Niente spesa, siamo tutti più poveri Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 In occasione dello sciopero della fame che Marco Pannella sta facendo per denunciare le condizioni disumane delle carceri sovraffollate, e chiedere un’amnistia generale, i detenuti della Casa di Reclusione di Padova hanno promosso un’iniziativa comune, assolutamente nello spirito della non violenza caro a Pannella, ma anche a tutti noi: l’astensione dalla spesa per due settimane, a partire dal 20 giugno. Tale iniziativa si pone come obiettivo quello di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione di degrado e di povertà in cui versano le carceri oggi. Il messaggio che vogliamo trasmettere è: se anche nella Casa di Reclusione di Padova, che è ritenuta una delle carceri migliori in Italia, c’è una situazione difficile, nel resto del Paese le condizioni di vita dei detenuti sono al limite della disumanità. Al Partito Radicale è stata già data notizia di questa iniziativa e a breve intendiamo inviare un documento con la richiesta di pubblicizzare le nostre rivendicazioni a tutti i livelli della vita politica e sociale di questo Paese. Ma astenersi dalla spesa è anche dimostrazione di solidarietà tra detenuti. Questa è un’occasione per quei detenuti che, grazie alla disponibilità economica, possono vivere il carcere in condizioni più accettabili, per fare un atto di sacrificio e dimostrare di essere capaci di trascorrere due settimane senza spesa, e vivere con ciò che passa il carrello: insomma vivere come vive la maggioranza dei detenuti. Estrema povertà Ribadiamo alcune questioni su cui intendiamo richiamare l’attenzione con questa iniziativa: 1. Il carcere è sempre più povero. In seguito ai continui tagli effettuati negli ultimi anni, la fornitura di prodotti per l’igiene si è progressivamente ridotta. Ad esempio, attualmente vengono forniti: per ogni persona un rotolo di carta igienica a settimana; per ogni cella, due sacchetti di spazzatura e del detersivo in quantità insufficiente. Saponette, spazzolino da denti e dentifricio sono disponibili solo per chi dimostra di avere meno di 25 euro sul libretto. Fondi destinati alle telefonate per i nullatenenti non sono previsti del tutto. 2. Le ore dei lavoranti sono state ulteriormente ridotte, comportando sia un loro impoverimento, sia una ulteriore riduzione della capacità di intervenire nella pulizia degli spazi e nella manutenzione della struttura. 3. I prezzi che l’impresa impone sono spesso inaccessibili per i detenuti. Non ci sono le offerte e i prezzi speciali disponibili per i consumatori fuori; i prodotti messi in vendita sono pochi e si tratta prevalentemente di prodotti di marca, molto costosi, mentre non vengono messi in vendita anche quei prodotti di marche poco conosciute, ma di qualità, che sono invece acquistati da gran parte dei consumatori nella società libera perché davvero convenienti. 4. L’amministrazione penitenziaria paga circa 4 euro al giorno per i tre pasti forniti ai detenuti. Da questo consegue che la cucina del carcere prepara una quantità di cibo insufficiente a soddisfare i bisogni dei detenuti, spesso giovani; è sparita anche l’integrazione del vitto per i giovani adulti. 5. Se le persone che se lo possono permettere non provvedessero con i propri soldi ad acquistare prodotti alimentari, e chi fa colloquio non avesse quello che gli porta la famiglia, il vitto fornito dall’amministrazione non basterebbe per tutti, e allora risentimenti e proteste sarebbero davvero all’ordine del giorno. Sanità Sono nove i detenuti morti in circa un anno in questo carcere. Quattro suicidi e cinque morti su cui stanno indagando le autorità competenti. Queste morti dimostrano grossi problemi di organizzazione e di qualità del Servizio sanitario. Le cose non possono andare avanti così. La Regione deve dare piena attuazione al passaggio della Sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, che è stato giustamente stabilito per legge per equiparare la qualità del servizio sanitario in carcere a quello riservato a tutti i cittadini. Chiediamo allora che il servizio sia ristrutturato con l’istituzione del medico di sezione e con il coinvolgimento dei detenuti stessi nell’elaborazione della Carta dei servizi sanitari per i detenuti, come prevede la legge. Redazione di Ristretti Orizzonti, Casa di Reclusione di Padova Guardavamo i ragazzi e nei loro visi vedevamo i nostri figli Il Mattino di Padova, 20 giugno 2011 Quella classe del Liceo Curiel che ha incontrato pochi giorni fa, nel carcere della Giudecca, le donne detenute ha vissuto un’esperienza diversa da quella che hanno fatto tante scuole di Padova, entrando al Due Palazzi. Perché le donne in carcere si sentono prima di tutto madri, e in questo incontro hanno manifestato tutta l’emozione di rivedere negli studenti i loro figli, di rinnovare la sofferenza e i sensi di colpa, ma anche la gioia di fare qualcosa di buono per quei ragazzi. Mi auguro con tutto il cuore che abbiano capito le sofferenze del carcere Erano ventisei ragazzi di diciassette o diciott’anni, che frequentano la quarta di un liceo di Padova e fin qui nulla di strano, solo che al posto di trovarsi in una scuola, si trovavano dentro ad un istituto penitenziario femminile, la Giudecca. All’inizio di questo incontro mi sentivo abbastanza imbarazzata, per me era la prima esperienza, mi trovavo di fronte a persone sconosciute, interessate alla mia storia e a quelle delle mie compagne detenute presenti all’incontro. Anche gli studenti erano imbarazzati, molto probabilmente avevano l’idea di trovarsi in un ambiente ostile, estraneo e sconosciuto, con persone private della cosa più bella e sacra, la libertà, perché nella vita hanno fatto delle scelte sbagliate. Io ero una di quelle persone che mai nella vita avrebbe pensato di entrare in carcere e di vivere la quotidianità carceraria. E invece sono qui e la mia condanna finirà a febbraio 2012. Gli studenti sembravano molto incuriositi da questa esperienza, loro ci hanno posto tante domande, e noi abbiamo cercato di rispondere partendo dalla nostra storia. Ai tempi in cui io e le mie compagne frequentavamo le scuole superiori, purtroppo di queste iniziative non c’era ombra. Secondo il mio punto di vista, è importante che le direzioni degli istituti penitenziari promuovano esperienze simili perché, anche se il tempo che abbiamo avuto a disposizione con questi ragazzi era poco, l’incontro è stato davvero costruttivo. Penso però che dovrebbero essere autorizzati a visitare anche le celle delle sezioni, dove tocchi con mano la vita quotidiana di noi ristrette e di chi vive con noi anche per lavoro. Mi auguro con tutto il cuore che abbiano capito le sofferenze del carcere e che si rendano conto che un errore può rovinarti la vita. Alessandra Ho pensato a quando uscirò dal carcere e mi troverò davanti ai miei figli Sapevamo da più di un mese che una classe di una scuola di Padova voleva venire a parlare con noi, e in un primo momento avevamo detto tutte che a noi andava bene, ma una settimana prima dell’incontro ho cominciato a chiedermi: cosa volevano sapere questi ragazzi? Cosa potevano imparare da noi donne carcerate? Facendomi queste domande, pensavo a quando uscirò dal carcere e mi troverò davanti ai miei figli: che domande mi faranno loro? Intanto i giorni passavano ed è arrivato il momento delle risposte. Al primo impatto con loro ero emozionata, ma ho visto le loro facce che erano un pò impaurite, e anche incuriosite. Le loro prime domande non sono neanche riuscita ad ascoltarle, e mentre Elda rispondeva, io sinceramente guardavo i ragazzi e nel loro viso vedevo i miei figli. Quando uno ci ha chiesto: “In futuro avrete paura di confrontarvi con il mondo esterno e i pregiudizi della gente?”, abbiamo voluto rispondere tutte. Io personalmente, per quando uscirò da qui, ho tanta paura. Essendo straniera e vivendo da più di dieci anni in Italia, in un piccolo paese, ho imparato che tanti italiani hanno dei pregiudizi. Ma la mia paura più grande è quella di confrontarmi con i miei figli e soprattutto con mio padre, che non mi perdonerà mai questa esperienza. Nel momento dei saluti ho visto questi ragazzi diversi dal loro ingresso. Ho chiesto a uno di loro cosa pensava dei carcerati prima di entrare e cosa pensava dopo il nostro incontro. La sua risposta è stata: pensavamo di trovare delle persone cattive e maleducate, diverse dalle persone che sono fuori, ma ci siamo accorti che, seppur carcerate, siete delle brave persone con il cuore e con la testa sulle spalle, ma soprattutto delle mamme. Vorrei che questo confronto si potesse approfondire e poi vorrei chiedere se sarà possibile che anche i ragazzi ci scrivano cosa pensano del nostro incontro. Mimoza I ragazzi per noi sono la speranza C’é tensione nell’aria, tutti questi ragazzi davanti a noi sembrano a disagio. Come noi galeotte, del resto. Sono timorosi, curiosi. Ed ecco la prima domanda del più temerario, quasi banale: “Ho notato che avete carta e penna per prendere appunti, come mai?” e da lì si è aperto il confronto. Subito hanno capito che di fronte a loro non ci sono quei personaggi da film, come ci vede l’opinione pubblica anche per colpa di un certo terrorismo dell’informazione, ma semplici donne. Come primo approccio per dei ragazzi diciassettenni in visita in un penitenziario, la Giudecca non è un istituto che fa l’effetto di una galera vera e propria. Non c’é quella sensazione di cemento e cancelli che ti si chiudono alle spalle con le fatidiche tre mandate. Bisogna spiegargli che a noi è stata tolta la libertà di decisione, decidono gli uomini della giustizia e quella poca scelta che ci rimane la dobbiamo delegare. Il tempo è scandito sempre nello stesso spazio, sempre le stesse cose, sai che la giornata di domani sarà uguale a oggi, a ieri, all’altro ieri, c’è una sete disperata di novità. Dobbiamo fargli capire che siamo considerate pericolose, tanto che ci privano anche dei lacci delle scarpe! Si sente che sono bramosi di sapere perché siamo qui, come passiamo le giornate, così noi dimentichiamo chi sono e chi siamo, e parte un confronto sereno: ognuna di noi accenna alla propria storia perché si rendano conto che c’è un prima, le scelte sbagliate, per ritrovarsi un dopo, in galera. L’attimo che durante l’incontro ha creato più sentimento è quando una studentessa è scoppiata in lacrime, amare, per il padre detenuto. Allo scadere del tempo, vengono portati tutti a far visita all”“oasi felice”, l’orto della Giudecca, dove le donne detenute coltivano erbe per produrre poi creme di bellezza, e verdure, che vengono vendute ai cittadini “liberi” una volta a settimana. Ragazzi, fatevi portare a questi incontri, io penso che vi servirà a capire e a raccontare una realtà della quale, quando si è in libertà, tanti pensano che è meglio se non si parla affatto. Sarebbe ora di sfatare tanti luoghi comuni sul carcere, e i ragazzi per noi sono la speranza, sono i nostri messaggeri per portare ai liberi il nostro dolore. Sandra Ero preoccupata di ritrovarmi davanti a dei ragazzi che hanno l’età di mio figlio Prima dell’incontro con gli studenti l’idea di ritrovarmi davanti a dei ragazzi che hanno l’età di mio figlio mi metteva in agitazione. Dentro di me pensavo che effetto avrebbe potuto avere su quei ragazzi trovarsi dentro un carcere e come si sarebbero comportati davanti a delle detenute e alle loro storie. Ero un po’ scettica e nello stesso tempo temevo certe domande, o forse per essere più precisa temevo certe mie risposte. Questo fino al giorno dell’incontro. Quando siamo scese e abbiamo trovato gli studenti che ci aspettavano nella sala colloqui, per un attimo il mio cuore si è fermato, tra di loro ho intravisto un ragazzo che assomigliava molto a mio figlio e in quel momento ho capito che tutto si sarebbe svolto nella più assoluta normalità, ed è stato così, come una lunga chiacchierata con i miei ragazzi. Ricordo ancora il nome di quel ragazzo, Antonio. Davanti a noi c’erano dei giovani dai visi puliti e desiderosi di capire come si possa finire dietro le sbarre e come si possa trovare la forza di andare avanti in un posto del genere specialmente per delle donne, per delle mamme. Non è stato difficile far capire che può succedere a tutti di sbagliare, anzi è stato semplice perché non abbiamo usato parole difficili e tanto meno abbiamo girato intorno all’argomento. Hanno capito che la vita va vissuta e goduta ma con un occhio di riguardo a quello che si fa e a chi si frequenta, gli errori li puoi commettere tu stesso o trovarti in mezzo senza rendertene conto, e alla fine ti ritrovi chiuso. Hanno fatto molte domande su come passiamo il nostro tempo e le opportunità che può offrirti il carcere. Una cosa mi ha reso orgogliosa di quei ragazzi, hanno capito che il carcere non è come nei film americani, ma è un luogo fatto di tristezza di dolore e di tanto sacrificio, hanno capito che dentro un carcere non ci sono “mostri”, ma persone che hanno cuore, che soffrono, che hanno dei sentimenti e un cervello. Hanno visto che rinchiuse tra quattro sbarre ci sono donne. Lella Giustizia: Pannella ricoverato a seguito inizio sciopero sete, rischia complicanze temibili Ansa, 20 giugno 2011 Marco Pannella, dalla mezzanotte in sciopero della seta contro il sovraffolamento delle carceri dopo aver iniziato lo scorso 20 aprile quello della fame, è stato ricoverato per assicurare una "stretta sorveglianza continua" sul suo stato di salute. Lo ha reso noto il professor Claudio Santini, a nome del collegio medico che assiste Pannella. "Marco Pannella, che dalla scorsa mezzanotte ha interrotto anche l'assunzione di liquidi - ha informato il medico - si è ricoverato oggi alle ore 18 in ambiente medico, ottemperando quindi da stasera a questa specifica richiesta fatta già ieri dai sanitari. Persistendo da parte dell'onorevole Pannella il rifiuto di alimentarsi ed avendo per di più interrotto anche l'assunzione di liquidi, il ricovero si è confermato necessario per una assidua sorveglianza clinica, stante lo stato di scarnimento generale già rilevato ieri e ai fini di un pronto trattamento di temibili complicanze". Nella mattinata aveva visitato il carcere di Ancona Nella mattinata di oggi una delegazione radicale composta da Marco Pannella, dalla deputata Rita Bernardini e dal segretario dell’associazione radicale Certi Diritti Sergio Rovasio è in visita al carcere di Ancona Montacuto. Al termine della visita, intorno alle 14.30, la delegazione terrà una conferenza stampa all’uscita dell’istituto. Il leader radicale, in digiuno dal 20 aprile scorso “affinché l’Italia possa in qualche misura tornare a essere considerata una democrazia”, dalla mezzanotte di ieri è passato allo sciopero della sete. Insieme a Pannella digiunano in tutta Italia oltre 13 mila persone - tra detenuti e loro familiari, agenti di Polizia penitenziaria, psicologi, volontari, avvocati, personale amministrativo, oltre a numerosi cittadini - “per chiedere che venga varato un provvedimento di amnistia che consenta di riportare un pò di legalità nelle carceri italiane”. Anche la parlamentare radicale Rita Bernardini è in sciopero dalla fame da ormai due settimane. Nel carcere di Ancona sono 345 i detenuti che hanno aderito con il digiuno all’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella. Giustizia: Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia su carcere e Cie Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 Solite storie di caccia al migrante, nel più puro Italian Style di segregazione. Portare a 18 mesi la permanenza nei Cie, giustamente definiti da Erri De Luca “fogne della coscienza, buchi dello spirito” significa condannare persone ad una prolungata galera in strutture disumane e senza garanzie giuridiche. Ancora una volta punire i poveri e le vittime! Vuol dire soddisfare, secondo l’immaginario di una certa parte politica, una opinione pubblica spaventata e vendicativa disposta ad attribuire il consenso, solo in cambio di rassicurazione repressiva, vuol dire rendere più duro l’apparato sanzionatorio per incapacità di gestire adeguatamente le emergenze sociali. Significa aggiungere altri capitoli al nuovo manifesto sul razzismo, promulgare propaganda pericolosa, antagonista di quella consapevolezza civile, che cerca invece di mobilitarsi intorno ai valori di accoglienza, tolleranza, asilo. Tra questo ulteriore vulnus all’umanità, tra le tragedie che quotidianamente si consumano nelle nostre carceri, che calpestano ogni forma di buonsenso e di pietà umana, ci sono già tutti gli elementi per poter scrivere la nostra storia di nuove colonne infami. I poveri migrano di struttura in struttura. Queste storie ci dicono come si possa perdere l’anima, pensando di agire nell’interesse della collettività, sentendosi garanti dell’ordine e della sicurezza. Quell’anima che viene tolta, in un attimo, a colui che varca la porta di sbarre o di filo spinato. O alla collettività, quando si legifera nella direzione dell’annullamento delle garanzie e dei diritti… trovato morto un altro detenuto. A quanti morti siamo in carcere? Sono pochi, sono molti? Possono bastare? Ogni morto in carcere, ogni migrante nel Cie è una sconfitta collettiva. Pur tuttavia ciò accade. Alla base, c’è una contraddizione politica profonda. Affermare di voler “combattere il sovraffollamento” costruendo nuove carceri è come sostenere di voler “costruire la pace” attraverso la corsa agli armamenti. Ovunque, il sovraffollamento è prodotto dalle scelte di una stessa classe politica che costruisce nuove carceri in nome della lotta al sovraffollamento. Il filo che lega i due fenomeni non è la “lotta alla criminalità”, come affermano i vari ministri, visto che non esiste alcuna relazione tra i tassi di criminalità e quelli di carcerazione: è invece l’opzione a favore di politiche punitive in campo sociale e, conseguentemente, di politiche di sicurezza in campo penale. Per questa ragione si costruiscono nuove carceri anche se la metà dei reclusi è in attesa di giudizio, mentre si limita l’accesso alle misure alternative e si continua a imprigionare in massa migranti, tossicodipendenti, senza dimora. L’aumento dei posti letto ha sempre rappresentato una spinta alla crescita dell’incarcerazione: ha rafforzato l’identificazione della pena con le sbarre del carcere e, immobilizzando centinaia di milioni di euro negli edifici penitenziari, ha impedito il finanziamento di percorsi alternativi alla detenzione. Ribaltare l’attuale concetto di sicurezza non è dunque un semplice slogan, è, al contrario, un concreto obiettivo, che si può raggiungere mettendo in moto un lungo processo di contrasto all’istituzionalizzazione, sia nelle città, che nei quartieri, che nei vari apparati e istituzioni. Elisabetta Laganà, presidente Cnvg Giustizia: Sappe; senza risorse il sistema penitenziario non può funzionare Adnkronos, 20 giugno 2011 “Nessun sistema può funzionare e perfezionarsi se gli mancano le risorse necessarie”: è quanto sottolinea il segretario del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece ricordando - in una lettera inviata ai ministri Tremonti, Brunetta, Alfano e Maroni - che “i tagli operati negli ultimi dieci anni hanno indebolito la funzione e l’azione di polizia penitenziaria, andando a intaccare l’operatività e i servizi che sono di diretta fruibilità da parte dei cittadini; quelli operati nell’ultimo biennio hanno messo a serio rischio il funzionamento stesso di quello che abbiamo costruito negli ultimi anni, limitando l’operatività anche di tutti quelli che sopravvivono”. In particolare, sotto accusa sono “i tagli della manovra economica alla sicurezza del Paese ed al sistema penitenziario. Non vi è dubbio - prosegue Capece - che quando scarseggiano i mezzi a disposizione, il malessere emerge prepotentemente ed è il solo primo segnale di un allarme che non va sottovalutato. Perché, nonostante la grande professionalità degli operatori e la loro totale abnegazione al servizio, per garantire la sicurezza ai cittadini, la mancanza di mezzi mortifica e riduce la capacità di dare risposte adeguate, creando le condizioni per una disaffezione del lavoro che è il germoglio sul quale si può sviluppare un processo di deterioramento dell’organizzazione”. Giustizia: Ugl; il 7 luglio in piazza contro i tagli del governo al sistema penitenziario Ansa, 20 giugno 2011 “Il riscatto del sistema penitenziario è legato allo stanziamento di risorse economiche ed umane atte a contrastare il sovraffollamento delle carceri e il conseguente deterioramento della condizione detentiva, ormai al limite della dignità umana”. Lo ha dichiarato Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia penitenziaria, in merito all’emergenza, delle carceri in Italia, resa ancora più forte dai tagli dettati dalla manovra economica sulla sicurezza e al sistema penitenziario. “Proprio per questo motivo l’Ugl ha deciso, dopo averlo già annunciato, di scendere in piazza - ha spiegato - e rivendicare il diritto alla sicurezza e al lavoro degli agenti della Polizia Penitenziaria, messi ormai a dura e costante prova dalle numerose difficoltà e carenze che affossano il settore”. “Un primo appuntamento per sensibilizzare il governo e i ministri competenti - ha concluso Moretti - è stato fissato per giovedì 7 luglio, a Roma, a cui seguiranno altre iniziative fino a quando non saranno adottati provvedimenti per superare sperequazioni nello sviluppo professionale, stanziare adeguati fondi per straordinari e missioni e piano di arruolamento a copertura almeno della carenza organica, ovvero di 5.000 unità”. Lettere: ergastolani Biella aderiscono a Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 Per il secondo anno consecutivo gli ergastolani detenuti presso la Casa circondariale di Biella hanno consapevolmente scelto di aderire alla giornata del 26 giugno dedicata alla Tortura. Aderiamo perché riteniamo che le questioni riguardanti le tematiche carcerarie sono argomenti che possono generare dibattiti nelle società contemporanee. La situazione degli ergastolani al assoggetti al “fine pena mai” è uno dei più scottanti problemi del Paese, soprattutto per quanto riguarda la condizione dei detenuti sottoposti all’ergastolo cosiddetto “ostativo” poiché toglie speranza e limita oltre misura le possibilità offerte dall’art.27 della Costituzione. L’insieme delle questioni che abbiamo deciso di condividere, affrontandole insieme a voi richiedono politiche di intervento finalizzate a creare condizioni di maggiore vivibilità all’interno degli istituti penitenziari, questioni importanti basate su principi e politiche di inclusione sociale, di rispetto delle identità, anziché su processi repressivi. L’assenza di una politica e di azioni ispirate alla costruzione di un clima di convivenza civile, la questione riguardante le condizioni di vita di tutti noi che affrontiamo la quotidianità carceraria è destinata a peggiorare come del resto dimostrano gli ultimi dati relativi alla condizione complessiva di gran parte dei detenuti. Le soluzioni ci sono e andrebbero analizzate discusse e applicate come la creazione di una condizione e di un clima di convivenza civile, tolleranza, rispetto e solidarietà che non può essere delegata alle sole componenti istituzionali, ma deve vedere il concorso attivo di tutte quelle componenti della società che sono interessate allo sviluppo della democrazia e di civiltà del Paese. Ciò è tanto più importante se si considerano le problematiche di grande criticità (sovraffollamento, OPG, ergastolo ostativo) che richiedono un grande impegno culturale per evitare disamine che si scagliano contro facili luoghi comuni. Al tempo stesso è necessario rivedere il concetto di ergastolo favorendo processi di conciliazione tra il popolo del “fine pena mai” e le comunità sociali del territorio. Il nostro drammatico sistema penitenziario ci tiene prigionieri in carceri piene fino all’inverosimile, i detenuti sono ristretti in spazi inesistenti, compressi. Spazi che i detenuti condividono a turno. Spazi esposti alla coazione aggressiva, spazi dove a primeggiare è una promiscuità assurda. Questo ci dice che questa non è giustizia! La direttiva 91/360 della Cee recepita nel nostro Paese con Decreto Legislativo n. 534/92, e direttive 2001/88 e 2001/93 recanti modifiche sulle norme per la protezione dei suini ci rivela che per l’alloggiamento la superficie minima consentita è di 6 mq., la superficie ottimale 8-9 mq. I detenuti vivono in spazi più ridotti e nessuno si azzarda a chiedere riforme. Questo non è un sistema penitenziario, questo è un organismo che produce inciviltà. I radicali, capitanati da Marco Pannella, da parte loro, chiedono l’amnistia per i reati minori, per aiutare quella fascia di detenuti che potrebbero da subito uscire dal carcere, ma chiedono anche l’introduzione, nell’ordinamento penitenziario italiano, del reato di tortura, come previsto dall’Onu. La Corte Europea di Strasburgo ha già condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Lo Stato italiano dovrà risarcire per danni morali Izet Sulejmanovc, recluso a Rebibbia dal Novembre 2002 all’aprile 2003, perché per tutta la durata della pena ha avuto a sua disposizione 2,7 mq., meno della metà della superficie prevista, meno della metà di quella prevista per i suini. Noi crediamo che la prima attenzione vada rivolta alla persona. La nostra Costituzione parla chiaro: il rispetto della persona umana è al centro di tutto ed in questo quadro è allucinante pensare che esista ancora una pena come l’ergastolo che nega qualsiasi possibilità futura. Non si possono eludere i diritti della persona detenuta. Non ci si può accanire in questo modo contro chi ha commesso un reato. Siamo arrivati alla conclusione. Le considerazioni espresse sono un contributo che auspichiamo necessario al dibattito portato all’attenzione dell’opinione pubblica nella giornata del 26 giugno 2011. Giornata internazionale dell’Onu contro la tortura, che speriamo rappresenti anche lo strumento per affermare una sfida comune: mai più ergastolo! Gli ergastolani della Casa circondariale di Biella Lettere: detenuti suicidi con il gas… o morti per “cause da accertare”? Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 Il disagio delle carceri italiane, mai come oggi, coinvolge in misura analoga personale tutto e reclusi. Togliersi di mezzo ne è il sintomo estremo. Di questo abbiamo dati sempre meno certi. Intanto, già in precedenza era difficile capire quanti detenuti si togliessero la vita durante il soggiorno in carcere, giacché quando la morte si verificava in itinere, verso il nosocomio di invio per una auspicata rianimazione del moribondo, quella morte risultava per l’Istat come il suicidio di un uomo libero. Oggi la cosa è complicata dal fatto che chi muore per avere compiuto gesti che ne hanno causato il decesso, allorché non si impicca - abuso di farmaci, ricorso inappropriato al gas che con noncuranza si continua a distribuire a una popolazione in larga misura tossicofilica - finisce tra coloro la cui causa di morte rimane da accertare e il suo decesso non viene registrato sotto la voce suicidio, ancorché preterintenzionale. A fronte di questa incertezza sulla morte, che ridicolizza il blaterante appello alla certezza della pena, sta l’aumento del malessere degli operatori, la cui scomparsa per suicidio è un dato in ascesa di cui ben poco si parla. Vorremmo saperne di più degli uni e degli altri. Vorremmo essere meno distanti dal dolore di quanti non riescono a fare propria la bandiera del conformismo adattativo e dell’opportunismo famelico, di coloro che finiscono vittime della grettezza di un sistema arrogante e incolto e che manifestano attraverso questa opzione estrema il proprio disperato desiderio di libertà e giustizia. Conoscendo meglio il problema, si potrebbe davvero prevenirlo, ma questo richiederebbe un coraggio e un impegno istituzionali rinnovati e scelte presentabili ai cittadini non solo reclusi. Gemma Brandi Lettere: le lungaggini dei concorsi pubblici… lo strano caso degli educatori penitenziari Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 La civiltà del nostro paese si misura dall’andamento di tre pilastri fondamentali: Istruzione, salute e giustizia, garantiti dagli articoli 34, 32 e 27 della Costituzione italiana. L’ordinamento penitenziario si configura, di fatto, come la cartina tornasole dell’attuale sistema giuridico-processuale-penale. Se quest’ultimo vacilla, presentando caratteri di inadeguatezza, alcune delle conseguenze più ovvie riguarderanno il mancato rispetto dei principi della certezza del diritto, di umanizzazione della pena, di rieducazione del condannato e, in definitiva, dell’intera sfera dei diritti umani dei soggetti reclusi e internati. Ogni istituto penitenziario si fonda, di regola, sia sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza che sulla rieducazione del condannato e il rischio cui maggiormente si è esposti è la parzialità e il potenziamento di risorse in un senso o nell’altro. Tuttavia, oggi si assiste a un palese e parziale investimento negli operatori del settore trattamentale ovvero degli educatori penitenziari, (ribattezzati con l’appellativo di funzionario giuridico-pedagogico), la cui conseguenza più immediata è rappresentata dall’obsoleta applicazione di una pena meramente custodialistica piuttosto che riabilitativa, giuridicamente più rispondente. È risaputo che gli educatori penitenziari, con le proprie specificità professionali regolate dalla l. 354/75 e successive integrazioni, in maniera sinergica e collaborativa con gli operatori del comparto sicurezza, potrebbero snellire le attuali problematiche emergenziali della popolazione reclusa oltre che dare concreta attuazione al principio previsto al comma 3 dell’art. 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Una volontà politica in tal senso è stata manifestata nel lontano 2003 allorquando il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - ha bandito un concorso pubblico a 397 posti per la figura professionale di educatore penitenziario C1 a tempo indeterminato, terminato nel 2008 con la pubblicazione della graduatoria sul Bollettino Ufficiale della Giustizia. Di questi, solo 353 sono stati regolarmente coperti e una delle cause è rinvenibile nel blocco delle assunzioni nelle Pubbliche Amministrazioni, intervenuto mentre si procedeva alle immissioni in servizio. Tale blocco dovrebbe quindi operare per ogni categoria, sia per la mobilità dirigenziale che per l’attivazione di procedure di reclutamento per mobilità e/o esternalizzazione di altre categorie professionali. Conseguentemente, dovrebbe altresì bloccare ogni altro eventuale strumento giuridico per la stabilizzazione di personale a tempo determinato e per le progressioni di carriera interne ai comparti. E invece, sembra operi solo nei riguardi dei vincitori e idonei vincitori dei concorsi pubblici. Dunque, trattasi di blocco avvenuto secundum legem, praeter legem o contra legem? Le unità vacanti bandite dai concorsi pubblici dovrebbero essere coperte per intero, con regolare immissione in servizio dell’intero quantum di fabbisogno preventivamente autorizzato per evitare assunzioni a singhiozzi, discriminazioni tra i vari vincitori, interpelli nazionali per rimpasti delle sedi prima della copertura totale dei posti disponibili. Gli educatori penitenziari che servono per completare i 397 posti a concorso sono in attesa di assunzione da quasi due anni. Mancata volontà politica o mancata volontà della dirigenza penitenziaria? Come è possibile rivendicare un diritto legittimo attraverso la legge se la legge stessa lo ha loro estorto? Comitato vincitori e idonei concorso educatori penitenziari Campania: Lisiapp; nelle carceri l’emergenza è cronica Il Velino, 20 giugno 2011 Nelle strutture penitenziarie della Campania ci sono al momento circa 7.950 detenuti (a fronte di una ricettività massima consentita pari a 5506, per un indice di sovraffollamento pari al 52%. L’ennesimo grido di allarme e del Dott. Mirko Manna, segretario generale del Lisiapp il Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria. “Fatte salve alcune realtà come quella Vallo della Lucania, Eboli e Lauro, che poco potrebbero incidere sui grandi numeri, tutte le altre realtà sono in grande emergenza. Credo afferma Manna che Santa Maria Capua Vetere sia la situazione più complessa, e per certi versi anche la più pericolosa del panorama penitenziario regionale. Non è solo il grave sovrappopolamento a porre il carcere sammaritano nella black list delle criticità penitenziarie nazionali. “È soprattutto - aggiunge il Segr. Gen. Lisiapp - la presenza di molti detenuti appartenenti al crimine organizzata, la gravissima deficienza organica del personale di polizia ed amministrativo e le numerose spettanze in ordine di straordinario e missioni non pagato al personale del nucleo traduzioni da parte della direzione della struttura penitenziaria. Proprio a quest’ultima situazione la nostra Organizzazione sindacale unitamente alla prima O.S. del corpo, ci siamo attivati in modo da investire della problematica anche il Tar presentando un ricorso contro questo ennesimo taglio dei diritti di tutti i poliziotti penitenziari. Lo abbiamo fatto sottolinea Manna nel modo meno speculativo in ordine di pubblicità proprio per dare un segno tangibile e di serietà di saper fare sindacato. Inoltre , purtroppo siamo alla quasi paralisi ed è bene che l’Amministrazione metta in campo iniziative concrete, prima che Santa Maria Capua Vetere assurga nuovamente alle cronache nazionali per quello che potrebbe capitare in quel istituto. Anche sul fronte del personale il Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria Lisiapp non manca di riportare una situazione al limite del gestibile “Confermando che l’ emergenza più acuta su questo fronte è a Santa Maria Capua Vetere, non possiamo ignorare come la situazione complessiva non possa certamente generare ottimismo. Il contingente regionale è fissato in 4.838 unità, ma ne sono presenti 4.523. Bisogna, tra l’altro, tenere conto che le 119 unità di Sant’Angelo dei Lombardi non figurano ancora tra gli organici ufficiali e che circa 230 unità sono impiegate in strutture non operative. Questo rende ancora più pesante il passivo e contribuisce ad aggravare le già non facili condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari della Campania”, conclude Manna. Umbria: Casciari (Regione); sempre attenti verso i problemi delle carceri Ansa, 20 giugno 2011 La Regione Umbria ha ben presente la situazione delle carceri sul territorio regionale e segue con attenzione, anche attraverso un confronto serrato con l’amministrazione penitenziaria, tutte le criticità relative alle condizioni dei detenuti e al personale penitenziario. Risponde così la vicepresidente della Regione Umbria con delega al Welfare, Carla Casciari, all’invito rivolto all’ente dal segretario Fp-Cgil Umbria, Vanda Scarpelli, di attivare tavoli regionali per prendere in carico la situazione allarmante, non solo relativa ai detenuti, ma soprattutto al personale penitenziario. ‘Personalmente dall’inizio del mio mandato - ha precisato la vicepresidente - tra le priorità da seguire in modo puntuale ho messo proprio le carceri, dove ho effettuato delle visite constatando personalmente alcune criticità legate al sovraffollamento, alla carenza di personale e alle strutture stesse destinate ad accogliere i detenuti. Va precisato - ha continuato Casciari - che in questo delicato settore, la Regione ha competenze solo relativamente alle questioni che attengono al sociale e agli aspetti sanitari. Inoltre, in questi anni sono stati molti gli interventi delle istituzioni umbre all’interno degli istituti di pena, anche relativamente alla formazione e alla tutela dei diritti dei detenuti stessi: In quest’ultimo caso siamo in attesa che il Consiglio regionale nomini il garante delle persone sottoposte a misure privative della liberta”. Mentre tutte le difficoltà legate alla carenza di personale, sovrannumero di detenuti e sicurezza interna, pur essendo conosciute e monitorate dalle istituzioni locali - ha spiegato - dipendono direttamente dalle decisioni dell’amministrazione penitenziaria. La vicepresidente - riferisce una nota della Regione - dopo aver evidenziato che tutte le criticità diventano ancora più esplosive con il periodo estivo che si andrà ad affrontare, ha ricordato che lo scambio tra la Regione e l’amministrazione penitenziaria è costante e, proprio in questo periodo, stiamo presentando un progetto per l’inserimento sociale e lavorativo delle persone detenute che possono godere dei benefici della legge 199 del 2010 che prevede di scontare l’ultimo anno di pena fuori dalle mura degli istituti di pena. Inoltre - ha aggiunto - stiamo partecipando ad un progetto interregionale e transnazionale per il reinserimento dei detenuti e per la formazione congiunta degli operatori istituzionali e non, che lavorano a vario titolo nelle carceri. In ultimo la vicepresidente ha ricordato il lavoro prezioso del volontariato presente da sempre negli istituti attraverso iniziative dei Comuni. Sardegna: Gianfranco De Gesu è il nuovo Provveditore regionale alle carceri Dire, 20 giugno 2011 Si è insediato oggi il nuovo Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna, dott. Gianfranco De Gesu. Nominato direttore generale il 18 novembre 2010, ha ricevuto le consegne dal Provveditore in missione uscente, dott. Luigi Pagano, il quale ha sostituito transitoriamente per circa un anno il precedente Provveditore, dott. Francesco Massidda. Nato a Cosenza il 1 marzo 1958, De Gesu ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Modena l’11 luglio 1981. È entrato nei ruoli dell’Amministrazione Penitenziaria quale vice-direttore il 1 febbraio 1984. Assegnato quale vice-direttore alla Casa Circondariale di Modena è stato trasferito il 3 gennaio 1986 alla Casa Circondariale di Vibo-Valentia assumendone la direzione. Nell’aprile del 1988 ha assunto la direzione della Casa Circondariale di Palmi, che all’epoca ospitava detenuti imputati o condannati per reati di terrorismo politico e soggetti legati alla ‘ndrangheta. Dalla data del 20 aprile 1988 sino ad oggi il dottor De Gesu svolge ininterrottamente incarichi dirigenziali. Già Provveditore vicario in Sicilia e Calabria, dall’aprile del 2009 ha guidato l’ufficio di Polizia Penitenziaria della Direzione Generale del Personale e della Formazione con sede in Roma. Unico dirigente penitenziario, è attualmente membro dello staff composto da altri sei funzionari di diretta collaborazione del capo del dipartimento per l’analisi delle emergenze negli istituti penitenziari. È inoltre componente del gruppo ristretto di tre alti funzionari incaricato dal capo del Dipartimento di verificare l’esecuzione da parte delle direzioni generali delle disposizione che egli emette in qualità di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Bologna: Bernardini (Radicali) lancia l’allarme per la situazione della Dozza Dire, 20 giugno 2011 La deputata radicale Rita Bernardini ha lanciato l’allarme sulle condizioni del carcere della Dozza di Bologna, dopo una visita di sindacato fatta insieme a Monica Mischiatti e Arcangelo Macedonio dell’associazione Radicali Bologna. “La popolazione di detenuti attuale - ha spiegato la Bernardini - è di 1.150, contro una capienza di 480 che può arrivare a una tollerabilità di 800, ma che allo stato attuale vede tre persone in celle di 11 metri quadrati. Il 65% della popolazione carceraria è composta da stranieri, tra comunitari ed extracomunitari. I tossicodipendenti sono 225. La presenza di educatori per l’intera struttura è di otto unità. I problemi di carattere sanitario si sono aggravati dopo il passaggio di competenze all’Asl, in particolare l’assistenza odontoiatrica e l’assistenza psichiatrica sembrano problemi irrisolvibili. Le medicine di prima necessità devono essere acquistate all’esterno e a spese dei detenuti. Anche la carta igienica è a pagamento”. La struttura, secondo gli attivisti radicali, “ha bisogno anche di numerosi interventi di ristrutturazione, in particolare le docce sono molto carenti, proprio in relazione all’elevato numero di detenuti. Anche le condizioni della rete fognaria sono allarmanti ed è possibile anche quest’anno venga a mancare l’erogazione dell’acqua”. Deficitaria, secondo la Bernardini, pure la situazione del personale di polizia penitenziaria “sempre in difficoltà, i turni di lavoro sono pesantissimi. Anche per gli agenti della polizia penitenziaria la realtà è insopportabile. Il personale è al minimo, ovunque con doppi turni e senza la certezza del godimento del periodo di ferie dovuto”. Detenuto aggredisce e ferisce due agenti Si scaglia contro due agenti della polizia penitenziaria e li ferisce. L’aggressore, un detenuto extracomunitario della Dozza di Bologna, ha aggredito stamattina alle 10 due agenti che erano entrati nella sua cella per una perquisizione. Lo rende noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato Sappe. “Il detenuto - ha spiegato il Sappe -, violando il regolamento penitenziario, si è rifiutato di farsi perquisire e si è scagliato contro i due agenti, i quali sono stati successivamente refertati al pronto soccorso che ha previsto una prognosi di sette e dieci giorni. Si tratta di un fatto gravissimo che riteniamo vada adeguatamente sanzionato, almeno con l’isolamento disciplinare, conseguente all’esclusione da tutte le attività in comune. Ci auguriamo che i vertici dell’istituto bolognese adottino tutte le iniziative previste dalla legge, anche a tutela del personale di polizia penitenziaria che non può e non deve sopportare le azioni inconsulte di detenuti sempre più insofferenti al rispetto delle regole”. Caserta: da domani avvocati in sciopero per protesta contro condizioni delle carceri Agi, 20 giugno 2011 Dal 21 fino al 24 giugno gli avvocati del foro di Santa Maria Capua Vetere si asterranno dalle udienze nelle forme previste dal codice di autoregolamentazione. A deciderlo è stata l’assemblea della Camera penale locale presieduta da Alessandro Diana, segretario Raffaele Griffo. Sono, quindi, saltati tutti i processi previsti in calendario per questa mattina. Tre i motivi che hanno portato alla decisione di astenersi dalle udienze penali. Anzitutto l’insostenibilità della situazione lavorativa causata dal mancato funzionamento dell’impianto di climatizzazione all’interno del palazzo di giustizia, e le condizioni dei detenuti ristretti presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere in estate. A causa del razionamento della fornitura dell’acqua, infatti, i detenuti dopo le 13 non hanno più acqua nelle celle. Gli avvocati, inoltre, hanno richiesto di formare una commissione per verificare le condizioni in cui sono rinchiusi i detenuti nell’Opg di Aversa, struttura in cui sono stati registrati sei suicidi nei primi mesi del 2011. Il terzo motivo riguarda la mancata attuazione del protocollo d’intesa stipulato tra il presidente del tribunale, dal procuratore e dal presidente della Camera penale per la gestione delle udienze penali monocratiche e collegiali. Protocollo che fissa l’orario d’inizio e di fine udienza, l’applicazione della cosiddetta udienza filtro affinché la pubblica accusa eviti di citare i testimoni alla prima udienza, il rispetto delle prenotazioni dei difensori e la fissazione di un numero idoneo di processi da trattare nella singola udienza. “Sono problemi già sollevati in passato - spiega il presidente della camera penale di Santa Maria Capua Vetere, Alessandro Diana, cugino del sacerdote Don Giuseppe Diana ucciso dalla camorra a Casal di Principe nel 1994 - la condizione in cui vivono detenuti a Santa Maria Capua Vetere è disumana. Chiediamo che venga istituita una commissione formata da magistrati e avvocati che verifichi lo stato dei detenuti rinchiusi nell’ospedale psichiatrico di Aversa”. La protesta degli avvocati si è acuita dopo la verifica del mancato funzionamento dell’area condizionata in tribunale. “L’impianto non è ancora funzionante dopo le segnalazioni partite proprio dalla Camera penale l’anno scorso” aggiunge l’avvocato Raffaele Costanzo, che ha stilato il documento in cui si trasmette l’astensione. Per venerdì prossimo, inoltre, fissata una conferenza stampa. Roma: Rauti (Pdl); formazione al lavoro per reinserimento è fondamentale e realizzabile Dire, 20 giugno 2011 “Stiamo concretamente lavorando per il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nella convinzione che anche questo progetto contribuisca a diminuire la recidiva”. È quanto ha dichiarato, come si legge in una nota, la consigliera regionale del Lazio e membro dell’Ufficio di Presidenza, Isabella Rauti, in occasione della sfilata di moda, organizzata dall’azienda Ld-Luxury, che si è tenuta oggi nell’istituto Penale maschile e femminile per minorenni di “Casal del Marmo” di Roma. L’evento, che gode del patrocinio del Consiglio regionale del Lazio, è parte integrante del più ampio progetto “Donna fuori e donna dentro”, dedicato al reinserimento sociale e lavorativo delle donne detenute, spiega la nota. La manifestazione odierna segue quella svoltasi il 24 febbraio scorso presso il carcere di Civitavecchia, grazie al sostegno dell’assessorato regionale alle Attività produttive, in cui le stesse detenute agirono in veste di indossatrici. L’iniziativa, che nasce da un’idea della stilista Loredana dell’Anno, si propone un’azione di sensibilizzazione, attraverso la moda, sulla condizione delle donne detenute e sulla loro difficoltà di reinserimento lavorativo, continua la nota, ma si offre anche come attività trattamentale e di formazione al lavoro, prevedendo anche l’apertura di laboratori sartoriali, sia all’interno delle Case Circondariali e degli istituti di rieducazione destinati ai minori, che all’esterno, nei quali - rispettivamente - le detenute e le ex detenute potranno operare. “L’attività di recupero- continua Rauti- accanto a quella della rieducazione è non solo fondamentale ma anche concretamente realizzabile grazie a progetti di work experience, quale elemento privilegiato di risocializzazione ed inclusione sociale. Nel quadro delle iniziative che la Regione sta mettendo in campo per migliorare le condizioni di vita all’interno delle strutture carcerarie del Lazio rientra, inoltre, il progetto degli istituti di custodia attenuata per madri detenute (Icam): un obiettivo cui stiamo puntando come Consiglio e assessorato regionale alla Sicurezza”. Firenze: 4 detenuti minori tentano evasione dall’Ipm puntando coltello a gola educatori Adnkronos, 20 giugno 2011 Arrestati per furto aggravato durante la notte erano finiti presso la struttura di custodia per minori di via Orti Oricellari, a Firenze. Si tratta di tre 17enni tunisini e di un 16enne libico. Ieri mattina, intorno a mezzogiorno, hanno cominciato ad autolesionarsi con delle lamette fino a procurarsi vistosi tagli sugli arti. La situazione è poi ancor più degenerata quando sono arrivati a minacciare di tagliare la gola agli educatori del centro se non li avessero lasciarli andare via. Per sedare la furia dei quattro sono intervenute le volanti della Questura che insieme agli agenti della penitenziaria sono riusciti senza incidenti a convincere i minori a farsi medicare dal 118. Riportata la calma, per tutti è scattata una nuova denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e tentata evasione aggravata. Come conseguenza dell’episodio, il Tribunale dei Minori ha immediatamente disposto il trasferimento dei quattro magrebini nell’adiacente sezione penale detentiva del carcere minorile. Sappe preoccupazione per tensioni a Firenze “Esprimo sincera preoccupazione se le tensioni che già da molto tempo si registrano nei penitenziari per adulti iniziano a verificarsi anche nelle strutture detentive per minori. Faccio riferimento a quanto avvenuto ieri a Firenze, dove quattro giovani detenuti stranieri ristretti si sono prima autolesionati con tagli alle braccia e poi hanno dato in escandescenza, minacciando il personale e un educatore. La tensione è alta non solo nelle carceri per adulti ma anche in quelle per minori. E questo non è certo un segnale positivo”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, commentando quanto avvenuto ieri a Firenze. “Il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe segnala come il personale di Polizia penitenziaria, prontamente intervenuto nel fronteggiare l’emergenza, si sia ancora distinto con professionalità e spirito di servizio nell’evitare che la situazione, già molto critica, degenerasse ulteriormente confermando così la particolare attenzione durante lo svolgimento del servizio, soprattutto in un contesto, quello minorile, che ha in carico per lo più soggetti particolarmente vulnerabili, considerata la giovane età e la condizione di stranieri privi di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del personale di Polizia penitenziaria che una situazione pur ad alta tensione è stata stemperata dal tempestivo intervento degli agenti penitenziari”. Cagliari: Sdr; detenuto trasferito cinque mesi fa, ma i suoi bagagli non arrivano… Agenparl, 20 giugno 2011 “Un detenuto di Buoncammino attende da cinque mesi che gli vengano recapitati i bagagli rimasti nel carcere di Trapani da cui è stato trasferito per motivi di salute. Nonostante ripetuti solleciti al Direttore dell’Istituto siciliano, non ha ancora ricevuto alcunché. L’uomo, Francesco Mammoliti, ha deciso di presentare un esposto alla Procura della Repubblica”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, dopo un lungo colloquio con il detenuto, 44 anni, nato a Buenos Aires, attualmente ristretto nel Centro Clinico della Casa Circondariale di Cagliari. “Il 21 gennaio scorso - ha detto il giovane siciliano affetto da gravi problemi cardiocircolatori - sono stato tradotto a Buoncammino per la necessità di usufruire di una struttura penitenziaria dotata di un Centro Diagnostico Terapeutico in cui poter effettuare tempestivamente cure ed esami. All’atto della trasferimento mi consentirono di portare solo lo stretto necessario sia perché il trasferimento sarebbe avvenuto con l’aereo sia perché il soggiorno nel nuovo carcere sarebbe durato solo pochi giorni”. “Una volta giunto a destinazione - ha sottolineato il detenuto - ho appreso che la permanenza nell’Istituto sardo si sarebbe protratta a causa delle mie precarie condizioni di salute. Ho quindi scritto al Direttore del carcere di Trapani informandolo della situazione e chiedendogli di farmi recapitare, come del resto mi era stato assicurato al momento del trasferimento qualora la permanenza si fosse prolungata per un periodo ragionevole, i bagagli. Non avendo avuto risposta, ho inviato un’istanza attraverso l’Istituto cagliaritano. Ancora una volta però non ho avuto riscontro. Ho quindi presentato reclamo al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari per sollecitare il Direttore di Trapani. Nessun riscontro hanno avuto neanche le richieste inviate via fax e gli interventi telefonici da parte dei miei avvocati. Del problema sono stati interessati anche il Direttore e il Comandante della Casa Circondariale di Cagliari i quali mi hanno comunicato che il Direttore di Trapani non intendeva recapitare i bagagli essendo la mia assegnazione provvisoria”. “È evidente - ha precisato Mammoliti - che il Direttore del carcere di Trapani interpreta erroneamente il comma 8 dell’art. 83 del DPR 230 del 2000 in quanto la durata del trasferimento non può considerarsi breve essendo trascorsi 5 mesi e presumibilmente essendo necessaria una ulteriore permanenza per ragioni legate alle condizioni di salute. La chiarezza della normativa - ha concluso Mammoliti - rende incomprensibile l’atteggiamento ostinato del Direttore. Ho presentato un esposto alla Procura della Repubblica per verificare se non possa configurarsi il reato di omissione di atti d’ufficio”. “Si tratta - sottolinea Caligaris - di un’assurda vicenda che viola il diritto del cittadino privato della libertà, danneggiandolo. Il detenuto, infatti che vuole proseguire gli studi, non può farlo in quanto gli mancano i libri. La negazione del suo diritto equivale quindi a un danno materiale e morale che può compromettere il suo progetto di recupero. Nel bagaglio sono custoditi, tra le altre cose personali, documenti e abiti invernali che peraltro avrebbero necessità di essere lavati e conservati adeguatamente. L’auspicio è che il buon senso prevalga su un eccesso di zelo incomprensibile e inaccettabile”. Altamura (Ba): formazione al volontariato penitenziario sul ruolo della mediazione nel carcere Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2011 L’Associazione Fratello Lupo, impegnata da dieci anni nel volontario nelle Carceri di Puglia e Molise, ha organizzato un corso di formazione per chi vuole conoscere il mondo penitenziario. Un gruppo di volontari opera da oltre tre anni nel carcere di Altamura collaborando attivamente con il cappellano, don Saverio Colonna. Nel corso di questo incontro si rifletterà sul ruolo della mediazione nel carcere. Interverrà la dott.ssa Ilaria De Vanna. L’appuntamento per chi intende partecipare è alle ore 19.00 presso la Parrocchia Consolazione. Cina: i cattolici di Hong Kong chiedono il rilascio di sacerdoti e vescovi detenuti di Eugenia Zhang Asia News, 20 giugno 2011 Padre Chen è “scomparso” da oltre due mesi, padre Zhang è stato torturato in carcere. A Hong Kong il 29 giugno ci sarà una messa presieduta dal card. Zen e una protesta per chiedere la liberazione di sacerdoti e vescovi detenuti e maggiore libertà per i cattolici. Intanto “scompare” la moglie del dissidente Hu Jia. A due mesi dall’arresto di padre Joseph Chen Hailong di Xuanhua (Hebei) mancano del tutto sue notizie. Il 29 giugno i cattolici di Hong Kong protesteranno per chiedere la liberazione dei religiosi detenuti e maggiore rispetto per i fedeli cattolici. Padre Chen, ordinato meno di due anni fa, è stato portato via da funzionari il 9 aprile mentre si recava a fare visita a cattolici, nella zona di Yangqing, contea di Pechino, dove svolge il suo ministero. Tuttora si ignora persino dove sia detenuto. La famiglia non ha ricevuto comunicazioni e teme che sia stato torturato, come è successo a padre Peter Zhang Guangjun della stessa diocesi. Padre Zhang, detenuto tra il 10 gennaio e il 13 aprile 2011, è stato percosso con pugni, bastoni, un bugliolo, costretto a stare sveglio per 5 giorni fino a che ha avuto un collasso, inzuppato con acqua fredda nell’inverno gelido. Una fonte di AsiaNews che ha chiesto l’anonimato riferisce che “egli si è sempre rifiutato di accettare il principio di una Chiesa autonoma e indipendente [dal Papa] e autogestita, e infine i funzionari lo hanno rilasciato il 13 aprile”. Secondo chi l’ha visto, padre Zhang ha raccontato che “durante quei giorni, nonostante i dolori fisici, ho pregato il rosario e detto messa ogni giorno, in silenzio. Mi sono figurato di pregare insieme ai parrocchiani e questo mi ha dato forza”. “Ma è stato impossibile costringermi a concelebrare con i sacerdoti della Chiesa patriottica e a registrarmi, i funzionari hanno insultato me, la Chiesa e Dio. Mi sono difeso e mi hanno torturato di nuovo.” “Dopo la liberazione - prosegue la fonte - aveva ferite al capo e sulle gambe, segni evidenti di torture. Ora è ancora sotto cure mediche per le conseguenze delle percosse al capo, soffre ancora di mal di testa e vomito”. Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, presiederà una messa a Hong Kong e poi guiderà una protesta all’Ufficio di Cina per il collegamento domandando il rilascio di padre Chen e di tutti i sacerdoti e vescovi cattolici detenuti e ricordando le sofferenze dei cattolici in Cina. Sono detenuti, o comunque “scomparsi”, tra gli altri, mons. Su Zhimin vescovo di Baoding, mons. Cosmas Shi Enxiang vescovo di Yixian, padre Lu Genjun vicario generale di Baoding, padre Wang Lifang di Zhengding. La protesta del 29 giugno è organizzata dalla Commissione giustizia e pace della diocesi di Hong Kong. Lina Chan, segretario esecutivo della Commissione, dice ad Asia News che “la scelta della data è per ricordare che, come i santi Pietro e Paolo sono stati perseguitati e incarcerati per la loro fede, così la popolazione della Cina sta soffrendo per la sua fede”. “Per seguire la fede, subisce carcere, torture e maltrattamenti inumani”. Aggiunge che le ordinazioni dei vescovi avvenute senza il gradimento della Santa Sede “sono atti contrari al rispetto della fede cattolica e della coscienza e libertà personale”. “Con la protesta dopo la messa, daremo voce alla richiesta per la libertà religiosa in Cina e per il diritto dei credenti di praticare la fede in modo normale”. Da metà febbraio Pechino ha iniziato la peggiore repressione dei diritti umani almeno dal 1998, con decine, forse centinaia di democratici arrestati, minacciati o soltanto “scomparsi”. Le autorità vogliono prevenire qualsiasi emergere di proteste stile Rivoluzione dei gelsomini. Molti arrestati sono cristiani. Intanto oggi è scomparsa Zeng Jinyan, moglie del dissidente Hu Jia, di cui è atteso il rilascio per il 26 giugno dopo avere scontato una condanna a 3 anni e mezzo di carcere per “sovversione”. Zeng ha preso un aereo a Shenzhen ieri, ma non risulta sbarcata a Pechino e si immagina che sia stata “portata via dalle autorità”, come riferisce un giornale locale. Nei giorni scorsi aveva rivelato alla stampa di temere che, anche dopo il rilascio del marito, sarebbero proseguite le restrizioni e i controlli sulla loro vita.