Giustizia: il “Diritto all’oblio”… lo chiede la Carta del detenuto Redattore Sociale, 8 giugno 2011 Redatta dalle redazioni carcerarie, con gli ordini dei giornalisti di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, potrebbe diventare regola deontologica se il Consiglio nazionale l’adotterà. Tra i capisaldi presunzione di non colpevolezza e misure alternative. Il diritto all’oblio è una delle novità contenute nella Carta del detenuto, che le redazioni dei giornali carcerari hanno steso con la collaborazione degli ordini dei giornalisti di Lombardia. Emilia Romagna e Veneto. Il numero di giugno di Carte Bollate pubblica il testo della bozza della nuova Carta. Quattro i capisaldi: presunzione di non colpevolezza, misure alternative e reinserimento sociale, tutela dell’immagine e della dignità di detenuti e agenti di Polizia penitenziaria, diritto all’oblio. Quest’ultimo sarà quello che farà più discutere: i detenuti rivendicano il diritto a non essere ricordati continuamente per il reato per cui sono stati condannati, soprattutto quando sono passati anni dal suo compimento e “il fatto cessa di essere oggetto di cronaca per riacquistare l’originaria natura di fatto privato”. Sono previste però delle eccezioni: nel caso di crimini contro l’umanità o di fatti che hanno cambiato il corso della storia, come lo stragismo, l’attentato al Papa, Tangentopoli. “Qui non si può parlare di diritto all’oblio perché i fatti non diventano mai privati”. La bozza sarà sottoposta ad altre revisioni nei prossimi mesi. Quando sarà definitivo passerà al vaglio dei consigli regionali dell’Ordine dei giornalisti. L’auspicio è che anche il Consiglio nazionale dell’Ordine voglia adottarla, facendole assumere così la veste di vera e propria regola deontologica di tutta la categoria. Presunzione di non colpevolezza. Nella Carta del detenuto si ricorda ai giornalisti che “l’autore di un reato è comunque una persona e gli va riservato un trattamento non lesivo della sua dignità”, con particolare attenzione a chi non ha ancora subito una condanna definitiva “nei confronti dei quali deve sempre essere applicato concretamente il principio costituzionale di non colpevolezza”. Misure alternative e reinserimento sociale. Il giornalista deve “usare termini giuridici pertinenti, non approssimativi o scandalistici: affermare che un detenuto che usufruisce di misure alternative è ‘tornato in libertà’ è una notizia falsa e destituita di fondamento. Le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità, prevista per legge, per l’esecuzione della pena”. Inoltre, solo una minoranza, circa il 20%, di chi usufruisce delle misure alternativo è recidivo. Pertanto “si tratta di misure che aumentano la sicurezza sociale e non di provvedimenti buonisti che la minano”. Tutela dell’immagine e della dignità. Non sempre i detenuti conoscono i meccanismi dell’informazione e spetta pertanto al giornalista assicurarsi che non sia sottoposto inutilmente ad una gogna mediatica. Particolare attenzione bisogna poi dedicare agli agenti di Polizia penitenziaria, che non possono essere chiamati con appellativi quali “secondini”, “guardie carcerarie” o “agenti di custodia”. Altri termini corretti sono invece “poliziotti” o “personale in divisa”. Giustizia: troppi errori giudiziari; chi protegge gli innocenti? di Valentina Marsella Secolo d’Italia, 8 giugno 2011 Anche un solo giorno di carcere può cambiare la vita di un uomo. Ricco o povero, famoso o nell’ombra, di destra o di sinistra. Non c’è colore politico o condizione economica e sociale che tenga, quando si è subito un errore giudiziario o un’ingiusta detenzione. Lo slogan è “tutti vittime di fronte alla legge”: sono oltre duemila le persone che ogni anno vengono risarcite dallo Stato per essere finite dietro le sbarre senza colpa. È di qualche giorno fa la proposta di legge targata Pdl, presentata alla Camera da Giuliano Cazzola, di istituire una Giornata della memoria per le vittime di errori giudiziari. Dal 2012, ogni 18 maggio, giorno emblematico della morte di Enzo Tortora, dovrebbero essere protagoniste quelle persone, note e meno note, le cui storie sono accomunate dallo stesso identico dramma. Perché quella perquisizione in casa alle 7 del mattino, quell’ordinanza di custodia cautelare e quei giorni da detenuto hanno cambiato per sempre la loro vita. Lo sa bene l’avvocato bolognese Gabriele Magno, presidente dal 2000 di “Articolo 643” (www.art643.org), associazione nazionale che raccoglie le vittime, e le loro famiglie, di quegli errori che affollano le aule di giustizia. A portarla avanti, avvocati specializzati nell’assistenza e nella revisione processuale, magistrati, rappresentanti delle istituzioni e di tutti gli schieramenti politici. Dopo la Giornata della memoria per le vittime del terrorismo dedicata alle toghe, il Pdl chiede che sia istituita anche una Giornata della memoria per le vittime degli errori giudiziari. Promotore dell’iniziativa, Giuliano Cazzola. La data scelta è emblematica, il 18 maggio, giorno della morte di Enzo Tortora. Cosa ne pensa? Ovviamente con noi la proposta sfonda una porta aperta. Le statistiche del ministero parlano di una detenzione l’anno, di cui ne vengono risarcite 2000. Ogni giorno di ingiusta detenzione costa allo Stato 235 euro che vengono ridotti della metà in caso di arresti domiciliari, in vista della minore afflittività. Il numero dei risarcimenti si eleva esponenzialmente a 36mila casi l’anno per l’irragionevole durata del processo (legge Pinto). Infine i casi di errore giudiziario, con revisione processuale, sono circa 100 l’anno. Ci sono molte storie limite, ma a nostro avviso è peggiore l’abuso che si fa della custodia cautelare, spesso inflitta per pericolo di fuga o di reiterazione del reato, o di inquinamento delle prove quando non ce ne sarebbe spesso bisogno. E sono molte le Corti d’Appello che condannano il ministero dell’Economia, quindi gli stessi contribuenti, a riparare il danno. Quando e come nasce “Articolo 643”, quali i casi più significativi a cui si è ispirata e qual è l’attività di intervento dell’associazione? L’associazione, che prende il nome dall’articolo 643 del codice di procedura penale sulla riparazione dell’errore giudiziario, nasce undici anni fa. L’occasione è stato uno studio dell’Eurispes, dove venivano fuori cifre spaventose: dal 1948 al 1999 erano state 4 milioni le persone che avevano subito il carcere ingiustamente. E non c’era nessuna associazione che si occupasse del fenomeno. Certamente il caso emblematico che tutti conoscono è quello del giornalista Enzo Tortora, ma i casi sono troppi e tanti. Ma nel tempo, tappa dopo tappa, qualcosa è cambiato, in meglio, per fortuna. Prima del ‘99, data dell’entrata in vigore della legge Carota, il risarcimento massimo era di 100 milioni delle vecchie lire, anche per vent’anni di carcere. E solo una persona ebbe l’indennizzo massimo: Clelio Darida, ex sindaco di Roma, guardasigilli e sottosegretario in varie fasi di governo, rappresentò il caso limite, per 90 giorni di carcere ingiusto. Con la legge Carotti, invece, si è passati dalla cifra massima di 100 milioni a 1 miliardo, quindi 500mila euro attuali, in caso di abuso della custodia cautelare. Altra data importante, per l’errore giudiziario, è stata il 2003, quando si è stabilito che non esiste un limite massimo di indennizzo, perché è entrata in auge la nuova figura giuridica del danno esistenziale. Caso emblematico è quello di Daniele Barillà, protagonista di uno scambio di persona e per questo accusato ingiustamente di essere un narcotrafficante. Dopo che l’Escobar della Brianza, così fu soprannominato dopo l’arresto, era stato condannato a 15 anni, la Corte d’Appello di Genova gli ha riconosciuto, per i sette anni e mezzo di carcere patito da innocente, il maxi - risarcimento di 4 milioni e 600mila euro per il danno esistenziale oltre a quello materiale. Dopo tanti anni di attività c’è un caso che l’ha maggiormente colpita? In realtà sono molti i casi a cui siamo affezionati. Fra i più noti a livello mediatico quello che ha coinvolto Gigi Sabani, che dopo la sua disavventura giudiziaria disse: “Ora rido, ma il dolore per quell’ingiustizia mi è rimasto. La spina riguarda il mio caso giudiziario. Un terribile errore che può capitare a tutti”. Penso al musicista e compositore Lelio Luttazzi, che proprio mentre si trovava all’apice del suo successo, nel giugno del 70, fu arrestato con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti assieme all’attore Walter Chiari. Dopo circa un mese di carcere fu libero di uscire, completamente scagionato. E ancora, tra i casi più noti, quello del portiere di via Poma Pietrino Vana - core: il suo ultimo biglietto, lasciato in macchina, parlava abbastanza chiaro. Ma ci sono anche storie di gente comune, che prendiamo ugualmente a cuore, soprattutto quelle legate a episodi di violenza sessuale su donne e minori, perché in questi casi, oltre all’onta, c’è un discorso dei problemi che sorgono in carcere con gli altri detenuti. La vita di un uomo cambia anche con un solo giorno di carcere: per tutti la storia va sempre allo stesso modo. Alle 7 del mattino ti suonano alla porta di casa, con un mandato di perquisizione, e non puoi fare nulla. Per me fare questo lavoro è ormai una questione etica. Per un avvocato difendere gli innocenti è un enorme privilegio. Pensa che tra le cause dei numerosi suicidi che avvengono dietro le sbarre ci sia proprio l’errore giudiziario? Molte volte è così, non posso escluderlo, n carcere fa la sua parte nelle persone psicologicamente deboli. Gente che non sa darsi una spiegazione per quello che le è accaduto, che pensa continuamente alla famiglia, agli amici. Sono questioni che toccano tutti gli esseri umani, ricchi e poveri, uomini di destra e di sinistra. Perché l’argomento non è strumentalizzabile a livello politico e non può non unire. Come associazione attiva sul tema, avete mai presentato delle proposte per leggi “ad hoc” che migliorino la condizione delle vittime della malagiustizia? Sono due le proposte legislative più rilevanti di cui ci facciamo promotori. La prima questione riguarda l’ingiusta detenzione: la richiesta di indennizzo, differentemente dall’errore giudiziario, subisce un limite di prescrizione di due anni dalla sentenza definitiva. Questo limite ci sembra assurdo, perché si crea una prescrizione brevissima su un errore di questo o quel magistrato. E, se passano i due anni, lo Stato non pagherà più. Vogliamo che i due anni vengano sostituiti con l’inciso “in ogni tempo”, per dare modo a chiunque di rivalersi. Dall’89 al 2011 sono stati una sessantina i casi di magistrati “responsabili” di errore, e una metà sono stati stralciati. Altra proposta, creare una sorta di automatismo che consideri le vittime di ingiusta detenzione privilegiate nel loro reingresso nel mondo del lavoro, perché vengano riabilitate. Ad esempio, penso ai concorsi pubblici, dove la condizione delle vittime della malagiustizia dovrebbe essere equiparata, in un certo senso, a quella dei portatori di handicap. È una questione di riabilitazione, di tornare alla vita prima di quelle terribili notti in cella. Giustizia: Radicali; accolto Odg per introduzione reato tortura nel Codice penale italiano Asca, 8 giugno 2011 “Finalmente il nostro Paese si appresta a sanare una delle tante inadempienze rispetto al diritto internazionale e alla tutela di diritti umani e civili fondamentali. Oggi infatti, nell’ambito della discussione sul ddl di adeguamento delle norme italiane allo Statuto della Corte Penale Internazionale, il Governo ha accolto l’ordine del giorno presentato dai deputati Radicali che lo impegna a predisporre urgentemente un disegno di legge per introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale”. Lo afferma in una nota Rita Bernardini, prima firmataria dell’ordine del giorno, che sottolinea come “quello di oggi sia un passo importantissimo che, oltre a corrispondere a un obbligo giuridico internazionale, costituisce un forte messaggio simbolico in chiave preventiva. Istituire il reato di tortura significa infatti chiarire con nettezza quali siano i limiti dell’esercizio della forza e dei pubblici poteri rispetto a esigenze investigative o di polizia. Un segnale di speranza anche per le migliaia di detenuti nelle carceri italiane che ogni giorno vedono violati i propri diritti di reclusi e umani. Cittadini nelle mani dello Stato costretti a vivere in condizioni drammatiche, vergognose per un Paese che voglia definirsi civile e democratico”. Giustizia: Antigone; ritardi su piano carceri, vigilare su gare edilizia Ansa, 8 giugno 2011 La legge che ha dichiarato lo stato di emergenza equipara le gare per i progetti di edilizia carceraria a quelle per i progetti di protezione civile: “quindi - nota l’associazione Antigone - memori di quello che è già successo, vigiliamo”. “È passato un anno e mezzo e nemmeno un cantiere è stato aperto nonostante siano stati impegnati 500 milioni”, ha detto Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, presentando il rapporto Diritti Globali 2011, al quale anche Antigone partecipa. E la prima struttura che aprirà, ha sottolineato, basterà appena ai 2000 detenuti che nel frattempo sono entrati nei penitenziari. Come sempre con il caldo la situazione precipita, ha aggiunto Gonnella, “i detenuti stanno protestano, seguendo Marco Pannella nel suo sciopero della fame”, ieri a Viterbo 700 persone battevano le pentole sulle sbarre per farsi ascoltare. È di oggi la notizia che alla protesta aderiscono anche i detenuti del carcere bolognese della Dozza. Antigone fa quindi appello affinché “si permetta alla stampa di entrare e raccontare la situazione impressionante in cui vivono migliaia di persone”. Giustizia: legittimo il Tso per Michele Misseri? Un’interrogazione di Rita Bernardini Notizie Radicali, 8 giugno 2011 Dichiarazione di Rita Bernardini (deputata radicale, membro della Commissione giustizia alla Camera), Avv. Alessandro Gerardi e Irene Testa (Ass. Radicale il Detenuto Ignoto) A seguito di una segnalazione pervenuta all’Associazione Radicale il Detenuto Ignoto, si apprende che con il provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio (Tso) disposto dal Sindaco del Comune di Avetrana (Avv. Mario De Marco) in data 30 maggio 2011 nei confronti del signor Michele Misseri - personaggio ben noto alle cronache come indagato a seguito dell’omicidio della giovane sua nipote Sara Scazzi e recentemente rimesso in libertà dal carcere di Taranto per decorrenza dei termini di custodia cautelare - si costituirebbe una procedura gravemente irregolare. Il Tso, infatti, è istituito con legge 180/1978 e regolamentato dalla legge 833/1978, la quale prescrive che tale provvedimento, dispensabile dai sindaci nei confronti dei liberi cittadini residenti nel Comune di competenza, sia basato su valutazioni di gravità clinica e pertanto inteso come esclusivamente finalizzato alla tutela della salute e della sicurezza del paziente. Il sindaco, secondo quanto disposto, può pertanto emanare un’ordinanza di Tso solo in presenza di due certificazioni mediche, di cui una da parte di un medico appartenente a una struttura pubblica, che attestino che la persona si trovi in una situazione di alterazione tale da necessitare di urgenti trattamenti terapeutici ospedalieri ai quali rifiuta di sottoporsi spontaneamente. Questi non paiono essere i termini dell’ordinanza emessa dal Sindaco di Avetrana nei confronti del Misseri, che pone a motivazione del suo atto essenzialmente una proposta da parte del Comandante della locale Stazione dei Carabinieri, e nessuna certificazione medica. In questo modo, il fine di tutela della salute del paziente alla base di un provvedimento come il Tso riuscirebbe completamente stravolto, rendendo il Tso un mero provvedimento di sicurezza. A riguardo è d’uopo anche ricordare che, a quanto se ne sa, il Misseri sarebbe per giunta stato valutato nel pieno possesso delle sue facoltà mentali dai periti incaricati dai Magistrati che si occupano del fascicolo relativo all’omicidio di Sara Scazzi. Non si comprende allora su cosa sarebbe realmente motivata l’ordinanza del Sindaco di Avetrana, né come si possa argomentare che un amministratore di un Comune, su proposta di un Comandante dei Carabinieri, possa derogare alle necessarie prescrizioni terapeutiche imponendo in questo modo un trattamento coatto nei confronti di un libero cittadino al quale non sono imputati altri reati se non quelli per i quali è già indagato, apparendo in realtà l’atto del primo cittadino di Avetrana quale vero e proprio arbitrio al di fuori di ogni norma di legge. A tal riguardo, la deputata radicale Rita Bernardini, membro della Commissione giustizia alla Camera, ha già depositato un’interrogazione parlamentare ai Ministri della Salute, della Giustizia e della Difesa, con la quale si chiede di rendere trasparenza e chiarezza su quanto accaduto e di operare le dovute verifiche. Di seguito il testo dell’interrogazione: Al Ministro della Salute, Al Ministro della Giustizia, Al Ministro della Difesa Per sapere - Premesso che: il Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.), istituito dalla legge n. 180/1978 e attualmente regolamentato dalla legge n. 833/1978 (articoli 33 - 35), è un atto composito, di tipo medico e giuridico, che consente l’effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale che, anche se in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, rifiuti il trattamento; il concetto di T.S.O. è basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza ed è quindi inteso come una procedura esclusivamente finalizzata alla tutela della salute e della sicurezza del paziente; dal punto di vista normativo, il Trattamento Sanitario Obbligatorio viene emanato dal Sindaco del Comune presso il quale si trova il paziente, su proposta motivata del medico. Qualora il trattamento preveda un ricovero ospedaliero, è necessaria inoltre la convalida di un secondo medico, appartenente ad una struttura pubblica; il Sindaco può emanare l’ordinanza di Tso nei confronti di un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che attestino che la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici; che gli interventi proposti vengono rifiutati e che non è possibile adottare tempestive misure extra ospedaliere; le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico (che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi esercente la professione medica) e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica; le certificazioni oltre a contenere l’attestazione delle condizioni che giustificano la proposta di Tso, devono essere motivate nella situazione concreta. In altre parole non dovrebbero essere ammesse certificazioni che si limitano alla mera enunciazione delle tre condizioni sopra indicate, né tanto meno prestampati. Così come non dovrebbero essere prese in considerazione certificazioni che si limitano alla sola indicazione della diagnosi; in data 30 maggio 2011 il Sindaco di Avetrana, avv. Mario De Marco, ha disposto “il trattamento sanitario obbligatorio in considerazione di degenza ospedaliera del Sig. Michele Misseri da effettuarsi presso una struttura ospedaliera idonea mediante trasporto con unità di pubblico soccorso 118”; il provvedimento del Sindaco di Avetrana è stato adottato, contrariamente a quanto stabilito dalla legge n. 833 del 1978, non su proposta motivata di un medico né su domanda del medico curante del Sig. Misseri, ma sulla base di una richiesta formulata in data 30 maggio 2011 dal Comandante della Stazione dei Carabinieri di Avetrana, Maresciallo Fabrizio Viva, e, quindi, sulla scorta di non meglio precisate informazioni assunte dai medesimi carabinieri in base alle quali, a parere del Primo Cittadino di Avetrana, si rendeva necessario effettuare, con estrema urgenza, l’accertamento delle condizioni sanitarie del Sig. Misseri sotto il profilo psicologico; peraltro il Tso disposto nei confronti del Sig. Misseri prevede il ricovero ospedaliero, sebbene non risulti esservi agli atti la convalida del provvedimento da parte di un secondo medico appartenente ad una struttura pubblica così come previsto dalla normativa di settore; l’articolo 33 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i trattamenti sanitari obbligatori devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura; l’articolo 33, comma 3 della legge n. 833 del 1978 aggiunge inoltre che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato: - quale sia stata l’esatta dinamica degli avvenimenti che hanno portato alla degenza ospedaliera coatta del sig. Misseri, e per quali motivi il Maresciallo dei carabinieri di Avetrana abbia proposto il Tso nei confronti del signor Misseri e il Sindaco di Avetrana lo abbia disposto; se non si ritenga opportuno che siano resi pubblici tutti gli atti in base ai quali è stato attuato tale provvedimento (compresi i verbali dei carabinieri); si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo intenda fare chiarezza sulla vicenda, verificare la regolarità della procedura e appurare se vi era la necessità di sottoporre il Sig. Michele Misseri al Tso. Sicilia: Apprendi (Pd); inadempienze istituzioni hanno causato grave situazione detenuti Agi, 8 giugno 2011 L’affermazione del garante dei detenuti in Sicilia non meriterebbe alcuna risposta se non fosse che il senatore Fleres, rappresentante del senatore Dell’Utri in Sicilia, oltre che aver percepito fino ad oggi un’importante indennità per il ruolo che ricopre e ad aver prodotto una enorme quantità di carta, non pare sia riuscito a incidere in alcun modo sulla grave situazione in cui versa la popolazione carceraria nell’isola”. Lo dice il parlamentare regionale del Partito Democratico, Pino Apprendi. “Segnalare le inadempienze di alcuni rappresentanti delle istituzioni, come nel caso specifico, continua Apprendi, rispondendo ad una nota di Fleres - rientra tra i doveri di un parlamentare. La criminalità - conclude - si sostiene anche non facendo fino in fondo il proprio dovere”. Lazio: Moretti (Ugl); situazione insostenibile, serve intervento da parte degli enti territoriali Ansa, 8 giugno 2011 “Le dichiarazioni del vicepresidente della Regione Lazio, Raffaele D’Ambrosio, al termine della visita al carcere Rebibbia di Roma, rappresentano un’ulteriore, autorevole voce a denuncia dello stato di crisi permanente nelle carceri”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, aggiungendo che “è ormai improrogabile un intervento anche da parte degli enti territoriali, che dovrebbero integrare i progetti di reinserimento dei detenuti con iniziative a carattere formativo, e soprattutto migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria, la cui gestione è di recente passata in mano alle Regioni”. “Èinoltre necessario - prosegue il sindacalista - prevedere misure a tutela del personale penitenziario, sottoposto ad enormi stress dovuti alla carenza d’organico e al sovraffollamento nelle carceri. Per quanto riguarda quest’ultimo problema, lo stato di agitazione proclamato oggi dai detenuti della Dozza di Bologna è solo l’ennesimo segnale di una situazione non più sostenibile”. Napoli: detenuto muore per infarto, da inizio dell’anno è il decimo decesso nelle carceri campane Apcom, 8 giugno 2011 Muore un detenuto, per infarto, nel carcere di Poggioreale, a Napoli. E l’associazione Antigone Campania lancia nuovamente l’allarme sulle condizioni dei detenuti, anche in vista dell’arrivo dell’estate. Chiede, poi, di far chiarezza per ricostruire quanto accaduto in merito ai soccorsi. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia, questo è il decimo decesso in Campania nel 2011. In Campania nei 17 istituti penitenziari sono presenti attualmente 7.881 detenuti su una capienza di 5.993 posti. Nel carcere di Poggioreale sono presenti circa 2.700 detenuti a fronte di una capienza di 1.400 posti. “Secondo quanto ci è stato riferito - ha spiegato Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’associazione - l’uomo con gravi problemi di salute, avrebbe cominciato ad avvertire forti dolori al braccio diverse ore prima del tragico evento. Riteniamo importante che si svolgano indagini approfondite per ricostruire la dinamica dell’accaduto e la verifica dell’efficacia dei soccorsi, anche a garanzia degli stessi operatori penitenziari”. “Siamo anche molto preoccupati - ha concluso Dell’Aquila - perché con l’estate le condizioni detentive sono destinate ad aggravarsi. Se è giusto che chi ha commesso un reato sconti la propria pena, è altrettanto giusto che questa non consista in un trattamento inumano o degradante”. Bologna: sovraffollamento e condizioni disumane, protestano i detenuti della Dozza Redattore Sociale, 8 giugno 2011 Rifiuto del vitto e “battitura” ogni giorno a partire dalle 12 per 15 minuti ininterrotti: è la protesta pacifica dei detenuti della Dozza che, dal 9 giugno, saranno in stato di agitazione. I detenuti del carcere della Dozza hanno proclamato lo stato di agitazione. Lo ha reso noto la garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna (difensore civico), Vanna Minardi, alla quale i detenuti hanno inviato una lettera in cui le hanno dato notizia di aver organizzato a partire dal 9 giugno, “una forma di protesta pacifica per porre all’attenzione dell’opinione pubblica lo stato delle condizioni di vita all’interno del carcere della Dozza”. Lo stato di agitazione avrà la forma del rifiuto del vitto fornito dall’amministrazione penitenziaria, effettuando ogni giorno la cosiddetta pratica della “battitura”, a partire dalle ore 12 per 15 minuti ininterrottamente. I detenuti denunciano, in particolare, “il sovraffollamento che caratterizza le condizioni di detenzione all’interno dell’istituto in termini di emergenza umanitaria, in un contesto di consolidati e progressivi tagli delle risorse destinate, a Bologna come su tutto il territorio nazionale, rende anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario, il cui numero non è congruo, ai limiti della sopportabilità”. Alla Dozza sono presenti oltre 1.100 detenuti in una struttura realizzata per 497. La manifestazione dei detenuti della Dozza vuole anche essere una forma di adesione all’iniziativa di Marco Pannella per sensibilizzare l’opinione pubblica sul drammatico stato delle carceri nazionali e sull’opportunità di un provvedimento di amnistia. In un comunicato stampa, la garante ha espresso solidarietà ai detenuti e auspica “interventi urgenti che possano arginare il sovraffollamento delle carceri e consentire un miglioramento delle condizioni di vita all’interno degli istituti di pena, tanto per i detenuti quanto per chi vi opera quotidianamente”. Ugl: insostenibile sovraffollamento “Lo stato di agitazione proclamato oggi dai detenuti della Dozza di Bologna è solo l’ennesimo segnale di una situazione non più sostenibile”. Lo dichiara, in una nota, Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, commentando la protesta contro il sovraffollamento decisa dai detenuti del capoluogo emiliano. “È necessario - prosegue il sindacalista - prevedere misure a tutela del personale penitenziario, sottoposto ad enormi stress dovuti alla carenza d’organico e al sovraffollamento nelle carceri”. Sassari: la “non vita” tra le antiche mura, in attesa del trasferimento nel nuovo carcere La Nuova Sardegna, 8 giugno 2011 Su una cosa concordano tutti: amministratori, politici, sociologi e operatori penitenziari. Quando il portone di San Sebastiano si chiuderà alle spalle dell’ultimo detenuto sarà un bellissimo momento. Mentre si avvicina il trasferimento nella nuova struttura, in costruzione da anni a Bancali, dietro le antiche mura detenuti e personale soffrono i disagi che provoca una struttura ottocentesca fatiscente e completamente inadeguata. “Il carcere di San Sebastiano risulta non redimibile e non riformabile, va chiuso subito” aveva tagliato corto ad agosto Luigi Manconi, presidente dell’associazione “A buon diritto”. Manconi è uno dei firmatari dell’esposto presentato da alcuni parlamentari sardi del Pd (Guido Melis, Giampiero Scanu e Arturo Parisi) e dalla radicale Irene Testa per chiedere la chiusura del carcere sassarese. Problemi di sovraffollamento, di spazi angusti, di assoluta carenza di locali idonei alle attività di rieducazione. “Lo spazio a disposizione di ciascun detenuto - si leggeva nell’esposto - a San Sebastiano è inferiore allo standard fissato dalle norme europee, pari a 7,5 metri quadrati, e in diverse celle sono ammassati fino a sei detenuti in non più di due metri per un metro e mezzo”. Trani (Ba): detenuto salvato dalle fiamme da poliziotto penitenziario, estintori non funzionanti Bari Sera, 8 giugno 2011 Grande operazione di altruismo, coraggio e tempestività dei baschi azzurri della polizia penitenziaria nel carcere di Trani, salvano dalle fiamme e dal fumo nocivo sprigionatosi dall’incendio di un fornellino completo da gas un detenuto e mettono in salvo il reparto detentivo. Nonostante la grave carenza di Polizia Penitenziaria che si registra nei vari turni di servizio del penitenziario di Trani dove è noto la mancanza di un numero di 70 Agenti di Polizia, verso le ore.15,40 circa di oggi in un cubicolo del primo piano destro della sezione ex blu per un inspiegabile difetto si sarebbe incendiata all’improvviso il fornellino e la bombola piena di gas in regolare dotazione ai reclusi, provocando grosse fiammate e fumo. Immediatamente alle grida del recluso sono accorsi un Gruppo di poliziotti Penitenziari, portato in salvo il recluso e recuperata la bombola del gas con il fornello è stato scaraventata fuori dalla cella atteso che, la pericolosa situazione poteva anche degenerare a causa del cattivo mancato funzionamento degli estintori di primo soccorso posti all’interno di un reparto dove alloggiano circa 30 reclusi. Le fiamme sono state domate dai poliziotti con una coperta che ne ha soffocato il pericolo riportando la calma e la sicurezza nell’intero reparto. Grave appare la verificatisi situazione di non funzionamento di materiale di pronto intervento e pronto soccorso, situazione che si pone in contrasto con la 626 e la 81/2008 se ne chiede immediati accertamenti ed eventuali responsabilità ai dovuti controlli di legge. Encomiabile il coraggio dell’aliquota di poliziotti corsi in soccorso dai piani sottostanti a sostegno del collega del reparto per salvare l’incolumità del recluso, una situazione che certamente se non vi fosse stata iniziativa professionale, poteva anche degenerare e concludersi negativamente per cose e persone. Propone che le Autorità valutino provvedimenti di encomio a tutto il personale che avrebbe salvato la vita del detenuto mettendo incondizionatamente in pericolo quella propria. Trani è un Istituto penitenziario con capienza regolamentare di 228 detenuti mentre alla data odierna ne ospiterebbe 307 con l’aggiunta di 44 recluse presso la Crf Trani dove la capienza dovrebbe essere di 41 regolamentare. La Puglia è una regione con il 100% in più rispetto a quella regolamentare di 2.492 avendo alla data odierna una forza di 4.3.75. Sarà inviata specifica nota al Capo Dipartimento Ionta su come opererebbe il Visag in Puglia e sulle pessime condizioni della Sicurezza strumentale come successo oggi per il caso specifico estintori non funzionanti. Bologna: storie di vite in carcere, in un libro i contributi dei detenuti della Dozza Redattore Sociale, 8 giugno 2011 Il libro “Giocare con le parole” di Francesco Piazzi raccoglie i contributi dei 35 detenuti della Dozza di Bologna, che hanno partecipato al seminario di scrittura organizzato da Avoc. “Il libro rispecchia la realtà del carcere in tutta la sua ricchezza. Giochi di parole, esercizi di scrittura creativa e poesie per dare voce ai detenuti del carcere di Bologna. È questo il principio che ha ispirato il libro “Giocare con le parole”, nato dall’esperienza del seminario di scrittura creativa organizzato dall’Avoc, l’associazione volontari carcere di Bologna, e curato da uno dei suoi volontari, Francesco Piazzi. Ai detenuti è stato chiesto di scrivere testi e racconti a partire da uno spunto originale, come la descrizione di un animale o di luoghi e oggetti introvabili. Una serie di regole che ha permesso loro di giocare con le parole, di dare libero sfogo alla fantasia creando associazioni impensabili e originali. “Dover rispettare le regole imposte dagli esercizi - spiega Francesco Piazzi - è stato per loro un modo diverso di vivere la costrizione. Diversamente da quel che si può pensare, in questo caso le regole non hanno inibito la creatività, ma l’hanno stimolata”. Il seminario di scrittura, organizzato dall’Avoc, l’associazione di volontari che ogni anno porta tra le sbarre una serie di iniziative ricreative, è durato 9 mesi e ha coinvolto circa 35 carcerati. “Permettere ai detenuti di scrivere - continua Piazzi - significa venire incontro ai loro bisogni, tra cui anche quello di portare all’esterno la loro esperienza”. Tra i contributi raccolti nel volume poesie, narrazioni, esercizi di scrittura e racconti autobiografici. “Il libro - sottolinea Giuseppe Tibaldi, presidente dell’Avoc di Bologna - rispecchia la realtà del carcere in tutta la ricchezza umana che il disastro di un’esistenza sbagliata e la sofferenza delle detenzione non riescono a spegnere. Nelle pagine emergono sentimenti diversi, che vanno dall’indignazione all’affetto, dall’odio alla speranza e dalla disperazione all’affetto. I volontari che hanno gestito il corso hanno cercato di insegnare loro a liberarsi con le parole e a lasciare una traccia di sé”. Il libro è stato presentato questo pomeriggio nella chiesa del carcere Dozza. Presente anche la direttrice dell’istituto Ione Toccafondi, e Duccio Demetrio, professore di Filosofia della narrazione all’Università Bicocca di Milano, che ha spiegato il valore della scrittura in una realtà complessa come quella del carcere. “Prendere carta e penna significa sia poter evadere creando altre realtà, sia avere la possibilità di raccontarsi e riflettere sul passato e sui propri gesti. A volte l’incontro con la scrittura avviene in momenti impensabili e da lì può nascere una grande passione”. Spoleto (Pg): dopo il suicidio di un detenuto, ieri aggredito un poliziotto penitenziario Ansa, 8 giugno 2011 “L’aggressione di un detenuto ad un collega del Corpo di Polizia penitenziaria, avvenuta ieri nel carcere di Spoleto, è l’ennesimo segnale inquietante della tensione che si registra nelle sovraffollate carceri italiane. Il collega, al quale va la nostra piena ed affettuosa solidarietà, è stato aggredito con violenza all’interno della Sezione detentiva Giudiziaria da un detenuto che ha dato improvvisamente in escandescenza e lo ha colpito. L’aggressione, proditoria e particolarmente violenta, riporta in evidenza le criticità del penitenziario di Orvieto, dove solo cinque giorni fa si è suicidato un ristretto, e mette drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari negli Istituti di pena italiani. Questi nostri Agenti lavorano nelle oltre 200 carceri italiane ed a Spoleto sistematicamente a livelli minimi di sicurezza per le gravissime carenze di Personale di Polizia, oltre 6.000 agenti in meno rispetto agli organici previsti, e devono quindi fare fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti, aggravati da una popolazione detenuta spesso violenta che non viene talvolta neppure disciplinarmente punita. Questo è estremamente grave oltreché inaccettabile. A nostro avviso è ora che a Spoleto, un carcere nel quale è opportuno ricordare che qualche anno fa venne a qualcuno la brillante idea di organizzare un corso di pugilato per detenuti, venga inviata con urgenza una ispezione dipartimentale”. È il duro commento di Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria - , al grave episodio accaduto ieri nel carcere di Spoleto. “Abbiamo denunciato in occasione del suicidio di un detenuto i gravi eventi critici accaduti nel carcere di Spoleto nel 2010” sottolinea il leader dei Baschi Azzurri del SAPPE. “A Spoleto mancano ben 72 agenti di Polizia Penitenziaria (dovrebbero essere 388, ve ne sono in forza 316) mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 680 i presenti a fronte di 450 posti letto regolamentari. E gli eventi critici in carcere sono notevoli. Basti ricordare, tra tutti, le 6 aggressioni a nostri Agenti in un solo anno e mezzo e 2 incendi provocati, quindici giorni fa, da alcuni detenuti, con evidente pregiudizio per la saluta di tutti gli operatori penitenziari e di altri ristretti. A nostro avviso a Spoleto mancano provvedimenti disciplinari tali che fungano da deterrente verso chi commette atti inaccettabili di violenza. E per questo auspichiamo che l’Amministrazione Penitenziaria disponga con urgenza l’invio di una ispezione ministeriale nel carcere di Spoleto e, se è il caso, l’avvicendamento dei vertici dell’Istituto”. Firenze: giovani detenuti a “scuola di gelato”, creato un laboratorio nell’Ipm Meucci In Toscana, 8 giugno 2011 Un laboratorio di gelateria artigianale e un corso formativo per offrire a giovani detenuti un percorso professionalizzante e l’opportunità di inserirsi in futuro nel mondo del lavoro. Sono le iniziative sviluppate nell’Istituto penale minorile G. P. Meucci di Firenze insieme alla cooperativa Il Cenacolo. I corsi, partiti lo scorso novembre e divisi in tre moduli, hanno una durata di tre mesi e prevedono di formare 15 ragazzi grazie alla collaborazione di maestri gelatieri, fornendo loro anche alcune competenze per facilitare un domani il loro ingresso nel mondo del lavoro. I gelati prodotti dai ragazzi dell’istituto Meucci sono stati oggi presentati in Consiglio regionale della Toscana grazie a un’iniziativa del gruppo Fds - Verdi. “L’obiettivo in futuro - ha spiegato Sandra Bulli della cooperativa Il Cenacolo e responsabile del progetto - è quello di dare vita in futuro a un punto vendita vero e proprio in modo da poter commercializzare il gelato dei nostri ragazzi”. Il laboratorio rientra nell’ambito del progetto Mitico (misure trattamentali inserimento e creazione occupazione) a cui è stato affiancato un progetto formativo finanziato dalla Provincia di Firenze denominato Mic (Mitico ice cream). Roma: accordo del Garante con l’anagrafe per snellimento burocratico a favore dei detenuti Redattore Sociale, 8 giugno 2011 Sarà più semplice, per i detenuti di Regina Coeli, ottenere la residenza in carcere e il rilascio della carta di identità e di ogni documento anagrafico. Il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, il presidente del Municipio Roma Centro storico Orlando Corsetti, il direttore del carcere di Regina Coeli Mauro Mariani e il direttore del Municipio Roma Centro Storico Italo Walter Politano hanno firmato un protocollo d’intesa che prevede lo snellimento delle procedure legate all’area anagrafica. Con il protocollo, le parti si impegnano a garantire una residenza anagrafica ai detenuti che ne faranno richiesta, soprattutto nel caso in cui questa sia funzionale all’attivazione di prestazioni di carattere giuridico, socio - sanitario e assistenziale (dal riconoscimento dei figli naturali alle pratiche pensionistiche fino all’ingresso in comunità terapeutiche o in strutture residenziali assistite per anziani). Lo snellimento dell’iter per la fissazione della residenza e per il rilascio e il rinnovo dei documenti di identità passerà attraverso una procedura sperimentale. “I detenuti hanno il diritto di regolarizzare la loro posizione anagrafica come qualsiasi altro cittadino - ha spiegato il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - . Carta d’identità e residenza sono requisiti fondamentali per consentire ai reclusi di godere dei loro diritti civili che non vengono persi durante il periodo di detenzione. La mancanza della residenza e di documenti validi rende spesso impossibile l’esercizio in carcere di diritti fondamentali, come quello di riconoscere i figli nati durante la detenzione o di accedere a programmi di recupero e di reinserimento sociale. Grazie a questo Protocollo contribuiamo a sanare una situazione che penalizzava moltissime persone”. In sostanza, la gestione delle pratiche è affidata congiuntamente al personale di Regina Coeli e a quello del Garante: gli addetti dell’area trattamentale forniranno ai collaboratori del Garante quanto necessario per la procedura (certificato di detenzione, foto, denuncia di smarrimento, vecchia carta d’identità). L’ufficio del Garante consegnerà la documentazione al Municipio. Espletati gli adempimenti, certificati e documenti di identità saranno consegnati ai detenuti direttamente dall’Ufficiale di Anagrafe incaricato, attuando quel decentramento auspicabile in situazioni delicate come quelle delle persone ristrette. Per i casi urgenti di detenuti in attesa di giudizio, sarà attivata la procedura prevista dalla legge mediante la segnalazione d’urgenza all’Ufficio Anagrafe del Municipio. Per i detenuti condannati in via definitiva reclusi da più di 12 mesi o con un residuo pena superiore a due anni, sarà la direzione del carcere a richiedere la fissazione della residenza a Regina Coeli. Sarà onere del carcere comunicare la scarcerazione o il trasferimento del detenuto al Municipio, che provvederà a cancellazione la residenza ottenuta alla Casa circondariale. “Si tratta - ha spiegato Corsetti - di un importante risultato raggiunto dall’Amministrazione municipale nell’ambito dei servizi offerti a tutti i cittadini. Grazie all’unità di intenti con il Garante, abbiamo siglato questo protocollo d’intesa che consentirà ai detenuti di ricevere diverse prestazioni legate ai servizi demografici in tempi brevi e senza lungaggini burocratiche. L’effettività dell’esercizio di molti diritti è subordinata al possesso di alcuni documenti o all’espletamento di talune pratiche burocratiche che il Municipio, attraverso la sottoscrizione di questo atto, si impegna a garantire anche in previsione del pieno reinserimento nella società di chi è stato soggetto a misure dell’autorità giudiziaria”. Immigrazione: nel Cie di Santa Maria Capua Vetere rivolta e fuoco nella notte di Cinzia Gubbini Il Manifesto, 8 giugno 2011 Per poco non ci è scappato il morto, questa notte nel Centro di identificazione e espulsione di Santa Maria Capua Vetere. E vista la storia, poco conosciuta, di questo ennesimi “obbrobrio” legale in cui sono finite intrappolate 96 persone, viene il dubbio che qualcuno non lo stia cercando. I fatti: Stanotte uno dei tunisini detenuti nel Cie, che si trova in provincia di Caserta, viene a sapere della morte del fratello. è disperato, e questa notizia arriva in un contesto già molto degradato, in cui molte delle persone rinchiuse hanno già compiuto degli atti di autolesionismo (un ragazzo qualche tempo fa ha ingoiato della candeggina, altri dei pezzi di vetro) e anche lui, come gesto estremo per dire “tiratemi fuori da qui” decide di mangiarsi dei pezzi di vetro. Il che la dice lunga sul “clima” dentro il Cie. I suoi compagni lo portano verso l’ingresso, per dire che avendo ingoiato del vetro deve subito essere ricoverato. i poliziotti intervengono ma, secondo le testimonianze degli altri reclusi, non lo trattano con molta cortesia: lo prendono epr le braccia e lo trascinano a terra. Questo gesto viene interpretato come segno di mancanza di rispetto, e la miccia - già calda - si accende. Esplode la protesta. La polizia interviene da fuori lanciando dei lacrimogeni. È forse il caso di fare un passo indietro: il Cie di Santa Maria Capua Vetere non è come un “normale” centro per immigrati, in genere noti per apparire come mega - caserme. No, è esattamente il contrario: si tratta di diverse tende circondate da una rete. Ovvero, una gabbia. Dunque i poliziotti lanciano i lacrimogeni - e pare non sia la prima volta. Fatto sta che stanotte qualcosa è andato storto e i lacrimogeni hanno colpito le tende, incendiandole. Le foto rimandano le immagini di un vero e proprio incendio. A pensare che dentro c’erano 97 persone intrappolate vengono i brividi. La polizia dice di aver risposto con i lacrimogeni poiché i tunisini avevano iniziato una sassaiola. Lacrimogeni contro sassi. C’è una bella differenza. I feriti: I feriti sarebbero tra i 10 e i 25. Alcuni di loro sarebbero stati ricoverati in ospedale. Al momento chi si trova sul posto descrive questa situazione. al centro della gabbia ci sono un pò di immigrati che si sono radunati sotto una tenda. La polizia non entra vista la tensione. Però non entrano neanche i dottori. E neanche gli avvocati. Insomma, situazione di stallo. In prefettura è stato convocato un Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza. È ormai evidente che una situazione del genere non può andare avanti, e che occorre trovare una soluzione. Secondo voci non confermate la soluzione potrebbe arrivare dalla magistratura: si starebbe pensando di sequestrare l’area. “continuiamo a ricevere segnalazioni dall’interno del Cie, dove ci sarebbero ragazzi che ingoiano vetro e bevono shampoo”, denuncia il responsabile nazionale immigrazione Filippo Miraglia. Denunciando anche che gli operatori dell’Arci di Caserta non sono stati fatti entrare “adducendo la motivazione dell’esistenza di un orario di visita che non è mai stato reso noto prima”. Gli antefatti: Ma non c’era bisogno di arrivare al “patatrac” di questa notte per capire che il Cie di Santa Maria Capua Vetere non dovrebbe esistere. Intanto, non dovrebbe essere un Cie: si tratta di una tendopoli, pure malmessa e situata in un posto inidoneo (sotto il sole a picco). Il ministero dell’Interno da tendopoli di emergenza l’ha trasformata in un Cie con la bacchetta magica di un’ordinanza (non è mai successo prima). In secondo luogo le persone sono state abbandonate lì dentro senza una chiara prospettiva per il futuro, mentre vengono denunciati fatti scandalosi: come uno degli interpreti della Croce rossa che è finito indagato perché dei ragazzi rinchiusi nel centro hanno denunciato di essere stati derubati di 400 euro con la promessa di essere inseriti i chissà quale “lista” che gli avrebbe permesso di ricevere un permesso di soggiorno. “Ormai il Cie Andolfato è un girone dantesco - denuncia la Rete antirazzista campana che per prima ha diffuso la notizia - perciò negli ultimi giorni ci sono stati prima alcuni gravi atti di disperazione e di autolesionismo con un profugo che è stato ricoverato dopo aver bevuto la candeggina e un altro che si è procurato ampie ferite col vetro dei bagni. Ancora stanotte un altro rifugiato ha ingerito del vetro! Per non parlare delle condizioni di vita umilianti e nocive - continuano - dopo la pioggia di pochi giorni fa i materassi si sono di nuovo e completamente inzuppati d’acqua (ricordiamo che non hanno più le reti e dormono tutti praticamente in terra) tanto che per protesta alcuni migranti hanno urinato sui materassi per rendere evidente l’umiliazione che subivano! Infine l’isolamento: la preclusione a qualunque associazione indipendente di entrare, eccetto agli avvocati, ha dato i suoi frutti! Un interprete della Croce Rossa è stato infatti allontanato e risulta indagato dopo la denuncia di due rifugiati per aver sottratto denaro (400 euro e un oggetto d’oro) in cambio del millantato inserimento in fantomatiche liste per il permesso di soggiorno!!” I tunisini: Nel Cie erano inizialmente rinchiusi quasi 200 tunisini, arrivati dopo la rivolta del loro paese. Persone che hanno approfittato della caduta del regime per esercitare quel diritto di movimento di cui non avevano mai potuto godere. Come è noto, l’Italia ha scelto la strada di dare un “pacchetto” di permessi di soggiorno (circa 20 mila) in cambio di un “patto” con la Tunisia (e come ricatto nei confronti della Francia) sui rimpatri dei tunisini. Rimpatri che avvengono, ma a singhiozzo, come d’altronde aveva detto sin da subito il governo transitorio tunisino. “Come è noto tutti gli immigrati del Nord Africa arrivati dopo il 5 aprile non hanno potuto usufruire della protezione temporanea, come se fosse ammissibile prevedere una scadenza temporale per chi può usufruire di questo diritto. La frustrazione per la mancata concessione della protezione umanitaria con la conseguente discriminazione di chi è arrivato negli ultimi due mesi, assieme alla condizione di detenzione nei Cie, generano questi episodi. Noi lo avevamo previsto - dice ancora Filippo Miraglia dell’Arci. La responsabilità è del Governo che continua a gestire i fenomeni migratori con la propaganda, violando di fatto la direttiva europea sui rimpatri. I numeri dimostrano che i Cie, oltre a essere peggiori delle carceri nel violare la dignità umana, sono inutili: il numero effettivo delle espulsioni è bassissimo in proporzione al numero delle persone effettivamente detenute”. Intanto, girano voci sul fatto che forse già stasera i detenuti saranno spostati in un altro luogo. Se così non sarà, domattina è già prevista una manifestazione. Droghe: il proibizionismo è fallito, la legge Giovanardi va cancellata Fuoriluogo, 8 giugno 2011 Nel corso della conferenza stampa di presentazione del seminario "Droghe e tossicodipendenza. Il proibizionismo alla prova dei fatti" del prossimo 10 e 11 giugno rivelati i dati della war on drugs all'italiana per il 2010: record di segnalazioni (39.053 +7,12%), mentre i sequestri di sostanze diminuiscono (-5,15%). Per Franco Corleone, segretario di Forum Droghe la Legge Giovanardi ha fallito, e deve essere cancellata. Vai al programma del seminario. Nel 2010 sono diminuiti sia i sequestri di sostanze stupefacenti sia le operazioni di polizia (-5,15%), ma sono aumentate del 7,12% le segnalazioni all'autorità giudiziaria per droga, raggiungendo il record di 39.053 persone segnalate. Più del 40% delle denunce (16.030) riguardava la canapa (8.102 per hashish, 6.5556 per marijuana, 1.372 per coltivazione). I dati sono stati presentati oggi alla Camera dal segretario di Forum Droghe, Franco Corleone, a cinque anni dalla legge Giovanardi sulle droghe, ''una legge criminogena che produce sovraffollamento nelle carceri e che dovrebbe essere cancellatà'. Per Corleone siamo ''di fronte al fallimento di questa legge, perchè sono calati i sequestri e sono aumentati i segnalati e i tossicodipendenti in carcerè'. In cinque anni, all'autorità giudiziaria sono state segnalate 178.578 persone per droga: in 61.292 casi la sostanza in questione era la cannabis. Ogni anno circa 40 mila consumatori sono stati segnalati alle prefetture per uso personale: oltre il 70% erano cannabinoidi. Nel 2008 i decessi per droga sono stati 502; nel 2009 sono calati del 6,38%, nel 2010 del 22,73%. ''Nessuno per canapa, ovviamentè', ha sottolineato Corleone. Per quanto riguarda la situazione delle carceri, i tossicodipendenti entrati nel 2010 sono stati 23.944, pari al 28,49% del totale dei detenuti. Il 31 dicembre dietro le sbarre c'erano ancora 16.598 tossicodipendenti (24,42%). L'anno scorso i ristretti per reato di detenzione e spaccio con pena prevista tra i 6 e i 20 anni erano 27.294 (14.640 nel 2006). Solo 2.526 persone sono state affidate in prova, hanno cioè beneficiato di misure alternative al carcere. ''è necessario cambiare subito la legge sulla droga - ha sottolineato Corleone - abolendo la tabella unica di tutte le sostanze, depenalizzando il consumo, la coltivazione domestica e la cessione gratuita e favorendo l'applicazione delle misure alternative e gli affidamenti terapeutici''. Carlo Renoldi, di Magistratura democratica, ha sottolineato che ''4 quinti degli affari giudiziari dei Tribunali della Libertà riguardano riesami e appelli per chi è in custodia cautelare per piccolo spaccio'', occorre ''ridurre la penalità'' su questi reati. Mario Cavallaro (Pd) ha annunciato ''la proposta di un pacchetto di modifiche alla Giovanardi per rendere sempre meno drammatico il percorso in carcere dei tossicodipendenti e per privilegiare la cura alla penà'. ''Chiediamo - ha concluso Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - un'inversione nella politica criminale, nei segnali culturali e nella capacità di intervento''.