Giustizia: carceri italiane fuorilegge, dopo l’indulto riforme zero di Giovanni Palombarini Il Centro, 26 giugno 2011 Marco Pannella ha fatto sciopero della sete per ottenere un’amnistia finalizzata a ovviare alla condizione di illegalità in cui versano le carceri italiane. Anche su questo versante l’Italia gode ormai di una pessima reputazione in tutta Europa. Già nel luglio 2009 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il trattamento disumano riservato a una persona detenuta nel carcere romano di Rebibbia, avendo accertato che il condannato era stato “obbligato a vivere in uno spazio molto esiguo, di gran lunga inferiore alla superficie minima stimata come auspicabile dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura”. Una decisione sorprendente? Niente affatto. Nel carcere di Sulmona, nel febbraio 2010, alcuni giornalisti hanno potuto parlare con due ragazzi napoletani, ristretti in una cella di 3 metri per 3 chiusa per 21 ore al giorno, avendo per mangiare uno spazio libero di pavimento largo un metro o poco più, accanto al letto a castello, che si ritenevano fortunati perché “a Poggioreale in una cella come questa ci stavamo in quattro”. La verità è che dopo un breve periodo di alleggerimento della situazione carceraria dovuto all’indulto, di riforme non se ne sono fatte. Così, all’inizio della primavera del 2009, quando il numero dei detenuti era ancora al di sotto di quota 60.000 lo stesso ministro della giustizia Angelo Alfano aveva dichiarato che le nostre carceri sono fuori dalla Costituzione. Oggi i detenuti sono circa 67.000 (per una capienza di 41.500 persone). Mentre la cultura giuridica si interroga sui limiti della repressione penale, chiedendosi anche se necessariamente il carcere debba rimanere fra le pene (si veda il recente libro di Vincenzo Ruggiero, Il delitto, la legge, la pena, delle edizioni del Gruppo Abele), nei fatti si accetta una situazione intollerabile. Ciò, nonostante tutti siano d’accordo nell’affermare che intanto lo Stato è legittimato a punire in quanto la pena sia, non solo teoricamente, corrispondente alle previsioni normative (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, stabilisce la legge fondamentale della Repubblica). Allora va detto che Marco Pannella ha ragione. In attesa di interventi riformatori, che purtroppo questo Parlamento non sembra in grado di adottare (forme di pena diverse dal carcere per numerosi reati, rafforzamento delle misure alternative al carcere, abrogazione delle norme che escludono i recidivi da tali misura), oggi appare indispensabile un provvedimento di amnistia e indulto per i reati di minore rilevanza. La misura, certo, non è popolare. Ma anche la pubblica opinione deve convincersi che quella dello Stato rischia attualmente di diventare una violenza illegale, che proprio lo Stato rischia di essere fuorilegge. Una situazione identica stava maturando, due anni fa, nello Stato della California, a causa di un intollerabile sovraffollamento che causava problemi rilevanti per la salute, anche mentale, dei detenuti. Così, una Corte federale degli Stati Uniti, l’8 aprile 2009, ha ordinato al governatore di quello Stato, Schwarzenegger, di ridurre entro due anni di 40.000 unità la popolazione carceraria senza adottare misure destinate a ledere i diritti dei ristretti, come il trasferimento in prigioni di altri Stati. “Un egregio esempio di usurpazione dei poteri da parte della giurisdizione”, come ha commentato un senatore americano? Non pare proprio. “Le Corti federale non intervengono a cuor leggero negli affari di uno Stato”, si legge nella sentenza. “I principi del federalismo, della correttezza nei rapporti fra gli Stati e della separazione dei poteri impongono alle Corti federali di affrontare materie statali se non nelle più pressanti delle circostanze”. Appunto, laddove, come in California, “il processo politico ha del tutto mancato di proteggere i diritti costituzionali di una minoranza, le Corti possono e devono tutelare questi diritti”. Che si debba arrivare a questo anche in Italia? Giustizia: Cei; carceri sovraffollate e invivibili, serve un’amnistia Agi, 26 giugno 2011 L’amnistia è “il primo strumento contro il sovraffollamento delle carceri. Un provvedimento che mi vedrebbe d’accordo, ma va studiato bene”. Lo dichiara all’Agi monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo metropolita di Campobasso-Bojano ma che qui parla nella veste di presidente della commissione Cei per i problemi sociali, lavoro, giustizia e pace. Raggiunto nella sua casa di Denno, in Trentino, dove si trova in questi giorni per la morte dell’anziana madre, monsignor Bregantini sottolinea che “la vita nelle carceri è invivibile. Io sono stato anche cappellano nelle carceri e so bene che situazione c’è”. L’arcivescovo pensa che si potrebbe pensare a “forme alternative”, come impiegare i condannati in lavori più utili alla realtà sociale, per il bene redentivo e non in una logica di semplice afflizione” Giustizia: i Radicali in piazza, ricordano gli ottocento detenuti morti dal 2002 a oggi Ansa, 26 giugno 2011 Un cappio a Piazza Navona. In occasione della Giornata internazionale Onu contro la tortura, i radicali hanno ricordato così “la tragedia degli ottocento morti in carcere dal 2002 a oggi, per denunciare le condizioni di tortura a cui sono quotidianamente sottoposte le migliaia di reclusi negli istituti di pena italiani”. La manifestazione, promossa dal Gruppo Carceri di Radicali Italiani, si svolge sotto una forca e vede la partecipazione, tra gli altri, della deputata Radicale Rita Bernardini, del segretario di Radicali Italiani Mario Staderini, di Irene Testa, segretaria de Il Detenuto Ignoto, di Sergio D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino, di Marco Cappato, segretario dell’Associazione Luca Coscioni. Il 26 giugno 2011 cade la tredicesima edizione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura. L’iniziativa è realizzata per ricordare la ratifica, il 26 giugno 1987, da parte dei primi venti paesi, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti. Il “Consiglio Italiano per i Rifugiati onlus che ricorda come “nonostante l’assoluto divieto legislativo, la tortura non è ancora stata sconfitta e continua a infliggere indicibili sofferenze fisiche e psichiche. Metà della popolazione mondiale vive infatti in paesi che ancora la praticano. E un rifugiato su quattro, di quelli che arrivano in Italia, è vittima di tortura”. La onlus ricorda che “le vittime di tortura sono segnate da ferite e traumi che richiedono risposte specifiche” e proprio per questo il Cir “gestisce dal 1996 progetti (attualmente con il sostegno del Fondo Europeo per i Rifugiati, della Commissione Europea e del Fondo Volontario delle Nazioni Unite per le Vittime di Tortura) che mettono in atto azioni mirate alla riabilitazione dei sopravvissuti a tortura. Nel corso di 15 anni abbiamo assistito 2.800 persone sopravvissute a torture”. Dalle ore 17 alle 22 nelle strade di Roma saranno portate maschere umane raffiguranti le vittime di Abu Ghraib e simboleggianti altre vittime di torture saranno a Campo de Fiori e a Santa Maria in Trastevere. Lunedì 27, poi, alle 21 al Teatro Ambra Jovinelli in scena un gruppo di 12 rifugiati con lo spettacolo “Sulle tracce delle conchiglie. In memoria di Ken Saro Wiwa”. Presenterà la serata Jean-Leonard Touadi, atteso Moni Ovadia. Giustizia: amnistia; centinaia di adesioni all’appello per l’iniziativa nonviolenta di Pannella Italpress, 26 giugno 2011 Anche Vittorio Feltri, Pietro Ichino, Angelo Panebianco e Walter Veltroni hanno firmato l’appello a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, per attirare l’attenzione sull’urgenza di affrontare la crisi della giustizia e l’emergenza carceraria, nonché sulla necessità di porre fine al silenzio dell’informazione che impedisce un dibattito democratico su questi, come su altri, grandi temi. Sono circa trecento le personalità ad aver aderito fino a questo momento, di cui quasi duecento parlamentari tra i quali: Rosy Bindi, Giuliano Cazzola, Gianrico Carofiglio, Benedetto Della Vedova, Lamberto Dini, Ignazio Marino, Antonio Martino, Alessandra Mussolini, Fiamma Nirenstein, Arturo Parisi, Gaetano Pecorella, Savino Pezzotta, Adriana Poli Bortone. Avevano già dato la propria adesione, tra gli altri, Giuliano Amato, il cantautore Franco Battiato, don Luigi Ciotti, Umberto Croppi, Dario Fo e Franca Rame, don Andrea Gallo, Don Antonio Mazzi, il maestro Ennio Morricone, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, il neosindaco di Milano Giuliano Pisapia, Adriano Sofri, l’attore Paolo Villaggio, Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma. Oltre ai giuristi Giuseppe Di Federico, Luigi Ferrajoli, Fulco Lanchester, Mario Patrono; Valerio Spigarelli, Presidente dell’Unione Camere Penali, Enrico Sbriglia, del sindacato direttori e dirigenti penitenziari, Francesco Ceraudo, direttore del centro regionale per la salute in carcere della Toscana. Quindi per “sensibilizzare e mobilitare contro questa vergognosa pratica, in occasione della Giornata internazionale realizzeremo due eventi: - domani dalle ore 17 alle 22 porteremo nelle strade di Roma la tortura, per scuotere e far riflettere: statue umane raffiguranti le vittime di Abu Ghraib e simboleggianti altre vittime di torture saranno a Campo de Fiori e a Santa Maria in Trastevere. Lunedì alle ore 21 al Teatro Ambra Jovinelli a Roma porteremo in scena un gruppo di 12 rifugiati coinvolti nelle attività del laboratorio teatrale di riabilitazione psico-sociale del CIR con lo spettacolo “Sulle tracce delle conchiglie. In memoria di Ken Saro Wiwa”. Questo spettacolo è stato costruito all’interno del laboratorio riabilitativo condotto da Nube Sandoval e Bernardo Rey, registi e formatori. La presenza in scena di questi testimoni è un modo per rompere il complotto del silenzio e invisibilità che da sempre circonda la tortura e le sue vittime, e un’occasione per ridare loro voce e legittimità. Presenterà la serata Jean-Leonard Touadi e ci sarà la partecipazione straordinaria di Moni Ovadia. In occasione dello spettacolo verrà anche trasmesso il video realizzato da Artigiani Digitali che raccoglie testimonianze di rifugiati”. Giustizia: Marroni; per risolvere l’emergenza carceri serve un intervento del legislatore Dire, 26 giugno 2011 “La drammatica protesta di Marco Pannella contro la situazione delle carceri italiane e l’autorevole intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano hanno contribuito ad accendere un faro su una situazione che, giorno dopo giorno, diventa sempre più insostenibile. Ora, spero solo il livello di attenzione resti a questo livello e che le istituzioni non ci abbandonino, ancora una volta, a far fronte a quella che è una vera e propria emergenza sociale”. È quanto dichiara il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. “Quanto sta accadendo in queste ore - ha aggiunto Marroni - sull’onda dello sciopero della fame e della sete di Pannella ha creato le condizioni favorevoli, e forse irripetibili, affinché il mondo politico vari quell’intervento di sistema necessario per affrontare l’emergenza carceri. È sotto gli occhi di tutti, infatti, che le misure tampone varate in questi anni dal governo hanno fallito il loro obiettivo di ridurre il sovraffollamento, causato da una legislazione fatta apposta per reprimere con il carcere ogni condotta contraria alla legge. Occorrerebbe, invece, un intervento del legislatore nel senso di spostare le pene per alcuni reati dal carcere alle misure alternative. Fino a ieri sembrava che tale emergenza carceri non fosse contemplata nell’agenda del Parlamento. Oggi tutti noi, a partire dai mezzi di informazione, dobbiamo fare in modo che l’attivismo di queste ore di tanti parlamentari non resti fine a se stesso, ma sfoci in una soluzione politica per l’emergenza carceri”. Lettere: dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, per la Giornata contro la tortura Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2011 Nelle carceri italiane la condizione del rispetto dei diritti umani è drammatica, essendo fortemente limitati o di fatto negati. Quando si parla di diritti umani, forse sarebbe utile ricordarsi che si sta parlando dei fondamentali bisogni di ogni individuo, troppo spesso non rispettati nel carcere. Lo confermano le 1.499 sentenze e relative condanne, tutt’altro che simboliche, emanate nel corso del 2010 dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo nei confronti dei paesi firmatari della Cedu, che l’ha istituita. Stando al rapporto per il 2010 dell’Osservatorio sulle sentenze Cedu presso la Camera dei deputati, in tema di diritti umani l’Italia è tra gli ultimi in classifica. Con 98 sentenze e rispettive condanne, l’Italia è preceduta da soli altri cinque primati negativi: Turchia, Romania, Ucraina e Polonia. Ben diversa la posizione delle nazioni vicine all’Italia e cioè Slovenia, Svizzera, Austria e Francia. Per non dire della Danimarca, a quota zero. Oltre ai numeri, non meno degno di nota è il carattere delle violazioni che hanno portato l’Italia sul banco degli imputati a Strasburgo. Sul totale delle 98 sentenze con condanna, ben 61 accertano almeno una violazione delle norme Cedu, e di queste 50 riguardano l’inosservanza del diritto a un equo processo. Lo scandalo delle nostre carceri, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni, convenzioni, trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. Basta guardare l’art.18.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006, dove si stabilisce che la legislazione interna di ogni singolo Stato deve prevedere dei “meccanismi idonei a garantire che il rispetto delle condizioni minime di detenzione non sia compromesso a causa del sovraffollamento carcerario”. La lettura di questa direttiva impone una riflessione, o meglio, una domanda. E, cioè, come mai nonostante i numerosi dibattiti sulla questione penitenziaria, nel nostro Paese si sia parlato poco o niente di un meccanismo che, pur essendo di non facile regolamentazione, ha già trovato attuazione in alcuni ordinamenti (Olanda, Finlandia) ed è al centro di un approfondito dibattito in Francia. Si sta alludendo al meccanismo che viene indicato con la locuzione “numero chiuso”, esplicabile in questo modo: il Parlamento determina il numero massimo di detenuti che possono essere ospitati in un determinato circuito carcerario, applicando il criterio base secondo cui ogni cella deve essere, in linea di principio, occupata da un solo detenuto (criterio sancito dall’art.18.5 delle Regole penitenziarie europee); nel momento in cui viene raggiunto il tetto massimo di presenze, all’ingresso nel circuito di un nuovo soggetto deve corrispondere l’uscita dal medesimo di un altro condannato, che in base agli accertamenti dell’autorità giudiziaria risulti ormai prossimo al fine pena. La Germania, con una sentenza storica emessa nel marzo scorso dalla Corte Costituzionale tedesca, obbliga le istituzioni penitenziarie del Paese a liberare un detenuto laddove la carcerazione non sia rispettosa dei diritti umani. Viene così anteposta la dignità della persona alla sicurezza, e si apre la strada alle “liste di attesa” per l’ingresso in carcere, già praticate in alcuni Paesi nordeuropei, Norvegia in testa. Senza dimenticare che nelle prigioni norvegesi e tedesche si parla addirittura di tasso di sotto affollamento, nel senso che nelle carceri di questi Paesi ci sono più posti letto che detenuti. Dove è stato il governo in questi anni, mentre buona parte dell’Europa ragionava su soluzioni rispettose dei diritti? Perché negli OPG vi sono ancora persone legate, in celle indecenti? Perché tutti i tentativi di riformare il Codice Penale sono naufragati? Perché è così scandaloso, o rimane un dialogo tra pochi benintenzionati, parlare della necessità di un totale riassetto del sistema sanzionatorio che preveda un diritto penale minimo, equo ed efficace? Le proposte dovrebbero riguardare la modifica della legge sulle tossicodipendenze, della ex Cirielli, della Bossi-Fini, delle misure di sicurezza e prevedere forme come la messa alla prova, la mediazione penale, la giustizia ripartiva. Ridare slancio e possibilità concrete alle misure alternative, drasticamente ridotte in questi anni. Bisognerebbe inoltre incidere sul problema tutto italiano della custodia cautelare. In Europa siamo fra quelli con le percentuali maggiori di giudicabili sul complesso dei detenuti. Affrontare seriamente il problema delle carcerazioni brevi: il 32% dei 90.000 circa arrestati nel corso di un anno con passaggio dal carcere resta detenuto per non più di tre giorni. Occorrerebbe pensare alla pena andando anche al di fuori della concezione italiana, e guardare ciò che avviene negli altri paesi europei, non solo per una più ampia articolazione del ventaglio delle pene. Andrebbero implementate le pene alternative al carcere con le sanzioni “sostitutive” delle pene detentive brevi, discrezionalmente concesse già dal giudice della cognizione (semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria). Celle sotterranee, mancanza di spazi, permanenze in cella per la quasi totalità della giornata, mancanza di generi di necessità. È il collasso delle carceri italiane. Lo scorso marzo il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha emesso una dichiarazione di biasimo nei confronti della Grecia, ammonita dal Consiglio d’Europa per la situazione relativa al trattenimento dei migranti irregolari ed alla situazione penitenziaria. I migranti irregolari sono trattenuti dalle autorità greche, secondo il Comitato, per settimane o mesi in condizioni degradanti. Probabilmente non tarderà la stessa condanna all’Italia. La battaglia di Pannella è ad altissimo indice di civiltà. Noi la sosteniamo completamente. Tanti volontari si sono già associati allo sciopero. Esprimiamo a Pannella la nostra gratitudine per il suo sacrificio. La sua battaglia per la tutela dei diritti nelle carceri, che denuncia uno stato di tortura di fatto è anche la nostra battaglia. Scegliere di pagare di persona a rischio della propria vita per il carcere e le sue condizioni merita il massimo del rispetto. Poi la scelta dell’amnistia si può condividere o meno. Anche se è chiara la falsa coscienza di chi si scandalizza per la proposta, in un Paese in cui la prescrizione raggiunge le cifre rese note dalla stampa. Per cambiare davvero le cose era necessario e auspicabile intervenire prima con riforme sostanziali. Se ci si crede, se si vuole, si può ancora fare. La riforma epocale della giustizia, annunciata dal Ministro Alfano, manifesta oggi i suoi effetti più deleteri. Oggi, 26 giugno, è la Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura. Speriamo che alle numerose visite ed attestati di solidarietà a Pannella si dia seguito ad una vera riforma per le carceri. Che il Parlamento dia finalmente corpo a tutte le mozioni approvate qualche mese fa, ed anche lo scorso anno, sul carcere “possibile” da riformare, da realizzare. Che reputi il carcere come l’urgenza da affrontare, ora, senza rimozioni o inutili provvedimenti edilizi. Il sasso, pesante, drammatico, a rischio della propria vita, è stato coraggiosamente lanciato da Pannella. Ci aspettiamo un minimo di coraggio anche da chi può decidere, per una volta, di affrontare seriamente il problema. Elisabetta Laganà, presidente Cnvg Lettere: 3 euro e mezzo al giorno per il vitto… i detenuti costretti a “pane e acqua” La Repubblica, 26 giugno 2011 Mi domando chi abbia stabilito il costo del vitto quotidiano per i detenuti, il ministro o chi per lui e dove mai sia andato a pescare i parametri per determinarlo. Nelle gare d’appalto che normalmente si svolgono in tutti gli istituti penitenziari la base d’asta al ribasso, sul territorio nazionale, è infatti di euro 3,90 peri tre pasti quotidiani. Le aziende appaltatrici si aggiudicheranno l’appalto prevedibilmente per 3,50, cifra sulla quale dovranno giustamente lucrare. I tre pasti dunque costeranno complessivamente, nella migliore delle ipotesi, 3 euro. Il ritorno al pane e acqua è garantito. Un’amica mi ha suggerito che forse il modello è stato quello della celebre “Isola dei famosi”, dove sembra che i partecipanti si ingegnino pescando o cogliendo frutta. Che possano mai inventarsi i detenuti, costretti quasi sempre per 22 ore in una cella, non si sa. Alcuni vengono sostenuti, spesso con enormi sacrifici, dalle famiglie. Prima veniva assegnato a turno un po’di lavoro. Ma anche le risorse per le “mercedi”, così si chiamano i compensi in carcere, sono state dimezzate e il lavoro già scarso si è conseguentemente, dimezzato, sicché non è più possibile con quel po’ di soldi guadagnati acquistare qualcosa del cosiddetto “sopravvitto”, mercatino interno, in cui spesso i prodotti sono più cari che fuori. La diminuita possibilità di lavoro incide anche sull’igiene e sulla pulizia dei locali comuni. Non parliamo poi degli extracomunitari, spesso in carcere senza sapere nemmeno perché, che non hanno nessuno che li aiuti. E non mi si dica che esistono anche persone libere in condizioni di estrema povertà, perché tutto rientra nel drastico taglio del welfare. Ora arriverà come sempre il caldo estivo, come sempre si leveranno le voci di protesta, come sempre alcune più illuminate forze politiche e istituzionali trascorreranno il ferragosto in carcere e, come sempre, non succederà niente. Ci si domanda a questo punto se sia vero che la pena comminata a chi si è reso colpevole di un reato consista solo nella privazione della libertà o a essa si debbano aggiungere altre torture, ci si domanda se le forze politiche abbiano un reale interesse a migliorare il livello di vita dei detenuti, ci si domanda se la magistratura di sorveglianza, che proprio sulle condizioni di detenzione dovrebbe intervenire, sia consapevole di tutto ciò. È questa una vergogna, che mette l’Italia fuori dai paesi civili. Sembra che in Italia si ignorino gli articoli fondanti la nostra Costituzione, non si conoscano i principi fondamentali delle regole penitenziarie europee, nei quali si afferma anche che la mancanza di risorse non può giustificare condizioni detentive che violino i diritti umani del detenuto. Non ci meravigliamo poi (e forse nessuno si meraviglia, o meglio se ne interessa) se ci sono già stati 26 suicidi, 337 tentati suicidi, 2.000 atti di autolesionismo, se anche la polizia penitenziaria è vittima di questa terribile oppressione, sicché anche tra gli agenti non infrequenti sono i casi di suicidio. Intanto i detenuti questa volta hanno cominciato a protestare e la protesta coinvolge le carceri in tutta l’Italia. Protestano come possono battendo sulle sbarre e quel suono ha qualcosa di sinistro, evoca terrori nascosti nel fondo oscuro delle coscienze. Allora voglio ripetere quasi con le stesse parole una domanda che ho già fatto un anno fa aggiungendo qualcosa in più. Voi che leggete con indifferenza le notizie di una sofferenza che forse vi sembra legittima, voi che vivete in case più o meno grandi, comunque meno anguste di una cella di dieci metri quadri per cinque persone diverse per cultura, origine, abitudini, voi che mangiate pasti più o meno abbondanti, comunque superiori al valore di un euro a pasto, e forse fate anche qualche dieta dimagrante, voi non pensate che animali anche mansueti chiusi in gabbia per 22 ore al giorno e affamati diventino ferocie se già feroci, lo diventino ancora di più? Se vi fate, se ci facciamo questa domanda, allora non per carità cristiana, non per solidarietà civile, non per elementare umanità, ma almeno per egoistica esigenza di sicurezza, leviamo anche noi liberi un grido di protesta e di condanna per la dignità umana ferita e sia un grido forte e chiaro, così da indurre chi di dovere a trovare soluzioni vere e non fantomatici piani carcere. di Adriana Tocco Garante dei diritti dei detenuti della Campania Lettere: morire in carcere, morire di carcere di Gemma Brandi Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2011 Tragiche notizie a raffica dal carcere di Milano Opera. Oggi veniamo a sapere che un giovane recluso nordafricano è deceduto “per cause da accertare”. Ieri ci era stato detto che un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, in forza al GOM (un corpo speciale), aveva tentato seriamente di togliersi la vita. Una morte improvvisa la prima, una sopravvivenza per caso la seconda, da quanto possiamo evincere leggendo questo prezioso notiziario -chi altrimenti parlerebbe di simili flash intramurari? Senza dubbio merita indagini approfondite il primo evento, nella speranza di farlo uscire dal limbo delle “cause da accertare”. Senza dubbio merita una riflessione onesta il secondo fatto di cronaca. Ai tre agenti che si sono tolti la vita si somma dunque questo serissimo tentativo di suicidio. E non si tratta di giovani reclute di primo pelo, ma di sottufficiali con uno stato di servizio relativamente datato. Il carcere è un sistema rigidamente chiuso e dunque non è pensabile che una categoria possa stare bene, se l’altra soffre. La situazione che patiscono i detenuti echeggia quella degli operatori e viceversa. Ecco il motivo per cui non hanno avuto e non avranno successo politiche penitenziarie di un segno o dell’altro: né quelle che collocano l’interesse dei detenuti al di sopra di quello del personale, né quelle di segno opposto. Si muore in carcere o si muore di carcere, è il quesito cui avvertiamo oggi il dovere di rispondere, a partire da una “analisi logica” del suicidio dei cittadini, a qualsiasi titolo, del carcere. Di nuovo fa capolino la opportunità di istituire centri di ascolto per operatori. Non ho mai ritenuto che questi avrebbero una utilità, specie se realizzati all’interno del luogo in cui il disagio matura e in cui la persona non sosterrebbe esposizioni maggiori di quella che il lavoro penitenziario le impone. Cosa direbbero mai questi uomini dilaniati a chi li ascoltasse? Qualcuno di loro forse parlerebbe del disagio psicopatologico da cui è afflitto o dell’eventuale insostenibile lutto che si trovi a fronteggiare, ma il cittadino agente potrebbe già fare tutto ciò rivolgendosi, all’esterno, a un esperto di salute mentale, nel pubblico o nel privato. Altri parlerebbero dei massacranti turni di lavoro, dello straordinario non pagato, della gestione dei servizi che li mortifica e in cui non riscontrano l’equità necessaria ad affrontare i tempi di vacche magre, della accidia e della contraddizione istituzionali, del fatto che il merito non paga neppure nei reclusori, della difficoltà di mantenersi davvero liberi in un sistema che impone una adesione incondizionata alle regole emanate dall’alto, e così via. Cosa ci si attenderebbe dunque da un centro di ascolto? Che conducesse tali uomini dalla disperazione alla rassegnazione o che le notizie raccolte servissero a introdurre una trasparenza e un equilibrio nuovo nella gestione dei penitenziari? Nel primo caso, evitiamo di spendere denaro pubblico a vuoto. Nel secondo caso, basterebbe una disponibilità istituzionale autentica a raccogliere le istanze ragionevoli che certo il singolo operatore rappresenta prima di sottrarsi alla disperazione semplicemente togliendosi di mezzo. Rileggiamo dunque con maggiore pietas il messaggio che ci giunge dalle morti violente di reclusi e operatori, affinché il suicidio di ognuno non resti senza utilità per i vivi. Sarebbe il modo per prevenire l’ecatombe e per restituire dignità al gesto di uomini dalla storia altrimenti ammutolita. Lettere: un ringraziamento a Lucia Castellano… Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2011 Ti chiamiamo Lucia, direttore, zia Lucia. Per darti un ricordo di noi devo pensarti dall’inizio, io che ti conosco dagli albori del progetto Bollate e che ho visto da testimone oculare la tua fatica, la tua grinta, la tua passione. Poche le persone, veramente poche, che non rilevano i privilegi che la posizione in alcune circostanze può dare. Vera peraltro la concentrazione di assunti di responsabilità che, diventa nel tempo, proficua decisionalità, mai arbitrio o esclusione. Nella pratica è stato: se ce la fai a resistere a questi ritmi, siamo insieme. Questo per tutti è stato avvincente, a tratti parossistico per l’incedere senza fine di continuità nell’apprendere idee e progettualità, modi e metodi, prefigurazioni di ostacoli e management delle risorse, strutturali-economiche-umane e cercare sempre soluzioni in linea con la dignità delle persone e il loro bisogno di essere vive. Una sfida grande, prima di tutto per gli esterni che, tutto sommato, avrebbero potuto diluirla negli anni, come in altri istituti di detenzione. C’era, però, il ritmo della tua passione che tutti abbiamo condiviso. E le rinunce che hai affrontato. Nessuna malattia un po’ comoda, solo cose da prendersi sul serio e che si contano in pochi giorni nel decennio. Nessuna concessione alla stanchezza ma presenza sempre costante oltre, molto oltre, le ore che già in più dedicavi al progetto. Il tuo viso affaticato ma sorridente è stato più volte momento di commento preoccupato dei tuoi ospiti, detenuti e liberi. Ti conosco così. Ti conosciamo così. Nel bilancio fra le tue passioni e le tue responsabilità, vince quest’ultima ma con un cuore grande! Sono felice di averti oggi come amministratrice della nostra città perché conosco il tuo impegno e l’amore che metti nel fare bene e bella la vita. Restiamo con la sensazione di essere orfani e spaesati ma certi che quanto hai costruito continuerà: lo vuole il nostro nuovo direttore, lo vogliono le persone ristrette, lo vogliamo noi operatori nell’istituzione. Ciao amica, ti seguiamo tutti e tutte con il cuore ma restiamo a Bollate, a continuare il tuo lavoro di direttore speciale. Viviana I volontari di Amici di Zaccheo - Lombardia La redazione di Salute inGrata Bollate I referenti dello Sportello Salute Bollate Emilia Romagna: carceri in emergenza, i detenuti protestano per sostenere la lotta di Pannella Sesto Potere, 26 giugno 2011 Nella giornata di ieri il leader radicale Marco Pannella ha sospeso lo sciopero della sete che aveva iniziato domenica scorsa, in aggiunta a quello della fame che dura ormai da 65 giorni. Un’iniziativa di lotta e protesta contro il sovraffollamento delle carceri italiane e per invocare l’adozione dell’amnistia come soluzione radicale che possa riportare “l’Italia nella legalità umanitaria e del diritto”. In segno di solidarietà i detenuti delle carceri di Bologna, Reggio Emilia e Ferrara hanno dato vita nelle ultime 24 ore ad iniziative nonviolente di protesta come uno o più giorni di sciopero della fame a staffetta o proteste rumorose (i detenuti hanno battuto a lungo contro inferriate e porte). L’Emilia-Romagna è l’unica Regione d’Italia con una percentuale di presenze rispetto alla capienza superiore di oltre il 100% ed è agli ultimi posti in Italia anche per il rapporto tra numero di detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria. Nel 2009 nelle carceri emiliano-romagnole erano presenti 4.488 detenuti (così ripartiti: 75% di italiani, 13% di stranieri privi di permesso di soggiorno, 10% di stranieri con permesso di soggiorno, 2% di stranieri comunitari) a fronte di una capacità di 2.388, con un indice di sovraffollamento dell’85,7%. Secondo i dati di una rilevazione fatta il 20 settembre scorso dalla Uil-Pubblica amministrazione ben sette carceri emiliane-romagnole sono nei primi trenta posti. I casi più gravi a Ravenna (nono posto in Italia con 143 detenuti in 59 posti), Bologna (al 13/o posto, 1124 su 497) e Piacenza (397 rispetto a una capienza di 198). Ma non stanno bene nemmeno Rimini, Reggio Emilia e Modena. In Emilia-Romagna solo il 38% dei detenuti definitivi (16% della popolazione carceraria) può beneficiare del cd. percorso trattamentale (partecipazione a corsi di formazione o educazione, partecipazione ad attività culturali, etc.) a causa di problemi organizzativi legati al sovraffollamento. I detenuti iscritti a corsi professionali rappresentano in Emilia-Romagna solo il 5% della popolazione carceraria e tra la popolazione carceraria straniera la percentuale scende all’1% e circa il 30% dei detenuti nelle carceri emiliano-romagnole è affetto da psicopatologie. E anche il personale di polizia penitenziaria dell’Emilia-Romagna deve sopportare gravi carenze di organico, strutture e finanziamenti. Reggio Emilia: protesta prosegue con lanci di olio e urina Continua, con momenti di tensione, la protesta dei detenuti di Reggio Emilia. A riferirlo è in un comunicato Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe: “Ieri sera i detenuti hanno continuato a protestare fino a notte fonda, sbattendo le pentole contro le porte blindate. La protesta è andata avanti in maniera tranquilla, fino a quando un gruppo di detenuti ha buttato nei corridoi delle sezioni detentive e sulle pareti olio ed urina”. Ciò, prosegue Durante, “ha determinato momenti di tensione, tanto che potrebbero anche essere assunti provvedimenti urgenti da parte dell’Amministrazione penitenziaria”. Per il sindacalista non è “tollerabile che una legittima e tranquilla protesta degeneri in atti che contrastano con il regolamento penitenziario”. In ogni caso, precisa, “non tutti i detenuti hanno aderito a questo modo di protestare, anzi, alcuni si sono addirittura dissociati dai più facinorosi”. Lazio: Radicali; buco nell’assistenza psicologica ai detenuti www.omnirioma.it, 26 giugno 2011 “Il Lazio ha una grave mancanza di fondi per le attività trattamentali per il lavoro nelle carceri. Sono finiti i fondi. Come ha denunciato il garante dei detenuti la Regione non ha mantenuto gli impegni prefissi per sostenere le imprese che aiutano i detenuti. C’è anche un altro problema, causato dal passaggio della sanità dal sistema centrale a quello regionale. Già i consiglieri regionali Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita hanno presentato interrogazioni rivolte al presidente della Regione. Il vero buco è l’assistenza psicologica di gente che passa 20 ore al giorno in una cella”. Lo ha detto il senatore del Partito Radicale, Marco Perduca a margine della manifestazione organizzata dagli stessi Radicali in piazza Navona. Marche: martedì il Garante dei detenuti Italo Tanoni sarà ascoltato in Commissione regionale Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2011 Il prossimo martedì l’Ombudsman delle Marche Prof. Italo Tanoni sarà ascoltato, prima dell’apertura dei lavori del Consiglio regionale, dalla Prima Commissione Consiliare sullo scottante problema dell’emergenza negli istituti carcerari marchigiani. Durante l’incontro, propedeutico all’argomento specifico che sarà messo all’Ordine del Giorno e affrontato dal Consiglio Regionale il 19 luglio, sarà presentata dal Garante dei Detenuti una proposta di mozione, da trattare e discutere in Consiglio regionale. La mozione sulle Carceri Marchigiane, formulata e predisposta secondo uno spirito bipartisan, contiene linee di indirizzo per il Governatore Gian Mario Spacca che, nella prossima conferenza tra Stato e Regioni, dovrà presentare la drammatica situazione degli Istituti Penitenziari delle Marche. I principali elementi contenuti nella proposta di mozione riguardano i problemi del sovraffollamento, le misure trattamentali, gli organici di polizia penitenziaria fortemente sottodimensionati, i rapporti con il Dap, la sanità in carcere e tutta una serie di problemi emersi durante i colloqui che il Garante ha avuto con i singoli detenuti nelle Case Circondariali di reclusione e negli istituti di pena della regione. Milano: “morte sospetta” nel carcere di Opera; giovane detenuto marocchino forse aggredito Apcom, 26 giugno 2011 Ancora una morte misteriosa in carcere. Questa volta è toccato ad un giovane marocchino ristretto nell’Istituto penitenziario di Opera. Il ragazzo di 24 anni, è morto dopo essere stato trasportato in ospedale per un malore. In seguito alla morte, al carcere di Opera è arrivata una lettera anonima che fa nome e cognome di un presunto aggressore del ventiquattrenne. Secondo quanto scrive il mittente sconosciuto, infatti, il detenuto è deceduto per via delle percosse ricevute. Il carcere smentisce l’ipotesi e, per bocca del suo direttore, Giacinto Siciliano, ha risposto: “Il fatto che registriamo è che il detenuto stava lavorando ed è caduto a terra perdendo i sensi davanti a tutti”. Il giovane marocchino è morto dopo quasi dieci giorni di ricovero in ospedale. Il “malore misterioso” lo ha assalito lo scorso 15 giugno. Per l’avvocato del detenuto il decesso per incidente non è convincente. Il legale sospetta che la lettera anonima abbia un fondo di verità e che si sia trattato di una morte a seguito di una feroce aggressione. Le violenze sul corpo del ragazzo sarebbero state confermate anche dagli accertamenti fatti dal un medico di fiducia dell’avvocato. Quanto alla lettera giunta alla direzione del carcere di Opera, il direttore Siciliano ha dichiarato Abbiamo comunicato tutto all’autorità giudiziaria, sono in corso le indagini”. Bolzano: progetto per il nuovo carcere, via libera da Roma Alto Adige, 26 giugno 2011 Nuovo carcere a Bolzano Sud, si comincia a fare sul serio. Il ministero della Giustizia ha ufficialmente dato il via libera all’iter per la realizzazione del nuovo istituto penitenziario con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. La Provincia sta per avviare l’iter per l’esproprio dei terreni oggi agricoli di via Francesco Baracca, di proprietà della Rauch Bau di Nalles. L’intenzione del presidente Luis Durnwalder è di pubblicare il bando di gara per l’appalto dei lavori entro fine anno, in modo da poter avviare il cantiere a metà 2012 e trasferire i detenuti della casa circondariale di via Dante entro il 2014. La nuova struttura, Iva compresa, costerà circa ottanta milioni di euro, finanziati grazie all’Accordo di Milano. Si prevede una struttura per 200 carcerati, 20 detenuti semiliberi, 150 posti in caserma per gli agenti penitenziari e 20-22 alloggi di servizio. Una volta dismesso, il carcere austro-ungarico del 1843, oggi in condizioni di degrado e forte sovraffollamento, passerà infine alla Provincia. Verrà ridestinato - questo il sogno di Durnwalder - “a scopi culturali, universitari o museali”. Il ministero della Giustizia, con un comunicato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale numero 132 di giugno, ha annunciato la realizzazione di un nuovo istituto penitenziario a Bolzano. Il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, nella sua qualità di commissario delegato per l’emergenza carceri sul territorio nazionale, ha emesso il decreto numero 456, con il quale si affida la gestione dell’appalto per la costruzione alla Provincia, nella persona del presidente Luis Durnwalder. L’ordinanza del Commissario delegato è ora pubblicata integralmente sul sito web della Rete civica altoatesina. Il terreno interessato, un frutteto, si trova a Bolzano Sud. Confina a ovest con via Francesco Baracca, a nord con un’area già destinata a espansione della zona produttiva, a sud con la caserma dell’Altair e a est con l’aeroporto civile. Si tratta di tre particelle fondiarie rispettivamente di 6.748, 673 e 34.750 metri quadri. In totale 42.171 metri quadrati: oltre quattro ettari oggi coltivati a meleto. Nelle scorse settimane il consiglio comunale ha espresso parere favorevole alla variante d’ufficio provinciale al Puc, che prevede la ridestinazione d’uso da verde agricolo a zona per attrezzature collettive sovracomunali. “La mia intenzione - dichiara il presidente Durnwalder - è di indire il bando entro l’anno. Attualmente stiamo cercando di capire se sia meglio espropriare subito e poi fare il bando, oppure incaricare direttamente chi costruirà di occuparsi anche dell’acquisto dei terreni”. L’intenzione è di iniziare i lavori nel 2012. “Dureranno due anni e mezzo; riusciremo a finire entro il 2014”. I terreni appartengono alla Rauch Bau di Nalles, come precisa il titolare dell’azienda, Karl Rauch, che dà per scontato l’esproprio a breve da parte della Provincia. “Sono nostri nel senso che abbiamo in mano un preliminare di vendita. Ora la Provincia esproprierà il terreno per poi bandire la gara d’appalto. Ovviamente parteciperemo, anche se non si può dire con certezza che vinceremo. Abbiamo lavorato al progetto del nuovo carcere per cinque anni, ottenendo a Roma tutte le autorizzazioni necessarie, da parte del ministero della giustizia e del dipartimento carcerario”. Rauch Bau, infatti, nel 2006 aveva proposto alla Provincia una Public private partnership, mettendo a disposizione terreno e progetto, elaborato dall’ingegnere meranese Siegfried Unterberger. “Oltre che a Bolzano - spiega il progettista - a Roma il terreno è stato infine ritenuto idoneo proprio in funzione del nostro progetto, che rispettava tutti i severi parametri richiesti per questo tipo di opere carcerarie. Non so però se il nostro progetto potrà essere realizzato, perché proprio a inizio giugno è cambiato il codice dei Lavori pubblici e l’iter Ppp, così come era stato pensato nel 2006, non è più possibile. Ora la Provincia dovrà necessariamente prima espropriare i terreni e poi indire il bando di gara”. Se la Provincia puntasse, come logica vorrebbe, al progetto Rauchbau, grazie al quale si è già ottenuta da Roma la idoneità del terreno prescelto, i costi del nuovo carcere sarebbero di 80 milioni. Come precisa l’ingegner Unterberger, “i costi di costruzione assommano a 33 milioni, più 8 di impianti esterni e 4,5 di arredi. A questi vanno aggiunti l’Iva, la progettazione e il costo dei terreni. Una stima plausibile, considerando il prezzo pagato di recente per gli espropri nella nuova zona di espansione a sud di via Einstein, si attesta attorno ai 325 euro a metro quadro”. Facendo il conto, il terreno dovrebbe costare sui 13,7 milioni di euro. “In totale, Iva compresa, si arriverà agli 80 milioni di euro”. Intanto, sono stati fugati anche i dubbi riguardo alla supposta incompatibilità dell’opera rispetto al piano di rischio dell’aeroporto. L’assessore provinciale alla mobilità, Thomas Widmann, rispondendo a una interrogazione dei Verdi scrive: “L’Enac ha dichiarato congelato il piano di rischio a nord dell’aeroporto. Perciò le zone di rischio non subiranno cambiamenti. Con ciò risulta evidente che l’area destinata al futuro carcere rimarrà esclusa per la massima parte dalle zone di rischio, consentendo quindi la realizzazione dell’opera”. Il presidente: un polo culturale Oggi, nelle 33 celle da 8 a 24 metri quadri della casa circondariale di via Dante sono ospitati in media fra i 150 e i 160 detenuti. Troppi. La struttura, concepita per altri tempi e altri detenuti, priva di spazio, priva di verde, secondo una concezione militaristica della detenzione, è considerata oggi del tutto inadeguata. Una volta trasferiti i detenuti a Bolzano Sud, l’edificio austro-ungarico passerà alla Provincia. “In giunta non abbiamo ancora approfondito per bene l’argomento. C’è chi vorrebbe farci degli alloggi, ma per quanto mi riguarda preferirei altro. In quella zona ci sono Lub, Museion, Auditorium. Mi piacerebbe realizzare un polo della cultura, una struttura universitaria o museale. Davanti c’è quel bel verde del Talvera”. Ivrea (To): lavoro e cultura in carcere, anche “l’isola che non c’è” può essere raggiunta… La Sentinella, 26 giugno 2011 “Scatenata 2011”, rassegna di opere dei laboratori di falegnameria e ortofloricultura gestiti dai detenuti, ha suscitato molti commenti positivi. L’inizitiva, in sala Santa Marta, è stata promossa anche grazi e all’impegno dell’associazione volontari penitenziari “Tino Beiletti” e il gruppo carcere della San Vincenzo dè Paoli. Giuliana Bertola è il presidente del gruppo. “Siamo 19 - osserva - e abbiamo varie attività: il giornale, i colloqui, i laboratori. Bisogna essere capaci di non giudicare, di sapersi rapportare con gli altri: proprio come Tino Beiletti, che 30 anni fa ha ispirato a Ivrea il volontariato all’interno del carcere. Una persona che univa il gruppo, accoglieva tutti, risolveva i problemi, non si scoraggiava mai”. IVREA Una commedia musicale che vuole accarezzare il cuore degli spettatori. E dodici detenuti della casa circondariale di Ivrea sono riusciti in questo intento e a commuovere gli invitati ad assistere a “Sognando l’isola che non c’è”, atto unico, in dieci scene, proposto nel salone polivalente del carcere. C’è un sogno: quello di essere liberi. C’è un porto: quello di Napoli per il viaggio verso una meta che sempre è la libertà. Ma uno del gruppo degli ex detenuti incontra la tentazione, con Mefisto che promette denaro facile in cambio di una successiva azione illegale. L’ex detenuto ci sta, coinvolge gli altri nel viaggio, durante il quale ognuno si distingue per le singole capacità, quelle stesse di cui hanno dimostrato di essere dotate le persone e che forse potevano salvarli proprio dall’incontro del male, che alla fine della commedia in musica/farsa drammatica trionfa ma i coinvolti nel viaggio sogno si risvegliano, purtroppo, nella loro cella. Gli attori hanno potuto vivere un’esperienza importante. La loro recitazione, curata in ogni singola parte, le canzoni cantate hanno toccato il cuore dei presenti, dalla direttrice della casa circondariale Maria Isabella De Gennaro, dal magistrato di sorveglianza, Sandra Del Piccolo, al sindaco di Burolo, Roberto Cominetto, all’assessore alle Politiche Sociali, Paolo Dallan. “Lo spettacolo si inserisce in quelle attività, essenziali, che servono per avvicinare il mondo esterno a quello carcerario - afferma Dallan. Lo spettacolo è stato divertente. I detenuti hanno avuto non poche difficoltà a portare avanti il lavoro perché alcuni che lo avevano intrapreso sono stati trasferiti altrove o sono usciti per aver terminato di scontare la pena e di conseguenza si è dovuto sostituirli con altri, alcuni dei quali hanno imparato la parte in fretta ma davvero bene, visti i risultati. Mi auguro che iniziative di tal genere possano intensificarsi in un futuro prossimo”. Il copione di “Sognando l’isola che non c’è” è stato scritto da un detenuto e quindi si è costituita la compagnia teatrale “I bimbi sperduti”, formata appunto da altri detenuti e da alcuni volontari, che molto hanno contribuito alla riuscita dello spettacolo. Questi sono Enzo, Giovanni, Eduard, Carmelo, Iulian, Dimitriu, Alfredo, Enzo, Raffaele, Elena, Franco, Franca, Paolo, Solutore, allievi del secondo piano del carcere e docenti del Ctp. Per la realizzazione di questa iniziativa si è distinta la Polizia penitenziaria che, nonostante le difficoltà di controllare un carcere sovraffollato, ha accantonato problemi e disagi per accogliere al meglio gli invitati allo spettacolo e per garantire che tutto avvenisse nel migliore dei modi. Soddisfatta la direttrice De Gennaro che si è divertita e più volte ha applaudito i detenuti che sono tornati in cella, forti di un insegnamento: è possibile ricominciare da capo, partendo dalle potenzialità e capacità che ciascuno ha in sé ma che a volte non si riesce ad utilizzare soprattutto per combattere quel disagio, dal quale ci si lascia avvolgere e trascinare verso la china. Ma tornare sui propri passi è possibile e di certo i volontari e i docenti degli allievi del II piano hanno voluto dimostrare sia ai detenuti, ai loro familiari e alle persone esterne al carcere che la giusta via è sempre aperta. Per tutti. Milano: l’asilo nido del carcere di Opera apre ai bimbi del quartiere La Repubblica, 26 giugno 2011 Una piscina gonfiabile bianca e azzurra e un prato all’inglese. Un’altalena e uno scivolo di plastica gialli e rossi. E i bambini che giocano, saltano, si spruzzano con l’acqua sotto il sole che picchia. Sullo sfondo, le grate. Succede a Opera, nel carcere più grande d’Italia - 1.400 detenuti, la maggior parte con condanna definitiva - dove da settembre partirà un nido aziendale. Un servizio destinato ai figli degli agenti penitenziari, ma non solo: le iscrizioni sono aperte anche ai bambini “esterni”. I cui genitori, pur non lavorando all’interno della casa penitenziaria, abitano a Opera o in uno dei comuni della zona Sud. Al momento, la struttura ospita un centro estivo, frequentato da 15 bambini. Dodici sono figli di guardie carcerarie, tre sono “esterni”. Dall’autunno la casetta dalle pareti gialle e blu, con grandi finestre e orme colorate disegnate sul pavimento, con tavoli e sedie a misura dei più piccoli, sarà un nido aziendale a tutti gli effetti. “Perché proprio un’azienda, che funziona meglio se i dipendenti sono sereni, deve essere considerato il carcere”, dice il direttore della casa circondariale, Giacinto Siciliano. Gli agenti penitenziari che lavorano a Opera sono circa 700. “E la maggior parte - precisa il commissario Amerigo Fusco - non è lombarda, ma arriva da altre regioni. La lontananza da nonni e parenti è una difficoltà in più se si ha un bimbo piccolo: il nido aziendale per noi è una necessità”. La struttura è stata realizzata con i finanziamenti di Palazzo Isimbardi, 130mila euro stanziati dal 2009 a oggi, e di Regione Lombardia (64mila euro). “Una scelta - spiegano il presidente della Provincia Guido Podestà e l’assessore regionale Giulio Boscagli - fatta perché anche tra le mura del carcere c’è un “pezzo di mondo” da valorizzare”. L’asilo non sarà solo destinato a figli dei dipendenti del carcere, ma anche a disposizione delle famiglie della zona. “Permettere l’iscrizione anche ai bimbi di chi non lavora qui - spiega il provveditore regionale Luigi Pagano - è un modo per aprire la casa circondariale al territorio. Perché la detenzione è una chance per il detenuto, ma anche un percorso positivo per la società tutta”. Il nido ospiterà tra i 30 e i 35 bambini, dai tre mesi ai tre anni. E durante le vacanze di Natale e Pasqua riprenderà l’attività di centro invernale. Proprio come quella estiva, in programma fino alla prima settimana di agosto. Torino: 1.500 detenuti in 1.000 posti… serve una “boccata d’aria” dietro le sbarre La Stampa, 26 giugno 2011 Se il livello di qualità della vita raggiunto da una città si dovesse valutare dalle condizioni dei suoi cittadini in soggiorno coatto nelle carceri, Torino non eccellerebbe di certo. Nel supercarcere delle Vallette il sovrappopolamento ha già mostrato degli effetti allarmanti: cinque episodi tra suicidi (tre) e tentati suicidi nell’ultimo mese. Con 1.560 detenuti ospitati su una capienza massima che sarebbe di soli 1.023, la struttura penitenziaria torinese è afflitta da un male comune agli altri istituti di pena italiani, strapieni fino all’inverosimile, a corto di personale e di risorse. Ciò porta a condizioni di vita ai limiti della disumanità che sempre più spesso si concludono tragicamente. In quei casi, solo poche, scarne, righe d’agenzia riportano la notizia, come lo scorso 16 giugno quando un detenuto egiziano è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Maria Vittoria di Torino, dopo aver provato a uccidersi impiccandosi con un lenzuolo. L’intervento tempestivo del personale del carcere è riuscito a salvargli la vita. Soltanto pochi giorni prima, per altre tre persone non c’è stato invece nulla da fare. È il caso di A. G., che all’inizio di giugno ha atteso che il compagno di cella uscisse per l’ora d’aria per infilare la testa in un sacchetto di plastica e morire soffocato. A maggio si era suicidato V. L. e appena una settimana prima un altro detenuto era morto impiccato. “È una strage continua - ha commentato Leo Beneduci, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Osapp - e la polizia penitenziaria è sempre più abbandonata al destino di prendere atto del disastro delle carceri italiane”. Per l’Osapp l’unica soluzione sarebbe aumentare l’organico con un provvedimento straordinario che permetta l’assunzione di altro personale. Un provvedimento già più volte promesso dal Guardasigilli Alfano e mai concretamente realizzato. A Torino in particolare il personale di polizia penitenziaria è composto da 600 agenti, 300 unità in meno del numero minimo richiesto dai sindacati. Troppo spesso questa penuria di personale si traduce nell’impossibilità di un’assistenza adeguata, delegata implicitamente ai cosiddetti “concellini”, i compagni di cella, che non di rado hanno impedito il compiersi di gesti estremi. L’allarme lanciato dai sindacati sembra confermato anche dai dati nazionali sulle morti in carcere: secondo l’associazione Ristretti Orizzonti, che da anni si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche della pena e del carcere, negli ultimi undici anni sono morti per suicidi, assistenza sanitaria carente, overdose e cause non chiare oltre 1800 detenuti. Eppure per quanto riguarda il capoluogo piemontese una buona notizia c’è. Torino avrà presto una nuova struttura carceraria, nuovi spazi per permettere ai detenuti condizioni di vita più dignitose. Il nuovo penitenziario sorgerà sempre nel quartiere Vallette, al confine con il comune di Venaria e dovrebbe garantire altri seicento posti. Una boccata d’aria dietro le sbarre. Novara: protesta agenti polizia penitenziaria Adnkronos, 26 giugno 2011 Protesta a oltranza degli agenti di Polizia penitenziaria del carcere di Novara aderenti a Sinappe, Ugl e Osapp, che si sono autoconsegnati. Gli agenti protestano contro le condizioni di lavoro nel penitenziario e i sindacati contestano i vertici dell’istituto “per le pessime condizioni delle relazioni sindacali - dicono - e la cattiva gestione delle risorse umane”. “La protesta andrà a oltranza” dicono le tre sigle sindacali chiedendo un immediato intervento del provveditore regionale e del dipartimento di amministrazione penitenziaria e la sostituzione dei vertici dell’istituto novarese. Firenze: i Radicali manifestano all’esterno di Sollicciano per chiedere un’amnistia Notizie Radicali, 26 giugno 2011 I Radicali fiorentini hanno manifestato all’esterno del carcere di Sollicciano per chiedere al Governo ed ai due rami del Parlamento un’immediata amnistia per la Repubblica. Le carceri italiane sopravvivono in un patente stato di illegalità: fabbriche del dolore dove quotidianamente vengono violati i diritti umani più elementari; i detenuti vengono stipati in massa all’interno di edifici fatiscenti e, nella maggior parte dei casi, il loro spazio vitale è ridotto a 2 mq, una condizione difficile che è frutto delle leggi criminogene legiferate negli ultimi anni (ad esempio la legge Bossi-Fini o la legge Fini-Giovanardi). Un sit-in atto anche a sostenere l’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella che dal 20 aprile scorso sta conducendo uno sciopero della fame e che da ieri, grazie all’interessamento del Presidente Giorgio Napolitano, ha concluso uno sciopero della sete durato quattro giorni, proprio per portare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo enorme problema. Una battaglia che potrebbe ispirare il Governo regionale toscano ad uscire dal torpore inerziale di cui è affetto dal 2009, anno in cui venne deliberata l’istituzione del garante regionale dei detenuti: una figura che, vista l’esperienza nelle altre regioni, potrebbe migliorare di gran lunga la condizione dei carcerati, però, ad oggi, il garante non ha né un nome, né un volto, né una voce. Spoleto (Pg): carcere di Maiano al collasso, Radicali chiedono “potere ispettivo anche ai sindaci” Notizie Radicali, 26 giugno 2011 “L’emergenza in cui sta sprofondando il carcere di massima sicurezza di Maiano di Spoleto altro non è che lo specchio di una realtà comune a tante, se non a tutte le carceri italiane. Le cui condizioni, in molti casi a dir poco disumane, sono il motivo dell’iniziativa nonviolenta che il leader Radicale Marco Pannella sta portando avanti dal 20 di aprile “perché l’Italia torni a essere considerata in una qualche misura una forma di democrazia”“. Così in una dichiarazione Irene Testa, segretaria dell’associazione Radicale Detenuto Ignoto e Liliana Chiaramello, segretaria di RadicaliPerugia.org, commentano la situazione sempre più al limite della tollerabilità del carcere umbro. Serve l’amnistia “Da Radicali - proseguono - crediamo in una necessaria e urgente amnistia per affrontare la crisi della giustizia e il sovraffollamento delle carceri in cui i reclusi sono sottoposti a torture quotidiane; crediamo che l’assenza di informazione e confronto democratico su questa, come anche su altre vicende, sia la causa principale di vuoti legislativi e mancate scelte politiche. Al momento 15 mila circa sono i cittadini, tra detenuti e loro familiari, che si sono uniti alla battaglia di Marco Pannella. Insieme a loro, ricordiamo le 52 detenute del carcere di Capanne a Perugia”. Lo sciopero della fame di Pannella Da settimane poi è in corso l’ennesima iniziativa nonviolenta di Pannella per scuotere il Paese sulle condizioni delle carceri italiane. “Finora - continuano Testa e Chiaramello - circa trecento sono coloro che hanno aderito all’appello che sostiene l’iniziativa nonviolenta del leader Radicale e che pone l’accento sulle “urgenze della Repubblica e della società tutta”. Urgenze riconosciute come tali dallo stesso presidente Napolitano che in una lettera inviata ieri a Marco Pannella scrive testualmente: “Le tue più recenti battaglie perché siano affrontate con forza le questioni del sovraffollamento delle carceri, della condizione dei detenuti e di una giustizia amministrata con scrupolosa attenzione per tutti i valori in giuoco, con serenità e sobrietà di comportamenti, mi trovano particolarmente sensibile. Posso assicurarti che continuerò - come ho più volte fatto nel corso del mio mandato - a richiamare, e ne sento più che mai oggi l’urgenza, su tali questioni l’attenzione di tutti i soggetti istituzionali responsabili sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative”“. Bene l’iniziativa di Patrizia Cristofori “Sosteniamo dunque pienamente - concludono le due esponenti radicali - l’iniziativa del presidente del Consiglio comunale di Spoleto Patrizia Cristofori che, proprio sulla questione del carcere di Spoleto e anche in virtù dello stato di agitazione indetto nelle ultime ore dalle rappresentanze sindacali per denunciare il sovraffollamento dei detenuti e la mancanza di un numero adeguato di agenti, ha convocato per martedì 28 giugno la conferenza dei capigruppo. Nel contempo suggeriamo a presidente e capigruppo di approvare un ordine del giorno su amnistia e magari di aderire all’appello di cui sopra, tenendo anche presente che è stata finalmente calendarizzata una nostra proposta di legge, a prima firma dell’onorevole Rita Bernardini, per estendere il potere di sindacato ispettivo nelle carceri, oltre che a deputati e consiglieri comunali, anche a sindaci e presidenti di provincia dove sono ubicate le carceri”. Arezzo: Idv; l’eventuale chiusura del carcere penalizzerebbe fortemente il nostro territorio www.informarezzo.com, 26 giugno 2011 Presentata una mozione in Consiglio Regionale, a firma del Vicecapogruppo Idv Marco Manneschi, in merito “alla situazione della Casa Circondariale di Arezzo e alla sospensione di tutte le attività penitenziarie ed amministrative dell’istituto”. “Giù le mani dal carcere di Arezzo - commenta Manneschi - l’eventuale chiusura o la sospensione a tempo indeterminato dell’istituto rappresenterebbe una grave perdita per il nostro territorio e graverebbe pesantemente sulla già disastrata situazione del sistema carcerario toscano, che vede 4.358 detenuti a fronte di una ricettività massima pari a 3.186.” “Sulla questione aretina - continua Manneschi - occorre fare chiarezza: l’istituto - interessato dal mese di luglio del 2010 da lavori di ristrutturazione - è rimasto - sino ai primi di giugno - in funzione solamente per una piccola sezione denominata “accettazione” e il personale, mantenuto in sede, è stato impegnato soprattutto per integrare provvisoriamente il locale Nucleo Traduzioni e Piantonamenti e sopperire alle esigenze dei NN.TT.PP. della Regione Toscana, con un impegno giornaliero anche di 10 ore di lavoro consecutive”. “Il 4 aprile di quest’anno - prosegue il Vicecapogruppo - il Capo del Dipartimento ha disposto, inspiegabilmente, la soppressione di tutte le attività penitenziarie ed amministrative della Casa Circondariale di Arezzo, adducendo come motivazione l’esigenza di dover realizzare interventi anche all’interno delle sezioni detentive. Per tale ristrutturazione dei lavori interni non si è ancora a conoscenza di progetti finanziati né tanto meno appaltati e i lavori potrebbero essere svolti a stati di avanzamento, senza chiudere temporaneamente l’istituto e senza penalizzare il personale”. “Una decisione di questo genere colpisce fortemente il territorio aretino - commenta Manneschi - viene meno il rispetto del principio di territorialità della detenzione e della pena, con oneri di tempo e spese per i familiari di chi viene arrestato e con gravi disagi di carattere psicologico per i detenuti. Effetti devastanti anche per l’ordine pubblico: gli agenti delle Forze dell’Ordine impegnati nel trasporto degli arrestati fuori provincia, infatti, potranno dedicare minor tempo e risorse all’azione di prevenzione e controllo sul territorio aretino”. “Servono risposte chiare e precise - conclude Manneschi - sul futuro lavorativo del personale amministrativo e di vigilanza dell’Istituto, sui tempi e le modalità di chiusura del carcere; con questa mozione chiediamo alla Giunta di attivarsi presso il Governo italiano affinché quest’ultimo assuma tempestivamente iniziative per scongiurare l’imminente chiusura dell’Istituto aretino ed evitare il collasso dell’intero sistema carcerario toscano.” San Gimignano (Si): agente aggredito, detenuto gli getta addosso olio bollente Ansa, 26 giugno 2011 Un assistente capo di Polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto che gli ha gettato addosso dell’olio bollente. Il fatto è avvenuto al carcere di San Gimignano e la vittima ha riportato ustioni di primo grado con una prognosi di 15 giorni. Na dà notizia in una nota il sindacato Fp-Cgil di Siena. “Quello che è accaduto - spiega il sindacato - è l’ennesimo segnale di una situazione più volte denunciata che da troppo tempo è ingestibile. L’istituto soffre di un sovraffollamento. A fronte di una capienza di 220 detenuti, ad oggi ne ospita 420. La carenza di personale, più volte denunciata continua a essere di oltre il 40%. A fronte di una pianta organica di 233 unità sono solo 135 i lavoratori presenti”. A seguito della situazione la Fp-Cgil ha proclamato, insieme alle altre OO.SS., lo stato di agitazione ed un sit-in di protesta che si terrà in data 30 giugno dalle ore 9:00 alle 15:00 nel piazzale Martiri Montemaggio di San Gimignano, iniziativa per sensibilizzare l’Amministrazione Penitenziaria e le istituzioni politiche affinché vengano definitivamente risolti i problemi che affliggono il penitenziario di San Gimignano. Pisa: due giorni di studio su “Il carcere in-formazione, esperienze a confronto” Asca, 26 giugno 2011 Si terrà lunedì 27 e martedì 28 giugno 2011, alla facoltà pisana di Scienze politiche, la due giorni di studio sui temi della detenzione e delle esperienze che ruotano attorno al pianeta carcere, con particolare attenzione ai processi della formazione, organizzata dal dipartimento di Scienze politiche e sociali e dal dottorato di ricerca in Storia e sociologia della modernità dell’Università di Pisa, e dal Polo penitenziario carcerario “Renzo Corticelli”. L’emergenza carcere ha raggiunto ormai anche il nostro Paese: sovraffollamento, suicidi, massiccia presenza di detenuti immigrati, riduzione delle misure alternative, diminuzione della spesa sociale sono soltanto alcuni dei segnali di un mutamento più ampio che coinvolge tutto l’approccio alle politiche detentive, che dall’obiettivo primario della risocializzazione si orientano sempre più verso l’applicazione di dinamiche repressive e verso un aumento conseguente del peso dello stato penale. Una tale situazione richiede una riflessione, un momento di dialogo collettivo che faccia luce sulle pratiche oggi in auge nei sistemi di reclusione - le quali prescindono sempre più dalla garanzia dei diritti costituzionali anche dei detenuti - e soprattutto sugli effetti che tali pratiche comportano per i detenuti stessi. Il convegno “Il carcere in-formazione: esperienze a confronto” vuole essere un primo tentativo in questa direzione e un appuntamento di “raccolta” delle esperienze maturate negli anni da chi, a livello accademico e sociale, si adopera nel campo della formazione. >> Per questo motivo operatori penitenziari (tra gli altri, Maria Pia Giuffrida, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria; Vittorio Cerri, direttore della Casa circondariale “Don Bosco”; Andrea Callaioli, garante per i diritti del detenuto del “Don Bosco”), docenti (Il rettore Mario Augello, la protettrice per il Territorio, Maria Antonella Galanti, il delegato del rettore per il Polo universitario penitenziario, Andrea Borghini, il preside della facoltà di Scienze politiche, Claudio Palazzolo), studiosi delle Università di Pisa, Firenze, Siena, Napoli e Salerno, esperti dell’associazionismo (Cesvot, Associazioni Volontariato Penitenziario Firenze, Controluce Pisa, Antigone Firenze, Arci Libera) e gli stessi studenti-detenuti si incontrano e si confrontano, a partire dalle realtà presenti e attive al Polo universitario di Pisa, per individuare prospettive future, arricchire i progetti comuni, garantire il rispetto della persona e dei suoi diritti costituzionali. Il carcere, allora, non può più essere inteso come il contenitore degli “incorreggibili”, ma come uno strumento attivo di civiltà e di miglioramento della società tutta. Potenza: giocatori di pallacanestro e detenuti, insieme per abbattere i pregiudizi Ristretti Orizzonti, 26 giugno 2011 Martedì 28 giugno, presso la Casa circondariale di Potenza, alcuni giocatori di pallacanestro lucani - tra questi, Gianluca Maccariello e Simone Ginefra - disputeranno, insieme a un gruppo di detenuti del carcere di Potenza, una partita all’insegna della solidarietà, dell’integrazione e dell’inclusione sociale. Il fischio d’inizio è previsto alle ore 10,15. L’iniziativa, promossa dal Comitato regionale Aics Basilicata, vedrà la presenza del Presidente della Provincia di Potenza Piero Lacorazza e del sindaco del capoluogo lucano Vito Santarsiero. La partita, è l’occasione per inaugurare i canestri donati dal Comitato Aics Basilicata all’istituto. Questi, insieme alle cyclette, date in donazione sempre dall’Aics Basilicata in precedenza, contribuiscono allo svolgimento di tutta una serie di attività motorie da parte dei detenuti, di fondamentale importanza vista la ristrettezza degli spazi. Venezuela: 600 detenuti in rivolta a Caracas, 70 morti di Piero Armenti www.lettera43.it, 26 giugno 2011 Lo hanno chiamato il “Vietnam” delle carceri in Venezuela. O anche “la terza guerra mondiale”. Non un semplice regolamento di conti, ma una vera e propria battaglia tra bande, che si è trasformata subito in una protesta di inaudita violenza per le condizioni dei detenuti. “Roba così non si era mai vista, tranne che durante i colpi di Stato degli Anni ‘90”, hanno scritto increduli i quotidiani venezuelani. Seicento reclusi, su un totale di 2.800, si sono inseguiti a fucilate per ben due ore nel carcere Rodeo I, nei pressi di Caracas. Chi era disarmato si è nascosto: sotto il letto, dietro una parete, nei bagni, mentre alcuni familiari in visita sono rimasti intrappolati nelle strutture. Le guardie penitenziarie non ci hanno pensato due volte, e hanno lasciato che i carcerati si scannassero senza battere ciglio: sono rientrati solo a spari conclusi, per portare via i cadaveri (almeno 30). Nel frattempo i sopravvissuti avvisavano col cellulare (che in cella è vietato, ma ce l’hanno tutti) i parenti delle vittime, allarmati dalle televisioni e riuniti all’esterno del penitenziario. Ma sono proprio le guardie penitenziarie a essere sotto accusa. Aura Gonzales, che ha perso il figlio, ha fatto un appello in tivù: “Voglio una risposta dal governo, che ci fanno pistole e cocaina nelle carceri, come entrano?”. Tutti lo sanno. Basta corrompere i secondini e il gioco è fatto. Il ministro degli Interni Tareck El Aissami ha prima promesso una task force a favore dei reclusi per migliorarne le condizioni di vita, poi ha usato le maniere forti per liberare il centro di detenzione. Il 17 giugno 5 mila uomini della Guardia nazionale, armati fino ai denti, sono entrati nel carcere e hanno sedato i rivoltosi. Poi hanno sequestrato armi, droghe e cellulari. Un’operazione colossale, definita “la terza guerra mondiale” dal generale Luis Motta alla guida delle operazioni. Il Rodeo I ora è sotto controllo, ma la protesta continua nel Rodeo II, sotto la guida di due boss criminali: Yorvis López, detto ‘Orientè, e Yoifre Ruiz. Il primo è indagato anche per il sequestro e l’omicidio di un italovenezuelano, Gian Carlo Colasante, rapito a Guarenas il 27 ottobre 2010. Il numero delle vittime è incerto, e non si saprà fino a quando non verrà liberato anche il Rodeo II, ma le stime più attendibili parlano di 70 morti. Le richieste dei detenuti sono confuse, ma riflettono l’anarchia e la disumanità dei centri di detenzione. Il potere all’interno si misura tra diverse bande, anche in base al numero di armi: la bomba a mano è in cima ai desiderata. “È utile quando ti seguono, la butti e poi scappi via”, ha detto un detenuto. “Per ogni prigioniero”, ha denunciato Humberto Prado dell’Osservatorio sulle carceri, “ci sono almeno due armi da fuoco”. L’attività principale all’interno della struttura è proprio il traffico di pistole e di cocaina, gestito dai boss che hanno anche il compito di far rispettare il codice criminale interno, la cui prima regola è “chi ruba verrà colpito a una mano”. Non morire è un’impresa. I numeri parlano chiaro e la situazione è esplosiva: 300% di sovraffollamento, con punte del 380% proprio presso il Rodeo I e II. Mentre il numero di morti per anno (1,3 morti al giorno in media) è superiore in termini assoluti a quello del Brasile, nonostante il Venezuela sia sette volte meno popoloso. Nel Paese di Chávez ci sono anche 80 detenuti italiani, la maggior parte di loro finita dentro per traffico di stupefacenti. Raggiunto al telefono da Lettera43.it, il console generale di Caracas Giovanni Davoli ha confermato che i connazionali stanno tutti bene. “Presso il carcere Rodeo I”, ha sottolineato Davoli, “c’erano solo quattro italiani, arrestati per narcotraffico. Ora sono altrove e stanno bene. Nel Rodeo II, invece, non risulta ci siano connazionali”. Israele: stretta sulle condizioni dei detenuti palestinesi di Emma Mancini www.pane-rose.it, 26 giugno 2011 A 5 anni dalla cattura del soldato Gilat Shalit, il premier Netanyahu annuncia l’inasprimento delle misure detentive per i palestinesi. Si inizia con il divieto di studiare Le condizioni di vita dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliani peggioreranno. Parola di Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano ha annunciato un’ulteriore stretta del già disumano trattamento dei detenuti palestinesi con l’obiettivo di costringere Hamas a liberare il soldato Gilad Shalit, prigioniero a Gaza dal 2006. Il premier non ha fornito indicazioni in merito, evitando di dire quali saranno le nuove misure detentive. Di sicuro quello che il governo di Tel Aviv imporrà nelle carceri israeliane sarà il divieto di studiare. Un “privilegio”, come è stato definito dalle autorità, quello di poter accedere all’istruzione. E se per la legge internazionale si tratta di un diritto e non certo di un mero privilegio, Netanyahu giustifica la decisione con la solita eccezionalità israeliana: la sicurezza prima di tutto, Israele è nato ed è tuttora fondato su uno stato continuo di emergenza. “Pur prestando attenzione alla legge internazionale e ai trattati sottoscritti - ha detto il premier israeliano, ripreso dall’agenzia italiana Infopal - all’attuale stato dei fatti, Israele può ritenersi esonerato da certe logiche”. Parlando giovedì scorso alla Conferenza Presidenziale a Gerusalemme, ha continuato: “Ho detto basta all’assurda procedura per cui terroristi detenuti nelle carceri israeliane per aver ucciso degli innocenti possano accedere agli studi universitari. Non ci saranno lauree specialistiche in omicidio o dottorati in terrorismo”. Una dichiarazione che ha aperto la strada all’inasprimento di condizioni di vita già pessime. A marzo del 2009, una commissione parlamentare israeliana aveva redatto un elenco di divieti espressamente diretti ai prigionieri politici di Hamas: ulteriore limitazione delle già scarse visite familiari e impossibilità di avere contatti fisici con mogli e figli, divieto di accedere a televisione, radio e quotidiani, divieto ad incontrare il proprio legale. Secondo la ICRC (International Committee of the Red Cross), dal 2007 ad oggi sono oltre 700 le famiglie di Gaza ha cui è stato impedito di incontrare parenti detenuti in Israele. Mentre dai dati forniti dall’Autorità Palestinese si evince che sono 6mila i palestinesi prigionieri nelle carceri israeliani, di cui 219 in detenzione amministrativa, senza alcuna accusa formale. Non si è fatta attendere la risposta di Hamas, che ha accusato Tel Aviv di dare i prigionieri palestinesi in pasto alla propria opinione pubblica: “La decisione del governo di occupazione - ha detto il portavoce del gruppo islamista, Sami Abu Zurhi, riportato da Infopal - è una reazione alla propria incapacità di accedere a informazioni sul caporale rapito dalla resistenza palestinese nel 2006, Gilad Shalit”. “Le ultime misure punitive contro i prigionieri palestinesi - ha proseguito - sono una mossa per oscurare il fallimento israeliano nel raggiungere un accordo per lo scambio dei detenuti”. Oggi, 25 giugno, è il quinto anniversario dalla cattura da parte di Hamas del caporale Shalit. Il soldato, all’epoca diciannovenne, fu fatto prigioniero a Sud di Israele, al confine con la Striscia di Gaza dove si pensa sia detenuto ancora oggi. Da giorni sul partito islamico palestinese piovono richieste di liberazione da parte di istituzioni, Stati e associazioni. A partire dall’Unione Europea fino agli Stati Uniti, tutti chiedono ad Hamas di porre fine alla lunga prigionia. Ieri è giunto anche un comunicato congiunto di organizzazioni per i diritti umani israeliane, palestinesi ed internazionali. La dichiarazione, firmata dall’israeliana B’Tselem, dalla gazana Palestinian Center for Human Rights, da Amnesty International, Human Rights Watch e altre otto associazioni, è stata redatta in inglese, arabo ed ebraico e chiede la liberazione immediata di Shalit: “Le persone che lo tengono prigioniero non gli permettono di comunicare con la famiglia, né forniscono informazioni sulle sue condizioni. Tale condotta è disumana e viola il diritto umanitario internazionale. Le autorità di Hamas dovrebbero permettere alla Croce Rossa di incontrarlo”. Lo stesso Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalla sede centrale di Ginevra, ha fatto appello ai militanti di Hamas perché dimostrino che Shalit è ancora in vita (l’ultimo messaggio video del caporale risale a settembre del 2009), richiesta che è rimasta lettera morta. “La Croce Rossa - ha detto il portavoce di Hamas, Abu Zuhri, all’agenzia Reuters - non dovrebbe farsi coinvolgere nel gioco della sicurezza di Israele. Dovrebbe prendere una posizione per porre fine alle sofferenze dei prigionieri palestinesi”. Hamas, insomma, non pare piegarsi alle pressioni internazionali, intenzionata a proseguire sulla via dello scambio di prigionieri. La Croce Rossa, attraverso le parole di Jean Pierre Schaerer, capo della delegazione ICRC in Israele e nei Territori Occupati, ha fatto sapere di essere pronta a facilitare lo scambio di detenuti voluto da Hamas, sottolineando però che “non ci sono reciprocità tra la situazione di Gilad Shalit e quella dei detenuti in Israele. Entrambe le parti hanno degli obblighi, indipendentemente da quello che l’altro sta facendo”. Ma l’annuncio del premier israeliano di inasprire le condizioni di vita dei prigionieri palestinesi pare confermare che una sorta di reciprocità esiste. E Hamas non cede, forte del fatto che le condizioni in cui Shalit è detenuto sono le stesse in cui sono costretti seimila prigionieri palestinesi, condizioni riportate dalla stessa Croce Rossa. L’ICRC continua a chiedere a Israele di facilitare le visite dei familiari ai detenuti provenienti dalla Striscia di Gaza. Alcune famiglie non riescono ad incontrare da decenni mariti, figli e figlie incarcerate durante la Prima Intifada.