Giustizia: carceri, una vergogna italiana… si può e si deve voltare pagina di Livio Pepino L’Unità, 27 giugno 2011 Il carcere è in crescita esponenziale. In venti anni le presenze sono più che raddoppiate: erano 25.804 il 31 dicembre 1990 e 67.961 alla stessa data del 2010 (il che corrisponde a circa 90.000 ingressi nell’anno). La capienza regolamentare dei nostri istituti è di 41.500 e, dunque, il sovraffollamento è di oltre un terzo. In molte carceri i detenuti stanno chiusi per oltre 20 ore in celle di tre metri per tre nelle quali occorre stare in piedi o seduti a turno. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento riservato a un detenuto costretto a vivere in uno spazio “inferiore alla superficie minima stimata auspicabile dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura”. Alcuni magistrati di sorveglianza hanno (vanamente) ordinato alla amministrazione di rimuovere analoghe situazioni in diversi istituti. È di pochi giorni fa il ventiseiesimo suicidio del 2011 in un carcere della Repubblica (dopo il triste primato raggiunto l’anno precedente). La situazione è intollerabile e va riconosciuto a Pannella il merito di averla brutalmente imposta alla attenzione mentre i più, a cominciare dal ministro della giustizia, fingono di non vedere o promettono piani inverosimili e controproducenti di nuove carceri. Si ritorna a parlare di amnistia o di indulto. Soluzione alla lunga inevitabile anche se tutti (o quasi) si stracciano le vesti al solo sentirne parlare e se è evidente che si tratta di palliativi perché, senza cambiamenti nelle politiche penali e penitenziarie, nel giro di pochi mesi si sarebbe daccapo. Se si vuole davvero voltar pagina occorre guardare in faccia la realtà e dire, senza ipocrisie, che la crescita della carcerazione (e il conseguente sovraffollamento degli istituti) non dipende dall’aumento della criminalità. Secondo le rilevazioni del Ministero dell’Interno e dell’Istat, infatti, la curva dei reati è stazionaria o addirittura in calo (con picchi verso l’alto solo nel 1991 e nel 1996). Ciò significa che le ragioni del boom della penalità e del carcere stanno altrove: nel passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale, caratteristica della fase non solo in Italia ma, da oltre un decennio, in tutte - o quasi - le democrazie occidentali, sull’onda del pensiero unico che, a partire dagli Stati Uniti, ha ridisegnato i sistemi istituzionali, i rapporti sociali, il concetto stesso di cittadinanza. Il postulato di questo pensiero unico è che la garanzia dei diritti e della sicurezza degli inclusi passa necessariamente attraverso l’isolamento e l’espulsione da quei diritti degli esclusi, cioè dei non meritevoli e dei marginali (i “nuovi barbari” da cui la società contemporanea deve difendersi con ogni mezzo). In questa visione, la sicurezza, la prosperità, la felicità si identificano con un ordine prestabilito e immodificabile, a cui corrisponde la necessità di respingere al di fuori o, se ciò non è possibile, di rinchiudere, il disordine e chi lo esprime (migranti, tossicodipendenti, poveri: cioè le categorie di soggetti che riempiono gli istituti di pena). Per modificare questo trend occorrono interventi coerenti anche nello specifico (oltre che in termini di politiche generali). Su due piani, in particolare. Anzitutto è necessario che i giudici “facciano i giudici” evitando di abusare della custodia cautelare e di comminare pene esemplari per venire incontro alle diffuse richieste sociali. Perché - per usare le parole di Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame - per i giudici cedere al “timore di mancare a un’aspettativa generale (…) non è una scusa, ma una colpa”. Ma, poi, occorre cominciare - tutti - a cambiare cultura e a interrogarsi sugli esiti della “illusione repressiva”, anche perché, paradossalmente, all’aumento del carcere si accompagna ovunque la crescita del senso di insicurezza dei cittadini dimostrato, tra l’altro, dal boom degli acquisti di armi per difesa personale. In questo contesto ripensare la natura, la funzione e la filosofia della pena non è una fuga in avanti ma un necessario esercizio di realismo. In questa riflessione molti utili stimoli e suggestioni vengono da un recente, interessante libro di Vincenzo Ruggiero (Il delitto, la legge, la pena. La contro-idea abolizionista, Edizioni Gruppo Abele, 2011, euro 16) che esamina criticamente le idee che stanno alla base dei sistemi penali moderni. Le domande sono quelle di sempre: chi punire? perché punire? come punire? L’approccio è quello “abolizionista” dove per abolizionismo si intende non tanto un programma compiuto di interventi quanto “un approccio, una prospettiva, una metodologia, uno specifico angolo di osservazione” alternativi al pensiero unico repressivo e finalizzati alla individuazione di “qualcosa di meglio” dell’attuale sistema penale. Vale la pena rifletterci. Giustizia: Radicali; mostre, spettacoli, sit-in, per rilanciare una sfida di civiltà sulle carceri L’Unità, 27 giugno 2011 Ottocento quaranta necrologi di persone morte in carcere dal 2002 ad oggi letti al centro di piazza Navona. Questa l’iniziativa che i Radicali Italiani hanno messo in campo ieri mattina in una delle principali piazze capitoline, in occasione della giornata internazionale dell’Onu contro la tortura. È andata così in scena la “tragedia di centinaia di detenuti defunti dietro le sbarre per suicidio, malattia o cause ancora da accertare”. Circa 200 persone vestite di bianco, sotto una forca allestita per l’occasione, hanno letto a turno il necrologio degli 840 morti nelle carceri italiane dal 2002, con nome e cognome e relativo istituto penitenziario. Tra i partecipanti la deputata radicale Rita Bernardini che ha parlato della “tortura quotidiana a cui sono sottoposte centinaia e centinaia di persone in carcere”. Abbiamo cercato con questa iniziativa ha spiegato Irene Testa, coordinatrice del Gruppo carceri dei radicali italiani - di dare un nome e un volto a quello che finora erano solo numeri. Sollecitiamo le istituzioni a prendere provvedimenti urgenti di fronte a quella che è una vera e propria emergenza”... “La tortura è un brutale tentativo di distruggere il senso di dignità di una persona e il senso del valore umano”. È il messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura. La tortura, afferma ancora Ban, “agisce anche come arma di guerra spargendo terrore, al di là delle sue vittime dirette, alle comunità e alle società. In occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura, onoriamo gli uomini e le donne che hanno sofferto, subendo il loro calvario con coraggio e forza interiore e piangiamo anche coloro che non sono sopravvissuti”. Gli Stati, conclude il numero uno del Palazzo di Vetro, “devono adottare efficaci misure legislative, amministrative, giudiziarie o altre ancora per prevenire atti di tortura in qualsiasi territorio sotto la loro giurisdizione. Non c’è nessuna circostanza eccezionale e gli “obblighi” degli Stati comprendono anche il dovere di fornire un efficace e tempestivo risarcimento e riabilitazione per tutte le vittime della tortura”. La denuncia di Amnesty. Un reato che punisce un “fatto grave” come la tortura nell’ordinamento giuridico italiano ancora non c’è, rimarca Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. “Prevedere questo reato significa prevenire e poter punire quei comportamenti dei pubblici ufficiali che rientrerebbero nel suo ambito di applicazione. In sua assenza, invece - precisa Noury - si applicano le norme su reati meno gravi, con pene più lievi, che possono andare prescritti com’è successo nel processo di Genova sui fatti del G8”. “Nel maggio del 2010 - ricorda Noury - di fronte alla Commissione Onu dei diritti umani, in occasione dell’esame periodico universale, l’Italia disse che non voleva istituire il reato di tortura perché erano applicabili le norme che disciplinavano altri reati”. Oltre alla lacuna normativa che disciplini il reato di tortura, in Italia, conclude il portavoce di Amnesty International manca un “meccanismo di monitoraggio indipendente che vigili su cosa accade nei luoghi di detenzione, come le carceri, i centri per i migranti e le stazioni di polizia”. Giustizia: emergenza carceri; il Governo approvi l’amnistia www.napolicittàsociale.it, 27 giugno 2011 Contro l’emergenza carcere, dopo Marco Pannella ed altri esponenti politici e del terzo settore, sono gli stessi detenuti a proclamare lo sciopero della fame. Succede all’istituto penitenziario di Poggioreale, dove in questi due mesi circa 1.300 reclusi hanno intrapreso il digiuno insieme ai loro familiari (15mila tra detenuti e loro parenti hanno aderito, a staffetta, allo sciopero della fame collettivo in tutta Italia). Lo rende noto l’associazione Radicale “Per La Grande Napoli”, che oggi ha promosso proprio davanti al carcere più sovraffollato d’Europa una manifestazione per l’amnistia, convocata da Radicali Italiani e a cui hanno aderito anche altre associazioni, tra cui Antigone e La città invisibile. “Da anni denunciamo le condizioni disumane delle carceri - dichiara Rodolfo Viviani, presidente dell’associazione “Per la Grande Napoli” - dove viene perpetrata una tortura sistematica, come ha sottolineato anche la Corte europea. In questi ultimi mesi, siamo riusciti a realizzare il programma di visite più imponente che sia mai stato fatto in questi anni. Abbiamo visto i parlamentari entrare in carcere e uscirne commossi, turbati. Ora chiediamo al Parlamento di approvare l’amnistia, un provvedimento che, dopo venti anni, sarebbe in grado non solo di svuotare le carceri, ma anche di risolvere gli 8milioni di processi arretrati nel nostro Paese”. Oltre un centinaio i presenti al presidio di oggi, tra cui cittadini comuni, familiari di detenuti e rappresentanti di diverse forze politiche. Tra gli altri Emilio Borrelli della Federazione Verdi della Campania, Enrico Ricciuti, della Direzione Nazionale del Partito Socialista Italiano, Samuele Ciambriello, ex consigliere regionale del Pd, Piergiorgio Focas, tesoriere dell’associazione radicale “Ernesto Rossi” di Napoli, Luca Bove, segretario della associazione “Legalità e Trasparenza” di Caserta, Claudio Scaldaferri dell’associazione “Calabria Radicale”. “Il successo dell’appuntamento di stamattina, durante il quale novanta cittadini si sono uniti ai quindicimila che animano il digiuno collettivo per l’amnistia - ricorda Viviani - ci incoraggia a proseguire nella nostra azione con l’obiettivo anche di ottenere provvedimenti urgenti da parte del Governo per migliorare le condizioni del carcere di Poggioreale. Nei prossimi giorni organizzeremo visite ispettive negli istituti penitenziari della nostra città in cui i detenuti sono costretti a vivere condizioni drammatiche e inaccettabili per uno Stato che voglia definirsi democratico”. A Poggioreale sono presenti circa 2700 detenuti su una capienza regolamentare di 1300, oltre il doppio di quello che potrebbe sopportare; nelle celle convivono fino a 16 persone; per i colloqui i familiari devono fare lunghe file davanti alla casa circondariale fin dalle 5 del mattino. Con l’estate la situazione diventa addirittura drammatica, per il caldo insopportabile, che costringe i detenuti a ricorrere a metodi fai da te. Come spiega Dario Stefano Dell’Aquila, presidente campano di Antigone, tra quelli che ha preso parte allo sciopero collettivo: “Non possono farsi la doccia più di due volte a settimana. Quando il sole batte forte, i detenuti usano mettere asciugamani bagnati sulle finestre delle celle. E anche passeggiare sul cemento bollente nell’ora d’aria diventa un inferno”. “Oltre all’amnistia che pure consentirebbe un ritorno alla normalità nell’immediato - aggiunge Dell’Aquila - quello che chiediamo è una modifica al testo di legge Fini-Giovanardi, che ha aumentato i numeri del carcere, ma non quelli della sicurezza. Si consideri che solo il 4% dei detenuti è dentro per reati legati alla criminalità organizzata. La popolazione carceraria per oltre un terzo è formata da tossicodipendenti, e sono dentro anche tantissimi immigrati”. Lettere: anch’io, in sciopero della fame con Pannella di Enea Sansi Agenzia Radicale, 27 giugno 2011 Ho deciso di sostenere l’azione nonviolenta di Pannella: “l’Italia torni a potere in qualche misura essere considerata una democrazia”. Dalla scorsa mezzanotte, e per quanti giorni mi sarà possibile anche in relazione agli obiettivi declinati sul piano locale, ho iniziato uno sciopero della fame a sostegno dell’iniziativa di Marco Pannella affiancato, ad ora, da oltre 15.000 persone. Un piccolo contributo, nell’ambito della “necessità di un consapevole e attivo coinvolgimento dell’opinione pubblica e dei cittadini” e di “richiamare...su tali questioni l’attenzione di tutti i soggetti istituzionali responsabili sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative” espressa nelle parole del Presidente della Repubblica, cui Pannella ha corrisposto alla mezzanotte con la sospensione dello sciopero della sete. Un “passaggio di testimone”, che raccolgo per il ‘miò tratto di pista con le motivazioni e alla ricerca di un dialogo con interlocutori alla mia portata indicati nella lettera-annuncio che ho inviato ieri e che riporto più sotto. Voglio infine dedicare la mia azione, in segno di spirituale vicinanza, alla lotta nonviolenta che in questi stessi giorni a Cuba sta conducendo Jorge Cervantes García, come apprendo all’Oblò di fianco su questa nostra unica Nave battente le bandiere di libertà e democrazia. La notizia che la sua voce comincia a raggiungere molte persone, almeno fuori se non ancora dentro l’Isola, possa costituire alimento di fiducia e nuova speranza, consentendogli una tregua ristoratrice. Portiamo anche il suo, di “testimone”, per un breve tratto: di vita capace di spostare di un millimetro la soglia di libertà abbiamo bisogno e non certo di un corpo da scagliare contro gli avversari! Lettera al Presidente del Tribunale di Sondrio, e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sondrio Vi scrivo formalmente, indirizzando al Vs. Ufficio, ma mi rivolgo a Voi personalmente contando sulla cortesia di qualche minuto di attenzione. Dalla mezzanotte di domenica, 19 giugno, Marco Pannella ha iniziato uno sciopero della sete perché l’Italia “torni a poter essere considerata, in qualche misura, una democrazia” in relazione alla grave condizione della giustizia, a partire dal sistema carcerario. Primo interlocutore di questa iniziativa nonviolenta, in corso da più di due mesi (inizialmente con lo sciopero della fame nel quale via via si sono affiancati a Pannella quindicimila persone fra cui, a migliaia dalle carceri, detenuti e loro familiari, operatori dell’istituzione penitenziaria e persino rappresentanti della camere penali), è stato individuato il Presidente delle Repubblica, garante della Costituzione e, quindi, della legalità. Oggi Giorgio Napolitano ha inviato a Marco una lettera che almeno consente quel minimo di conoscenza, fin qui negata dai principali mezzi di informazione malgrado durata e impegno dell’azione politica nonviolenta. Per sostenere l’iniziativa ho deciso di intraprendere lo sciopero della fame, con inizio dalla mezzanotte di oggi, giovedì 23 giugno, e a tempo indeterminato, con un’articolazione per così dire “locale” di interlocutori e obiettivi. Proprio qualche giorno fa, infatti, ho ricevuto dal Sig. Franco Gianoncelli, quale Presidente dell’Associazione Avanti Diritto, una “lettera semplice” con la quale mi chiedeva di diffondere la conoscenza di una sentenza pronunciata da un Giudice di codesto onorevole Tribunale (la n. 118/2011). Cosa che ho prontamente fatto pubblicando lettera e documentazione sul giornale web Tellusfolio (“Diario di bordo”, 12/06/2011). Della vicenda e relativo contesto potrete leggere altre note, curate da Giuliano Ghilotti, sul Gazetin di giugno, copia del quale vi è stata personalmente indirizzata e dovreste pertanto ricevere in questi giorni. Grazie al non comune coraggio civile con il quale le persone direttamente interessate si sono sottratte al silenzio omertoso nel quale altrimenti queste storie vengono vissute, dalla semplice materialità degli atti balza in tutta evidenza il “copia-incolla” effettuato, è da credere, addirittura avvalendosi delle moderne, informatiche possibilità. E io cerco di aprire con Voi un ‘dialogò, con gli strumenti della nonviolenza volti a incoraggiare in entrambi l’amore per la verità, perché Voi soltanto, per la responsabilità e con la funzione a ciascuno assegnate, avete la possibilità e quindi il dovere di fugare la possibile esistenza di una “cricca”, come con vulgata giornalistica s’usa dire di questi tempi, annidata nella stessa amministrazione della giustizia o comunque della stessa ammantantesi. Come non riconoscere, infatti, anche nell’episodio le parole che Pannella utilizza per la più generale condizione del Paese: “In nome del popolo sovrano, nel nome della legge, oggi in Italia si sta realizzando una situazione di criminalità professionale in senso proprio e tecnico - e non morale - da parte dello Stato nei confronti dei cittadini”. Il semplice sospetto che di ciò si tratti, e materia ve n’è senza bisogno di alcun particolare sforzo di immaginazione (soprattutto ove dovesse emergere che sia anche stata vilmente sfruttata la condizione di debolezza del Giudice in ragione del suo stato di salute), sarebbe micidialmente deleterio non solo per la giurisdizione ma per la stessa convivenza civile e democratica. Tutto questo senza entrare né minimamente interferire nel merito della contesa, benché altrettanto documentata conoscenza consentirebbe di osservare che trattasi di tre intere generazioni, vive o morte (e non è un modo di dire, poiché davvero agli atti una morta è stata condannata), di una famiglia trascinata in un gorgo che sembra inarrestabile. Nel mettermi a completa disposizione per quanto dovesse rendersi necessario in proposito, ringrazio per l’attenzione fin qui prestatami e Vi porgo distinti saluti. Lazio: Sant’Egidio; emergenza carceri, con 6.363 detenuti e solo 4.661 posti Adnkronos, 27 giugno 2011 Il carcere in crisi finanziaria e sociale ha perso a causa del sovraffollamento la sua capacità educativa. Anche le 14 carceri del Lazio sono sovraffollate ospitando 6.363 detenuti a fronte dei 4.661 posti. Questo è quanto si legge nel “Primo rapporto sulla povertà a Roma e nel Lazio” nato dalla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, la Camera di Commercio di Roma e che è parte di un progetto con il ministero del Welfare e del Lavoro. Se in alcune carceri sono occupati anche gli spazi ricreativi, continua il rapporto, altri penitenziari sono agibili, ma chiusi per mancanza di personale. Gli otre 18mila tossici presenti nelle strutture penitenziarie non sono affidati ad alcuna comunità terapeutica. Mentre sono presenti in Lazio 24 bambini sotto i tre anni nel carcere femminile di Rebibbia con le proprie madri, in attesa di una migliore sistemazione. Questo stato di crisi, secondo il rapporto, spiega i frequenti episodi di autolesionismo e i 4 omicidi del 2010 e quello del 2011. Emilia Romagna: in regione 4.373 detenuti, di cui metà stranieri, ma i posti sono 2.394 Dire, 27 giugno 2011 Le carceri dell’Emilia-Romagna sono al secondo posto in Italia (dopo quelle pugliesi) per il tasso di sovraffollamento: i detenuti in regione sono, infatti, 4.373 a fronte di una capienza regolamentare di 2.394, il che significa un indice di sovraffollamento pari al 182,5% (con il dato medio nazionale al 150,95%). È quanto emerge dalla relazione annuale presentata oggi in Giunta dall’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi. La relazione, che sarà discussa nei prossimi giorni dalla commissione Politiche per la Salute, dice anche che se a livello nazionale, il 36,7% della popolazione carceraria è rappresentata da stranieri, in Emilia-Romagna la percentuale aumenta in modo considerevole arrivando al 52,4%. “La situazione è gravissima”, sottolinea Marzocchi. “La Giunta dell’Emilia-Romagna se ne è fatta carico con progetti dentro e fuori dalle carceri ma, in attesa degli altri provvedimenti necessari, chiediamo al Governo interventi di sostegno immediato perché occorre personale e mancano le risorse anche solo per la manutenzione ordinaria”. In particolare, ricorda l’assessore, “abbiamo firmato l’intesa con il commissario delegato all’attuazione del piano nazionale delle carceri, Franco Ionta, affinché i mille posti aggiuntivi previsti siano utilizzati per allentare il sovraffollamento delle strutture esistenti, favorire la piena applicazione del principio generale di territorializzazione della pena e realizzare un nuovo ospedale psichiatrico giudiziario. Sono interventi importanti, ma occorrono fin da subito anche le risorse per gestire l’emergenza attuale”. Già nel 2010 il lavoro della Regione si è concentrato su una trentina di interventi per rispondere alle gravissime condizioni di sovraffollamento in cui versano tutte le carceri presenti sul territorio emiliano-romagnolo e con l’obiettivo di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali delle persone durante la detenzione e favorirne il reinserimento nella società. Le somme totali messe a disposizione dal Programma carcere della Regione per il 2010 ammontano a 500 mila euro, cui si aggiungono una quota di co-finanziamento da parte dei Comuni pari a quasi 300 mila euro e i 520 mila euro del Fondo sociale europeo. In particolare sono stati assegnati contributi ai Comuni sede di carcere per creare sportelli informativi per i detenuti, per l’accompagnamento socio-lavorativo delle persone e per il miglioramento della qualità della vita di chi è in carcere. Tra le attività, tre progetti sperimentali hanno riguardato la Casa del perdono gestita dall’Associazione Papa Giovanni XXIII, le strutture Don Dino Torreggiani e Primo Maggio affidate alla Cooperativa L’Ovile e la Casa Zacchera gestita dalla cooperativa Sadurano Salus. Bari: detenuto di 28 anni si impicca in carcere dopo il colloquio con la famiglia Ansa, 27 giugno 2011 L’uomo, 28 anni, era stato condannato per fatti di droga. Sono già cinque i suicidi dall’inizio dell’anno registrati nelle carceri pugliesi, dove - denuncia il Sappe - si vive anche in 10 in quattro metri quadrati. Sono 4.400 i detenuti nelle strutture della regione, di 2300 posti la capienza massima È rientrato in cella dopo il colloquio con i suoi familiari, ha tagliato le lenzuola, le ha annodate alle grate della finestra del bagno e si è impiccato. Ennesima tragedia della disperazione nel carcere di Bari, dove un detenuto di 28 anni, recluso per fatti di droga, si è tolto la vita nel pomeriggio. Si tratta del quinto suicidio registrato nelle carceri pugliesi in sei mesi. La notizia è stata diffusa dal segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti, che solo qualche giorno fa aveva denunciato l’aumento del numero di suicidi nelle strutture della regione: l’anno scorso sono stati 6. “Senza dimenticare - sottolinea Pilagatti - tutti i tentativi di suicidio sventati all’ultimo momento grazie all’intervento degli agenti”. “Sicuramente in questo suicidio - aggiunge - avranno influito ragioni di carattere familiare, ma l’assenza di un sostegno psicologico in una situazione di degrado, con condizioni igienico sanitarie da terzo mondo, avranno influito negativamente”. Il carcere di Bari a fronte di circa 200 posti disponibili ospita più di 520 detenuti. Sempre a Bari, secondo quanto denuncia il sindacato di polizia penitenziaria, “i detenuti vivono in dieci in camere da quattro posti con letti a castello che raggiungono i cinque metri da terra, e in costante pericolo”. “Ormai rinunciare alla vita - si legge nella nota - può diventare un gesto estremo di protesta contro una situazione che è diventata fuori controllo”. In Puglia la capienza regolamentare è di 2300 posti, i detenuti sono 4.400. Vibo Valentia: tentativo di suicidio in carcere sventato dalla Polizia penitenziaria Adnkronos, 27 giugno 2011 Un detenuto ha tentato di togliersi la vita impiccandosi in una cella della Casa Circondariale di Vibo Valentia. Ne dà notizia Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uil Pa Penitenziari. “Con una corda rudimentale G.N. ha pensato di porre fine alla propria vita - dice De Fazio - forse per rifuggire non solo dalla pena comminata, ma soprattutto dal calvario imposto dall’indecenza delle nostre prigioni. L’intervento immediato della Polizia penitenziaria e i soccorsi sanitari tempestivi hanno evitato il peggio. Ancora una volta gli agenti penitenziari mettono una pezza alle falle del sistema di cui politica, governo e ministro Alfano si disinteressano nella maniera più colpevole”. “Appare quasi una beffa - continua il rappresentante di Uil Pa - che proprio in queste ore il Capo del Dipartimento Ionta proponga ai sindacati un codice etico dell’Operatore Penitenziario il cui art. 8 afferma che l’operatore ‘non accetta e non cerca condizioni di lavoro che comportino azioni incompatibili con i principi e le norme del Codice, che siano in contrasto con il mandato istituzionale o che ne possano compromettere gravemente qualità e obiettivì“. “Allo stato attuale - nota De Fazio - sarebbe più esatto dire che il mandato istituzionale è stato letteralmente cancellato”. Livorno: detenuto tenta il suicidio in carcere per la seconda volta in 10 giorni Agi, 27 giugno 2011 Ha tentato togliersi la vita per la seconda volta in dieci giorni. Un detenuto del carcere delle Sughere, è stato salvato questa mattina dagli agenti della polizia penitenziaria, così come era già successo il 17 giugno scorso. L’episodio è stato reso noto dal sindacato della Uil Penitenziari: “Ciò che gli agenti della polizia penitenziaria hanno compiuto oggi rientra nel loro ruolo, ma siamo preoccupati perché vorremmo essere ascoltati”. Il detenuto si trova recluso nella sezione Alta sicurezza e in particolare nel settore Periziandi, quello in cui si trovano coloro che sono in attesa di una perizia psichiatrica. L’uomo, nordafricano, avrebbe realizzato un cappio artigianale con le lenzuola che in quella sezione - proprio per evitare gesti di autolesionismo - sono fatte di carta. Gli agenti della polizia penitenziaria sono entrati in azione poco prima delle 7, quando hanno sentito i rantoli del detenuto che quindi quasi era riuscito nel suo intento. Dopo averlo soccorso, lo straniero è stato portato all’ospedale di Livorno per controlli. Il 17 giugno scorso lo stesso detenuto aveva tentato di togliersi la vita nello stesso modo, e anche in quel caso era stato l’intervento di alcuni agenti a salvargli la vita. “Siamo preoccupati - spiega il coordinatore provinciale di Uil Penitenziari a Livorno Mauro Barile - per la carenza di organico. Noi giochiamo il nostro ruolo e facciamo il nostro mestiere e un gesto come quello di oggi rientra tra i nostri compiti. Ma vogliamo anche che chi dovrebbe tutelarci, cioè l’amministrazione penitenziaria, ci sostenesse in ciò che stiamo facendo. Vorremmo che queste lamentele sulle difficoltà che reclamiamo fossero ascoltate”. Viterbo: Osapp; carcere in condizioni miserevoli, esempio di mala gestione penitenziaria Adnkronos, 27 giugno 2011 “L’istituto di Viterbo costituisce il più indicativo esempio di mala-gestione penitenziaria di quest’ultimo periodo: sono 750 i detenuti a fronte dei 444 previsti, di cui 230 in cure psichiatriche e 326 i poliziotti penitenziari a fronte di 540”. È quanto afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, in una lettera indirizzata ai gruppi parlamentari e al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano. “Non sappiamo perchè la condizione dell’istituto di Viterbo si sia ridotta a condizioni così miserevoli - prosegue Beneduci - Per i 230 detenuti psichiatrici sono previste solo 18 ore di assistenza sanitaria specialistica al mese, ma siamo sicuri che i problemi maggiori, in fin dei conti , non li abbia solo l’utenza, ma anche il personale di Polizia Penitenziaria viterbese, tenuto conto che per i 750 detenuti ci sono solo 105 agenti, che equivalgono ad un agente ogni 30”. “Se, subito dopo l’incontro odierno con il Prefetto non si otterranno, entro qualche giorno, le 50 unità aggiuntive di Polizia Penitenziaria in grado di garantire le ferie e i riposi settimanali al personale del Corpo - aggiunge l’Osapp - avvieremo ad oltranza una serie di iniziative di tangibile rivendicazione, come l’organizzazione di un’autoconsegna e di uno sciopero del sonno di tutti gli addetti del corpo in servizio a Viterbo, nonché l’installazione - conclude Beneduci - di presidi permanenti all’interno delle principali piazze della città di Viterbo, con la presenza, giorno e notte, di appartenenti alla Polizia Penitenziaria”. Piacenza: Sappe; i detenuti protestano, la situazione sta degenerando Dire, 27 giugno 2011 La protesta dei detenuti che solidarizzano con l’iniziativa del leader radicale Marco Pannella si estende anche a Piacenza. “Come avevamo previsto”, sottolinea in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), che lancia l’allarme: la situazione “sta degenerando”. Dopo Bologna e Reggio Emilia, dove le contestazioni sono partite per la mancanza dell’acqua, “da ieri sera la protesta è iniziata ed è proseguita anche questa mattina a Piacenza. In una sezione del reparto detentivo maschile del carcere piacentino delle Novate i detenuti hanno prima battuto a lungo le pentole contro le porte blindate e dopo hanno lanciato nei corridoi della sezione detentiva i generi alimentari che avevano nelle stanze, compreso le uova, imbrattando così le pareti”, fa sapere il Sappe. Secondo Durante, “si tratta di una forma di protesta che sta degenerando e che rischia di compromettere la regolarità del servizio e delle attività all’interno delle carceri”. Come ricorda il sindacalista, “già a Reggio Emilia la protesta era degenerata con l’incendio di coperte all’interno delle sezioni detentive”. Torino: Osapp; detenuti in “sciopero bianco” e il personale è in continua diminuzione Ansa, 27 giugno 2011 I detenuti del carcere delle Vallette di Torino sono scesi in “sciopero bianco” da ieri sera per protestare contro i sovraffollamento della struttura e la cattiva qualità del cibo. Oltre a battere le sbarre delle celle con stoviglie e altri oggetti in modo da provocare un rumore assordante, i carcerati rifiutano il carrello delle derrate alimentari. Lo ha reso noto oggi L’Osapp, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria che, proprio di recente, aveva sottolineato le precarie condizioni di lavoro del personale all’interno del penitenziario torinese. “A Torino si è toccato il fondo - commenta il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - lo avevamo preannunciato e la situazione ora può addirittura peggiorare. È grave - prosegue - il fatto che a Torino, come altrove, l’Osapp abbia denunciato da tempo le condizioni di lavoro del personale e quelle in cui si trova l’utenza penitenziaria e che non si sia fatto niente andando avanti alla giornata con il sovraffollamento che aumenta - conclude - e il personale che diminuisce”. Reggio Emilia: trasferiti i detenuti considerati “promotori” della protesta in carcere Redattore Sociale, 27 giugno 2011 Il segretario provinciale del Sappe: “Abbiamo assistito a scene incivili chiediamo che ai protagonisti vengano riservate sanzioni esemplari”. Dopo la protesta messa in atto nella serata di giovedì dai detenuti di tre reparti del carcere di via Settembrini, interviene il Segretario Provinciale del Sappe Michele Malorni. “Da qualche giorno - spiega - i detenuti della casa circondariale avevano manifestato la volontà a mettere in atto una protesta pacifica mediante lo sciopero della fame per evidenziare tutte le criticità del pianeta carcere che riguardano le modalità per l’espiazione della pena. La popolazione detenuta, principalmente lamenta gli spazi ridotti a causa del sovraffollamento e carenze strutturali. Anche per esprimere la loro solidarietà a Pannella, una parte dei detenuti capeggiati da cinque soggetti promotori, sono passati ad una protesta incivile. L’altra sera dalle 18 alle 24 circa e ancora nella mattinata di ieri hanno protestato battendo oggetti metallici sulle inferriate, creando un assordante rumore, hanno lanciato nel corridoio delle sostanze oleose per rendere viscido il pavimento e hanno scaraventato le urine sulle pareti del corridoio dei reparti detentivi, da loro raccolte in bottiglie di plastica. Hanno incendiato delle coperte e ritagli di giornali creando fumo e danneggiando l’ambiente”. “Questo comportamento - prosegue - non è quello di persone civili e che potrebbero dare l’idea di una rieducazione per un loro possibile reinserimento in una società libera, per questi motivi , il Sappe e a tutela della dignità del personale di polizia penitenziaria e degli operatori che prestano la loro attività lavorativa negli istituti di prevenzione e di pena, auspica che, l’amministrazione penitenziaria competente valuti l’applicazione di sanzioni disciplinari esemplari e l’inoltro di denunce”. I primi provvedimenti, fa sapere il segretario del Sappe sono già arrivati. I cinque promotori della protesta sono stati trasferiti, mentre altri dodici partecipanti alla protesta sono stati sistemati in camere singole ed esclusi da tutte le attività. Dopo quanto accaduto, il Sappe tiene “a evidenziare la grande professionalità e competenza della polizia penitenziaria di tutto il reparto che, se pur carente di ben 49 unità, grazie al senso di responsabilità, al dovere istituzionale e non per ultimo alla grandiosa sinergia messa in campo tra tutti i settori dell’istituto, in tempi ragionevolmente brevi, ha potuto ripristinare, autonomamente, l’ordine , la disciplina e la sicurezza nei sette reparti detentivi del carcere”. Bologna: appello dei Radicali; sostenete Pannella nella lotta per la civiltà delle carceri Dire, 27 giugno 2011 “La città di Bologna non faccia mancare il proprio sostegno alla lotta non violenta di Marco Pannella”. Recita così l’appello che i Radicali di Bologna hanno inviato in queste ore agli esponenti politici di tutta la Regione Emilia-Romagna, oltre che a tante altre categoria della città di Bologna (a partire da docenti universitari e personalità culturali). La richiesta è quella di appoggiare l’iniziativa di Pannella, in sciopero della fame da due mesi per richiamare l’attenzione sulla crisi della giustizia (per cui occorrerebbe un’amnistia) e il sovraffollamento delle carceri. I Radicali hanno inviato il testo con l’appello (già sottoscritto in poche ore da quasi 100 parlamentari e altre personalità politiche, culturali e giudiziarie) al presidente della Regione Emilia-Romagna, a tutta la Giunta e al Consiglio regionale. Stessa cosa per la Provincia e il Comune. “La crisi della giustizia e la situazione delle carceri pongono in grave pericolo l’esistenza stessa dello Stato di diritto” scrivono i Radicali, sottolineando che “la disinformazione e l’assenza di confronto e dibattito paritario colpiscono alla radice uno dei fondamenti stessi del corretto funzionamento della democrazia”. Occorre “interrompere questa inerzia” ed “è urgente che le massime istituzioni della Repubblica facciano sentire la propria voce e che il Governo e il Parlamento aprano un dibattito” e decidano se “accogliere o respingere le proposte di Pannella o trovare altre soluzioni che risolvano i problemi”. Cosenza: Di Pietro (Idv); il carcere di Rossano è al collasso, il Governo intervenga 9Colonne, 27 giugno 2011 L’Italia dei Valori chiede, tramite un’interrogazione al Guardasigilli, Angelino Alfano, a prima firma del leader Antonio Di Pietro, quali iniziative il governo intenda prendere per risolvere la grave emergenza nella quale operano le forze di polizia penitenziaria del carcere di Rossano Calabro (Cosenza). “Le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria di Rossano - spiega Di Pietro - hanno indetto un’agitazione per denunciare le gravi carenze di personale penitenziario ed amministrativo in quanto, con l’organico in servizio presso la casa di reclusione di Rossano, non è possibile garantire un adeguato livello dei servizi ed un piano di sicurezza idoneo a salvaguardare l’ordine all’interno della struttura. La situazione ormai è vicina al collasso”. “Inoltre - si legge nel testo dell’interrogazione - lo stato di agitazione di questo personale è legato alla richiesta di un incontro urgente con i vertici del ministero della Giustizia e dell’amministrazione penitenziaria in cui dovrebbero essere affrontate le problematiche relative agli organici, al nucleo traduzione e piantonamento, alla dotazione del mezzi di trasporto personale, dei mezzi di trasporto detenuti, al ripristino orario ordinario di servizio, alla ridefinizione del livello di istituto di Rossano”. “Chiediamo al governo di convocare al più preso le rappresentanze sindacali per fronteggiare l’emergenza”, conclude Di Pietro. Roma: il mensile di “Quaderni Radicali” dedicato alla situazione delle carceri Ansa, 27 giugno 2011 Con 600 suicidi ultimi undici anni la situazione carceraria in Italia rappresenta è diventata qualcosa di più di un’emergenza. I dati, del resto, sono allarmanti. Progettati per “ospitare” 44 mila detenuti, i nostri istituti penitenziari si trovano a doverne assorbire 69mila (più dei residenti di Viterbo!); circa la metà di loro (il 44%) non è stata ancora condannata in via definitiva o sconta i termini della carcerazione preventiva. Ed è proprio di “Carceri fuorilegge” che si parlerà martedì 28 giugno alle ore 14.30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati (via della Missione 4), in occasione della presentazione del “numero Zero” della nuova testata web, “Il Mese di Quaderni Radicali”. “Per il debutto del nuovo supplemento online di Quaderni Radicali - spiega Giuseppe Rippa, direttore editoriale della storica rivista di area radicale e membro del direttivo di Radicali Italiani - abbiamo scelto di dedicare un focus approfondito a questa realtà sconcertante, indegna di ogni forma di civiltà. È fondamentale continuare ad alimentare il dibattito su un tema di fondamentale importanza per la vita democratica del nostro Paese. Infatti, come può definirsi tale un Paese il cui ordinamento giuridico è incapace di affermare, e tutelare, la pienezza dei diritti umani più elementari?” “Questo è anche il nostro modo di raccogliere il testimone da quanti hanno speso la loro vita battendosi per l’affermazione di un compiuto “stato di diritto”, e tuttora continuano a farlo. Primo fra tutti Marco Pannella, che con la sua battaglia nonviolenta e il suo drammatico sciopero della fame e della sete è riuscito a far emergere dall’oscurità del silenzio il dramma carceri”, prosegue Rippa che conclude: “Il Mese di Quaderni Radicali nasce proprio con l’obiettivo di diventare un testimone disinteressato della nostra realtà.” Ma, soprattutto, indipendente: Il Mese, così come tutte le altre testate del network - il periodico cartaceo Quaderni Radicali e il supplemento web Nuova Agenzia Radicale (www.agenziaradicale.com) - non vivrà di finanziamenti pubblici, ma sarà sostenuto unicamente dal contributo dei suoi sostenitori e di quanti condivideranno la filosofia del progetto” La Spezia: le morti nelle carceri in un libro presentato al Centro Allende Il Tirreno, 27 giugno 2011 Martedì 28 giugno alle 18 nella Pinetina del centro Allende sarà presentato “Quando hanno aperto la cella” un libro di Luigi Manconi e Valentina Calderone (Il Saggiatore, 2011). Alla presentazione parteciperanno insieme agli autori Francesco Paolo Barbanente, avvocato presidente della Camera penale della Spezia e Luca Monteverde, magistrato sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale della Spezia, con il patrocinio del Comune della Spezia e dell’Istituzione per i Servizi Culturali. Da Pinelli a Cucchi. Tredici storie di persone morte mentre si trovavano “in custodia” degli apparati dello stato: nelle questure, nelle carceri, negli ospedali psichiatrici giudiziari. Questo è il tema del bel libro “Quando hanno aperto la cella”, che ci ricorda l’iniquità di tante morti perché “un uomo che muore in carcere è il massimo scandalo dello stato di diritto”. Questi casi non sono stati portati alla luce dalle istituzioni che, anzi, hanno allestito una vasta rete di copertura per proteggersi reciprocamente. Una spessa coltre di omertà agevolata dalla rimozione sociale verso i cosiddetti devianti. Verso queste vittime, che vivono ai margini della società, non si solidarizza, ma le si considera un corpo estraneo da neutralizzare socialmente e da dimenticare. Il libro non vuole essere un atto d’accusa generalizzato contro lo Stato e le forze dell’ordine perché la responsabilità penale è sempre individuale. Ma abusi e illegalità, prevaricazioni e violenze sono troppo frequenti perché si possano leggere come il frutto del comportamento di qualche “mela marcia”. Il libro indaga e documenta questa tendenza da parte di corpi ed organi dello Stato ad abusare delle proprie prerogative e del proprio potere, sollecitando la sensibilità e la vigilanza di tutti per contrastare ogni degenerazione, chiunque ne sia il destinatario. Droghe: secondo “Libro bianco” sulla Fini-Giovanardi; nessun calo delle sanzioni penali Redattore Sociale, 27 giugno 2011 Secondo rapporto di Antigone, Cnca, Forum Droghe e Società della ragione sulla legge del 2006. Stabili gli ingressi in carcere, ma in aumento la loro incidenza sul totale. Crescono anche le segnalazioni all’autorità giudiziaria per detenzione e spaccio. Sono stati 26.096 nel 2010 gli ingressi in carcere per violazione della legge antidroga su un totale di 84.598 ingressi per altri reati. Un dato lievemente in calo rispetto agli anni precedenti: nel 2009 gli arresti per violazione dell’art. 73 del D.p.r 309/1990 erano stati 27.980 (su un totale di 88.066), 28.782 nel 2008 (su un totale di ingressi di 92.800) mentre nel 2006, anno dell’entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi gli ingressi erano stati 25.399 (su un totale di 90.714). Ma se in numeri assoluti si rileva una diminuzione delle detenzioni per droga, percentualmente l’incidenza del fenomeno registra un lieve aumento dal 2006 al 2008, per rimanere sostanzialmente stabile negli ultimi due anni. Nello specifico, gli ingressi erano il 28% nel 2006, sono cresciuti fino ad arrivare al 31% nel 2008, per rimanere su questa percentuale fino al 2010 (il 31,7% nel 2009, il 31% nel 2010). Lo rivela il Secondo libro bianco della legge Fini-Giovanardi presentato questa mattina a Roma da Antigone, Forum droghe, Cnca e La società della ragione. Il rapporto traccia un bilancio dell’incidenza della legge 49/2006 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” (legge Fini-Giovanardi), intervenuta modificando il precedente D.p.r. 309/1990 negli articoli fondamentali, in particolare nelle disposizioni sanzionatorie, di natura penale e amministrativa, dettate per la “repressione delle attività illecite” dagli artt. 73 e seguenti. Le principali novità introdotte sono state l’inasprimento delle pene e l’abolizione, in caso di detenzione e spaccio, della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Secondo il Libro bianco, presentato oggi, “l’irrigidimento del trattamento punitivo verso i comportamenti connessi al possesso di droga non sembra aver portato ad una diminuzione o anche solo ad un contenimento delle condotte di rilevanza penale”. In realtà guardando con attenzione i dati sembra piuttosto che la legge non abbia inciso particolarmente lasciando sostanzialmente inalterata la situazione. Sia gli ingressi in carcere che il numero dei tossicodipendenti in stato di detenzione (vedi lancio successivo), restano stabili dal 2006 a oggi. Crescono, invece, le segnalazioni all’autorità giudiziaria (che non sempre sfociano in arresto) per reati previsti dalla legge: nel 2006 il totale delle denunce è stato di 33.056, nel 2008 di 35.097; nel 2009 di 36.277; nel 2010 di 39.053. Il dato è in costante aumento dal 2004, anno in cui si registrano 31.483 segnalazioni (Relazione annuale al Parlamento 2009). Crescono soprattutto le denunce per violazione dell’art.73 (nel 2004 erano state 28.250; 29.724 nel 2006, 32.217 nel 2008; 34.970 nel 2010) e le segnalazioni in stato di arresto (24.103 nel 2004; 25.730 nel 2006, 28.552 nel 2008; 29.076 nel 2010). Aumentano anche le condanne per violazione dell’art. 73: nel 2004, 21.454; nel 2007, 26.992, nel 2009 32.537. Si registra, infine, un incremento per i procedimenti pendenti in relazione alla medesima fattispecie (154.546 procedimenti pendenti per art.73 nel primo semestre del 2006, fino al picco di 180.610 nel secondo semestre del 2008; 177.567 nel II semestre del 2009). Ingressi in carcere: uno su tre è tossicodipendente Secondo Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi. I nuovi detenuti con problemi di consumo di droghe sono stati il 28,4% nel 2010, in lieve aumento rispetto al 2006. La loro presenza media si attesta sulle 16 mila unità. Nel 2010 il 28,4% degli ingressi in carcere (circa uno su tre) è costituito da consumatori/tossicodipendenti. La percentuale è in lieve aumento rispetto al 2006, anno dell’entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi, ma in diminuzione rispetto agli ultimi anni. Nel 2008, infatti, il fenomeno ha registrato un picco fino ad arrivare al 33% degli ingressi totali, per poi ridimensionarsi nel 2009 quando gli arresti sono stati il 28,9%. Lo rivela il Secondo libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi, presentato questa mattina a Roma. Per quanto riguarda le presenze dei soli detenuti tossicodipendenti nelle carceri italiane, secondo il rapporto, il quadro è più complesso dopo l’ intervenuto dell’indulto. Si registra comunque una sostanziale stabilità del fenomeno. Alla metà del 2006, subito prima dell’approvazione del provvedimento, infatti, i tossicodipendenti in carcere erano 16.145, il 26,4% della popolazione detenuta. Poco dopo l’indulto la percentuale è scesa al 21,4%. Alla fine del 2007, poi, la percentuale di tossicodipendenti è tornata ai livelli precedenti, attestandosi nel 2008 al 26,8%. Per poi diminuire alla fine del 2009 quando i tossicodipendenti in carcere erano 15.887 (24,5%), e tornare sostanzialmente stabile nel 2010, al 31/12 il numero si attesta sulle 16.245 unità. (ec) Sempre meno misure alternative ai detenuti per droga Secondo Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Crollato dopo l’indulto, il numero degli affidamenti fuori dal carcere è rimasto basso (2.527 nel 2011): “una contrazione preoccupante dovuta alla norma antidroga. Sono sempre di meno le persone condannate per reati legati al consumo o spaccio di droga che scontano la pena con misure alternative alla detenzione. Lo rivela il Secondo libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi, presentato questa mattina a Roma. A incidere sull’andamento del numero delle persone in misure alternative anche l’impatto dell’indulto avvenuto nel luglio 2006. Al 1 gennaio 2006, infatti, risultavano in affidamento 3.852 tossicodipendenti, al 1 gennaio 2009 si registrano invece 1.113 tossicodipendenti affidati (dati del Dipartimento amministrazione penitenziaria). “Una drastica riduzione era da attendersi subito dopo l’indulto - sottolinea il rapporto di Antigone, Forum Droghe, Cnca, Società della ragione - ma la ripresa è assai lenta: 2.526 affidati al 31 dicembre del 2010 e 2.527 al 30 aprile del 2011. Considerato che il numero dei tossicodipendenti in carcere ha ormai superato quello del 2006 e che quello dei condannati per l’art.73 ha anch’esso raggiunto il livello pre-indulto, lo squilibrio fra l’impennata della carcerazione e la lenta ripresa degli affidamenti pare segnalare un fenomeno strutturale”. Secondo il rapporto per comprendere il fenomeno è necessaria un’analisi separata dei dati sugli affidamenti dalla libertà in confronto a quelli dalla detenzione. Nel 2009, infatti, per la prima volta gli affidamenti dal carcere hanno superato quelli dalla libertà: 885 affidati dal carcere contro 712 affidati dalla libertà. Inoltre, denuncia ancora il rapporto, mentre gli affidi dal carcere stanno aumentando, gli affidamenti dalla libertà stanno crescendo in misura molto più lenta. “Si può dire che la forbice si stia allargando: al 31 dicembre del 2010 a fronte di 932 tossicodipendenti affidati dalla libertà, 1.594 erano affidati dal carcere; al 30 aprile del 2011, a fronte di 906 affidati dalla libertà, 1621 erano affidati dal carcere- continua- questa contrazione delle misure alternative è ancora più preoccupante considerato che anche prima della nuova legge antidroga, il numero dei tossicodipendenti affidati era relativamente basso”. Segnalazioni ai prefetti: boom di sanzioni amministrative Secondo Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Benché le segnalazioni siano in forte calo (“dipende dal ritardo nelle notifiche”), crescono i provvedimenti contro i detentori di piccole quantità di sostanze. Crollano i programmi terapeutici. Nel 2010 sono state 32.575 le segnalazioni delle forze dell’ordine alle Prefetture per uso personale di sostanza stupefacenti (ex art.75, che prevede vari tipi di accompagnamento ai servizi e di sanzioni amministrative). Lo rivela il Secondo libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Il rapporto denuncia che le segnalazioni sono “in costante ascesa”, di fatto guardando i dati il fenomeno è in calo, in particolare negli ultimi due anni. Secondo i dati del ministero degli Interni, infatti, nel 2006 le segnalazioni sono state 39.705, per registrare un vero e proprio picco nel 2007 con 47.932 casi e nel 2008 con 47.093. Nel 2009 si è registrata una vera e propria flessione con 38.623 segnalazioni fino ad arrivare a una diminuzione ancora più sostanziale nel 2010 con 32.575 casi. Secondo gli autori del rapporto, però, i dati del 2009 e 2010 potrebbero non essere ancora consolidati, per ritardi nella raccolta dati. Per ciò che riguarda le sostanze d’abuso, nel 2009 ben il 72% dei segnalati è per cannabis. Una percentuale importante a fronte del 13% per cocaina e all’11% per gli oppiacei. Le sanzioni amministrative erogate, invece, crescono in maniera notevole, arrivando a più che raddoppiare dal 2006 al 2010 (7.229 nel 2006, 11.850 nel 2007, 15.504 nel 2008; 17.266 nel 2009, 16.154 nel 2010). Un dato che colpisce soprattutto in presenza di un calo delle segnalazioni. “La nuova normativa ha introdotto un aggravamento delle sanzioni amministrative, sia rispetto alla durata che all’allargamento della tipologia - si legge nel rapporto di Antigone, Forum Droghe, Cnca e Società della ragione - Se si considerano insieme la più lunga durata delle sanzioni amministrative e l’incremento del numero delle sanzioni erogate, è ragionevole ipotizzare che sia aumentato il numero complessivo delle persone sottoposte a sanzioni. Nell’insieme, l’impatto punitivo sul consumo è enormemente cresciuto”. A fronte di un aumento delle sanzioni, si registra, però, un crollo delle richieste di programma terapeutico (6.713 nel 2006, 2.888 nel 2007, 1.489 nel 2008, 711 nel 2009, 518 nel 2010). “Sulla caduta dei programmi terapeutici per le persone segnalate alla Prefettura per uso personale (art.75) sembra aver influito il nuovo meccanismo della legge - continua il rapporto -. Il programma terapeutico non sospende più l’erogazione della sanzione come avveniva nella normativa del 1990, e dunque la terapia si presenta agli occhi del consumatore come un onere aggiuntivo”. Francia: la risposta al sovraffollamento… è nell’edilizia carceraria di Sarah De Pietro Agenzia Radicale, 27 giugno 2011 I detenuti nelle prigioni francesi sono saliti dai 61.428 (per 56.500 posti) di novembre 2010, ai 64.585 di maggio 2011. Di fronte a dati quali aumento della popolazione carceraria pari al 6,7%, e tasso di sovraffollamento carcerario al 115% (dato superiore anche alla media europea che nel 2008 era del 102%), il ministro della Giustizia, Michel Mercier risponde con un programma di costruzione di nuove prigioni e di rinnovamento di altre, esistenti, che renderà disponibili 70.000 “posti” nel 2018. Al momento però le condizioni in cui si trovano i detenuti sono piuttosto simili alla schiavitù, dato che, ad esempio, la superficie alla quale ogni detenuto ha diritto è fra 2,4 e 4 mq, due terzi delle prigioni sono sovrappopolate e nel 7% dei casi ci sono due detenuti per ogni posto disponibile. Céline Verzelletti, segretaria generale della Cgt penitenziaria, ha dichiarato inoltre che se “il numero dei detenuti continua ad aumentare, le condizioni di lavoro e di detenzione continueranno a deteriorarsi”. E aggiunge “il parco penitenziario non è mai stato tanto grande e si continuerà a costruire nuove prigioni, ma i fatti dimostrano che la soluzione è altrove”: “un’altra politica penale” e “un orientamento verso le misure alternative alla detenzione per le brevi pene “ oltre ad “un maggiore rispetto della presunzione di innocenza “ con “meno prevenuti in carcere “ potrebbero essere ipotetiche alternative da tenere in considerazione. Per quel che riguarda i suicidi nel 2009 ecco i dati: 115 detenuti suicidati nelle carceri francesi, 3 tentativi di suicidio al giorno, con uno “riuscito” ogni 3 giorni. Forse le cose quest’anno andranno meglio: visto che nel 2012 ci saranno le elezioni presidenziali e quelle politiche difficilmente la popolazione carceraria diminuirà in un anno pre-elettorale come questo. L’alto numero di detenzioni costituisce quasi una prova dell’efficienza del ministro della giustizia, che infatti così commenta: “Le pene sono eseguite meglio e più rapidamente. Non posso che rallegrarmene anche se questo provoca quest’aumento. Ciò smentisce l’accusa di lassismo che pesa a torto sulla giustizia”. Nonostante l’ammonimento del Commissario europeo ai diritti dell’uomo ad attuare “misure alternative efficaci per ridurre il sovraffollamento e facilitare la gestione degli stabilimenti penitenziari “, negli ultimi vent’anni i posti disponibili sono aumentati di 20.000 unità e ne vengono promessi altri 15.000 nei prossimi anni. Come sembrano lontane le dichiarazioni di Sarkozy che nel gennaio 2007, in piena campagna elettorale, alla prigione femminile di Rennes dichiarò: “la prigione deve cambiare, la prigione cambierà “, aggiungendo in seguito che “essere condannato ad una pena di prigione non vuol dire essere condannato ad essere maltrattato da altri detenuti, a non aver più contatti con la propria famiglia, a vivere in una cellula sovraffollata, ad essere spinto al suicidio”. Entro il 2018 saranno costruiti in Francia 25 nuovi stabilimenti carcerari (2 oltremare), 7 verranno ampliati, 36 saranno chiusi e 15 saranno ammodernati (invece di essere chiusi entro il 2010 come precedentemente annunciato). Ovviamente ciò porterà un miglioramento alle condizioni dei detenuti, così come è ovvio che anche ditte appaltatrici faranno un buon affare, dato che la somma che lo Stato prevede di stanziare è pari a 5,844 miliardi di euro. Iran: detenuti politici cessano sciopero fame, protestavano contro morti a Evin Aki, 27 giugno 2011 Dodici detenuti politici rinchiusi nel carcere di Evin, a Teheran, hanno interrotto lo sciopero della fame che portavano avanti da otto giorni consecutivi. Lo ha riferito il sito riformista Kaleme, spiegando che i dodici, su invito di personalità come l’ex presidente riformista, Seyyed Mohammad Khatami, e il grande ayatollah Bayat-e Zanjani, hanno interrotto l’estrema forma di protesta. Cinque di loro, in gravi condizioni di salute, erano stati trasferiti due giorni fa in infermeria. I detenuti avevano iniziato la settimana scorsa lo sciopero della fame in segno di protesta per le morti di altri due prigionieri politici, il giornalista Hoda Saber e l’attivista per i diritti umani Hale Sahabi, morti nelle ultime settimane in circostanze poco chiare. In un comunicato, i dodici prigionieri politici hanno accusato la magistratura di essere “inefficiente”, definendo poi i dirigenti del carcere assolutamente “irresponsabili”. I detenuti hanno infine sottolineato che l’Onda Verde, il movimento d’opposizione che li ha sostenuti in questi giorni, è ancora vivo nel paese. “Questo movimento non si fermerà e continuerà a battersi fino a quando i diritti fondamentali dell’uomo saranno garantiti e rispettati in Iran”, hanno colluso. Iraq: Corte Suprema Usa; no al ricorso dei detenuti di Abu Ghraib contro i contractor Adnkronos, 27 giugno 2011 La Corte Suprema degli Stati Uniti non ha accolto il ricorso presentato da ex detenuti di Abu Ghraib e loro familiari contro contractor del Pentagono accusati di abusi durante gli interrogatori. È stato così confermata la sentenza già emessa da una corte d’appello che non aveva accolto il ricorso contro la Caci International Inc. e Titan, le società che forniva interpreti per gli interrogatori. I 250 iracheni che avevano presentato il ricorso sostenevano che i dipendenti di questi ditte hanno partecipato agli abusi e le violenze nel famigerato carcere iracheno. Il ricorso, presentato inizialmente nel 2004, era stato rigettato dalla corte d’appello federale perché i contractor godevano di un’immunità concessa dal governo americano nel momento in cui era stato stipulato il contratto. Gli avvocati dei detenuti iracheni hanno cercato di contestare questo argomento, sostenendo che l’immunità non poteva essere applicata agli interpreti perché le torture denunciate non rientravano nei compiti per i quali erano stati assunti. Brasile: domani un reportage dalle carceri brasiliane su Current (Sky Tv) Il Velino, 27 giugno 2011 Il numero dei detenuti rinchiusi negli istituti penitenziari mondiali ha superato quasi ovunque i livelli di guardia. E mentre Marco Pannella e i Radicali sono in sciopero della sete e della fame da oltre un mese per protestare contro le drammatiche condizioni delle carceri italiane, Davide Scalenghe entra con le telecamere di Current in una delle prigioni più infime di Rio per restituire il quarto reportage della serie Vanguard Brasile in onda domani martedì 28 Giugno alle 21.10 su Current (Sky 130). Grazie a un pastore evangelico, Padre Marcus, che con regolarità visita vari istituti penitenziari della capitale carioca, Davide Scalenghe entra in una prigione nel centro di Rio e si sottopone al consueto rito di esorcismo collettivo assieme ai più spietati criminali della città. “Quando varco la soglia - racconta Scalenghe nel reportage - sono letteralmente travolto. Le scene che ho di fronte sono infinitamente più forti di quello che avrei mai immaginato. Temperature soffocanti. Celle buie con amache dal cielo alla terra per contenerne il sovraffollamento. Mani che si protendono verso di noi. Odore nauseante. Urla. Centinaia di adolescenti, principalemente. Umanità allo stato puro. Che ti ingolfa. Il mio istinto è quello di tornare indietro. Ho paura di essere schiacciato. Occhi. Rimango”. Attualmente sono più di mezzo milione i brasiliani dietro le sbarre, centri di detenzione paragonati sempre più spesso a gironi infernali dove il malumore si trasforma quotidianamente in rabbia e la rabbia degenera inevitabilmente in violenza. Il Brasile è in testa alle classifiche di sovraffollamento delle carceri. Le condizioni sono subumane. Stando alle inquietanti testimonianze di due ex-detenuti intervistati da Scalenghe, pare le torture siano la prassi. Non a caso l’Onu, solo qualche giorno fa, ha annunciato l’inizio della più grande ispezione che mai stata realizzata al mondo proprio nelle prigioni brasiliane, per indagare sulle troppe denunce di torture.