Giustizia: se il carcere crea mostri di Giancarlo De Cataldo La Repubblica, 30 giugno 2011 Il paradosso della pena sta in questo: che qualunque sia la condanna per qualsiasi tipo di reato, essa apparirà sempre eccessiva al colpevole, sempre troppo mite alla vittima. Ci sono ordinamenti che rimettono alla vittima il potere di esercitare una sorta di vendetta legale contro il carnefice, altri che, una volta punito l’autore di un reato, si disinteressano della sua sorte. Il nostro sistema ha scelto una via di mezzo. Con la pena, da un lato, si risarcisce moralmente la vittima e si infligge la giusta punizione al colpevole; dall’altro, la pena stessa diventa occasione di riscatto. E nel momento stesso in cui le sbarre si chiudono alle spalle del condannato, si comincia a lavorare per restituire alla società un individuo migliore. Questo è lo spirito dell’articolo 27 della Costituzione. La stessa sopravvivenza dell’ergastolo è legata al funzionamento di questo meccanismo di punizione finalizzata al reinserimento: il sistema tollera la pena perpetua soltanto a patto che, col tempo, sia concessa a chiunque, anche al peggior criminale, l’opportunità di cambiare. Il digiuno fatto da Marco Pannella contro il sovraffollamento delle carceri, oltre a essere stato un gesto nobile, suona dunque come un aperto richiamo al rispetto della Costituzione. Perché il disegno costituzionale parte dal carcere: non mero luogo di segregazione, o di arruolamento nelle schiere della criminalità organizzata, ma palestra per il ritorno alla vita civile. Dal carcere, in altri termini, deve muovere un’ offerta di cambiamento. Non sempre accolta, non sempre coronata dal successo. Ma comunque doverosa. Senonché, un carcere nel quale si muore di sovraffollamento, dilagano i suicidi, la disperazione prevale sulla speranza è un carcere incompatibile con la Costituzione. La pena che vi si patisce perde inevitabilmente ogni connotato di emenda, riducendosi alle sole ragioni del contenimento e della prevenzione. È una pena, dunque, che tradisce la volontà della Costituzione. Le carceri sono sovraffollate per molti motivi, tutti ben noti agli addetti ai lavori: leggi che estendono a dismisura l’area della punibilità e riducono la discrezionalità dei giudici, inasprimenti continui del trattamento sanzionatorio, durata insostenibile di un processo trasformato da pessimi ritocchi estemporanei in una corsa a ostacoli contro l’accertamento della verità, ridimensionamento delle misure alternative. Pannella ha in mente un’amnistia. Proposta sicuramente impopolare: il carcere è diventato il collettore finale di tutte le “innovazioni”, diciamo così, legislative degli ultimi anni. Anni di grandi paure collettive che hanno sviluppato un “senso comune” orgogliosamente repressivo dal quale siamo stati tutti fortemente contagiati. E ci sentiamo forse, per ciò solo, più sicuri? Dovremmo immaginare, da subito, un’inversione di tendenza: è il sistema nel suo complesso che va rimodellato, con interventi articolati sia sul processo che sulle leggi penali. Dovremmo tornare, una volta di più, alla Costituzione. Nel disegno costituzionale si annida un’idea “economica” della pena che non va sottovalutata: togliere a chi ha sbagliato la speranza significa incattivirlo, spingerlo con ancora più convinzione sulla strada dell’errore. La società ci guadagna o ci perde? Perché, in definitiva, un carcere che fabbrica vittime è un carcere che fabbrica mostri. Giustizia: Radicali; oltre 500 adesioni a sostegno iniziativa Pannella per l’amnistia Adnkronos, 30 giugno 2011 “Anche Maurizio Costanzo, Claudio Scajola, lo scrittore algerino Amara Lakhous e il rapper J-Ax hanno firmato l’appello a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, giunto oggi al 70esimo giorno di sciopero della fame”. È quanto affermano in una nota i Radicali, sottolineando di aver già raccolto oltre 500 adesioni per sostenere l’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella. “Parlamentari, giuristi, intellettuali, giornalisti, religiosi, operatori del sistema penitenziario, personalità dell’arte e della cultura hanno sottoscritto il testo che intende richiamare l’attenzione sull’urgenza di affrontare la crisi della giustizia e - l’emergenza carceraria, nonché - continuano i Radicali - sulla necessità di porre fine al silenzio dell’informazione che impedisce un dibattito democratico su questi, come su altri grandi temi”, concludono. Lettere: carceri sovraffollate questa non è giustizia di Franco Petraglia Il Mattino, 30 giugno 2011 Caro direttore, in questi giorni ho letto con attenzione l’accorata lettera del nostro Presidente Napolitano a Marco Pannella, nella quale, tra l’altro, gli chiede di sospendere lo sciopero della fame contro il sovraffollamento delle carceri e contro le atrocità con cui vengono trattati i carcerati nella maggior parte degli istituti di pena italiani. Spero che il nostro battagliero Pannella, a cui va tutto il mio plauso per la tutela dei diritti umani, ascolti l’appello di Napolitano i numeri sono eloquenti e impressionanti: la capienza delle carceri è di circa 45.000 posti, i numeri reali sfiorano i 70.000. Le condizioni igienico-sanitarie dei detenuti sono vergognose, spazi asfissianti, servizi -deplorevoli, per non parlare della loro distruzione fisica, morale e mentale: quasi un “cupio dissolvi”. Questo sistema carcerario, per me, è una pena vendicativa, non riabilitativa. Penso al post detenzione di questi “rifiuti umani”: molti saranno dei criminali incalliti. L’attuale governo smetta di avere gli occhi foderati di prosciutto. Bisogna puntare, hic et nunc, al recupero di questi nostri fratelli sfortunati e riaccreditarli alla vita: umanamente, moralmente e socialmente. Solo così possiamo definirci una società civile e democratica. Diversamente, non facciamo altro che sottoporre questi poveri cristi ad una pena accessoria che gli è stata inflitta. Risponde il direttore de “Il Mattino” Caro Petraglia, la battaglia di Pannella è sacrosanta temo rimarrà inascoltata. I nostri politici addurranno a giustificazione del mancato intervento per l’esplosiva situazione delle carceri la mancanza di fondi, specie adesso chela manovra Tremontista raschiando il fondo del barile. Napoli, poi, è la piaga nella piaga: il sovraffollamento raggiunge punte di dodici detenuti a cella, condizioni proibitive anche dal punto divista igienico oltre che per la dignità delle persone. Sono sempre stato dell’idea che, se uno Stato non può sostenere nemmeno i costi della detenzione in cella di coloro che ha ritenuto criminali, con sentenza o in attesa di giudizio, dovrebbe almeno provvedere a pene alternative che diano un senso a molte vite bruciate (quelle degli autori dei reati) e beneficio alia collettività svolgendo servizi sociali. Altrimenti siamo nel campo della vendetta e in questo caso non è nemmeno giustizia retributiva, come nel diritto anglosassone viene interpretata anche la pena di morte. Abruzzo: Sclocco (Pd); dati allarmanti del sistema carcerario Redattore Sociale, 30 giugno 2011 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. “La civiltà di un Paese si vede anche attraverso le sue carceri. Ne parliamo troppo poco, e tendiamo a dimenticare che il detenuto è una persona” così Marinella Sclocco Consigliera regionale del PD apre la conferenza stampa che si è tenuta stamane a Pescara nella sede del consiglio regionale alla presenza di Danilo Montinaro - responsabile di psichiatria della Asl Lanciano-Vasto-Chieti e membro del coniglio nazionale di Psichiatria Democratica e dei rappresentati di due sigle sindacali . Uil e Osapp di Lanciano. “Diversi i temi da affrontare - spiega la Sclocco - a partire dalla carenza di personale, si pensi che a Lanciano, dove i lavoratori (172 in totale) hanno accumulato circa 7.200 giorni di ferie non godute, ossia oltre 41 giorni di ferie a testa in media, con punte di 100 giorni in alcuni casi, e a Sulmona, dove si registra un accumulo di 9.000 giorni di ferie non godute su un personale di circa 300 unità con una media di 30 giorni a testa. Il sovraffollamento che è una costante. Le situazioni più critiche: il carcere di Sulmona ospita 411 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 270, con un incremento negli ultimi 3 mesi di 50 detenuti; a Vasto oltre 250 detenuti vivono in spazi costruiti per ospitarne 198 e sono gestiti con lo stesso organico che nel 2001 seguiva 150 detenuti. A Lanciano sono rinchiuse stabilmente 281 persone, più 30 detenuti transitori, a fronte di una capienza di 202, a Pescara 278 invece dei 210 regolamentari, a Teramo 340 detenuti su una capienza di 231.e su Chieti capienza regolamentare 14 detenute donna e 70 uomini: capienza attuale 34 donne e 150 uomini. A questo si aggiunge l’inadeguatezza di molte strutture . Impianto elettrico è fuori norma, infiltrazione d’acqua piovana, docce inesistenti. Mancanza di fondi persino per pagare le utenze. A Pescara ad esempio la sezione femminile è chiusa da tempo proprio per le gravi condizioni strutturali, ma i lavori di ristrutturazione del padiglione non sono ancora iniziati. Oggi, in questo preciso momento - aggiunge - mi comunicano che proprio a Pescara è in corso una protesta “del rumore” da parte dei detenuti seguito allo sciopero della fame dei giorni scorsi. Altro aspetto che purtroppo è da sottolineare è l’inadeguata attività di rieducazione e i rapporti con il mondo esterno che da un lato evidenziano una scarsa attenzione al problema e una conseguente mancanza di programmazione, dall’altro denotano una certa capacità dei direttori e del personale di inventare soluzioni nonostante la carenza di mezzi e risorse finanziarie”. “Il problema più grande resta però la rieducazione della persona che dovrà tornare, a pena scontata, nella società, e se non lo si aiuta , durante la detenzione a ricostruirsi in virtù di schemi sani, esso tornerà inevitabilmente a ripercorrere il proprio, che lo ha portato appunto a delinquere. Questo è un problema che riguarda tutti noi - conclude la Sclocco. Per questo mesi fa feci appello per una Legge che istituisse il garante del Detenuto, al quale ritengo debbano essere affiancate figure diverse (psicologo-psichiatra, operatore sociosanitario) e soprattutto costanti nel tempo. Occorre in sintesi pensare ad una e vera e propria equipe che segua il detenuto fino al suo totale reinserimento nella società”. Puglia: Friolo (Pdl); finalmente si discuterà della situazione delle carceri regionali Asca, 30 giugno 2011 “Meglio tardi che mai. Vendola ha annunciato finalmente di volere portare in discussione nel prossimo Consiglio regionale la nomina del garante dei detenuti. Onde evitare il rischio di ulteriori slittamenti la nostra richiesta è che l’argomento sia inserito al primo punto dell’ordine del giorno”. Lo dichiara il consigliere regionale della Puglia, Friolo (Pdl), ricordando che già lo scorso 14 agosto 2010, il presidente Vendola aveva assicurato che il garante dei detenuti della Puglia chiesto da Pannella sarebbe stato prestissimo una realtà, ed erano trascorsi già quattro anni dal varo dell’apposita legge regionale. Ecco perché affermiamo - avverte - che non permetteremo ulteriori fughe dall’impegno per la prossima seduta del Consiglio regionale. Toscana: detenuti minorenni presi in carico dal sistema sanitario Dire, 30 giugno 2011 È stato approvato dalla giunta regionale toscana il percorso per la presa in carico, da un punto di vista sanitario, dei minori sottoposti a procedimento penale, sia nelle situazioni ordinarie che in quelle di urgenza. Si tratta della formalizzazione del primo intervento previsto dalla delibera approvata a fine maggio, contenente le linee di indirizzo prioritarie per il biennio 2011-2012 sulla qualità della salute dei cittadini detenuti. “In tempi rapidissimi - ha detto l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - abbiamo dato attuazione a uno dei tanti interventi previsti dalla delibera, che punta alla salvaguardia della salute dei detenuti. Un intervento importante, perché scaturisce da un rinnovato rapporto di collaborazione con l’amministrazione penitenziaria. Il percorso approvato mette in comune risorse, umane ed economiche, e si basa su una sinergia molto ampia che prevede il coinvolgimento di tutto il territorio. Molto presto - ha concluso l’assessore - saranno approvati anche altri punti contenuti nelle linee di indirizzo”. Il percorso integrato socio-sanitario-educativo, sia ordinario che d’urgenza, di presa in carico dei minori sottoposti a procedimento penale, disposto dall’Autorità giudiziaria minorile, è il frutto di un lavoro congiunto condotto dalla Regione con i centri per la Giustizia Minorile di Firenze e Pontremoli ed i servizi competenti delle Aziende Usl di riferimento. L’obiettivo è consentire la prestazione di interventi appropriati rispetto ai bisogni assistenziali, rispondendo all’esigenza della magistratura di emettere provvedimenti tempestivi e precisando la competenza economica, ovvero a chi spetta prendersi carico dei costi della retta di mantenimento a seconda del tipo collocamento individuato (comunità terapeutica o comunità socio-educativa). In particolare, si prevede un’attenzione nella valutazione dello stato di salute del ragazzo o della ragazza al momento del suo ingresso in istituto, da effettuarsi da parte di una vera e propria èquipe di base, costituita da medico, psicologo e educatore professionale. Quindi sarà ponderata attentamente l’eventuale decisione di inviare il minore, da subito, in una comunità di tipo terapeutico, che sappia rispondere appropriatamente e tempestivamente al bisogno sanitario. Tutto ciò, in perfetta sinergia con l’amministrazione penitenziaria e coniugando comunque l’esigenza della magistratura di emettere provvedimenti tempestivi, con quella sanitaria di tutelare la salute dei minori, considerata anche la loro condizione di fragilità. Teramo: detenuto si impicca in cella; trentesimo suicidio del 2011 nelle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 30 giugno 2011 Oggi si è impiccato nel carcere di Teramo un detenuto trentunenne, Cosimo Intrepido, originario di Trepuzzi (Le). Era in carcere dal 2009 per rapina (con arma giocattolo). Il pm aveva chiesto 3 anni, il giudice gliene aveva dati 8. “L’istituto teramano potrebbe ospitare 240 detenuti invece ne ospita 410 - dichiara Giuseppe Pallini, segretario provinciale di Teramo del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. Di questi, oltre la metà soffre di problemi psichici con difficile gestione scaricati a Teramo per il solo fatto che vi è il servizio di guardia medica h 24 è una psichiatra per alcune ore la settimana”. Giulio Petrilli (Pd): che vergogna… Le notizie dei suicidi nelle carceri abruzzesi, passano sempre inosservate, nessun dice mai niente, tutto come in una lavagna si cancella, eppure ogni due tre mesi c’è un suicidio. Nessuno si interroga, nessuno riflette, ma alla fine sotto sotto quasi non dispiace sentir dire che un detenuto si è impiccato: questa è la verità. L’emarginato, colui che ha delle difficoltà deve essere cancellato, questo prevale ed è una cultura folle. Ieri un altro detenuto si è suicidato nel carcere di Teramo, dopo venti suicidi e tanti trasferimenti il penitenziario di Sulmona si è un po’ calmato, ma subito sostituito da quello di Teramo in questo tragico primato della pena di morte. La politica è totalmente assente su questo terreno, totalmente muta, nessuno fa nulla, ci si preoccupa di tutto ma su questo aspetto, nessun impegno serio e vero, qualche volta un po’ di chiacchiere. La democrazia va affermata sempre e va attuata anche nei luoghi della reclusione. Di Carlo (Giustizia Giusta): quel che temevamo è accaduto “Quello che temevamo è accaduto: l’arrivo dell’estate ha puntualmente amplificato la già esplosiva situazione carceraria e quanto accaduto a Teramo ne è la triste conferma”. Così l’avvocato Alessio Di Carlo (nella foto), presidente di Giustizia Giusta, ha commentato il suicidio del detenuto pugliese avvenuto nel carcere teramano di Castrogno di Teramo. “In sede di audizione davanti alla V Commissione, sollecitando l’immediata istituzione del garante dei detenuti, abbiamo ricordato che le condizioni di sovraffollamento in cui vivono i detenuti negli istituti come quello teramano (in cui la presenza effettiva è quasi doppia di quella tollerata), diventano insostenibili con l’arrivo delle temperature estive”. Di Carlo ha anche ricordato che “diversi esponenti radicali abruzzesi in queste settimane hanno affiancato Marco Pannella e tanti detenuti nello sciopero della fame e della sete messo in atto per richiamare l’attenzione su una situazione tanto grave”. “La risposta di chi ha a cuore i diritti umani - ha concluso Di Carlo - non potrà che essere quella di riprendere e rilanciare l’iniziativa, in tutte le sedi, anche insieme agli amici radicali, per giungere quanto più in fretta possibile ad avere un sistema penitenziario degno di un Paese che voglia definirsi civile”. Pescara: detenuti in protesta, 3 giorni senza vitto e battitura delle sbarre Il Centro, 30 giugno 2011 Per tre giorni hanno rifiutato il vitto e battuto con i pentolini sulle sbarre ogni due ore per circa dieci minuti. I detenuti del carcere di San Donato tornano a protestare per il sovraffollamento: la casa circondariale ha una capienza di 150 persone ma, in realtà, ospita 220 detenuti. Così, i carcerati hanno rifiutato per tre giorni di mangiare e messo in scena una protesta pacifica battendo regolarmente per tutta la giornata e la notte. “La vita è un diritto di tutti gli esseri umani”, hanno scritto in una lettera, “diritto indiscutibile che a noi detenuti viene negato. Siamo quasi 75 mila detenuti in 208 carceri italiane dove c’è posto solo per 40 mila”, aggiungono unendosi anche alla protesta per il sovraffollamento di Marco Pannella. “Siamo costretti a scontare le pene in celle non a norma dove siamo stipati come animali da macello”, proseguono. “Le strutture carenti fanno da magazzino, in attesa dei processi, mescolando detenuti di qualsiasi posizione giuridica. Questo ci sta portando al collasso”. Ancora, i detenuti scrivono: “Ribadiamo la nostra protesta pacifica affinché l’opinione pubblica conosca la nostra situazione. Siamo al collasso generale: le strutture e il personale del carcere non riescono a salvaguardare la nostra integrità e non riescono a soddisfare le normali attività. È vergognoso che un Paese come l’Italia non riesca a trovare una soluzione al sovraffollamento”. Bologna: Sappe; detenuti dormono a terra, mancano risorse per tutto tensione in crescendo Dire, 30 giugno 2011 Nel carcere bolognese della Dozza non ci sono più posti letto per i detenuti: 10 di loro, da oggi, saranno costretti a dormire per terra, “per mancanza di letti e di spazi utili”. Mancano le risorse e i rapporti con le guardie carcerarie sono sempre più tesi. A lanciare l’allarme, in una nota, è Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe: il numero dei detenuti rinchiusi alla Dozza è arrivato a toccare quota 1.152, il 30% dei quali” è tossicodipendente”. Una condizione per cui, sostiene Durante, “molti di loro potrebbero usufruire dei benefici previsti dalla legge sulla droga che prevede l’affidamento terapeutico e la sospensione della pena, per coloro che intendono sottoporsi ad un programma terapeutico, o l’abbiano già superato”. Ai tossicodipendenti si aggiungono gli stranieri, “che potrebbero scontare la pena nei paesi di provenienza, sulla base degli accordi bilaterale che l’Italia dovrebbe stipulare”. Oltre alla mancanza di spazi, il Sappe sottolinea anche la “difficoltà di comunicazione con i detenuti stranieri”, che rende “più tesi i rapporti con gli operatori penitenziari”. Infine, la carenza di fondi per ogni cosa: per pagare le missioni e gli straordinari al personale, spesso costretto d’estate a turni di lavoro più lunghi e più straordinario. In Emilia-Romagna, conclude Durante, “mancano sempre 650 agenti, di cui circa 200 a Bologna, mentre in Italia ne mancano 6.500”. Mentre la situazione della Dozza è sempre più allarmante, il Comune di Bologna si accinge a nominare un nuovo Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Per selezionarlo, Palazzo d’Accursio sceglierà tra i candidati che risponderanno ad un avviso pubblico: la procedura verrà presentata in una conferenza stampa domani alle 12.30. Lecce: situazione carceri, la senatrice Poli Bortone (Udc) scrive al Ministro della Giustizia Apcom, 30 giugno 2011 Ha inviato un’interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia, la senatrice Adriana Poli Bortone in merito all’episodio di autolesionismo che ha riguardato un detenuto di 38 anni del carcere di Lecce. L’allarme sulle condizioni estreme in cui i detenuti versano nelle carceri è un fatto ormai da tempo denunciato. Nei giorni scorsi un detenuto di 38 anni nel carcere di Lecce è stato protagonista di un atto di autolesionismo avendo ingerito due lamette da barba ed è stato trasportato in ospedale. Il gesto sarebbe stato determinato dalle precarie condizioni del giovane costretto su una sedia a rotelle a causa di un episodio violento di cui fu oggetto. Nell’interrogazione rivolta al Ministro della Giustizia Poli Bortone, fra le altre cose, scrive: “Nonostante l’impegno e la buona volontà dei dirigenti e del personale, le condizioni del carcere di Lecce (ma, potremmo dire, delle tante carceri più in generale) non sono tali da consentire che siano rispettati pienamente i diritti umani. […] Si interroga il Ministro della Giustizia per sapere quali iniziative immediate intenda assumere per affrontare un problema così grave, sia per il caso specifico del carcere di Lecce, sia per li condizioni più generali delle carceri italiane”. Sassari: mancano gli psicologi, il deputato del Pd Melis ha depositato un’interrogazione La Nuova Sardegna, 30 giugno 2011 Il deputato del Pd Melis ha depositato una interrogazione sulla grave deficienza nelle carceri italiani degli psicologi. Nonostante una serie di sentenza dia ragione ai lavoratori, il Ministero della Giustizia si rifiuta di adempiere e lascia le carceri sguarnite da questa fondamentale figura che molto potrebbe nell’assistenza ai detenuti. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Ministro della Giustizia, per sapere; premesso che nella Legge 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario, art. 80 o, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento dei detenuti, l’amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica; in seguito alle successive integrazioni e modificazioni di tale legge e dalle successive circolari del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria tale figura ha assunto via via caratteristiche peculiari, precisandosi sempre meglio come quella di un esperto preposto all’osservazione scientifica della personalità del detenuto, al sostegno psicologico, alla prevenzione del rischio autolesivo e di suicidio, partecipando altresì in modo determinante alla équipe multidisciplinare cui è affidata la relazione finale al termine del periodo di osservazione; in particolare è affidato agli esperti, oltre al colloquio di osservazione e trattamento della personalità, anche il colloquio volto a valutare i casi di applicazione sorveglianza particolare (ex art. 14 bis), motivi disciplinari, presenza di rischi di autolesionismo e anticonservativi, presenza di aggressività etero diretta, casi di isolamento diurno, valutazione delle difficoltà eventualmente rilevate da altri operatori penitenziari circa il comportamento del detenuto, disagi legati alla riduzione di trattamento intramurario nei detenuti sottoposti a regime del 14 bis o isolamento, sostegno psicologico, osservazione secondo il 4 bis (pacchetto sicurezza 2009) di un anno dei cosiddetti sex-offender, osservazione scientifica della personalità come strumento di valutazione per fornire al magistrato di sorveglianza indicazioni su revisione critica del reato e/o assenza di pericolosità sociale in vista dell’applicazione dei venefici premiali o delle misure alternative di detenzione; pur incaricata di tali delicate funzioni, la figura dell’esperto ex art. 80 (circa 400 persone in tutta Italia) versa tuttora in una posizione di incertezza e instabilità lavorativa, la sua presenza essendo soggetta infatti ad un monte ore che sulla carta può arrivare alle 64 ore mensili ma che nella pratica corrente non supera le 20 (e in certi istituto si riduce sino al limite delle 3 ore al mese); in questo modo la stessa ratio legislativa che presiedette alla istituzione di questa figura professionale viene di fatto vanificata, esponendo i detenuti a rischi gravissimi sul piano dell’incolumità personale, come del resto documentabile anche dalle sole statistiche recenti dei suicidi e degli atti di autolesionismo, ciò in contrasto aperto con quanto stabilito dall’art. 27 comma 3 della Costituzione; 40 esperti ex art. 80, rivoltisi al magistrato del lavoro hanno già ottenuto (es. presso i tribunali di Milano, Nuoro, Sulmona, Vasto, Frosinone, Pesaro e altri) il riconoscimento dei propri diritti e la condanna dell’amministrazione penitenziaria al risarcimento del danno, avendo riconosciuto i giudizi la natura subordinata della attività lavorativa in oggetto; ciononostante l’Amministrazione penitenziaria di fatto disapplica sistematicamente le sentenze del giudice del lavoro; quali sia la valutazione del Ministro circa l’indispensabile ruolo della figura professionale dell’esperto ex art. 80 nell’ambito della attuale politica carceraria, con particolare riferimento ai principi affermati in Costituzione; quali misure concrete il Ministro intenda assumere, anche tenendo conto delle sempre più allarmanti statistiche sei suicidi nei penitenziari, per garantire il pieno ripristino della funzione garantita dagli esperti nelle carceri italiane; se non ritenga il Ministro di intervenire presso l’Amministrazione penitenziaria da lui stesso dipendente per imporre il rispetto delle sentenze dei giudici del lavoro sopra menzionate. Vasto (Ch): detenuti puliscono spiagge e aree verdi Il Centro, 30 giugno 2011 Contribuire alla cura e alla salvaguardia della costa e offrire ai detenuti un’occasione di riparazione e riscatto sociale. È duplice la finalità della convenzione siglata dal direttore della casa circondariale di Torre Sinello, Carlo Brunetti, con il sindaco Luciano Lapenna. L’iniziativa va avanti con successo da quattro anni. I detenuti assicureranno per tutta l’estate la pulizia di diversi tratti costieri. Oltre alla Riserva di Punta Aderci a nord di Punta Penna, l’accordo prevede anche la cura delle dune di Vasto marina, della pista ciclabile della riviera, di quella di Vasto-città nel tratto che va da via Maddalena a via San Leonardo, e delle spiagge di San Nicola e Casarza, compresi gli accessi. E ancora: il tratto costiero da località Buonanotte alla Grotta del Saraceno, e poi i parchi e i giardini pubblici della città. “L’attività lavorativa riguarderà la pulizia e la manutenzione del verde. Il progetto dà il contenuto ad una formula che può apparire vuota. Al contrario è un’importante iniziativa di rieducazione”, rimarcano dal Comune. L’iniziativa, sostenuta con borse di studio erogate dall’amministrazione comunale impegnerà i detenuti per tre mesi: luglio, agosto e settembre. Dal lunedì al sabato puliranno le aree più suggestive della città, sotto la visione tecnica dei referenti della Cogecstre, la cooperativa a cui è affidata la gestione della Riserva di Punta Aderci. Oltre alla pulizia i detenuti avranno cura della vegetazione. È una forma di giustizia riparatrice. Il processo di umanizzazione della pena è favorito dal contatto con la natura. Inoltre la città ne trae giovamento. L’iniziatva mette tutti d’accordo, operatori di giustizia, amministratori ed educatori: è un grande aiuto per la riserva e il litorale, ma è una terapia e uno stimolo positivo per gli stessi detenuti che attraverso il lavoro a diretto contatto con la natura si sentono parte attiva della società. Rossano (Cs): polizia penitenziaria protesta per sottolineare precarie condizioni di lavoro La Gazzetta del Sud, 30 giugno 2011 È rimasta senza risposta la richiesta di un incontro fatta ai vertici dell’amministrazione penitenziaria, da parte delle sigle sindacali in rappresentanza del personale di polizia penitenziaria operante nel carcere di Rossano. Un silenzio che potrebbe tramutare, già da oggi, lo stato di agitazione proclamato nei giorni scorsi, in azioni di protesta di diversa natura. Nel corposo documento di denuncia, firmato Filippi (Uil-Pa-Penit), Fusaro (Sappe), Santoro (Sinappe), Larocca (Osapp), Vennari (Cgil), Attoma (Fsa-Cnpp), si indicava nella data del 30 giugno il termine ultimo per la fissazione di un incontro nel corso del quale dibattere e portare a soluzione le problematiche che attanagliano il personale del reclusorio rossanese. Ma al momento, come detto, nessun segnale è giunto dall’amministrazione penitenziaria. A quanto si è appreso, non è da escludere che possano essere attuate forme di protesta all’interno del penitenziario, anche per sottolineare come, nonostante le ripetute denunce, nessuno delle istituzioni preposte abbia inteso affrontare la situazione, fatta di carenza di personale, turni estenuanti e difficoltà a coprire tutti i servizi necessari. Nei giorni scorsi, in vista anche della scadenza dell’ultimatum lanciato dai sindacati di categoria, si sono registrate sull’argomento gli interventi del deputato Pdl Giovanni Dima, del leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, nonché dello stesso arcivescovo della Diocesi di Rossano monsignor Santo Marcianò. Sia Dima che Di Pietro avevano presentato, in maniera singola, una interrogazione al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, con la quale, oltre a ricordare lo stato di disagio patito dal personale di polizia penitenziaria, si faceva notare come lo stato di agitazione proclamato era strettamente legato alla richiesta di un incontro urgente. Non è mancato, come detto, anche il sostegno dell’arcivescovo che ha evidenziato come non si può ignorare tale momento di difficoltà, in quanto il sovraffollamento delle carceri, l’inadeguatezza della pianta organica degli agenti di polizia penitenziaria con il conseguente carico eccessivo dell’orario di lavoro, stanno avendo delle conseguenze negative sulla gestione della vita carceraria. Ironia della sorte il termine ultimo per indicare la data di un possibile incontro, è coinciso con la festa di San Basilide, patrona della polizia penitenziaria. Nel documento stilato dai sindacati, si rimarcava come le criticità del personale siano giunte a un livello non più gestibile, tanto da impedire la predisposizione del piano ferie e che il grado di tolleranza dello stesso è giunta ad un punto limite, per cui “proseguire in questo stato determinerà rischi notevoli per la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza interna nonché per la salute dei lavoratori, da tempo costretti a un elevato e continuo stress psicofisico dovuto alla mancanza di risorse umane e strumentali che sono costretti a sopperire espletando, contestualmente, più e diversificati mansioni nell’arco del medesimo orario di servizio”. Da qui la decisione di adire forme di legittime proteste “a tutela della dignità personale e professionale, nonché a salvaguardia dell’immagine e decoro del corpo di polizia penitenziaria costantemente lesa dall’operato approssimativo e incerto di una classe dirigente incapace di assumere decisioni responsabili, logiche e consequenziali, rispetto alla situazione di inarrestabile decadenza in cui versa il sistema penitenziario del paese”. San Gimignano (Si): Sappe; per sit-in pochi agenti a lavoro, rischio sicurezza Ansa, 30 giugno 2011 “È bastato un sit-in per mettere a rischio la sicurezza del carcere. Per partecipare in molti hanno chiesto ferie o permessi e stasera nell’istituto di San Gimignano probabilmente non ci sarà il numero di agenti necessario a garantire i servizi essenziali”. Lo spiega il vicesegretario toscano del sindacato Sappe, Francesco Falchi, riferendosi al carcere senese di Ranza. La manifestazione in piazza Martiri di Montemaggio, a San Gimignano, è stata promossa nei giorni scorsi dalle sigle sindacali Sappe, Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Uspp, Uil, Cgil-Fp dopo che un agente è stato aggredito da un detenuto, che gli ha gettato addosso dell’olio bollente provocandogli ustioni di primo grado guaribili in 15 giorni. “La direzione del carcere - spiega Falchi - sta cercando di scongiurare questo rischio, richiamando personale al lavoro o trattenendo gli agenti che dovrebbero smontare. Per noi è un modo per far sentire la nostra voce e per far venire i nodi al pettine, prima di tutto quello della carenza di personale: il 40% in meno rispetto alla pianta organica prevista di 233 agenti”. Bologna: Ipm Pratello; due notti di protesta in carcere, fumo e urla spaventano il quartiere Il Resto del Carlino, 30 giugno 2011 Un giovane detenuto nordafricano dà fuoco al materasso, altri gridano. Dalle finestre i vicini assistono e chiamano la polizia. “I ragazzi detenuti hanno fatto un rumore d’inferno”. E c’è chi aggiunge che sono arrivati anche i vigili urbani, a fare i rilievi con il misuratore dei decibel. Polizia o vigili urbani si sono presentati al portone del carcere minorile, ma hanno ricevuto un cortese rifiuto: “Non abbiamo bisogno, ci pensiamo noi”, hanno detto gli agenti della Polizia Penitenziaria ai colleghi delle altre forze dell’ordine che arrivavano dall’esterno. Una protesta collettiva, due sere di grande trambusto al carcere minorile del Pratello, alcuni giorni fa, al punto che i cittadini che abitano intorno, in particolare quelli in via dè Marchi e via San Isaia che hanno le finestre in faccia alle celle, sul retro dell’istituto, si sono preoccupati o hanno provato un gran fastidio e hanno chiamato le forze dell’ordine in soccorso. Negli stessi giorni un detenuto di 17 anni nordafricano, che nel frattempo è stato trasferito, ha dato per due volte fuoco ai materassi. Dal carcere, la direttrice Paola Ziccone non commenta ciò che è avvenuto all’interno e non dice nulla su due versioni che divergono: c’è chi dice che le due serate di protesta fossero in relazione ai due tentativi di incendio e chi dice invece che i due avvenimenti sono stati in tempi diversi. Ma sembra più vera la prima versione, cioè che il clamore che si alzava dalle celle sia diretta conseguenza dei due incendi per dare più forza all’avvenimento, come succede tra i detenuti che amplificano la protesta o l’azione di disturbo che parte da uno o da pochi. I ragazzi detenuti al Pratello hanno la possibilità di tenere l’accendino con sé per poter fumare. Il minorenne nordafricano, molto robusto, uno che già si era distinto in alcuni scontri con gli agenti e che dopo essere stato condannato, circa un mese fa, ha addirittura schiaffeggiato uno dei giudici, avrebbe provocato il fumo appiccando la fiamma dell’accendino al materasso dopo l’ennesimo diverbio con gli agenti. Ma pochi giorni dopo ha ripetuto il gesto: l’accendino non gli era stato tolto e per questo potrebbe scattare una denuncia alla Procura. Gli abitanti attorno al Pratello debbono fare i conti con i rumori o spesso con la musica ad alto volume che provengono dal carcere o con il lancio di oggetti dalle celle, in aggiunta ai rumori della movida che investe la zona, da via del Pratello a piazza San Francesco. Ma problemi ci sono anche all’interno, quando gli agenti e gli educatori si debbono confrontare con casi problematici come quello del ragazzo dei materassi. Attualmente, gli agenti sono una trentina, che divisi per tre scendono a dieci per turno, una quantità giudicata dai sindacati appena sufficiente per garantire il servizio, di fronte ad una capienza che è sempre al limite massimo di venti-ventidue ragazzi e a volte anche qualcuno in più. Catanzaro: Corbellli (Diritti Civili); negati domiciliari a detenuto operato cuore Ansa, 30 giugno 2011 “Ancora una volta viene chiesto l’intervento di Diritti Civili per uno dei tanti sepolti vivi delle prigioni. Un detenuto della provincia reggina A.I., 66 anni, fine pena prevista ottobre 2011, è stato colpito da infarto, trasportato d’urgenza a Catanzaro, dove è stato operato”. È quanto afferma, in una nota, il leader del movimento Franco Corbelli. “Il giorno successivo all’intervento - prosegue Corbelli - é stato ricondotto in carcere e messo addirittura in una cella con altri sei detenuti fumatori, gli sono stati negati gli arresti domiciliari nonostante le gravi condizioni di salute e il fatto che tra tre mesi, fine ottobre, terminerà la sua pena e potrà quindi uscire dalla casa circondariale dove è recluso”. A rendere noto il caso è stato il figlio del detenuto che ha scritto a Corbelli. “È un fatto grave - sostiene Corbelli - indegno di un Paese civile. Chiedo che venga consentito a quest’uomo, appena operato al cuore, di poter ottenere gli arresti domiciliari, nei restanti tre mesi di detenzione. È questo un atto doveroso, di giustizia giusta e umana. Negare questo diritto è una grande, inaccettabile ingiustizia”. Trento: chiude il carcere di Rovereto, tutti i detenuti trasferiti a Spini di Gardolo Ansa, 30 giugno 2011 Chiude definitivamente la Casa circondariale di Rovereto. È in corso in queste ore il trasferimento al nuovo carcere di Trento, a Spini di Gardolo, degli ultimi detenuti, una decina di donne. Con questo passaggio il Trentino ha un unico carcere, diretto da Antonella Forgione. Il decreto di chiusura della struttura di via Prati era stato firmato dal ministro Alfano nel marzo 2011, due mesi dopo l’inaugurazione del nuovo carcere di Trento. Da quel momento era iniziato il trasferimento a Trento dei circa 120 detenuti e dei 60 agenti di polizia penitenziaria. Resta ora da definire il destino dell’edificio di via Prati, ex caserma risalente al periodo austriaco e ristrutturato nel 1997. Immigrazione: cronache dal Ciet… nuove detenzioni e vecchi orrori di Cinzia Gubbini Il Manifesto, 30 giugno 2011 Parla Jean Léonard Touadi, appena tornato dalla visita al centro di espulsione di Kinisia. “Sono tornato da Palazzo San Gervasio abbastanza scosso. Ma se ci fosse una gradazione dell’orrore, Kinisia è ancora peggio di Palazzo”. A ventiquattro ore dalla visita al Ciet aperto all’inizio di aprile nell’ex aeroporto di Trapani (i Ciet sono i “nuovi” centri di espulsione temporanei inventati dal ministro dell’Interno Maroni per contenere i migranti tunisini arrivati in Italia dopo la rivolta contro Ben Ali), il deputato del Pd Jean Léonard Touadi è ancora incredulo su ciò che ha visto. E lo descrive così: “Immaginate una landa desolata, dove il primo albero è a 700 metri. C’è una recinzione formata da tre file di container messi uno sopra l’altro. Fa un caldo bestiale, e se è possibile questi container tolgono ancora di più l’aria, caso mai ci fosse qualche refolo. Dentro, due file di tende. All’interno di quelle tende vivono da tre mesi 48 persone, cinque o sei per ciascuna tenda”. Come definirlo? Una Guantanámo italiana? Un recinto per esseri umani? “Io posso dire che neanche il pastore che lavora lì accanto tratta così le sue pecore - denuncia Touadi - Uno può pensarla come vuole sull’espulsione dei tunisini, sulla linea della fermezza. Ma una cosa deve esser chiarissima: un paese democratico e avanzato non può trattare così delle persone”. Per completare il quadro va aggiunto che dentro il recinto dei container non c’è niente: non c’è una mensa (i pasti arrivano da fuori), non c’è uno spazio ricreativo, non ci sono televisori. Il nulla. Solo il presidio della polizia. Va avanti così da tre mesi. “La tensione è palpabile - denuncia il deputato del Pd - si può immaginare: sono stati numerosi i tentativi di autolesionismo. E come è normale, venerdì scorso è scoppiata la rivolta. Qualcuno è riuscito a scappare. In otto sono stati riacciuffati. Da allora va ancora peggio”. Ma non basta: tra i 48 detenuti tunisini, ci sono pure quattro transessuali marocchini. “Ovviamente - dice Touadi - mi hanno detto che non vogliono stare lì. Devono essere immediatamente spostati nei due Cie che possono ospitare pansessuali, uno dei quali è il Corelli di Milano”. In tre mesi, neanche questo. Ma non sono gli unici ad essere rinchiusi ingiustamente. Qui era finito anche il marito di Winnie, la ragazza di 23 anni olandese sposata con un tunisino che fino a ieri era a Trapani. Suo marito è riuscito a scappare venerdì, ma lei non sa dove sia finito. “E di casi accertati di uomini con compagne europee ce ne sono almeno altri cinque”, insiste Touadi. E ancora: Touadi racconta che alcuni dei detenuti hanno in mano una richiesta di asilo, e quindi dovrebbero essere immediatamente spostati in un Centro di accoglienza per richiedenti asilo. E di altri che hanno espresso la volontà di presentare richiesta, ma gli sarebbe stata negata. Invece, tutti rinchiusi in un Ciet, i luoghi di detenzione “temporanei” istituiti per decreto, assegnati senza alcuna gara, che Maroni ha inventato perché l’accordo di riammissione con la Tunisia funziona, come era prevedibile, a singhiozzo. Di più: da “semplici” luoghi di detenzione per i tunisini arrivati dopo il 5 aprile (quelli arrivati prima hanno diritto a un permesso di soggiorno temporaneo) in attesa dell’espulsione verso la Tunisia, si sono rapidamente trasformati in luoghi privi di qualsiasi garanzia. Dentro al Ciet di Kinisia ci sono dei tossicodipendenti che non hanno avuto accesso alle cure. Nessuno di loro ha un avvocato di fiducia, ma solo avvocati di ufficio. Touadi denuncia, inoltre, che non è stato messo in campo nessun coordinamento con le associazioni di tutela per i diritti umani per garantire un accesso trasparente al centro. Vale solo la pena ricordare che l’istituzione dei Ciet si è portata dietro l’ordinanza con cui - di nuovo - si vieta l’accesso nei centri ai giornalisti. Il vice prefetto Rosamaria Di Lisi ha anticipato che entro mercoledì tutti gli ospiti della tendopoli di Kinisia verranno spostati nel nuovo Cie di contrada Milo. Ammesso che sia un luogo migliore, comunque troppo tardi. Droghe: “un milione di consumatori in meno”? il Governo droga i dati… di Eleonora Martini Il Manifesto, 30 giugno 2011 Qual è il rapporto tra droghe e carcere in Italia, oggi? E qual è il trend del consumo di sostanze e del numero di tossicodipendenti? I giovani italiani si drogano più o meno di un paio d’anni fa, quando le cloache di Milano raccontavano un Paese praticamente in mano ai trafficanti di cocaina? Ed è vero o no che una delle principali cause del sovraffollamento carcerario è dovuto agli effetti della legge Fini-Giovanardi entrata in vigore cinque anni fa? E c’è o no un accanimento insensato e controproducente (per tutti tranne che per i narcotrafficanti) contro i consumatori di cannabis? A leggere il II libro bianco presentato lunedì dalle comunità di accoglienza e dalle associazioni di operatori ed esperti (Antigone, Forum droghe, Società della ragione), il numero di consumatori più o meno problematici è rimasto sostanzialmente stabile mentre ciò che è in ascesa è il numero di detenuti in carcere per violazione dell’articolo 73 della legge, quello cioè che determina la fattispecie del reato di detenzione o spaccio. E dai sequestri di sostanze e dal tipo di segnalazioni si evince, secondo loro, che ratti-vita repressiva colpisce soprattutto i consumatori di cannabis. Invece, secondo la Relazione al parlamento presentata ieri in conferenza stampa a Palazzo Chigi dal sottosegretario Carlo Giovanardi e dal capo del dipartimento delle Politiche antidroga Giovanni Serpelloni, dal 2008 a oggi ci sono un milione di consumatori in meno. I tossicodipendenti diminuiscono anche se aumentano coloro che chiedono cure al Sert - si legge nel rapporto - e i giovani tra i 15 e i 19 anni (un campione di 35 mila, raggiunto per lettera) sono decisamente meno attratti dalle sostanze illegali, “grazie alla deterrenza della legge” e a “un fronte compatto ed esplicitamente contro tutte le droghe”, ha spiegato Giovanardi aggiungendo nella Relazione che se c’è “una piccola minoranza di persone che ancora ne fa uso” è perché ci sono “adulti e organizzazioni che continuano ancora a pubblicizzare e sostenere l’innocuità della cannabis”. E diminuisce anche il numero di carcerati con “problemi socio-sanitari droga correlati”: “Smentisco completamente i dati forniti nel Libro bianco”, ha affermato seccamente ieri Giovanardi lasciando al suo capo dipartimento il compito di sbrogliarsela con le cifre. “Dati in-credibili”, sostiene la Cnca. “Di dubbia scientificità”, aggiungono i Radicali. E perfino San Patrignano dice che i conti non tornano. Ma a guardarli bene, in realtà, i dati della Relazione governativa e del Libro bianco sono esattamente gli stessi. Certo, bisogna fare attenzione ai mille modi di esporre i dati, tipo riportare il numero complessivo degli arresti per violazione del testo unico sulle droghe (identico nei due rapporti: 29.076) suddividendo poi a seconda delle sostanze solo le segnalazioni alle autorità giudiziaria (secondo Giovanardi solo il 24,8% riguarda il traffico di cannabis mentre dai dati del Ministero dell’Interno presentati sul Libro bianco le persone segnalate per marijuana, hashish e piante sono 10.030, cioè il 41%). Oppure considerando un decremento del 4,7% degli ingressi in prigione di persone “con problemi socio-sanitari droga correlati” ma tralasciando il fatto che è diminuito pure il numero assoluto di ingressi in carcere (in quest’ottica la flessione si riduce all’1% rispetto al 2009). “Non vogliamo parlare di tossicodipendenti in carcere - ha spiegato ieri Serpelloni - perché spesso i detenuti ricorrono alla certificazione di dipendenza solo come un escamotage per evitare conseguenze penali più gravi”. E così via. Ci risiamo, “come tutti gli anni Giovanardi si esercita nell’arte del dare i numeri per come torna comodo alla propaganda del suo dipartimento”, insistono i Radicali che chiedono di “dibattere la Relazione fino all’ultima virgola in Parlamento”. Giovanardi, in serata, si è detto disponibile. Ma rivendica la superiorità dei suoi dati e nega conclusioni di parte. “E allora facciamo a settembre un processo pubblico in Parlamento -annuncia Franco Corleone, segretario di Forum droghe - alla legge e ai cinque anni di sua applicazione e di relazioni governative. Solo così potremo sapere la verità e trovare le giuste soluzioni”. Stati Uniti: detenuti morti dopo interrogatori Cia, aperta inchiesta Ansa, 30 giugno 2011 Il dipartimento della Giustizia ha deciso di aprire un’inchiesta penale in relazione alla morte di due detenuti, deceduti dopo essere stati interrogati da parte della Cia. La mossa, spiega il sito dell’emittente televisiva Fox citando il ministro della Giustizia Eric Holder, è il risultato di un’indagine preliminare, durata due anni, sugli interrogatori Cia dell’ era Bush. “Il procuratore federale John Durham - ha spiegato in un comunicato Holder - ha visionato una grande quantità di materiale. Il procuratore mi ha informato dei risultati della sua indagine preliminare e ho deciso di aprire un’inchiesta penale per verificare le circostanze che hanno portato alla morte di due detenuti”. Il ministro della Giustizia ha poi voluto scongiurare la possibilità di ulteriori inchieste per indagare su altri casi sospetti: “non c’è alcuna certezza che ciò accada”.