Niente spesa, siamo tutti più poveri di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 28 giugno 2011 A Padova i detenuti hanno deciso due settimane di astensione dalla spesa: un gesto di solidarietà a Marco Pannella, che digiuna proprio per difendere i diritti delle persone detenute. In occasione delle iniziative in corso ad opera del Partito Radicale per denunciare le condizioni disumane delle carceri sovraffollate, dove dilagano il degrado e la povertà, dal 19 giugno i detenuti della Casa di reclusione di Padova, nella stragrande maggioranza, circa ottocento su ottocentocinquanta presenze, si sono astenuti dal fare la spesa. L’unica cosa che si sono comperati sono gli articoli coperti dal monopolio delle Stato: sigarette, tabacco e francobolli. Tutto è partito dopo che Marco Pannella aveva iniziato lo sciopero della fame per denunciare le condizioni disumane delle carceri, e chiedere un’amnistia generale. Tutte le radioline del carcere si sono sintonizzate su Radio Radicale per ascoltare i discorsi del leader radicale e, dato che c’era una scarsa attenzione da parte dei giornali e dei telegiornali verso lo sciopero di Pannella, molti detenuti in diverse carceri d’Italia hanno intrapreso diverse forme di protesta. Anche nella Casa di reclusione di Padova era nata una protesta spontanea: attraverso il passaparola, si era deciso di rifiutare il vitto per esprimere solidarietà a Pannella. La sera della protesta ero steso sulla mia branda e stavo scrivendo un articolo con il portatile appoggiato sulle ginocchia. Il giorno prima era morto Walter, un giovane tossicodipendente che aveva messo fine alle sofferenze della galera uccidendosi con il gas dei fornellini. Non lo conoscevo, ma come faccio spesso quando succedono tragedie in carcere, mi affretto a scrivere per la news letter quotidiana di Ristretti, e a raccontare qualcosa di più rispetto ad un lancio d’agenzia di poche righe sull’ennesimo morto in galera. Mentre mi sforzavo di riordinare le idee e di trovare le parole adeguate per descrivere una morte così assurda, all’improvviso tutti i detenuti hanno iniziato a sbattere le padelle contro le sbarre. Immediatamente il suono metallico di centinaia di finestre ha cominciato a riecheggiare per tutta la superficie del carcere, facendo tremare i pochi arredi delle celle. Sapevo che la protesta era contro le condizioni di vita poco umane causate dal sovraffollamento, ma stavo scrivendo di un ragazzo morto nell’indifferenza dei mezzi d’informazione, e allora avevo preferito immaginare che quei rumori si stavano sollevando in ricordo di un compagno morto. Il giorno dopo, di quella protesta non ha parlato più nessuno, giornali e telegiornali erano troppo occupati con fatti di cronaca e gossip sulle vite private dei VIP, mentre di quell’azione collettiva che la sera prima aveva fatto da sfondo al mio articolo, erano rimasti solo i residui di stracci bruciati buttati giù dalle finestre. Due settimane dopo c’è stata un’altra tragedia: Alessandro, ancora un ragazzo tossicodipendente morto allo stesso modo di Walter. Con il cuore pieno di rabbia, ho scritto un articolo che poi abbiamo messo on line la mattina stessa. Era il nono detenuto che moriva in poco più di un anno, e questo ha spinto l’onorevole Rita Bernardini a venire a Padova per incontrare i medici di questo carcere e informarsi su un numero così alto di morti. Una radicale in redazione Dopo la visita nell’infermeria del carcere, la deputata radicale, in ragione di una amicizia ormai pluriennale con noi di Ristretti, si è fermata in redazione e ci ha aggiornati sulle condizioni di salute di Marco Pannella. Con lei abbiamo parlato di sovraffollamento, di condizioni igieniche, di povertà e di malattia. Da parte nostra, l’abbiamo informata che ritenevamo straordinariamente coraggioso e importante lo sciopero della fame del capo dei radicali, ma ci preoccupava il fatto che qualche altro detenuto stesse facendo lo sciopero, perché vista la vergognosa indifferenza politica di questi tempi verso una personalità di spicco come Pannella, per un detenuto anonimo scioperare avrebbe potuto significare rischiare davvero la vita. Tuttavia abbiamo spiegato anche che nelle sezioni erano nati dei gruppi di discussione e che si era pensato di mettere in atto altre forme di adesione, come l’astensione dalla spesa. Quindi si è deciso di rinunciare a fare la spesa per due settimane invece di continuare con quelle iniziative spontanee della battitura delle sbarre; abbiamo anche escluso altre forme di protesta come il rifiuto del carrello del vitto, messo in atto in altre carceri, poiché ci siamo accorti che è una forma di protesta che crea disparità tra le persone che possono cucinarsi i pasti a proprie spese e le persone che non hanno nulla in cella; al contrario, astenersi dalla spesa è un gesto di solidarietà che fanno i detenuti con una certa disponibilità economica, che dimostrano così di essere capaci di trascorrere due settimane senza spesa, e vivere mangiando ciò che passa il carrello: insomma vivere come vive solitamente la maggioranza dei detenuti. Della presenza dell’onorevole Bernardini abbiamo approfittato per parlare anche del motivo della sua ispezione in questo carcere: il servizio sanitario e le morti in carcere. Della nostra preoccupazione per la situazione poco chiara che si è creata dopo il passaggio di competenze della sanità penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale, abbiamo scritto diverse volte sui numeri di Ristretti, ma l’abbiamo ribadito con Rita Bernardini, raccontandole della battaglia che stiamo facendo per confrontarci con i responsabili della Sanità e chieder loro di riorganizzare il Servizio Sanitario e di elaborare una Carta dei servizi sanitari per i detenuti, come prevede la legge. Come al solito, la deputata radicale ha portato a Roma intere pagine di appunti e gli abbracci di decine di detenuti che, dopo averla incontrata, si sono sentiti meno soli in questa battaglia per la sopravvivenza che attualmente si sta facendo un pò in tutte le carceri. La protesta Tanti la chiamano una protesta, ma in realtà astenersi dalla spesa non è una protesta. Qui c’è una impresa che ci vende una serie di prodotti che siamo autorizzati ad acquistare, ma non siamo obbligati a farlo: se uno non ha denaro o non vuole spendere, è libero di non comperare alcunché. Comunque, spesso, poter acquistare qualche prodotto dall’impresa è un modo per conquistare un pò di dignità nella quotidianità della cella. Comperare il necessario per preparare una cena decente, oppure l’indispensabile per prendersi cura della propria igiene, ti permette di acquisire un pò di quella identità umana di cui veniamo spogliati sin dal primo momento in cui mettiamo piede qui dentro. Però, solo una parte dei detenuti può fare questo. I prezzi che l’impresa impone sono troppo alti, soprattutto perché non ci sono offerte speciali e la scelta degli articoli messi in vendita è prevalentemente fatta di prodotti di marca molto costosi. D’altro canto, i tre euro e mezzo che l’amministrazione penitenziaria paga per i tre pasti forniti ai detenuti, sono del tutto insufficienti, a tal punto che sarebbe impossibile saziare tutti i detenuti se le persone non provvedessero con i propri soldi ad acquistare prodotti alimentari e prodotti per l’igiene. Protesta oppure no, ogni azione collettiva richiede tanto lavoro ed energie, perché bisogna chiamare a partecipare alle discussioni più detenuti possibile, e poi anche quelli che rimangono in cella hanno diritto ad essere informati su ciò che viene detto o deciso. Allora abbiamo chiamato in redazione molti detenuti delle sezioni con i quali abbiamo discusso sui problemi maggiori di questo carcere. I detenuti sono sempre più poveri ed avere la possibilità di usufruire di un servizio di spesa che tenga in considerazione le necessità di tutti è fondamentale, ma non è l’unico problema che i detenuti affrontano quotidianamente. Infatti, dalla discussione è venuto fuori che anche il carcere è sempre più povero. In seguito ai continui tagli effettuati negli ultimi anni, la fornitura di prodotti per l’igiene si è progressivamente ridotta. Ad esempio, attualmente viene fornito, per ogni persona, un rotolo di carta igienica a settimana; per ogni cella, due sacchetti di spazzatura a settimana e detersivo in quantità insufficiente. Saponette, spazzolino da denti e dentifricio sono disponibili solo per chi dimostra di avere meno di 25 euro sul libretto. Fondi destinati alle telefonate per i nullatenenti non sono previsti del tutto. Inoltre, molto sentito dai detenuti è il fatto che le ore dei lavoranti sono state ulteriormente ridotte, comportando sia un loro impoverimento, sia una ulteriore riduzione della capacità di intervenire nella pulizia degli spazi e nella manutenzione della struttura, che era progettata per ospitare un terzo delle persone che ci sono attualmente, il che significa docce che si rompono più spesso, le tubature che si consumano causando infiltrazioni d’acqua nelle celle, i muri, le finestre e i pochi arredi che si sporcano e si usurano maggiormente, mentre gli spazi destinati alle attività e ai colloqui con i famigliari, sono sempre quelli. Alla fine della discussione si è deciso di non fare la spesa per due settimane e di organizzare un incontro con il direttore del carcere per vedere insieme le cose che si possono migliorare nella Casa di reclusione di Padova. Non sappiamo come andrà a finire l’incontro, così come non sappiamo, ed è la cosa che ci preoccupa di più, che conclusione avrà lo sciopero di Marco Pannella, ora che, mentre scrivo queste righe, viene data notizia che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli ha mandato un messaggio pubblico pregandolo di interrompere lo sciopero in nome della stima e dell’amicizia personale. Se non ora quando? Schiacciati dalla paura di perdere i benefici, divisi dalle diversità culturali, impoveriti, sia economicamente che culturalmente, noi detenuti in un modello di carcere che non migliora le persone, ma produce ignoranza e criminalità, per una volta ci siamo uniti per dare un segnale di preoccupazione ma anche di rabbia, per reagire a questo senso di impotenza che ci ha invasi. Protesta o no, l’impresa del carcere, per due settimane ha dovuto fare a meno dei suoi 850 clienti fissi, che hanno sì stretto la cinghia vivendo solo con il rancio da galera, ma hanno in questo modo dimostrato di poter fare a meno di chi, anche in condizioni di sofferenza, cerca di perseguire il massimo profitto dimenticando di aver a che fare con persone. Un presente davvero preoccupante, ma il futuro ci spaventa ancora di più visto l’atteggiamento che gran parte del mondo politico ha nei confronti delle carceri. Tuttavia la speranza di una svolta umanitaria c’è ancora, ed è mantenuta in vita da quei pochi politici donchisciotteschi come i radicali, e da tutti quei volontari, ricercatori e studiosi che si impegnano ogni giorno a combattere sul fronte dei diritti delle persone private della libertà. Sicuramente nei prossimi giorni non succederà nulla che possa dare la percezione di un cambiamento, ma siamo convinti che è l’ora che anche i detenuti inizino a far sentire il proprio disagio e chiedere condizioni di vita migliori. Se Marco Pannella ha deciso di cambiare marcia nella sua battaglia per i diritti dei detenuti, e di mettere ancora di più a rischio la sua vita per denunciare questa situazione drammatica, è proprio perché la situazione delle carceri sta peggiorando in modo inaccettabile, e allora, anche noi della Casa di reclusione di Padova che siamo ancora in condizioni di vita accettabili, ci siamo domandati: SE NON ORA QUANDO fare sentire la nostra voce? Ed è una domanda che dovrebbe sorgere spontanea in tutti i detenuti, se non ora, che in quasi tutte le case circondariali, i detenuti dormono con i materassi per terra, che l’unica attività sono le poche ore d’aria, che il cibo è insufficiente e spesso di cattiva qualità, che il servizio sanitario è latitante nei reparti, che molte famiglie non hanno i soldi necessari per viaggiare e fare i colloqui e le telefonate sono sempre di soli dieci minuti a settimana, che il carcere non provvede più alla distribuzione di prodotti per l’igiene, se non ora, quando far sentire la nostra voce? Un incontro con il Direttore Dopo averne discusso in redazione e ragionato con i detenuti delle sezioni, questi sono in linea di massima alcuni argomenti che abbiamo iniziato ad affrontare con il direttore, e che riportiamo in quanto sono problemi comuni a quasi tutte le carceri: Le attività Estendere l’apertura delle celle per tutto l’arco della giornata, dalle 08:45 che è l’apertura per l’aria, alle 19:45 che è anche l’ora della chiusura dei reparti. ampliare il programma di attività sportiva che deve prevedere due volte alla settimana per ogni piano la palestra e due volte il campo. Evitare la creazione di sezioni divise per etnie che rischiano di far nascere sezioni ghetto. Il vitto L’amministrazione penitenziaria paga poco più di 3 euro al giorno per i tre pasti forniti ai detenuti. Da questo consegue che la cucina del carcere prepara una quantità di cibo insufficiente a soddisfare i bisogni dei detenuti, spesso giovani. Pertanto, chiediamo al direttore di trasmettere le nostre richieste al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e chiedere che vengano rivisti i criteri delle tabelle in cui si definiscono le quantità dei generi da distribuire a ciascun detenuto: a) aumentare le porzioni individuali per la prima colazione con almeno 200 ml di latte per ciascun detenuto; b) aumentare le porzioni della pasta e della carne per il pranzo. Inoltre chiediamo che venga migliorata la qualità della frutta e della verdura, e anche la quantità; che venga ripristinata l’integrazione del vitto per i giovani adulti, mentre, per quanto riguarda i controlli, i detenuti dovrebbero avere la possibilità di confrontarsi con la Commissione cucina per segnalare eventuali disservizi. Il sopravvitto L’impresa del sopravvitto dovrebbe rispettare le esigenze anche delle persone meno abbienti, e offrire per ogni prodotto di marca un’alternativa di qualità, ma dal prezzo contenuto. Chiediamo quindi all’impresa di ampliare la gamma dei prodotti in vendita al sopravvitto, e che ci sia per ogni articolo, una possibilità di scelta alternativa. L’igiene personale Si ritiene opportuno proporre che sia alzata la soglia di accesso al diritto di ricevere il kit per l’igiene personale. Nella Casa di reclusione di Padova, il kit viene dato solo a chi possiede sul conto corrente meno di 25 euro. Una soglia molto bassa se si pensa che quella somma è già insufficiente per le necessità di base come comunicare con le famiglie al telefono o per posta. Si chiede il ripristino della fornitura riguardante i detergenti per i sanitari e i pavimenti per ogni cella, insieme alla sostituzione gratuita della fornitura, come posate e stracci, giacché la maggior parte dei detenuti non è nelle condizioni di pagarseli. Le ore dei lavoranti sono state ulteriormente ridotte, comportando una riduzione della capacità di intervenire nella pulizia degli spazi e nella manutenzione della struttura. Ciononostante la direzione dovrebbe garantite una manutenzione periodica delle docce, ed altri interventi legati agli spazi vitali dei detenuti. Indigenza e lavoro È necessario un sostegno economico ai detenuti meno abbienti per consentirgli la comunicazione con i famigliari, rendendo più accessibile il fondo messo a disposizione dai volontari per telefonate e francobolli. Si chiede trasparenza nella formazione delle graduatorie di assunzione al lavoro, considerando che il criterio della condizione economica della persona detenuta e della sua famiglia è prioritario. Colloqui con i parenti Si chiede che venga usata regolarmente l’area verde per i colloqui con i famigliari, e che sia garantito a tutti i detenuti di poterne usufruire durante il periodo estivo. Inoltre occorre intervenire per la manutenzione delle sale colloqui, delle sale d’attesa e dei bagni riservati ai parenti in visita. Giustizia: è straordinario… 15.000 persone in protesta con Marco Pannella di Valter Vecellio Notizie Radicali, 28 giugno 2011 Scrive Adriano Sofri nella sua rubrica “piccola posta” su “Il Foglio”: “Poscritto: bene i giornali che escono oggi dando spazio alla lettera di Napolitano sul lungo sciopero della fame e della sete di Pannella, senza aver mai scritto prima che Pannella faceva un lungo sciopero della fame e della sete. Morale eventuale: ci importa un po’ di Napolitano, pochissimo di Pannella, meno che niente dei detenuti”. Non ha torto, Sofri, e si vorrebbe poter smentire con i fatti quell’amarezza che traspare dalle sue poche righe; ma non si può smentire quello che si condivide. Con un ulteriore poscritto. La lettera del presidente Napolitano è importante, ed è singolare che - pur essendo disponibile per tempo nel sito del Quirinale - nessun giornale abbia ritenuto di pubblicarla integralmente, a mò di editoriale, come altre volte è capitato. Quella lettera, ufficiale, è la presa d’atto e la denuncia autorevolissima di una situazione intollerabile che intollerabilmente è stata tollerata. Ancora: l’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella è stata accompagnata da un qualcosa di straordinario e di mai accaduto prima: quindicimila persone, la metà almeno detenute, ma probabilmente sono di più, che hanno deciso di unirsi a questa forma di lotta: per uno, due, cinque giorni…Dalle carceri italiane che tutti descrivono - giustamente - un inferno, una fabbrica di dolore e disperazione - è venuto questo segnale di speranza e di “dialogo”: dai detenuti e dai loro “custodi”, dall’intera, vasta comunità della popolazione penitenziaria. È un qualcosa di accecante che non viene colto; ed è anch’esso un segno di quella “rivolta” che si è manifestata in occasione delle elezioni amministrative e del referendum. Ed è davvero incredibile - ma al tempo stesso credibilissima - la letterale cecità con cui chi dovrebbe cogliere questi segni e saperli valutare e interpretare, al contrario mostra di non rendersi conto di quello che accade ed è accaduto. Ed è, evidentemente, materia di riflessione anche per noi. La “semina” produce frutti inaspettati rigogliosi, più di quanto forse ci si aspettava. C’è un paese sommerso, silenziato, ignorato, ma vivo e presente, che ancora una volta ha mostrato di comprendere e di condividere le radicali richieste di Pannella, e le ritiene giuste e legittime, nella loro immediatezza oltre che nel loro contenuto. Pannella ha sospeso - e ha avuto ben cura di scandire: s-o-s-p-e-s-o - lo sciopero della sete. Si è compiuto un altro importante passo nella giusta direzione, ma, come ancora Pannella ha scandito, “la lotta nonviolenta continua”. È, per esempio incontestabile che Pannella subisce un intollerabile ostracismo da parte dei grandi mezzi di comunicazione, del servizio pubblico in particolare. Basti dire che su una “lista” di ben 1.303 politici, intervenuti nelle principali trasmissioni di approfondimento politico del servizio pubblico, Marco Pannella non compare. Con la sua iniziativa Pannella intende portare alla nostra attenzione e una situazione, quella della giustizia e delle carceri in particolare, che giustamente viene individuata come la più grande e urgente emergenza di questo paese. Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.800 detenuti di cui ben 650 per suicidio. Nello stesso periodo di tempo si sono uccisi anche 87 agenti di polizia penitenziaria. Nelle nostre prigioni sono stipati poco meno di 70mila detenuti in luogo dei 44mila. Nel solo 2010 ben 1.137 detenuti hanno tentato di togliersi la vita. Gli atti di autolesionismo sono stati 5.703; 3.039 i ferimenti. Le carceri italiane sono un enorme discarica sociale e umana: almeno un terzo di detenuti in attesa di giudizio; oltre la metà in carcere per reati legati all’immigrazione clandestina o per violazione della legge sulle tossicodipendenze. Contemporaneamente ogni anno circa 150mila processi anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Nel 2008 sono stati prescritti 154.665 procedimenti; nel 2009 altri 143.825; nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno letteralmente in fumo. Non bisogna stancarsi di chiedere e volere che il servizio pubblico assicuri quello che finora è stato colpevolmente disatteso e che costituisce l’essenza del suo essere: informare, consentire al cittadino di sapere per poter giudicare; e prima o poi ci dovrà essere riconosciuto quel “risarcimento” e quella “riparazione” per il vero e proprio ostracismo subito e patito in questi anni da Pannella e dai radicali. Oltre trecento i firmatari a sostegno iniziativa leader radicale Sono oltre trecento, ad oggi, e continuano ad aumentare i firmatari dell’appello a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, giunto oggi al 69esimo giorno di sciopero della fame. Tra le adesioni giunte oggi quelle dell’attore Giorgio Albertazzi, del filosofo Giacomo Marramao, del premio Nobel Rita Levi Montalcini e del giurista Stefano Rodotà. L’appello - firmato da circa duecento parlamentari di tutti i gruppi, rappresentanti di enti locali, giuristi, intellettuali, giornalisti, religiosi, operatori del sistema penitenziario, personalità dell’arte e della cultura - richiama l’attenzione sull’urgenza di affrontare la crisi della giustizia e l’emergenza carceraria, nonché sulla necessità di porre fine al silenzio dell’informazione che impedisce un dibattito democratico su questi, come su altri grandi temi. Toscana: ok all’assistenza sanitaria per i minori ristretti negli istituti penali Asca, 28 giugno 2011 La giunta regionale della Toscana ha approvato il percorso per la presa in carico, da un punto di vista sanitario, dei minori sottoposti a procedimento penale, sia nelle situazioni ordinarie che in quelle di urgenza. L’obiettivo è consentire la prestazione di interventi appropriati rispetto ai bisogni assistenziali, rispondendo all’esigenza della magistratura di emettere provvedimenti tempestivi e precisando la competenza economica, ovvero a chi spetta prendersi carico dei costi della retta di mantenimento a seconda del tipo collocamento individuato (comunità terapeutica o comunità socio-educativa). ‘In tempi rapidissimi - ha detto l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - abbiamo dato attuazione a uno dei tanti interventi previsti dalla delibera, che punta alla salvaguardia della salute dei detenuti. Un intervento importante, perché scaturisce da un rinnovato rapporto di collaborazione con l’amministrazione penitenziaria. Il percorso approvato mette in comune risorse, umane ed economiche, e si basa su una sinergia molto ampia che prevede il coinvolgimento di tutto il territorio. Molto presto - ha concluso l’assessore - saranno approvati anche altri punti contenuti nelle linee di indirizzò. In particolare, si prevede un’attenzione nella valutazione dello stato di salute del ragazzo o della ragazza al momento del suo ingresso in istituto, da effettuarsi da parte di una vera e propria equipe di base, costituita da medico, psicologo e educatore professionale. Quindi sarà ponderata attentamente l’eventuale decisione di inviare il minore, da subito, in una comunità di tipo terapeutico, che sappia rispondere appropriatamente e tempestivamente al bisogno sanitario. Bari: la ventinovesima impiccagione nelle carceri italiane di Riccardo Arena www.ilpost.it, 28 giugno 2011 Bari, 27 giugno. D.S., persona detenuta di 28 anni, si è impiccato nel pomeriggio all’interno del bagno della sua cella, situata nella terza sezione del vecchio e sovraffollato carcere di Bari. Un carcere vecchio, perché realizzato nel 1926. Sovraffollato, perché potrebbe ospitare solo 250 detenuti, mentre oggi ne contiene 530. Un sovraffollamento che determina la morte. Vivere in otto persone all’interno di celle di pochi metri quadrati e restare lì chiusi per 22 ore al giorno, non è vita. Non è neanche vita da detenuti. E infatti. D.S. è rientrato in cella dopo aver fatto il colloquio con i familiari. Ha preso un lenzuolo, ne ha fatto un cappio e si è impiccato alle grate della finestra del piccolo bagno. D.S. è la 29esima persona detenuta che dall’inizio dell’anno rinuncia a vivere in carcere. Il nono, solo in Puglia. Numeri che raccontano persone, il loro abbandono, e il fallimento di uno Stato di diritto. Ma il conteggio potrebbe essere inesatto. Dalle carceri arrivano segnalazioni di altri decessi. Decessi che però non sono confermati ufficialmente (cosa che è divenuta sempre più difficile). Ad esempio pare che l’8 giugno una persona detenuta sia morta nel carcere Poggioreale di Napoli. Mentre il 18 giugno, una persona detenuta si sarebbe impiccata nel carcere di Spoleto. Morti sconosciute o spietata strategia? P.S. Oltre ai numeri, che dicono poco, sarebbe utile immedesimarsi nelle vicende degli altri. (Attività assai fuori moda). Già immedesimarsi. Si scoprirebbe che morire impiccati in carcere, senza l’assistenza di un boia esperto e usando strumenti improvvisati come lenzuola, magliette ecc., significa affrontare un’agonia di 10 o 15 minuti. Sempre se non si abbia la “fortuna” di rompersi l’osso del collo prima. Anm: sconcerto per disinteresse della politica “Il quinto suicidio in sei mesi nelle carceri pugliesi, in cui l’indice di sovraffollamento sfiora il 100% (e il 150% nel carcere del capoluogo di regione), è fatto di tale gravità da suscitare la generale indignazione. Quanti hanno a cuore l’esigenza del rispetto di principi di elementare umanità sono dunque tenuti a far sentire la loro voce”. Lo afferma in una nota l’Anm di Bari che esprime sconcerto per l’assoluto disinteresse al problema carcerario pugliese che viene manifestato dalla classe politica. Coloro che rivestono funzioni politiche e di governo - sottolinea l’Anm - hanno il dovere morale, ancor prima che giuridico, di intervenire prontamente, quanto meno per evitare che simili tragedie abbiano a divenire sempre più numerose. Ed invero, le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri pugliesi, ristretti anche in dieci in celle di quattro metri per due, in letti a castello alti cinque metri, sono palesemente indegne di un paese come l’Italia e confliggono con il senso di civiltà ancor prima che con i principi costituzionali, recando un vulnus inammissibile al nostro modello di democrazia liberale”. Cagliari: detenuto in permesso si suicida per evitare l’arresto dopo lite con la convivente Agi, 28 giugno 2011 Drammatico episodio nella notte a Uta, nel cagliaritano. Mohamed Hajii, marocchino di 27 anni, si è tolto la vita per evitare l’arresto dopo una violenta lite con l’ex fidanzata. Il giovane, detenuto in permesso nel carcere di Iglesias, era andato a trovare la giovane in una casa di campagna. Tra i due, secondo quanto si è appreso, è scoppiato un violento diverbio alla fine del quale l’extracomunitario si è allontanato in auto. La donna ha avvertito i carabinieri che hanno intercettato il fuoristrada con a bordo il tunisino in una via del paese. A quel punto, per non farsi arrestare, il giovane ha estratto un coltello col quale si è colpito al petto. Immediatamente soccorso, è stato accompagnato all’ospedale Brotzu di Cagliari dove, nel reparto di cardiochirurgia, è stato sottoposto a intervento, ma i medici non sono riusciti a salvargli la vita. Roma: il Garante regionale Marroni; 3.644 detenuti, per soli 2.600 posti Il Velino, 28 giugno 2011 Marroni: Sovraffollamento nei cinque istituti della Capitale. Si rischia emergenza umanitaria. Scoppiano letteralmente le carceri di Roma. Sono, infatti, 3.644 i detenuti reclusi nei cinque istituti della Capitale (Regina Coeli, Rebibbia Nuovo Complesso, Rebibbia Penale, Rebibbia III casa e Rebibbia Femminile) a fronte di una capienza regolamentare di soli 2.600 posti. I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni nel corso di una conferenza stampa al termine di una visita nel carcere di Regina Coeli. “Nelle carceri di Roma c’è una situazione drammatica - ha detto Marroni - legata al sovraffollamento e aggravata dalla carenza di personale e di risorse finanziare. Nelle celle sono ammassate centinaia di persone molto spesso prive della possibilità di usufruire di bisogni primari come, ad esempio, quelli igienici o di trascorrere momenti di socialità al di fuori delle celle”. A Regina Coeli, sono reclusi 1141 detenuti a fronte di 724 posti. Da mesi si registra un crescente sovraffollamento dato dal numero degli arresti e dal turnover giudiziario, con oltre 9000 ingressi/anno. La struttura - vecchia ed ormai non più in grado di garantire standard accettabili di carcerazione - ha bisogno di continui interventi di ristrutturazione ritardati dalla carenza di risorse. Alcuni servizi essenziali sono spesso assicurati da una sola unità di polizia penitenziaria: quando questa manca, il sistema entra in crisi. I familiari dei reclusi sono costretti ad attese di ore per colloquiare con i familiari con lunghe file per la strada. Il lavoro interno è diminuito; sono calate le ore retribuite per un carico di lavoro sempre più oneroso. Sono diminuiti i piantoni per assistere i malati negli atti di vita quotidiana. In terza sezione, dove c’è posto per 180 detenuti, si è arrivati a 210 ristretti con la trasformazione, due mesi fa, delle 3 stanze di socialità in camere detentive. All’inizio in questi spazi c’erano al massimo 6 detenuti in 25 mq con un solo bagno senza finestra. Oggi ogni sala contiene 10 detenuti, in condizioni igienico sanitarie al limite: si mangia sui letti, si dorme sui materassi a terra, si tengono indumenti e cibo sotto il letto, per non affollare la stanza. In questa sezione, come nella sesta e nell’ottava, le condizioni di vita sono aggravate dallo scarso ricambio dell’aria causato dalle antiche porte in legno delle celle, che quando sono chiuse non consentono il passaggio dell’aria. In seconda sezione, dove non è stato possibile aprire spazi per l’osservazione psichiatrica per mancanza di personale Asl e di polizia penitenziaria, in alcune celle non arriva l’acqua. In tutta l’area si respira un odore sgradevole soprattutto in questi mesi di caldo. La maggior parte dei reclusi è straniera e legata alla microcriminalità (tossicodipendenti, senza fissa dimora). Elevata la richiesta di beni primari (intimo, cibo, prodotti per l’igiene intima, carta igienica). Nella prima sezione, è stata chiusa l’aula scolastica e trasformata in Camera detentiva. In quarta sezione, (quella dei tossicodipendenti), l’indice di sovraffollamento è quasi del doppio. Nel carcere non sempre il cibo basta per tutti, e i detenuti hanno scritto al Garante per esprimergli le loro perplessità sulla qualità del vitto. Spesso il Centro Clinico viene usato come camera detentiva; ciò comporta seri rischi per gli immunodepressi e per chi viene esposto a contatti con i sieropositivi. I malati sono allocati per tipologia di reato; nella cella dei “precauzionali”, ad esempio, ci sono persone con patologie diverse (cardiopatici, diabetici, dializzati, minorati fisici). La mancanza di polizia penitenziaria comporta che radiologia, fisioterapia e visite specialistiche non sempre si possano effettuare. A Rebibbia Penale sono reclusi 389 detenuti contro una capienza di 370 posti. Il Garante ha visitato la prima sezione, dove sono ristretti 142 detenuti. Nella sezione sono presenti otto cameroni con una capienza massima di 4/5 posti letto; in sei di questi sono alloggiate 10 persone, negli altri due addirittura 11. I detenuti - che hanno solo un refrigeratore insufficiente rispetto al caldo estivo - sono alloggiati in letti a castello triplo. Nelle celle, il bagno è nella stessa stanza della cucina, con evidenti rischi per la salute dei reclusi. Le docce sono in condizioni pessime; con pezzi d’intonaco che cadono per l’umidità. “Durante la nostra visita - ha detto il Garante - abbiamo incontrato un solo agente di polizia penitenziaria per tutte le sezioni. Questa carenza di personale produce una quasi totale autogestione dei detenuti”. Rebibbia Femminile è, a livello nazionale, l’istituto con maggior numero di detenute: attualmente a Roma ce ne sono 376, oltre 100 in più rispetto alla capienza regolamentare di 274. I reati più comuni sono legati alle tossicodipendenze (durata media circa 5 anni di detenzione) e sfruttamento della prostituzione (generalmente 4-5 anni). Negli ultimi mesi si è registrata una diminuzione di fondi per i medici specialisti, ma anche per i sussidi che venivano utilizzati per fronteggiare situazioni di disagio. Sull’istituto pesa anche il fatto che il Servizio Sanitario Nazionale non fornisce più alcune tipologie di farmaci per le patologie femminili. Grave è la scarsezza di addetti al trattamento (educatori, psicologi ecc.). Le condizioni di vita sono difficili anche dal punto di vista igienico; il sovraffollamento costringe le detenute a vivere in 10 in uno spazio per 4 persone. Un problema che colpisce anche le detenute madri e i bambini che vivono con loro. I problemi più gravi si riscontrano quando i piccoli, per motivi di salute, vengono portati in ospedale senza dare la possibilità alle mamme di seguirli. “La drammatica protesta di Marco Pannella e l’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano hanno contribuito ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media su una situazione che diventa ogni giorno di più insostenibile - ha concluso il Garante Angiolo Marroni - causata da una legislazione fatta per reprimere con il carcere ogni condotta contraria alla legge. Ciò che in questi anni ha prodotto la classe politica è stato largamente insufficiente, e comunque lontano da quell’intervento di sistema che servirebbe per risolvere questa vera e propria emergenza sociale. Al di là delle facili emozioni, è evidente che la domanda di sicurezza che arriva dalla società non può essere soddisfatta solo col ricorso al carcere. Occorre, invece, un atto di coraggio e di onestà intellettuale da parte del Parlamento per varare subito una misura eccezionale ed immediata che preveda, per i reati meno gravi, il massiccio ricorso agli arresti e alla detenzione domiciliare, che devono diventare la misura ordinaria di esecuzione delle misure cautelari e detentive”. Firenze: detenuti domiciliari, i Garanti chiedono aiuto alle associazioni Redattore Sociale, 28 giugno 2011 “Accogliete i detenuti che non possono usufruire dei domiciliari”. Secondo il coordinamento “oltre 10 mila carcerati potrebbero scontare gli ultimi mesi di galera agli arresti domiciliari ma non hanno un alloggio”. Un appello a tutto il mondo dell’associazionismo affinché “metta a disposizione strutture capaci di accogliere i detenuti che hanno il diritto a scontare gli ultimi mesi di galera agli arresti domiciliari ma ne sono impossibilitato in quanto non hanno un domicilio”. È l’appello lanciato questa mattina a Firenze dal Coordinamento nazionale dei garanti territoriali. “Sono oltre diecimila in tutta Italia - ha detto Franco Corleone, coordinatore nazionale dei garanti dei detenuti - i reclusi, soprattutto immigrati, che potrebbero scontare l’ultimo periodo di carcere agli arresti domiciliari. Purtroppo però, essendo nella maggior parte extracomunitari, non hanno un luogo in cui andare e sarebbe opportuno che le associazioni del territorio, dall’Arci alla Caritas fino alla Misericordia, si prendessero un carico il destino di queste persone, così come avvenuto per l’emergenza profughi”. Naturalmente, ha aggiunto Corleone, “queste iniziative dovrebbero essere supportate, anche economicamente, dalle istituzioni locali come comuni e regioni”. Vicenza: da oggi a giovedì detenuti in sciopero della fame, pasti regalati alla Caritas Il Gazzettino, 28 giugno 2011 Sciopero della fame dei detenuti in carcere a Vicenza da oggi a giovedì. E i pasti saranno regalati alla Caritas. Lo fanno sapere con una lettera fatta girare dai loro familiari. “I detenuti della Casa Circondariale San Pio X di Vicenza - scrivono - intendono aderire alle manifestazioni che da diverse settimane sono in corso nei vari penitenziari italiani per protestare contro le precarie condizioni di vita alle quali sono sottoposti a causa del sovraffollamento cronico delle carceri. Tale condizione non consente un’adeguata attività volta a creare i presupposti per il reinserimento sociale dei detenuti, così come previsto dalla legislazione, e obbliga gli agenti a turni di sorveglianza stressanti a causa della perenne carenza di organico”. “La popolazione detenuta - continua la lettera-, pur consapevole del fatto che le pene per i reati commessi devono giustamente essere espiate, ritiene che le condizioni attuali delle carceri siano un’ulteriore pena inflitta, non solo fisica ma anche psicologica, e che solamente la concessione dell’amnistia possa ripristinare condizioni accettabili sia per i detenuti che per gli agenti di sorveglianza”. Pertanto, supportati anche da familiari e Camere Penali, nei giorni 28, 29 e 30 giugno “i detenuti attueranno uno sciopero della fame con richiesta che i pasti non fruiti vengano preventivamente devoluti alla Caritas”. Cagliari: Caligaris (Sdr); inadeguati alcuni locali del nuovo penitenziario Adnkronos, 28 giugno 2011 “Il nuovo Istituto Penitenziario di Cagliari, che sta sorgendo nel Comune di Uta, è già tristemente noto per l’inadeguatezza di alcuni locali e per il mancato rispetto di alcune norme relative alla vita degli operatori e dei detenuti. Probabilmente il progettista non si è informato a sufficienza sulla quotidianità dell’esistenza dei fruitori prima di procedere alla stesura del progetto altrimenti non avrebbe collocato la Direzione dell’Istituto di Pena e l’Ufficio del Comandante fuori dal corpo centrale dell’edificio”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme sottolineando che le notizie apprese, nonostante la segretezza, confermano le perplessità sui tempi di inaugurazione. “Non si comprende come sia possibile ipotizzare - spiega la Caligaris - che il Direttore e il Comandante di un Istituto dov’è prevista la presenza di 700 detenuti tra i quali un consistente numero in regime di 41bis, possano avere gli Uffici fuori dal corpo centrale dell’Istituto. La presenza in sede delle due principali figure del sistema detentivo fa parte necessariamente del doppio binario, recupero e reinserimento, su cui ruota la concezione della pena in Italia, e la Sardegna non dovrebbe fare eccezione”. In realtà la logica che domina nella nuova struttura - sostiene Caligaris - è di massimo contenimento e di totale spersonalizzazione del detenuto. Basti pensare all’assenza di spazi per gli educatori e all’utilizzo delle telecamere e dei sistemi di videosorveglianza per limitare la presenza degli Agenti di Polizia Penitenziaria ridotti a tastieristi. Significativo che non esista una sala colloqui ma un lungo corridoio e che le celle di un Istituto di nuova generazione non siano dotate di prese per i fornelli elettrici. I continui cambiamenti che vengono apportati in corso d’opera all’impianto della struttura - rileva ancora la responsabile di Sdr - provocheranno delle storture difficilmente sanabili. Il risultato di interventi tappabuchi sarà un pasticcio edilizio i cui costi sono notevolmente lievitati ma senza garanzie di razionalità. Sarebbe quindi più che mai opportuno sciogliere il nodo della secretazione ormai fuori luogo per provvedere a ridisegnare la struttura secondo norme di ragionevolezza e convenienza. Senza considerare che per completare l’opera non saranno sufficienti i prossimi sei mesi ma saranno necessari almeno altri due anni dal momento che niente è stato fatto per l’infrastrutturazione viaria, per la rete di collegamento e per accogliere i familiari. È poi ancora da definire il bando per gli arredi né è stato ancora risolto il contenzioso sui terreni espropriati. E se ciò non bastasse non si dimentichi - conclude Caligaris - che non è stato ancora affrontato il problema della salubrità dell’aria vista la presenza di un’azienda che opera con gli scarti di lavorazione delle carni con emissioni nauseabonde e insostenibili. Viterbo: Uil; a rischio attività trattamentali e sicurezza, avanti con lo stato di agitazione www.ontuscia.it, 28 giugno 2011 “L’incontro tra sindacati della Polizia Penitenziaria e Prefetto di Viterbo, non ha portato ad alcuna soluzione dei problemi rappresentati nel documento unitario del 15 giugno 2011 che riguardano le carenze nella Polizia Penitenziaria con 225 unità in meno rispetto ad una pianta organica del 2001che prevedeva oltre 540 unità; un sovraffollamento di detenuti che supera le 750 presenze (capienza max 450 posti) di cui quasi un terzo appartenenti alla criminalità organizzata di vario livello di sicurezza compresi i cosiddetti “41bis”; i circa 230 detenuti con problemi “psichiatrici” che impongono una ulteriore difficoltà alla loro gestione e cure visto che il servizio sanitario prevede 18 ore settimanali per motivi legati ai tagli alla spesa sanitaria regionale; a questo aggiungiamo che da pochi giorni il Direttore (l’unico presente) titolare e stato trasferito al Dap senza essere stato sostituito da alcun’altro suo sostituto titolare in quanto già mancante per altrettanto trasferimento. La Uil in considerazione di queste gravissime carenze e ribadite difficoltà, ha ritenuto opportuno evidenziare che sono fortemente a rischio le attività trattamentali e la sicurezza del carcere in tutti i suoi aspetti e che questo potrebbe prevedere un “blocco serio” per impossibilità del personale a garantire durante il periodo luglio e agosto una corretta operatività nel rispetto del regolamento di esecuzione penitenziario. Se non si vuole comprendere ai vertici del Dap che per Mammagialla è una situazione critica e non da sottovalutare, questo non può ricadere sul personale in servizio oramai ridotto a circa 300 unità distribuiti su turni e servizi come quello delle traduzioni che comporta grossi sacrifici anche in termini di uno stato psicofisico non più adeguato al lavoro da svolgere. Per questi motivi, seppur siamo consapevoli che per il periodo estivo appena iniziato è difficile avere risposte adeguate, la Uil rimanda la responsabilità al Dap e dei suoi vertici principali su quale possa essere l’inefficacia del loro totale disinteresse, sulla quale manteniamo lo stato di agitazione”. Raimondo Fortuna (coordinatore provinciale Viterbo Uilpa Penitenziari) Daniele Nicastrini (coordinatore regionale Lazio Uilpa Penitenziari) Chieti: i detenuti protestano, due giorni di sciopero della fame per l’amnistia Dire, 28 giugno 2011 L’iniziativa di 12 volontari dell’associazione “Voci di dentro” che aderiscono alla protesta di Marco Pannella. In Abruzzo detenuti sono circa 2.000 a fronte di una capienza di 1.400 posti. Un gesto di vicinanza a Marco Pannella e alla sua battaglia conto le condizioni disumane di vita nelle carceri italiane. Mercoledì 29 e giovedì 30 giugno 12 soci dell’associazione di volontariato operante nel carcere di Chieti, “Voci di Dentro”, aderiranno all’iniziativa del leader storico del partito radicale che dal 20 aprile è in sciopero della fame e dal 20 giugno anche della sete. Due giorni di digiuno conto il sovraffollamento delle carceri che in Italia, a fronte di una capienza di 45 mila posti, ospitano oltre 67 mila reclusi. Cifre che superano quelle del luglio 2006 quando il Parlamento approvò l’indulto. Dati preoccupanti che riguardano purtroppo anche le strutture abruzzesi dove i detenuti sono circa 2.000 mentre i posti 1.400. “Il risultato immediato - sottolinea Voci di dentro - è che i reclusi sono ristretti nelle celle 20 ore al giorno, ammucchiati in locali sporchi e degradati e ora con l’estate trasformati in forni. Tutti assieme sia i condannati e sia quelli in attesa di giudizio che sono circa il 30 per cento; malati e sani. E questo mentre i tribunali penali e civili sono oggi soffocati da 11 milioni di processi pendenti”. Contro una tale situazione l’associazione ha annunciato così due giorni di sciopero della fame. Un segno per tenere alta l’attenzione, anche in Abruzzo, sul problema del sovraffollamento delle carceri. Mantova: i “disobbedienti” protestano davanti al carcere La Gazzetta di Mantova, 28 giugno 2011 Per la seconda volta, in meno di un mese, un gruppo di giovani “disobbedienti”, ha assediato le carceri di via Poma per incoraggiare un’amica che si trova “ingiustamente” in galera. Hanno manifestato davanti al portone d’ingresso e sul retro chiamando a gran voce la ragazza. Per oltre quattro ore hanno suonato e intonato cori, guardati a vista da carabinieri, poliziotti e agenti della polizia municipale. Per meglio controllarli le forze dell’ordine hanno dovuto far aprire anche il portone d’ingresso del tribunale. Si tratta più che altro di frequentatori di circoli giovanili trentini e bolognesi. Hanno appeso uno striscione chiedendo la libertà per l’amica e poi musica a tutto volume con tanto di amplificatore, e la lettura di un messaggio diretto alla donna in carcere. Poco dopo le quattordici il gruppo di manifestanti ha abbandonato via Poma in direzione dell’autostrada. La vicenda è relativa all’arresto di sei persone avvenuto il 6 aprile scorso con un blitz negli ambienti anarco-insurrezionalisti emiliani e trentini, e alla denuncia di altre ventuno L’ipotesi di accusa è associazione per delinquere finalizzata all’eversione dell’ordine democratico. Milano: Uil-Pa; a San Vittore in fiamme automezzo per il trasporto dei detenuti 9Colonne, 28 giugno 2011 “Fortunatamente l’evento si è verificato a mezzo fermo e senza persone a bordo. Solo da pochi minuti, infatti, l’automezzo era rientrato da un servizio presso un ospedale cittadino. Sono anni che denunciamo, purtroppo inascoltati, la grave situazione afferente ai mezzi di trasporto in dotazione alle strutture penitenziarie della Lombardia. Mezzi in genere inadeguati, obsoleti, insicuri e senza la prevista manutenzione. Il Maxi Ducato in questione è stato immatricolato nel 1996 e aveva una percorrenza di 401.000 Km. Non osiamo pensare a cosa sarebbe potuto accadere se l’incendio si fosse sviluppato nel bel mezzo del traffico cittadino”. Lo afferma Angelo Urso, segretario nazionale Uil Pa Penitenziari dando la notizia dell’incendio, causato da un problema dell’impianto elettrico o da un surriscaldamento, di un mezzo della Polizia Penitenziaria, adibito al trasporto dei detenuti, avvenuto ieri nel parcheggio all’interno della carcere di San Vittore, a Milano. Proprio la situazione dell’autoparco della polizia penitenziaria di San Vittore per la Uil Pa Penitenziari è “l’emblema di una crisi che rischia di ingenerare disservizi e paralisi delle attività. Lo storico istituto penitenziario meneghino ha in dotazione solo 7 furgoni e 6 pullman (di cui 3 furgoni e 2 pullman inattivi per guasti meccanici) per assicurare la movimentazione dei circa 1.700 ristretti. “Potremmo affermare che a San Vittore solo due pullman sono efficienti ed in regola con i controlli - conclude Urso. Tutti gli altri automezzi funzionanti (4 furgoni e 2 pullman) circolano senza aver effettuato i previsti tagliandi di controllo, senza dimenticare che parliamo di mezzi vecchi e con un percorrenza media superiore ai 300.000 Km. Ovvero parliamo di automezzi potenzialmente pericolosi per il personale, per i detenuti e per gli stessi cittadini”. Chieti: detenuti-atleti e giudici si misurano in una gara podistica a Vasto Il Centro, 28 giugno 2011 Giudici e detenuti del carcere di Torre Sinello podisti a Vasto, nell’ambito dell’iniziativa “Noi protagonisti 2011”. L’appuntamento, frutto della collaborazione tra la direzione della casa circondariale e Centro sportivo italiano della Provincia di Chieti, con il patrocinio del Comune di Vasto, del Comitato provinciale del Coni e dell’arcidiocesi di Chieti-Vasto, si inserisce in un quadro di pianificazione rieducativa intesa a promuovere lo sviluppo della personalità del detenuto, in vista del suo reinserimento nella società. Tra gli atleti in gara anche un gruppo di iscritti della Podistica Vasto e Pgs Atletica Vasto. Prima hanno corso alcuni bambini, poi la gara ufficiale, su un circuito sviluppatosi attorno all’istituto di pena, ai margini della riserva naturale di Punta Aderci, per una lunghezza di circa 13 chilometri. A vincere è stato Mauro Battista della Podistica Vasto. Tra i presenti il direttore del carcere Carlo Brunetti, il comandante della Polizia penitenziaria Ettore Tomassi, il sindaco Luciano Lapenna, il presidente del Consiglio comunale Giuseppe Forte e il responsabile provinciale del Centro sportivo italiano Mimmo Puracchio. Droghe: meno ingressi in carcere, ma solo 10% dei tossicodipendenti ottiene l’affidamento Redattore Sociale, 28 giugno 2011 Relazione al Parlamento. Le persone che hanno beneficiato degli affidamenti in prova erano 2.022 nel 2009 e sono state 2.526 nel 2010 (+24,9%); +24% per quelli affidati direttamente dalla libertà. I minori transitati nei servizi di giustizia sono stati 86. Quali sono le implicazioni sociali del consumo di sostanze stupefacenti in Italia? Anche questo è messo in evidenza nella Relazione annuale al Parlamento, presentata questa mattina. Disoccupazione. La percentuale di disoccupazione degli utenti dei Ser.T. è del 31%. Il maggior tasso di disoccupazione si registra tra le femmine. Inoltre, la percentuale di disoccupati risulta maggiore tra i consumatori di eroina rispetto ai consumatori di cocaina e cannabis. Il 4,0% degli utenti dei Ser.T. risulta essere senza fissa dimora. Carcere. Nel 2010 gli ingressi totali dalla libertà in carcere per vari reati sono stati 84.641 con un decremento dal 2009 del 3,9%. Nel 2010, la percentuale di ingressi di persone che presentavano problemi socio-sanitari droga correlati (assuntori occasionali o abituali di droga in assenza di dipendenza, soggetti assuntori con dipendenza) sul totale degli ingressi negli istituti penitenziari, rispetto al 2009, è diminuita passando dal 29% al 28%. Sempre nello stesso anno, gli ingressi dalla libertà di persone con problemi socio-sanitari droga-correlati sono stati di 24.008 unità, mentre nel 2009 erano stati 25180, quindi una riduzione di 1172 detenuti tossicodipendenti (-4,7%). Da segnalare che il numero di persone che hanno beneficiato degli affidamenti in prova (art. 94 Dpr 309/90) sono stati 2.022 nel 2009 e sono cresciute a 2.526 nel 2010 (aumento del +24,9%). “I soggetti affidati entrati direttamente dalla libertà sono aumentati del 24% rispetto al 2009 - evidenzia la Relazione. La popolazione dei tossicodipendenti in carcere risulta quasi esclusivamente di genere maschile, in prevalenza di nazionalità italiana, con un’età media di circa 33,8 anni. La maggior parte degli adulti tossicodipendenti in carcere associa il consumo di più sostanze (policonsumatori)”. Minori. Le strutture di accoglienza per i minori che hanno commesso un reato sono di diverse tipologie. Secondo il Dipartimento della Giustizia Minorile, nel 2010 i minorenni assuntori di sostanze stupefacenti transitati nei servizi di giustizia minorile sono stati 860, con un decremento rispetto al 2009 del 16,9%. Oltre il 90% degli ingressi è caratterizzato da minori di genere maschile, per l’80% italiani, poco più che 17enni. La cocaina viene usata da questa popolazione con più frequenza rispetto all’eroina. Tra i minori italiani si registra un maggior uso di cannabis rispetto agli stranieri che, invece, fanno maggior uso di cocaina e oppiacei. I reati più frequentemente registrati sono quelli di traffico e spaccio e nell’ultimo biennio si osserva un decremento dei reati commessi in violazione del Dpr309/90. Droghe: piccoli spacciatori, anche loro nell’amnistia… di Franco Corleone pubblicato Il Manifesto, 28 giugno 2011 Sono passati cinque anni dall’approvazione della legge 49/2006 che con un colpo di mano di dubbia legittimità costituzionale (non bloccato dal Quirinale) portò indietro le lancette dell’orologio cancellando l’esito del referendum del 1993, cioè la depenalizzazione della detenzione di stupefacenti per uso personale. Per di più la nuova legge introdusse la tabella unica delle sostanze e la parificazione delle pene per tutte le droghe, leggere e pesanti: con la previsione di pesanti sanzioni (da sei a venti anni di carcere), l’aggravamento delle sanzioni amministrative per l’uso personale e una funesta commistione tra pena e cura. Il fallimento della svolta ideologica e salvifica è testimoniato dai fatti: calano i sequestri di sostanze, cresce il numero delle persone segnalate all’autorità giudiziaria, aumenta il numero delle sanzioni amministrative, aumenta la percentuale dei tossicodipendenti in carcere sul totale dei detenuti, aumenta la percentuale dei tossicodipendenti sul totale degli ingressi; soprattutto aumenta in maniera esponenziale il numero dei ristretti per violazione dell’art. 73 (raddoppiano dal 2006 al 2010). Anche l’idea spesso propagandata da Giovanardi, secondo cui la recrudescenza penale sarebbe stata compensata dalla facilitazione delle alternative al carcere, si è dimostrata fallace tanto è vero che gli affidamenti continuano ad essere inferiori nel 2010 a quelli del 2006. Il quadro diventa ancora più allarmante se si considera l’esplosione del numero delle pendenze giudiziarie, la diminuzione degli interventi sociosanitari e delle presenze in comunità, le difficoltà in cui versano i servizi di riduzione del danno. C’è un altro elemento da considerare. In Italia, la valutazione delle politiche sulle droghe non è certo incoraggiata. Negli ultimi anni la Relazione annuale è sempre più povera dì dati sensibili soprattutto sulle conseguenze penali e sulle presenze in carcere rendendo difficile una analisi del fenomeno. Per di più, alcuni dati forniti sui consumi e in generale la metodologia usata per calcolare la prevalenza dei consumi sono di dubbia validità. L’anno scorso la Relazione ha fatto discutere per l’annuncio clamoroso di un crollo del 25% dei consumi life time di cannabis suscitando incredulità nella comunità scientifica. Per questo vanno superate le criticità del rapporto annuale per alcune proposte per consentire al Parlamento di approfondire gli elementi per una valutazione della legislazione esistente. Grave si presenta quindi la scelta, di pura ispirazione ideologica, di contestare la politica di riduzione del danno non solo nella pratica quotidiana, ma addirittura in sede internazionale facendo assumere all’Italia il ruolo più arretrato nelle politiche sulle droghe. Questa scelta anti pragmatica comporta un processo di riduzione crescente delle risorse destinate all’inclusione sociale e un maggiore ricorso al carcere. Il sovraffollamento nelle carceri ha raggiunto la cifra record di 68.000 detenuti e la metà di essi sono tossicodipendenti o consumatori o piccoli spacciatori. Questi dati rappresentano una vergogna non più tollerabile: da anni ormai chiediamo misure straordinarie per liberare le carceri da persone che non dovrebbero essere recluse in spazi angusti e fatiscenti dove la rieducazione e il reinserimento non sono neppure un mito, ma aspirazioni grottesche. Marco Pannella ha chiesto drammaticamente un provvedimento di amnistia: è evidente che dovrebbe prevedere i reati previsti dall’art. 73 della legge antidroga. Alfano è d’accordo? Libia: mandato cattura per Gheddafi, dalla Corte penale internazionale Ansa, 28 giugno 2011 Farnesina soddisfatta “per la rapidità e serietà con cui la Corte penale internazionale ha dato esecuzione al mandato del Consiglio di sicurezza con la risoluzione 1970 sulla situazione in Libia a partire dal 15 febbraio. La decisione conferma le gravi responsabilità di Gheddafi, del suo secondogenito e di Al Senoussi per gli omicidi e le persecuzioni delle forze armate libiche contro gli oppositori a Tripoli, Bengasi e Misurata”. Dopo le sollevazioni popolari in Tunisia ed Egitto, Gheddafi e il suo circolo hanno complottato una “politica di Stato... volta a dissuadere e a combattere con ogni mezzo, incluso l’uso letale della forza, le dimostrazioni dei civili contro il regime”. Con queste parole il giudice Sanji Monageng ha spiegato la decisione del Tribunale penale internazionale di emettere un mandato di arresto nei confronti di Muammar Gheddafi, del figlio Saif al-Islam e del capo dell’intelligence di Tripoli, Abdullah al-Sanoussi. La Monageng ha definito Gheddafi il “leader indiscusso della Libia” che aveva “il controllo assoluto, ultimo e incontestato” sulle forze militari e di sicurezza del Paese. Secondo il giudice è impossibile dare un numero preciso delle vittime del regime, ma polizia e truppe di Gheddafi hanno presumibilmente “ucciso, ferito, arrestato e detenuto centinaia di civili”. Dunque, secondo il Cpi, la cattura è considerata “necessaria” per Gheddafi, come per il figlio secondogenito ed il capo dei servizi segreti Abdullah al-Senussi - che avrebbe dato direttamente istruzioni all’Esercito e alle milizie mercenarie di attaccare la popolazione e i manifestanti - soprattutto per evitare il proseguimento dei crimini. Per questo, la Corte chiede immediatamente a tutti gli Stati e le organizzazioni regionali e internazionali coinvolte di “cooperare pienamente con la Corte e il procuratore” per assicurarne l’arresto. E la Farnesina esprime in una nota “la propria soddisfazione per la rapidità e serietà con cui la Corte penale internazionale ha dato esecuzione al mandato conferitole dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione 1970 sulla situazione in Libia a partire dal 15 febbraio. La decisione pronunciata oggi dalla Corte dell’Aja conferma le gravi responsabilità di Gheddafi, di suo figlio Saim e del suo genero al Senoussi per gli omicidi e le persecuzioni commessi dalle forze armate libiche contro gli oppositori al regime a partire dal 15 febbraio, in particolare a Tripoli, Bengasi e Misurata: azioni che ricadono nella categoria dei crimini contro l’umanità”. Avevamo del resto avuto prova, attraverso numerose immagini e testimonianze, delle crudeltà perpetrate da Gheddafi contro il proprio popolo”, aggiunge il comunicato del ministero degli Esteri. “La pronuncia della Corte sulle comprovate responsabilità di Gheddafi legittima ulteriormente - secondo la nota del dicastero di Frattini- l’assoluta necessità e l’alto valore della missione umanitaria della Nato in Libia, su mandato Onu, nel quadro della responsabilità di proteggere che spetta alla comunità internazionale nelle emergenze umanitarie provocate da atti di repressione di dittatori verso il proprio popolo”. Siria: oltre mille manifestanti arrestati la scorsa settimana Aki, 28 giugno 2011 Oltre mille le persone arrestate la scorsa settimana in Siria per aver partecipato a manifestanti anti-governative. È quanto denunciano gli attivisti del Coordinamento dei comitati locali della Siria, sottolineando che tra le persone fermate ci sono oltre 400 studenti raggiunti dagli agenti della sicurezza mentre si trovavano nei dormitori universitari nella città di Aleppo, nel nord del Paese. Altri sono stati fermati nella zona della città di Tal Rifat. “Oltre un centinaio di studenti sono stati arrestati nei dormitori dell’università di Damasco dopo aver partecipato a un sit-in pacifico”, riporta il movimento online, aggiungendo che alcuni di loro sono stati anche picchiati. Nei quartieri della capitale, inoltre, sono state fermate almeno 60 persone. Le forze di sicurezza hanno anche arrestato un centinaio di persone nella città meridionale di Jasim e una decina sono stati presi in custodia in altre città, denunciano gli attivisti. Secondo fonti mediche e dei gruppi per la difesa dei diritti umani, sono oltre 1.300 le persone uccise dall’inizio della rivolta anti-Assad in Siria, il 18 marzo a Daraa, e 10mila i detenuti a livello nazionale. Israele: detenuti Hamas in sciopero della fame contro inasprimento condizioni detentive Agi, 28 giugno 2011 Detenuti di Hamas in Israele hanno attuato lo sciopero della fame per denunciare l’inasprimento delle condizioni di detenzione deciso dalle autorità israeliane, come misura di ritorsione per il sequestro del soldato Gilad Shalit a Gaza. L’appello allo sciopero della fame è stato lanciato all’indomani della sistemazione in celle di isolamento di sette dirigenti del movimento fondamentalista detenuti in Israele, ha dichiarato Issa Qaraqe, il ministro dell’Autorità palestinese incaricato del dossier dei prigionieri. Qaraqe non è stato in grado di precisare quanti fra i 2.800 membri di Hamas in carcere abbiano aderito a questo movimento di protesta. A Gaza, territorio controllato da Hamas, circa 500 simpatizzanti hanno manifestato per esprimere il loro sostegno allo sciopero della fame dei detenuti. In un comunicato, l’Autorità nazionale palestinese a Ramallah (Cisgiordania) ha ritenuto che “la decisione israeliana di inasprire le condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi rappresenti una violazione dei diritti dell’uomo e delle convenzioni internazionali sui diritti dei prigionieri di guerra”. Il comunicato ha in particolare evidenziato che più di trenta detenuti palestinesi sono rinchiusi attualmente in celle di isolamento, sei dei quali da almeno cinque anni. Sotto pressione della sua opinione pubblica, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso la settimana scorsa di inasprire “le condizioni di detenzione dei terroristi nelle carceri”. La “festa è finita”, ha aggiunto, ordinando che in particolare che i detenuti palestinesi non possano più iscriversi nelle università. Israele ha celebrato questo fine settimana il quinto anniversario del sequestro del sergente Shalit, 24 anni, rapito al confine della striscia di Gaza da un commando di tre gruppi armati palestinesi. Da allora, il giovane soldato è detenuto in segreto, senza aver mai ricevuto visite della Croce Rossa. Brasile: Le prigioni dello stato di Espírito Santo assomigliano ad un girone dantesco Ansa, 28 giugno 2011 Torture, violazioni continue dei diritti umani, carcerati costretti a sopportare 50 gradi di temperatura nelle celle e i comportamenti vessatori degli agenti che dovrebbero controllare la popolazione carceraria. Tutto ciò emerge da un documento di 70 pagine presentato a Victoria, la capitale dello stato, da un coordinamento di associazioni attive per la tutela dei diritti umani. In alcune carceri è presente un numero di detenuti almeno triplo rispetto alla capacità ufficiale delle strutture e per le ong non è stato facile poter compiere delle ispezioni di controllo. È stato grazie al Supremo Tribunale Federale che le porte delle carceri si sono aperte, ma le autorità dello stato hanno cercato in tutti i modi di impedire l’ingresso agli esponenti delle associazioni. In tutti i nove penitenziari visitati tra il 2009 ed il 2011 sono state registrate condizioni di sovraffollamento e mancanza di assistenza medica e legale.