La macchina giudiziaria inceppata di Massimo Bordin Il Riformista, 7 giugno 2011 La riforma epocale della giustizia presumibilmente tarderà ancora. Intanto la cronaca giudiziaria offre spunti significativi. La settimana scorsa si è chiusa con la notizia della avvenuta decorrenza dei termini di carcerazione per alcuni favoreggiatori, naturalmente presunti, di Bernardo Provenzano. La macchina giudiziaria, dunque, continua a incepparsi mentre le garanzie che si vorrebbero riguardano proprio la certezza del suo funzionamento. L’unica cosa certa è invece il sovraffollamento inumano delle carceri che inevitabilmente sono popolate dagli unici che non sfuggono alle maglie di un sistema implacabile solo con i poveracci, quelli “brutti, sporchi e cattivi” che a nessun partito conviene elettoralmente difendere. Infatti per loro, anche per loro, Pannella continua uno sciopero della fame che passa nel silenzio - rotto da pochi fra i quali il direttore di questo giornale - e nella stessa assuefazione, denunciata per una questione analogamente grave ieri dal presidente Napolitano con una lettera al Corriere della Sera. La magistratura, specie quella inquirente, lamenta carenza di mezzi e superlavoro. Non ha torto. Ma a volte viene il dubbio che tempo e mezzi potrebbero essere meglio impiegati. Il giornale on - line Sicilia Informazioni ieri informava di nuovi sviluppi dell’inchiesta del procuratore aggiunto palermitano Ingroia sulla morte del bandito Giuliano. Dopo l’esame della salma avvenuta mesi fa, oggi arrivano carte a supporto dell’ipotesi che il bandito non sia stato ucciso ma abbia potuto trovare rifugio negli Usa. Lo scrivono lo storico dilettante Casarrubea e un ricercatore venezuelano. A sostegno della loro tesi, che il procuratore aggiunto intende verificare, un articolo di un giornale di Chicago del 1950 - che parla della possibilità che Giuliano sia riparato negli Usa. Ne parla al condizionale. I soldi, nostri, e il tempo dedicato all’imprescindibile inchiesta si declinano invece all’indicativo. Giustizia: Pannella annuncia sospensione di 48 ore dello sciopero della fame Italpress, 7 giugno 2011 “Lo devo, per riconoscenza, a tutti i carcerati delle immonde carceri italiane e quindi anche ai direttori, alla polizia penitenziaria, agli psicologi e a tutto il personale amministrativo. Tra loro non c’è nessun torturatore, ma sono tutte vittime di questo nucleo consistente di nuova Shoah; tutti detenuti che lottano ogni giorno, anche con lo sciopero della fame, non per protestare ma per continuare a chiedere una grande amnistia necessaria per la riforma della giustizia”. Lo ha detto Marco Pannella, annunciando a Radio Radicale la sospensione di 48 ore del digiuno iniziato il 20 aprile scorso “affinché l’Italia possa in qualche misura tornare a essere considerata una democrazia”. Pannella si è inoltre rivolto “con l’amore di un cittadino” al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “spesso costretto a presiedere nell’ignoranza dei fatti una Repubblica partitocratica che, se non ci fosse il popolo, non sarebbe che assassina e suicida”. E continuano intanto ad aumentare le partecipazioni all’iniziativa nonviolenta del leader Radicale. Sono ormai oltre 10 mila in tutta Italia coloro che hanno aderito al digiuno per l’amnistia, tra detenuti e loro familiari, direttori, agenti, psicologi penitenziari, avvocati dell’Unione Camere Penali, volontari, rappresentanti di associazioni. Tra loro anche personalità come don Andrea Gallo, don Antonio Mazzi, la deputata Radicale Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’associazione Radicale Il detenuto Ignoto. Questa sera Marco Pannella sarà ospite di Radio Carcere, in diretta alle ore 21 su Radio Radicale, per parlare di giustizia, carcere e amnistia. Giustizia: oltre diecimila cittadini in sciopero della fame per chiedere l’amnistia Ansa, 7 giugno 2011 Sono oltre diecimila i cittadini che partecipano al digiuno collettivo in sostegno all’azione di Marco Pannella per l’amnistia e per la giustizia. Tra questi ci sono milletrecento detenuti nel carcere di Poggioreale. Di seguito il comunicato di Radicali Italiani. Marco Pannella digiuna dal 20 aprile, perché l’Italia torni a poter essere in qualche misura considerata una democrazia, ma soprattutto per la situazione disumana delle carceri italiane. E proprio dalle carceri arriva il segnale di reazione più forte a questa nuova lotta nonviolenta: detenuti e familiari, ma anche agenti di custodia e direttori degli istituti di detenzione, a centinaia in tutta la penisola, hanno iniziato a loro volta scioperi della fame perché finalmente si trovi via d’uscita ad una situazione divenuta insostenibile. Non solo messaggi di solidarietà, ma adesioni concrete e condivisione di un metodo. Obiettivo comune e dichiarato è che venga finalmente varato un provvedimento di amnistia, che nel nostro paese manca da oltre 20 anni, unica strada percorribile per un sistema da tempo al collasso, sovraccarico al 150% della propria capacità massima. Giustizia: incontro sulle criticità degli Opg; istituzioni a confronto in Senato Asca, 7 giugno 2011 Gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono strutture di cura o di pena? Come può e deve essere rispettato il diritto alla salute e alla dignità delle persone? Quali sono le criticità che impediscono ai cosiddetti “dimissibili” di riacquistare la libertà? Quali quelle che costringono tanti internati all’abbrutimento, in condizioni di sconvolgente degrado? Tante domande alle quali tenteranno di dare risposta tutte le istituzioni coinvolte, a vario titolo, nella gestione degli Opg. Ad organizzare il convegno “Se questo è un ospedale”, la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, Senato della Repubblica, da tempo impegnata in un’indagine sulla salute mentale. L’incontro, che si svolgerà giovedì 9 giugno a Palazzo Giustiniani (Sala Zuccari), sarà aperto dal presidente del Senato Renato Schifani e dal presidente della Commissione d’inchiesta sul Ssn, Ignazio Marino. All’introduzione del presidente Marino seguirà la proiezione di un documentario di circa 30’ che, nella sua versione integrale, è stato visionato sinora solo dalle Alte Cariche dello Stato. Al workshop verranno proposte alcune prospettive chiave: chi opera all’interno degli Opg (sei in tutta Italia, che invieranno i loro rappresentanti), chi lavora nei Dipartimenti di salute mentale, la visione della Magistratura di sorveglianza, il punto di vista del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e quello dell’Amministrazione sanitaria centrale, il quadro proposto dalle Autorità garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, quello delle comunità psicoterapeutiche e della società civile. Nella seconda parte della giornata, moderata dalla Senatrice Poretti, interverrà anche un ex ospite Opg, raccontando i suoi anni di internamento. Ai lavori prenderanno parte i relatori del filone d’inchiesta sulla salute mentale, i senatori Daniele Bosone (Pd) e Michele Saccomanno (Pdl). Un incredibile viaggio di scoperta compiuto dai Senatori Commissari, con sopralluoghi a sorpresa nelle sei strutture italiane. La scoperta di un mondo di dannati, senza la speranza di una prescrizione, di un indulto, di un processo breve o lungo. Una realtà alla cui rivelazione è seguito un quotidiano e pervicace impegno, da parte della Commissione, affinché ogni ammalato avesse diritto alla cura e ogni persona sana avesse diritto alla libertà. Al workshop verranno proposte alcune prospettive chiave: chi opera all’interno degli OPG (sei in tutta Italia, che invieranno i loro rappresentanti), chi lavora nei Dipartimenti di salute mentale, la visione della Magistratura di sorveglianza, il punto di vista del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e quello dell’Amministrazione sanitaria centrale, il quadro proposto dalle Autorità garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, quello delle comunità psicoterapeutiche e della società civile. Nella seconda parte della giornata, moderata dalla Senatrice Poretti, interverrà anche un ex ospite OPG, raccontando i suoi anni di internamento. Ai lavori prenderanno parte i relatori del filone d’inchiesta sulla salute mentale, i senatori Daniele Bosone (Pd) e Michele Saccomanno (Pdl). Giustizia: Lumia (Pd); le carceri italiane sono in ginocchio, in Sicilia peggio che altrove Italpress, 7 giugno 2011 "Le questioni sollevate dall'onorevole Apprendi sono serie e meritano risposte altrettanto serie e di merito: è sotto gli occhi di tutti che il mondo delle carceri, in Italia e soprattutto in Sicilia, è in ginocchio: i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria, gli educatori, il personale amministrativo e gli stessi dirigenti vivono condizioni precarie". Lo dichiara il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia. "Per questo - prosegue Lumia -, insieme alla necessità di pene più severe, con in testa l'applicazione stringente del 41 bis e la riapertura di Pianosa e l'Asinara, ho sempre reclamato misure che favorissero la funzione rieducativa della detenzione. Rispondere in modo risentito e polemico, come ha fatto il senatore Salvo Fleres, Garante detenuti Sicilia, è del tutto fuori luogo e dimostra - conclude l'esponente del Pd - come un'authority non dovrebbe essere rivestita da chi ricopre incarichi politici". Giustizia: Favi (Pd): dare subito ai direttori il contratto di lavoro Agi, 7 giugno 2011 “La protesta dei direttori penitenziari che dal 2005 sono privi di un contratto di lavoro che dia loro certezza di status, di regole, di diritti e di tutele professionali, rappresenta l’ennesima prova dell’incapacità del Ministro Alfano e dei vertici del Dap di dare risposta alle basilari condizioni di legalità del sistema penitenziario; un settore che rischia da tempo il collasso e che regge per il solo senso di responsabilità di funzionari dello Stato di frontiera”. Lo afferma Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd. “Numerose sono state le richieste di confronto avanzate dai sindacati rappresentativi affinché la situazione fosse sbloccata, ma fino ad oggi l’avvio a soluzione dei numerosi problemi della categoria è caduta nel vuoto. I direttori degli istituti penitenziari, da oltre cinque anni, si ritrovano un trattamento economico provvisorio, ma senza alcun riconoscimento di anzianità e di carriera, mentre il sistema di conferimento degli incarichi continua ad essere opaco e la valorizzazione economica delle funzioni contraddittoria. “Chiediamo al Ministro Alfano - conclude Favi - di intervenire personalmente affinché sia data piena attuazione alla disciplina contrattuale della dirigenza penitenziaria e sia posta la parola fine a questo stato di palese illegalità”. Lettere: un infernale paradiso di Antonio Cappelli www.linkontro.info, 7 giugno 2011 È un nigeriano rinsecchito dagli stenti, con l’aspetto mite e rassegnato degli sconfitti. È partito qualche anno orsono dal suo Paese per raggiungere con mezzi di fortuna il paradiso europeo e al termine di una disperata parabola fatta di miseria e di fame è approdato nell’inferno del carcere. In Italia non ha una casa, né parenti, né amici. Le poche parole italiane che biascica a stento si spezzano nello sforzo di dominare l’affanno che una cardiopatia progressiva gli provoca da tempo. La giustizia italiana è stata compassionevole con lui e ha convertito la detenzione in arresti domiciliari. Lo hanno portato in carcere infatti alcuni reati minori e la sua pericolosità sociale è praticamente nulla, nelle condizioni di inabilità fisica in cui si trova. In altre condizioni il detenuto avrebbe festeggiato ma in questo caso non c’è nulla da rallegrarsi. Per rendere eseguibile una misura di arresti domiciliari è necessario appunto avere un legale domicilio e il nigeriano non ne ha mai avuto alcuno in Italia, vissuto com’è sempre nella strada o in alloggi clandestini. E così è ancora il carcere l’unico luogo che può accoglierlo, nonostante una sentenza che giudica questo luogo incompatibile con le sue condizioni di salute. In una splendida città come Roma non esiste infatti una casa di accoglienza almeno momentanea per ex detenuti privi di ogni appoggio familiare. I moltissimi detenuti extra comunitari che vivono la condizione sopra descritta non hanno quindi scampo. Se ottengono misure alternative devono rimanere in carcere nonostante le sentenze e a fine pena passeranno direttamente dal carcere alla strada per incrementare così la marginale manovalanza della disperazione. È difficile prevedere che l’amministrazione della giustizia possa giungere in tempi brevi a interessarsi dei percorsi da garantire a chi esce dal carcere con il desiderio di non più tornarci. Esiste però anche il mondo del volontariato e allora viene da chiedersi perché, in quella che è insieme la capitale d’Italia e il centro della cristianità, nessuno si sia impegnato per garantire accoglienza a chi avendo scontato i suoi debiti si trovi a ricominciare una vita senza nessun sostegno e senza nemmeno un domicilio sia pure provvisorio. C’è da sperare che si tratti soltanto di una casuale lacuna da vedere presto colmata perché altrimenti si dovrebbe concludere che una grande storia di civiltà come quella di Roma rischia di declinare in una triste cronaca di cinismo e di indifferenza. Padova: giallo su due morti in carcere; dubbi sul fatto che si tratti di suicidi Il Gazzettino, 7 giugno 2011 Da qualsiasi punto di vista lo guardi sembra un suicidio. Un ex tossicodipendente, che sta scontando al Due Palazzi una pena per droga, decide di farla finita una domenica pomeriggio di inizio estate. Usa una bomboletta di gas, da campeggio, che serviva per fare da mangiare in cella. E per intossicarsi completamente si chiude faccia e testa dentro a un sacchetto che non fa uscire il gas. Ecco, questo è il tipico suicidio da carcere, che viene subito dopo il lenzuolo appeso alle grate. Ma questa volta i sospetti sono tanti. Per prima cosa, il suicidio di domenica è identico a quello avvenuto in un’altra cella del carcere lo scorso 24 maggio. E, guarda caso, compagno di cella delle due vittime era lo stesso detenuto. Un recluso che non ha visto niente, non ha sentito niente e non ha dato l’allarme per dire che il compagno di cella stava morendo. E quando gli agenti penitenziari si sono accorti del morto, lui ha gettato dalla finestra bomboletta del gas e borsa di plastica. Il pubblico ministero Paolo Luca e il vicequestore Marco Calì, dirigente della Squadra mobile, non credono per niente che si tratti di due suicidi. Domenica pomeriggio nella cella della morte sono rimasti a lungo gli esperti della Polizia scientifica. E questa mattina il magistrato affiderà l’autopsia al professor Massimo Montisci, dell’Istituto di medicina legale dell’Università. Alessandro Giordano, trentottenne di Salerno, stava scontando al Due Palazzi una condanna per droga. Sarebbe uscito nel 2014. Domenica pomeriggio, intorno alle 16, gli agenti di polizia penitenziaria sono entrati nella sua cella perché lo hanno visto immobile nella branda. E mentre aprivano la porta il suo compagno, P.C. trentatré anni di Gorizia, anche lui in carcere per droga, ha gettato dalla finestra il sacchetto e la bomboletta. Il 24 maggio il goriziano era pure compagno di cella di Walter Bonifacio, quarant’anni, ex tossicodipendente di Tezze, che è morto allo stesso modo di Alessandro Giordano. No, quasi certamente non sono stati due suicidi. Presumibilmente il goriziano ha istigato i due compagni di cella ad infilare la testa nel sacchetto con il gas per provare lo stordimento che dà l’eroina. Insomma, una droga da poveri. Ed è andata male in entrambi i casi. A meno che gli esperti della scientifica e il medico legale scoprano che le vittime non volevano drogarsi con il gas nel sacchetto. “Nella Casa di Reclusione di Padova, pur considerata una delle migliori d’Italia, questo è il quarto decesso avvenuto negli ultimi due mesi e tutte le vittime avevano meno di 40 anni”, si legge in una nota di Ristretti Orizzonti. “Un detenuto si è impiccato, gli altri 3 sono morti per avere inalato del gas ed in questi casi è difficile capire se la loro intenzione era quella di uccidersi, oppure quella di ricercare lo sballo sniffando butano”. Ed ancora: “Tuttavia nella morte di Alessandro c’è un elemento che fa riflettere e bene. Solo dieci giorni fa Giordano aveva visto morire uno dei due compagni di cella, anch’egli ucciso dal gas butano. Impossibile chiamarla coincidenza. L’unico sopravvissuto della famigerata cella del IV Reparto adesso sarà aiutato? Oppure sarà destinato ad allungare l’interminabile lista dei morti di carcere?”. Aversa (Ce): nell’Opg sei internati morti da inizio anno, tre si sono tolti la vita Redattore Sociale, 7 giugno 2011 Quello di ieri è il sesto decesso all’ospedale psichiatrico di Anversa. L’uomo di 39 anni era stato ricoverato per una sospetta setticemia. “Nel corso di quest’anno - denuncia Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Campania - tre internati si sono tolti la vita suicidandosi, uno è morto per soffocamento e due sono morti per malattia”. “A questo punto - prosegue - è evidente che quello di Aversa costituisce un caso di assoluta gravità per il quale chiediamo tanto all’amministrazione penitenziaria quanto al servizio sanitario regionale interventi immediati per garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria” Al momento sono circa 300 gli internati. Per il presidente della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale. Ignazio Marino, è stato “smarrito diritto alla salute”. “In strutture come gli ospedali psichiatrici giudiziari - sottolinea - gli internati non sono pazienti: manca tutto, la cura e l’assistenza sono state spazzate via dalla mancanza di risorse, a cui è seguito un inaccettabile degrado. Questa è la verità che emerge ancora una volta oggi dopo il decesso di un internato ad Aversa”. Marino ha fatto sapere di aver chiesto ai carabinieri del Nas in servizio presso la Commissione d’inchiesta di ottenere al più presto la cartella clinica e tutta la documentazione utile a “identificare il livello di intensità di cure che sono state offerte al paziente internato sin dall’inizio della malattia”. Marino ha ribadito poi la necessità di arrivare al superamento di queste strutture e ha annunciato per questo che la Commissione ha organizzato giovedì 9 giugno il primo convegno nazionale dedicato interamente a questo tema, che coinvolgerà operatori e direttori degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ex internati, i rappresentanti dei Dipartimenti di Salute Mentale, i magistrati di sorveglianza, alcune associazioni e comunità che operano sul territorio, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Spoleto (Pg): aperta un’inchiesta sul suicidio del detenuto ergastolano, oggi l’autopsia La Gazzetta del Sud, 7 giugno 2011 La famiglia vuole vederci chiaro. Sul suicidio di Nazzareno Matina, 53 anni, di Stefanaconi avvenuto nella mattinata di venerdì scorso, in una cella del carcere di Spoleto, la Procura della Repubblica della cittadina umbra ha aperto un’inchiesta. L’uomo si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo alle sbarre della sua cella. Da circa due anni era stato trasferito nel carcere di Spoleto; in precedenza Matina era rinchiuso nella Casa circondariale di San Gimignano (Siena) dove ha trascorso tanti anni della sua detenzione. Nazzareno Matina era stato condannato all’ergastolo nel 1993 dalla Corte d’Assise di Catanzaro (verdetto divenuto successivamente definitivo) perché ritenuto insieme al fratello Pasquale e a Rosario Petrolo di Sant’Onofrio, il mandante della strage dell’Epifania, avvenuta nella piazza di Sant’Onofrio il 6 gennaio del 1991. Sulla base di un esposto della famiglia di Matina, rappresentata dall’avv. Bruno Ganino, i magistrati di Spoleto hanno deciso di aprire un fascicolo; si è cominciato con l’autopsia che è stata effettuata stamane ed alla quale la famiglia della vittima era presente con un consulente di parte, il dott. Alfonso Luciano. L’autopsia è stata effettuata all’ospedale di Terni, dove la salma si trova a disposizione dell’autorità giudiziaria e subito dopo sarà affidata ai familiari per i funerali che saranno officiati a Stefanaconi. Molti i dubbi avanzati dalla famiglia ed esternati ieri dall’avv. Bruno Ganino sui quali l’inchiesta dovrà fare piena luce. Quello che è certo, per il momento, è che Nazzareno Matina aveva ricevuto la visita dei suoi familiari pochi giorni prima del suicidio “e nulla - ha spiegato l’avv. Ganino - lasciava presagire un insano gesto”. Altro aspetto da chiarire è che Matina aveva delle deficienze visive. E ciò, per certi aspetti, contrasta con tutte le fasi della preparazione dell’impiccagione. Secondo quanto emerso, inoltre, l’ergastolano da quando era arrivato a Spoleto, contrariamente a quanto avveniva quando era detenuto nel carcere di San Gimignano, non otteneva più permessi premiali. E questo potrebbe avere contribuito a renderlo ancora più vulnerabile dal punto di vista psicologico, anche perché dopo tanti anni trascorsi in cella con il fratello, nel carcere di Spoleto si è venuto a trovare da solo. Tutte situazioni che ora dovranno essere vagliate dall’autorità giudiziaria. La strage di Sant’Onofrio segnò uno dei momenti più alti dello scontro tra due clan contrapposti: quello dei Bonavota da una parte e dei Matina - Bartolotta di Stefanaconi dall’altra. In quella giornata di sangue nella piazza di Sant’Onofrio morirono due innocenti: Francesco Augurusa di 44 anni e Onofrio Addesi di 38. Due compagni di lavoro che ogni domenica mattina si ritrovavano in piazza Umberto I, un luogo di incontro non solo per loro ma per tutti i santonofresi. Il commando omicida sparò quasi all’impazzata. Sequenze drammatiche, che difficilmente potranno essere dimenticate. Le raffiche dei kalashnikov, purtroppo, fecero anche nove feriti, di cui alcuni anche molto gravi. Gli esecutori di quella violenza inaudita furono subito arrestati e condannati. In carcere finirono Rosario Michienzi e Gerardo D’Urzo (entrambi di Sant’Onofrio) e Antonio Bartolotta e Domenico Franzè di Stefanaconi. Verona: affollamento e poco personale; incontro tra sindaco, Ulss e Polizia penitenziaria L’Arena, 7 giugno 2011 Sovraffollamento nelle celle, con quasi 900 detenuti a fronte di una struttura nata per contenerne meno della metà, con il più alto rapporto nel Triveneto tra numero di reclusi e personale, casi di Tbc e di scabbia, personale insufficiente e in diminuzione, mezzi obsoleti. Sono alcune delle criticità del carcere di Montorio espresse dai rappresentanti della polizia penitenziaria ricevuti dal prefetto Perla Stancari in un incontro a cui hanno partecipato il sindaco Flavio Tosi, il direttore generale dell’Ulss 20 Maria Giuseppima Bonavina, il direttore sanitario Chiara Bovo, il vicecommissario Lara Boco vicecomandante della polizia penitenziaria, il direttore del carcere Antonio Fullone e la garante per i detenuti Margherita Forestan. Forte preoccupazione è stata manifestata dai rappresentanti della polizia penitenziaria per la grave e perdurante carenza di personale a fronte di altre strutture carcerarie di analoghe dimensioni. È stato chiesta l’assegnazione di personale che concluderà a breve il corso di ammissione, valutando la possibilità di redistribuire, in vicini istituti penitenziari, quota parte della popolazione carceraria, anche in vista della costruzione di nuove strutture previste dal piano carceri. Il prefetto ha assicurato la sensibilizzazione degli organi competenti con puntuali richieste, anche con riferimento all’implementazione delle misure di sicurezza passiva. Il sindaco, al termine della riunione, ha detto che interpellerà il dicastero della Giustizia e tutti gli enti competenti per far presente la situazione, soprattutto per quanto riguarda il sovraffollamento, e per ottenere più fondi per recuperare personale e da destinare ai servizi del carcere. All’incontro avevano chiesto di partecipare anche i rappresentanti sindacali della funzione pubblica e della pubblica amministrazione, gli stessi che ieri mattina hanno accompagnato la delegazione di esponenti politici, il parlamentare del Pd Federico Testa, i consiglieri regionali del Pd Roberto Fasoli e Franco Bonfante e quello provinciale Vincenzo D’Arienzo, durante la visita al carcere di Montorio. “Ci sono colleghi venuti anche dalle sedi regionali per questo incontro con il prefetto ma ci hanno lasciato fuori”, spiega Micaela Petrilli della Uil Pubblica Amministrazione. “Eppure noi siamo quelli che sostengono la contrattazione e che seguono da vicino i problemi del personale di polizia penitenziaria. Ma all’incontro hanno potuto partecipare solo i rappresentanti interni”. Una decisione grave, commenta Giorgio Rametta della Cgil - Funzione pubblica: “A noi interessava dare un respiro cittadino ai problemi del carcere, che non riguardano solo la casa circondariale ma tutta la comunità veronese dato il grave stato di sovraffollamento della struttura”. Viterbo: Antigone e Sel; protesta in corso al carcere, detenuti battono le sbarre Adnkronos, 7 giugno 2011 “Nel corso della nostra visita nel carcere di Mammagialla a Viterbo, i detenuti hanno dato vita a una protesta fragorosa, battendo le pentole sulle sbarre. Immaginiamo che questa si inquadri nell’ambito delle proteste che si stanno verificando nelle carceri di tutto il Paese, per chiedere un miglioramento delle condizioni di vita oggi durissime a causa del sovraffollamento”. È quanto denunciano Luigi Nieri, Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio e Giancarlo Torricelli, Segretario di Sel Roma Area Metropolitana che questa mattina, insieme a Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone, si sono recati in visita presso il carcere viterbese. “Anche qui il sovraffollamento è grave - aggiungono Nieri e Torricelli - Siamo parlando, infatti, di un istituto penitenziario che, ad oggi, ospita 730 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 450. Le condizioni sanitarie sono molto complicate. C’è una scarsissima presenza di medici, inferiore ai bisogni reali. Sono garantite solo 18 ore settimanali di servizio psichiatrico. Carente è anche la presenza di educatori, solo 5. Ci pare inoltre una politica penitenziaria inaccettabile quella di lasciare i detenuti in cella 20 ore su 24, anche quando si tratta di detenuti trattenuti per fatti di scarsissima rilevanza. Vi sono inoltre molte persone recluse in modo illegittimo. Come quegli immigrati in carcere per non avere ottemperato al decreto di espulsione”. “Dopo la sentenza della Corte di Giustizia - concludono - queste persone sono trattenute senza motivo. Ci sono, inoltre, molti episodi di custodia cautelare oltre i limiti della ragionevolezza. La protesta dei detenuti, dunque, ci è sembrato un tentativo di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle loro durissime condizioni di vita. È bene tener presente che stiamo parlando di un carcere dove negli ultimi mesi sono deceduti 2 detenuti”. Milano: una casa per 450 detenuti lombardi, grazie alle associazioni di volontariato Redattore Sociale, 7 giugno 2011 Tanti nel 2010 hanno usufruito degli alloggi messi a disposizione dalle associazioni che fanno parte della Conferenza regionale Volontariato e giustizia. Bilancio di un anno di impegno. Nel 2010 circa 450 detenuti hanno potuto usufruire degli alloggi messi a disposizione dalle associazioni che fanno parte della Conferenza regionale Volontariato e giustizia della Lombardia. È il bilancio delle attività svolte nel corso dell’ultimo anno dalle 27 realtà che fanno parte della rete di volontariato penitenziario lombardo e che sono state presentate oggi nel corso del convegno “Enti locali, carcere e sistema di welfare” in programma oggi presso l’auditorium della Regione Lombardia. “Siamo in grado di offrire più di 350 posti in tutta la regione - spiega Fulvio Sanvito, referente regionale della Conferenza volontariato e giustizia. Lo scorso anno abbiamo dato a 450 persone la possibilità di scontare la pena ai domiciliari oppure di usufruire di altre misure alternative”. Il tutto con un costo di 22 euro al giorno per persona. Soldi che servono per finanziare le attività di accompagnamento, pagare le utenze e altre spese. “Poco meno della metà è stato finanziato con risorse degli enti locali - spiega Sanvito. Il resto è stato sostenuto con risorse proprie delle singole associazioni”. Alla giornata di oggi ha partecipato anche il provveditore regionale per le carceri, Luigi Pagano che ha illustrato il percorso intrapreso negli ultimi tre anni dal Provveditorato lombardo, che ha messo in atto una serie di iniziative per creare un sistema di rete tra i vari istituti di pena. “Nessuna rivoluzione, ci limitiamo ad applicare quello che prevede il regolamento penitenziario - puntualizza Pagano - . Le risorse non sono infinite, i tagli si fanno sentire, occorre quindi lavorare per rivedere il sistema e razionalizzare il sistema”. Il rischio, è che la gestione dell’emergenza faccia perdere di vista il lavoro quotidiano. Razionalizzare il sistema significa in primis “allineare” tra loro le case circondariali rispetto a un progetto di accoglienza per evitare lo choc dell’ingresso in carcere ai nuovi - giunti. “L’obiettivo è costruire un percorso che inizia nel momento in cui la persona entra in carcere - spiega Pagano - . E, senza dare giudizi rispetto alla colpevolezza, avviare percorsi di trattamento anche quando il soggetto è in attesa di giudizio”. Inizia così, dalle varie case circondariali, un percorso di reinserimento che si conclude all’interno delle tre case di reclusione lombarde (Opera, Bollate e Brescia Verziano). “A ciascun istituto chiediamo di elaborare un progetto. In quest’ottica si crea un percorso compiuto in cui Bollate può lavorare bene perché beneficia del lavoro fatto a monte dagli altri istituti”, conclude Pagano. Venezia: nuovo carcere; spuntano due alternative, Forte Pepe e un’area alla Bazzera Il Gazzettino, 7 giugno 2011 Venerdì consiglio comunale decisivo per il futuro dell’istituto di pena in terraferma. Il viaggio a Roma è servito a depositare una serie di faldoni. E dentro i contenitori due nuove proposte, anzi due diverse ipotesi di localizzazione per il futuro carcere di Venezia. Insomma, con un blitz a Roma, negli uffici del Dap, la Direzione dell’amministrazione penitenziaria, il sindaco Giorgio Orsoni non solo ha giocato d’anticipo, ma ha posto sul tavolo due alternative al sito finora individuato di Campalto. Così, in mattinata il primo cittadino di Venezia si è trovato a tu per tu con Franco Ionta, il dirigente che sovraintende al sistema carcerario nazionale. “Ho prospettato due alternative - sottolinea l’inquilino di Cà Farsetti - e queste sono: da una parte il Forte Pepe a Cà Noghera sulla statale Triestina; dall’altra, un’area di proprietà della Fondazione Querini in località Bazzera, non distante dall’autostrada A4. Ora, grazie a queste due opzioni, toccherà al ministero valutarle con attenzione. In questo modo, crediamo di essere venuti incontro alle esigenze della cittadinanza che richiedeva soluzioni alternative a quella prospettata alcuni mesi fa dallo stesso ministero”. Insomma, Cà Farsetti tenta la volata nella “speranza” di invitare il ministero a rivedere la sua posizione e ad optare per almeno una di queste due proposte alternative. “Sono sempre stato dell’idea che un nuovo carcere - aggiunge il sindaco - sia un fatto di civiltà. E sono anche dell’idea che in questa città ci possano essere ben due carceri. Santa Maria Maggiore potrebbe essere quello per i detenuti in attesa di giudizio, mentre in terraferma, potrebbe essere realizzato un istituto di pena per le condanne da scontare. In questo modo si potrebbero risolvere anche i tanti problemi di sovraffollamento. Il ministero mi ha detto che valuterà queste nostre proposte in tempo utile e sicuramente potremo avere una risposta prima del consiglio comunale che discuterà l’argomento carcere”. Ragusa: l’Asp non rinnova l’assistenza infermieristica ai detenuti La Sicilia, 7 giugno 2011 L’Asp di Ragusa ha deciso di non rinnovare la convenzione con l’Istituto Penitenziario di Modica Alta per l’assistenza infermieristica ai detenuti. Si ritorna su una questione già emersa lo scorso mese di dicembre e che poi fu risolta con un provvedimento del direttore generale dell’Asp, Ettore Gilotta, che prorogò l’incarico per il successivi sei mesi. Il direttore dell’istituto di pena, Giovanna Maltese, nei giorni scorsi ha reiterato la richiesta puntualizzando la necessità di affidare l’incarico a personale che ha acquisito una certa esperienza negli anni precedenti. Gilotta ha fatto sapere che stavolta non ci sarà proroga. La vicenda va di pari passo con le carceri di Ragusa e Siracusa (tre gli infermieri destinati sia a Modica che e Ragusa e due a Siracusa). Il 30 giugno incarico verrà meno e ci saranno seri disagi. Si dovrà, pertanto, ricorrere a personale esterno. È chiaro che la nostra preoccupazione principale riguarda la sicurezza. Da anni gli attuali infermieri in servizio sono stati inviati dall’Ausl 7, oggi Asp, e questi hanno acquisito dimestichezza con il personale e con i detenuti. L’Asp, come si diceva, ha già annunciato che autorizzerà più i propri dipendenti poiché il monte ore possibile è largamente superiore a quello disponibile. Dopo 23 anni, le due carceri iblee dovranno cercare altrove l’assistenza sanitaria. Anche i medici vi operano dovranno adattarsi ai nuovi infermieri perché verranno meno le competenze e la professionalità acquisiti negli anni, mancheranno la praticità e la sinergia con cui gli infermieri andavano pari passo con la polizia penitenziaria. Sarà, invece, autorizzato il personale che si occupa dei detenuti tossicodipendenti. La motivazione sarebbe: per pagare questi, le somme sono fornite dall’Assessorato Regionale per la Salute. La replica è: anche le somme per il personale che assiste i detenuti comuni sono messe a disposizione ma dal Ministero della Giustizia. Napoli: emergenza carceri, penalista in sciopero della fame Il Mattino, 7 giugno 2011 Un giorno di sciopero della fame a staffetta da parte di Bruno Botti, penalista e rappresentante della Camera Penale di Napoli. Da oggi, per 24 ore, stop all’assunzione di cibo per protestare contro l’emergenza carceri. Spiega l’avvocato protagonista del gesto: “Le amnistie sono state ricorrenti e non possono essere un rimedio, non c’è dubbio. Ma è chiaro che una amnistia consentirebbe alla macchina giudiziaria di riprendere a funzionare con una certa efficienza, e di riprendere a camminare”. L’Unione delle Camere Penali Italiane denuncia da tempo la drammatica situazione delle carceri italiane. “Il sovraffollamento - è scritto in una nota cresce senza che ancora alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione”. E ancora: “Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti L’Unione ha più volte ribadito, anche negli ultimi anni, la necessità di predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti nelle carceri italiane e a contenere il sovraffollamento. Il governo e gran parte della politica sono sordi a queste richieste. Marco Pannella è in sciopero della fame da oltre un mese anche per denunciare le incivili condizioni delle carceri”. La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane - prosegue la nota, ha deliberato di far propria l’iniziativa del leader radicale e indice uno sciopero della fame: inizierà l’1 giugno il presidente Valerio Spigarelli e a staffetta coinvolgerà ogni giorno tutti i componenti di Giunta”. Con analoghe modalità il coordinatore Alessandro De Federicis e gli altri componenti dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane hanno aderito all’iniziativa della Giunta e intraprenderanno la stessa forma di protesta dell’avvocato Bruno Botti. Qualche cifra, fornita dai sindacati di categoria della polizia penitenziaria. In Campania i detenuti ristretti sono complessivamente 7.823 a fronte di una capacità massima ricettiva pari a 5.593, oltre 2.200 in più del consentito. Per ogni Istituto penitenziario e per quanto riguarda Salerno, al momento sono ristretti 407 detenuti rispetto ad una capienza di 216. Tra gli istituti più affollati ci sono Poggioreale, Ariano Irpino e Secondigliano. È in corso anche una vertenza sulla situazione degli organici, sulle dotazioni di automezzi e tecnologie, sulle organizzazioni del lavoro ma soprattutto per trovare una soluzione ai mancati pagamenti delle spettanze economiche relative alle missioni ed agli straordinari. Roma: progetto "Evadere dentro", lezioni di yoga per i detenuti di Rebibbia Dire, 7 giugno 2011 La pratica dello Yoga per ritrovare un equilibrio con il proprio io interiore e oltrepassare i confini del carcere. è il messaggio contenuto nel progetto "Evadere dentro", ciclo di lezioni di yoga e meditazione destinato ai detenuti del carcere di Rebibbia, organizzato da YogaFestival e Uisp Roma con il sostegno istituzionale del consigliere di Roma Capitale Paolo Masini e presentato oggi nella Sala Teatro della Casa circondariale romana. è quanto si legge in una nota, che spiega: inserita nell'ambito di YogaFestival Roma, in programma a Villa Pamphilj dal 10 al 12 giugno, l'iniziativa ha aperto le porte del carcere ai benefici effetti delle discipline orientali per quattro appuntamenti, in programma ogni lunedì di giugno, che avvicineranno i detenuti a Yoga, Qi Gong, Tai Chi e Meditazione. Il primo incontro è avvenuto lunedì 6 giugno - alla vigilia della conferenza stampa - con la partecipazione di 25 detenuti uomini, un numero decisamente maggiore alle aspettative. Positive le reazioni dei partecipanti, con commenti entusiasti sugli effetti riscontrati: "Ho chiuso gli occhi e, anche se per pochi minuti, ho sentito di essere veramente fuori di qui", ha commentato un detenuto praticante. "Dopo il clamore mediatico dei 'flash mob meditativì nel centro di Roma, quest'anno abbiamo favorito una dimensione più umana", ha spiegato il consigliere del Pd di Roma Capitale Paolo Masini, che nel 2008 inaugurò la prima edizione romana della manifestazione. "Anche in una situazione estrema, come il carcere, queste discipline rappresentano uno strumento di crescita personale e spirituale- ha proseguito Masini-, per ristabilire un contatto con il proprio vissuto e autodeterminare il cambiamento. E i detenuti hanno risposto positivamente, strappandoci un chiedendo continuità per il progetto e, addirittura, l'istituzione a Rebibbia di corsi di formazione professionale per istruttori di Yoga, per una nuova vita al di fuori del carcere". Fondamentale per YogaFestival è stato l'apporto della Uisp Roma, da sempre impegnata a stretto contatto con i detenuti: "Partecipiamo in prima persona a questo bellissimo progetto, tanto che tre delle quattro lezioni proposte ai detenuti saranno tenute da insegnanti dell'Uisp Roma: Bruna Moratti, Romeo Grappasonni, Carla Ciraulo", ha affermato Andrea Novelli, presidente dell'Uisp Roma. La nostra esperienza nell'attività in carcere è ormai più che decennale, e partendo da questa base cerchiamo sempre di adeguarci al tipo di detenuto che ci troviamo davanti proponendo l'attività più adatta e sempre mantenendo forte una relazione con l'esterno. Sappiamo che una buona pratica quotidiana in situazioni di costrizione e sofferenza porta a risultati straordinari, ha detto poi Giulia Borioli organizzatrice del Festival, "in termini di abbassamento dell'aggressività e aumento di concentrazione. Che la proposta sia stata accolta con moltissima partecipazione ci conferma che la via dello Yoga è universale ed è per tutti". Soddisfatto anche il direttore del Nuovo Complesso di Rebibbia Carmelo Cantone, convinto che la pratica olistica possa diventare "strumento di lavoro, oltre che per i detenuti, anche per tutte le componenti che operano nel carcere, per una collaborazione trasversale che coinvolga gli operatori, il servizio sanitario e quello di supporto psicologico, portando a una migliore qualità della vita delle persone e delle situazioni di emergenza all'interno di Rebibbia". Trani (Ba): domani convegno “Promuovere dignità detenuto, sinergie di potenziamento” Comunicato stampa, 7 giugno 2011 Il Centro di Orientamento “Don Bosco” ha promosso per il giorno 8 giugno p.v., alle 17.30, presso l’auditorium dell’Istituto Tecnico Industriale “O. Jannuzzi” di Andria, un Convegno cittadino dal titolo “Promuovere la dignità del detenuto: sinergie di potenziamento”, a conclusione del percorso formativo realizzato presso la Casa Circondariale Maschile di Trani. Il Convegno costituisce una tappa del Progetto Europeo Grundtvig L.L.P., il cui titolo è “Improving relationship beetwen teachers and guards”, sintetizzato nella sigla I.N.E.S.(Instruction Education Security). Il Progetto, che registra la partecipazione, insieme al Centro “Don Bosco” per l’Italia, della Francia, della Spagna, del Belgio e della Svezia, è rivolto agli insegnanti Ida e agli educatori, operanti nell’ambito trattamentale della Casa Circondariale Maschile e della Casa di Reclusione Femminile di Trani, e agli agenti di Polizia Penitenziaria, preposti ai compiti della sicurezza, in quanto soltanto l’azione sinergica tra i responsabili dei due settori può favorire la riabilitazione e il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale al termine del periodo di reclusione. Al Convegno dell’8 giugno parteciperanno, come relatori, il regista Davide Ferrario, che ha realizzato, all’interno del carcere di Torino, il film “Tutta colpa di Giuda”, il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, dott. Giuseppe Martone, e il prof. Giuseppe Elia, preside della facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Bari e referente scientifico del progetto, lo staff direttivo degli Istituti Penitenziari di Trani guidato dalla dott.ssa Bruna Piarulli. È gradita la partecipazione di quanti, (rappresentanti delle Istituzioni, delle Associazioni e singoli cittadini) intendono adoperarsi affinché il carcere non sia una sorta di “riserva indiana”, ma uno spazio aperto alle istanze del contesto socio - ambientale e culturale del territorio. Milano: una scuola affronta il tema della libertà facendosi “aiutare” dal carcere di Silvia Meroni* Ristretti Orizzonti, 7 giugno 2011 Cosa significa essere persone libere? Perché descriviamo l’uomo come “libertà creata”? Si può perdere la libertà? Sono queste le domande dalle quali un centinaio di alunni di quattro classi dell’Istituto Sorelle Agazzi di Milano che si preparano all’esame di licenza hanno preso le mosse per riflettere sul senso e il valore della libertà. Un percorso lungo e intenso, che li ha impegnati per tutto l’anno scolastico portandoli a incontrare chi ha vissuto l’esperienza della reclusione accanto a chi all’interno del carcere lavora da molti anni. Nel lungo lavoro di preparazione gli alunni hanno avvertito fin da subito come la libertà abbia a che fare con la persona e le sue relazioni, con la possibilità di realizzare dei sogni, persino con il sogno di poter amare per sempre. E in questo percorso sono divenuti più consapevoli delle proprie azioni, sono cresciuti nella responsabilità civile e hanno lasciato cadere non pochi pregiudizi nei confronti dei reclusi e dell’istituzione carceraria. Il progetto prevedeva l’incontro con persone che nell’arco della loro vita hanno compreso, non di rado molto dolorosamente, come la libertà si costruisca attraverso ogni scelta di vita. A partire dalla lettura di alcune lettere tratte dalla rivista Ristretti Orizzonti e grazie alla competenza di Laura Vismara, psicologa della seconda Casa di reclusione Milano - Bollate, che hanno intervistato nel mese di marzo, gli studenti sono stati inizialmente posti di fronte alla realtà di coloro che vivono reclusi, e hanno cercato di comprenderne la situazione. Tutto questo ha richiesto un grande impegno da parte loro: “Sono stati - ha ricordato Alice - incontri forti. La cosa veramente bella è stata ascoltare queste storie, perché erano vere”. Il momento che maggiormente li ha colpiti è stato sicuramente l’incontro con don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria e responsabile di molte comunità per minori, con il quale gli studenti hanno avuto modo di dialogare pochi giorni prima della fine dell’anno scolastico. A questo appuntamento si sono preparati leggendo molto, avvicinando storie, cercando di conoscere e approfondire, formulando giudizi e considerazioni e infine elaborando le domande che avrebbero poi posto a don Claudio. L’incontro è andato molto oltre le aspettative. Questo “prete diverso dagli altri”, come lo hanno definito i ragazzi, è infatti giunto a scuola accompagnato da Zaccaria, un giovane che ha compiuto con lui un percorso di vita e di riflessione sulla propria storia. La presenza di Zaccaria è stata decisiva perché ha reso molto concreta ogni riflessione sul rispetto delle regole e dell’altro, sulla possibilità di sbagliare, sul senso e il valore della pena, sulla dignità umana, sulla possibilità di ricominciare. Nettra, una studentessa dagli occhi scuri, profondi come lei, ha introdotto così l’incontro: “Don Claudio, ho letto il libro che hai scritto, Non esistono ragazzi cattivi (Paoline, 2010). Le parti che mi hanno interessato maggiormente sono state quelle che riportavano i pensieri dei ragazzi reclusi, perché mettono in luce i loro sentimenti. Io penso che non bisogna giudicare una persona se prima non si conosce la sua storia. Purtroppo, noi viviamo in una società in cui prevalgono i pregiudizi e si parte prevenuti nei confronti di chi ha avuto dei problemi con la giustizia. Ti ammiro veramente tanto, non solo perché ascolti e aiuti i giovani meno fortunati, ma anche perché provi dolore con loro, entri nei loro panni almeno per cercare di capire le loro emozioni, quello che provano realmente. Così facendo, riscopri ogni giorno lo scopo della tua vita di uomo e di prete. Credo sia giusto punire chi sbaglia, ma penso non ci sia nulla di male a comprendere le ragioni che spingono un ragazzo o una ragazza a commettere degli errori così grandi. Certo avrebbe dovuto pensare prima di agire, ma ci sono situazioni in cui l’impulsività prende il sopravvento e non c’è niente che ti possa fermare”. Nell’incontro con don Claudio e Zaccaria si è da subito creato un clima di rispettoso ascolto in cui abbiamo colto come le storie di tanti giovani dietro le sbarre siano molto simili a quelle dei ragazzi che crescono nella nostra zona, alla periferia della città, come ha messo bene in luce Kevin P.: “Don Claudio diceva cose molto importanti e soprattutto non era uno dei soliti “perfettini” che vengono a scuola a farci soltanto delle prediche. Lui sì che ha saputo intrattenerci! Forse perché diceva cose interessanti che riguardano anche noi”. Sono proprio le parole dei ragazzi a darci la cifra dell’importanza che ha assunto per loro quella presenza e l’intero percorso. Ilaria, che da grande sogna di fare la giornalista, scrive: “Don Claudio ci ha detto che “la ricchezza è nel cervello”, quando parlava dei ragazzi che vogliono arricchirsi velocemente e di conseguenza rubano. Certo, nella vita sono importanti anche i soldi, ma non servono proprio a niente se non si ha un cervello che pensa e che sa prendere decisioni in modo razionale. È vero che esistono anche situazioni di estrema povertà in cui il furto è quasi una necessità, però nella maggior parte dei casi si ruba per avere cose superflue”. È una ragazza consapevole dei limiti umani, ma che insieme riconosce come “ogni ragazzo ospitato in comunità ha una storia diversa e sarebbe opportuno conoscerla prima di giudicare”. A Kevin C., che non ha perso una parola di quanto si è raccontato, è piaciuto l’intervento di Zaccaria “quando ha detto che non bisogna avere paura di nessuno, solo di Dio, perché siamo fatti tutti di carne e ossa” e ha ammirato don Claudio per aver “spiegato che per entrare in contatto con i ragazzi che arrivano in comunità occorre far loro capire che si è sullo stesso piano. Nessuno comanda!”. Luca, un alunno con la passione per l’arte, ha colto “che molti ragazzi sono condizionati dalle idee degli altri e molti di loro sono sfruttati dagli adulti che, ad esempio, prima fanno commettere loro un reato, poi, quando vengono arrestati, non hanno nemmeno il coraggio di confessare”. Asia, sempre attenta ai particolari, ricorda che “don Claudio non ci ha nascosto che molti ragazzi a volte si lavano le mani per cose accadute, perché se parlano sono considerati infami. In realtà le persone che non parlano sono deboli, i ragazzi “con le palle”, sono invece quelli che parlano perché secondo lui fare finta di niente è da codardi. Questo sacerdote ci ha spiegato che per chi conosce verità scomode non è facile parlare, a volte costa anche, ma è l’unico modo per essere liberi. Lui ci ha detto di conoscere ragazzi che per paura di altri non fanno nomi e finiscono per scontare le pene al posto loro. Ma così si vive da sottomessi”. Gli studenti sono rimasti molto colpiti dalla spiegazione per loro insolita, offerta da questo prete speciale, sul significato dell’essere “infami”, un termine che per don Claudio non ha solo il significato negativo che i ragazzi gli attribuiscono: “c’è infatti una responsabilità, da parte di chi conosce come sono andate le cose, nel raccontare come sono accadute realmente. E se non si nasconde, come la paura lo spingerebbe a fare, ma accetta il rischio di dire la verità, allora quello è un coraggioso!”. Stupiti per le sue parole forti, riportano pensieri simili a questo: “beh, io ho sempre pensato che ognuno si deve fare i fatti propri, ma quando lui ci ha detto che le persone forti sono quelle che dichiarano la verità e non si nascondono dietro al silenzio, ci sono rimasto un po’ male, perché non ci avevo mai pensato”. Andrea, colpito dal giovane testimone, ha compreso che ci sono motivi diversi per cui si commette un errore: “incontrare questo ragazzo mi ha fatto capire che siamo tutti uguali e che a volte si sbaglia perché si è “costretti”, per problemi economici o per la mancanza di una famiglia alle spalle. A volte si fanno delle cose senza conoscerne la gravità, soprattutto se si è giovani”. Prima dell’intervista molti desideravano sapere da Zaccaria che reato avesse commesso e non hanno esitato a rivolgere su questo una domanda diretta. Alla fine, dopo che don Claudio ha fatto esempi di storie drammatiche, che alcuni ragazzi hanno realmente vissuto, tutti hanno capito che la persona vale più di ciò che può avere fatto nella vita e la curiosità è stata messa a tacere. Qualcuno ha colto la sofferenza di Zaccaria, altri hanno capito che è un ragazzo forte. In molti, nei giorni successivi all’incontro, hanno comunicato a qualche insegnante che “questo progetto ha fatto pensare a quanto è importante la vita, a com’è brutto giocarsela rubando, spacciando, uccidendo e a come sia stupido lasciare per qualche reato la propria famiglia”. Ernesto ha raccolto gli esempi riportati sui possibili motivi per cui un ragazzo è portato dentro al carcere minorile Beccaria e si è interrogato sulla possibilità di pentirsi: “sono stato molto colpito dalle parole del don sul fatto che è più facile che cambi un ragazzo reo di omicidio, che un arrestato per reati minori (ad esempio spaccio o furto di motorino)”. Perché molti si comportano da furbi rischiando di non interrogarsi mai su se stessi. C’è anche chi fra loro ha apprezzato la scelta di “ascoltare alla fine dell’incontro la canzone Pensa, di Fabrizio Moro. Secondo me pensare è la chiave di tutto, perché se s’impara a ragionare si possono evitare tanti problemi e soprattutto si è più liberi di fare scelte giuste per se stessi. Un reato si commette non pensando alle conseguenze. Quindi è fondamentale decidere per se stessi e non avere paura di nessuno”. Claudio, che porta lo stesso nome del sacerdote tanto ascoltato e che spera per sé e per “alcuni che conosce” “di cercare di cambiare la vita per il meglio, grazie alle cose apprese”, rivolge l’ultima domanda: “tu parli dei ragazzi come di “angeli sul mio cammino”, perché?”. La risposta di don Claudio richiama ancora una volta al valore della relazione umana: “l’angelo è il portatore di un messaggio e ognuno ha sempre qualcosa da comunicare agli altri: tutto sta, per comprendere, nel diventare capaci di ascolto autentico”. Un’immagine che ha molto colpito i ragazzi: ““Ognuno di noi è angelo per qualcun altro”. Secondo me - scrive ancora Ilaria - significa che tutti hanno bisogno di ricevere aiuto, ma anche che tutti possono dare il loro aiuto a qualcun altro. L’importante è non avere timore quando si tratta di chiederlo ed essere delicati quando si vuole offrirlo”. Greta, una tredicenne ricca di speranza, appena dopo l’incontro ha lasciato un messaggio alla sua insegnante: “Fino a due ore fa pensavo che il mondo fosse disastrato, insensato e distruttivo. Ora ho capito che se ci saranno uomini interessati alla sorte degli altri, che credono, che riescano a cogliere le sofferenze altrui per cercare di alleviarle tutto è possibile, anche l’impensabile. Immaginavo che il mondo fosse monotono e che le persone fossero solo dei numeri, il mito e l’eroe fossero solo frutto dell’immaginazione dell’uomo per non sprofondare nella tristezza della realtà. Ora ho capito che i veri eroi sono i guerrieri, quelli che combattono contro la società dei pregiudizi, quelli da ammirare. Come don Claudio”. Le storie vere ci rendono consapevoli della grandezza di essere liberi. Le persone concrete ci aiutano a sperimentare che la libertà è sempre un dono per gli altri. *Silvia Meroni è Ausiliaria Diocesana e, da alcuni anni, insegnante di religione nella scuola secondaria di Primo grado. Collabora come cultore della materia, teologia, presso l’Università Cattolica di Milano. L’istituto Sorelle Agazzi, che ha sede in due quartieri della periferia nord di Milano (Comasina e Bovisasca), è nato nell’anno 2000 e comprende cinque diverse scuole. Il progetto è sorto dall’esigenza di approfondire il programma previsto all’interno dell’insegnamento di religione cattolica. Durante la trattazione in classe del tema antropologico della libertà, un alunno ha sollevato una provocazione esplicita: “ma non possiamo entrare in un carcere per provare a capire cosa significhi veramente limitazione della libertà?”. Non era evidentemente possibile non raccogliere questa richiesta, in particolare all’interno di un contesto in cui molti minori conoscono molto da vicino persone che vivono o hanno vissuto l’esperienza della reclusione e ne sopportano spesso le conseguenze sulla propria pelle. I suggerimenti di Ornella Favero, direttrice responsabile dell’esperienza di Ristretti Orizzonti nella Casa di Reclusione di Padova, che era stata contattata fin dall’inizio per avere informazioni utili alla progettazione del percorso, di Alberto Conci, giornalista che per il sito www.unimondo.org aveva già lavorato con gli alunni in occasione della marcia per la pace Perugia - Assisi, e di diversi operatori nelle case di reclusione milanesi hanno consentito di dare avvio al progetto. Va detto tuttavia che è stata determinante la volontà degli alunni, i quali hanno dimostrato sin da subito un grandissimo interesse per la proposta e che sono stati protagonisti in prima persona di tutte le fasi della sua realizzazione. Gli insegnanti della scuola, particolarmente attenti alla promozione di progetti trasversali di educazione alla cittadinanza e costituzione, hanno sostenuto e raccolto con soddisfazione il desiderio degli alunni di crescere e di lasciarsi coinvolgere in un percorso di avvicinamento alle problematiche poste da una realtà complessa e difficile come quella del carcere. E sono rimasti positivamente stupiti dai risultati di tale progetto sia sul piano della comprensione del reale che su quello dell’assunzione di responsabilità personale. Immigrazione: Radicali; trattamento degradante nel Cie Santa Maria Capua Vetere Notizie Radicali, 7 giugno 2011 Ieri mattina il senatore radicale Marco Perduca (membro della commissione Giustizia e segretario della Commissione Speciale per i diritti umani) ha compiuto due visite ispettive a Santa Maria Capua Vetere, una al Carcere Militare, un’altra al C.I.E. Ad accompagnarlo c’era Luca Bove, del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, segretario dell’Associazione Radicale di Caserta “Legalità e Trasparenza”. Marco Perduca ha definito la struttura militare “a norma, di qualità, una vera e propria eccezione alla regola dell’illegalità che vige in questo paese, denunciata da Marco Pannella, in sciopero della fame dal 20 aprile. I detenuti sono 74 in un carcere che ha una capienza del doppio, ma con i letti a castello si potrebbe arrivare a 300 posti. I vigilanti (rappresentanti dell’esercito) sono il doppio rispetto agli ospiti, quindi la norma di legge è abbondantemente applicata”. Il senatore ha detto di voler inserire in una proposta di legge sulle strutture penitenziarie gli articoli dei codici militari che riguardano le peculiarità dei vigilanti. Luca Bove sulla visita al Cie dice: “è confermata la grave situazione di trattamento degradante per i 96 immigrati tunisini di un mese fa: i servizi igienici sono collocati vicini alle 25 tende, sono all’aria aperta e quindi ci sono problemi quando piove. È stata aggiunta un’ulteriore separazione tra la polizia ed i migranti con una rete e del filo spinato, mancano tavoli, sedie e letti (sostituiti da materassi in gommapiuma)”. Marco Perduca ricorda che sussistono due gravi problemi: “il primo è che la Commissione territoriale per il diritto d’asilo ha fornito lo status di protezione solo ad uno dei 96 richiedenti, il secondo è che da 15 giorni è scaduta l’ordinanza di trasferimento, quindi per loro non esiste un futuro, non sanno se verranno messi alla porta o se verrà rinnovato il permesso di soggiorno temporaneo per altri 60 giorni come ai loro compatrioti giunti nel nostro paese prima del 5 aprile. Inoltre la loro incolumità è in pericolo in Tunisia , non vogliono restare in Italia ma vogliono raggiungere parenti ed amici in Francia, Germania e Belgio. Questa situazione crea problemi psicologici, nervosismo e conseguenti confronti verbali e non solo con le forze dell’ordine”. Un’ulteriore irregolarità riscontrata dai due Radicali è l’esclusione del Centro Sociale Ex Canapificio dalle visite al Cie mentre altre associazioni possono entrare senza problemi nella struttura. Anche ciò sarà parte integrante delle interrogazioni parlamentari del Senatore che ricorda inoltre come alla Camera sia ferma da Dicembre la Legge Comunitaria sui rimpatri. Nel pomeriggio Perduca e Bove insieme alla Senatrice Anna Maria Carloni del Pd, hanno partecipato a Napoli, presso l’Istituto degli studi Filosofici, ad un dibattito pubblico sul tema dei diritti degli immigrati. In quella sede si è rilanciato l’appello a tutte le istituzioni locali e nazionali, alle pubbliche autorità, alle organizzazioni politiche e sociali, agli organi di informazione ed ai singoli cittadini e cittadine per: l’immediata chiusura del Cie di S. Maria Capua Vetere; il definitivo abbandono e smantellamento della tendopoli; il sostegno ai ricorsi legali fino alle massime giurisdizioni europee in materia di diritti umani; consentire l’accesso ai giornalisti nei Cie e in tutti i centri per immigrati al fine di garantire ampia e completa informazione tanto sulla qualità delle strutture detentive quanto sulle vicende umane di chi e trattenuto in queste strutture. Usa: Amnesty International; due detenuti in isolamento da 40 anni… ora basta Ansa, 7 giugno 2011 Amnesty International ha chiesto alle autorità della Louisiana (Usa) di porre immediatamente fine all’isolamento cui sono sottoposti due detenuti da quasi 40 anni. Herman Wallace, 69 anni e Albert Woodfox, 64, si trovano in regime di restrizione in cella chiusa nel penitenziario di stato della Louisiana, conosciuto come prigione di Angola, da quando nel 1972 sono stati condannati per aver ucciso una guardia penitenziaria. Salvo periodi molti brevi, l’isolamento è andato avanti ininterrottamente da allora. Non c’è mai stato nessun riesame. “Il trattamento cui sono sottoposti Wallace e Woodfox da quattro decenni è crudele e disumano e viola gli obblighi di diritto internazionale degli Usà - ha dichiarato Guadalupe Marengo, vicedirettrice del Programma Americhe di Amnesty International - non siamo a conoscenza di altri casi di durata così lunga di una condizione tanto disumana e degradante negli Usa. Nel corso di questi decenni - ha aggiunto - non c’è stato alcun significativo riesame dello status dei due detenuti. L’unica ragione fornita per continuare a tenerli in isolamento è la natura della ragione originaria”. Wallace e Woodfox, arrestati per rapina a mano armata, trascorrono 23 ore su 24 in una cella d’isolamento di due metri per tre. Quando le condizioni climatiche lo consentono, possono stare per un’ora, tre volte alla settimana, in una gabbia all’esterno. Per altre quattro ore alla settimana, possono uscire dalle celle per lavarsi o camminare da soli lungo il corridoio. I due detenuti hanno un limitato accesso a libri, quotidiani e televisione. Non è mai stato consentito loro di lavorare o studiare. Le relazioni sociali sono limitate a periodiche visite dei parenti e a poche telefonate. Secondo i loro avvocati, entrambi soffrono di gravi problemi di salute, causati o acuiti dagli anni d’isolamento. Denunciando la vicenda di Wallace e Woodfox, Amnesty International ha anche messo in discussione i suoi aspetti legali. Non è mai emersa alcuna prova materiale che legasse i due uomini all’omicidio della guardia penitenziaria; campioni di Dna che avrebbero potuto scagionarli sono stati persi e la condanna si è basata sulla discutibile testimonianza di altri detenuti che, come è emerso successivamente, erano stati pagati dalla direzione del carcere per incolpate Wallace e Woodfox. La falsa testimonianza di un secondo detenuto e la ritrattazione di un terzo sono state tenute nascoste. Al di là dei ricorsi che vanno ancora avanti contro la condanna del 1972, Wallace e Woodfox hanno citato in giudizio le autorità della Louisiana sostenendo che il loro trattamento costituisce una violazione dell’VIII emendamento della Costituzione Usa, che vieta le pene crudeli e inusuali. “Il trattamento di questi due uomini da parte dello stato della Louisiana è un’evidente violazione degli impegni degli Usa in materia di diritti umani - ha detto ancora Marengo - il loro caso dovrebbe essere rivisto urgentemente e nel frattempo il loro trattamento dovrebbe essere in linea con gli standard internazionali sul trattamento umano dei detenuti. Brasile: per Battisti record di detenzione preventiva, è in carcere da oltre quattro anni Ansa, 7 giugno 2011 Cesare Battisti ha raggiunto un record di prigione preventiva: quattro anni, due mesi e 20 giorni. È quanto si commenta oggi in ambienti del governo brasiliano, alla vigilia dell’udienza plenaria del Supremo Tribunale Federale (Stf) di Brasilia che deciderà domani pomeriggio sulla sorte dell’ex militante rosso. Battisti è stato arrestato a Rio de Janeiro il 18 marzo del 2007: erano quasi tre anni che lui si era rifugiato sotto falso nome in Brasile. Da allora è sempre stato detenuto a Brasilia, prima nella sovrintendenza della Polizia Federale, dove ha denunciato di essere stato picchiato, e poi nel penitenziario della Papuda. “La prigione di Battisti in realtà non è preventiva ma obbligatoria - obbietta una fonte dei legali brasiliani del governo italiano nel processo di estradizione - La sua detenzione si deve al protrarsi degli atti, prima dell’ex ministro della Giustizia, Tarso Genro, poi dello stesso Stf, dell’avvocatura generale dello Stato, dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, e poi, per ultimo, del procuratore generale dello Stato, Roberto Gurgel, che hanno ritardato l’iter giuridico. Ma è stabilito dalla legge brasiliana che dovrà rimanere in carcere fino a quando si sarà concretizzato l’intero processo di estradizione”. La difesa di Battisti ha visto rigettate, prima all’inizio dell’anno dal presidente del Stf, Cezar Peluso, e poi dal giudice relatore Gilmar Mendes, due istanze di scarcerazione dell’ex terrorista. Battisti è già stato condannato alla fine del 2009 in Brasile dal tribunale federale di Rio de Janeiro per essere entrato nel paese con passaporto falso. Ma la condanna a circa due anni di detenzione è stata commutata in servizi sociali in stato di libertà vigilata. Svizzera: la popolazione detenuta invecchia, il sistema penitenziario non è adeguato Apcom, 7 giugno 2011 Uno studio realizzato dalla Swiss National Science Foundation dimostra come il sistema carcerario svizzero non sia pronto ad affrontare l’incalzante invecchiamento della propria popolazione carceraria. È sempre maggiore infatti il numero di detenuti over 60 che affollano le prigioni elvetiche; per fare qualche numero, nel 2008, più dell’11% dei carcerati svizzeri superava i 50 anni e quasi un terzo di questi erano ultrasessantenni. È quindi necessario, secondo i ricercatori, apportare alcune modifiche al sistema che tengano in considerazione le diverse esigenze e problematiche di questa fascia d’età. Innanzitutto, suggerisce lo studio, sarebbe bene tenere i detenuti anziani separati da quelli più giovani, per ragioni sociali, di sicurezza e perché le attività quotidiane svolte dai più giovani risultano più pesanti per loro. Inoltre, le interviste effettuate hanno evidenziato come gli anziani siano molto più preoccupati rispetto ai giovani di quella che sarà la loro vita dopo la detenzione, quando dovranno affrontare le problematiche quotidiane e riallacciare rapporti umani ed affettivi in età avanzata. Algeria: saranno realizzate tredici nuove carceri, che andranno a sostituire quelle esistenti Ansa, 7 giugno 2011 Il governo algerino ha varato un programma per la realizzazione di nuovi tredici istituti penitenziari, che saranno distribuiti su tutto il territorio nazionale per fare fronte alla crescente pressione della popolazione carceraria. L’annuncio è stato dato ieri, ad Algeri (ne riferisce oggi l’agenzia Aps), da Moktar Felioun, Direttore generale del dipartimento delle Carceri e riabilitazioni, Le nuove strutture potranno ospitare, complessivamente, circa diciannovemila detenuti. Le nuove strutture, per come sono state progettate e per come, quindi, saranno realizzate, andranno a sostituire molte di quelle esistenti, poco razionali perché il 52 per cento di quelle oggi attive possono solo ospitare 60 detenuti, con un evidente dispendio di risorse economiche ed umane. Il primo passo ufficiale del nuovo piano, come ha detto Moktar Felioun, prevede, già entro il mese di luglio, il via libera a tre istituti penitenziari: a Ain Ouessara (nella provincia di Djelfa) con duemila posti; a Bir el-Ater (Tebessa) e a Boussada, con mille posti ciascuno. Poi, nel tempo, si perfezioneranno i progetti relativi ad altri istituti, che saranno costruiti a Saida, ad Ouled Sidi Cheikh, Mascara, Bechar Tiaret, Laghouat ed El-Golea.