Giustizia: di carcere si continua a morire di Marco Rigamo Global Project, 21 giugno 2011 L’Osservatorio Permanente sulle morti in carcere nel 2010 ha censito 66 casi di suicidio tra i detenuti e 7 tra i poliziotti penitenziari. I detenuti morti per motivi diversi (malattia, overdose, cause “non accertate”) sono stati 117. I tentati suicidi tra i detenuti sono stati 1.134. Dall’inizio di quest’anno si sono tolti la vita 27 detenuti e 3 poliziotti, mentre altri 54 detenuti sono morti per “cause naturali”. Lo stato di emergenza carceri è stato sancito per decreto del presidente del Consiglio il 29 marzo 2010. Ma da un anno circa non se ne sa più niente. Dal punto di vista normativo si è utilizzata la Legge 225/92, che consente di dichiarare lo stato di emergenza nazionale in presenza di situazioni che non siano riferite esclusivamente a episodi di calamità naturale, ma anche a condizioni di allarme nazionale. Il limite temporale dell’emergenza è stato fissato al 31 dicembre 2010, contestualmente confermando la nomina a commissario straordinario di Franco Ionta, il responsabile del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Ionta aveva già consegnato al guardasigilli Alfano un piano per ampliare le carceri esistenti a inizio 2009, perfezionandolo nel mese di maggio dello stesso anno con la surreale proposta delle prigioni galleggianti e la cooptazione di soggetti privati. Nel 2010 ha disposto la realizzazione di nove carceri di dimensioni ridotte nelle città maggiori (destinate ad arresti in flagranza e detenzioni brevi) per circa 220 milioni e 450 detenuti, altre otto case di reclusione in centri medi come Pordenone e Latina per 400 milioni e circa 7 mila detenuti, 600 milioni e 4 mila posti in strutture di sicurezza dislocate in grandi città e infine ampliamenti nelle carceri esistenti per altri 9-10 mila detenuti (leggi: riduzione degli spazi già esigui di socialità). Sono stati formalizzati accordi di intesa con le regioni Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sicilia. Quindi circa 20 mila nuovi posti al costo approssimato di 1, 5 miliardi di euro, Tremonti permettendo. Il piano comprende ancora l’arruolamento di 2 mila nuovi agenti di polizia penitenziaria, ma a fronte di circa 1.400 soggetti che ogni anno vanno in quiescenza. I poteri di Ionta sono stati calibrati su quelli di Bertolaso in coerenza con le linee guida di Berlusconi, che per le carceri aveva suggerito un “modello Abruzzo”. Ionta ha avuto la facoltà di nominare due “soggetti attuatori” e sottoscrivere venti contratti a termine per le attività di realizzazione del piano. Lo stesso comporta l’approvazione di un Comitato di indirizzo e controllo formato dai ministri di Giustizia, Infrastrutture e lo stesso Bertolaso. Il quale, nel frattempo, è stato però pensionato per raggiunti limiti di decenza. Ottenuta l’indubitabile approvazione si suppone che Ionta avrà avuto carta bianca: affido della progettazione, approvazione dei progetti, conferenze di servizi, pareri delle soprintendenze subordinati al sì del ministro competente entro sette giorni dalla richiesta. In sostanza mano libera nelle trattative con la pubblica amministrazione e i privati su una base di appoggio di 700 milioni, ma in un orizzonte di gestione di diversi miliardi di euro. Il tutto coperto dalla segretezza che l’emergenza e il tema prescrivono. E infatti non è dato conoscere lo stato di avanzamento del piano. Ionta viene nominato Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria il 23 gennaio 2009: a questa data i detenuti presenti erano 58.000, vale a dire 17.000 in più della capienza regolamentare. Alla data del 30 marzo 2010 i detenuti erano 67.300, vale a dire 26.300 in più della capienza regolamentare, con un trend di crescita di circa 8.000 unità all’anno. Se oggi sono circa 68.000 è solo in ragione delle diverse migliaia di soggetti sottratti al carcere in ragione degli effetti del cosiddetto “decreto svuota carceri” reso esecutivo alla fine dello scorso anno e della decadenza del reato di clandestinità. Considerato che il piano dovrebbe avere concretezza di utilizzo entro la fine del 2012 con la realizzazione di 20 mila nuovi posti l’aritmetica ci dice che sfioreremo la cifra di 80.000 detenuti per una capienza regolamentare di 61.000, con un conseguente esubero di circa 19.000 unità. Sempre, naturalmente, nell’improbabile determinazione di un completo realizzo dei progetti nei tempi previsti e con la modica spesa di 1,5 miliardi di euro. Ma la realtà è che oggi in carcere si continua a morire, sempre di più. E come sempre la temperatura estiva riaccende le proteste che si stanno espandendo a macchia d’olio in tutto il circuito penitenziario attraverso scioperi della fame, della spesa, battiture. La giornata del 26 giugno prossimo, da molte associazioni indicata come giornata contro la tortura, può essere un’occasione per rilanciare un ragionamento in opposizione alla inefficacia di scelte che vedono nella costruzione di nuovi istituti l’unico strumento deflattivo a fronte di un quadro drammaticamente insostenibile. Le somme messe a bilancio potrebbero essere viceversa destinate a politiche di inclusione e depenalizzazione, cominciando dalle sanzioni penali legate ai flussi migratori e alla circolazione delle sostanze stupefacenti che riguardano il 70 per cento della popolazione detenuta; ad alternative al reingresso in carcere, soprattutto in conseguenza delle norme che governano la recidiva; all’incentivazione del ricorso alle misure alternative; all’ampliamento della cosiddetta area penale esterna. Alla diffusione e al sostegno della figura territoriale del Garante dei detenuti; a condizioni di maggiore vivibilità degli spazi reclusi; alle tutele delle dignità e della salute. Ridurre i reati, ridurre la recidiva, ridurre la necessità del carcere, ridare alla privazione della libertà i connotati della soluzione estrema, ridimensionare la forza simbolica di espressione di comando che la sanzione penale contiene in sé: ancora una volta è questo il centro delle riflessioni Giustizia: ingiusta detenzione; ministero senza soldi, condannato dal Tar a risarcire subito di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 21 giugno 2011 Lo Stato non risarcisce in tempi ragionevoli le persone arrestate e incarcerate ingiustamente dai suoi stessi apparati. Anche per questi casi scarseggiano i soldi. I ministeri si rimpallano la competenza. L’ attesa inevitabilmente si dilata. E chi dalla giustizia penale è stato vessato deve combattere ancora, per i propri diritti. Il signor Gino L., detenuto per errore, per quasi due anni ha chiesto e richiesto a Roma la somma stabilita per lui dalla Corte d’ appello di Torino, settemila euro. Non ha avuto neanche un centesimo. Allora si è rivolto al Tar Piemonte, chiedendo di imporre al ministero di Giustizia di aprire il portafoglio. Adesso non si scappa. Gino L. dovrà essere pagato, ed entro 30 giorni, se necessario nominando e retribuendo un commissario ad acta. Il fatto che il ministero della Giustizia non abbia riserve autonome per risarcire i detenuti per errore, ma riceva uno stanziamento annuale dal ministero delle Finanze in base alle previsioni di spesa, per i giudici amministrativi non è determinante. Non deve e non può rimetterci il cittadino. “La carenza di fondi, dovuta alla particolare procedura di contabilità seguita, per costante giurisprudenza non esime l’ inadempiente ministero di Giustizia dall’onere del pagamento, né lo trasferisce ad altre amministrazioni legittimate alla provvista”. E i settemila euro, nel frattempo, sono lievitati. Il pezzo di Stato chiamato a riparare il danno si dovrà sobbarcare pure le spese processuali anticipate dal ricorrente, altri duemila euro, aggiungendo gli interessi fin qui maturati, il contributo unificato, i bolli, gli eventuali 800 euro di onorario del commissario ad acta. Giustizia: per l’amnistia Pannella a 2° giorno di sciopero sete e mobilitazione in tutta Italia Adnkronos, 21 giugno 2011 Continua a crescere la mobilitazione a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, in sciopero della fame dal 20 aprile scorso e, dalla mezzanotte di domenica anche in sciopero della sete, affinché l’Italia possa tornare a essere considerata una democrazia secondo gli standard internazionali. “Sono ormai 15 mila - spiega una nota dei Radicali - coloro che in tutta Italia hanno aderito allo sciopero della fame per chiedere una amnistia per la Repubblica, indispensabile per riportare le carceri italiane a livelli minimi di legalità e ripristinare il funzionamento di una giustizia lenta, di classe, che tiene in ostaggio un terzo, ormai, della popolazione italiana”. “Con il leader Radicale - continua la nota - digiunano detenuti di quasi tutti gli istituti di pena del Paese insieme ai loro familiari, e poi agenti di polizia penitenziaria, psicologi, avvocati dell’Unione Camere Penali, volontari, personale amministrativo e garanti dei diritti dei detenuti, oltre a personalità tra cui, da oltre due settimane, la deputata Radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione Radicale Il Detenuto Ignoto, Irene Testa”. Iniziative per l’amnistia si sono svolte, sono in corso o in programma grazie alla mobilitazione dei militanti Radicali in molte città tra cui Cagliari, Bologna, Biella, Napoli, Bolzano, Sollicciano, Padova, Potenza, Roma, Siracusa, Catania, Milano e Salerno. Sono più di 67 mila, ricordano i Radicali, i detenuti attualmente presenti nelle carceri italiane rispetto a una capienza massima di 43 mila; negli ultimi dieci anni ne sono morti 1.800, di cui 650 per suicidio, e nello stesso periodo si sono tolti la vita anche 87 suicidi agenti di polizia penitenziaria. “Lo scandalo delle nostre carceri - prosegue la nota - sempre più simili a discariche sociali dove si annidano nuclei consistenti di nuova Shoah, fa dello Stato italiano un delinquente professionale rispetto alla nostra Costituzione, al diritto europeo, internazionale, a tutte le dichiarazioni, convenzioni, trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo”. “Alla base dell’iniziativa nonviolenta - concludono i Radicali - oltre alla necessità e urgenza di affrontare la crisi della giustizia e l’emergenza del sovraffollamento carcerario, l’impossibilità per il popolo italiano di conoscere questioni centrali del nostro Paese. Il silenzio dell’informazione e l’assenza di ogni confronto democratico sulla tragedia delle nostre carceri si ripetono in ogni altra questione che interroghi la coscienza dei cittadini e richieda importanti decisioni politiche e legislative”. Pannella ricoverato per sciopero della fame… Fini lo chiama Il presidente della Camera Gianfranco Fini questa mattina ha telefonato a Marco Pannella per sincerarsi delle sue condizioni di salute e per ascoltare le ragioni della sua iniziativa nonviolenta. Lo riferisce una nota. Pannella, che dalle 18 di ieri è ricoverato in ambiente medico su richiesta fatta dai sanitari, è in sciopero della fame dallo scorso 20 aprile per protesta contro il sovraffollamento delle carceri e non beve più da oltre da 38 ore, “perché l’Italia torni in qualche misura a poter essere considerata una democrazia”. Persistendo da parte di Pannella il rifiuto di alimentarsi ed avendo per di più interrotto anche l’assunzione di liquidi, il ricovero si è confermato ieri necessario per una assidua sorveglianza clinica, stante lo stato di scarnimento generale già rilevato ieri e ai fini di un pronto trattamento di temibili complicanze. Pannella: grazie a Fini per attenzione a mia iniziativa “Ringrazio quanti manifestano attenzione, anche critica, sostegno e vicinanza, in questo importante momento, alla lotta Radicale e alla mia (dimenticando troppo spesso che siamo in tanti ad animarla ed esprimerla, anche - ma non esclusivamente - dandole letteralmente corpo, cioè innanzitutto il proprio tempo!). Voglio qui informare che ho ricevuto in mattinata una telefonata del presidente della Camera Gianfranco Fini nella quale ha testimoniato dell’attenzione e del valore che conferisce e riconosce alla mia iniziativa. Ovviamente non siamo entrati nel merito di essa, se non per un attimo. Torno a ringraziarlo anche sottolineando che, pur nel suo importante carattere formale, ciò ha confermato rapporti di dialogo e di amicizia di lunga data”. Lo afferma in una nota Marco Pannella. Giustizia: la solitudine politica di Pannella di Massimo Bordin Il Riformista, 21 giugno 2011 Come era prevedibile Pannella, dopo due mesi di sciopero della fame ha annunciato domenica che dalla mezzanotte avrebbe smesso anche di bere. La previsione, oltre che sulla coerenza di Pannella, o la sua cocciutaggine se preferite, si poteva fondare sul “pessimismo dell’intelligenza”. Lo stato indecente della giustizia e soprattutto delle carceri nel nostro paese, più volte sanzionato dalla giustizia europea, non ha smosso minimamente il governo nemmeno di fronte all’iniziativa del leader radicale. Anche l’opposizione non ha mostrato segni di vitalità al riguardo. Ma Pannella non è solo, migliaia di persone partecipano a vario titolo alla sua iniziativa, dai detenuti di quasi tutte le carceri agli avvocati dell’Unione camere penali. La solitudine di Pannella non è sociale ma politica. Come quando si trovò ad essere l’unico parlamentare europeo presente a Mosca ai funerali di Anna Politkovskaya, giornalista uccisa nella Russia di Putin. A quel funerale la gente c’era, i politici europei no. Per arrivarci Pannella si sobbarcò un lungo viaggio aereo appena uscito, in anticipo, da una clinica dove avevano dato una sistemata ai suoi 5 by-pass. Non era il modo ideale di iniziare una convalescenza. Sollevò i medici da ogni responsabilità, come ha fatto ieri, e disse che per battere la morte a volte si deve rischiare la vita. Può essere, ma basterebbe un poco di attenzione politica e istituzionale da parte di chi può esercitarla con autorevolezza per evitare di giungere a tanto. Giustizia: sindacati Polizia penitenziaria contro l’utilizzo nelle carceri di agenti in pensione Adnkronos, 21 giugno 2011 “Da oltre un anno e mezzo le organizzazioni sindacali tentano invano di mettere in guardia il ministro della Giustizia Alfano e il capo del Dap Ionta sui rischi che il protocollo di intesa stipulato con l’Anppe, un’associazione di pensionati del Corpo il cui consiglio di amministrazione è composto da dirigenti del sindacato autonomo Sappe, può comportare”. È quanto ricordano i sindacati di polizia penitenziaria Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Fp-Cgil, Ugl e Cnpp. “Oggi, prendiamo atto del fatto che la realtà ha travalicato la più tragicomica delle previsioni: tra non molto i pensionati lavoreranno al posto degli agenti della Polizia penitenziaria”. “A ribadire il concetto - osservano i sindacalisti - è arrivata una nota del provveditore regionale del Triveneto con la quale si chiarisce che si consente ad alcuni soci di collaborare e svolgere, su base volontaria ed in considerazione delle esigenze dell’istituto, incarichi, compiti e mansioni compatibili con il proprio status all’interno del penitenziario”. Chiedono i sindacati: “A quale titolo il ministro Alfano e soprattutto il capo del Dap Ionta continuano ad avallare le assurde pretese di un unico sindacato, per giunta minoritario, consentendo che dei pensionati sostituiscano colleghi ancora in servizio? Sottolineando l’incongruenza tra gli impegni assunti in merito alle nuove assunzioni e queste scelte, non possiamo che evidenziare come l’intera procedura, alla luce dalla vigente normativa, abbia profili di illegalità: scelte semplicemente inopportune e illegittime”. Giustizia: Lele Mora; prima notte in carcere…sono disorientato ma tranquillo Ansa, 21 giugno 2011 Arrestato ieri per bancarotta fraudolenta aggravata, Lele Mora sarà interrogato giovedì dal gip. I legali annunciano che risponderà ai magistrati e dicono: “Sta bene”. “Sono disorientato perché mi trovo qui ma sono tranquillo” ha detto Lele Mora ai suoi legali che sono andati a trovarlo nel carcere di Opera dove ha trascorso la sua prima notte da detenuto in modo tranquillo. Lele Mora, accusato di bancarotta fraudolenta aggravata, “non si aspettava” di finire in carcere hanno spiegato i suoi avvocati Nicola Avanzi e Luca Giuliante, arrivati in Tribunale a Milano per parlare con il pm Eugenio Fusco che, con il collega Massimiliano Carducci ,coordina le indagini. L’interrogatorio di garanzia davanti al gip Fabio Antezza è fissato per giovedì. Lele Mora “ha intenzione di rispondere alle domande del gip”, hanno chiarito i due avvocati, aggiungendo che “è tranquillo ed ha le idee chiare”. I legali hanno anche spiegato che non presenteranno al momento alcuna istanza di attenuazione della misura per l’agente dei vip per questione di salute. Gli avvocati, inoltre, hanno chiarito che molto probabilmente non presenteranno istanze di scarcerazione o di domiciliari giovedì prossimo, quando Mora verrà ascoltato dal gip. Secondo gli avvocati, infatti, in questa fase bisogna prima “chiarire i passaggi più importanti delle contestazioni”, attraverso le risposte che Mora darà al gip, e poi “fornire e attendere dei riscontri”. Solo in una terza fase, sempre secondo i legali, si potrà ragionare sull’ attenuazione della misura. Il legale è poi tornato sulla questione delle rogatorie “accese” dai pm: “Se ci sono soldi - ha chiarito - certamente rientreranno, ma l’esistenza di quei soldi non significa che siano stati per forza sottratti alla sua società”. Se verranno rintracciati, comunque, ha aggiunto, “verranno spesi per i risarcimenti e per la situazione della Lm management”, fallita. Lettere: caro Marco, sarebbe bello se tu, alle cinque della sera… di Adriano Sofri Il Foglio, 21 giugno 2011 Caro Marco Pannella, non solo stai digiunando - con breve interruzione - da quasi due mesi, ma ora hai cominciato uno sciopero della sete. Nonostante questa enormità, pressoché nessuno nei mezzi di informazione mostra di accorgersene. Però, quasi nemmeno io - ne scrissi essenzialmente per confermarti la mia preoccupazione e il mio dissenso da imprese così estreme. Eppure, quanto al cuore della tua impresa, la condizione umana nelle nostre galere, io ne sono tormentato almeno quanto te. E allora? Allora proverò a dirti, con la franchezza e l’affetto che provo per te, e che si nutrono l’una dell’altro, che cosa suona singolare o senz’altro inaccettabile nella tua scelta. Intanto, un intreccio irrisolto fra due propositi della tua lotta. Uno è di risollevare l’attenzione sulla questione dell’amnistia, restata sospesa al tempo della campagna demagogica e forcaiola contro l’indulto, di cui sarebbe stata l’ovvio e necessario complemento, e poi divenuta un tabù per l’universale (con poche eccezioni, per esempio Stefano Rodotà) ipocrisia di pubblici ufficiali e sottufficiali. Proposito nobile, fondato e ragionevole, di cui resta però da considerare la ragionevolezza del mezzo scelto per perseguirlo, l’oltranzismo di fame e sete. L’altro proposito è quello di ottenere che l’Italia “torni a potere in qualche misura essere considerata una democrazia”. Ora, anche ammesso che l’Italia non possa essere annoverata fra le democrazie (io penso di sì, non solo per l’imperfezione che alle democrazie è connaturata, e benché l’italiana sia peculiarmente insidiata dalla prepotenza e dal ridicolo), l’intento di ripristinare una misura democratica eccede inevitabilmente lo sciopero della fame e della sete di uno e anche di mille, a meno che da lotta per un fine si tramuti in protesta, che è ciò che tu neghi e allontani da te, e comunque non potrebbe praticare altro oltranzismo che quello della testimonianza. Come darsi fuoco, più o meno: nobile atto, e magari imprevedibilmente foriero di conseguenze, ma estraneo alla tua consapevole e meditata nonviolenza. Dunque chi volesse riferire il fine del tuo sciopero dovrebbe più o meno dire che vuoi un’amnistia che ripristini una soglia minima di umanità carceraria e di normalità nella funzione della giustizia, e anche l’instaurazione di una democrazia, oggi - e da sempre - violata e negata dalla repubblica dei partiti. È strano che tu non veda la sproporzione e l’incongruenza della cosa. E quando il benintenzionato cronista della tua iniziativa volesse approfondirne le motivazioni, si troverebbe davanti, come ieri, a un tuo scritto che dichiara che il tuo bersaglio è “l’associazione per delinquere (in termini giuridici e non morali) partitocratica che continua con una capacità violenta immensamente aggravata rispetto a quella dei decenni del secolo precedente, fascista, nazista, comunista, militarista, fondamentalista”, e si stropiccerebbe gli occhi - così sto facendo io. Una violenza immensamente aggravata rispetto a quella fascista, nazista, comunista, militarista, fondamentalista? Qui le parole ti hanno preso la mano, e mi chiedo se sia il rincaro delle parole a sospingere quello della tua lotta, o il desiderio di rincarare fino al limite estremo la tua lotta della fame e della sete a indurti a quell’azzardo di parole. Di cui trovo altri esempi, sui quali non occorre indugiare qui. Nei tuoi discorsi, che continuo ad ascoltare fraternamente, sento un’amarezza e una solitudine di cui soffri e insieme ti compiaci, e insomma ti fai forza, rievocando ancora una volta l’intera storia radicale, del partito più antico d’Italia, come se fosse messa a repentaglio, perfino nella memoria e soprattutto nella sopravvivenza efficace, in questa stretta coda di pesce del tuo digiuno. E come se, escluso dal legame con “gli italiani” che ti figuri del tuo stesso sentire, se solo non fosse loro fraudolentemente inibita la conoscenza del tuo programma, ti restasse - ma ancora per pochissimo, temo - un solo interlocutore adeguato, il presidente Napolitano, che chiami senza maiuscole né ironia “il migliore”, ma come presumendo che voglia e comunque possa riconoscere la buona ragione del tuo esilio interno, amnistia e assenza di democrazia e violenza immensamente peggiore che nel nazifascismo e nel comunismo. E se no, prendere congedo anche da lui. Perché allora ti sto scrivendo, pur sapendo per certo di non esercitare alcuna influenza sulla tua decisione (non perché dubiti della tua amicizia, o pensi che ne dubiti tu)? Perché almeno, a mio modo, mi preme di renderti un riconoscimento sostanziale (non ho scritto riconoscenza, che è altra cosa, buonissima del resto) che va al di là, o al di qua se vuoi, delle tue motivazioni esplicite e del vicolo cieco in cui hai tanta voglia di sprofondarti. E il medesimo riconoscimento dovrebbero, penso, renderti anche coloro i quali non abbiano per te la stessa amicizia, non abbiano fatto tanta strada senza perdersi di vista, e semplicemente trovino l’intelligenza per leggere dietro le parole una tua simpatia antica e immutata per la verità e la giustizia, quella che anche quando tutto si faccia opaco e intricato induce a riparare nei luoghi in cui l’umanità è offesa, e le celle di carcere sono uno, tra i più osceni, di quei luoghi, e tu e i tuoi non avete mai smesso di andare a cercarvi un’aria respirabile. Troverei bellissimo che tu, oggi pomeriggio alle cinque, ora piena di desideri, bevessi un bicchiere d’acqua. Lo troverei un segno di forza, un punto in favore dell’amnistia, e un atto generoso verso tutti. Chi lo merita e chi no: tu lo meriti. Lettere: il digiuno fi Pannella e la giusta domanda di Gianni Gennari di “Avvenire” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 21 giugno 2011 Gianni Gennari, è titolare di una rubrica quotidiana su “Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani. Si firma “Rosso malpelo”; ma con la sua nota del 17 giugno scorso (“Carcerati fratelli non solo di Marco Pannella”), si rivela soprattutto di “buon pelo”. Pone una domanda, Malpelo, quella giusta: a fronte della quotidiana barbarie che si consuma nelle carceri italiane, “è giusto che paia pensarci solo Pannella?”. Per quello che si crede di conoscere Pannella, si può sostenere che lui per primo sarebbe felice e appagato se a pensarci ci fossero anche altri, che invece sembrano assistere indifferenti se non infastiditi al suo tentativo di ricordarci una situazione che è intollerabile. E che la situazione sia tale, lo dicono le cifre ufficiali: Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane sono morti 1.800 detenuti di cui ben 650 per suicidio. Nello stesso periodo di tempo si sono uccisi anche 87 agenti di polizia penitenziaria. Nelle nostre prigioni sono stipati poco meno di 70mila detenuti in luogo dei 44mila. Nel solo 2010 ben 1.137 detenuti hanno tentato di togliersi la vita. Gli atti di autolesionismo sono stati 5.703; 3.039 i ferimenti. Le carceri italiane sono un enorme discarica sociale e umana: almeno un terzo di detenuti in attesa di giudizio; oltre la metà in carcere per reati legati all’immigrazione clandestina o per violazione della legge sulle tossicodipendenze. Contemporaneamente ogni anno circa 150mila processi anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Nel 2008 sono stati prescritti 154.665 procedimenti; nel 2009 altri 143.825; nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno letteralmente in fumo. Sono le cifre di un’amnistia che viene tranquillamente accettata, e massimamente da quelli che reagiscono da tarantolati ogni volta che di amnistia sentono parlare. Sono tante le cose che dividono e contrappongono i radicali a quella parte di mondo cattolico che “Avvenire” rappresenta. Ma è vero, al tempo stesso, che i radicali più di tanti altri con il variegatissimo mondo cattolico sono, e sono stati in sintonia - ci si perdoni la presunzione - più dello stesso “Avvenire”. Ma anche, volendo, con le gerarchie: è stato così quando si denunciò l’abominio dello sterminio per fame nel mondo, o per restare all’oggi, quando ci si occupa di carcere o di migranti. Ci sono una quantità di persone, gruppi di volontariato, associazioni cattoliche che in silenzio, quotidianamente si impegnano per rendere più accettabile, dignitosa e umana la situazione delle carceri. Persone e impegno trascurati dai grandi mezzi di comunicazione, che - al pari di Pannella, dei radicali - non hanno voce, sono silenziati. La tentazione è quella di fare una proposta a Malpelo, ad “Avvenire”: cominciamo allora da qui, a chiedere che i silenziati possano avere voce, possano essere conosciuti, apprezzati. Pannella propone l’amnistia. Se altri hanno di meglio da offrire, si facciano avanti. Quello che però non è tollerabile è il silenzio, l’indifferenza. Se ci si riuscirà, quel Giovanni Paolo II che giustamente Malpelo ricorda come fu applaudito dall’assemblea dei parlamentari quando invocò un gesto di clemenza, sarà lui, ovunque si trovi, questa volta ad applaudire, e sorridere compiaciuto. Lettere: il ministro Maroni e… il Partito Democratico di Susanna Marietti Carta, 21 giugno 2011 Delle vite delle persone a questo governo, dicevamo la scorsa settimana, importa ben poco. Come se non fossero delle individualità, delle unicità, con tutto quel carico relazionale, intellettuale, emotivo, sociale che ogni singola esistenza si porta dietro. Come fossero soltanto degli ammassi: l’ammasso dei clandestini, l’ammasso dei drogati, l’ammasso dei recidivi. Questi i tre ammassi che oggi più riempiono le patrie galere. Con il decreto approvato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri si cambia qualche regola sull’ammasso dei clandestini. In peggio, naturalmente. Ma cosa ce ne importa? Sempre di un ammasso si tratta! Espulsione immediata, allora, per lui. Tutto insieme, tutto ammassato. Mica si guarda al signore tunisino di cui abbiamo raccontato, che era venuto in Italia a lavorare onestamente e a farsi una vita. La sua unica, irripetibile vita. Mica si guarda alle tante altre situazioni analoghe che affollano il nostro sistema penale e penitenziario. Nel Cie ci si stava fino a sei mesi. Adesso, voilà, basta una firma e quell’ammasso può restarci fino a diciotto. Les jeux sont fait! E lo abbiamo visto tutti come si vive dentro un Cie, anche se un tantino abbiamo girato la testa dall’altra parte. Diciotto mesi, diciotto volte trenta giorni, senza aver commesso alcun reato. Solo per la firma di Roberto Maroni. Lo stesso Maroni che è stato applaudito alla conferenza sulla sicurezza del Partito Democratico. Finire in un Cie significa finire preda del far west. Le carceri prevedono, formalmente e in vari casi anche sostanzialmente, una serie di strumenti a tutela dei diritti umani che per i Cie non sono mai stati normati. Lì non c’è magistratura di sorveglianza (giacché non c’è magistratura di sorta), non c’è reclamo, non c’è ordinamento né regolamento. Diciotto mesi là dentro da innocente sono un’eternità. Et voilà, monsieur le ministre! Saluti anche al Pd! Puglia: Marino (Pd) a presidente del Consiglio regionale; subito nomina Garante detenuti Asca, 21 giugno 2011 Il consigliere del Pd alla Regione Puglia, Dino Marino, ha indirizzato al presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, una lettera aperta in cui chiede la convocazione del consiglio “per dare una prima risposta alla condizione dei detenuti in Puglia” attraverso l’elezione del Garante dei detenuti. “Il Presidente Vendola - si legge nella lettera - a una domanda sulla riforma della Giustizia ha risposto che il vero problema della Giustizia italiana sono i settantamila detenuti. Vero. L’Italia è il paese europeo che ha avuto l’aumento più consistente di popolazione carceraria dal 2007 a oggi. Secondo i dati del ministero della Giustizia a fine 2010 erano ristretti nelle patrie galere 67.961 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 45.022 posti”. “La Puglia - scrive Marino - è ai primi posti nella classifica del sovraffollamento. Nelle carceri pugliesi ci sono almeno 4.449 detenuti, 2.000 oltre la capienza naturale secondo i dati di marzo. Sono comunque 600 in più della soglia del tollerabile. Tra il 2010 e il 2011 sono circa una dozzina i detenuti che si sono tolti la vita o sono morti per cause da accertare o naturali nelle carceri pugliesi. Nel carcere di Lecce c’è una vera e propria emergenza carceraria. In quel penitenziario sono reclusi circa 1.600 detenuti ammassati in spazi che, a norma di regolamento, potrebbero ospitarne almeno 600”. “La giustizia europea - spiega Marino nella lettera - ha condannato l’Italia perché un detenuto bosniaco aveva a disposizione circa 3 metri quadrati, questa metratura procapite per detenuto purtroppo in Puglia risulta essere una chimera. Il mese scorso con quattro sedute della commissione Sanità, abbiamo concluso tutto l’iter per la procedura di individuazione del Garante dei Detenuti. Dal 24 maggio scorso è tutto pronto la nomina del Garante può essere iscritta all’ordine del giorno del Consiglio Regionale, purtroppo ciò ancora non avviene”. Livorno: negata sospensione della pena, detenuto calabrese di 38 anni muore all’ospedale La Gazzetta del Sud, 21 giugno 2011 L’ultimo sorriso del capo ieri pomeriggio in un ospedale di Livorno, dov’era stato ricoverato una manciata di giorni addietro ormai in fin di vita. Michele Bruni, 38 anni, s’è spento da detenuto. Nonostante le richieste degli avvocati Rossana Cribari e Nicola Rendace, che insistevano sull’incompatibilità del suo stato di salute con la detenzione, il gip di Catanzaro non aveva ancora reso nota la decisione. Bruni, per tutti Michele ‘i Bella Bella, era perciò rimasto sotto stretta sorveglianza nel reparto di Rianimazione dove alle 16.30 ha esalato l’ultimo respiro, stremato da un male incurabile che lo ha ucciso in poche settimane. Era finito dentro per l’ordinanza di custodia cautelare della maxi operazione “Telesis” con cui nei mesi passati la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha sgominato il clan Bella Bella con quarantanove ordinanze di custodia cautelare emesse anzitutto nei confronti dei fratelli Bruni: Luca, Fabio e, appunto, Michele. Nei giorni scorsi, però, con due diverse decisioni, la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio ad altra sezione del Tribunale della libertà di Catanzaro il provvedimento cautelare in cui era contestato ai tre il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. La Suprema Corte aveva accolto per tutti e tre il ricorso degli avvocati Rossana Cribari, Nicola Rendace e Luca Acciardi. Michele, quindi, era rimasto detenuto solo per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Bella Bella junior era considerato il capo indiscusso del clan che alla fine degli anni Novanta era stato messo in piedi dal padre Francesco con un lungo a paziente lavoro di affiliazione. Molti dei famigliari di Bruni erano da tempo a Livorno, da quando era stato trasferito dal penitenziario e ricoverato d’urgenza in ospedale. Ieri, dopo la notizia della morte, altri hanno raggiunto la cittadina toscana. Domani torneranno tutti in città perché alle 12 in Duomo si svolgeranno i funerali. Punti cruciali del suo passato personale e giudiziario sono nel 2000 la fuga da una casa di cura catanzarese dov’era ricoverato, e nel 2010 l’assoluzione per l’omicidio di Antonio Paese avvenuto nel luglio ‘91 in città: le accuse nei confronti di Bella Bella sono crollate al termine del processo Missing. Lo accusava Erminio Munno, Erminiuzzo, il vecchio amico cresciuto in casa Bruni, che negli anni Novanta decise di cambiare vita cominciando a collaborare con la magistratura, accusandosi e accusando Michele del delitto Paese per il quale Munno è stato condannato con sentenza definitiva a otto anni di reclusione. Movimento Diritti Civili: pagina nera della giustizia italiana Il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, interviene, dopo la morte del giovane detenuto cosentino Michele Bruni, di 37 anni, deceduto in ospedale a Livorno, città dove era recluso, del quale per "giorni avevo denunciato le sue disperate condizioni di salute ' e chiesto la scarcerazione, 'come un atto di giustizia giusta e umana, di pietà cristiana". Corbelli, nella nota, esprime grande sdegno per quella che definisce una pagina nera della giustizia italiana, un fatto indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto. Esprimo tutta la mia indignazione per una giustizia che nel caso di Michele Bruni ha mostrato il suo volto feroce, ha dimostrato di non essere nè giusta nè umana. Sono stati calpestati i diritti elementari e fondamentali di una persona in fin di vita. Per molti giorni, dopo aver ricevuto la telefonata di un familiare del giovane detenuto, ho, da solo, insieme ai congiunti e ai legali del Bruni, denunciato e gridato che il Bruni era in fin di vita. Ho chiesto, invocato per lui un atto di giustizia, di umanità, di pietà cristiana. I miei accorati appelli sono purtroppo caduti nel vuoto. Mi vergogno come cittadino italiano di una Giustizia che impedisce ad un detenuto morente di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita a casa, accanto al suo bambino anche lui molto malato". Matera: protesta dei radicali contro il sovraffollamento del carcere Ansa, 21 giugno 2011 Per sollecitare il dibattito in Parlamento sulla questione del sovraffollamento nelle carceri e l’adozione di provvedimenti di amnistia, che consentano di migliorare la vivibilità degli istituti di pena, un gruppo di attivisti del Partito radicale di Basilicata, guidato dal segretario regionale Maurizio Bolognetti, ha manifestato oggi davanti alla casa circondariale di Matera. L’iniziativa si svolge a sostegno dello sciopero della fame e della sete portato avanti dal leader radicale Marco Pannella e sostenuto da associazioni, reclusi, agenti e Camere penali. “C’è - ha detto Bolognetti - un tradimento dell’articolo 27 della Costituzione. A chi storce il naso sulla nostra richiesta di amnistia citiamo i dati sui procedimenti prescritti, che lo scorso anno sono stati 170 mila. Ma non si tratta di reati che riguardano tossicodipendenti o immigrati clandestini detenuti, ma altro. In Italia, pertanto, c’è una amnistia clandestina e di classe. Vogliamo che si adotti il provvedimento e che venga inserito nell’agenda del Parlamento per consentire alle carceri di funzionare meglio e di restituire condizioni di vivibilità ad agenti e detenuti”. Bolognetti ha fornito i dati sulle conseguenze del sovraffollamento nelle 206 carceri italiane, dove sono ristretti 68 mila detenuti a fronte di una disponibilità di 44 mila posti. Dal 2000 a oggi sono morti 1.800 detenuti, 650 dei quali si sono suicidati. Nel decennio trascorso si sono verificati 87 suicidi tra gli agenti. Quanto alla situazione del carcere di Matera, Bolognetti ha detto che al momento non vi sono situazioni di sovraffollamento, ma - secondo i Radicali - resta “precaria” la situazione dell’assistenza sanitaria. Padova: associazione chiede utilizzo detenuti per restauro mura degradate, zero risposte Il Mattino di Padova, 21 giugno 2011 Utilizzare i detenuti del carcere Due Palazzi per interventi di manutenzione sulle mura del Cinquecento. L’idea, da anni portata avanti dagli Amissi del Piovego, non fa però breccia nell’amministrazione comunale, almeno per ora. Il ragionamento degli Amissi è di per sé semplice: uno dei problemi della cinta muraria è quello della vegetazione incolta che ogni anno cresce. Non certo un fenomeno da sottovalutare: le radici delle piante, infatti, se non controllate possono contribuire in maniera pesante a minare la stabilità di alcune parti della cinta muraria, soprattutto quelle già colpite da infiltrazioni e passare del tempo. Per farlo si potrebbero quindi usare i detenuti, aiutandoli anche nel loro programma di reinserimento utilizzandoli per un’attività necessaria per la città. “Gli Amissi del Piovego fin dal 2009 hanno proposto all’Assessore ai Lavori pubblici Luisa Boldrin di coinvolgere i detenuti del carcere Due Palazzi di Padova in regime di semilibertà, tramite della cooperativa sociale AltraCittà, per formarli ed occuparli nella manutenzione ordinaria della cerchia muraria cinquecentesca - fa sapere in una nota Maurizio Ulliana, presidente degli Amissi del Piovego. È opera di rieducazione del condannato e reinserimento sociale, previsto dalla Costituzione, e di simbolico risarcimento del patrimonio comune. L’ultima richiesta al Comune, in ordine di tempo è del maggio 2011”. Per ora però non è arrivato l’ok da parte dell’assessore Boldrin. “Ci ha mandato una mail nella quale ci spiegava che questo tipo di lavoro può essere fatto solo da personale specializzato” conferma Ulliana. Un aspetto che però è stato preso in considerazione anche dagli Amissi del Piovego. “La nostra proposta infatti prevedeva un corso specialistico presso la scuola edile di Padova - conclude Ulliana - e l’inserimento dei detenuti partecipanti in affiancamento delle imprese incaricate alla manutenzione ordinaria e rimozione vegetazione spontanea annuali delle mura del Cinquecento”. Proprio in questi giorni, per motivi di sicurezza, il bastione Santa Croce è stato chiuso al pubblico (potrebbe cadere qualche calcinaccio o pietra) e i lavori programmati per l’anno prossimo, causa mancanza di risorse economiche. Porto Azzurro (Li): detenuto tenta di impiccarsi alle sbarre, lo salvano gli agenti Il Tirreno, 21 giugno 2011 Ha tentato di togliersi la vita improvvisando con alcuni lacci un cappio legato alle sbarre della propria cella. Ma fortunatamente il personale della polizia penitenziaria in quel momento in servizio è intervenuto in tempo scongiurando che il detenuto portasse a compimento il suo gesto estremo. È il secondo caso del genere in poco più di un mese. L’episodio risale al tardo pomeriggio di sabato. Protagonista del tentato suicidio un giovane detenuto di origini nordafricane. Forse la disperazione lo ha portato a progettare la propria morte e solo grazie agli agenti di Porto Azzurro è ancora vivo. Gli agenti della penitenziaria hanno soccorso il giovane insieme al personale medico di turno in carcere. Con un’ambulanza del 118 il detenuto è stato immediatamente scortato in ospedale dove è stato sottoposto ai necessari accertamenti e dal quale è stato dimesso alcune ore più tardi. Viterbo: carcere di Mammagialla; il direttore se va, l’Ugl preoccupata Viterbo News, 21 giugno 2011 Il personale, che presta servizio al carcere di Mammagialla, si è svegliato, l’altro ieri, senza direttore. L’Ugl Polizia Penitenziaria, nel salutarlo, si congratula con il dottor D’Andria, per il nuovo, improvviso e prestigioso incarico acquisito presso gli uffici dipartimentali di Roma. Purtroppo, però, deve sottolineare che questo trasferimento, lascia l’istituto Viterbese senza alcuna figura dirigenziale chissà per quanto tempo. E ciò accade in un periodo particolare, stante la recente “protesta pacifica” fatta dai detenuti ivi ristretti, e la richiesta fatta da tutte le sigle sindacali di un incontro con il prefetto di Viterbo, per esporre le problematiche urgenti in tema di sovraffollamento e di grave carenza del personale di custodia. Rammenta anche, che il periodo estivo è considerato come un “amplificatore delle problematiche esistenti”?, e confida in un rapido incarico permanente di almeno un’altra figura dirigenziale. Firenze: detenuti in scena con “Odissea, ovvero storia di Ulisse, immigrato clandestino” Dire, 21 giugno 2011 Il 22 e 23 giugno, nel carcere di Sollicciano, in scena la rappresentazione curata dall’Associazione Krill Teatro. 20 detenuti nordafricani che mettono in scena l’Odissea, intesa come la storia di Ulisse, “un immigrato clandestino”. Una pièce teatrale che verrà rappresentata domani ed il 23 giugno al carcere fiorentino di Sollicciano e che vede gli interpreti protagonisti del racconto trasporre in scena la loro storia. In Odissea, ovvero storia di Ulisse, immigrato clandestino dell’eroe omerico poco è rimasto perché sul palcoscenico a farla da padrone sono le loro storie personali di migranti in fuga con un pugno di speranze in tasca, speranze oggi tristemente infrante e relegate tra le quattro mura di una cella. Khaled, Naucer, Remzi, Wahid e gli altri le hanno raccontate, la regista Elisa Taddei dell’Associazione Krill Teatro le ha “cucite” insieme, ha impartito il ritmo, cesellando qua e là. Hanno lavorato circa un anno per l’allestimento dopo aver selezionato, tra la valanga di richieste di partecipazione da parte dei detenuti - oltre 170 - i venti protagonisti. “Non è stato difficile ed è stato talvolta molto emozionante - ha spiegato la regista - per i partecipanti dare senso a ciò che lentamente veniva fuori nel corso delle prove. Lo spettacolo è composto di storie drammatiche e toccanti, come quella di un giovane nordafricano che a 14 anni ha lasciato il suo Paese, si è nascosto nella stiva di una nave e ha affrontato il lungo viaggio verso l’Italia. Durante le prove, tra l’altro, gli sbarchi di Lampedusa hanno portato gli stessi attori ad emozionarsi fortemente attualizzando quello spettacolo la cui trama era già tracciata”. Libri: “Materiali Dispersi. Storie dal manicomio criminale”, di Adolfo Ferraro www.monitor.it, 21 giugno 2011 Gli Opg sono uno dei buchi oscuri delle istituzioni totali italiane nonché i residui di una concezione autoritaria della risoluzione dei delitti e dello scontare delle pene. Adolfo Ferraro, attuale direttore sanitario dell’Opg di Aversa, ha scritto “Materiali Dispersi. Storie dal manicomio criminale” (Tullio Pironti Editore, 2011), un inventario, una sorta di mappa di individualità, che accompagna il lettore nelle storie sommerse e recintate dalle mura del manicomio criminale. Le narrazioni raccolte da Ferraro sono articolate in tre categorie: le tragedie, i delitti e le vite brevi. A ciascuna delle categorie corrispondono delle storie individuali che attraversano, oltre che la storia del manicomio, la storia complessiva del paese. O forse sarebbe meglio dire quella storia oscura, sotterranea e subalterna di cui non si ritrova traccia nella storia generale. Tra le “tragedie” si trovano il boia, un vecchio detenuto corpulento e canuto che nella sua giovinezza è stato un repubblichino agli ordini del principe Borghese per poi diventare un militante di quell’Ordine Nuovo spina dorsale della strategia della tensione che ha funestato la storia recente d’Italia. La sua è la storia di un assassino di partigiani e di una bella e giovane donna croata da lui amata che l’aveva più volte tradito. La vicenda è sorprendentemente un possibile lampo di luce sulle responsabilità della prima strage di stato, quella di Piazza Fontana a Milano del dicembre 1969. I dettagli non li sveliamo, per non sottrarre al lettore il piacere/diritto alla suspence, principio che vale anche per quanto segue. Si incontra anche la storia del direttore di Aversa (dal 1964 al 1978!) Domenico Ragozzino, che trasformò l’Opg di Aversa simultaneamente in un lager per diseredati e in un hotel di lusso per boss e gregari della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Tra i “delitti” si trovano le storie di assassini inconsapevoli, di donne e uomini miti diventati serial killer in seguito a infinitesimali casi, circostanze e complicazioni della vita. L’ultima sezione dedicata alle “vite brevi” è l’inventario di sofferenze minime trasformatesi in tragedie che hanno sconvolto la vita di più persone. Il libro è un contributo significativo alla letteratura sulle istituzioni totali, soprattutto perché, nonostante una decisa componente autoriale, le voci che emergono sono quelle dei “soggetti pericolosi”, quelle vite infami di solito relegate nel silenzio e segnate dal pregiudizio della società legittima. I racconti di Ferraro restituiscono ai diseredati lo spessore di personalità sofferenti e, in una certa misura, di soggettività consapevoli. L’affresco - ibrido tra narrazione e documentazione - che fuoriesce del volume rende giustizia alla complessità delle storie. Iran: rilasciato giornalista Baqi, era in sciopero della fame nel carcere di Evin Aki, 21 giugno 2011 È stato rilasciato giornalista riformista iraniano, nonché attivista per i diritti umani, Emadeddin Baqi. Lo ha reso noto Mohammad Saleh Nikbakht, avvocato del giornalista, spiegando che il suo assistito è stato liberato ieri senza alcuna richiesta di cauzione. Baqi era tra i prigionieri politici che da alcuni giorni avevano iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta per la morte sospetta del giornalista dissidente Hoda Saber. Baqi era recluso nel carcere di Evin dallo scorso novembre. Negli ultimi dieci anni, a causa del suo lavoro da giornalista e dell’attenzione per il tema dei diritti umani, ha trascorso diversi anni in carcere. La magistratura iraniana lo aveva condannato nel 2010 a sei anni di reclusione per aver intervistato il grande ayatollah dissidente Hossein Ali Montazeri. L’intervista di Baqi era stata trasmessa dal canale televisivo della Bbc persiana, suscitando la dura reazione del fronte ultraconservatore. Baqi, intellettuale di spicco del fronte riformista, è anche fondatore dell’Associazione Nazionale per la difesa dei detenuti. Siria: il Presidente Assad concede una nuova amnistia generale Asca, 21 giugno 2011 Il presidente siriano Bashar al-Assad ha concesso una nuova amnistia generale per coloro che si trovano nelle carceri siriane per crimini commessi fino al 20 giugno 2011. Lo ha reso noto l’agenzia di Stato Sana. “Il presidente Assad ha emesso un decreto con il quale ha concesso una amnistia generale per i crimini commessi prima del 20 giugno 2011”, spiega l’agenzia Sana senza rilasciare ulteriori dettagli. Il presidente aveva già ordinato un’altra amnistia il 31 maggio scorso per tutti i prigionieri politici, tra cui i membri dei Fratelli musulmani. Con questo decreto, secondo i gruppi che si occupano di diritti umani in Siria, vennero rilasciati centinaia di detenuti. Tunisia: ex presidente Ben Ali condannato a 35 anni per appropriazione denaro pubblico Adnkronos, 21 giugno 2011 La sentenza rapida emessa nei confronti dell’ex presidente tunisino Zine el Abidine Ben Ali è altamente politicizzata e contraria ai criteri necessari per un processo leale. Lo ha dichiarato uno dei cinque avvocati nominati d’ufficio per difendere l’ex leader tunisino, Akram Azoury, che all’agenzia di stampa Xinhua ha confessato che è la prima volta che vede un processo così rapido, come una corsa di “Formula 1”. Ieri il Tribunale di Tunisi ha condannato ieri Ben Ali in contumacia a 35 anni di carcere per appropriazione indebita di denaro pubblico. Il verdetto è stato emesso dalla corte dopo sole sei ore di camera di consiglio nel primo giorno del processo. Solo a due dei cinque avvocati nominati d’ufficio è stato concesso di esporre la difesa di Ben Ali. Per questo la sentenza ‘viola tutti i criteri internazionali di un processo onesto - ha detto Azoury - Non penso sarà riconosciuto da alcun Paese stranierò. Ben Ali ha lasciato la Tunisia insieme alla famiglia il 14 gennaio scorso, quando ha lasciato la presidenza, dopo 23 anni al potere, in seguito a una rivolta popolare. Australia: Commissione parlamentare; il 25% dei carcerati sono aborigeni, crisi nazionale Ansa, 21 giugno 2011 Una commissione parlamentare in Australia ha denunciato come vergognosa e ha definito crisi nazionale l’eccessiva presenza di aborigeni in carcere, in particolare dei giovani, che hanno una probabilità 28 volte superiore ai coetanei non indigeni di finire dietro le sbarre, raggiungendo il 59% della popolazione carceraria giovanile. Secondo il rapporto presentato oggi, gli aborigeni rappresentano il 2,5% della popolazione ma ben il 25% dei carcerati. A 20 anni dalla commissione reale d’inchiesta sulle morti di aborigeni in detenzione, i parlamentari chiedono che si cerchi di sapere perché il bilancio si è drammaticamente aggravato malgrado le riforme raccomandate allora, e parla di disfunzione intergenerazionale. Numerosi giovani aborigeni sono esposti a violenza familiare, alcolismo e droghe, a cattive condizioni sanitarie e di alloggio, a scarsa scolarizzazione e formazione professionale e a mancanza di offerte di lavoro. La commissione presenta 40 ampie raccomandazioni, fra cui migliore addestramento della polizia, incentivi per la frequenza a scuola e introduzione di programmi di mentoring. Raccomanda inoltre che i bambini e i detenuti siano sottoposti a test dell’udito, dato che il 40% degli aborigeni urbani e il 70% nell’Australia rurale hanno perdite di udito, una disabilità che li mette a rischio nei contatti con la polizia, quando ad esempio non rispondono alle domande e causano sospetti.