A Padova, le scuole e il carcere si confrontano da anni Il Mattino di Padova, 6 giugno 2011 Mercoledì 1 giugno si è svolta al Cinema MPX la giornata conclusiva del Progetto “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere”, giunto ormai alla 8a edizione. Il Progetto, organizzato e gestito dai Servizi sociali del Comune e dall’Associazione Granello di Senape, propone un percorso che durante l’anno scolastico impegna gli studenti e i loro insegnanti delle scuole medie superiori e inferiori sui temi della legalità, del rispetto delle regole e dei comportamenti positivi. Il Progetto prevede incontri nelle scuole con detenuti, volontari, operatori, agenti di polizia penitenziaria, docenti di diritto penale, e poi incontri in carcere nei quali i detenuti accettano di raccontare le loro esperienze di vita e ciò ha il valore di un insegnamento per i ragazzi. Al progetto ha partecipato anche il magistrato di sorveglianza che ha introdotto gli studenti alla conoscenza del quadro normativo, per far conoscere i limiti e lo spirito della legge anche nei riguardi della rieducazione del detenuto. La buona salute del progetto è testimoniata dalla partecipazione degli studenti alla giornata conclusiva; quasi 600 ragazzi hanno infatti affollato il cinema per assistere alla proiezione del film “In un mondo migliore”, per ascoltare le riflessioni della giovane scrittrice Gaia Rayneri e per fare il tifo per i compagni premiati per aver proposto i migliori elaborati sul Progetto con racconti che danno corpo alle loro emozioni intorno al “pianeta carcere”. Ci fa piacere segnalare i nomi degli studenti che hanno prodotto i migliori racconti: scuole superiori: Joyaline - Ist. Leonardo da Vinci 4aSD; Saoussen - Ist. Belzoni 3aC; Maria - Selvatico 5a Sez. Artistica; scuole medie: Laura - Andrea Doria Roncaglia 3aA; Paolo - Falconetto 3aA. Un ringraziamento agli insegnanti e alle scuole che sono stati protagonisti del progetto, e a quelle che hanno partecipato all’incontro dell’1/6: Curiel, Duca d’Aosta, ENAIP, ITIS Euganeo, Falconetto, Marchesi - Fusinato, Galilei di Caselle e di Dolo, Leonardo da Vinci, Calvi, Belzoni, Scalcerle, Selvatico e Valle. Un ringraziamento particolare al direttore della Casa di reclusione dott. S. Pirruccio, al magistrato di sorveglianza dott. M. Bortolato e alla responsabile dell’Associazione Granello di Senape O. Favero per la disponibilità e l’impegno profuso per la realizzazione del progetto, che può essere riproposto ogni anno anche grazie al contributo che la Fondazione Cassa di Risparmio eroga con generosità alla Amministrazione comunale. Lorenzo Panizzolo dirigente Servizi sociali Comune di Padova Un progetto che allarga il cuore e gli orizzonti Il progetto ha fatto “incontrare” quest’anno il carcere a quasi 5.000 studenti di Padova, ma anche di molte città del Veneto. L’hanno gestito, con più di 150 incontri, detenuti e volontari della redazione di Ristretti Orizzonti, in collaborazione con la Casa di reclusione e con il sostegno del Comune di Padova - Settore Servizi sociali. Ogni anno viene curata una pubblicazione, grazie anche al contributo del Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Padova. Quelle che seguono sono alcune riflessioni tratte dai due testi premiati. Libertà e reclusione, vita e assenza di vita (Primo premio Scuole medie superiori) Lo stridore dei cancelli, il rombo incessante degli ingranaggi che scorrevano sulle apposite rotaie, un rumore metallico di ferro e ruggine risuonano ancora nella mia mente. La pesantezza del suono e del materiale chiude, per un periodo impreciso di tempo, l’unico passaggio verso la libertà. Non si tratta di una libertà fisica, ma di una libertà mentale che preclude, se viene limitata, la capacità di riflettere, sognare e sperare. In un solo attimo tutto muore, si perde e scompare. Il rumore assordante, seguito dal silenzio opprimente offrono, ancor meglio, il contrasto tra libertà e reclusione, vita ed assenza di vita. L’attesa, dopo la chiusura dei primi cancelli, è la sensazione più difficile da dimenticare. Il silenzio, l’impossibilità di tornare indietro, l’amara verità che irrompe nell’animo anche più insensibile… questo, secondo me, è ciò che uccide dentro. Provai allora a non pensare con la mente di studentessa che aderisce ad un progetto scolastico, ma con la mente di un condannato. Un semplice visitatore può provare solo una sensazione, se pur di paura, momentanea; i suoi sentimenti sono pervasi dalla consapevolezza che quell’attimo, quella malinconia improvvisa che ti assale, scomparirà. Il condannato, secondo il mio punto di vista, vive quel suono pienamente, completamente. Il cigolio e lo stridore faranno da quel giorno parte di lui; lo seguiranno in cella durante il giorno e nei sogni durante la notte. Naturalmente lo stesso suono avrà significati diversi per ogni carcerato. Alcuni, infatti, potranno associarlo per sempre alla chiusura con il mondo esterno, con la vita; altri, invece, potranno legarlo alla speranza di poterlo udire nuovamente quando riacquisteranno la libertà. Fu semplicissimo pensare e riflettere con la mente di un detenuto, soprattutto quando vidi i loro volti. Alcuni di loro potevano ricordare facce conosciute, intraviste, normali. In quel momento mi sovvenne il dubbio, la possibilità non più così remota che quella stessa persona, segnata in volto solo dal dolore derivante dalla consapevolezza di quanto compiuto, potesse essere un mio conoscente, un familiare. Potessi essere io. In termini di “limiti” una qualche barriera che ti escluda completamente ed incondizionatamente dall’eventualità d’essere, un giorno, come loro… non esiste. All’inizio si può affermare che non si commetteranno mai i loro errori; ma in seguito ascoltando, veramente le loro storie, i lori trascorsi, tutte queste certezze muoiono, svaniscono. Joyaline N., classe 4aSd, Istituto Leonardo da Vinci Cari voi che siete dentro (Primo premio Scuole medie inferiori) Cari voi che siete dentro, non sono per niente sicura di avere il diritto di dirvi queste cose, ma nel dubbio, ho deciso di rischiare. La vita è anche questo, alla fine… Vedete, quest’anno la mia scuola ha aderito ad un progetto chiamato “Il carcere entra a scuola” che si è concluso con un incontro davvero emozionante. Sono venuti due ex detenuti e due carcerati per raccontare, a noi perfetti sconosciuti, il lato più oscuro di tutta la loro vita, per convincere tutti noi che, in fondo, non ci possiamo permettere il lusso di credere che la prigione sia una realtà anni luce lontana dalla nostra idea di normalità, che sia solo una cosa di cui è scomodo parlare, come spesso la società cerca di convincerci che sia. Non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti. Quando Paola ha cominciato a parlare, mi è sembrato naturale non pensare di avere davanti una criminale, che ha scontato la sua pena con dieci anni di prigione. In quei suoi grandi occhi ho visto solo una donna, a cui nessun destino è riuscito a togliere l’orgoglio, la voglia di vivere, di ricominciare, di lottare fino alla fine (…) Il secondo a parlare è stato Andrea, lui è finito in carcere giovanissimo e vi ha trascorso ben quindici anni della sua vita, mi ha fatto orrore pensare che quel tempo è più dell’età che ho io, adesso. Andrea, come tanti, si drogava, e anche lui lo faceva per sentirsi più grande della sua età, perché voleva dimostrare prima di tutto a se stesso di essere più forte della droga, sapeva bene che l’unica posta in gioco era la sua vita, eppure era convinto di poter dire no. Andrea è un assassino. Ma è anche un uomo. Il suo discorso mi ha convinta del fatto che, quando ha scritto la parola fine sulla vita di quell’uomo, anche la sua si sia spezzata per sempre, è questa l’unica e amara verità. Poi ha preso la parola Rachid, un ragazzo tunisino che a differenza di Paola e Andrea non è ancora uscito di prigione. La frase che più mi ha colpita del suo racconto è stata: “Dopo, non ricordo quando di preciso, volevo solo essere morto al posto suo…”. Rachid è in carcere per colpa di un coltellino e della mano che lo impugnava: la sua. (…) A voi che siete dentro, dico solo di non mollare mai, perché nella vita a tutti è concessa una seconda possibilità, niente è scontato. Ma sta a me, a voi, a noi scegliere se crederci o meno. Quello che di questa esperienza porterò nel cuore sarà il ricordo emozionante del loro coraggio, di persone che hanno sbagliato e che per questo hanno pagato, persone che hanno capito. Laura A., Classe 3aA Scuola media Andrea Doria - Roncaglia Giustizia: inferno carceri, Marco Pannella digiuna e chiede l’amnistia di Luigi Manconi L’Unità, 6 giugno 2011 Accadono molte cose, di questi tempi, in Italia, e alcune assai positive. E, tuttavia, resistono questioni rimosse, che si riproducono come tabù indicibili. Prendiamo la questione del carcere. Una condizione già degradata, rischia di degenerare ulteriormente per il vuoto di potere che, fatalmente si determinerà a seguito della sostituzione del titolare del ministero della Giustizia. Ma la situazione era già irreparabilmente compromessa. Per tre anni, il ministro Alfano, ha annunciato il varo di un mirabolante “piano carceri” che si è rivelato né più né meno che aria fritta. Basti pensare che il ministero ha rivendicato la realizzazione di duemila nuovi posti, mentendo due volte. La prima perché non si è avuto il buon gusto di spiegare che si trattava di un ampliamento di capienza programmato dal precedente esecutivo; la seconda perché si è omesso di ricordare che quei “duemila nuovi posti” sono tutti e solo sulla carta. L’ineffabile sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati (che Dio l’abbia in gloria), a una precisa domanda, ha risposto testualmente che “beh, sì, se sono stati fatti nuovi posti, vuol dire che ci avranno messo i detenuti” (cosa in realtà non accaduta a motivo della carenza di personale). Dunque, il quadro generale è quello noto: sovraffollamento, scadimento di tutti i servizi, emergenza sanitaria, crescita dell’autolesionismo (tra detenuti e agenti). Ma la novità, l’antichissima e sempre inedita novità, è un’altra: sta nel fatto che la politica nazionale continua a ignorare il carcere, come sempre, ma con una sorta di nuova improntitudine. Come è possibile? Come si fa a tollerare che in un ambito del nostro sistema istituzionale, in uno spazio della nostra organizzazione statuale, in una piega scura dell’assetto della nostra vita sociale, si consumino tanta violenza e tanto dolore? E perché il solo Marco Pannella sembra trovare ciò intollerabilmente scandaloso? Forse non è proprio l’unico a scandalizzarsi, ma è solo Pannella (in sciopero della fame da 46 giorni) a spiegare, con le parole e gli atti, che il sistema penitenziario è una priorità assoluta. Sia perché è il deposito ultimo di tutti gli effetti della crisi del sistema della Giustizia; sia perché, ormai da due decenni, il carcere è diventato la principale agenzia di stratificazione sociale. Ovvero lo strumento di controllo dei conflitti e delle devianze e di mediazione delle diseguaglianze tra i gruppi e le classi e, in particolare, tra inclusi ed esclusi e ì tanti che oscillano tra le due condizioni. In questa situazione, Pannella pronuncia la parola impronunciabile: amnistia. Sembra qualcosa di oltraggioso ed è, niente più, che un ragionevole, ragionevolissimo, provvedimento di “salute pubblica”. Giustizia: Ucpi; situazione drammatica nelle carceri, proseguiamo sciopero della fame Dire, 6 giugno 2011 Prosegue lo sciopero della fame indetto dalla Giunta dell'Unione delle camere penali "per protestare contro la drammatica situazione in cui versano le carceri italiane". Ha iniziato il primo giugno il presidente dell'Ucpi Valerio Spigarelli e proseguiranno a staffetta ogni giorno tutti i componenti della Giunta. Domani digiunera' Renzo Inghilleri, membro della giunta dell'Unione e gia' presidente della Camera penale di Novara. L'iniziativa, che fa seguito a quella del leader radicale Marco Pannella, in sciopero della fame da oltre un mese anche per denunciare le incivili condizioni delle carceri, sta coinvolgendo molti degli iscritti alle Camere penali territoriali. L'elenco completo degli aderenti è pubblicato sul sito dell'associazione. Giustizia: Uil-Pa; sistema carceri disastrato, presto finiranno soldi per il vitto dei detenuti Adnkronos, 6 giugno 2011 “Restituire dignità e diritti a chi lavora per lo Stato nel grigiore delle galere e a restituire civiltà e salubrità ai luoghi di detenzione”. L’appello è contenuto in una lettera inviata dal segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, al ministro della Giustizia Angelino Alfano, sulla situazione in cui versa il sistema carcerario italiano. “In attesa delle annunciate riforme epocali - si legge nella lettera - ci accontenteremmo di utili interventi a sostegno del disastrato panorama carcerario. In attesa della prossima delibera del Governo (la terza) dello stato di emergenza penitenziaria sarebbe il caso di impedire i tagli lineari. Si restituisca al servizio operativo delle frontiere penitenziarie qualche unità delle tante che ingolfano Via Arenula. Ci accontenteremmo - continua la lettera - che si garantisse almeno il sostentamento dei detenuti, considerato che a settembre non ci saranno più nemmeno i soldi per dar loro da mangiare”. “Si destini qualche milioncino per impedire il crollo delle tante degradate strutture. Analogamente - si legge ancora nel testo - sarebbe apprezzata un’attività legislativa realmente volta a deflazionare le presenze”. Nella lettera, infine, si fa riferimento al cambio di guardia nel ministero di Via Arenula dopo la nomina di Alfano a segretario del Pdl. “La esortiamo a spendersi perché il prossimo ministro della Giustizia sia un politico che possa, voglia, contribuire alla crescita civile del nostro Paese”, conclude Sarno. Giustizia: i borghi abbandonati? trasformiamoli in carceri di Giovanni La Varra (Docente di Architettura e Società del Politecnico di Milano) www.linkiesta.it, 6 giugno 2011 Il sovraffollamento delle carceri italiane è problema ben noto. Come risolverlo? Giovanni La Varra, architetto e urbanista, propone di non consumare nuovo suolo per costruire edifici carcerari, ma di utilizzare invece le centinaia di borghi abbandonati in giro per la Penisola. Utopia? Non necessariamente, se ci fosse la volontà politica. Si potrebbe anche partire dalla Costituzione. Perché l’art. 9 stabilisce che la Repubblica “tutela il paesaggio”, mentre l’art. 27 recita: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Come è noto le carceri italiane “scoppiano” per usare un termine che sintetizza malamente un problema drammatico. Il che vuol dire che dove ci dovrebbero stare 45.000 detenuti ce ne stanno 69.000, e stanno stretti in strutture antiche, desuete, spesso inadatte a svolgere un ruolo delicato come quello di offrire un ambiente favorevole alla ricostruzione di se stessi. Come è anche noto, l’Italia è attraversata da un fenomeno - abbastanza unico nel territorio europeo - di forte spopolamento dei borghi di piccole dimensioni. Sugli appennini o nelle prealpi, sono ormai più di 300 i “borghi fantasma” per usare un’altra formula ad effetto. D’altra parte, il Governo ha allo studio un nuovo Piano Carceri che dovrebbe riprodurre modelli di edilizia carceraria già consolidati e costruire una ventina di nuovi penitenziari più una decina di nuovi padiglioni in penitenziari esistenti. Se provassimo a guardare congiuntamente i problemi dell’affollamento carcerario e quelli del disagio abitativo che costruisce borghi fantasma e paesaggi in abbandono, forse potremmo provare a immaginare una nuova forma di spazio carcerario che non riproduca solo modelli di recinti e padiglioni da piazzare ai margini delle grandi e medie città, ma piuttosto una forma di borgo - carcere per la creazione di un nuovo ambiente dove scontare la pena, un luogo che offra una maggior ricchezza all’esperienza della costrizione e, elemento non secondario, un nuovo presidio del territorio e del paesaggio. Il fenomeno dei borghi fantasmi ha una origine lontana. Già durante il miracolo economico la “discesa a valle” della popolazione aveva creato i primi nuclei di case e territori “freddi”. Ma negli ultimi anni il processo ha visto una accelerazione repentina. È un fenomeno che riguarda tutta l’Italia, con alcuni picchi significativi, ma che vede una diffusa distribuzione di villaggi senza abitanti. L’abbandono degli abitanti è abbandono del paesaggio: più nessuna attività agricola e di pascolo che disegni e controlli l’evoluzione dello spazio aperto, più nessuno che taglia i boschi o cura gli argini. In un paese costituzionalmente fragile come il nostro, stanno sparendo alcuni importanti presidi delle dinamiche naturali e antropiche del territorio, con conseguenze che potranno essere misurate nei prossimi anni di fronte a nuove manifestazioni di crisi idrogeologiche o ambientale. A fronte di questi immensi territori disponibili, sarebbe il caso di valutare se, all’interno del Piano Carceri, non valga la pena di ipotizzare uno o più esperimenti di recupero di questi borghi fantasma per centrare un doppio obiettivo. In primo luogo offrire un ambiente per scontare la pena che abbia una sua complessità interna naturale e che possa così contribuire a offrire - per i detenuti ma anche per chi lavora o presta servizi essenziali all’interno del carcere - uno spazio più stimolante, che recuperi la forma urbana del borgo come ambiente di vita comunitaria, luogo di scambio e di confronto. Si tratta in sostanza di selezionare alcune traiettorie di pena che possano avere intenzione di investire in questo progetto. Che è un progetto che può funzionare solo se viene sposato da tutte le componenti che “abitano” il carcere: dai detenuti ai loro parenti, dalle guardie a chi presta assistenza. In secondo luogo, si tratta di offrire un’occasione per la ricostruzione di un paesaggio in abbandono, per tornare a occuparsi di agricoltura, pastorizia, manutenzione di luoghi delicati in cui la dimensione antropica deve essere mantenuta in tensione con quella naturale. I detenuti stessi potrebbero essere coinvolti in questo lavoro di manutenzione, coltivando attitudini proprie o conquistando nuove competenze che potrebbero poi essere spese una volta tornati alla vita in società. È una proposta i cui limiti vanno però considerati con realismo. La sicurezza innanzitutto. I borghi non sono recintati, anche se spesso la loro posizione nel territorio li rende naturalmente protetti o proteggibili. Ma è in ogni caso possibile studiare forme di recinzione che garantiscano la sicurezza della funzione che un carcere deve svolgere ma anche sperimentare nuove forme di controllo elettronico che il Ministero di Grazia e Giustizia sta valutando (il braccialetto elettronico) e che in un luogo come il borgo - carcere potrebbero avere una ragione specifica di utilizzo. L’accessibilità in secondo luogo. Molti borghi sono caduti in abbandono anche per la loro posizione periferica. Ma la diffusione del fenomeno è tale che oggi abbiamo borghi in abbandono nell’appennino parmense o abruzzese che sono a meno di 40 km da strade di grande percorrenza. Se inoltre i borghi - carcere fossero destinati a ospitare la custodia definitiva piuttosto che quella cautelare, sarebbe ridotta la necessità di “traduzioni” che non sono altro che il costoso sistema di trasporto in sicurezza del detenuto alla sede del processo. Ed è anche ipotizzabile che sarà sempre più diffusa una forma di presenza a distanza che, attraverso collegamenti digitali, permetta al detenuto di seguire il processo e parteciparvi attivamente senza necessariamente esserci fisicamente, cosa che impegna costi e personale del Ministero che ben altrimenti potrebbero essere utilizzati. Infine, l’effetto nimby (not in my backyard), che oggi riguarda alcune delle grandi funzioni di cui il nostro territorio ha disperatamente bisogno. È vero che un carcere può provocare reazioni nelle comunità che vivono quel territorio. E intorno ai borghi in abbandono troviamo, oltre ad altri borghi “vuoti”, anche situazioni abitative consolidate che però vivono anch’esse immerse in una lenta dinamica di rallentamento sia in termini economici che demografici. Ma è proprio in questi territori che una nuova funzione importante come un carcere potrebbe essere rilevante. Il carcere, a suo modo, rappresenta una economia. Una economia che riguarda servizi per chi lavora all’interno, per le visite dei parenti, per quell’ampio numero di persone che afferiscono al carcere per insegnare, curare e sostenere i detenuti. In sostanza il carcere potrebbe essere un elemento di inversione di tendenza per un intero territorio, oltre magari a garantire quella nuova massa critica che potrebbe anche far si che ricompaiano servizi minimi quali la farmacia e le scuole, che sono spesso le finzioni sentinella che segnalano l’inizio del degrado e il prevedibile abbandono. Le nuove forme di Welfare State del futuro non potranno più basarsi su un rapporto diretto tra bisogni e risorse. Abbiamo certamente bisogno di nuove carceri, e abbiamo anche la necessità di tornare a occuparci della manutenzione del paesaggio e dell’ambiente non solo quando questo rappresenta un valore riconosciuto dal turismo. E il territorio italiano ha bisogno, oggi più che mai, di sperimentare nuove visioni del futuro, con coraggio e realismo. Giustizia: processo per la morte di Stefano Cucchi; in aula i racconti di sette testimoni Dire, 6 giugno 2011 Ancora un’udienza del processo che, davanti alla III Corte d’assise di Roma presieduta da Evelina Canale, si occupa della morte di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni fermato dai Carabinieri per droga il 15 ottobre 2009, al Parco degli Acquedotti di Roma, e morto il successivo 22 mattina nella struttura di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini. Sette i testimoni citati oggi dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, tra cui un giovane detenuto nelle celle del Tribunale di Roma lo stesso giorno in cui Cucchi fu sottoposto all’udienza di convalida del suo arresto. E poi un medico, due volontari di Villa Maraini e il primario dell’ospedale, Figlie di San Camillo, dove lo stesso Cucchi sarebbe stato ricoverato più volte in passato. Proprio il giovane detenuto nella cella accanto a quella di Stefano Cucchi (citato anche dall’allora avvocato, Giorgio Domenico Rocca, nominato d’ufficio), durante la deposizione racconta di averlo sentito battere a lungo alla porta chiedendo del metadone. Dopo circa un’ora, secondo quanto riferito dall’allora detenuto, gli agenti della Polizia penitenziaria hanno aperto la finestrella della cella, per chiedere “cosa gli serviva - racconta ancora - lui rispose che voleva il metadone, che gli avevano tolto la terapia. Poi lo portarono in udienza e in cella Cucchi non tornò più”. Tra le testimonianze previste per oggi, anche quella di Luciano Pagliari, direttore del dipartimento di emergenza dell’ospedale Figlie di San Camillo. In particolare il medico rivela che dal 2000 e fino al 2009, anno in cui poi è morto, Stefano Cucchi andò al pronto soccorso dell’ospedale romano circa 20 volte. “Un giovane dal vissuto complicato - ricorda di lui Pagliari - La tipologia è chiara: si tratta di persone con scarsa capacità di autocontrollo con tendenza alla violenza”. Pagliari, poi, racconta l’incontro personale con Cucchi che, secondo quanto riferito, è avvenuto una sola volta “nel luglio 2009. In genere lui arrivava la notte, ricordo che una volta uno dei miei medici fu costretto a far intervenire la pubblica sicurezza a causa dei comportamenti violenti. Cucchi ha sempre rifiutato le terapie e le indagini mediche - aggiunge - Quasi sempre si allontanò dall’ospedale senza essere regolarmente dimesso. Chiedeva farmaci che aggiunti a quelli che assumeva aiutassero il suo percorso sofferto. Da cartelle cliniche era definito paziente epilettico che mescolava medicine in maniera bizzarra e pericolosa”. Le persone imputate nel processo per la morte di Stefano Cucchi sono dodici: i sei medici che ebbero in cura il giovane (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e tre agenti della polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). Secondo l’accusa, rappresentata dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, Stefano Cucchi è stato picchiato nelle camere di sicurezza del Tribunale in attesa dell’udienza di convalida. A nulla valsero le sue richieste di farmaci, mentre in ospedale fu reso incapace di provvedere a se stesso e lasciato senza assistenza, tanto da portarlo alla morte. La prossima udienza si terrà il 22 giugno e sono attesi altri 10 testimoni. Lettere: prima Walter e ora Alessandro, due morti che indignano di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2011 Tra il caldo e la solitudine di una cella, il tempo che non passa mai. Certo, si può andare due ore all’aria e prendere il sole in una vasca di cemento, chiamata passeggi, oppure chiedere di andare in doccia e temporeggiare in corridoio salutando qualcuno. Ma si tratta sempre di due ore alla mattina e due al pomeriggio, mentre le rimanenti 20 ore della giornata si rimane in cella, a oziare. Alessandro Giordano, salernitano di trent’otto anni, solo due settimane fa aveva visto Walter, il suo compagno di cella, morire: entrambi, con lunghi percorsi di tossicodipendenza, non facevano altro che prendere la solita terapia di psicofarmaci fornita dall’infermeria del carcere. Che evidentemente non bastava per alleviare il loro malessere, tanto che forse inalavano il gas del fornellino per fuggire dalla realtà. Dopo la morte di Walter, la loro cella era diventata una scena da analizzare dalla scientifica che faceva indagini per conto del Tribunale. Pertanto Alessandro e l’altro compagno di cella erano stati trasferiti in un’altra cella al secondo piano, a fare le stesse cose che facevano nella cella di prima, e cioè nulla. In condizioni normali, guardare un amico morire è una cosa che ti segna per il resto della vita. In galera evidentemente le cose non funzionano così. La depressione prevale e il malessere ti rende indifferente ai rischi. Al punto che, solo dopo due settimane, Alessandro pare sia ritornato a sniffare gas nello stesso modo di Walter, e forse è morto nello stesso modo: un tentativo di staccarsi da questa realtà che l’ha portato a staccarsi dalla vita, se mai si possa chiamare vita quella che molte persone fanno qui dentro. Ora che la cella di Alessandro diventerà un luogo da analizzare da parte delle autorità giudiziarie, tutti si chiedono se il terzo ragazzo, dopo aver visto morire i due amici, sarà aiutato in qualche modo a uscire dall’isolamento e a trovare qualche motivo di speranza. Le opinioni sono diverse, ma alcune persone con i loro stessi problemi di tossicodipendenza, mi dicono che se la “cura” continua a essere prendere psicofarmaci e rimanere in branda a guardare il soffitto, il destino di queste persone è già segnato. Questi ragionamenti mi spaventano, ma so che almeno su una cosa hanno ragione: se quella del “a me non potrà capitare mai” è una leggerezza molto diffusa nella società di oggi, qui dentro, la convinzione di essere più forti del destino si mischia alla rassegnazione verso la disumanità del luogo in cui si è chiusi, facendo una miscela che, se non è esplosiva, è a volte disperata, come queste due morti che ci indignano. Lettera: chi è l’assassino di un carcerato ammazzato, suicidato, non curato, ignorato? di Vittorio Scialpi Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2011 Alla morte di mio figlio Graziano, il primo pensiero è stato quello che: “I padri non devono sopravvivere ai figli”. Apprendere la recente morte di un altro detenuto a Padova e, pensare ai loro genitori: fa stringere il cuore. Lo scopo della procreazione è di essere sostituiti nella vita dai figli, la morte di un figlio, specie se giovane, aggiunge dramma al dramma. I figli in carcere, proprio perché ci sono sottratti e caduti in disgrazia, sono particolarmente cari. Non hanno più importanza gli errori e i reati commessi e, nemmeno in alcuni casi, l’isolamento morale in cui la società a ragione o a torto li condanna: restano figli da aiutare in ogni modo e a qualunque costo. Ci si aspetta che lo Stato, così solerte e implacabile nell’esigere i doveri, lo sia altrettanto nel rispettare e garantire i diritti elementari delle persone di cui ha la custodia. Purtroppo non è così, la vita di un carcerato, ormai non vale più niente, avanza l’idea che un recluso non vale i soldi che si spendono per custodirlo. Chi è l’assassino di un carcerato ammazzato, suicidato, non curato, ignorato? Lo Stato, il Parlamento, La Magistratura, il sistema carcerario, la società? Mai come in questi casi, il titolo di un vecchio film francese del regista Andrè Cayatte: “Siamo tutti assassini”, rispecchia la drammatica realtà. Possiamo continuare a ignorare tante giovani vite spezzate, possiamo continuare a girare la testa da un’altra parte, solo perché non lo conoscevamo e per giunta era un recluso? Lettere: caro ragazzo della cella della morte, ho saputo della morte dei tuoi due compagni di Angelo Ferrarini Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2011 Caro ragazzo della cella della morte, ho saputo della morte dei tuoi due compagni di cella. Ti scrivo perché a volte una lettera può dire qualcosa, magari ti dice che là fuori qualcuno pensa a te. Tu sei un essere umano, solo ora, che ora pensa ai compagni morti. Pensi al gas e ci sono le ispezioni nella tua cella. Cosa può servire scriverti, non lo so. Ho pensato, dopo l’articolo di un detenuto, Elton, che forse poteva servirti. Per la legge “fai agli altri quel che vuoi facciano a te”, ti scrivo e basta. A me interesserebbe. Mi farebbe piacere. Non è detto che risponderei. Forse mi darebbe fastidio. Forse è un’intrusione la mia. Ed è pure comodo che lo faccia, così mi sento a posto. Ti chiedo scusa in effetti, perché non ti conosco e sto scrivendo a un simbolo, a un volto vuoto. Ma (non sono più giovane, ho due figli di 28 e 31) anch’io ho vissuto e qualche cosa ho visto. Fa piacere una mano che stringe la tua quando sei in discesa. Sono poche righe, poche parole e mi costano anche poco devo dire. È il mio mestiere, faccio l’insegnante. Vengo in carcere il mercoledì, a trovare alcuni detenuti che vogliono ascoltare delle storie, dei racconti. Leggiamo, parliamo, ascoltiamo. Qualcuno in cella scrive. Scrive dei brevi racconti della sua vita, quando era bambino e aveva una bella famiglia, oppure quando nessuno lo guardava e i genitori non gli parlavano, o peggio il padre lo picchiava. A cosa può servire scrivere, leggere, parlare? Sono azioni umane antiche. Sono azioni umane. Non puoi fare niente contro la morte, niente. Ma le parole dentro o fuori possono aiutare. Gli uomini le usavano per consolare e consolarsi, come la musica, le canzoni, una bella foto. Ti piace la musica, che canzoni ricordi? Le parole possono anche uccidere. Sono droghe, sono gas, sono armi. Forse parole diverse aiutano, come mangiare cose buone invece che veleno. Anche pensare fa male, e pensare da soli a volte non aiuta. Se vuoi pensare assieme a qualcuno, potresti scendere al mercoledì. Ancora per questo mese, poi riprendo in settembre. Noi siamo lì, nella prima aula del corridoio della Rotonda tre, mi pare che si dica così. Oppure scrivimi. Mi chiamo Angelo Ferrarini, Via Monti 5 A, Selvazzano (Padova). E se non vuoi non fa niente. Non è che mi sia indifferente, ma capisco che a volte non si ha voglia di niente. E poi in una stanza come quella. Solo ho letto della tua cella e sono passato a lasciarti due righe. Spero che ti mettano con qualcuno che ti aiuti. Sicilia: il Garante; “svuota-carceri” non ha avuto esito sperato, servono interventi incisivi Comunicato stampa, 6 giugno 2011 Fleres, Garante dei diritti dei detenuti su proteste in corso in alcune strutture penitenziarie siciliane. “Prendo atto dell’ennesimo gruppo di iniziative che si stanno svolgendo in alcune delle strutture penitenziarie della Sicilia e che hanno lo scopo di attirare l’attenzione sul problema, ormai patologico, del sovraffollamento e sulla crisi legata all’insufficiente assistenza sanitaria. Ho più volte denunciato il disagio dei ristretti ma anche del personale di polizia penitenziaria, che deve fare fronte a numerose emergenze, molte delle quali connesse proprio con il sovraffollamento. Mi auguro, ha proseguito il Sen. Fleres, che le manifestazioni di protesta, che in questo momento si stanno svolgendo in maniera pacifica, rimangano tali ed auspico un pronto intervento governativo più incisivo rispetto a quello previsto dalla legge 199/2010 che, di fatto, non ha avuto l’esito sperato”. Con riferimento alla nota del deputato regionale del Pd Pino Apprendi, il Sen. Fleres ha invece così replicato “A dispetto del suo cognome, l’on. Apprendi legge ed apprende poco. Alle sue gratuite accuse replico invitandolo a sfogliare il sito del Senato, le mie relazioni annuali, le decine di interrogazioni al ministro della giustizia e le centinaia di segnalazioni effettuate al Dap. Ma non basta: lo invito a fare un riflessione sul fatto che la criminalità non si sostiene solo nascondendo armi o riferendo segreti d’ufficio ma anche delegittimando le istituzioni che svolgono seriamente il proprio dovere anche contro certa burocrazia e certa politica insensibili al disagio dei reclusi. Invito, dunque, l’on. Apprendi ad essere più cauto ed a controllare bene le sue interessatissime quanto inconcludenti fonti, che potrebbero portarlo a “concorrere” incautamente nella commissione di clamorosi errori”. Il Garante Sen. Dott. Salvo Fleres Padova: detenuto muore dopo inalazione gas, 10 giorni fa stessa fine per compagno di cella Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2011 Alessandro Giordano, 38 anni, è morto ieri pomeriggio nel carcere “Due Palazzi” di Padova. Era originario di Salerno e stava contando una condanna, che sarebbe terminata nel 2014, per reati legati alla sua condizione di tossicodipendente. A termini di legge avrebbe potuto essere in “affidamento terapeutico”, invece era in cella - come altri 20mila tossicodipendenti - ed in cella ha lasciato la vita. Nella Casa di Reclusione di Padova, pur considerata una delle “migliori” d’Italia, questo è il quarto decesso avvenuto negli ultimi due mesi e tutte le vittime avevano meno di 40 anni. Un detenuto si è impiccato, gli altri 3 sono morti per avere inalato del gas ed in questi casi è difficile capire se la loro intenzione era quella di uccidersi, oppure quella di ricercare lo “sballo” sniffando butano. Dal 2000 ad oggi sono ben 1.821 le persone decedute nei penitenziari italiani; tra loro 651 si sono sicuramente suicidate, mentre i casi analoghi a quello di Giordano (dove l’intento suicidario non è certo) solo oltre 100. Ma forse non è un suicidio (Il Mattino di Padova) Alessandro Giordano, 36 anni, è stato trovato senza vita nella sua cella domenica pomeriggio. Sembrava si fosse tolto la vita col gas, ma due settimane fa è stato trovato morto un altro detenuto con le stesse modalità: in comune avevano lo stesso compagno di cella. È giallo sulla morte di Alessandro Giordano, il detenuto trentaseienne originario di Salerno, morto nella sua cella domenica pomeriggio. Il pubblico ministero padovano Paolo Luca, infatti, ha aperto un’inchiesta. Sembrava senza alcun dubbio un suicidio. Ma ora gli inquirenti sono cauti: il compagno, con il quale Giordano condivideva la cella, è lo stesso carcerato che, fino a due settimane fa, viveva con Walter Bonifacio, quarantunenne veneziano. Quest’ultimo, il 24 maggio scorso, si è tolto la vita, almeno ufficialmente. E con le stesse modalità di Giordano, ovvero inalando il gas di una bomboletta da campeggio grazie a un sacchetto di plastica. L’identità del carcerato non è stata resa nota: è certo, comunque, che domenica non ha dato l’allarme. Anzi quando le guardie penitenziarie si sono rese conto che Giordano stava male e sono entrate nella cella, il compagno ha gettato dalla finestra, attraverso le grate, la bomboletta e il sacchetto poi recuperati in cortile. Del caso si sta occupando la Squadra mobile guidata dal vicequestore aggiunto Marco Calì. La polizia scientifica ha eseguito tutti i rilievi nella cella. Aversa (Ce): ancora un decesso all'Opg, un uomo di 39 anni morto per sospetta setticemia Adnkronos, 6 giugno 2011 A renderlo noto è Dario Stefano Dell'Aquila, portavoce dell'associazione Antigone Campania e componente dell'Osservatorio nazionale sulla detenzione. "E’ la sesta morte nel 2011 – dice Dell’Aquila. Nel corso di quest'anno tre internati si sono tolti la vita suicidandosi, uno è morto per soffocamento e due sono morti per malattia. Nel cosiddetto manicomio criminale vi sono circa 300 internati, sofferenti psichici autori di reato sottoposti ad una misura di sicurezza. A questo punto, è evidente che quello di Aversa costituisce un caso di assoluta gravità per il quale chiediamo tanto all'amministrazione penitenziaria quanto al servizio sanitario regionale interventi immediati per garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria”. I precedenti decessi hanno riguardato dei suicidi: lo scorso 6 maggio un 33enne si è impiccato nella sua cella; l'11 aprile un romeno di 58 anni, recluso da circa otto anni, si impiccò nel bagno della propria cella; ancora prima, il 5 gennaio, un uomo di 32 anni, compì lo stesso estremo gesto. Quest'ultimo è stato il primo suicidio del 2011 nelle carceri campane. Nel pomeriggio del 9 maggio, invece, un uomo era morto per soffocamento. Sen. Marino: nell’Opg smarrito il diritto alla salute “Il diritto alla salute si è smarrito. In strutture come gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari gli internati non sono pazienti: manca tutto, la cura e l’assistenza sono state spazzate via dalla mancanza di risorse, a cui è seguito un inaccettabile degrado. Questa è la verità che emerge ancora una volta oggi dopo il decesso di un internato ad Aversa. Ho chiesto ai carabinieri del Nas in servizio presso la Commissione d’inchiesta di ottenere al più presto la cartella clinica e tutta la documentazione utile identificare il livello di intensità di cure che sono state offerte al paziente internato sin dall’inizio della malattia”. Così Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale dopo il decesso di un altro internato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. “Non si può ignorare che si tratta del sesto decesso in sei mesi - continua Marino - bisogna fare chiarezza per arrivare al superamento degli Opg. È per questo che la Commissione ha organizzato per giovedì 9 giugno il primo convegno nazionale dedicato interamente a questo tema, che coinvolgerà operatori e direttori degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ex internati, i rappresentanti dei Dipartimenti di Salute Mentale, i magistrati di sorveglianza, alcune associazioni e comunità che operano sul territorio, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria”. Palermo: nel carcere dell’Ucciardone ogni notte in scena la protesta dei detenuti Redattore Sociale, 6 giugno 2011 Nell’antico carcere ogni sera dopo le 23 i detenuti protestano per il sovraffollamento e il carovita dei generi di prima necessità. Gli avvocati si uniscono alle loro rivendicazioni e indicono per l’8 giugno lo sciopero della fame Da alcuni giorni dopo le 23 i detenuti reclusi nell’antico carcere borbonico dell’Ucciardone di Palermo urlano fino alla mezzanotte il loro disagio battendo nelle grate pentole e coperchi. Tra le motivazioni principali del loro disagio c’è, oltre al grave stato di sovraffollamento in cui si trovano (più volte denunciato), la carenza di personale, la mancanza di adeguati impianti di condizionamento e adesso pure il carovita dei prezzi di alcuni generi di prima necessità venduti all’interno dell’istituto penale. L’aumento dei prezzi di questi ultimi sarebbe legato all’aumento dei prezzi dei supermercati della zona dove l’amministrazione della casa circondariale si rifornisce. Secondo la direzione del penitenziario, la protesta sarebbe per lo più legata invece alle tematiche nazionali lanciate da Marco Pannella. Riguardo ai prezzi, l’amministrazione penitenziaria cercherà di valutare la possibilità di sostituire alcuni prodotti con altri che hanno dei prezzi più accessibili. Tre mesi fa era stato il sindacato di Polizia penitenziaria, il Sappe, ha puntare il dito sulle carenze di questo antico penitenziario lamentando la carenza degli interventi di manutenzione ordinaria, la mancanza di impianti di riscaldamento e la presenza di muffa nelle pareti delle celle. Il carcere Ucciardone, che è una delle 27 strutture presenti nell’Isola, fino a poche settimane fa ospitava 630 carcerati con circa 400 agenti in servizio. “Servirebbero almeno 100 agenti in più - aveva lamentato il Sappe. Il contratto prevede turni di sei ore mentre la media giornaliera è di otto e a volte ne svolgiamo 12 continuative”. Per il momento nella casa di reclusione il numero dei detenuti si è abbassato a 590 ma la situazione rimane ugualmente critica. A sostegno dei detenuti si sono mobilitati pure gli avvocati, che hanno aderito alla “staffetta del digiuno” promossa dalle Unione Camere Penali. La protesta farà tappa a Palermo, infatti, l’8 giugno, giorno in cui l’avvocato Carmelo Franco, componente della giunta nazionale, aderirà allo sciopero della fame. “La situazione è davvero critica - rileva l’avvocato. Diversi sono i problemi: dal sovraffollamento alle generali condizioni di disagio fisico e psichico in cui sono costretti a vivere i detenuti, come testimonia il crescente numero di suicidi. Da tempo l’Unione delle camere penali invoca una riforma del sistema penitenziario che concretamente possa rendere più umane le condizioni di vita dei detenuti, tutelandone soprattutto i diritti”. In merito alla protesta, un botta e risposta si è avuto tra il deputato regionale Pino Apprendi (Pd) e il garante regionale dei detenuti, Salvo Fleres. “Ho più volte denunciato le invivibili condizioni delle carceri siciliane, dopo averle visitate, in particolare, di quelle palermitane per il sovraffollamento e la carenza di igiene - ha detto Apprendi. Ho peraltro sollecitato il ministro Alfano a rendersi conto di persona delle condizioni denunciate. Lo stesso dicasi per il Garante dei diritti dei detenuti”. Puntuale è arrivata la replica del garante Fleres: “Invito l’onorevole Apprendi a sfogliare il sito del Senato dove ci sono le mie relazioni annuali, le decine di interrogazioni al ministro della giustizia e le centinaia di segnalazioni effettuate al Dap sulla situazione delle carceri siciliane”. Catania: detenuti in sciopero della fame, chiedono amnistia e trattamento più umano La Sicilia, 6 giugno 2011 Secondo giorno di sciopero della fame e “battitura dei ferri” (forchette e cucchiai contro le sbarre) per i detenuti del carcere di piazza Lanza che si sono uniti alla protesta avviata da Marco Pannella il 25 aprile scorso per ottenere amnistia e indulto. I carcerati di piazza Lanza hanno un milione di motivi in più per protestare, oltre la richiesta degli atti di clemenza al Guardasigilli. Essi vivono in uno stato di sovraffollamento che si fa sempre più insopportabile e la stagione calda che incombe renderà la loro vita ancora più difficile, anche perché le celle non sono certo dotate di aria condizionata. “In questo momento - informa il segretario del sindacato dI Penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra - a Piazza Lanza sono detenute 605 persone, una cifra enorme, se si pensa che la capienza è solo di 220”. Anche per gli agenti penitenziari il tenore di vita dentro quella vecchia e inadeguata struttura è insostenibile, tenendo conto che vi sono in servizio 248 agenti, contro i 435 prescritti in pianta organica. Le ridicole celle di piazza Lanza da lungo tempo non ospitato meno di 10 persone, con tutti i problemi di convivenza connessi. La protesta, pacifica, prosegue oggi. Ferrara: gli avvocati iniziano lo sciopero della fame a sostegno dell’iniziativa di Pannella www.estense.com, 6 giugno 2011 È iniziato questa notte lo sciopero della fame dell’avv. Franco Romani che terminerà alle ore 23.59: un giorno di astinenza dal cibo per attirare l’attenzione sui problemi attuali degli istituti carcerari. È stato Marco Pannella a promuovere l’iniziativa: il 29 maggio la giunta ha dichiarato lo sciopero della fame per 24 ore e i vari consiglieri si turneranno giorno per giorno. “È una battaglia di civiltà umana e giuridica” afferma l’avv. Franco Romani, che presenta la sua iniziativa insieme agli avvocati Antonio Salvatore, Saverio Stano e Irene Costantino. “Il nostro paese dovrebbe vivere sulla Costituzione e siamo entusiasti e fermamente convinti di partecipare per promuovere l’attuazione dell’articolo 13 e dell’articolo 25 della Carta che prevedono la rieducazione del condannato”. Lo sciopero della fame è organizzato a “staffetta” e l’avvocato Romani domani “passerà il testimone” a tutti i consiglieri e in seguito ai soci: “la commissione ferrarese, insieme a tutte quelle italiane, ha accolto con piacere la proposta e il Consiglio ha già disposto per aderire alla delibera Ucp”. “La questione del carcere - aggiunge il legale - viene discussa a partire dal 1995: prima sotto il profilo dell’eccessivo utilizzo di misure coercitive per le custodie cautelari, poi per il sovraffollamento. A proposito di quest’ultimo, nel 2009 la commissione Onu è rimasta sconcertata dalle condizioni del carcere milanese S. Vittore: “celle da 4 posti erano occupate da 8 persone che per poter sopravvivere degnamente dovevano darsi il cambio per stare in piedi. La capienza dei nostri carceri italiani sarebbe di 48 mila detenuti, mentre in realtà ne ritroviamo 74 mila. Con questo sovraffollamento come può essere possibile la riabilitazione di un detenuto?”. Ma se le carceri sono sempre più affollate, il numero degli agenti di polizia penitenziaria è insufficiente: “le guardie sono costrette a fare turni da incubo, senza che questi straordinari vengano pagati”. “La politica di oggi è poco acculturata - continua Romani - e non ha letto il libro di Beccaria del 1762 Dei delitti e delle pene: già allora nei tribunali inquisitori la certezza del delitto era corrispondente ad una certezza della pena in una società civile. Oggi questo non succede e con l’imposizione di sanzioni mostruose, nei carceri ci finiscono solo i poveretti”. “Il 70% di questi sono extracomunitari - incalza l’avv. Salvatore, la Bossi-Fini ha trasformato un problema di carattere politico in uno di ordine pubblico”. In questo scenario giudiziario Ferrara resta un’”isola felice”, con dati sotto la media nazionale ed una buona quantità di tossicodipendenti recuperati grazie all’azione del Sert. Ma “bisogna sfatare dei luoghi comuni” dice Romani: “nell’immaginario collettivo il carcere è visto come una pattumiera dove buttiamo chi commette reati, ma non ci rendiamo conto che chiunque potrebbe commetterli”. Torino: Osapp; detenuti tornano a dormire a terra in palestra, agenti assistono impotenti Ansa, 6 giugno 2011 “Nel carcere di Torino, dopo i suicidi (tre in un mese) 20 detenuti tornano a dormire per terra nella palestra dell’istituto, mentre il personale di Polizia Penitenziaria deve assistere impotente”; è quanto denuncia Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp, rammentando che condizioni simili presso la Casa circondariale “Lo Russo-Cutugno” di Torino si erano già verificate oltre un anno fa ed avevano destato sdegno e sgomento nell’opinione pubblico e nelle autorità politiche locali e nazionali. “Ciò nonostante, sul piatto della bilancia non pesa solo che l’istituto penitenziario torinese contenga 1.560 detenuti invece che 1.023 mentre, in penuria di fondi peri servizi di missione, gli sfoltimenti verso altre sedi sono diventati assai rari o anche che di poliziotti ce ne siano in servizio 600 invece che 900 - prosegue il leader dell’Osapp - ma anche il fatto che sono ripresi gli accompagnamenti in carcere degli arrestati in attesa delle udienze di convalida, ovvero il c.d. effetto porta girevole e con detenzioni improprie, che nel massimo durano 48 ore, e che il Ministro Alfano diceva di avere scongiurato definitivamente”. “Dopo il pronunciamento della Corte Europea di Giustizia contro il reato di clandestinità - indica ancora il sindacalista - a Torino non sono più disponibili i locali appositamente realizzati presso il Commissariato S. Paolo, per i quali il Comune aveva spesa circa 300mila euro con gli arredi resi disponibili dall’Amministrazione penitenziaria, per cui si è tornati al vecchio deposito in carcere di qualsiasi soggetto venga arrestato, con l’onere del successivo accompagnamento in udienza al già scarso personale del Corpo” “Tali condizioni, che come a Torino rischiano di verificarsi anche in altre sedi sul territorio nazionale - conclude Beneduci - hanno come comune denominatore l’assenza della politica dal carcere e come risultato il danno permanente alla dignità dell’uomo, sia esso detenuto o poliziotto, per cui il nostro appello è nuovamente rivolto alle forze sane e sensibili del Paese, per la realizzazione di un cambiamento sostanziale nell’attuale sistema penitenziario e nella organizzazione/considerazione del Corpo di polizia penitenziaria”. Savona: nuovo carcere; il sindaco di Cairo Montenotte incontra il Capo del Dap Ionta www.savonanews.it, 6 giugno 2011 Si è tenuto questa mattina a Roma il previsto incontro tra il Sindaco di Cairo, Fulvio Briano, ed il Commissario straordinario per le carceri, Franco Ionta, per realizzare un nuovo carcere nella Valbormida, alternativo alla pesante criticità del carcere savonese di Sant’Agostino. “Il Sindaco di Cairo Montenotte ha presentato la disponibilità per un’area di 10 ettari a Ferrania, zona la Marcella” conferma il promotore dell’incontro, il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, Donato Capece. “È una valida alternativa alla vergogna del Sant’Agostino di Savona, indegno per chi ci lavora e per chi sconta una pena (qualcuno addirittura in celle senza finestre!). Dopo un rimpallo durato oltre vent’anni, oggi sappiamo che non è previsto alcun nuovo carcere per Savona. E il presidente Ionta, nelle sue funzioni di Commissario straordinario per le carceri, si è riservato di assumere opportune determinazioni una volta chiarito l’impasse burocratico che fino ad oggi ha impedito la realizzazione di un nuovo carcere a Savona”. Capece denuncia ancora una volta che “il carcere di Savona è contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto ed espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Costruito per ospitare 36 posti letto, il Sant’Agostino ospita in media oltre 80 detenuti controllati da Agenti di Polizia Penitenziaria carenti in organico di 15 unità. Tutti dicono che serve un carcere nuovo a Savona ma nessuno concretamente lo vuole. L’incontro di oggi a Roma del Sindaco di Cairo, avv. Fulvio Briano, con il Commissario straordinario per le carceri, Franco Ionta, ci fanno sperare in una soluzione concreta alla grave criticità penitenziaria del S. Agostino di Savona”. Genova: polemica fra sindacati. Sappe: a Marassi non c’è stato nessun crollo Ansa, 6 giugno 2011 “Sul carcere di Marassi si diffonde allarmismo ingiustificato”, a dirlo è il segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sappe Roberto Martinelli che in una nota ridimensiona la notizia sul diffusa in mattinata dalla Uil-Pa sul crollo di alcuni solai all’interno del penitenziario di Genova. “I Baschi Azzurri di Genova - spiega - ci chiedono di precisare che quello che è avvenuto questa notte non è affatto un crollo strutturale della caserma ma una infiltrazione d’acqua che ha determinato danni al controsoffitto e, più specificatamente, a due pannelli di polistirolo. Parlare di crollo è quindi fuori luogo, a meno che non si cerchi strumentalmente di apparire sui giornali. Esattamente come è avvenuto qualche settimana fa, quando si è parlato di rivolte interne al carcere ed incendi nelle sezioni durante alcune proteste di detenuti, tutto senza che ciò fosse vero. Ognuno - aggiunge Martinelli - è responsabile di ciò che afferma. Tanto più quando la verità è assai diversa da quello che viene denunciato”. Brasili: l’ultimo verdetto per Cesare Battisti; pochi giorni e sarà libero? Apcom, 6 giugno 2011 Attesa per mercoledì la decisione finale del Supremo Tribunal Federal. O Globo: “La Corte confermerà decisione di Lula”. Cesare Battisti, il terrorista rosso, tempo una manciata di giorni e potrebbe tornare in libertà. La sorte dell’ex militante dei Pac verrà decisa entro il termine della settimana dai giudici del Supremo Tribunal Federal (Stf), che mercoledì esamineranno tutte le carte e decideranno sull’estradizione con sentenza definitiva. Secondo quanto si è appreso, è difficile che i giudici del Supremo Tribunal rivedano la scelta di Lula: l’orientamento della corte “è quello di mantenere la decisione dell’ex presidente e autorizzare la permanenza dell’ex attivista italiano in Brasile”. Così almeno la pensa l’autorevole quotidiano verdeoro O Globo. Secondo quanto riporta il giornale, Battisti si trova sempre nel carcere della Papuda a Brasilia, dove è detenuto da oltre quattro anni, in attesa della riunione della plenaria del Stf prevista per l’8 giugno. “È molto ansioso per il giudizio imminente e continua a prendere antidepressivi”, scrive sempre il quotidiano. L’ex presidente Lula, nell’ultimo giorno del suo mandato, lo scorso 31 dicembre, decise di negare l’estradizione in Italia di Battisti. “Ora il Stf valuterà se la decisione di Lula ha rispettato i termini dell’accordo di estradizione tra il Brasile e l’Italia - si può leggere sempre nell’articolo di O Globo. La tendenza del tribunale è di legittimare la delibera di Lula. Angola: avviato programma di formazione per guardie penitenziarie Agi, 6 giugno 2011 Il viceministro dell’Interno dell’Angola con delega ai penitenziari, Bamoquina Zau, ha ribadito il programma governativo di umanizzazione delle carceri del paese. Durante l’apertura del corso di base per guardie carcerarie, il viceministro ha sottolineato che prosegue il progetto di miglioramento e la riabilitazione delle strutture penitenziarie e, in particolare, la formazione dei quadri per rendere effettivo il miglioramento della qualità di vita dei carcerati. Il corso di base, che dura due mesi, è realizzato in collaborazione con istruttori cubani, nel quadro della cooperazione tra le istituzioni di polizia dei due paesi. I temi trattati nel corso sono: la sicurezza penale e l’ordine interno, la rieducazione penale, l’educazione morale e civica, e i diritti umani.