione del reato, il governo ha dato parere favorevole: ora ci aspettiamo che questo produca un’azione legislativa, visto che c’è un ddl pendente al Senato e che aveva raccolto un centinaio di firme trasversali”. Lo ha riferito Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, durante la conferenza promossa questa mattina presso la Sala azzurra della Federazione nazionale della stampa italiana, sul tema “L’Italia a un anno dalle raccomandazioni del Consiglio Onu per i diritti umani”. L’evento è stato organizzato per illustrare il primo Rapporto di monitoraggio di Ong e associazioni del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani. “Interventi a favore di giornalisti minacciati non ne risultano da parte del governo italiano”, ha detto Roberto Natale, presidente della Fnsi, ricordando che il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha disposto da due mesi con una circolare che i giornalisti “non possano entrare nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e nei Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo): una normativa che riteniamo inaccettabile, e che insinua ogni peggior sospetto, legittimato da questo silenzio”. Il ministro ha affermato che l’interdizione ai giornalisti è stata decisa “per non intralciare il lavoro degli operatori a favore degli immigrati: una colossale bugia”, ha concluso Natale. “Abbiamo legioni di colleghi che stazionano ad Avetrano o dov’è stata uccisa Melania Rea, ed esigui drappelli ai Cie. Come sindacato, con tutto il rispetto di tragedie private grandissime, non è ammissibile che su quelli ci siano approfondimenti continui a reti unificate, mentre sui Cie e sui Cara non si riesce a ottenere - con qualche eccezione - che queste diventino notizie”. Il Comitato, ha rimarcato Barbara Terenzi, della sezione internazionale Fondazione Lelio Basso, “non ha fondi, ma propone di incontrare i giornalisti sensibili a questi temi”; Natale ha accolto questa proposta di organizzare un confronto tra colleghi e membri del Comitato che hanno contatti con i migranti all’interno dei Cie e dei Cara. Angelamaria Loreto, dell’associazione internazionale “Ius primi viri” che si occupa di educazione sui diritti umani, ha evidenziato come la formazione nelle scuole, ma anche per i dipendenti pubblici, le forze dell’ordine, la stampa, “è prevista, ma non ci sono le misure anche finanziarie per attuarle. Ci chiedono di organizzare i corsi, ma poi non ci sono i fondi per farli”. Giustizia: in Opg il 60% dei pazienti sono dimissibili, ma nessuno li accoglie Adnkronos, 9 giugno 2011 Uscire dall’ospedale psichiatrico giudiziario è difficile. Ad oggi il 60% dei pazienti che potrebbe essere dimesso perché non pericoloso socialmente rimane, con una proroga della sua detenzione. Il motivo è la mancanza di strutture disposte ad accoglierli: comunità, dipartimenti di salute mentale, e famiglia. Ci sono pazienti che hanno collezionato 23 proroghe, con oltre 10 anni di permanenza supplementare. E le differenze regionali sono profonde. È la fotografia scattata dall’indagine indicativa della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, presentata al convegno “Se questo è un ospedale” al Senato. La Commissione - che ha denunciato con la sua inchiesta le condizioni dei detenuti, anche attraverso un toccante documentario riproposto oggi all’incontro, e ha ottenuto impegni per il superamento delle strutture - ha monitorato, da marzo a maggio, 389 pazienti dimissibili, circa il 40% dell’attuale numero ospitato in Italia. I risultati mostrano una situazione a macchia di leopardo. “Ci sono Regioni più virtuose e quelle meno - spiega Ignazio Marino, presidente della Commissione - da due punti di vista. A partire da quello dei pazienti, non dismessi perché non accolti sul territorio: la Campania ad esempio ne accoglie molto pochi, al contrario dell’Emilia Romagna. Ma anche dal punto di vista della richiesta dei fondi messi a disposizione per la presa in carico dei pazienti dimissibili: alcune Regioni non l’hanno ancora fatto”. Nella “lista nera” di chi non presentato alcun progetto, quindi non ha ottenuto fondi: Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Molise, Provincia di Bolzano, Sicilia e Valle D’Aosta. I finanziamenti ai progetti presentati sono invece arrivati a: Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Provincia di Trento, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. Nel dettaglio, tra gli Opg dove le cose sono andate peggio c’è quello di Aversa (Campania), dove sui 105 dimissibili solo 21 sono stati dimessi, 23 trasferiti, 2 deceduti (su un totale di 6 morti nella struttura da gennaio). Dal lato opposto l’Opg di Reggio Emilia, dove sui 37 dimissibili sono effettivamente usciti 23 pazienti, 4 sono stati trasferiti e uno è deceduto. Marino ribadisce la necessità di chiudere questi luoghi “che non sono assolutamente adeguati alla cura e al rispetto della dignità umana” e anche perché, spiega, “le persone che commettono un reato e sono giudicate incapaci di intendere e di volere, hanno diritto a essere curate. Non possiamo andare avanti con l’esistenza di strutture che ledono profondamente la dignità della persona, disattendono diversi articoli della nostra Costituzione e, soprattutto, non sono ospedali, non sono luoghi di cura”. Un giudizio condiviso a larga maggioranza. Cosa ostacola quindi il processo di dismissione degli Opg? “Fino a oggi - spiega ancora il presidente della Commissione d’inchiesta sul Ssn - è mancata una vera collaborazione tra tutti gli attori a partire dai ministeri della Giustizia e della Salute. E, soprattutto, un impegno delle Regioni con le loro funzioni sanitarie perché uno dei problemi più importanti da superare resta fatto che le Asl di appartenenza di un paziente spesso non lo accolgono, anche quando non è pericoloso e quando viene richiesta la presa in carico per la cura dall’ospedale psichiatrico e dal magistrato”. Ma il fatto di aver avuto una disavventura o di aver commesso un reato, non vuol dire che si debba perdere il diritto costituzionale alla salute. “Se è vero che le carceri in Italia sono le discariche della società - aggiunge la senatrice Donatella Poretti - gli ospedali psichiatrici giudiziari sono la discarica della discarica”. “Gli internati, tra i 1.200 e i 1.500, sono persone espulse dalla società: dalla famiglia, dal territorio ma quel che è peggio è che sono espulsi dallo Stato che, per certi versi, non agisce per garantire diritti a queste persone. Si può guarire dalla malattia mentale, ma si può fare se c’è l’impegno. Se invece si chiudono queste persone in strutture carcerarie, lì la persona non ha più possibilità di reinserimento e di cura. Chi finisce dentro non è condannato, non ha una pena da scontare, ma viene annientato”. Giustizia: 5 mln di € per migliorare le cure negli Opg, ma poche regioni si sono attivate Redattore Sociale, 9 giugno 2011 A renderlo noto è Ignazio Marino, presidente della Commissione di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn. Poche regioni hanno dunque usufruito dei 5 milioni di euro erogati dal ministero della Salute. “Fatto inaccettabile”. “Dei 5 milioni di euro erogati dal ministero della Salute dopo l’intervento della Commissione d’inchiesta, solo dieci regioni si sono attivate e hanno chiesto il finanziamento per potenziare le loro possibilità di cura, le altre non hanno neanche fatto domanda, questo è davvero inaccettabile”. Così Ignazio Marino presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale a margine del convegno “Se questo è un ospedale” sulle criticità degli Ospedali psichiatrici giudiziari a tre anni dall’entrata in vigore del Dpcm 1 aprile 2008. All’incontro ha partecipato anche il presidente del Senato, Renato Schifani. “Abbiamo ottenuto che fossero erogati subito - ha spiegato Marino - , all’inizio di questo 2011, 5 milioni di euro perché le persone che non sono pericolose socialmente devono avere il diritto riconosciuto alla cura nei loro territori, perché sono ammalati e devono essere curati con il rispetto della dignità della persona”. Non tutte le regioni, però, hanno risposto positivamente. Alla data del 29 marzo 2011 le regioni che hanno presentato un progetto e ottenuto accesso al fondo sono l’Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Provincia autonoma di Trento, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. Le regioni restanti, invece, non hanno presentato alcun progetto fino a fine marzo. Tuttavia, ha precisato Marino, gli obiettivi individuati dalla Commissione sono chiari. “Vogliamo arrivare alla chiusura di questi luoghi che non sono ospedali - ha spiegato - , sono ancora dei manicomi criminali e abbiamo cercato, con una giornata come quella di oggi, di ascoltare le voci di tutti gli attori e di tutti gli operatori perché vogliamo un percorso condiviso per completare questo percorso nei prossimi mesi”. Ad oggi, oltre ai progetti presentati dalle regioni, i risultati raggiunti sui territori non sono del tutto omogenei e nonostante ci siano dei buoni esempi, non mancano le criticità ancora irrisolte. “Purtroppo i risultati raggiunti sono diversi sia dal punto di vista dell’attenzione alla persona che dell’amministrazione economica delle risorse - ha aggiunto. Ci sono ospedali psichiatrici giudiziari che dopo l’intervento della Commissione di inchiesta hanno dimesso e affidato alle cure nei territori in comunità dove vengono assistiti e curati quasi l’80% dei pazienti che non rappresentano pericolo sociale e che quindi possono e hanno diritto di essere curati vicino alle loro abitazioni. Vi sono altri ospedali psichiatrici giudiziari dove la percentuale dei pazienti dimissibili che sono stati veramente dimessi è davvero irrisoria. Penso ad Aversa, dove su 59 che potrebbero essere dimessi ne sono stati rifiutati dalle aziende sanitarie locali ben 50 quindi quasi tutti”. Il lavoro della Commissione, ha concluso Marino, è ormai al traguardo, ma occorre ancora sentire le diverse opinioni sul futuro degli Opg. “Formuleremo le nostre indicazioni all’aula del Senato della Repubblica - ha precisato Marino - e la presenza del Presidente del Senato in questa occasione è legata alla volontà di superare gli ospedali psichiatrici giudiziari. Tuttavia non abbiamo ancora scritto la nostra relazione finale perché pensavamo fosse giusto ascoltare gli operatori e anche dagli interventi di oggi emergono delle differenze: c’è chi ritiene che gli Opg debbano essere chiusi, altri invece che debbano essere mantenuti, ma modificati sostanzialmente. Noi nel nostro lavoro di legislatori dobbiamo tener conto di queste opinioni e assumerci la responsabilità della decisione finale”. Giustizia: Cosentino (Pd); Opg vanno migliorati, ma riforma Basaglia non in discussione Il Velino, 9 giugno 2011 “La riforma della legge Basaglia non è in discussione, né nei suoi principi basilari né nei protocolli terapeutici. È una posizione bipartisan, raggiunta nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale e condivisa trasversalmente da buona parte del Parlamento”. Così il Senatore Lionello Cosentino, capogruppo Pd in Commissione parlamentare d’inchiesta sul Ssn, replica all’intervento del Presidente del Senato Schifani, nel corso del convegno “Se questo è un ospedale”, organizzato dalla stessa Commissione in Senato. “La situazione degli Ospedali psichiatrici giudiziari va portata all’attenzione di tutte le istituzioni che possono risolverne le criticità - ha affermato Cosentino - e l’impianto della riforma Basaglia potrebbe invece essere utile anche nella individuazione di un nuovo modello di gestione degli Opg”. “Noi vogliamo chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari - ha concluso il senatore - il Presidente Schifani, con la modifica della legge Basaglia, finirebbe con l’aprirne qualcuno in più. Non siamo d’accordo”. Giustizia: Sappe; trasferimenti al Dap, calpestate trasparenza e democrazia Ansa, 9 giugno 2011 Polemica sui trasferimenti di funzionari della Polizia penitenziaria: Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), ha contestato con una dura nota alcuni provvedimenti interni. “L’Amministrazione penitenziaria - ha affermato - ci sorprende ogni giorno per l’irrazionalità del suo agire, che calpesta impunemente la trasparenza e le regole. Le cose che succedono hanno dell’incredibile e sono di una sfrontatezza inaccettabile: dopo avere messo in mobilità e stabilizzato, accontentandoli, decine di funzionari di Polizia penitenziaria, che sono quindi stati assegnati in nuove sedi di servizio rispetto ad altri, alcuni di questi sono già stati nuovamente destinatari di nuovi provvedimenti di servizio di missione, non si come e non si sa perché, questa volta nella più comoda sede del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Roma”. “Praticamente - accusa Capece - occupano una sede a loro gradita, impedendo di fatto che in essa possa svolgerci le funzioni qualche Commissario di Polizia davvero motivato a stare in quella sede, ma sono pagati per stare in missione alla sede centrale del Dipartimento. Questa è una vergogna! Certi provvedimenti non possono e non devono passare nel silenzio perch? dimostrano la schizofrenia di una Amministrazione che calpesta sfrontatamente regole, trasparenza e democrazia! Mi appello al Ministro della Giustizia Alfano perché ripristini regole e diritti al Dap”. “Abbiamo contezza - ha dichiarato ancora Donato Capece - dell’emanazione di due recenti provvedimenti che dispongono l’invio in missione al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma per altrettanti Funzionari dei Baschi Azzurri che sono stati appena assegnati, a domanda, nelle attuali sedi di servizio. Questi provvedimenti sono dunque uno schiaffo alla trasparenza. Perché sono stati emanati? Chi lo ha deciso? E perché proprio quei Funzionari, peraltro appena trasferiti in sedi di loro gradimento, e non altri? Chiediamo al ministro Guardasigilli Alfano di fare trasparenza su questi provvedimenti emanati dal Dap”. Capece ha ricordato infine che “il 14 giugno il Sappe manifesterà davanti alla sede dell’Amministrazione Penitenziaria a Roma contro quella vecchia nomenclatura e quella dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria - di brezneviana memoria - che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria. Parliamo dei burocrati che si preoccupano solo della propria poltrona, sempre gli stessi, che hanno boicottato e boicottano subdolamente e costantemente una non più rinviabile, adeguata e funzionale organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria e l’istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, indispensabile e necessaria - ha concluso - per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Vitali (Pdl) risponde alla polemica del Sappe “Leggo di una vibrante protesta del sindacato Sappe che, attraverso il suo segretario Donato Capece, ha denunciato la presunta mancanza di trasparenza nei trasferimenti di funzionari della polizia penitenziaria. Non posso dire se la protesta sia fondata non avendo abbastanza elementi per farlo, ma conosco la serietà di chi l’ha sollevata ed il grande spirito di collaborazione di quella sigla, come di altre, verso l’amministrazione penitenziaria nell’intesse dello Stato”. Lo ha dichiarato Luigi Vitali, responsabile dell’ordinamento penitenziario del Pdl, a proposito delle polemiche sollevate dal Sappe. “Auspico che il ministro Alfano voglia verificare la questione - ha aggiunto Vitali - , per evitare che, in una fase così delicata per le nostre carceri che vede impegnata la Polizia penitenziaria con grande spirito di sacrificio, queste polemiche possano influire negativamente sul personale interessato”. Lettere: chi tutela le mamme in galera? di Giulia Bongiorno Oggi, 9 giugno 2011 Quando una madre entra in carcere per scontare una pena, cosa succede ai suoi figli? Il nostro ordinamento prevede delle misure a tutela di queste detenute e dei loro bambini? Violetta, Foligno Cara Violetta, riguardo alle relazioni familiari, l’ordinamento ha accolto il principio secondo cui il trattamento penitenziario “deve agevolare gli opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia”. Il legislatore italiano ha previsto numerosi strumenti per tutelare il rapporto genitore - figlio quando ad andare in carcere sia la madre (o, in caso di assenza della figura materna, il padre); ha disposto, per esempio, che - ove sussistano alcuni requisiti predeterminati dalla legge - le madri di bambini di età inferiore a dieci anni possano scontare la pena dentro casa anziché in carcere; e che, salvo in casi eccezionali, sia esclusa la custodia preventiva in carcere per le donne incinte o per le madri di bambini di età inferiore a tre anni. Il nostro ordinamento ha previsto inoltre che per la cura e l’assistenza dei bambini siano organizzati appositi asili nido nelle carceri o nelle sezioni femminili, in modo da consentire alle madri detenute - che non possono godere dei benefici descritti sopra - di tenere con sé i figli minori; alcune strutture carcerarie hanno stabilito convenzioni con i nidi più vicini. Purtroppo, però, alcuni di questi benefici sono rimasti, di fatto, privi di applicazione: in parte, perché alcune detenute non ne hanno potuto fruire per carenza dei requisiti di legge (per esempio, una dimora fissa); in parte, perché semplici ragioni organizzative hanno costituito un ostacolo talvolta insormontabile per la realizzazione di taluni progetti. Si è verificato, così, che alcune donne - senza fissa dimora, per esempio - siano state costrette a tenere i figli appena nati all’interno delle strutture carcerarie, creando con loro un legame molto stretto e poi, al compimento del terzo anno di età del minore con l’allontanamento del bimbo dal carcere, abbiano dovuto recidere quel legame creando ai propri figli un trauma spesso insanabile. Ecco qualche dato (aggiornato al 31 dicembre 2010) fornito dall’Amministrazione penitenziaria: le detenute madri con figli minori di tre anni risultavano essere 42; i bambini di età inferiore a tre anni viventi assieme alle madri nelle carceri, 43; le donne incinte, quattro. Gli asili nido funzionanti nelle carceri, 16; non funzionanti, uno. In questo contesto si è inserita la recente approvazione della legge n. 62 del 2011 volta a migliorare la condizione delle madri con figli minori che entrino in carcere in custodia cautelare preventiva o per scontare una pena definitiva. Ecco i punti salienti del provvedimento. Primo, sale da tre a sei anni il limite di età del figlio minore che esclude la custodia in carcere per la madre del bambino (o per il padre, in caso di assenza della figura materna), salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: in tal modo il bambino non sarà più costretto a separarsi troppo presto dalla madre, fatto che ne aumenterebbe ingiustamente la sofferenza rischiando di comprometterne lo sviluppo. Secondo, le detenute madri, in determinati casi, potranno scontare la pena presso istituti a custodia attenuata o “case famiglia protette”. Terzo, in casi gravi (imminente pericolo di vita, gravi condizioni di salute o ricovero ospedaliero del minore), potranno essere autorizzate a recarsi all’esterno del carcere per assistere i figli di età non superiore a dieci anni durante visite specialistiche o ricoveri ospedalieri. Il vero cambiamento, però, è a mio parere subordinato alla creazione di apposite strutture che permettano di attuare appieno quanto stabilito nelle nostre leggi: il fine, non bisogna dimenticarlo, è evitare che i bambini scontino la pena dei genitori. Giulia Bongiorno Penalista, presidente della Commissione Giustizia alla Camera Lettere: detenuto a Siracusa, sono ammalato e non ricevo cure adeguate La Sicilia, 9 giugno 2011 “Mi chiamo Luca Chiavetta, sono detenuto all’interno del carcere di Siracusa, e non ho le cure necessarie per la patologia di cui sono affetto”. Inizia così il suo racconto un 38enne recluso a Cavadonna. Una storia non di mala detenzione, ma di denuncia dell’inefficiente sistema di assistenza sanitaria che dovrebbe andare incontro alle esigenze di quanti siano rinchiusi. “Soffro di una grave forma di infezione, chiamata osteomielite cronica da stafilococco auris, come definita e certificata dai medici specialisti dell’ospedale Umberto I”. Si tratta di una patologia che attacca le ossa e causa forti dolori, oltre a importanti tumefazioni. “Non voglio certo approfittare della mia situazione fisica di sofferenza per ottenere un qualsivoglia beneficio o scappatoia giudiziaria - precisa ancora nella sua accorata lettera il detenuto. Il problema è che ogni giorno che passa, io rischio concretamente di perdere l’arto inferiore colpito dalla osteomielite”. Chiavetta spiega la sua preoccupazione: “Ho sollecitato tutte le istituzioni sanitarie preposte ma senza ottenere alcun riscontro. Mi sono rivolto in ultimo (in ordine di tempo), anche all’ufficio di sorveglianza del tribunale, a cui ho inviato una raccomandata. Anche in questo caso nulla è accaduto”. Le terapie di cui necessita il 38enne, dunque, non gli verrebbero erogate, come lui stesso afferma, spiegando anche che all’interno della struttura carceraria cercano in qualche modo di prestargli cure. “Le terapie mediche a cui sono sottoposto all’interno del carcere consistono solo in lavaggi a base di acqua ossigenata: ci sarebbe quasi da sorridere, se in gioco non ci fosse la mia salute, sia fisica che psicologica”. Solo le cure che spettano: è questo il ritornello che si ripete nella missiva, la rivendicazione al diritto alla salute, senza sconti giudiziari. “L’assistenza sanitaria dovrebbe essere prioritaria sempre, e figuriamoci in una struttura penitenziaria, dove la condizione del detenuto è già fortemente provata da una quotidiana sofferenza. Non capisco perché si deve essere lasciati alla berlina. Più ci rifletto e meno me ne capacito”. Luca Chiavetta racconta anche come, in realtà, nessuno gli abbia mai detto chiaramente quale fosse la situazione: “È desolante prendere atto che si è soli, che si sbatte continuamente contro un muro di ipocrisia, fatto di sorrisi e frasi di circostanza, mentre goccia dopo goccia ti asciugano la speranza”. Il 38enne precisa ancora: “La mia storia è simile a quella di tanti altri detenuti, bisognosi di cure. Non si tratta solo dell’applicazione di un diritto inviolabile, quello alla salute, ma anche un sistema che non ci faccia perdere la fiducia nel prossimo, nelle istituzioni, nella giustizia”. D’altro canto, le carceri hanno funzione riabilitativa, non certo punitiva. Lazio: il Garante; in carceri regione 2.300 detenuti in più rispetto alla capienza Il Velino, 9 giugno 2011 Marroni: le misure varate dal governo non stanno funzionando. si preannuncia un’estate calda, sotto tutti i punti di vista. È sempre più emergenza sovraffollamento nelle 14 carcere della Regione Lazio. Secondo le stime del Dap, relative al 29 maggio scorso, i detenuti presenti erano 6598, quasi 2.300 in più rispetto alla capienza regolamentare denunciata. I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che rileva la circostanza che, rispetto all’ultima rilevazione, i detenuti sono aumentati, in 3 settimane, di 50 unità. “Ormai neanche si parla più di emergenza carceri - ha spiegato Marroni - e questo nonostante gli allarmi che arrivano da autorevoli fonti come, da ultimo, il capo del Dap Franco di Ionta. Sembra quasi che basti non parlarne per risolvere; purtroppo, però, non è così”. Rispetto a un anno fa, maggio 2010, (quando i detenuti erano complessivamente 6.229, di cui 5.784 uomini e 445 donne), c’è stato un incremento di 369 unità. Attualmente, infatti, nelle celle della Regione sono reclusi 6.143 uomini e 455 donne. “I dati sono impressionati - ha proseguito Marroni. All’inizio dell’anno i reclusi nel Lazio erano 6.017, ciò vuol dire che il ritmo di crescita è di quasi 120 detenuti al mese, e questo nonostante le misure tampone approvate dal governo l’ultima delle quali, la cosiddetta Legge svuota carceri, si è rivelata un vero e proprio fallimento ci sono casi in cui una cella da cinque detenuti ne contiene ben undici”. Riguardo il sovraffollamento, i problemi ulteriori delle carceri sono legati alla cronica carenza del personale di polizia penitenziaria, ai tagli al budget che hanno messo in difficoltà anche la gestione ordinaria degli istituti e, soprattutto, al sovraffollamento. I casi più problematici di sovraffollamento si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece quasi il doppio), a Viterbo (quasi 300 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), Frosinone (quasi 200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (oltre 400 in più) e Regina Coeli. Infine, a Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece oltre cento in più, con tutti i problemi che ciò comporta soprattutto nella gestione delle recluse madri con i figli fino a tre anni al seguito. Paradossali i casi di Rieti e Velletri: a Rieti, a causa della cronica carenza di personale, sono stati attivati solo una parte dei 306 posti disponibili (circa 120) e che risultano già abbondantemente sovraffollati da 140 detenuti. A Velletri continua ancora ad essere chiuso il nuovo padiglione con oltre 200 nuovi posti, e solo il recente invio di altri agenti di polizia penitenziaria ha contribuito ad alleviare il problema dell’assenza di coloro che devono garantire la sicurezza all’interno degli istituti. “Fra sovraffollamento, carenze di organico e cronica penuria di risorse umane ed economiche - ha concluso Marroni - si preannuncia un’estate calda sotto tutti i punti di vista, visto anche che restano inascoltate le sempre più frequenti manifestazioni di protesta per le difficili condizioni di vita e di lavoro che si tengono negli istituti di tutta Italia”. Sicilia: ogni paziente dell’Opg di Barcellona vede lo psichiatra per 10 minuti a settimana Adnkronos, 9 giugno 2011 La visita dello psichiatra è un evento raro, nonostante si tratti di un ospedale psichiatrico giudiziario. La struttura di Barcellona di Gotto (Messina) che ospita poco meno di 400 pazienti può contare, infatti, solo su 6 psichiatri, che lavorano in un rapporto libero professionale con l’ospedale, e ciascuno di loro opera per 40 ore al mese. Facendo i conti, 36 minuti al mese per ciascun paziente, meno di 10 minuti la settimana per questi casi che, evidentemente, sono assai gravi. E si sfiora l’assurdo sulla presenza degli psicologi: 2 in tutto che possono garantire 5 ore al mese ciascuno. (segue) A denunciare le difficoltà è Nunziante Rosania, direttore dell’Opg siciliano, a margine dell’incontro al Senato “Se questo è un ospedale” organizzato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, impegnata da tempo sul tema. “Sono anni - ricorda Rosania all’Adnkronos Salute - che noi operatori segnaliamo le condizioni disastrose: lavoriamo con un’assoluta carenza di risorse, di personale. In una situazione di sovraffollamento diventata davvero ingestibile: nel giro di 3 anni si è passati da 160 ricoverati a 382, mentre si è ridotto il personale, con 62 persone in meno in 3 anni tra medici e guardie carcerarie, mai state reintegrate”. E per i pazienti la situazione è drammatica. “Gran parte di loro - spiega ancora il direttore dell’istituto - è in condizioni assolutamente deteriorate, persone che non riescono a essere gestite sul territorio e che arrivano da noi come veri e propri relitti umani. Il tentativo di dimetterli è altrettanto difficile, perché sia le strutture territoriali che le famiglie hanno difficoltà ad accoglierli. Il rischio è che rimangano da noi per tempi indeterminati. Questo è un fatto scandaloso”. Gli ospedali psichiatrici giudiziari “sono diventati - denuncia Rosania - sostanzialmente delle pattumiere sociali. E da tempo”. “Da almeno 15 anni - ricorda Rosania - noi diciamo che gli Opg vanno superati. Andavano chiusi 20 anni fa. Abbiamo denunciato in tutti i modi. Ma abbiamo ricevuto sempre un’attenzione molto relativa. Sostanzialmente si è lasciato che questi istituti diventassero carnai immondi”. A Barcellona Del Pozzo - struttura che non è mai passata al Servizio sanitario nazionale come gli altri Opg italiani (poiché la Sicilia è Regione a statuto speciale) ed è quindi in sostanza un carcere - per circa 400 detenuti ci sono 116 poliziotti carcerari (compresi gli amministrativi) e 50 infermieri. Non tutto però è negativo. “Ultimamente abbiamo attivato un progetto che ha permesso di trasferire 15 detenuti in comunità terapeutiche. Mentre stiamo lavorando ad più vasto progetto, denominato “Luce”, per un parco fotovoltaico sui terreni confiscati alla mafia, che permetterà di coinvolgere 60 pazienti. Un progetto pensato a lungo termine, su 20 anni, grazie ad un finanziamento iniziale di 4 milioni di euro e la possibilità di autofinanziamento futuro”, conclude Rosania. Toscana: carceri regionali sempre più sovraffollate, 1.200 detenuti oltre il limite Agi, 9 giugno 2011 Carceri, in quelle toscane ci sono 1.200 detenuti in più rispetto ai limiti massimi. Lo sostiene la Uil Penitenziari Toscana, che riporta i dati rilevati alle 17 di ieri. “Alle 17 di ieri in Toscana erano reclusi - rende noto il segretario regionale Mauro Lai - 4.358 detenuti (4.165 uomini e 193 donne) a fronte di una ricettività massima pari a 3.186 ( 3.031 uomini e 155 donne). Un surplus di circa 1.200 presenze, che non può non aggravare un quadro generale già difficile per la situazione di insalubrità e degrado che connota molte strutture penitenziarie, per di più con un istituto (Arezzo) chiuso per ristrutturazione. Il sovrappopolamento in Toscana - continua - è un po’ a macchia di leopardo perché non tocca tutti gli istituti. I dati, quindi, vanno letti con attenzione ed in profondità”. “È evidente - aggiunge Lai - che a San Gimignano si appalesa la criticità più evidente, ma non possiamo sottacere la gravità delle situazioni di Prato, Livorno e Sollicciano dovute per lo più alle gravi deficienze organiche della polizia penitenziaria e dei quadri amministrativi. A Lucca e Porto Azzurro si aggiungono anche le fatiscenze delle carceri, che la Uil ha già ripetutamente denunciato. Credo che in un discorso di ottimizzazione delle risorse logistiche ed umane una qualche riflessione vada fatta su Gorgona. Ovvero se è il caso di mantenere in vita una struttura che ha un peso economicamente rilevante, ma che ospita solo alcune decine di detenuti e costringe i baschi blu ad una vita da Robinson Crusoé. Analogamente ci si dovrà interrogare sulla utilità di mantenere attiva Massa Marittima. Per quanto - chiosa Mauro Lai - non ci sottrarremo ad approfondire le varie questioni, ultima delle quali il riposizionamento del personale di Arezzo dopo che ieri è stato formalizzato il decreto di chiusura temporanea per lavori di adeguamento strutturale. Così come cercheremo di comprendere con quali unità e attraverso quali tempi si vorrà rendere attivo il nuovo padiglione, oramai quasi ultimato, alle Sughere di Livorno”. Scendendo nei dettagli, l’indice di sovraffollamento di Sollicciano è del 95,4% (971 reclusi mentre al massimo ce ne potrebbero stare 497), di San Gimignano del 74,9%, di Pisa del 69,8% e di Siena del 62%. Intanto, domani pomeriggio il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ha convocato a Firenze i componenti della Segreteria Nazionale e dopodomani l’intera struttura nazionale presenzierà ai lavori del Direttivo Regionale Uil Penitenziari della Toscana, convocato all’interno dell’istituto penitenziario di Sollicciano. “Che la Segreteria Nazionale abbia deciso di riunirsi a Firenze e partecipare al nostro Direttivo Regionale è l’ennesimo segnale di attenzione verso le criticità del sistema penitenziario toscano, ma soprattutto un concreto segnale di vicinanza a tutto il personale penitenziario. Domani sera - informa Lai - il Segretario Generale ed i Segretari Nazionali incontreranno la Segreteria Regionale della Toscana per approfondire la situazione di emergenza che si appalesa nei nostri istituti penitenziari. Purtroppo alle già notevoli difficoltà operative si coniuga un quadro di relazioni sindacali alterate che non aiuta a definire un percorso di risposte e soluzioni. Dopodomani, invece, nella sala riunioni del carcere di Sollicciano abbiamo convocato il nostro Direttivo Regionale (circa quaranta componenti) ed una assemblea con il personale. Avvertiamo l’esigenza di confrontarci con i lavoratori, oberati da turni insostenibili, che manifestano evidenti segni di stanchezza, sfiducia, rabbia e frustrazione. D’altro canto - aggiunge il segretario regionale - quando si è costretti a lavorare senza percepire le relative competenze economiche i problemi, inevitabilmente, pesano ancor più. Da dieci mesi, infatti, al personale di polizia penitenziaria della Toscana non vengono corrisposte le somme dovute per lo straordinario prestato e le indennità per i servizi di missione”. Sardegna: solo 106 detenuti hanno lasciato istituti sardi con la legge “svuota carceri” Apcom, 9 giugno 2011 “La legge svuota-carceri ha permesso a 106 detenuti (25 stranieri) di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari. Per la Sardegna, che conta circa 2000 persone private della libertà, si tratta di un numero insignificante, peraltro atteso. La legge infatti, come previsto, non ha sortito effetti consistenti anche perché mancano strutture idonee ad accogliere persone che devono essere in molti casi curate e reintegrate in società”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che “il numero irrisorio dei detenuti reso noto dal Ministero è dovuto al fatto che la norma è condizionata fortemente dalla disponibilità di una casa e dal sostegno dei familiari per avere garantiti cibo e cure”. “La Sardegna - sottolinea Caligaris - vive un momento di grave difficoltà economica e sociale e le carceri riflettono la condizione di diffuso e pesante malessere. Non si può ignorare che una parte considerevole delle persone che vivono la detenzione non dispongono né di casa né di famiglia. Lo Stato, con il sostegno degli Enti Locali, deve provvedere a creare le condizioni affinché chi esce dai Penitenziari con una specifica norma non subisca ingiustizie, rimanendo o ritornando negli Istituti detentivi per assenza di opportunità. In questo modo infatti si rischia anche di favorire la recidiva”. “Una differente gestione del percorso riabilitativo in carcere e del fine - pena - evidenzia la presidente di SDR - consentirebbe di creare posti di lavoro a personale qualificato, come psicologi, educatori e agenti di Polizia Penitenziaria, attivando un circuito virtuoso per chi, avendo scontata la pena, deve essere reinserito in società. Quando invece è preponderante una concezione punitiva del carcere, anche le misure individuate per “alleggerire” le strutture, risultano inadeguate allo scopo”. “Non è neppure pensabile che il sovraffollamento possa essere contenuto con la realizzazione di nuove carceri. Ampliare gli spazi - ha concluso Caligaris - non porterà a ridurlo, anzi forse accadrà il contrario. Senza un provvedimento straordinario del Parlamento per superare l’emergenza e ciò soprattutto in assenza di una seria politica di prevenzione della criminalità che contenga misure di sostegno alle famiglie e l’inserimento lavorativo la situazione carceraria è destinata a non avere sbocchi positivi”. Bari: 530 detenuti stipati in 190 posti, il carcere costretto a chiudere le porte a nuovi arrivi di Andrea Gabellone www.iltaccoditalia.info, 9 giugno 2011 Domenica scorsa, il carcere di Bari, ormai il più affollato d’Italia, ha chiuso le porte perché non ci sono più posti disponibili. Il fatto che le carceri sovraffollate, nel nostro Paese, non facciano più notizia è sintomo di una situazione ormai fuori controllo, in metastasi, ma che da bravi italiani abbiamo imparato a tollerare insieme a tanto altro. Poi, però, una volta servita la tragedia sulle prime pagine dei giornali, i mea culpa sono solo un’eco lontana tra i moniti, le accuse e le lacrime di circostanza. Le condizioni del carcere di Bari hanno raggiunto, negli ultimi giorni, livelli intollerabili per qualsiasi Paese che abbia la pretesa di definirsi “civile”. La disponibilità di 190 posti a fronte dei circa 530 detenuti presenti, è pari a un indice di quasi il 300% di sovraffollamento e rende la casa circondariale del capoluogo pugliese, in relazione ai suoi numeri, la più affollata d’Italia. Questi dati, nel dettaglio, si traducono così: in camere dove potrebbero essere ospitati 6 o 7 detenuti ne sono stati stipati fino a 20 e, nelle sezioni ordinarie, camere da 4 posti vengono riempite con 10 persone ed i letti a castello raggiungono il muro a quasi 5 metri da terra. Il Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ha già denunciato alle autorità competenti, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la gravità di una situazione che, col passare del tempo, può rivelarsi sempre più incontrollabile. Nelle sezioni detentive è ormai scattata la protesta da parte di molti reclusi: si rifiuta il cibo o si sbattono le pentole contro le inferriate. Il sopraggiungere della stagione estiva, con l’aumento delle temperature, non può che aggravare lo stato delle cose. Le condizioni igienico - sanitarie, indegne per qualsiasi essere umano, sono una possibile fonte di epidemie e la giustificabile tensione che si sta generando tra i detenuti potrebbe provocare problemi ulteriori. È triste constatarlo, ma Bari, purtroppo, rappresenta solo la punta dell’iceberg: la Puglia intera si trova da ormai troppo tempo a cercare di arginare il problema del sovraffollamento delle carceri. Foggia ospita 700 detenuti in un carcere da 370 posti, Taranto 640 avendo disponibilità per 315 e Lecce che conta 1.400 persone in uno spazio concepito per 660. La legge, superfluo specificarlo, prevede tutt’altro. Risulta singolare la volontà, da parte dello Stato, di punire un individuo senza rispettare, a sua volta, i diritti, la giurisprudenza, la Costituzione. La vera Giustizia non segue la via della tortura, ma quella del rispetto e dell’esempio; la vera Giustizia, oggi, paradossalmente, rimane fuori dalle nostre carceri. Bologna: Uil; inizia la protesta alla Dozza, preoccupazione per quanto sta accadendo Dire, 9 giugno 2011 È iniziata oggi la protesta pacifica dei detenuti della Dozza per denunciare le difficili condizioni di vita all’interno della struttura e il sovraffollamento. Da questa mattina i detenuti hanno dato vita alla battitura delle stoviglie contro le sbarre che si ripeterà ogni giorno al momento della distribuzione del vitto, a partire dalle 12 per 15 minuti ininterrottamente. Lo stato di agitazione è stato proclamato anche come forma di adesione all’iniziativa di Marco Pannella per sensibilizzare l’opinione pubblica sul drammatico stato delle carceri nazionali e sull’opportunità di un provvedimento di amnistia. “Ancora una volta è la Polizia penitenziaria a mantenere la situazione sotto controllo” dichiara Domenica Maldarizzi, coordinatore provinciale della Uil Pa Penitenziaria, che non nasconde la propria preoccupazione per quanto sta accadendo. “Governo e ministro della Giustizia recuperino la dovuta attenzione verso il mondo penitenziario - afferma Maldarizzi - non basta decretare lo stato di emergenza del sistema, se a esso consegue il taglio delle risorse economiche, non si può annunciare la costruzione di cinque nuovi padiglioni in Emilia - Romagna, quando gli attuali stanno crollando per mancanza di fondi per la manutenzione, senza l’assunzione di nuovo personale”. Il fiorire di “tensioni interne al carcere è un problema aggiuntivo, non secondario - spiega Maldarizzi - che gli agenti, già oberati dalle emergenze quotidiane e dalla gravissima carenza di personale, devono affrontare in solitudine e con scarsi mezzi”. Oltre al sovraffollamento, infatti, alla Dozza, così come nelle altre carceri della regione l’organico degli agenti non è a regime. “In Emilia - Romagna mancano 700 agenti - afferma il sindacalista - ed è ingiusto e immorale che al personale si chiedano sforzi e sacrifici per evitare il crollo, ma poi gli si neghino, riposi, congedi e spettanze economiche dovute per questo surplus di lavoro”. Secondo Maldarizzi, il rischio concreto è “che chi ha interesse a turbare l’ordine e la disciplina interna alle carceri possa strumentalizzare le fasce più deboli della popolazione detenuta, ovvero gli extracomunitari, alimentando la spirale di violenza”. Tra l’altro, sottolinea il sindacalista, “in un quadro di generalizzata difficoltà operativa, i reparti di polizia penitenziaria potrebbero ben poco: per questo auspichiamo che la ragione prevalga sull’insofferenza”. Maldarizzi afferma, inoltre, che “seppur in un certificato scenario di inefficienza, degrado e inciviltà, mai nessuna violenza potrà essere giustificata e tollerata, la nostra speranza - conclude - è che, dall’interno e dall’esterno, non si sobillino gli animi e non si fomentino le ribellioni”. Bologna: carcere invivibile; il Pd ricorre alla Commissione per diritti umani Dire, 9 giugno 2011 “Ci rivolgeremo alla Commissione parlamentare straordinaria per i diritti umani affinché inserisca il carcere della Dozza nel proprio programma di indagine”. Questa la dichiarazione delle due parlamentari Pd, Donata Lenzi e Rita Ghedini, che aderiscono con una nota ufficiale alla protesta dei detenuti in corso in questi giorni nel carcere di Bologna. “Dopo aver presentato tre interrogazioni alla Camera e tre al Senato senza aver mai avuto alcuna risposta - dichiarano - dopo aver depositato una mozione sulla condizione delle carceri, anche questa senza esito, non resta altra strada” per tentare di migliorare una situazione definita “vergognosa, indegna di un Paese democratico, affrontata solo con annunci roboanti di grandi opere e con brucianti tagli alle risorse”. Le due parlamentari esprimono solidarietà per i 1.200 detenuti nel carcere: “Sono il triplo della capienza della Dozza - denunciano - e le condizioni di vita sono insopportabili: due rotoli di carta igienica al mese per ciascuno, niente risorse per il lavoro; le persone sono costrette in cella ad annichilire per 22 ore su 24 e non c’è nessun veicolo per garantire i trasferimenti, perché o sono rotti o senza carburante. Queste condizioni non hanno nulla a che vedere con la funzione costituzionale della pena e rappresentano gravi violazioni dei diritti umani”. Dalle parlamentari solidarietà anche agli operatori e ai dirigenti “che ogni giorno condividono con frustrazione questa situazione allucinante. Faremo il possibile perché la loro voce sia ascoltata”. Zampa (Pd): protesta civile può degenerare “Questa che oggi appare come una giusta e civile protesta dei detenuti, potrebbe presto trasformarsi in una reazione violenta e incontrollabile se non si porrà un rimedio vero e concreto al più presto”. È quanto afferma, in una nota, la deputata del Pd, Sandra Zampa, intervenendo sulla “insostenibile” situazione del penitenziario di Bologna. “Esprimo la mia solidarietà agli agenti di Polizia carceraria esposti, ogni giorno, ad un sovraccarico di lavoro, con organici sotto dimensionati, con scarsità di mezzi e di risorse”, aggiunge la democratica. “Prima che succeda l’ennesima tragedia, prima che si inneschi una pericolosa spirale di violenza, il Governo intervenga con azioni concrete che possano davvero migliorare le condizioni di vita dei detenuti e dei lavoratori delle carceri”, esorta dunque Zampa. Perché, conclude la parlamentare, “ha ragione Maldarizzi (sindacalista della Uil - ndr), il fenomeno è preoccupante e non va trascurato. Mi chiedo perché il senatore Berselli (presidente della commissione Giustizia - ndr) non chieda al suo governo di intervenire con celerità a Bologna, così come in tutta l’Emilia - Romagna. Oppure Bologna la si ama solo vicino alle elezioni e poi la si dimentica?”. Circolo Chico Mendes aderisce a digiuno di Pannella Il circolo Chico Mendes di Bologna si associa alla protesta dei detenuti e al digiuno praticato da Marco Pannella per denunciare le condizioni di vita in carcere. Totire (portavoce): “Serve riforma radicale”. Anche il circolo Chico Mendes si associa alla protesta dei detenuti della Dozza che, da oggi, rifiuteranno il cibo dell’amministrazione penitenziaria e praticheranno la “battitura” delle stoviglie contro le sbarre tutti i giorni alle 12 per 15 minuti ininterrottamente. La protesta pacifica è una forma di adesione all’iniziativa di Marco Pannella per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione delle carceri italiane. Da domani, i soci del circolo rispetteranno il digiuno a turno. Il primo a dare il via alla protesta sarà il portavoce Vito Totire, medico e psichiatra. “Non possiamo rimanere insensibili alla campagna lanciata da Marco Pannella - dice Totire. La sua proposta di amnistia merita di essere discussa, ma la campagna è giusta e coraggiosa: il carcere deve essere investito di un processo di riforma radicale che sconfigga definitivamente trasformismi e cambiamenti solo di facciata”. Vito Totire intreccia alla protesta della Dozza anche la situazione dei Cie. Il medico denuncia, infatti, di aver cercato di entrare nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna per una visita medica con un paziente, senza successo perché gli è stato impedito l’accesso. “Il governo deve spiegare che cosa sono i Cie e qual è la loro posizione nel panorama delle istituzioni - afferma Totire - Deve chiarire se è un carcere oppure no”. Secondo il portavoce del circolo Chico Mendes, per i detenuti dei Cie devono valere le prerogative che esistono per i detenuti in carcere. “Ciò significa che la persona trattenuta al Cie deve avere il diritto di nominare un medico di fiducia - precisa Totire - e la richiesta di autorizzazione deve essere fatta al responsabile della struttura e non a un’autorità esterna difficilmente raggiungibile”. Si intreccia a questa problematica anche la posizione dell’Ausl che, chiarisce Totire, “non ha mai incluso i Cie nei suoi rapporti semestrali sulle carceri: la domanda quindi è - conclude - il Cie è un carcere o un’istituzione totale peggiore del carcere dove le persone hanno ancora meno prerogative e diritti?”. Ferrara: attori per una notte, tanti applausi per i detenuti a teatro La Nuova Ferrara, 9 giugno 2011 C’è un che di profondamente umano che riemerge dagli “inferi”, quando teatro e carcere riescono a darsi la mano. Perché negli stessi luoghi per i quali si parla di sovraffollamento, di esperienze di vita passate e presenti oltre il limite, persino di suicidi, a volte si accende una luce. Quella del palcoscenico, perché no. Come è successo, lunedì sera al Comunale, per i detenuti attori del laboratorio teatrale della casa circondariale di Ferrara, impegnati a mettere in scena una sperimentazione sul testo di Georg Buchner Woyzeck. Un’opera che, non a caso, porta a riflettere sulla condizione di detenuto, sul crimine, sulla giustizia e la pena. Pane quotidiano per la struttura di via Arginone, decisamente meno o in forma ben più sfumata per gli spettatori. Che nulla sanno dei particolari delittuosi a carico degli “attori per una notte”. Il dialogo tra palco e platea non avviene nella lingua del codice penale, abbatte almeno stavolta le barriere avvelenate e propagandistiche della tolleranza zero, se ne infischia delle fedine immacolate. Qui ci sono gesti, parole, suoni liberi. Mentre le imperfezioni lessicali, i silenzi emozionati e i vuoti recitativi, amorevolmente ricuciti direttamente in scena dal regista Horacio Czertok e dalla presenza di un professionista come Andrea Amaducci, sembrano richiamare gli spazi “desertici” d’affetto e senza tempo del carcere. Attraversati da volti e nomi (Amzil, Aziz, Hicham) che molto ci dicono di un universo protagonista, per l’occasione, della pagina spettacoli piuttosto che della cronaca nera. L’Africa è pure quella delle immagini video proiettate: le rivolte di questi mesi, la repressione, le barche dei migranti. C’entra il fatto che, partendo da questa realtà infuocata, il passo drammatico che porta al reato è più breve e incanalato di quel che si pensi. Dal desiderio di libertà al carcere, bruciarsi è un attimo. Ma questa sera è puntellata su un calendario speciale, c’è il teatro, ci sono gli spettatori, anche gli applausi alla fine. L’amnistia vale per un’ora appena, la durata dello spettacolo. Poi gli attori tornano “dentro”, le vetture delle forze dell’ordine appostate all’esterno del teatro non sono lì per esigenze di copione. I motori si accendono e le luci sul palcoscenico si spengono. L’importante è che rimanga ben accesa la fiaccola del Teatro Nucleo e del suo laboratorio all’interno dell’Arginone. Brasile: caso Battisti; respinto anche l’ultimo ricorso dell’Italia, l’ex terrorista torna libero Corriere della Sera, 9 giugno 2011 Cesare Battisti è libero: doppia sconfitta per l’Italia ma imbarazzo anche in Brasile. Il Supremo tribunale federale (Stf) di Brasilia ha prima rigettato senza analizzarlo nel merito il ricorso del governo italiano contro la decisione dell’ex presidente Lula, che ha bloccato l’estradizione dell’ex terrorista. Una decisione che però non pregiudicava definitivamente la possibilità che Battisti fosse estradato. La Corte ha poi dibattuto sul rispetto da parte di Lula del trattato di estradizione in vigore con l’Italia. Da questa decisione sarebbe dipesa la liberazione di Battisti (in carcere da oltre quattro anni) come da richiesta della difesa. L’Stf ha deciso che non ci sono state violazioni: Battisti non è considerato estradabile e poteva a questo punto tornare in libertà. Subito dure le reazioni in Italia, con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha parlato di “vivo rammarico” per la decisione brasiliana. Infatti poco dopo Battisti è uscito dal carcere di Papuda. “Mi ha detto che ha scelto di vivere in Brasile, probabilmente per lavorare come scrittore, qui ha molti amici”, ha detto il suo legale, Luis Roberto Barroso. Battisti ha detto di voler parlare con le figlie e Barroso ha cercato con il suo cellulare di mettersi in contatto con loro, senza riuscirci. “Era felice”, ha precisato l’avvocato. Secondo il quotidiano Folha di San Paolo i giudici che hanno votato contro l’ammissibilità del ricorso italiano sono: Luiz Fux, Carmen Lucia, Ricardo Lewandowski, Joaquim Barbosa, Carlos Ayres Britto e Marco Aurelio Mello. Per costoro, la decisione presa a suo tempo da Lula di mantenere Battisti in Brasile è questione di sovranità nazionale, quindi di competenza del potere esecutivo e non di quello giudiziario. La decisione di liberare Battisti è stata relativamente sorprendente, dopo il rigetto del ricorso. Nell’invitare la Corte ad andare oltre e affrontare la situazione di “una persona che è in carcere da quattro anni”, il giudice Barbosa ha sottolineato che il caso era “chiuso. Non c’è niente in cui lo Stato straniero possa immischiarsi”. “Sono nell’Stf da vent’anni e non mi sono mai trovato davanti a una situazione in cui l’esecutivo” si pronuncia su una questione riguardante la politica estera che viene poi “messa in discussione da un governo straniero”, ha assicurato Mello. L’avvocato che rappresenta l’Italia in Brasile, Antonio Nabor Bulhões, ha preso la parola in apertura del Consiglio del Tribunale federale chiedendo “l’immediata estradizione” di Battisti nel Paese, aggiungendo che la decisione presa dall’ex presidente Lula il 31 dicembre scorso “contraddice” l’opinione stessa della Corte. Contro di lui si sono pronunciati l’avvocato generale del Brasile, Luis Inacio Lucena Adams, e il procuratore generale della Repubblica secondo cui l’Italia “non ha la legittimità per contestare una decisione sovrana”. L’avvocato di Battisti ha da parte sua accusato l’Italia di porre in atto “una vendetta assurda e tardiva” nei confronti di un uomo di quasi 60 anni. Berlusconi: vivo rammarico, ma continueremo la nostra azione “Vivo rammarico”, è stata la reazione di Silvio Berlusconi alla decisione assunta dalla Suprema Corte brasiliana che ha rigettato il ricorso dell’Italia per l’estradizione di Cesare Battisti e ha liberato dal carcere, dove era rinchiuso da quattro anni, l’ex terrorista. L’Italia presenterà ricorso alla Corte di giustizia dell’Aia, ha aggiunto il ministro degli Esteri, Franco Frattini. La decisione - prosegue la nota di Palazzo Chigi - non tiene conto delle legittime aspettative di giustizia del popolo italiano e in particolare dei familiari delle vittime di Battisti. L’Italia, pur rispettando la volontà del Tribunale Supremo Federale, continuerà la sua azione e attiverà le opportune istanze giurisdizionali per assicurare il rispetto degli accordi internazionali che vincolano due Paesi accomunati da legami storici di amicizia e solidarietà. La prima reazione italiana dopo la decisione del Brasile, arrivata nella tarda serata di mercoledì, è stata quella del ministro della Gioventù Giorgia Meloni: “È l’ennesima umiliazione inferta alle famiglie delle vittime”. Per il ministro “le motivazioni addotte dal Brasile sono uno schiaffo alle istituzioni italiane e un atto indegno di una nazione civile e democratica. Il governo - ha aggiunto Meloni - continuerà a fare tutto ciò che è in suo potere, anche in seno all’Ue, per far sì che un volgare assassino possa essere consegnato alle patrie galere, scontando finalmente il suo debito con il popolo italiano”. Frattini - si legge in una nota della Farnesina - ha preso atto con profondo rammarico della decisione del Supremo Tribunale Federale del Brasile, che contraddice una sua stessa precedente pronuncia. “Non posso non rilevare come la decisione offende le vittime dei crimini di Battisti e appare contraria agli obblighi sanciti dagli accordi internazionali”, conclude il ministro degli Esteri. Valter Mazzetti, segretario generale del sindacato Ugl Polizia, dice che la sentenza “è una vergogna e un oltraggio ai nostri colleghi e alle altre persone uccise per mano terrorista”. Giordania: re Abdullah II concede amnistia generale, liberati 4.000 detenuti Aki, 9 giugno 2011 Circa 4.000 detenuti sono stati scarcerati in Giordania su concessione del re Abdullah II. Lo ha riferito il primo ministro giordano, Marouf Bakhit, precisando che l’amnistia coincide con il 12esimo anniversario dell’ascesa al trono del monarca e che 1.500 prigionieri saranno liberati immediatamente. Tra i detenuti che saranno rilasciati, riporta l’agenzia d’informazione Dpa, figurano centinaia di islamisti arrestati durante i tumulti del 2002 nella città di Maan, nel sud della Giordania. Per Bakhit l’amnistia è un provvedimento destinato a migliorare i rapporti tra il governo e la popolazione. Tra i reati esclusi dalla nuova disposizione ci sono lo spionaggio, il narcotraffico, l’omicidio premeditato, lo stupro, il finanziamento del terrorismo e riciclaggio di denaro.