Giustizia: la battaglia solitaria di Pannella… quanto sarebbe piaciuta a Voltaire di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 22 giugno 2011 “Ancora Pannella?” si sente dire e sussurrare ogni volta che il leader radicale intraprende uno sciopero della fame e della sete. Ancora Pannella, certo. Troppi scioperi della fame e della sete, forse. Ma se non ne parla lui, chi è che si occupa al suo posto di temi impopolari, di ingiustizie consumate nell’indifferenza, di soprusi subiti nel silenzio? Ancora Pannella, certo. Ma c’è bisogno di morire di sete per considerare inaccettabili carceri disumane che ci mettono al di fuori del mondo civile? Pannella non sta bene. Il rifiuto di mangiare e di bere sta preoccupando seriamente i sanitari. È accaduto altre volte, ma il leader radicale se l’è sempre cavata. Non è buon motivo per sottovalutarne le ragioni. Voltaire sosteneva che il grado di civiltà di una Nazione si misura sullo stato delle sue prigioni. Un Voltaire redivivo, visitando i nostri istituti penitenziari, potrebbe dedurne che il nostro grado di civiltà è davvero bassissimo. Solo che, tranne i Radicali, nessuno ne parla mentre infuria ogni giorno il duello rusticano sulla giustizia. I garantisti dimezzati non hanno a cuore la sorte dei poveracci. I giustizialisti, nella loro ossessione carceraria, nemmeno sono sfiorati dall’obbrobrio di una maggioranza di detenuti in attesa di giudizio costretti a vivere in prigioni infernali. Il punto è questo, non Pannella. Anzi il punto è che solo Pannella, con la radicalità estrema dei suoi gesti, può far sì che se ne parli. Questo è il punto, il punto scandaloso. Di questo, non di altro, bisognerebbe parlare. Poi si può parlare delle esagerazioni sempre più insopportabili e meno sorvegliate del Pannella che, lo notava anche un suo amico come Adriano Sofri sul Foglio, equipara la nostra imperfetta e sgangherata democrazia repubblicana al nazismo e si appunta sul bavero la stella gialla mettendo addirittura sullo stesso piano l’ostracismo televisivo nei confronti dei radicali e la Shoah. E si può parlare anche di un abuso dello strumento dello sciopero della fame e della sete che rischia di diventare una routine, qualcosa di ordinario e prevedibile nella scena della politica italiana, oppure dell’insofferenza sempre più accentuata di Pannella alle critiche che gli vengono dall’esterno ma anche dall’interno del mondo radicale. Ma sono tutti motivi che non giustificano il silenzio con cui l’intero mondo dei media, per distrazione e pigrizia culturale e non certo per oscure cospirazioni, circonda quest’ultima iniziativa di Pannella che sta mettendo in serissimo allarme i medici e chi gli vuole bene. E che non assolvono la politica dei grandi partiti, dal Pdl al Pd, che non dedicano a Pannella se non attenzione blanda e parole rituali. Come se il problema delle carceri non fosse esplosivo, come se non esistesse il fenomeno dei detenuti suicidi, come se il sovraffollamento non fosse una drammatica realtà. Tutti a volersi far perdonare l’indulto di qualche anno fa, uno dei provvedimenti bipartisan più impopolari degli ultimi decenni. E tutti a mettere in un angolo ogni considerazione umana e umanitaria sullo scandalo delle carceri italiane. Ci vuole un rischiosissimo sciopero della fame e della sete per parlarne? Evidentemente sì. Ma allora ogni legittima e ragionevole critica a Pannella non può far dimenticare che troppo spesso i Radicali siano stati gli unici a ingaggiare battaglie di libertà e di giustizia ignorate da tutti gli altri. E che davanti all’ambasciata siriana, mentre a Damasco si compiono massacri inimmaginabili, gli unici a protestare siano sempre loro: i Radicali di Marco Pannella. Poi si può e si deve discutere di tutto e sottoporre Pannella alle critiche sacrosante sui suoi metodi di lotta. Ma intanto un po’ di rispetto. Per lui. E per i carcerati che soffrono una condizione che Voltaire non avrebbe esitato a definire incivile. Giustizia: e questo lo chiamiamo “Stato di diritto”? di Emma Bonino e Rita Bernardini Agenzia Radicale, 22 giugno 2011 I due testi che seguono sono gli interventi di Emma Bonino e Rita Bernardini al Senato e alla Camera dei Deputati. In entrambi gli interventi si solleva la questione dello stato delle carceri, della giustizia, dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella e di altri 15mila cittadini. Intervento di Emma Bonino al Senato Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, ho a disposizione pochissimi minuti e, quindi, affronterò un solo problema, che mi pare lei abbia toccato, signor Presidente del Consiglio, solo marginalmente e che, invece, da Radicali, riteniamo essenziale e, anzi, la questione più grave e non ulteriormente rinviabile dal punto di vista istituzionale e sociale. Mi riferisco alla crisi della giustizia e all’intollerabile situazione delle carceri. Non sono nuove queste nostre sottolineature. Quello che è nuovo è che è forse vero che, da quanto lei ha detto, ne consegue certamente un isolamento politico, ma certo non sociale, se è vero che perlomeno 13.000 cittadini italiani in questi due mesi hanno partecipato alle lotte non violente che, in particolare, Marco Pannella porta avanti da due mesi. E io conosco i sorrisi, e conosco le derisioni. Conosco anche un grande protagonista della non violenza, che ha detto: “Prima ci ignorano, poi ci deridono, poi ci combattono, poi vinciamo”. Forse, speriamo: perché se vinciamo, forse tornerà a rivivere in questo Paese la speranza della sacralità della legge, sacra perché erga omnes, e forse perché tornerà a rivivere il senso dello Stato di diritto, il senso delle istituzioni, il senso dello Stato. Certo, occorre un atto di coraggio e di responsabilità che interrompa una flagrante violenza di Stato. Ho misurato bene le parole, quelle che sto pronunciando. Chi è fuori legge in questo Paese sono lo Stato e le sue istituzioni. E questo non è tollerabile in un regime democratico, perché ne mina alle fondamenta la credibilità verso i cittadini. Allora ritorno su questo punto, perché nel 2005 circa il 30 per cento della popolazione, quindi quasi 10 milioni di famiglie, era in attesa di una decisione giudiziaria, civile o penale. Se non è un problema sociale questo, allora quale lo è? Da allora la situazione è solo peggiorata. I tribunali penali e civili sono oggi soffocati da 11 milioni di processi pendenti, hanno già prodotto in 10 anni 2 milioni di reati prescritti e continuano a produrre, come una catena di montaggio impazzita, sempre meno sentenze e, al ritmo di quasi 200.000 all’anno, sempre più prescrizioni. Lo chiamiamo Stato di diritto, signor Ministro? Quanto alle carceri, il termine sovraffollamento non rende minimamente la proporzione della catastrofe umanitaria che è in atto negli istituti di pena che molti colleghi di tutti gli schieramenti politici hanno visitato con noi e continuano a visitare, con i detenuti ristretti, davvero, 20 ore al giorno, ammucchiati l’uno accanto all’altro, in celle sporche e degradate, che diventano frigoriferi d’inverno e forni d’estate, nella promiscuità più scriteriata: ci sono detenuti condannati ed in attesa di giudizio, colpevoli in via definitiva ed innocenti fino a prova contraria, prossimi al fine pena o quelli con il fine pena mai. C’è chi è malato e non si può curare, c’è chi è straniero e non viene considerato, chi non ce la fa più e si toglie la vita. Signor Presidente del Consiglio, signor Ministro, negli ultimi dieci anni nelle carceri italiane si sono suicidati 650 detenuti. A morire in più non sono solo i detenuti: nello stesso periodo si sono tolti la vita anche 87 agenti di polizia penitenziaria. Veda, tutto questo è possibile solo perché avviene nel silenzio e nell’indifferenza del sistema dell’informazione e di quello della politica, con l’eccezione ancora di Radio Radicale, in attesa di sapere se questo Governo deciderà che anche quella voce deve finire di emettere, perché sta a voi decidere, non ad altri. Questo le volevo dire, questo le volevo sottolineare, perché creda: tutte le riforme che lei ha anticipato, se non si basano su un recupero di credibilità, di Stato di diritto, di legalità e di istituzioni, non vivranno neppure lo spazio di un mattino. Intervento di Rita Bernardini alla Camera Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi della delegazione radicale nel gruppo del Partito Democratico, con Marco Pannella, con la nonviolenza, vi stiamo proponendo un punto di vista di fronte alla resa, che si dimostra ogni giorno più evidente, della democrazia e delle istituzioni. Chiediamo a tutti e a ciascuno - noi lo facciamo per primi - di guardare dentro noi stessi. Con il disfacimento della democrazia e con l’illegalità dilagante non si può governare nessuno dei problemi del nostro tempo, dall’economia - imprese e lavoro - alla giustizia civile e penale, ai diritti civili e umani, che includono, per noi radicali, il diritto all’informazione e alla verità. Guardare dentro noi stessi significa, per esempio, non nasconderci il fatto che lo Stato italiano si comporta nei confronti della comunità penitenziaria (detenuti, agenti, direttori, psicologi, educatori e personale medico), ormai da anni, come un delinquente professionale, violando da decenni, e oggi ancora di più, le norme europee, nazionali e transnazionali. Così lo Stato perde qualsiasi autorevolezza ed autorità. La comunità penitenziaria sta rispondendo a questa violenza con la non violenza. Il nostro leader Marco Pannella, in sciopero della fame e della sete, richiama a questo tutta la politica. Sta a ciascuno di noi, nelle prossime ore, corrispondere o meno al monito che ci lancia. Giustizia: il ministro Alfano fa visita a Pannella, ricoverato in ospedale Agenparl, 22 giugno 2011 “In mattinata ho ricevuto la gradita visita preannunciatami del ministro della Giustizia Angelino Alfano, con il quale ci siamo intrattenuti per circa un’ora. Nel corso della comunicazione oltre ad informarsi sulle mie condizioni e prospettive di salute, abbiamo affrontato il tema principe non solamente di noi Radicali, ma anche per il Ministro Alfano, della crisi istituzionale e sociale del nostro Paese: quello della giustizia e della sua appendice carceraria, in relazione al problema posto dal critico rapporto con diritti umani, civili, costituzionali a tutti drammaticamente evidenti. I punti di vista, d’altra parte letteralmente, inevitabilmente, come tali, diversi vanno confrontati e approfonditi. Da parte del ministro Angelino Alfano, nella sua iniziativa personale di stamane mostra quanto paghiamo il fatto che da decenni alla “Democrazia” e al popolo italiano non è stato possibile di aprire perfino questo dibattito, a tal punto che da 30 anni la proposta Radicale sulla riforma necessaria per non permanere in una situazione di orripilante estraneità a ogni forma di legalità costituzionale e nazionale, internazionale ed europea attraverso lo strumento della “Amnistia” non è sostanzialmente conosciuta nemmeno da coloro che continuano a cercare da troppo tempo di giungere alla riforma obbligatoria, oltre che necessaria, ottenendo semplicemente l’attuale protrarsi della tragica situazione istituzionale e sociale in cui versano con milioni e milioni di persone e di famiglie il nostro Paese, la nostra società e il nostro Stato”. “Un grande grazie, quindi, ad Angelino Alfano per questa ora che ha voluto dedicare all’approfondimento della migliore conoscenza delle opinioni, della storia, del contributo che ormai in modo scandalosamente chiaro tentiamo ancora con accanita speranza di assicurare alle sorti non solamente del nostro Paese, ma del mondo per scongiurare che accada come negli anni Venti e Trenta, quando la “Peste italiana” dette un grande contributo a decenni delle più orride tragedie umane”. Marino (Pd): impressionato da battaglia di Pannella "Sono impressionato dalla forza morale di Marco Pannella e dalla battaglia nonviolenta che sta conducendo. Conosciamo tutti la passione e l'impegno tenace che lo ha sempre contraddistinto e che ha fatto di lui un pilastro della nostra storia: il fatto che più di 15mila persone in tutta Italia abbiano aderito al suo sciopero della fame è un riconoscimento innegabile. Questa adesione sottolinea ancora di più quanto il degrado delle carceri sia una ferita per la nostra società". Così Ignazio Marino, senatore del Pd, sullo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella. "Non dobbiamo tollerare - aggiunge Marino - degrado e condizioni di vita incompatibili con il più elementare rispetto della dignità e lesivi dei principi della nostra Costituzione. E' inaccettabile per un Paese civile ed è merito indiscusso del Partito Radicale e di Marco Pannella se non si è mai permesso in questi anni ai governi di dimenticarsi di questa piaga da sanare". Madia (Pd): solidarietà a Pannella per sua lotta “Esprimo la massima solidarietà e vicinanza umana a Marco Pannella, che da giorni ha intrapreso un altro sciopero della fame e della sete con grave rischio della sua salute. Pannella è una straordinaria figura della nostra Repubblica, che continua a condurre delle importanti battaglie civili e non violente. Nel merito della questione forse la richiesta di amnistia non è praticamente realizzabile. Resta il fatto che il nostro sistema carcerario - come confermato dai dati europei - è al collasso, secondo solo alla Bulgaria per sovraffollamento e inadeguatezza delle strutture. Occorrono interventi concreti per sanare questa emergenza sociale”. È quanto si legge in una nota di Marianna Madia deputata del Pd. Marcucci (Pd): Pannella ha ragione, situazione esplosiva “La situazione delle carceri italiane è esplosiva, solo in Toscana ci sono 1200 detenuti oltre i limiti di capienza, con strutture che cadono a pezzi come a Lucca e a Porto Azzurro ed un generale sotto dimensionamento degli organici di sorveglianza. Marco Pannella ancora una volta ha ragione. Il Governo intervenga subito per riportare dignità e legalità negli istituti di pena”. Lo afferma, in una nota, il senatore Andrea Marcucci (Pd) in merito allo sciopero della fame e della sete intrapreso da Marco Pannella per denunciare lo stato delle carceri nel nostro paese. Giustizia: blitz dei Radicali davanti alla Rai, proiettato su un muro discorso Pannella Agenzia Radicale, 22 giugno 2011 Blitz davanti alla Rai di un gruppo di 50 Radicali, guidato dai Parlamentari Emma Bonino, Rita Bernardini, Maurizio Turco, Marco Perduca, Donatella Poretti, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, con i Consiglieri Regionali del Lazio Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita, il Segretario e il Tesoriere di Radicali Italiani Mario Staderini e Michele De Lucia, la Segretaria dell’Ass. Il Detenuto Ignoto, Irene Testa. I Radicali hanno consentito a Marco Pannella di parlare per sei minuti e trenta secondi davanti alla sede Rai di Via Teulada. Un automezzo mobile di due piani, infatti, ha trasmesso con un proiettore di potenza 20.000 Ansilumen e l’audio di 1.000 Watt, un intervento in audio-video di Marco Pannella sulla parete esterna degli studi Rai dove è in corso l’ultima puntata della trasmissione “Ballarò”. Quest’anno, nelle trasmissioni di approfondimento della Rai hanno partecipato 1.303 politici appartenenti a tutti gli schieramenti, sempre escluso Marco Pannella. “Scopo dell’iniziativa, poiché durante i 60 giorni di sciopero della fame di Pannella nessuna notizie è stata garantita dalle tv nazionali sulle ragioni” della protesta, è stato quello di “far conoscere all’opinione pubblica gli obiettivi dell’azione nonviolenta che vede protagonisti circa 15.000 tra detenuti, familiari, cittadini ed esponenti della società civile, per chiedere che l’Italia rientri nella legalità democratica secondo gli standard internazionali, a cominciare dalla bancarotta della giustizia italiana”. Secondo Pannella, “la situazione delle carceri italiane diventa ogni giorno di più teatro di una nuova Shoah”. Sul pullman dei Radicali era presente uno striscione con su scritto “Amnistia per la Repubblica”. Continua il viaggio notturno del pullman radicale a due piani. Dopo aver trasmesso con un potente proiettore l’intervento audio video di Marco Pannella sulla parete esterna della sede Rai di via Teulada, i Radicali hanno ripetuto l’operazione anche sulle mura del carcere di Regina Coeli e del palazzo del ministero della Giustizia. Giustizia: Belisario (Idv); il Governo fa solo finta di interessarsi delle carceri Agenparl, 22 giugno 2011 “Quello delle carceri è un problema reale a cui tutti fanno solo finta di interessarsi, a cominciare dal ministro Alfano, che dall’inizio della legislatura, a nome del governo, ha promesso più volte un piano straordinario che non è ancora partito”. Lo denuncia il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, che aggiunge: “Porto un solo dato, comune purtroppo a moltissimi istituti penitenziari italiani: il carcere di Poggioreale, che ho visitato la settimana scorsa, ha oltre 2700 detenuti e dovrebbe ospitarne 1387, e circa 300 agenti di polizia penitenziaria in meno. La popolazione carceraria aumenta, non ci sono gli spazi e diminuisce il personale che dovrebbe fare recupero o reinserimento. Oltre alla costruzione di nuove carceri io ritengo che l’intervento debba essere strutturale. Vanno innanzi tutto depenalizzati alcuni reati che vanno sostituiti con pene alternative o sanzioni amministrative. La pena poi deve essere certa, i processi non vanno estinti. Inoltre le nostre carceri non possono continuare a essere piene di immigrati clandestini solo per fare piacere alla Lega (altro discorso se delinquono). La reclusione, infine, non può essere il terminale per i tossicodipendenti. Sono questioni rilevanti che vanno risolte”. Giustizia: Eurochips promuove una petizione europea per i figli di detenuti di Tilde Napoleone www.linkontro.info, 22 giugno 2011 Eurochips, Network Europeo per i bambini parenti di detenuti, è un’organizzazione europea che ha lo scopo di aiutare i figli di genitori detenuti. Oggi nell’Unione Europea circa 800.000 bambini sono colpiti dalla detenzione di un genitore. Oltre la metà di tutti i detenuti nel mondo hanno figli sotto i 18 anni, ma l’impatto della detenzione dei genitori su un bambino non è tenuto in sufficiente considerazione dai sistemi penali e penitenziari. La detenzione dei genitori può stigmatizzare i bambini ed esporli a molteplici rischi che possono influire sul loro sviluppo psicologico. Le ripercussioni negative possono essere ridotte grazie a semplici cambiamenti che rendano la detenzione dei genitori meno traumatica e punitiva per i figli. L’organizzazione chiede che l’Unione Europea agisca affinché i diritti dei bambini in questa particolare condizione vengano inseriti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini e nella Convenzione Europea sui diritti umani e negli altri trattati. Chiede che l’Unione Europea riconosca che questi bambini costituiscono un gruppo vulnerabile con bisogni particolari, riconosca ancora l’importanza della promozione di iniziative in loro supporto. L’organizzazione, che ha sede in Francia, a Montrouge, in via Charles Floquet 4-6, ha chiesto alle associazioni europee che si occupano di diritti, l’adesione ad una petizione contenuta in una lettera inviata ai Membri dei Parlamento Europeo. L’organizzazione chiede il miglioramento delle condizioni delle visite effettuate dai bambini in carcere, per esempio con la creazione di altri ingressi rispetto a quelli per gli adulti e con la garanzia di un tempo di visita più lungo. Chiede ancora campagne di sensibilizzazione e una formazione specializzata per il personale penitenziario che ha contatto con questi bambini. Chiede inoltre la creazione di osservatori nazionali il cui scopo sia quello di monitorare il rispetto dei dispositivi messi in atto a favore dei bambini figli di genitori reclusi, cercando di unificare le diverse prassi europee. L’obiettivo è quello di raggiungere 5.000 firme entro la fine di giugno. Attualmente se ne hanno circa 1.250. Giustizia: caso Cucchi; medico: “disse che era caduto”. Un detenuto: “era sacco da boxe” Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2011 “Ma quale caduta dalle scale, lui ha avuto un incontro di boxe… solo che lui era il sacco”. Così un detenuto nelle celle del tribunale di Roma descriveva Stefano Cucchi, poco prima di essere trasferito in carcere. Smentisce il giudice che ha condotto l’udienza di convalida, smentisce il medico che lo ha visitati, conferma invece l’ispettore di polizia penitenziaria che ha guidato il trasferimento di Cucchi in carcere. Non si è ancora chiarita la vicenda del giovane morto nell’ottobre 2009 - una settimana dopo l’arresto per droga - nella struttura di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Oggi nella capitale, alla nuova udienza del processo, sei testimoni raccontano la loro versione: il medico che era in servizio alla città giudiziaria romana di piazzale Clodio, il magistrato che convalidò l’arresto di Cucchi e quattro agenti della polizia penitenziaria. Sono dodici gli imputati per la morte del ragazzo: i sei medici e tre infermieri che lo ebbero in cura e tre agenti della polizia penitenziaria. Devono rispondere a vario titolo di lesioni, abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono d’incapace, abuso d’ufficio e falso ideologico. Era l’ottobre del 2009 e Cucchi, arrestato per droga, l’indomani veniva portato in aula per l’udienza di convalida. “Ha risposto a tono a tutte le domande, non ha detto di essere stato percosso, né io ho avvertito nulla di anomalo”, è la versione del giudice Maria Inzitari. Che, a testimonianza delle sue parole, aggiunge: “Non ho disposto alcuna visita medica, né ricordo che in udienza qualcuno la chiese”. Eppure, nelle celle del tribunale di Roma, un medico aveva visitato Stefano Cucchi. Camminava con difficoltà, racconta ai magistrati Giovanni Battista Ferri, e si appoggiava al muro. “Fu lo stesso Cucchi a dirmi che aveva dolori alla base della schiena, nella zona sacrale, e alle gambe - spiega il medico. Disse che il giorno prima era caduto scendendo dalle scale”. Il ragazzo avrebbe chiesto solo di avere un ansiolitico calmante, “che aiuta anche a sopportare meglio l’astinenza da droga”. “Era interessato solo a ricevere quel farmaco - si giustifica Ferri - . Io non posso obbligare nessuno a servirsi di me per proporre una soluzione al problema, se rifiuta il mio intervento, non posso certo obbligarlo”. Una posizione diversa da quella di Antonio La Rosa, l’ispettore di polizia caposcorta che ha condotto Cucchi dal tribunale al carcere di Regina Coeli. “Sono anni che faccio questo lavoro - spiega - e capisco quando uno è pestato”. Il ragazzo, nei racconti del caposcorta, “camminava con passo lento, non poteva piegarsi, era sofferente”. Davanti alle scale del carcere avrebbe detto di avere difficoltà a salirle, “perché gli facevano male le gambe”. “Il suo volto era quello di una persona pestata - continua La Rosa, aveva segni in faccia”. Stefano Cucchi, poi, era impaurito, racconta l’ispettore. “Mi disse che era la prima volta che andava in carcere - riferisce - e voleva sapere cosa accadeva. Cercai di tranquillizzarlo, dicendogli che non era come quello che si vede nei film”. Marche: Animali (Antigone); si tende a penalizzare l’investimento culturale sul carcere di Paolo Picci www.viveremarche.it, 22 giugno 2011 Samuele Animali, Presidente di Antigone Marche, un’associazione che da anni si occupa di diritti e garanzie nelle carceri e che da pochissimo ha avviato l’attività nella nostra regione aprendo una sede a Jesi, ci ha rilasciato un’intervista esclusiva per commentare i recenti fatti di cronaca da Montacuto di Ancona, dove, fra due gruppi di reclusi di nazionalità straniera e con attriti che si trascinavano da tempo, è scoppiata la rissa che ha portato al ferimento di una decina di persone, fra cui anche quattro agenti di polizia penitenziaria. Può spiegarci cos’è successo e perché, nel carcere di Ancona la settimana scorsa, al di là del fatto di cronaca in sé? Non è semplice spiegare che cosa sta succedendo in questi giorni dentro i penitenziari. Il carcere è un contesto naturalmente chiuso, per definizione. Le dichiarazioni ufficiali, come spesso accade anche altrove, vanno rilette alla luce di altri dati e di altre fonti. Le notizie sui disordini di questi giorni , in particolare, vengono dai sindacati di polizia penitenziaria, un punto di vista sicuramente qualificato. Ma anche queste informazioni vanno integrate per quanto possibile. Visto che è oggettivamente difficile registrare direttamente la voce dei detenuti, che peraltro si stanno esprimendo con lo sciopero della fame attualmente in corso, diventano molto importanti le informazioni che vengono raccolte dai volontari che frequentano gli istituti e attraverso le visite: la nostra dei giorni scorsi, quella di Pannella di stamattina, quelle di altri parlamentari, quelle del Garante. Nei giorni scorsi si è sentito parlare di iniziative culturali nelle carceri, che sembravano descrivere luoghi più a misura d’uomo, nonostante la funzione costrittiva che ricoprono. Qual è la situazione reale della vita quotidiana nelle celle? I fatti di cronaca sembrano contraddire i messaggi tranquillizzanti che vengono diffusi anche in occasione di iniziative senz’altro importanti, come lo “Stabat pater” a Montacuto o di manifestazioni come l’Arte sprigionata, a Villa Fastiggi, entrambe viste pochi giorni fa. I dati mostrano una situazione di insostenibile affollamento, lo smantellamento strisciante del principio costituzionale per cui il carcere serve alla riabilitazione (se non si può lavorare, se viene tagliata la formazione per mancanza di fondi...), il progressivo degrado delle garanzie minime riguardo alla sicurezza ed alla salute (psico-fisica) delle persone, compresi gli agenti di polizia. Per non parlare degli ospedali psichiatrici giudiziari, che rappresentano una palese violazione del diritto alla salute e della dignità delle persone che vi vengono rinchiuse. Quanto incide la presenza di un’alta percentuale di cittadini stranieri nelle carceri nello scatenare episodi di violenza come quelli dei giorni scorsi in Ancona? Episodi come la rissa di Montacuto tra gruppi di reclusi di diversa nazionalità di per sé non possono essere considerati eccezionali considerata la convivenza forzata e ravvicinata di persone di diversa cultura e visto che comunque si presume che la maggior parte di loro abbia già commesso dei reati. Tuttavia il contesto esaspera queste situazioni e le loro conseguenze, anziché prevenirle. In questi anni si tende a penalizzare l’investimento culturale sul carcere, sulla prevenzione e sul trattamento esterno e successivo alla pena ben più di quanto diminuiscano le risorse destinate direttamente alle strutture ed alla sorveglianza, che oltre un certo limite sono incomprimibili. Non è solo un problema di soldi che mancano, visto che si vorrebbero trovare per costruire nuovi edifici, o di guardie che mancano, e così si trovano loro stesse in maggior pericolo; un posto pensato solo per concentrare in uno spazio chiuso quanti più “criminali” possibile, con un’alta concentrazione di stranieri e di persone malate, tossicodipendenti in particolare, genera più devianza di quanta ne possa prevenire e genera più devianti di quanti ne possa riabilitare. In tali circostanze fatti di cronaca nera all’interno del carcere (risse, suicidi, maltrattamenti...) sembrano tragicamente inevitabili. Lazio: i Radicali chiedono giornata di lavori sul tema del sovraffollamento delle carceri Dire, 22 giugno 2011 Una giornata di lavori sul tema del grave sovraffollamento delle carceri. È quanto hanno chiesto, in apertura dei lavori del Consiglio regionale, i Radicali Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita, seguiti da Luigi Nieri del Gruppo di Sel, Fabio Nobili e Ivano Peduzzi del Gruppo Fds, Giuseppe Celli della Lista Civica. I consiglieri “hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza all’azione politica non violenta di Marco Pannella - continua la nota - in sciopero della fame e della sete per denunciare il grado di inciviltà del paese e per chiedere una immediata amnistia per i detenuti”. Durante gli interventi “è stato chiesto alla presidente Renata Polverini, presente in aula, di partecipare con la giunta, a tutte le possibili azioni volte a risolvere la grave situazione del sovraffollamento delle carceri”. Trieste: protesta per il sovraffollamento, sciopero della fame dei detenuti e “battitura” di Corrado Barbacini Il Piccolo, 22 giugno 2011 Ore 11.30: il carrello della “sbobba” comincia ad essere spinto lungo i corridoi del Coroneo. Ma lo fa a vuoto. Perché anche ieri spacciatori, truffatori, ladri e cittadini in attesa di giudizio hanno deposto le forchette e i cucchiai. E scodelle - da una settimana tutti i giorni - restano mezzogiorno e sera in mano all’agente di custodia incaricato della distribuzione dei cibo. Il motivo è lo sciopero “a singhiozzo” che ha riguardato anche il Coroneo. Sono quasi tutti (più di 200) i detenuti che hanno aderito all’onda lunga della protesta che è cominciata ad aprile a Regina Coeli e si è estesa in tutta Italia. Il motivo è la drammatica situazione delle carceri sovraffollate. Guidata da Marco Pannella, che ha iniziato lo sciopero della fame il 20 aprile, la protesta si è estesa in moltissime carceri. Oltre allo storico esponente dei Radicali, aderiscono la deputata Rita Bernardini e Irene Testa, segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”. L’obiettivo è quello dell’amnistia o dell’indulto. E anche per questo motivo domenica, attorno all’ora della distribuzione del vitto, molti detenuti del Coroneo hanno battuto pentole e posate contro le sbarre. Il rumore è andato avanti per oltre un’ora. E molti dalla strada si sono fermati a guardare cosa stava succedendo. Sono arrivate le pattuglie della polizia e dei carabinieri che hanno stazionato per alcune ore. Spiega il direttore Enrico Sbriglia: “Alcune detenute hanno consegnato un documento in cui vengono spiegate le ragioni di rifiuto di assumere il vitto indicando la loro decisione come una civile protesta verso le condizioni del carcere”. Ma - nella lettera che è stata trasmessa al ministero - le recluse hanno anche rilevato le evidenti condizioni di difficoltà in cui il personale è costretto ad operare. All’iniziativa aderisce anche l’Unione delle Camere Penali Italiane, con uno sciopero. Le motivazioni: la “drammatica situazione delle carceri italiane”, il sovraffollamento “cresce senza che ancora alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione”. E “come conseguenza del sovraffollamento”, si fa notare, “cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti”. L’ultimo episodio che rappresenta una situazione esplosiva al Coroneo risale a qualche mese fa quando un detenuto è finito all’ospedale per intossicazione da farmaci. L’uomo aveva improvvisamente perso i sensi all’interno della cella. Era stato subito soccorso dagli agenti che hanno cercato di rianimarlo. Poi era arrivata un’ambulanza del 118. Qualche giorno prima c’era stata una doppia rissa sedata prontamente in cui erano stati coinvolti quattro detenuti: due nigeriani, un serbo e un rumeno. Nella zuffa hanno utilizzato la parte bassa delle caffettiere di alluminio, usate come “armi”. Due i detenuti rimasti feriti. Erano stati soccorsi dai sanitari del 118 ai quali si erano rivolti gli agenti della penitenziaria quando hanno visto i due carcerati riversi sul pavimento e sanguinanti. Bolzano: Sel aderisce a manifestazione Radicali contro situazione illegale delle carceri Ansa, 22 giugno 2011 Sel aderisce alla manifestazione promossa dai Radicali bolzanini per denunciare la situazione di “totale illegalità delle carceri italiane, ormai molto vicine al collasso e sosterrà il documento voto allegato alla delibera sul Piano Sociale che sarà presentato in Consiglio Comunale a Bolzano”. “Condividiamo - prosegue Sel - la parola d’ordine di tali manifestazioni relativa alla soluzione tampone dell’amnistia. Le istituzioni locali, che hanno finalmente risolto il problema dell’area del nuovo carcere, devono avere il coraggio di porre con forza questo tema sul tavolo del Governo. I detenuti sono, infatti, per legge cittadini di Bolzano assunti in carico dai servizi sociali della città e non si può rimanere indifferenti rispetto alle loro drammatiche condizioni”. Avellino: Uil-Pa; il Dap non paga gli agenti, chiediamo decreti ingiuntivi al Tar Irpinia News, 22 giugno 2011 “Considerata la morosità dell’Amministrazione Penitenziaria che risulta insolvente verso il personale di polizia penitenziaria operante presso il Nucleo Operativo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti di Avellino per circa 90mila euro, abbiamo dato mandato allo Studio Legale dell’Avvocato Ruggiero Carmine di iscrivere a ruolo, presso il Tar di Salerno, i relativi decreti ingiuntivi”. Ne da notizia il Vice Segretario Provinciale della Uil Penitenziari di Avellino, Massimo Spiezia, che è anche componente della Direzione Nazionale del sindacato maggiormente rappresentativo dei baschi blu. “Attraverso l’Avvocato Ruggiero abbiamo chiesto al Tar di Salerno di iscrivere a ruolo una trentina di decreti ingiuntivi. Quest’azione si è resa necessaria per tutelare i diritti dei poliziotti penitenziari, che da circa quattordici mesi non si vedono corrispondere le indennità di missione conseguenti ai vari servizi svolti sull’intero territorio nazionale per garantire la presenza dei detenuti nelle aule dibattimentali nonché i loro trasferimenti e il godimento di permessi disposti con scorta. Tra l’altro - ricorda Spiezia - già in molte altre realtà del Paese la Uil ha dovuto ricorrere all’azione legale per tutelare gli interessi e i diritti dei propri associati. Purtroppo la politica dei tagli orizzontali del Governo colpisce in maniera dura anche, se non soprattutto, gli operatori della Forze dell’Ordine non solo dal punta di vista economico quant’anche dal punto di vista dell’operatività”. Ed è proprio la situazione del parco automezzi, oltre che la mancata retribuzione delle spettanze, a preoccupare ulteriormente la Uil Penitenziari “Il problema di chi è impegnato nel servizio Traduzioni non è solo una questione di mancata retribuzione, per quanto rilevante sia la questione. È anche un problema di incolumità delle persone. Svolgere i servizi su mezzi inadeguati, obsoleti e insicuri mette a repentaglio, ogni giorno, la vita dei poliziotti penitenziari, ma degli stessi detenuti trasportati. L’incidente di Mirabella Eclano è l’indicatore esatto delle inefficienze del nostro parco macchine. La quasi totalità dei mezzi è oberato da percorrenze di oltre trecentomila kilomentri a cui si associa una non puntuale manutenzione e revisione. Tutto questo si va ad incardinare in un quadro operativo ai limiti della sostenibilità, considerato che per le deficienze degli organici le scorte sono quasi sempre sottodimensionate. Ecco perché - chiosa il componente della Direzione Nazionale della Uil Penitenziari - la mancata retribuzione delle indennità, oltre a rappresentare una violazione dei diritti soggettivi rappresenta une vera e propria beffa che non possiamo ulteriormente tollerare. Non è possibile che per garantire i diritti dei detenuti, lo Stato imponga ai poliziotti penitenziari di indebitare il bilancio familiare attraverso l’anticipo delle spese che, poi, non restituisce nei tempi previsti dal contratto nazionale (trenta giorni)”. Genova: detenuta morì in carcere per meningite, assolti i medici che l’avevano in cura Agi, 22 giugno 2011 Dopo avere riesaminato gli atti su disposizione della Corte di Cassazione, i giudici della Corte d’appello di Genova hanno assolto i due medici, Marilena Zaccardi e Antonio Abbondati, già condannati nei due gradi di giudizio, a Genova, a un anno il primo e a otto mesi il secondo per omicidio colposo nei confronti di una detenuta ecuadoriana. La Cassazione aveva invece respinto il ricorso per un terzo medico, Giacomo Toccafondi, già condannato a un anno. I tre medici della casa circondariale di Pontedecimo erano stati condannati per la morte di una detenuta di 35 anni che, secondo l’accusa, non sarebbe stata sottoposta a consulenza infettivologica. Toccafondi, difeso dall’avvocato Alessandro Vaccaro, era responsabile dell’area sanitaria del carcere di Pontedecimo mentre la Zaccardi, assistita dall’avvocato Mario Iavicoli e Abbondati (avvocato Ersilio Gavino) erano medici di guardia della stessa struttura. La morte della donna, madre di cinque figli, avvenne il 29 marzo 2002 per complicazioni di una meningo-encefalite tubercolare. L’ecuadoriana da un po’ di tempo stava male ed il 16 marzo 2002 era stata ricoverata in ospedale a Voltri. Nuoro: differimento pena per detenuta di 130 kg, condannata per un reato di 20 anni fa Agenparl, 22 giugno 2011 È tornata a casa la donna obesa di 130 kg cardiopatica e diabetica. Il Giudice di Sorveglianza, dott.ssa Elisabetta Mulargia, accogliendo la richiesta dei legali della donna Gianluca Bella e Umberto Papandrea, ha concesso infatti il differimento pena. Determinanti nella valutazione sono state le condizioni di salute della detenuta. Il provvedimento provvisorio, reso immediatamente esecutivo, ha permesso alla signora Pasqua Porcu, 57 anni, di Bitti (Nuoro) di lasciare il carcere di Buoncammino e ritornare nella dimora familiare dove potrà fruire di un ambiente idoneo ad affrontare le cure di cui ha bisogno. “Ancora una volta - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme - la Magistratura di Sorveglianza, con un atto di coraggio, ha reso giustizia a una persona le cui gravi condizioni di salute avevano richiesto il ricovero urgente in ospedale. Il provvedimento è stato adottato tenendo conto dell’incompatibilità con il regime detentivo”. La vicenda che ha portato all’arresto di Pasqua Porcu risale a 20 anni fa, ma si è conclusa dopo diversi gradi di giudizio, lo scorso mese di febbraio quando i Carabinieri della Stazione di Bitti (Nu) hanno dato esecuzione all’ordine di carcerazione della Procura della Repubblica di Nuoro. La donna, 57 anni, al momento dell’arresto si trovava all’ospedale San Francesco. Non era stata mai in carcere ma la condanna definitiva a sei anni e otto mesi di reclusione ha comportato il provvedimento di carcerazione nonostante la vicenda che la vede coinvolta risale al 1991. Assistita dal marito e dai figli la donna, in considerazione di nuovi elementi emersi intende chiedere la revisione del processo. Particolarmente provata dalla malattia, la donna, madre di tre figli, due dei quali vivono stabilmente a Milano dove lavorano e sono disponibili ad ospitarla, non riesce a capacitarsi della condanna. “Non ho commesso alcun reato - ha più volte affermato nel corso dei colloqui con i volontari dell’associazione Sdr - e spero prima o poi di poter dimostrare la totale estraneità all’infamante accusa che mi è stata rivolta”. Pescara: nove ex detenuti impiegati nei parchi e nei giardini pubblici Il Centro, 22 giugno 2011 Prenderanno servizio oggi i nove utenti in condizioni svantaggiate, ex detenuti o cittadini a fine pena reclusi nel carcere di San Donato, reclutati dal Comune per occuparsi per cinque mesi della manutenzione del verde, dei parchi e giardini cittadini. L’obiettivo del progetto stipulato tra Comune e Provincia è proprio recuperare e reinserire in società soggetti fortemente penalizzati. “I nove lavoratori”, ha detto l’assessore ai Parchi Nicola Ricotta ricordando quali sono le finalità del progetto, “saranno dislocati all’interno della riserva della Pineta D’Annunziana e poi negli altri parchi, come previsto nel protocollo d’intesa stipulato per il secondo anno consecutivo tra Provincia e Comune, che per il 2011 ha autofinanziato il progetto con una spesa di 20 mila euro”. “Il nostro obiettivo è il recupero e possibile reinserimento sociale di alcuni soggetti in condizioni di detenzione, puntando al loro utilizzo nelle strutture comunali per dare loro la possibilità di svolgere un lavoro e acquisire anche una qualifica. I soggetti, individuati dal direttore del carcere, verranno impiegati nei nostri parchi e seguiti da tutor, con la supervisione del dirigente al verde Giuliano Rossi che ha promosso e curato il progetto”, ha aggiunto Ricotta. “I soggetti che parteciperanno al progetto saranno nove”, ha specificato il direttore del carcere Franco Pettinelli, “di cui 3 detenuti e 6 ex detenuti indicati dall’ufficio esecuzioni penali esterne. Alcuni hanno partecipato al progetto già lo scorso anno, ma sono comunque tutti soggetti che godono della fiducia della casa circondariale. Il programma, ed è un aspetto che va sottolineato, consentirà anche a ciascun lavoratore di poter ricevere un contributo minimo di circa 400 euro, e di acquisire una preparazione professionale che poi potrà spendere sul mercato del lavoro”, conclude Pettinelli. Roma: al via corso di formazione per dirigenti penitenziari Adnkronos, 22 giugno 2011 Si intitola “Il sistema penitenziario tra emergenze e riforma: la complessità gestionale dell’agire dirigenziale” il corso per dirigenti iniziato presso l’Istituto superiore di studi penitenziari. Il corso, si legge sul sito del ministero della Giustizia www.giustizia.it, intende fornire metodi, strumenti e chiavi di lettura per interpretare in maniera coerente il vigente sistema normativo, frutto di una riforma che, avviata negli anni 90 e proseguita con il decreto 150 del 2009, ha determinato una vera e propria rivoluzione copernicana nell’azione amministrativa al servizio del cittadino. Il percorso formativo, della durata complessiva di sei giorni, sarà articolato in due parti. La prima, fino al 25 giugno, tratterà nello specifico della riforma della pubblica amministrazione; la seconda (4-9 luglio) avrà come tema centrale la conoscenza della persona detenuta e il progetto di inclusione sociale. Roma: isola di S. Stefano (Ventotene)… porta un fiore per l’abolizione dell’ergastolo Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2011 Viaggio al cimitero degli ergastolani nell’isola di S. Stefano (Ventotene). Il 26 giugno sarà la Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura. Il 24-25-26 giugno nelle carceri italiane i detenuti daranno vita a una mobilitazione contro la tortura del carcere e nel carcere. All’esterno degli istituti di pena si mobiliteranno in vario modo associazioni, partiti, sindacati, movimenti e organizzazioni della società civile. Nel quadro di queste iniziative sollecitate dall’Associazione Liberarsi, si stanno raccogliendo le adesioni per un viaggio, proposto da Nicola Valentino verso un luogo simbolico della pena a vita. “L’ergastolo di S. Stefano (1795-1965) è noto per essere il primo carcere costruito dai Borboni secondo il moderno dispositivo panottico: gli ergastolani o altri reclusi che vi erano rinchiusi, vivevano costantemente sotto sguardo dei loro reclusori. Ma la vera natura dell’ergastolo la si incontra all’esterno del carcere, seguendo un viottolo che porta al cospetto di un arco. Varcata questa soglia si scorge poggiato su un blocco di pietra, un piccolo portafiori vuoto che anticipa alcune file di tombe, ricoperte ormai da erbacce, con croci in legno senza nome. In fondo al piccolo cimitero dimenticato si scorge quel che resta di una vecchia cappella. Attualmente il cimitero è in completo abbandono, diversi anni or sono se ne prese cura un agente di custodia in pensione che scelse di vivere un po’ come un eremita a custodia di quel carcere ormai in disuso e in questa veste si preoccupò di contornare le singole tombe e di mettervi delle croci di legno. Se ne prese cura perché per quegli ergastolani la sola famiglia che era loro rimasta era S. Stefano. Questo luogo narra al di là d’ogni equivoco la natura dell’ergastolo. Cancellati socialmente e civilmente al momento dell’ingresso in carcere, quegli ergastolani sono morti in solitudine e senza nome, esclusi dal consorzio umano anche dopo morti. Il cimitero degli ergastolani di S. Stefano è importante da vedere e far vedere perché racconta in modo emblematico e crudo anche ciò che è l’ergastolo oggi, in particolare la tortura dell’ergastolo senza speranza, l’ergastolo cosiddetto ostativo, in base al quale, delle attuali 1.500 persone condannate alla pena eterna oltre 1.000 sono sostanzialmente escluse da quelle limitate possibilità giuridiche che permetterebbero la concessione dell’uscita dal carcere dopo 26 anni di pena scontata. Si configura in Italia, diversamente da altri Paesi dell’Unione Europea, un “fine pena mai” effettivo, che prevede oltre alla morte sociale e civile delle persone condannate, la loro effettiva morte in carcere”. Un piccolo gruppo di persone è già pronto a partire venerdì 24 giugno ed è in cerca di altri compagni e compagne di viaggio: Giuliano Capecchi, Beppe Battaglia, Antonio Ruffo, (Associazione Liberarsi), Nicola Valentino (Sensibili alle foglie), Salvatore Verde, Dario Stefano Dell’Aquila (Associazione Antigone Napoli), Francesco Maranta, Rossella Biscotti (artista), Paolo Barone, Valentina Perniciaro, Simone Campitella… Sono arrivate anche molte adesioni di reclusi ergastolani e non, di singole persone ed associazioni che però non possono intraprendere il viaggio. Le persone che partecipano sono invitate a portare strumenti vari per documentare l’esperienza. Il viaggio prevede l’arrivo a Ventotene al mattino con traghetto da Formia, il trasbordo in barca nell’isola di S. Stefano. La partenza da Ventotene nel pomeriggio. Traghetto - andata, Formia ore 09:15 - Ventotene ore 11:15 Euro 12.30. Aliscafo - ritorno, Ventotene, ore 16:40 - Formia, ore 17:40 Euro 17.90. Treno andata - ritorno da Roma. Roma ore 07:39, Formia ore 08:44, Euro 14.50. Formia ,ore 18:14 - Roma. ore 19:21. Treno andata - ritorno da Napoli. Napoli, ore 07:17. Formia, ore 08:12, Euro 9.50. Formia ore 18:18. Napoli, ore 19:30. Per info: 3664937843, assliberarsi(et)tiscali.it Verona: il Garante; ieri detenuti in visita a mostra Chagall e a basilica di Santa Anastasia Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2011 Nel pomeriggio di ieri, martedì 21 giugno, un gruppo di persone detenute della Casa Circondariale di Montorio, accompagnate dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan e dal presidente dell’associazione “Progetto carcere 663” Maurizio Ruzzenenti, hanno visitato la mostra “Chagall. Un mondo sottosopra” e la Basilica di Santa Anastasia. L’iniziativa, sostenuta dall’assessorato alla Cultura del Comune di Verona, rientra nel progetto di recupero sociale delle persone che hanno deviato rispetto alle regole di convivenza civile. “La cultura è uno strumento di riscatto sociale, è un passaggio indispensabile per la crescita personale e collettiva - ha dichiarato la Garante Forestan - e può essere un viatico che aiuta a reggere situazioni pesanti come la mancanza di libertà. Un grazie speciale per la gentile concessione all’assessore alla Cultura del Comune di Verona Erminia Perbellini - ha concluso Forestan - e alla Magistratura di Sorveglianza che ha approvato il progetto e concesso qualche ora di permesso, mirando alla fase di graduale reinserimento nella società delle persone detenute”. Siracusa: teatro-carcere; reclusi “attori” della storia d’Italia Avvenire, 22 giugno 2011 Il generale Nino Bixio ha i tratti e l’accento di uomo del Sud, nonostante l’intercalare genovese. Sul palco è preda di continui e incontrollabili scatti d’ira. Dietro i panni di Bixio si celano quelli di Francesco, detenuto nella casa circondariale di Siracusa. Anche gli altri “attori” della commedia “L’Italia” sono reclusi nel medesimo carcere. Tutti e otto, insieme a tre volontari, il 20 giugno hanno fatto rivivere nella sala teatrale dell’istituto penitenziario i fatti sanguinosi di Bronte del 1860, all’indomani dello sbarco dei Mille in Sicilia. Eventi di cui si occupa la novella “Libertà” di Giovanni Verga, resi noti anche da un film del 1972 di Florestano Vancini su soggetto di Leonardo Sciascia. A differenza degli illustri precedenti, la messinscena suscita il riso, incrocia destini e dialetti con l’intento di far vedere le tante diversità da cui è nata l’Unità d’Italia. Un modo per festeggiare i 150 anni della sua ricorrenza. “Per il settimo anno consecutivo - dice Liddo Schiavo, regista della performance - abbiamo messo in piedi uno spettacolo dopo un laboratorio durato sei mesi”. Quasi un “teatro stabile”, scherza Schiavo, anche se con imprevisti diversi rispetto a quelli di una normale compagnia, spesso dovuti al turnover dei detenuti o ai loro impegni nei processi. Tanto che il regista parla di “miracolo finale”. Dopo l’esibizione i partecipanti leggono un testo scritto da loro: “Fare teatro dentro un carcere significa non sentirsi chiusi ma liberi. Il teatro è tecnica, talento, passione, dedizione, qualità che un laboratorio come questo riesce a tirar fuori da ognuno di noi. Il teatro è un accettarsi e accettare gli altri. È immedesimazione e coinvolgimento. Fatto così diventa arte, verità, bellezza, virtù”. La professoressa Manuela Caramanna, coordinatrice del progetto realizzato insieme al primo Istituto comprensivo “Vincenzo Messina” di Palazzolo Acreide, è ormai una veterana. “Ogni volta però - tiene a precisare - è un avvenimento nuovo. Non solo per i corsisti, ma anche per noi e per tutti i volontari”. Gorgona (Li): un convegno che ha resistito ai venti di Giampiero Leonessi (Responsabile Sanitario Presidio Gorgona Isola) Ristretti Orizzonti, 22 giugno 2011 Nelle giornate di sabato 18 e domenica 19 Giugno si è svolto sull’isola di Gorgona (Li) il Convegno “Gorgona tra Utopia e Realtà”. Nonostante le condizioni meteomarine piuttosto difficili, il convegno è stato un vero e proprio successo. Alla presenza del Provveditore Regionale di Firenze, Maria Pia Giuffrida, del Direttore della Casa di Reclusione di Gorgona, Maria Grazia Giampiccolo, del Comandante di Reparto, Gisberto Granucci, del Presidente della Fondazione Michelucci, Alessandro Margara, del Garante dei Diritti dei Detenuti di Firenze, Franco Corleone, dell’Assessore al Sociale del Comune di Livorno Dr. Gabriele Cantù si è svolta una approfondita e seria discussione, con la partecipazione di un pubblico numeroso, attento e competente. La prima giornata dopo i saluti ,aperti da quello di Carlo Foscato, Gorgonese ha avuto inizio l’argomento Lavoro, attraverso le relazioni di tutte le Aree di Gorgona, iniziando con Giuseppe Fedele (Responsabile Area Educativa), passando per Giampiero Leonessi (Responsabile sanitario del Presidio), Francesco Presti (Agronomo), Marco Verdone (Veterinario Omeopata). Alla presentazione degli aspetti generali delle varie Aree è seguito un dibattito che ha visto protagonisti anche alcuni detenuti presenti. Nella seconda giornata dopo i doverosi saluti ,aperti questa volta dalla Signora Luisa Citti Gorgonese da una vita , il focus è stato il tema della Salute a tutto tondo. Non si sono affrontati solo temi di salute cosiddetta “convenzionale”, ma sono stati introdotti elementi interdisciplinari di salute secondo una visione olistica. Si è parlato di Medicine Complementari e di benessere della mente, del corpo e della società secondo anche quanto è stato espresso dall’Oms. Si è iniziato con la Relazione del Responsabile Sanitario del Presidio, Giampiero Leonessi, quindi la Relazione di Cristoforo Condello Medico Sias Omeopata, quindi Marco Verdone, Medico Veterinario Omeopata, Ilde Piccioli, Farmacista Specializzata in Fito - Gemmo Terapia. Successivamente dopo una serie di interventi di Volontari che collaborano al progetto della salute sull’isola, tra cui, Ornella Marmeggi Pedagogista Clinica, Simona Ghinassi (Responsabile Biblioteca), Brunella Manetti (volontaria Maestro Reiki Ass. Rau), Marzia Giovannini (Infermiera Professionale), si è svolta una discussione con i presenti compresi i detenuti. Il sabato, dopo un rinfresco a pranzo per tutti, la sera si è svolta una cena “Galeotta, organizzata dalla Direttrice di Gorgona (e di Volterra), Maria Grazia Giampiccolo, che con il suo eccellente staff e con i detenuti di Gorgona, forte della sua ormai collaudata esperienza Volterrana, ha deliziato il palato di tutti i presenti. La domenica si è svolto un pranzo organizzato sempre dai detenuti supportati dagli agenti che oltre ad essere di straordinaria qualità, ha visto una stretta sinergia di tutte le persone coinvolte senza distinzioni di ruoli e di posizione giuridica. Dobbiamo ringraziare doverosamente i Gruppi di Acquisto Solidali (Gas) di Calci (Pi) e Livorno che hanno sostenuto economicamente la ristorazione in considerazione dell’importanza del convegno e di un rapporto di collaborazione con l’isola già precedentemente stabilito. L’organizzazione del convegno è stata dura e complessa, ma la soddisfazione della buona riuscita è stata grande e ci ha ripagato della fatica fatta. Da Gorgona, attraverso il convegno, inviamo un “forza e coraggio” a tutti gli Istituti Carcerari Italiani e un ideale abbraccio di solidarietà e vicinanza ai Detenuti, agli Agenti di polizia Penitenziaria, agli Operatori Civili, ai Direttori, perseguendo l’Utopia di un Carcere in cui Rispetto e Dignità non siano solo parole vuote ma realtà sostenuta da azioni concrete. Catanzaro: lo sport oltre le “sbarre”, intesa tra Coni e Casa circondariale www.catanzaroinforma.it, 22 giugno 2011 “Se lo sport è importante per ogni essere umano, per un detenuto può diventarlo ancora di più, perché chi vive in spazi limitati non può fare attività fisica, neanche una passeggiata. Quello che, però, va evidenziato, oltre al positivo aspetto motorio, è soprattutto quello di socializzazione e del rispetto del regole che lo sport impone”. Queste le parole con cui il direttore della Casa circondariale di Catanzaro, Angela Paravati, accoglie, stamattina nel suo ufficio, i testimoni della firma apposta sul protocollo di intesa stipulato tra la Casa circondariale ed il Coni, Comitato provinciale di Catanzaro. Il protocollo scaturito da una precedente convenzione tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Calabria ed il Comitato regionale Coni della Calabria, prevede una serie di impegni e di intenti che entrambi cercheranno di porre in essere per il bene degli ospiti della Casa di detenzione. “Il Coni, non può che essere soddisfatto di questo obiettivo attraverso il quale sarà possibile creare socializzazione tra persone che sono private della libertà e non hanno modo di inserirsi - spiega il presidente del Coni Catanzaro Antonio Sgromo. Lo sport, inoltre, si sa, a qualunque età è sinonimo di crescita e maturazione all’insegna di quei valori fondamentali che riesce ad infondere e che speriamo possano essere un beneficio anche per i ragazzi della casa circondariale”. Calcio, presso campo sportivo presente all’interno della Casa di detenzione in ristrutturazione, basket, pallavolo e forse bocce, grazie al supporto delle stesse federazioni, questi gli sport che si intende far praticare a chi aderirà al programma, oltre ad una serie di iniziative, che hanno il fine di aiutare i detenuti ad una più facile integrazione, quando scontata la pena, torneranno ad una vita sociale. Primi fra tutti un corso che farà ottenere loro il patentino di arbitro ed un altro che farà conseguire quello di allenatore base di calcio. Lo scopo è principalmente quello di ridurre l’ostilità ed i pregiudizi della gente, sostenendo ed aiutando ad un inserimento più facile, chi ha regolarmente scontato una condanna in un penitenziario, saldando così interamente il proprio debito con la giustizia, e che non è giusto porti per sempre un marchio che gli impedisca di integrarsi come è legittimo che sia. Televisione: in prima serata, su Rai 1, il film “L’amore proibito” Ansa, 22 giugno 2011 Su Rai 1 mercoledì 22 giugno si tinge di giallo con “L’amore proibito”, un film tv in onda in prima serata con Adriano Giannini, Claudia Zanella, Francesco Venditti e Ivano De Matteo, per la regia di Anna Negri. Firmano la sceneggiatura Andrea Purgatori e Sibilla Barbieri. Una produzione Rai Fiction realizzata da Cineteam. Una storia avvincente che coniuga le note forti del thriller con quelle rosa e più delicate del genere melò dove, in un susseguirsi continuo di colpi di scena, si dipana un’intensa vicenda d’amore nata in un carcere tra una giovane volontaria e un detenuto. Un giallo d’azione che, nelle pieghe del racconto, vuole affrontare anche un tema sociale: l’affettività nei penitenziari italiani. Tutto inizia con una rapina e un poliziotto che resta ucciso. Il bottino è un vero tesoro, si tratta di diamanti. Per quel colpo finiscono in carcere tre uomini, Valerio (Adriano Giannini), Marco (Ivano De Matteo) e Claudio (Francesco Venditti). La refurtiva però sparisce. Passano gli anni e in quel penitenziario arriva Emma (Claudia Zanella), una giovane e bella volontaria che, proprio in quel luogo di sofferenza, durante l’allestimento di uno spettacolo, s’ innamora di Valerio. Ma le cose fuori e dentro al carcere vanno man mano complicandosi. Si scopre che i diamanti, nascosti dopo la rapina, sono falsi. Nel gruppo, dunque, c’è un traditore. Ed ecco che iniziano attriti e sospetti in un crescendo di situazioni pericolose e momenti di grande suspense. Tutti contro tutti. E anche Emma, inevitabilmente, resterà travolta in un intreccio drammatico dalla fine inaspettata. Immigrazione: il Governo recepisce la Direttiva europea sui rimpatri… nel modo peggiore di Alessandro Gerardi Notizie Radicali, 22 giugno 2011 Non era difficile prevedere che il nevrotico succedersi, in questi ultimi anni, di interventi legislativi in materia di immigrazione (quasi tutti ispirati a pulsioni ideologiche grossolane) avrebbe portato ad un cattivo recepimento della Direttiva europea sui rimpatri (direttiva 2008/115/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio dei cittadini dei Paese terzi il cui soggiorno è irregolare). Eppure, come espressamente stabilito in una recente sentenza della Corte di Giustizia europea, la trasposizione delle regole comunitarie in tema di rimpatri non dovrebbe consentire, agli Stati membri, di applicare norme più severe nell’ambito che essa disciplina. Il che evidentemente importa poco o nulla al Governo (e in particolare al Ministro dell’Interno), altrimenti il Consiglio dei Ministri non avrebbe approvato, lo scorso 16 giugno, il decreto - legge recante “Disposizioni urgenti per la completa attuazione della Direttiva 2004/38/Ce e per il recepimento della Direttiva 2008/115/CE”. Ma procediamo con ordine. C’è da dire innanzitutto che la Direttiva europea in questione esprime una chiara preferenza per il “rimpatrio volontario” degli irregolari. L’allontanamento coatto - e, quindi, la possibile privazione della libertà degli extracomunitari privi del permesso di soggiorno mediante il loro trattenimento presso un CIE - è possibile solo in ipotesi residuali; ad esempio nei casi in cui allo straniero - considerato il pericolo di fuga o sussistendo motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza nazionale - non è stato concesso il termine per il rientro volontario nel proprio Paese, ovvero, se concesso, non è stato rispettato, oppure se l’allontanamento rischia di essere compromesso dal comportamento dell’interessato. Questa chiara preferenza per il rimpatrio volontario degli irregolari non risulta essere stata rispettata dal decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 16 giugno, in quanto, in esso, i presupposti per procedere all’espulsione forzata sono stati notevolmente ampliati rispetto a quanto previsto nella citata Direttiva. Il decreto legge, infatti, privilegia l’allontanamento coatto degli irregolari non solo in presenza del pericolo di fuga o per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sicurezza nazionale, ma anche in tutti i casi in cui la domanda di soggiorno presentata dall’extracomunitario risulti essere stata respinta perché manifestamente infondata (trattasi della stragrande maggioranza dei casi) o, ancora, in tutti i casi in cui lo straniero non abbia chiesto un termine per la partenza volontaria (sappiamo benissimo che molti extracomunitari non verranno mai messi a conoscenza di questa facoltà, molti parlano male l’italiano e di rado comprendono quello che viene detto loro dai pubblici funzionari). Peraltro, ove richiesto, il termine per la partenza volontaria potrà essere concesso solo se lo straniero irregolare sarà in grado di dimostrare “la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso”, altrimenti verrà attivata la procedura volta all’espulsione coatta. Ma v’è di più. Sulla base di questo decreto legge, l’esistenza del pericolo di fuga dello straniero irregolare (che, come detto, giustifica il rimpatrio volontario o il trattenimento presso i CIE) può essere desunta dal Questore anche solo dalla “mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità dello straniero di un alloggio ove poter essere agevolmente rintracciato”. In pratica, con questa disposizione, la Pubblica Autorità non dovrà dimostrare l’esistenza del pericolo di fuga, gli basterà fare riferimento alle condizioni di indigenza in cui versa l’extracomunitario (anche qui, trattasi della stragrande maggioranza dei casi, considerato che non sono molti gli extracomunitari in possesso di questo tipo di documentazione), per bloccare l’allontanamento volontario e procedere al rimpatrio forzato degli stranieri privi del permesso di soggiorno (e al loro possibile trattenimento presso i CIE per in periodo massimo di 18 mesi). La Direttiva, inoltre, stabilisce che, anche in caso di mancanza dei presupposti per procedere al rimpatrio volontario, la privazione della libertà degli irregolari mediante trattenimento all’interno dei CIE debba comunque essere sottoposta a limiti stringenti e ad un pieno ed efficace controllo giurisdizionale; deve avere durata quanto più breve possibile e deve protrarsi solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio e, soprattutto, deve essere riconducibile ad una condotta colposa dello straniero (occorre aver evitato e/o ostacolato, con il proprio comportamento, le procedure di rimpatrio). Di tutto questo non v’è traccia nel decreto - legge del Governo, il quale ha sì recepito le regole comunitarie nella parte dove si prevede la possibilità di trattenere gli immigrati irregolari dentro i Cie per un periodo massimo di 18 mesi (a fronte dei sei mesi previsti dalla normativa in vigore qui da noi), ma senza subordinare quello stesso trattenimento ai limiti stringenti richiamati in ambito europeo. Nel testo licenziato dal Consiglio dei Ministri, infatti, il trattenimento degli extracomunitari presso i Cie può essere disposto anche per motivi che nulla hanno a che vedere con eventuali condotte colpose dello straniero, ossia anche quando vi è necessità di “effettuare accertamenti sulla identità o nazionalità della persona” oppure quando occorra “acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo”; tutte circostanze che rinviano a difficoltà di natura puramente oggettiva. Che colpa ne ha l’extracomunitario se lo Stato non è diligente e non assicura immediatezza nell’espletamento delle espulsioni, magari per mancanza di risorse e personale? In nessun caso le disfunzioni dell’apparato statale dovrebbero ricadere sullo straniero, a maggior ragione quando la conseguenza sia la privazione della libertà personale. Inoltre, fra i presupposti legittimanti il trattenimento fino ad un periodo massimo di 18 mesi il decreto legge elude ogni accenno alla necessità che sia stato posto in essere il massimo sforzo possibile nell’assicurare il rimpatrio immediato, cosa invece prevista nella direttiva europea. Ma l’aspetto più sconcertante è che, diversamente da quanto suggerito dalla direttiva europea, questo decreto - legge prevede un mero controllo “formale” sui provvedimenti di trattenimento richiesti dal Questore; un controllo cioè privo di autentico carattere giurisdizionale perché affidato ad un giudice non togato (il Giudice di Pace), organo abituato ad amministrare una giustizia “minore” ed assolutamente privo di ogni competenza in punto di libertà personale. La direttiva europea invece stabilisce che il trattenimento nei Centri, soprattutto se disposto per periodi così lunghi (fino a 18 mesi! Più che per un omicidio colposo!), debba essere subordinato alla garanzia di un pieno ed efficace controllo giurisdizionale. In materia di rimpatri, insomma, il Governo non ha adottato norme conformi alla direttiva europea e ai principi che la ispirano né ha dato esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia, nel pieno rispetto della stessa. L’eventuale conversione in legge di questo provvedimento governativo esporrà quindi il nostro Paese ad una nuova procedura per infrazione (che si aggiungerebbe a quella già avviata per il ritardato recepimento) e a nuovi rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia di Lussemburgo da parte dei giudici italiani che dovessero riscontrare la non conformità delle nuove norme rispetto a quanto previsto e stabilito in sede europea. Si spera quindi che il Parlamento, chiamato a convertire in legge questo decreto entro i prossimi 60 giorni, sappia adottare scelte più meditate ed in linea con le regole comunitarie. Stati Uniti: in Texas messo a morte detenuto con ritardo mentale Adnkronos, 22 giugno 2011 È stato messo a morte la scorse notte in Texas, nonostante gli fosse stato diagnosticato un ritardo mentale e che la Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2001 ha definito anti - costituzionale l’esecuzione di detenuti con ritardi mentali. Ma tutte le corti di giudizio texane, e in ultima istanza il governatore Rick Perry che ha rifiutato la grazia, hanno ritenuto che la sentenza della Corte Suprema non si dovesse applicare a Milton Mathis - che aveva un quoziente intellettivo, secondo il Texas Department of Correction, ben inferiore a limiti del ritardo mentale - che è stato condannato a morte nel 1999, quindi prima del pronunciamento dei sommi giudici, per duplice omicidio. Così nessuno ha fermato l’esecuzione tramite iniezione letale avvenuta la scorsa notte nel famigerato braccio della morte di Hunstville. L’ultimo appello degli avvocati del 32enne a riaprire il caso non è stato accolto senza nessuna reazione da parte della Corte Suprema, e le ultime parole del condannato sono state: “il sistema mi ha abbandonato”. Stati Uniti: è malato; rapina 1 dollaro, per farsi arrestare ed essere curato in carcere Ansa, 22 giugno 2011 Più di un anno fa la tanto attesa e contestata riforma sanitaria voluta dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama è passata tra mille polemiche e tentativi di insabbiamento. La legge, che si prefigge di fornire copertura sanitaria anche a chi non ha i soldi per stipulare un’assicurazione privata, sta però incontrando mille difficoltà nella sua implementazione, a causa dell’ostruzionismo di alcuni Stati. All’interno di questo quadro incerto, si inserisce l’incredibile storia di James Verone, un disoccupato e senza assicurazione, residente in North Carolina. L’uomo, lo scorso 9 giugno, si è recato nella filiale della Royal Bank of Canada di Gastonia e, avvicinatosi alla cassiera, le ha passato un biglietto sul quale c’era scritto che era armato e che voleva un dollaro. Una richiesta abbastanza insolita per un rapinatore. L’uomo, una volta vistosi consegnare la banconota, ha detto alla cassiera di chiamare la polizia e che si sarebbe seduto ad aspettarla. Verone ha compiuto questo gesto estremo per essere arrestato e usufruire dell’assistenza medica garantita ai detenuti in carcere; inoltre, secondo la sua strategia, avendo compiuto un reato non violento, ne avrebbe potuto beneficiare anche dopo l’uscita dall’istituto detentivo. L’uomo, ora detenuto nel carcere della cittadina, non rischia più di 12 mesi di reclusione e, secondo la legge del North Carolina, quando uscirà, l’assistenza sanitaria non coprirà più le spese. Il gesto di Verone, che accusa dolori al petto, ha problemi a due dischi della colonna vertebrale e a un piede, appare comunque eclatante e non mancherà di riaccendere polemiche tra i detrattori e i fautori della riforma del sistema sanitario statunitense. Yemen: oltre 60 detenuti evasi nel sud, smentito attacco ad Al Qaeda Ansa, 22 giugno 2011 Sono più di 60 i detenuti evasi dalla prigione di Al-Mukalla, nella provincia di Hadramawt, nel sud dello Yemen: a riferirlo sono fonti mediche e della sicurezza, secondo cui i prigionieri hanno ucciso una guardia e ne hanno ferito altre due. L’evasione di massa, tuttavia, non è stata provocata da un attacco di Al Qaeda ma da una rivolta interna dei detenuti, che sono riusciti ad assumere il controllo e a sequestrare alcune armi: questa, almeno, l’ultima versione data da una fonte della sicurezza. Nel carcere si trovavano più di 100 miliziani di Al Qaeda e secondo un portavoce di alcune ong di Hadramawt, Nasser Bakazzuz, l’evasione sarebbe avvenuta con la complicità del regime yemenita: “il regime sta vivendo i suoi ultimi giorni e vuole diffondere il caos... Non c’è stato alcuno attacco di Al Qaeda”, ha affermato Bakazzuz. Bahrain: dieci condanne all’ergastolo per gli attivisti che organizzarono rivolte Aki, 22 giugno 2011 Le autorità del Bahrain hanno condannato all’ergastolo dieci attivisti, accusati di aver pianificato un golpe nei primi mesi dell’anno, nel corso delle proteste contro la monarchia. Lo riferisce l’emittente satellitare al-Jazeera, aggiungendo che altri imputati hanno avuto condanne minori, tra i due e i cinque anni di carcere.