Giustizia: sovraffollamento delle carceri, un’emergenza umanitaria tutta italiana Apcom, 5 giugno 2011 Mentre in tutta Europa ci si interroga sulle criticità del sistema penitenziario e si adottano misure contro il sovraffollamento e, in qualche caso anche risolvendoli, l’Italia si distingue per un’assenza totale di progettualità. Un’anomalia che pesa continuamente sugli operatori di polizia e sulle condizioni che vivono i detenuti negli istituti italiani. Come non rammentare che nel bel paese si continui a far uso di propaganda a seguito del piano carceri con l’illustrazione dei “tre pilastri” (edilizia penitenziaria, deflazione delle presenze in carcere, assunzione del personale di polizia penitenziaria). A dirlo in una nota è Mirko Manna, Segretario Generale del Lisiapp il Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria. “In questi mesi - osserva il Segretario Generale Lisiapp - mentre in carcere si continua a morire e si rischiano rivolte ed evasioni, è calato il silenzio: niente sul piano dell’edilizia, che richiede circa 1,5 miliardi di euro di investimenti, il ddl Alfano sta producendo effetti modesti sul contenimento delle presenze, lo sblocco delle assunzioni di circa 500 agenti provenienti dalle forze armate è ancora poco malgrado si sconti una carenza di 6.000 poliziotti, cui si aggiungeranno almeno 2.500 circa pensionamenti nei prossimi 3 anni”. “Non servono - osserva poi Manna - le visite in carcere dei parlamentari, ridotte a mere operazioni d’immagine, né disposizioni tampone. Occorre un piano complessivo di intervento in grado di incidere sulla drammatica situazione delle carceri e l’avvio di una discussione parlamentare. Ma soprattutto occorrono investimenti, senza i quali ogni discussione si riduce a vile speculazione”. Circa 68.000 detenuti, a fronte di 45.000 posti disponibili, “rendono assai complessa, e in qualche caso precaria, la sicurezza e la vita negli istituti di pena, l’incolumità del personale e delle persone ristrette, come dimostrano le numerose risse, le aggressioni ai danni di poliziotti, i suicidi, i tentativi di fuga sventati solo grazie alla professionalità del personale di polizia penitenziaria”. Infine un appello al presidente Napolitano per il rispetto dell’art. 27 della Costituzione: “Confidiamo nella sua sensibilità istituzionale e personale affinché solleciti l’apertura di un una discussione parlamentare risolutiva. Siamo all’emergenza umanitaria e su questo terreno la politica dovrebbe mostrare serietà e capacità di azione. Finora solo parole e promesse dal sapore sempre più amaro”. Giustizia: in carcere preservando il rapporto genitori-figli, presentato uno studio Italia Oggi, 5 giugno 2011 Nessuna messa in discussione del fatto che chi è stato ritenuto colpevole sconti la pena in carcere. La necessaria precauzione è che questo periodo trascorra senza interrompere la relazione e il rapporto tra genitori e figli minori. L’interruzione di questo legame “genitoriale” è una delle cause principali, dicono le ricerche, che portano in carcere il minorenne diventato adulto. Nel far questo l’Italia è tra i paesi più avanzati, con una importante esperienza gestita da Bambinisenzasbarre, con la quale il Ministero della giustizia ha avviato progetti di assistenza ai minori e alle loro famiglie. Il quadro d’insieme del fenomeno, che solo in Italia interessa ogni anno circa 100 mila minori i cui genitori sono detenuti e che a livello europeo tocca quota 1,2 milioni, è stato fotografato nel primo rapporto presentato a Roma nelle scorse settimane. L’indagine, condotta nel 2009-2011 attraverso questionari rivolti a personale carcerario interno e volontari che assistono le strutture, e colloqui a genitori reclusi, ha interessato complessivamente 112 carceri italiane (pari al 53% delle complessive 213 che operano nel nostro territorio). Le regioni che hanno partecipato maggiormente sono state Valle d’Aosta, Basilicata, Trentino e Lombardia. Emerge come nella grande maggioranza dei casi (76%) nel delicato momento d’incontro tra minori e genitori in carcere non è presente personale adeguatamente preparato. Inoltre, nel 66% delle strutture esaminate manca una circolare che disciplini e detti regole condivise, cui il personale deve attenersi nel corso degli incontri familiari. Sia ai controlli prima dell’ingresso, sia durante la permanenza, i minori accettano la situazione. Le perquisizioni effettuate sui minori prima dell’ingresso al colloquio sono al 40% personali e al 29% con metal detector. I colloqui avvengono nella grande maggioranza dei casi di mattina (81%) e solo nell’8% dei casi tutto il giorno. Quanto alla frequenza, il 32% delle carceri prevedono otto e più incontri al mese, il 41% sei volte e il 27% quattro volte; la durata è nel 54% dei casi di 1 ora, nel 40% fino a 2 ore e nel 4% oltre 3 ore. Nel 59% delle carceri non è possibile far pranzare insieme genitori e minori (solo il 7%). Un dato emblematico riguarda la presenza di strutture adeguate per il colloquio genitori figli: il 65% delle carceri non ne è dotata. Le regioni più virtuose sono Emilia Romagna (83% delle strutture ne è dotata), Lazio (60%), Lombardia (58%). Sorprende la Valle d’Aosta che non ne ha alcuna. Guardando al futuro il rapporto evidenzia come sia necessaria un’attenta applicazione della disciplina nazionale presente che, a detta di Bambinisenzasbarre, è tra le più curate ed evolute sul piano europeo. Quel che serve sono risorse per supportare i progetti formativi e di assistenza oltre ad una maggiore sensibilità sulla cultura del recupero del rapporto genitore figlio soprattutto nel periodo in cui il primo sia detenuto. Giustizia: torturato perché confessasse, a 92 anni aspetta ancora le scuse dello Stato di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 5 giugno 2011 Sono 56 anni che lo Stato è in guerra con Luciano Rapotez. Sono 56 anni che il vecchio non molla. Ha passato la novantina, è pieno di acciacchi, ma non molla: vuole che qualcuno gli chieda scusa per i tre anni di galera e le sevizie che ha subito. Per ricordare a tutti che l’Italia, come torna a denunciare in questi giorni Amnesty International, non ha ancora riconosciuto (che vergogna!) il reato di tortura. Tutto cominciò a Trieste una sera nel gennaio 1955. Quando Rapotez fu fermato sotto casa da poliziotti assai maneschi che dopo avergli piantato una pistola nelle costole e tentato il trucco della “lev de fuga” (“Scappa, mi dicevano, scappa! Ma mi avrebbero abbattuto dopo due passi”) lo trascinarono in questura accusandolo di un delitto orrendo. Una lontana rapina avvenuta nel 1946 in una villa sul Carso, dove erano stati assassinati un orefice, la fidanzata e la domestica. Lui negò, disperatamente. Ma in quegli anni di tensione e di odio, era il “colpevole” ideale. Ex partigiano. Comunista. Un cognome che pareva slavo. Doveva assolutamente confessare. E come avrebbero riconosciuto più sentenze, venne massacrato: cinque giorni e quattro notti di pestaggi, senza acqua, senza cibo, senza poter chiudere un occhio perché sbattuto sotto lampade incandescenti. E poi le scariche elettriche ai genitali, i pestaggi, la messa in scena di un finto suicidio. Confessò. “Ero annientato. Avrei ammesso anche d’aver ucciso Giulio Cesare”. Restò in galera quasi tre anni. Finché, finalmente, arrivò il processo. E fu assolto. Insufficienza di prove. Altri tre anni di calvario, ed ecco, anche grazie a tre testimonianze che lo scagionavano, l’assoluzione piena. Col riconoscimento del “trattamento violento”, delle “sevizie”, delle “confessioni estorte”. Uscì dal carcere e cercò con gli occhi la moglie. Non c’era: “Erano anni durissimi, credeva che io fossi un assassino, doveva tirar su i bambini. Aveva trovato un altro. Oggi la capisco. Allora fu durissima”. Aspettò la conferma della sua innocenza in Cassazione e poi, schifato, emigrò in Germania. E ci restò vent’anni. Durante i quali cominciò a scrivere a tutti: presidenti della Repubblica, capi di governo, ministri della giustizia e degli interni... Voleva quello che oggi viene concesso a tante vittime della cattiva giustizia: un modesto risarcimento e una parola: “Signor Rapotez, scusi”. Risposte? Rare. E quelle rare sulla falsariga di quella dell’allora ministro della giustizia Paolo Francesco Bonifacio: “Risulta evidente che la domanda di riparazione dei danni conseguiti alla carcerazione preventiva sia assolutamente priva di fondamento allo stato della vigente legislazione”. E quando finalmente la legge che prevedeva un indennizzo alle vittime dei più macroscopici errori giudiziari venne approvata, nel 1979, il suo ricorso venne respinto: troppo tardi, le torture sono ormai in prescrizione. Una beffa. Un altro avrebbe maledetto tutti e si sarebbe messo l’animo in pace. Lui no. E grazie anche al libro-denuncia di Giorgio Medail e Alberto Bertuzzi “Il caso Rapotez” e all’aiuto di avvocati appassionati come il milanese Stefano Taurini (“è una storia così mostruosa che gli abbiamo sempre fatto pagare solo le marche da bollo”) ha tenuto duro facendo ricorsi su ricorsi fino a farsi riconoscere per due volte dalla Cassazione che aveva ragione lui. Tutto inutile. Al momento finale c’era sempre un magistrato che riportava il birillo indietro come nel gioco dell’oca: tornate alla casella di partenza senza passare per il via. Verdetti incredibili. Come quello in cui si legge: “Quand’anche fosse provata la commissione (della tortura) da parte dei funzionari di polizia, di quegli atti che avrebbero causato i lamentati danni, tali atti non avrebbero potuto imputarsi alla pubblica amministrazione perché non rivolti ai fini istituzionali di uno Stato democratico, sebbene ai fini personali ed egoistici di chi li pose in essere”. Finché un giudice arrivò a scrivere che sì, certo, la prescrizione per il risarcimento era stata interrotta fino al 1979 dal diluvio di lettere spedite a tutti, ma dal 1979? Era caduto tutto in prescrizione di nuovo. Alla fine degli anni 90, il vecchio aveva contato via via 31 passaggi giudiziari e 42 giudici coinvolti. Poi smise di contarli. Nel 2005, la fine di tutto, n ritardo nel deposito dell’ennesimo verdetto e l’ennesimo pasticcio burocratico chiuse le porte anche all’ultimo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Da allora, il vecchio Luciano si è dato un obiettivo ulteriore. Fare alla giustizia italiana un dispetto quotidiano: rimanere vivo. Per ricordare alle coscienze di questo Paese l’immensa ingiustizia subita. La regista Sabrina Benussi gli ha dedicato un film che sta girando in Italia. Dove con l’aiuto dell’attore e regista Moni Ovadia, del giudice (in pensione) Gherardo Colombo e dello storico Marcello Flores ha ricostruito l’agonia giudiziaria di Rapotez. Che nonostante tutto, cocciutamente, a 92 anni, continua a impugnare la Costituzione italiana: “È tutto qui dentro! Tutto qui dentro!” Al risarcimento ha rinunciato. A una sentenza che gli dia ciò cui ha diritto, cioè una riparazione della magistratura, anche. Gli basterebbe una parola, e oggi potrebbe dirla solo Giorgio Napolitano: “Signor Rapotez, ci dispiace”. Più ancora, però, vorrebbe vedere finalmente il riconoscimento del reato di tortura. Sul quale il Parlamento è latitante da anni. Proprio in questi giorni il cinquantesimo rapporto annuale di Amnesty International ricorda che “se l’Italia avesse introdotto il reato di tortura nel suo codice penale” ai poliziotti condannati anche in appello per le sevizie alla caserma Bolzaneto “la prescrizione non avrebbe potuto essere applicata”. “Se una sola tortura di meno si darà in grazia dell’orrore che pongo sotto gli occhi, sarà ben impiegato il doloroso sentimento che provo, e la speranza di ottenerlo mi ricompensa”, scriveva Pietro Verri nel 1777, dodici anni prima della Rivoluzione Francese, nelle sue “Osservazioni sulla tortura”. Sono passati 234 anni. Spoleto: suicida detenuto con problemi di salute, agenti chiedono l’intervento del ministero La Nazione, 5 giugno 2011 Detenuto si toglie la vita al carcere di Maiano. N. M. (le iniziali del suo nome), 53 anni si è suicidato venerdì scorso. Da quanto sembra, l’uomo era alle prese con problemi di salute. Gli addetti alla sicurezza, nonostante la sorveglianza, lo avrebbero trovato impiccato e a nulla è valso il loro disperato tentativo di salvarlo. Il cuore dell’uomo aveva già cessato di battere e il medico non ha potuto far altro che accertare l’avvenuto decesso. Il suicida si trovava recluso già da un po’ di tempo al carcere di Maiano e da quanto trapela doveva scontare una pena detentiva piuttosto lunga. Non è escluso che l’uomo possa essere caduto in una forte crisi depressiva che lo ha portato a compiere il tragico gesto. Della morte è stata data notizia ai familiari e nei prossimi giorni si dovrebbe tenere regolarmente il funerale. La notizia del suicidio ha fatto velocemente il giro tra gli addetti ai lavori che operano all’interno della struttura, ma anche tra i detenuti stessi. Si tratta di una caso limite, visto che fino ad oggi, episodi come quello di ieri, si sono verificati molto raramente. Negli ultimi tempi le condizioni di vita dei reclusi del carcere di Maiano sono notevolmente peggiorate, a causa dell’arrivo di nuovi detenuti che hanno portato la struttura a ospitare circa 700 unità. Come già noto e più volte sottolineato anche dai sindacati della Polizia Penitenziaria, la situazione relativa alla sicurezza è al limite, con gli agenti che operano in condizioni precarie. Sappe: troppi detenuti e pochi agenti: il ministero deve intervenire Il suicidio dell’ergastolano di 53 anni, detenuto nel carcere di Spoleto ha gettato nello sconforto anche la Polizia penitenziaria. Di tale stato d’animo si fa portavoce Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “La notizia - afferma infatti - intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della polizia penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità”. Capece fa poi un quadro sconfortante della situazione. “A Spoleto - sottolinea - mancano ben 72 agenti di polizia penitenziaria (dovrebbero essere 388, ve ne sono in forza 316) mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 680 i presenti a fronte di 450 posti letto regolamentari. E gli eventi critici in carcere sono notevoli: nel 2010 a Spoleto si sono contati 65 episodi di autolesionismo e 6 tentativi di suicidio sventati dal tempestivo intervento dei nostri agenti, la morte per suicidio di un detenuto e 65 sono stati i soggetti che hanno posto in essere ferimenti: 62 anche i detenuti che hanno protestato con sciopero della fame. Da questi dati - aggiunge Capece - emerge una volta di più quali e quanti sacrifici affrontano ogni giorno le donne e gli uomini della polizia penitenziaria di Spoleto per garantire vigilanza e sicurezza all’interno e all’esterno degli istituti di pena partecipando nel contempo alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti. Rinnoviamo dunque il nostro appello ai vertici del ministero della Giustizia e del Dap - conclude il sindacalista - affinché si intervenga concretamente sulle criticità penitenziarie, anche incrementando concretamente gli organici dei Baschi Azzurri in servizio a Spoleto”. Padova: detenuti e familiari in sciopero della fame, a sostegno dei Radicali Il Gazzettino, 5 giugno 2011 Sciopero della fame da parte dei detenuti del Due Palazzi e ora anche dei loro familiari. È la “protesta” a sostegno dell’iniziativa non violenta di Marco Pannella, da 45 giorni in sciopero della fame perché l’Italia “torni in qualche misura ad essere considerata una democrazia e affinché venga varato un provvedimento di amnistia indispensabile per il ripristino del funzionamento del sistema giudiziario e della legalità nelle carceri italiane”. Ieri sit-in dei radicali davanti al carcere con l’onorevole Rita Bernardini, Maria Grazia Lucchiari, del comitato nazionale radicali italiani, Irene Testa, del Detenuto Ignoto, e Ornella Favero di Ristretti Orizzonti. Hanno visitato la Casa di reclusione, dove i detenuti sono già stati per tre giorni in sciopero della fame, mentre alcuni dei familiari hanno deciso di iniziare adesso. Commenta Rita Bernardini: “Uno dei problemi maggiori è nel sovraffollamento. La casa di reclusione ospita 823 detenuti, molti di più degli oltre 400 previsti. In una cella da uno vengono rinchiusi tre carcerati. E per molti non c’è alcun tipo di attività. L’ottanta per cento, e tra questi alcuni ergastolani, resta anche 20 ore chiuso in cella a guardare il soffitto. È questo il recupero per il detenuto?” I tagli pesanti riguardano anche l’assistenza sanitaria. “Pochi, pochissimi medici - continua Rita Bernardini. Solo due psicologi per 823 detenuti. Un solo dentista. Non vengono più fornite né le protesi dentarie, né gli occhiali”. Il deputato radicale presenterà un’interrogazione alla Camera sulle condizioni dei detenuti a Padova, presto dovrebbe tornare Marco Pannella. Torino: contro l’inciviltà delle carceri, sciopero della fame dell’avvocato Manuela Deorsola La Stampa, 5 giugno 2011 L’avvocato Manuela Deorsola, oggi, non toccherà cibo. Il suo è un digiuno simbolico, un modo per ricordare i tre suicidi avvenuti nel carcere delle Vallette di Torino negli ultimi venti giorni. Ma non solo: un modo per ricordare le condizioni di estrema gravità in cui si trovano tutte le carceri italiane, strapiene all’inverosimile, senza mezzi e senza personale, tanto da creare condizioni inumane tra i detenuti che - sempre più spesso - scelgono di togliersi la vita. Questo avvocato torinese digiunerà perché fa parte della giunta dell’Unione delle Camere Penali, organismo che ha scelto questa forma di protesta seguendo l’esempio di Marco Pannella, a digiuno già da un mese per le stesse ragioni. “Abbiamo scelto questa forma di espressione perché ci sembra la più efficace - racconta l’avvocato Deorsola - Il primo giugno è partito il nostro presidente Valerio Spigarelli e, a staffetta, lo seguiremo tutti noi membri della giunta. Poi toccherà al coordinatore Alessandro De Federicis e quindi agli altri componenti dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali”. I penalisti italiani da tempo hanno fatto delle condizioni delle carceri italiane una delle loro battaglie principali. Studi e convegni vengono organizzati di continuo e l’anno scorso ognuna della Camere Penali aveva denunciato alla procura della Repubblica del proprio territorio le condizioni igienico sanitarie delle case circondariali. “Le condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti sono inumane - continua la futura digiunante. In altri Paesi, quando c’è il rischio sovraffollamento, si adottano provvedimenti svuota carceri che funzionano davvero, non come quello annunciato dal ministro Angelino Alfano che poi si è rivelato del tutto inefficace. In Scandinavia ci sono addirittura le liste di attesa: se le carceri sono piene, il condannato resta fuori finché non si libera un posto e solo a quel punto entra per scontare la sua pena. Da noi, invece, si muore”. Il Lorusso e Cutugno è una delle strutture meglio organizzate d’Italia, è un fatto assodato. Eppure gli ultimi tre suicidi, avvenuti proprio a Torino, lanciano l’allarme a livello nazionale. Il carcere ha una capacità di 998 posti. Attualmente le persone detenute sono 1.592. Si tratta del 60% in più del consentito. Tutto questo, ovviamente, si riverbera sulla vita carceraria, anche e soprattutto sugli agenti della polizia penitenziaria che da tempo lamentano un sottodimensionamento di organico che mette in pericolo tanto gli agenti quanto i detenuti (sono numerose le segnalazioni di ferimenti). Non solo. L’Unione delle Camere Penali lamenta che ormai in molte case circondariali gli scarsi mezzi economici impediscono qualunque attività lavorativa per i detenuti, il che rende praticamente impossibile perseguire l’obiettivo della rieducazione alla società civile che dovrebbe essere lo scopo della detenzione. Il prossimo 9 giugno l’Unione delle Camere Penali incontrerà il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e in quella sede esporrà al capo dello Stato tutte le preoccupazioni dei penalisti. Un altro incontro istituzionale è stato richiesto dalla Camera Penale Vittorio Chiusano del Piemonte Occidentale e della Valle d’Aosta al presidente della commissione Diritti Umani del Senato, il torinese Pietro Mercenaro. Le richieste degli avvocati sono che al più presto vengano predisposte una serie di iniziative legislative idonee per tutelare i diritti delle persone che si trovano rinchiuse e di contenere il sovraffollamento. “Purtroppo - ha scritto la giunta dell’Unione delle Camere Penali - il Governo e gran parte della politica sono sordi a queste richieste”. Fermo (Ap): il penalista Francesco De Minicis fa sciopero fame contro sovraffollamento Ansa, 5 giugno 2011 Digiunerà per 24 ore a partire da domani, aderendo alla protesta di Marco Pannella contro il sovraffollamento delle carceri, l’avvocato Francesco De Minicis, noto penalista del foro fermano. “L’Unione delle Camere penali italiane - ricorda De Minicis - denuncia da tempo la drammatica situazione delle carceri italiane. Il sovraffollamento cresce senza che alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione. Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti”. “L’Unione - seguita il professionista - ha più volte ribadito, anche negli ultimi anni, la necessità di predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti nelle carceri italiane e a contenere il sovraffollamento. Il Governo e gran parte della politica sono sordi a queste richieste”. “Marco Pannella - dice ancora De Minicis - è in sciopero della fame da oltre un mese anche per denunciare le incivili condizioni delle carceri. La giunta dell’Unione delle Camere penali italiane ha deliberato di far propria l’iniziativa del leader radicale e ha indetto uno sciopero della fame: ha iniziato il 1 giugno il presidente Valerio Spigarelli e a staffetta coinvolgerà ogni giorno tutti i componenti di giunta. Domani sara il mio turno, quale membro marchigiano della giunta Ucpi, e con questo piccolo, simbolico gesto intendo in particolare sottolineare lo stato di grave disagio in cui versa anche la popolazione carceraria della nostra regione”. Salerno: i Radicali manifestano davanti al carcere, chiedono “Amnistia per la repubblica” La Città di Salerno, 5 giugno 2011 “Amnistia per la repubblica” è il messaggio che i Radicali Italiani, della sezione salernitana, hanno voluto lanciare, ieri, davanti alla casa circondariale di Fuorni. “È da ormai ventuno anni che questo paese non concede l’amnistia. In passato la morte di un papa significava, anche, la liberazione di alcuni detenuti, con provvedimento di clemenza a carattere generale, con il quale, il presidente della Repubblica, stabiliva l’estinzione della condanna per i reati commessi - ha spiegato Donato Salzano. Sono passati già sei anni dalla morte del papa santo, che si inginocchiò in parlamento, per richiedere l’amnistia e ancora non si è mosso nulla. Chi può ricorre alla prescrizione, ma, la maggior parte dei detenuti, permane nelle carceri, in condizioni psicologiche e sanitarie non sempre ottimali”. Per alimentare questo appello, i Radicali della sezione salernitana, hanno voluto aderire allo sciopero della fame, lanciato da Marco Pannella. “Nella provincia di Salerno sono 391 le persone che, hanno scelto di aderire alla protesta, lanciata da Pannella. Tra questi rientrano i familiari dei prigionieri, gli operatori delle carceri e tutti i cittadini sensibili alla questione. - ha chiarito Salzano - Anche la sezione tossicodipendenti ha scelto di prendere parte allo sciopero, spedendo due lettere consecutive al “Gruppo Consiliare Socialista” del Comune di Salerno, indirizzate a Marco Pannella e ai Radicali salernitani”. Trani: protesta nell’ex reparto di massima sicurezza; arrivano i Gom, trasferiti 28 detenuti Ansa, 5 giugno 2011 Momenti di tensione venerdì sera nel carcere di Trani per una protesta rumorosa di una trentina di detenuti nell’ex reparto di massima sicurezza. Lo riferisce in una nota il vice segretario generale nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli. Venerdì sera, nell’ex reparto di massima sicurezza, sul lato sinistro dei piani superiori, si è verificata una vera e propria rumorosa sommossa messa in atto ai danni della polizia del reparto. Ad innescarla 28 detenuti. La protesta dei carcerati si è protratta per alcune ore ed è stata sedata solo grazie all’intervento della squadra di pronto intervento dei baschi azzurri, formata da circa quaranta uomini. I promotori della protesta sarebbero stati invece già individuati e trasferiti dalla stessa casa circondariale di Trani in alte carceri. L’Osapp sottolinea la difficile situazione, causa ad esempio il sovraffollamento, che la polizia penitenziaria si trova a gestire nelle carceri pugliesi. A questo si aggiunge, sostiene il sindacato, il problema del mancato pagamento, da marzo 2010, delle missioni e dei servizi di trasferimento dei detenuti al personale di polizia penitenziaria. Cagliari: allarme sanità a Buoncammino, inattuato il passaggio di consegne Stato-Regione L’Unione Sarda, 5 giugno 2011 Da otto mesi il passaggio di competenze della Sanità penitenziaria dallo Stato alla Regione è bloccato sul tavolo del Consiglio dei ministri. Ancora poche settimane e a Buoncammino sarà emergenza sanitaria. I fondi regionali in esaurimento costringeranno il direttore del carcere cagliaritano, ma la storia è identica nel resto della Sardegna, a tagliare le prestazioni mediche ai detenuti. Un film drammatico visto troppe volte negli istituti di pena dell’Isola. Un disastro, anche perché a ridosso dell’estate i problemi dietro le sbarre aumentano in modo esponenziale. L’Isola è l’unica in Italia a non aver ancora completato il passaggio della Sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia alla Regione. Un procedimento inspiegabilmente arenato nelle sabbie mobili del Consiglio dei ministri da oltre otto mesi. A Buoncammino la situazione è a rischio collasso. Il direttore Gianfranco Pala è preoccupato. “Ancora poche decine di giorni e i pochi spiccioli che sono rimasti in cassa, destinati a curare e assistere i reclusi, finiranno”. Cosa succederà? “Quello che è accaduto le altre volte: sarò costretto mio malgrado a chiudere i rubinetti”. Tradotto? “Tagliare le prestazioni ai detenuti in attesa che arrivi un finanziamento regionale che per il momento esiste solo a chiacchiere”. Il responsabile medico del carcere Matteo Papoff lancia l’allarme. “La situazione è di piena emergenza: la presenza di numerosi tossicodipendenti, Hiv positivi, malati psichiatrici, cardiopatici, portatori di epatiti croniche rende potenzialmente esplosiva la situazione negli istituti di pena dell’Isola; in aggiunta, il protrarsi nel tempo della situazione di provvisorietà in assenza di adeguate risorse finanziarie per garantire standard sanitari assistenziali minimi, contribuisce a creare difficoltà aggiuntive alla gestione globale degli istituti penitenziari”. Per Papoff i problemi si risolvono con il passaggio della Sanità penitenziaria alla Regione. “La Sardegna deve finalmente completare il percorso normativo, al fine di evitare equivoci sulle competenze in ambito sanitario e perché venga garantito pienamente il diritto alla salute negli istituti del distretto”. La Regione cerca di tappare la falla con un provvedimento tampone. “La Regione ha stanziato 700 mila euro per l’assistenza medica ai detenuti”, spiega Tonino Dessì, capo di gabinetto dell’assessorato di via Roma. “C’è solo un problema tecnico , che verrà risolto lunedì”. Quando saranno disponibili i soldi? “I tempi sono lunghi, ma non per colpa nostra. La determinazione, comunque, consentirà ai direttori di ottenere crediti”. Bergamo: “Il carcere è un nostro reparto”, in via Gleno arriva la telemedicina L’Eco di Bergamo, 5 giugno 2011 “Il carcere? Io lo considero un nostro reparto”. Parole del direttore generale dei Riuniti Carlo Nicora, che riassumono bene ciò che è accaduto alla sanità penitenziaria negli ultimi due anni: una rivoluzione. Perché le competenze sono passate per legge dal dipartimento della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. I numeri: sette i medici in servizio, con rapporto libero professionale in tre turni che coprono le 24 ore; nove infermieri dipendenti dell’azienda ospedaliera che garantiscono una presenza di 35 ore/die (prima erano 28); servizio di radiologia disponibile 24 ore su 24; fino a quattro prestazioni specialistiche al giorno; 40 i ricoveri ogni anno, un terzo in Psichiatria; 1,1 milioni di euro d’investimento annuo, il 30% coperto con fondi propri. Il coordinamento del servizio è affidato al dottor Francesco Bertè (già direttore sanitario prima della riforma), la supervisione al primario del Pronto soccorso Claudio Arici. È stata inserita anche la figura del coadiutore amministrativo. Tra le novità introdotte negli ultimi tempi l’installazione di una rete informatica per gestire esami, consulenze, comunicazioni con l’azienda ospedaliera, il potenziamento delle linee telefoniche, l’introduzione del fax e l’acquisizione dell’aggiornamento del programma informatico di gestione del diario clinico dei detenuti. Sul piano diagnostico è stato acquisito un analizzatore di campione ematico che permette la diagnosi precoce dell’infarto, l’introduzione dei test di screening oncologico, in particolare il pap-test e la mammografia. “Per il futuro - spiega Nicora - abbiamo in progetto l’installazione nell’ambulatorio maschile dell’elettrocardiografo collegato con il sistema Muse, che permetterà di inviare il tracciato elettrocardiografico per via telematica all’Azienda ospedaliera, che in tempi celeri restituirà il referto. In programma abbiamo anche la teleradiologia, per la quale bisognerà aspettare il trasloco nel nuovo ospedale, quando si renderanno disponibili le apparecchiature da trasferire nella Casa circondariale. Inoltre, abbiamo presentato istanza per l’accreditamento del poliambulatorio della Casa circondariale per certificare la qualità dell’attività svolta”. Roma: a Rebibbia detenuti scrivani e addetti a call center, i lavori per inviare soldi alle famiglie Il Tempo, 5 giugno 2011 I detenuti possono lavorare. Ma devono guadagnarsi la fiducia degli agenti. Sono per lo più i carcerati con una pena a lungo termine (minimo cinque anni) ad accedere al lavoro. Vengono scelti secondo una precisa graduatoria analizzata da una commissione: anzianità di disoccupazione e carico familiare sono le variabili principali. Quando i soggetti hanno l’ok devono ottenere l’ultimo lasciapassare dal Got, il Gruppo osservazione e trattamento. Infine si decide se possono essere impiegati dentro o fuori dal carcere. Tra le mura dell’istituto lavorano in 230 circa. Molti contribuiscono al fabbisogno della struttura facendo i distributori della spesa, i magazzinieri, i facchini, i porta pranzi e i porta pacchi o i cuochi. Altri, invece, analizzandone le capacità tecniche, possono fare anche gli elettricisti, falegnami, pittori, muratori, giardinieri, bibliotecai, scrivani o i sarti. Ad alcuni carcerati (20) è affidato il call center 1254 della Telecom che si trova nel reparto G8. Mentre, nella sezione alta sicurezza, altri sono impiegati dalla Società Autostrade per visionare le immagini dei Telepass e segnalare le infrazioni. È ovvio però che i lavori più ambiti sono esterni al carcere. Sono svolti da circa cento “fortunati” alle dipendenze, per esempio, di Officine Fabbri. Tutti ricevono uno stipendio che viene riversato in un conto corrente virtuale sul quale possono operare comprando alimenti extra o spedendo soldi alla famiglia. Non solo lavoro. All’interno del complesso i detenuti possono effettuare diverse attività ludiche. Sport (come la corsa o il calcio), teatro, seguire un corso di giornalismo, di disegno, di yoga o di cucina. Possono distrarsi col cineforum o andare in chiesa. E per chi ne ha voglia c’è la possibilità di frequentare la scuola. A Rebibbia ci sono l’elementare, le medie inferiori e superiori. E per i corsi di laurea non manca un collegamento video con l’Università Roma Tre Cosenza: l’Ugl scrive al Prefetto; nella Casa circondariale violati gli accordi sindacali Quotidiano di Calabria, 5 giugno 2011 La segreteria regionale dell’Ugl della Polizia Penitenziaria della Calabria ha inviato una lettera al Prefetto di Cosenza per segnalare che “la situazione della casa circondariale e della locale direzione che delegittima, con la sua azione, le prerogative sindacali”. “Il direttore - prosegue la lettera - della Casa Circondariale di Cosenza, Filiberto Benevento, è solito adottare provvedimenti di notevole importanza, connessi all’organizzazione del lavoro del Corpo di Polizia Penitenziaria, in modo unilaterale, ovvero senza il previsto e necessario confronto con le parti sindacali, salvo poi fornire scarne informazioni alle stesse parti, omettendo un passaggio fondamentale: la convocazione. Ma non è tutto. Si assiste, impotenti, alla sistematica alienazione dei diritti di buona parte del Personale e alla violazione di accordi sindacali vigenti e di recente sottoscrizione al solo scopo di salvaguardare solo una parte di personale”. “A tal proposito, in questi giorni, dinnanzi alla necessità - prosegue l’Ugl - di garantire la fruizione delle tanto agognate ferie estive a tutto il personale la direzione della casa circondariale di Cosenza sembrerebbe orientata ad istituire turni distribuiti su 3 quadranti orari (ossia da 8 ore giornaliere) in taluni posti di servizio ritenuti erroneamente privilegiati e con meno carichi di lavoro, tra cui uno di difficile comprensione atteso l’indirizzo consolidato di sopprimere quasi quotidianamente tale presidio di sicurezza. Inoltre sembrerebbe anche in forte dubbio il pagamento del lavoro straordinario atteso l’insufficiente ed irrisorio monte ore messo a disposizione della casa circondariale di Cosenza che, nonostante la carenza di personale si trova ancora nelle possibilità di garantire l’espletamento di turni su 4 quadranti orari”. “Chiediamo - conclude - la convocazione di un incontro per l’approfondimento dei temi che costituiscono solo la punta dell’iceberg del dissenso nei confronti del modus operandi adottato dall’attuale dirigenza della Casa Circondariale Cosenza”. Treviso: agente sotto processo, avrebbe dato un telefono cellulare ad alcuni detenuti La Tribuna, 5 giugno 2011 Agente di polizia penitenziaria in servizio a Treviso a processo con l’accusa di corruzione: avrebbe dato ai detenuti un cellulare con cui telefonare all’esterno in cambio di regali. L’uomo avrebbe inoltre offerto coca a un carcerato. L’udienza si aprirà martedì in tribunale. Alla sbarra, martedì prossimo, ci sarà Roberto Gallinaro, 34 anni di Giavera del Montello, in servizio come assistente di polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Treviso. L’uomo è accusato di corruzione: stando alle contestazioni della Procura avrebbe offerto ai detenuti la disponibilità di un telefono cellulare per chiamare all’esterno (assolutamente proibito in regime carcerario) ricevendo in cambio alcuni regali e in particolare un orologio. Tale scambio sarebbe avvenuto con un detenuto napoletano, Raffaele De Pasquale di 39 anni, a sua volta a processo per corruzione, difeso dall’avvocato Marco Vocaturo. Il campano avrebbe consegnato a Gallinaro un orologio col cinturino bianco assicurandosi in tal modo la disponibilità del telefonino con cui più volte avrebbe chiamato una donna. La signora, sentita in sede di indagini dagli investigatori, ha confermato tutte le telefonate. Ma all’agente è contestata anche la cessione di droga: avrebbe offerto della cocaina a un altro detenuto di Santa Bona. Gli episodi contestati si sarebbero verificati tra gennaio e novembre del 2007: l’inchiesta del sostituto procuratore Antonio De Lorenzi, particolarmente delicata e complessa, si è chiusa con il rinvio a giudizio dell’uomo e ora con il suo processo. Gallinaro, difeso dall’avvocato Francesco Murgia, ha respinto con forza tutte le accuse, sia per quanto riguarda la cessione di cocaina che la corruzione con gli orologi. Il cellulare incriminato - ha spiegato l’agente agli inquirenti in sede di interrogatorio - lo lasciava nel suo armadietto che era accessibile a molte altre persone presenti nel carcere. Questo significa che altri avrebbero potuto aprire l’armadietto, prelevare il telefonino e avviare con i detenuti il “business” delle telefonate in cambio di orologi. La cosa certa è che quelle chiamate ci sono state, come documentato dai tabulati esaminati dagli investigatori e come confermato dai destinatari delle chiamate contestate. L’agente potrà ora spiegare in dibattimento la sua verità. Napoli: Camera Penale; domani un incontro sul tema dei ricorsi alla Corte dei diritti dell’uomo Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2011 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha istituito un sistema di tutela dei diritti fondamentali di natura prevalentemente giudiziaria imperniato sulla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte Europea con sede a Strasburgo, svolge un ruolo sussidiario rispetto agli Stati membri che devono per primi rispettare e tutelare in modo effettivo i diritti e le libertà riconosciute ed elencate nella Convenzione mediante strumenti di diritto nazionale. L’analisi complessiva del “pianeta carcere” è fortemente desolante: secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono 66.993 ad oggi i detenuti nelle carceri italiane. Il sovraffollamento delle carceri è tale da determinare condizioni di vita intollerabili che si pongono in palese violazione dell’integrità psico-fisica della persona detenuta. Secondo il sindacato autonomo di Polizia penitenziaria le strutture detentive italiane si sono ridotte a “meri depositi di vite umane”. La Corte europea ha affermato infatti che il sovraffollamento delle carceri rappresenta un “trattamento inumano e degradante”, incompatibile con lo stato di diritto. Il numero dei suicidi sulla popolazione detenuta continua a mantenersi su livelli elevatissimi: muore un detenuto ogni 2 giorni ed ogni anno il numero dei suicidi è più elevato rispetto all’anno precedente. È necessario quindi fermarsi a riflettere ed individuare con rapidità le modalità esecutive più idonee per far sì che il numero dei suicidi, ma anche degli episodi di autolesionismo decresca significativamente. Bisognerebbe riflettere seriamente sulla selezione dei fatti da sanzionare attraverso lo strumento della pena detentiva, aprendo finalmente la strada ad un serio processo di depenalizzazione che si impone come necessità improcrastinabile per lo sviluppo del sistema giudiziario del nostro Paese. In un simile contesto, risulta poi piuttosto grave che la quasi totalità degli istituti di pena italiani non abbia attivato strumenti di accoglienza e “supporto psicologico” per coloro che entrano in carcere ed, in particolare, per i giovani detenuti per reati non gravi che sono proprio quelli più a rischio di atti di autolesionismo e suicidio. Del resto, a cosa serve il carcere se chi vi entra, nel momento stesso in cui sta espiando la pena, è già convinto che fuori di lì tornerà a delinquere perché non ha alternativa, né culturale né materiale? Lunedì 6 giugno ore 12.00 - Napoli, Palazzo di Giustizia, Camera Penale di Napoli I ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per denunciare l’attuale stato degli istituti di pena Saluti Avv. Francesco Caia - Presidente Consiglio Ordine Avvocati Napoli Avv. Michele Cerabona - Presidente della Camera Penale di Napoli Avv. Arturo Frojo - Consigliere dell’Ordine Avvocati Napoli Avv. Riccardo Polidoro - Presidente de Il Carcere Possibile Onlus Relatori Avv. Roberto Giovene di Girasole - Delegato Diritto Comunitario Camera Penale Avv. Massimo Vetrano - Componente Direttivo “Il Carcere Possibile Onlus” Avv. Anna Maria Ziccardi - Componente Direttivo “Il Carcere Possibile Onlus” Prima dell’incontro sarà proiettato il video su gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari estratto dal documentario prodotto dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta Sul Servizio Sanitario Nazionale Cagliari: domani conferenza stampa Comitato sardo di sostegno alla campagna “Stop Opg” Ristretti Orizzonti, 5 giugno 2011 A seguito della costituzione del Comitato sardo di sostegno alla campagna nazionale “Stop Opg” vi invitiamo a partecipare alla conferenza stampa che si terrà a Cagliari, lunedì 6 giugno 2011 alle 10.30 presso la sala riunioni della Cgil Sarda in viale Monastir n. 17. Saranno presenti i rappresentanti delle associazioni e delle organizzazioni promotrici del comitato sardo: Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica, Associazione “5Novembre”, Cgil Sarda, Arci Sardegna, Spi Cgil, Auser, Sos Sanità Sardegna, Assemblea Territoriale di Cittadinanza Attiva - Tribunale per i diritti del Malato - Sede di Cagliari, Associazione Culturale “Art Meeting” Cooperativa Sociale “I Girasoli”, Cooperativa Sociale “Asarp Uno”, Rivista di cultura poetica “Coloris de Limbas”, Cooperativa Sociale “Giardino Aperto, Cooperativa Sociale “Il Giardino di Clara”, Comunità “Casamatta”. Durante la conferenza stampa, il comitato presenterà la sua piattaforma. Nuoro: le sbarre di Mamone si alzano, gli studenti incontrano i detenuti La Nuova Sardegna, 5 giugno 2011 Nella prima fase di gemellaggio i detenuti-allievi della scuola media e di alfabetizzazione di Mamone, che fa capo al Centro Territoriale Permanente per gli Adulti (Ctp-Scuola Media n 4 di Nuoro-dirigente Marco Caria), sono stati ospiti, in 2 momenti separati, degli alunni delle scuole medie di Dorgali e Galtellì. Adesso le sbarre di Mamone si sono alzate per ospitare gli studenti dei 2 centri, i dirigenti scolastici Antonio Luigi Piras e Alfonso Carrabs, i docenti, i sindaci Angelo Carta e Renzo Soro. Le 2 rappresentanze sono state accolte dal personale della Colonia Penale, polizia carceraria, docenti (Maria Lucia Sannio, Bastiano Calia, Graziano Massaiu, Giovanna Cottu, Michele Falconi e Luisella Siotto) e educatori (Michele Gallarato e Daniela Tavolacci). È stata un incontro ricco di contenuti che esalta l’iniziativa, tesa a favorire il dopo dei detenuti, nel rispetto del progetto “Il carcere va scuola”, elaborato dalla docente Maria Lucia Sannio, che lo aveva presentato al Ctp, alle scuole e sindaci dei 2 paesi. Gli ospiti hanno visitato, fra l’altro, chiesa, caseificio (casaro Gianmatteo Doneddu); officina, dove operano meccanici-detenuti e non;le diramazioni Stalla e Salcrà, dove hanno ammirato serre, orti e frutteti. Pausa conviviale e incontro, con i convenevoli. Gli studenti hanno posto domande e letto toccanti scritti. Una testimonianza della 1 D di Dorgali (docenti Rina Masuri e Daniela Pulacchini), che sintetizza emozioni di tutti: “Ci avete dato la possibilità di riflettere sul valore della libertà, onestà e famiglia. Non vi nascondiamo che prima di conoscervi avevamo un pò di paura di voi, perché pensavamo che foste delle persone pericolose. Parlando con voi, però, abbiamo capito che siete semplicemente delle persone che hanno sbagliato, che hanno preso coscienza dei propri errori, e che per questo stanno pagando”. E ancora “Il messaggio che vorremmo consegnarvi è di trasformare il dolore che sentite dentro di voi, in lotta non violenta, in una grande forza per ricominciare a testa alta una nuova vita”. Parole belle, come tante altre, che hanno commosso i detenuti. Il commento di uno “Evidentemente non ci hanno abbandonato”. Sannio ha ringraziato agenti, educatori, scuole e sindaci. Poi il commiato con l’auspicio che questo discorso si riprenda il prossimo anno. Ferrara: teatro-carcere; domani i detenuti dell’Arginone in prima nazionale con “Woyzeck” La Nuova Ferrara, 5 giugno 2011 Anche quello dei detenuti “è teatro fino in fondo”, spiegano gli esperti del palcoscenico. Una forma di espressione che letteralmente prova a sprigionarsi. Il gran giorno è lunedì 6 giugno, quando al Teatro Comunale andrà in scena alle 21, in prima nazionale, “Woyzeck” per la regia di Horacio Czertok, esito del laboratorio condotto dal Teatro Nucleo con i detenuti dell’Arginone. Ma la giornata è ancora più ricca perché rappresenta la seconda tappa (la prima si è già svolta a Bologna, la terza e ultima è in programma a Modena in ottobre) dell’itinerario ‘Stanze di teatro in carcerè. Promosso dal Coordinamento teatro carcere Emilia-Romagna, con il sostegno della Regione e degli enti teatrali delle città coinvolte, è un progetto che si propone di approfondire le attività che da un ventennio vengono portate avanti nei penitenziari. “Il teatro nelle carceri - dice Cristina Valenti, consulente scientifico del progetto - è una grande risorsa, per i detenuti di tipo formativo e per il teatro, che quando come in questo caso sconfina, rende più evidenti i suoi fondamenti”. Lo spettacolo vedrà in scena cinque detenuti, “ma partecipano anche ex carcerati che sono rimasti affezionati al progetto: dal laboratorio triennale - precisa Czertok - sono passati almeno cinquanta detenuti. Proprio a Ferrara è nato il coordinamento regionale che ha raccolto adesioni importanti”. Negli spazi del Comunale a partire dalle 15.30 si terranno altri momenti dell’iniziativa (a ingresso gratuito, mentre lo spettacolo serale è a pagamento) tra cui documentari video, una lectio del poeta e drammaturgo Giuliano Scabia, dimostrazioni di lavoro, testimonianze e anche un dialogo tra l’assessore regionale Patrizio Bianchi e il pedagogista Marco Dallari. Il tutto, naturalmente, rivendicando l’importanza del teatro in carcere quale veicolo di libertà e delle espressioni più fertili dell’innovazione e delle nuove professionalità teatrali. “Questo progetto - commenta Fabio Mangolini, presidente della Fondazione Teatro Comunale - fa parte della nostra missione, è un segno di civiltà contro l’oblio e in favore della dignità di persone che tendiamo a dimenticare”. “La cultura - aggiunge l’assessore comunale Massimo Maisto - è mezzo di formazione ed emancipazione, vogliamo portarla in tutti i luoghi della città, a 360 gradi”. Ovviamente coinvolta, la casa circondariale di via Arginone: “L’attività teatrale al nostro interno si pratica dal 2005 - racconta il direttore Francesco Cacciola, speriamo che possa proseguire perché presenta il detenuto con un volto diverso. Anche se per noi è una responsabilità non da poco dal punto di vista della sicurezza”. Infatti, i detenuti-attori devono essere per forza di cose scortati, e parliamo solo di quelli che possono uscire dal carcere, poiché ad altri non è nemmeno consentito varcare la soglia nella giornata eccezionale di lunedì. Il palco, gli spettatori, in definitiva la libertà, in questo caso, devono attendere. Roma: sei detenuti di Rebibbia diventano pellegrini sulla via Francigena Roma One, 5 giugno 2011 Questa mattina parte da Radicofani il viaggio di un piccolo gruppo di pellegrini particolari: sono detenuti di Rebibbia, arrivati ieri pomeriggio a Chiusi, in treno. Affronteranno, per la prima volta in Italia ma sulla scorta di quanto accade in altri Paesi, l’esperienza del cammino sulla Francigena di 168 chilometri, fino a Roma. L’iniziativa sperimentale nasce dalla collaborazione tra Paolo Caucci von Saucker, rettore della Confraternita di San Jacopo di Compostela, la Casa di Reclusione Rebibbia e il Tribunale di Sorveglianza di Roma nell’ambito del lavoro da tempo intrapreso dalle due istituzioni, orientate a realizzare iniziative che possano favorire il processo di revisione e reinserimento dei detenuti. Il progetto ha subito coinvolto, positivamente, tutta la comunità di Radicofani. Ieri pomeriggio il parroco don Elia Sartori, simbolicamente, ha accolto i detenuti con la lavanda dei piedi. Poi c’è stata una cena, cui hanno partecipato il sindaco Massimo Magrini e l’assessore alla cultura Fausto Cecconi, allo Spedale di San Pietro e Giacomo. Questa struttura, gestita da Misericordia e Confraternita di San Jacopo, è stata rinnovata di recente per accogliere i pellegrini in transito lungo la Via Francigena. E l’accoglienza ha assunto un sapore particolare, questo fine settimana. “Il Comune di Radicofani osserva il sindaco Massimo Magrini - attribuisce un alto significato morale e sociale a questa esperienza e si impegna perché possa riuscire nel migliore dei modi, magari come costituire un esempio da poter ripetere da altre istituzioni e su altri percorsi”. I sei detenuti, scelti tra i numerosi che avevano chiesto di partecipare, arriveranno nella capitale l’11 giugno. La Confraternita di San Jacopo di Compostela ha messo disposizione il proprio supporto culturale e organizzativo e i detenuti, usufruendo dei permessi premio loro concessi ai sensi dell’art. 30 ter Ordinamento penitenziario, in regime di austerità e condivisione affronteranno insieme ai loro accompagnatori Monica D’Atti e Maurizio Ciocchetti, disagi e difficoltà. A loro saranno offerti ospitalità e ricovero in ogni tappa del cammino che si snoderà da Radicofani ad Acquapendente, Bolsena, Viterbo, Sutri, Campagnano e La Storta fino a Roma dove saranno accolti dai familiari, organizzatori e rappresentanti delle istituzioni allo Spedale della Provvidenza in via Galvani 51. Sulla scia dell’esperienza di Belgio (dove l’associazione Oikoten opera dal 1982) e Spagna, dove il cammino verso Santiago di Compostela fa parte del programma penitenziario per i detenuti minorenni, si spera che l’iniziativa, con la fatica, l’impegno, l’accoglienza, la solidarietà, possa diffondersi come percorso rieducativo dei detenuti e tappa del loro reinserimento nella società. La Confraternita di San Jacopo di Compostela, fondata a Perugia nel 1981, ha tra le sue finalità quella di promuovere la pratica del pellegrinaggio ed è presente con proprie strutture di accoglienza sul Cammino di Santiago e sulla via Francigena. Guida la Confraternita un Rettore coadiuvato da un Consiglio dei Priori e da un Cappellano che ne dirige la vita spirituale. Rettore della Confraternita è Paolo Caucci von Saucken, storico e saggista, specializzato nello studio delle vie del pellegrinaggio cristiano nel Medioevo, professore Ordinario di letteratura spagnola presso l’Università di Perugia. Maurizio Ciocchetti è pellegrino della confraternita e responsabile dell’ospitalità di Radicofani, Monica D’Atti è autrice della “Guida alla Via Francigena” e “La Via Francigena - Cartografia e Gps”. Droghe: l’Onu decreta la sconfitta dell’ideologia punizionista, ma l’Italia non recepisce… di Dimitri Buffa L’Opinione, 5 giugno 2011 Dall’Onu parte la campagna per liberalizzare le droghe. A volere questa svolta sarebbero soprattutto gli Stati Uniti, stanchi della guerra con i narcos che si combatte lungo il confine con il Messico. Stavolta i fan del proibizionismo sulla droga potranno farci poco: non si tratta di una congrega di figli dei fiori, né di impenitenti radicali nostrani. Ad aver decretato la sconfitta dell’ideologia punizionista è addirittura la “Global commission on drug policy”, organismo consultivo delle Nazioni Unite formato in buona parte da personaggi come l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan, che quando erano sulla breccia, furono i propugnatori della svolta dura che prevedeva invece di punire i consumatori di sostanze stupefacenti. Per non parlare dell’ex segretario di stato americano George Schultz che fu il protagonista della politica reaganiana anti droga, quella che convinse anche Bettino Craxi ad importarla in Italia con la famigerata legge Iervolino-Vassalli poi abrogata da un referendum radicale. È lo stesso Obama ad avere voluto la svolta. Pur senza apparire e anzi trincerandosi dietro un commento negativo di repertorio alle raccomandazioni esplicitate da questo comitato il 2 giugno a New York, in una conferenza stampa che la maggior parte dei media italiani hanno colpevolmente, se non dolosamente, ignorato. C’è infatti il problema Messico (40 mila morti ammazzati in scontri tra narcos che hanno coinvolto anche incolpevoli cittadini in tre anni, tre zar anti droga arrestati perché a libro paga del cartello di Sinaloa e il quarto fatto saltare in a-ria sul proprio elicottero) che basta avere visto film come “Machete” per capire quanto sia ormai diventato ingestibile dagli Stati Uniti. C’è tutto il Sud America che preme sull’amministrazione americana, c’è il caso dell’Afghanistan, quello del Pakistan, quello dell’Iran e quello dell’Africa Sub sahariana, e poi c’è la constatazione che la crisi mondiale è stata determinata da transazioni incontrollabili dei fondi sovrani, cui il mercato della droga dà da decenni la linfa vitale, cash, in barba alle ridicole normative anti riciclaggio, facilmente aggirabili tramite stati come il Vaticano, le Cayman e una ventina di paesi canaglia dove con un po’ di soldi cash ti compri tutti dal presidente della repubblica in giù. Un fiume di denaro che tutto corrompe e distrugge, persino peggio delle stesse sostanze stupefacenti. Per non parlare del suo intreccio con il finanziamento del terrorismo internazionale di matrice islamista. Se a questo aggiungiamo il costo insostenibile per i contribuenti Usa di questa guerra su scala planetaria, abbiamo il quadro completo della cosa. Inoltre in almeno 14 stati degli Usa le droghe leggere, cioè la marijuana e l’hashish, sono di fatto già semi legalizzate sotto l’infingimento dell’uso terapeutico. Che poi non sarebbe un uso errato, salvo il fatto che ormai in California una ricetta per un semplice mal di testa o per una depressione da curare con la cannabis non la si nega a nessuno. Anzi si sono avviati fiorenti commerci legali di prodotti coltivati con licenza statale, come in Arizona. E il “tax income revenue” comincia a non essere indifferente. Certo le lobby proibizioniste mondiale, oggettivamente alleate delle varie mafie e non sempre, anzi quasi mai, in maniera inconsapevole, ancora sono forti. Ci sono sempre i piagnoni e i professionisti della redenzione forzata degli intossicati Tra gli esperti consultati dalla Global commission on drug policy ci sono stati, ad esempio, anche tre ex investigatori di Scotland Yard, Francis Wilkinson, Tom Lloyd e Paul Whitehouse. I quali hanno con molta onestà intellettuale hanno detto che “le politiche attuali non funzionano. Anzi, hanno consegnato maggiore potere nelle mani dei signori della droga. La detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale non può più essere considerata un reato. La nostra esperienza è lì a provarlo”. Hanno anche consegnato una lettera dell’ufficio nazionale statistico del Regno Unito secondo cui solo nel 2010, in Gran Bretagna, 80 mila persone sono finite in galera per possesso e consumo di droga. L’intero stadio di Wembley riempito per la finale di Champions League. La cosa è stata definita “un costo sociale assurdo. E soprattutto inutile”. E la ricetta per non rendere questa legalizzazione una sorta di Bengodi della irresponsabilità è semplice: non si punisce più l’uso di droga di per sé ma i comportamenti, sotto l’effetto di stupefacenti. Se vuoi essere drogato accetti di non guidare la macchina e di non fare certi lavori. E se guidi la macchina di nascosto, la stessa pena che prima veniva comminata per l’uso o lo spaccio di droghe si trasla al comportamento clandestino di cui sopra. È l’uovo di Colombo in fondo. In Italia parlano i dati di cinque anni di applicazione della Fini-Giovanardi, la legge voluta dall’ex cofondatore del Pdl per marcare con qualcosa di destra la precedente legislatura in cui, ben poco entusiasta lo stesso Berlusconi, la normativa fu fatta approvare per decreto inserendola nell’omnibus delle olimpiadi invernali di Torino del 2006. Da allora un terzo dei detenuti delle patrie galere italiane, circa 24 mila persone, è costituito costantemente da drogati o piccoli spacciatori. Fini, che adesso dice di essere diventato un liberale, non ha più parlato di questa legge da lui fortemente voluta. Solo Giovanardi è rimasto a difendere la ridotta della Valtellina del proibizionismo all’italiana. Stati Uniti: Chico Forti, condannato all’ergastolo; i suoi amici chiedono un processo d’appello Il Gazzettino, 5 giugno 2011 Sono partiti sotto la pioggia i sei professionisti-imprenditori di Trento che intendono raggiungere in bici Roma, in cinque tappe, per sensibilizzare sulla vicenda giudiziaria che vede protagonista l’amico Chico Forti, imprenditore trentino condannato da oltre dieci anni all’ergastolo per omicidio dopo un processo di soli ventiquattro giorni da una giuria popolare della Dade County di Miami. Da allora ogni richiesta di appello è stata rigettata. “I media e le autorità statunitensi protestano per la vicenda di Amanda Knox a Perugia - spiegano gli amici di Forti, che da dieci anni hanno fondato un’associazione a suo sostegno - ma in Italia lei è stata sottoposta a un regolare procedimento giudiziario, mentre nei democratici Stati Uniti tale diritto è stato negato al nostro amico, le cui condizioni di vita, tra l’altro, sono vergognose. Per farlo operare per un’ernia inguinale la autorità hanno atteso mesi finché ha raggiunto le dimensioni di una palla da tennis. Non è né umano, né civile”. Uniti dalla passione per il triathlon e le corse nel deserto i sei ciclisti, guidati da Lorenzo Moggio, vestono una tuta bianca riportante la doppia scritta “Give Chico a chanche” e “Free Chico”. Oggi raggiungeranno Ostiglia, poi domani S. Piero a Sieve (Firenze), venerdì S. Quirico d’Orcia (Siena), sabato Sutri (Viterbo) e domenica Roma. Da anni un comitato di amici di Trento si batte vanamente per far ottenere l’appello all’amico, incarcerato in Florida. Trasferito negli ultimi mesi di penitenziario inizialmente era stato messo in una cella dotata di un finestra di pochi centimetri quadrati e con temperature interne vicine ai quaranta gradi. Chico Forti è poi ancora convalescente per un recente intervento chirurgico che ha atteso per mesi. “Un trattamento indegno - commentano gli amici - per uno Stato che si professa libero e democratico. Questo non avviene nemmeno nelle tante vituperate carceri italiane”. Egitto: ex ministro finanze condannato a 30 anni di carcere per sperpero di fondi pubblici Aki, 5 giugno 2011 L’ex ministro delle Finanze egiziano, Youssef Boutros Ghali, è stato condannato da un tribunale egiziano a 30 anni di reclusione per sperpero di fondi pubblici. Lo riferisce il sito web del giornale al-Wafd. Boutros Ghali, condannato in contumacia, dovrà anche restituire allo Stato 35 milioni di lire egiziane (poco più di cinque milioni di dollari), accumulati in modo illecito, e pagare multe per altri 35 milioni.