Giustizia: l’ergastolo bianco di chi vive da detenuto (ma non lo e più...) di Gina Pavone La Repubblica, 19 giugno 2011 Si chiamano internati: sono i reclusi che, dopo aver scontato una pena, non vengono liberati perché considerati pericolosi. Un residuo di archeologia giuridica che viola la Costituzione. Vivono in carcere a tempo indeterminato, senza un fine pena perché una pena da scontare non ce l’hanno. Dovrebbero lavorare, ma per la maggior parte del tempo oziano in cella, a fianco dei detenuti, A oggi sono circa trecento gli internati nelle case di lavoro, persone giudicate socialmente pericolose o delinquenti abituali e sottoposte a una misura di sicurezza detentiva anche dopo aver pagato il loro debito con la giustizia. In teoria la loro condizione non dovrebbe equivalere a quella di chi sconta una pena. Di fatto, però, la distinzione tra detenuto e internato è solo sulla carta e quelle che si chiamano case di lavoro spesso sono dei penitenziari da cui si rischia di non uscire più. L’altro rischio è di finire nelle porte girevoli delle misure di sicurezza detentive per cui si rientra in cella appena dopo esserne usciti. Gli internati chiamano la loro condizione “ergastolo bianco”, perché la misura di sicurezza può essere prorogata illimitatamente, come ha denunciato Laura Longo, presidente del tribunale di sorveglianza dell’Aquila, che lo scorso febbraio, dopo l’ennesimo suicidio tra gli internati nel carcere di Sulmona, ha scritto una dettagliata relazione al ministero della Giustizia. La relazione denuncia, tra le altre cose, il meccanismo dei rinnovi continui della misura di sicurezza: non lavorando di fatto, gli internati non offrono elementi per far valutare ai giudici la loro cessata o diminuita pericolosità. Le Case di lavoro, poi, rispondono a una concezione ottocentesca ripresa, nel 1930, dal codice Rocco ancora in vigore. In più c’è il problema del lavoro da svolgere; al momento non risultano cooperative sociali o aziende esterne che diano impiego agli internati. Le sole attività svolte sono quelle per l’amministrazione penitenziaria, In questo caso non c’è un contratto e al massimo si guadagnano cento o duecento euro al mese, perché il capitolo di spesa per i pagamenti dei detenuti lavoratori si assottiglia sempre di più. Risultato: sia detenuti che internati, quando va bene, lavorano poche ore a settimana e a periodi, perché per far lavorare un pò tutti si organizzano gruppi a rotazione. Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, parla di “reperto di archeologia giuridica” tornato in auge: “Negli ultimi tempi c’è stato un revival di questo tipo di misure. Ma sono norme scritte prima della Costituzione, e si vede”. Giustizia: Spigarelli (Ucpi): ridurre abuso carcerizzazione… problema annoso e scomodo di Bartolo Scifo Terra, 19 giugno 2011 La questione carceraria è un problema al quale non si è mai tentato realmente di trovare una soluzione. A pochi anni dall’ultimo indulto che aveva permesso di alleviare il dramma carcerario italiano, ci troviamo nuovamente di fronte ad una condizione limite. Abbiamo sentito sulla questione carceraria italiana Valerio Spigarelli, Presidente dell’Unione Camere Penali, che dal primo giugno si è unita alla protesta di Pannella con lo sciopero della fame a staffetta di tutti i componenti della Giunta, avviato proprio dal Presidente Spigarelli. Perché avete deciso di appoggiare la protesta di Pannella? Anche voi invocate l’amnistia? L’Unione delle Camere Penali ha fatto propria l’iniziativa di Pannella perché anche noi da sempre denunciamo, senza riscontro alcuno, la drammatica situazione delle carceri italiane. Se la politica si decidesse a risolvere il problema, ben venga l’amnistia. L’amnistia, come l’indulto, sono soluzioni eccezionali ma spesso sono le uniche possibili per arginare problemi che, in realtà, sono strutturali. Amnistia o non amnistia, in primo luogo è necessario rendere migliori le condizioni delle carceri, permettendo così una detenzione rispettosa della dignità umana. Poi, dal punto di vista legislativo, servono delle azioni strutturali che non consentano una carcerizzazione così elevata. Cosa intende per azioni strutturali? Andrebbe rivista la parte generale del Codice penale sulle sanzioni, dando più spazio ad una serie di pene alternative, ovvero tutto un catalogo di sanzioni che nel nostro paese viene poco considerato. Per fare un esempio concreto: poco meno della metà degli attuali detenuti sono imputati in attesa di giudizio; per chi sta in questa posizione, in linea di massima, non c’è nessuna necessità di detenzione. Solo questo “accorgimento” ridurrebbe già drasticamente la questione del sovraffollamento. La politica italiana di ogni colore però non ha mai deciso di agire realmente per ridurre l’abuso di carcerizzazione, anzi all’incombere di ogni nuova emergenza securitaria si è sempre legiferato a favore di reati sanzionabili con la reclusione. Anche i magistrati spesso si dicono favorevoli alle pene sostitutive, ma poi nel concreto sono più inclini ad optare per la reclusione, anziché rivolgersi verso pene alternative che garantiscono una migliore rieducazione. A proposito della funzione rieducativa della pena, siamo a 25 anni dalla legge Gozzini… Malgrado gli anni trascorsi c’è chi ancora attacca la legge Gozzini. Se un detenuto su mille che ha goduto dei benefici della Gozzini compie un reato, finisce nelle prime pagine dei giornali. Nessuno parla mai della reale riabilitazione degli altri 999. È provato, infatti, che il tasso di recidività di chi ha avuto pene alternative è nettamente più basso di chi ha scontato la pena dietro le sbarre. Giustizia: Bernardini (Pd); amnistia e riforma del codice penale, contro il sovraffollamento Ansa, 19 giugno 2011 Amnistia e riforme del codice penale per combattere il problema del sovraffollamento delle carceri. È la richiesta ribadita da Rita Bernardini, deputata della delegazione radicale nel Partito democratico, al termine della lunga visita ieri a Cagliari alla Casa circondariale di Buoncammino, condotta insieme a Carlo Loi e Irene Testa, esponenti cagliaritani dei Radicali Italiani. Il sopralluogo si inserisce nell’ambito dell’iniziativa denominata “Amnistia subito”, promossa da Marco Pannella, in sciopero della fame dallo scorso 20 aprile. “Troppo tempo senza fare niente per i detenuti e il sovraffollamento - ha spiegato Bernardini - sono problemi anche al Buoncammino: ci sono 507 persone, di cui 22 donne, contro una capienza massima prevista di 330 unità”. Nella relazione finale dei Radicali viene evidenziata anche la percentuale di tossicodipendenti in carcere: “Sono 179 - spiega la parlamentare - di cui 50 in trattamento metadonico e altri 14 con altro tipo di trattamento”. Nel resoconto è indicato anche il numero dei detenuti lavoratori: 79 su 507. “Rispetto alla visita effettuata un anno fa - aggiunge - abbiamo notato come miglioramenti l’abbattimento del muretto divisorio nella sala colloqui e l’aumento degli educatori, mentre è stato ridotto il numero degli psicologi”. Quanto all’assistenza sanitaria “ci è stato spiegato che il 9 giugno è stato firmato il passaggio dalla Sanità penitenziaria a quella regionale”. Giustizia: bollettino medico; se Pannella prosegue digiuno necessario il ricovero Italpress, 19 giugno 2011 “Si ritiene necessario che Marco Pannella riprenda subito una alimentazione adeguata e che si sottoponga ad ulteriori controlli clinici e strumentali, meglio se in regime di ricovero. Il ricovero è comunque improcrastinabile nel caso di ulteriore protrarsi del digiuno”. È il bollettino medico diramato dal professor Claudio Santini sulle condizioni di salute di Pannella, che dal 20 aprile si alimenta assumendo soltanto tre cappuccini al dì per protestare contro la situazione nelle carceri italiane. “A fronte del peso iniziale di 110 kg del 20 aprile, il peso attuale è di 83 kg (calo ponderale di 27 kg in due mesi), la pressione arteriosa di 105/70 mmHg, la frequenza cardiaca di 72 battiti/minima - si legge. È stata evidenziata una condizione di sarcopenia con marcata ipotrofia muscolare e un discreto stato di disidratazione, confermato anche dalla contrazione della diuresi osservata dal paziente negli ultimi giorni. Al momento le analisi di laboratorio sono nella norma, con l’eccezione dell’esame delle urine, che documenta un peso specifico elevato e la presenza di proteine e corpi chetonici”. Di fronte all’intenzione manifestata Pannella di interrompere nelle prossime ore anche l’assunzione di liquidi, “si evidenzia il rischio elevatissimo che tale decisione comporterebbe, dato che l’attuale grave compromissione dello stato generale, l’ipotensione e la presenza già ora di una disidratazione considerevole rappresentano importanti fattori di aggravamento delle patologie cardiovascolari di base e non lasciano margini di compenso”, conclude Santini. Lettere: i carcerati sono “fratelli”… non solo di Marco Pannella di Gianni Gennari Avvenire, 19 giugno 2011 Con un articolo su “Italia Oggi” l’avvocato Emilia Rossi si associa allo sciopero della fame di Marco Pannella e propone “l’amnistia, strumento... che ha sempre accompagnato le riforme organiche del nostro sistema giudiziario”. Tema complesso, cui qui si aggiunge la distanza dalla visione di Pannella, ma occasione per due ricordi. Primo: il plauso unanime del Parlamento italiano a Giovanni Paolo II quando nell’Aula di Montecitorio parlò dell’amnistia, già necessaria allora. Secondo, e personale. Mons. Cesare Curioni (1923-1996), una vita intera dedicata ai carcerati, 30 anni cappellano a San Vittore e altri 15 al Ministero di Giustizia Ispettore Generale Cei dei Cappellani di tutte le carceri d’Italia, carissimo a Paolo VI, nel 1992 in un convegno del Ministero ricordò che i detenuti non sono “mostri”, ma persone, figli di Dio e “fratelli”. Ovvietà? Sì, non ovvio aggiungere che l’attuale sistema carcerario non solo non rieduca - la recidività supera il 60% - ma incentiva il delitto in tanti modi. E allora si chiese se “è giusto che il carcere, come di fatto oggi avviene, sia l’unica punizione”. Succedeva e succede che una detenzione anche di soli 3 o 4 mesi fa perdere il posto di lavoro e spesso porta allo sfascio della famiglia. Di qui la sua “modesta proposta”: “La società mantenga il carcere, ma per quei casi estremi in cui, per la qualità del reato, o per la pericolosità del soggetto, non sia possibile un’altra soluzione”, come p. es. l’obbligo di lavori di utilità sociale in orari a scelta, ecc. Era il 1992: sono quasi 20 anni, e 11 dall’applauso unanime a Giovanni Paolo II. Siamo ancora Ti, e peggio. È giusto che paia pensarci solo Pannella? Lettere: casa di reclusione “Due Palazzi”… morire in carcere di Vittorio Svegliado Il Gazzettino, 19 giugno 2011 Un’altra morte nella casa di reclusione di Padova. Quattro morti in due mesi, probabilmente un record per le carceri italiane. Medhi, Federico, Walter ed ora Alessandro. Quattro ragazzi tutti con meno di 40 anni sono morti o impiccati o uccisi dalla bomboletta di gas butano. Eppure nei quotidiani si legge che il 2 Palazzi sarebbe uno dei migliori carceri d’Italia. Io che ci ho lavorato per anni non conosco le motivazioni di questo apprezzamento. Quando arriva il sottosegretario Casellati oppure il radicale Pannella probabilmente fanno loro vedere il fiore all’occhiello del carcere, il cosiddetto Polo Universitario che ospita meno di dieci detenuti (su 800) e che è una specie di college. Difficilmente saranno portati a visitare quel posto orrendo che si chiama infermeria e che, proprio perché ospita malati tutti gravissimi, dovrebbe essere un posto di riguardo e che invece è impressionante per la disumanità, che colpisce come un pugno sullo stomaco. Probabilmente non faranno nemmeno vedere la sezione di Eiv (elevato indice di vigilanza) ora rinominata in A.S. (alta sicurezza) in cui anche d’inverno l’acqua delle docce arriva fredda e in cui il colloquio con il volontario deve essere espressamente autorizzato dal direttore. Qui ho conosciuto un detenuto affetto da epilessia grave, che sovente batteva la testa contro il pavimento. Chiedeva continuamente che venisse tolta la seconda branda (peraltro inutilizzata) che costituiva un pericolo per la sua malattia. Io stesso mi sono recato al Comando per perorare questo che era un diritto sacrosanto. Era un affare di due minuti: quattro bulloni da togliere. Non mi risulta che sia stato fatto. E allora che non si dica che è uno dei carceri migliori d’ Italia! Umbria: Fp-Cgil: situazione allarmante nelle carceri Ansa, 19 giugno 2011 “Le istituzioni locali devono farsi attori e garanti di una modifica sostanziale dell’attuale situazione”. La Fp-Cgil dell’Umbria denuncia l’allarmante situazione degli istituti penitenziari della regione e con la segretaria Vanda Scarpelli sollecita una risposta urgente anche da parte delle istituzioni locali, a partire dalla giunta regionale fino ad investire le municipalità e il governo delle città di Spoleto, Terni, Orvieto e Perugia. “Il carcere - sottolinea la Scarpelli - con le sue evidenti criticità non può essere vissuto come realtà altra rispetto al territorio, nè si può pensare di abbandonare questa istituzione ad un destino in cui la sua funzione è ridotta alla mera custodia, o peggio alla costrizione”. Venezia: continua la protesta dei detenuti contro il sovraffollamento La Nuova Venezia, 19 giugno 2011 Dopo i due giorni di sciopero della fame, ieri dalle 12 alle 13, i detenuti di Santa Maria Maggiore hanno inscenato un’altra protesta pacifica contro le condizioni di degrado in cui sono costretti a vivere. Per un’ora hanno battuto piatti, coperchi e pentole in modo da farsi sentire all’esterno. Una situazione sempre più insostenibile, soprattutto con il caldo dell’estate: il carcere veneziano può ospitare 160 detenuti, ora ve ne sono 350. “I detenuti - scrivono - consapevoli della loro condanna o colpevolezza chiedono di poter espiare quanto loro destinato in modo corretto, civile, utile, efficace e reintegrativo, ricordando che se rieducati, reinseriti e aiutati l’80 per cento non torna più a delinquere”. Intanto, anche la Polizia penitenziaria si mobilita. Ieri gli agenti iscritti alla Cgil hanno emesso un comunicato stampa in cui affermano: “A fronte del costante e vergognoso problema del sovraffollamento delle carceri esprimiamo la nostra preoccupazione per la evidente inadeguatezza delle misure introdotte con il Piano carceri e per l’indifferenza del governo”. Quindi, parlano delle drammatiche condizioni di vivibilità all’interno delle celle. “A queste condizioni - proseguono - se non saranno presto adottati interventi strutturali per deflazionare le carceri e migliorare le condizioni di lavoro della Polizia penitenziaria rischiamo di assistere all’implosione del sistema carcerario. E per questo che accogliamo con scetticismo la proposta di costruire un nuovo carcere a Venezia. Al di là delle dispute sulla sua collocazione, non ne avvertiamo la necessità anche alla luce della possibilità di recupero della struttura Sat della Giudecca, che ristrutturata potrebbe dare respiro alla situazione di Santa Maria Maggiore”. Livorno: detenuto tenta il suicidio nel carcere delle Sughere, salvato dagli agenti Il Tirreno, 19 giugno 2011 L’uomo è stato salvato dall’intervento di alcuni agenti di polizia penitenziaria. L’episodio, secondo quanto riferito dalla Uil, si è verificato poco dopo l’inizio del turno mattutino nel reparto Alta Sicurezza. Questa mattina un detenuto nordafricano ha tentato di suicidarsi nel carcere livornese delle Sughere. L’uomo è stato salvato dall’intervento di alcuni agenti di polizia penitenziaria. La notizia è stata resa nota da Uil Penitenziari con il coordinatore provinciale Mauro Barile. Secondo quanto ricostruito il detenuto straniero ha tentato il suicidio legando intorno al collo un cappio rudimentale agganciato alle inferriate della finestra. L’episodio, secondo quanto riferito dalla Uil, si è verificato poco dopo l’inizio del turno mattutino nel reparto Alta Sicurezza. Sono stati tre agenti della polizia penitenziaria ad accorgersi di quanto stava accadendo, liberando il detenuto dal cappio. “In questi, come in molti altri casi, la prontezza e la capacità di saper prevenire sono gli unici insostituibili fattori - aggiunge Barile - che facilitano la gestione degli eventi critici del genere, date le caratteristiche strutturali dei servizi igienici allestiti nelle camere detentive. Questa mattina il connubio dei due elementi ha dato dimostrazione dell’infallibilità”. “Ma non possiamo non domandarci - aggiunge la Uil - per quanto tempo ancora si dovrà ricorrere agli strumenti di fortuna. Gli operatori penitenziari sono stanchi di subire la disattenzione di chi ha la responsabilità istituzionale di fornire i dovuti strumenti, personale e risorse economiche, necessari ad un più funzionale sistema penitenziario”. Agrigento: agente salva detenuto da tentativo di suicidio La Sicilia, 19 giugno 2011 Ennesimo sventato suicidio nel carcere Petrusa. Ad allacciarsi un lenzuolo a mò di cappio all’interno della propria cella è stato giovedì sera un detenuto di origini catanesi, recluso per reati di lieve entità. L’uomo, seguendo un copione già “rispettato” da altri detenuti nel recente passato, ha atteso che i compagni di cella si allontanassero per inscenare il proprio gesto estremo. Annodato un lenzuolo alla grata della cella si è lasciato andare, cercando di morire soffocato. Per sua fortuna, l’uomo è stato immediatamente visto dagli agenti della polizia penitenziaria in servizio in quel momento nella sezione del carcere agrigentino. Un assistente capo è scattato come una molla dentro la cella, divincolando il detenuto dal cappio rudimentale che a momenti lo mandava al Creatore. Alzandolo di peso l’agente è riuscito a bloccare il principio di soffocamento, consentendo l’intervento in suo aiuto di altri colleghi. Il recluso etneo è stato prontamente trasferito nella sala medica del penitenziario, per essere sottoposto alle cure del caso. Pare che le sue condizioni di salute generali non destino preoccupazioni. Un lieto fine che ha molti precedenti almeno negli ultimi tre anni, periodo in cui nel penitenziario al confine tra Agrigento e Favara si sono registrati frequenti episodi di tentata auto soppressione e e autolesionismo. Nonostante le difficoltà derivanti dai turni massacranti di lavoro, a causa della straripante presenza di detenuti, gli agenti della penitenziaria hanno sempre evitato il peggio. E proprio sull’ultimo salvataggio in extremis si registra l’intervento del sindacato Sappe che, con il segretario Calogero Navarra evidenzia “la compostezza e la lodevole gestione della situazione, nonostante l’esigua presenza di agenti in servizio nel caso specifico in quella turnazione serale”. Cosenza: Polizia penitenziaria pronta a protestare in maniera eclatante Gazzetta del Sud, 19 giugno 2011 È giunto a un punto di definiva rottura il rapporto tra i vertici degli organismi della Giustizia a livello regionale e nazionale ed il personale della Polizia Penitenziaria dell’Istituto di Rossano, rappresentato da tutte le sigle sindacali locali, che hanno indetto lo stato di agitazione a causa della situazione di precarietà in cui versa la struttura per la carenza di personale di polizia penitenziaria ed amministrativo, ma anche per le carenze di risorse e mezzi. I rappresentanti delle sigle sindacali, che hanno rivolto un appello alle istituzioni locali, regionali e nazionali, hanno anche dato un ultimatum ai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria: se entro il 30 giugno non avranno alcuna risposta alla loro richiesta di incontro per affrontare le problematiche segnalate, ricorreranno ad altre forme di protesta, anche eclatanti. Tra queste, a quanto sembra, non si esclude quella di autoconsegnarsi all’interno del carcere. Le rivendicazioni e le motivazioni che hanno determinato lo stato di agitazione sono contenute in un documento sottoscritto da Filippi (Uil-Pa-Penit), Fusaro (Sappe), Santoro (Sinappe), Larocca (Osapp), Vennari (Cgil), Attoma (Fsa-Cnpp) e trasmesso al Ministro della Giustizia, al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Presidente Franco Ionta, al Provveditorato Regionale, al direttore della locale Casa di Reclusione, al presidente Giulia Buongiorno ed agli altri componenti della commissione Giustizia della Camera, Antonio Di Pietro e Rita Bernardini, ai parlamentari locali Giovanni Dima e Cesare Marini, al consigliere regionale, Giuseppe Caputo, al Prefetto di Cosenza, al presidente della Provincia, al sindaco di Rossano, alle segreterie delle Organizzazioni Nazionali. Nella comunicazione si prende atto dell’”accertata e assoluta indifferenza dimostrata dal Provveditorato Regionale per la Calabria nonché dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in ordine alle più volte segnalate problematiche che gravano sul personale operante nella struttura penitenziaria di Rossano”. Si fa presente, inoltre, che le criticità del personale sono giunte a un livello non più gestibile tanto da impedire la predisposizione del piano ferie e che il grado di tolleranza dello stesso è giunta ad un punto limite, per cui “proseguire in questo stato determinerà rischi notevoli per la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza interna nonché per la salute dei lavoratori, da tempo costretti a un elevato e continuo stress psicofisico dovuto alla mancanza di risorse umane e strumentali che sono costretti a sopperire espletando, contestualmente, più e diversificati mansioni nell’arco del medesimo orario di servizio”. Da qui - scrivono i sindacati - discendono le forme di legittime proteste “a tutela della dignità personale e professionale, nonché a salvaguardia dell’immagine e decoro del Corpo di Polizia Penitenziaria costantemente lesa dall’operato approssimativo e incerto di una classe dirigente incapace di assumere decisioni responsabili, logiche e consequenziali, rispetto alla situazione di inarrestabile decadenza in cui versa il sistema penitenziario del paese”. Infine, nel rivolgere un appello alle istituzioni locali e alla società civile affinché il carcere non diventi un fattore di rischio per il territorio invece di rappresentare un presidio di sicurezza e legalità, si sottolinea che a fronte di un incremento esponenziale dei detenuti, stipati al di fuori di ogni regola, si registra una drastica diminuzione delle unità di polizia che pone in una posizione di rischio “una delle realtà più edificanti come quella di Rossano”. L’Aquila: corteo della sinistra antagonista contro il regime di 41bis, traffico in tilt Agi, 19 giugno 2011 Traffico in tilt, disagi alla circolazione e momenti di tensione all’Aquila per il corteo di circa 150 persone giunto nel capoluogo per la manifestazione della sinistra antagonista contro il regime carcerario duro del 41bis. Guardato a vista da un imponente schieramento di forze dell’ordine, il corteo è partito intorno alle 11 dalla Fontana Luminosa e, passando lungo via della Croce Rossa, ha raggiunto piazza d’Armi, dove gli autobus hanno portato i manifestanti nella frazione di Preturo, in cui si trova il super-carcere delle Costarelle dove è detenuta, proprio in regime di 41bis, la brigatista Nadia Desdemona Lioce, insieme a un centinaio di boss di mafia, Camorra, ‘Ndrangheta e Sacra Corona Unita. In realtà il corteo aveva organizzato il passaggio nel centro storico della città ancora puntellata per i gravi danni riportati dal sisma del 6 aprile di due anni fa. Il gruppo di manifestanti su invito delle stesse forze dell’ordine ha deciso di fare un percorso alternativo. Durante il corteo alcuni esercizi commerciali hanno scelto di chiudere momentaneamente, altri sono rimasti aperti, comunque non ci sono stati incidenti. Qualche disagio per un blocco stradale in viale Corrado IV. Al corteo erano presenti anche gruppi che fanno riferimento all’ala più radicale del movimento, in particolare provenienti dai centri sociali di Bologna, Padova, Milano, Roma e Napoli. Qualche momento di tensione si è verificato nel primo pomeriggio all’esterno del carcere delle Costarelle all’arrivo dei manifestanti di sinistra antagonista che hanno tentato di avvicinarsi alla rete protettiva. Le forze dell’ordine li hanno però bloccati a diverse centinaia di metri dalla struttura penitenziaria. Anche in questo caso, come nell’analoga manifestazione del giugno del 2007, i manifestanti hanno intonato cori contro le forze dell’ordine, contro il regime duro del 41bis definito da loro come “forma di tortura” e “10, 100, 1000 Nassiriya”. Savona: Sappe; trasferimento di 50 detenuti… si svuota il S. Agostino? Savona News, 19 giugno 2011 Si svuota il S. Agostino di Savona? 50 detenuti del carcere di Savona lasceranno a giorni la struttura del S. Agostino. E in piazza Monticello gli Agenti si chiedono se questo non sia un primo passo verso la chiusura definitiva del carcere savonese. Lo annuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe “Sembra che a seguito del cedimento strutturale, qualche giorno fa, di una parte di soffitto nella portineria nel carcere di Savona” dice Donato Capece, segretario generale del Sappe “la Magistratura voglia vederci chiaro. E gli agenti del carcere di piazza Monticello mi parlano di un prossimo sfollamento di 50 detenuti dal S. Agostino, perennemente sovraffollato. Venti partirebbero tra oggi e lunedì ed altri 30 nei prossimi giorni. I Baschi Azzurri di Savona sono, giustamente, in allarme, perché uno sfollamento con questi numeri non si era mai visto e sospettano che dietro via sia la decisione di chiudere il carcere. Noi riteniamo che questo non possa avvenire che dopo l’apertura di un tavolo con i Sindacati locali della Polizia Penitenziaria, che devono necessariamente essere coinvolti in una ipotesi di questo tipo per tutto quello che determina, in primis la mobilità degli Agenti. Ma bisogna prima sapere se questo sfollamento è prodromo alla chiusura del carcere.” Capece sottolinea infine che proprio nei giorni scorsi “il Sappe ha sollecitato un confronto con l’Amministrazione penitenziaria regionale su Savona e sulle altre sedi penitenziarie liguri, per evidenziare criticità e problematiche e possibili soluzioni. Ma dal Provveditorato della Liguria non abbiamo colpevolmente ricevuto ancora alcuna risposta”. Milano: intervista a Massimo D’Angelo, Presidente della cooperativa Ecolab www.paperblog.it, 19 giugno 2011 Quando e come nasce l’Ecolab? Noi nasciamo nel settembre del 2000 da un’idea nata in funzione del fatto che a San Vittore esisteva una piccola pelletteria. Una piccola stanza (più o meno come questa) dove 4 o 5 ragazzi lavoravano la pelle. Sono stato contattato dai dirigenti della Regione Lombardia per fare un progetto per un corso. È dalla fine del corso che si è determinata la struttura della cooperativa. Quanto è importante il vostro contributo? Questi sono i dati dei detenuti totali che sono passati dalla cooperativa. In undici anni di lavoro. I 105 sono quelli che si sono totalmente e realmente desocializzati. Ciò significa che noi abbiamo una recidiva del 12%. E cosa vuol dire? Cioè la recidiva per le persone detenute, che non passano attraverso i progetti di trattamento, nella media nazionale è del 68%. Quindi all’interno della nostra cooperativa, dove la recidiva è del 12%, lo Stato Italiano in costi di gestione carceraria sulla recidiva, con la nostra operatività, allargabile anche alle altre cooperative, risparmia dieci milioni di euro, circa. E quanto ne investe? Zero. I contributi che noi abbiamo avuto in undici anni, sono equivalenti a novantatremila euro. Ciò significa che abbiamo avuto incentivi di supporto alla formazione per sessantatremila euro, contributi locali pubblici, avuti nel 2002, pari a centocinquantamila euro, per il progetto “Emergo” centocinquanta mila per un totale di novecento trentamila euro di contributi. Nemmeno il 10% rispetto ai costi. Come fate, allora, ad andare avanti? Siamo, ovviamente, in una situazione finanzia precaria. Ciò vuol dire che cerchiamo il più possibile di spingere la parte produttiva. In più ci aiutano i contributi delle persone private con le loro donazioni alla cooperativa. Va da se che non riusciamo a raccogliere i soldi necessari a coprire i debiti. Abbiamo visto quanto è importante il vostro contributo a livello di recidività. Gestite attività socio educative finalizzate all’inserimento del disadattato nel mondo del lavoro… Si, la prima fase è il lavoro. Sui 120 che sono passati in cooperativa tra il laboratorio di San Vittore e il laboratorio esterno 105 hanno trovato collocazione estera. E collocazione esterna vuol dire sia lavoro attraverso attività private (appartenenti cioè a quelle famiglie che avevano delle imprese già alla base, come ad esempio, quelle di autotrasporti), altri sono riusciti a trovare lavoro singolarmente, altri, invece, grazie anche al nostro aiuto. Se da un lato in carcere aveva inizialmente scelto di non tornare a delinquere, successivamente l’ha maturata, pensando, con convinzione, che è effettivamente possibile vivere in maniera differenziata rispetto a come vivevano prima: facendo dei sacrifici, come tutte le altre persone normali. Quindi voi, per un primo periodo li seguite anche fuori di qui? In parte è vero, in parte tornano loro, nel senso che tornano periodicamente a salutarci. La cooperativa è un’esperienza forte ed il fatto di aver avuto la possibilità di essere riusciti a trovare, attraverso questa, un’alternativa di vita a quella precedente, crea comunque un rapporto sì di lavoro, ma anche umano. Ci si ritrova o passano ogni tanto. Poi quando apprendono di nuove attività o produzioni legate alla cooperativa, sono contenti e ci chiamano perché sono orgogliosi. C’è quindi questo tipo di rapporto positivo. Avete costituito un marchio: “I Gatti Galeotti”… Il marchio è stato costituito insieme alla cooperativa Alice che si occupava e si occupa fondamentalmente di attività sartoriali. La prima esperienza che è stata utile per utilizzare il marchio in comune è stata con la Feltrinelli. Il prodotto declinato su una gamma di borse e di magliette è stato successivamente distribuito dalla stessa Feltrinelli. È stata in quell’occasione che, abbiamo pensato di realizzare effettivamente un marchio, ovvero “I Gatti Galeotti”. Oggi “I Gatti Galeotti”, sono distribuiti su prodotti della Ecolab e su prodotti della Alice. Noi ci occupiamo degli accessori, loro di abbigliamento. Il marchio de “I Gatti Galeotti” è “oggetto” di co-branding, e i due che stiamo portando avanti in cooperativa sono “I Recicleu” con la società “Gut Distribution” che distribuisce la “Smemoranda”. C’è quindi una linea di prodotti che riguarda l’interesse di cartolibrerie, studenti e scuole. Mentre, l’altro “Ban Bag” che sarebbe “Banner Bag” che, insieme a “Magliette Fresche”, ci dà la possibilità di distribuire delle borse attraverso la Coin. È molto singolare il materiale da voi utilizzato per creare i vostri gadget. Da sempre la cooperativa ha cercato di darsi delle finalità che vanno oltre l’inserimento sociale. Una finalità più ampia che inizialmente ci era stata richiesta dal primo gruppo di persone detenute formate attraverso della cooperativa: un obiettivo che li rendesse utili per se stessi ma, anche per gli altri. Si è cercato di capire come realizzare questo scopo e l’unica possibilità reale e convincente era quella di trovare un prodotto che avesse delle caratteristiche particolari come il rispetto ambientale. Il messaggio, molto più forte e non solo di risocializzazione del detenuto, parte quindi dal materiale utilizzato: la canapa, la juta, cuoio o pellami riciclati e conciati al vegetale fino ad arrivare al materiale di riciclo. Il prodotto che rappresenta la linea più richiesta da qualsiasi cliente è realizzato con gli striscioni pubblicitari. Le aziende che dismettono gli striscioni pubblicitari ce li cedono e noi, li ri-utilizziamo per farci delle borse. Questo vi permette di avere un contatto con l’azienda a livello d’investimento? Il contatto d’investimento non è con le aziende che ci procurano gli striscioni ma con le aziende che acquistano i nostri prodotti sia in cobranding sia con il marchio “I Gatti Galeotti”. Nella realtà, sono loro che effettivamente sostengono la cooperativa attraverso il lavoro che riescono a mandarci ovviamente con il grossissimo handicap di un mercato in crisi. Se nel 2008 eravamo riusciti a sanare i debiti con le banche ed eravamo riusciti ad avere dei rapporti, con le strutture aziendali, tali da poter stare tranquilli, nel 2009, quando si è scatenata la crisi, alcune aziende o società come la Banca Popolare di Milano, una dei nostri maggiori sostenitori negli anni, si è trovata gestire un budget ridotto quasi dell’80% e quindi ne abbiamo risentito anche noi. Adesso si sta risalendo la china per tanti motivi: la Banca Popolare di Milano ha aumentato il budget rispetto agli anni passati (Non arrivando certo a toccare le somme degli anni d’oro del 2008 ma avvicinandosi), si sono aggiunte delle aziende di tutto rispetto come la “Gut” o come “Magliette Fresche” e, continuiamo a mantenere i nostri contatti con le aziende per quanto riguarda i gadget. Come sviluppate il lavoro all’interno della cooperativa? All’interno della cooperativa è molto più semplice. La filosofia della cooperazione è alla base della gestione dei rapporti. Sebbene esiste un responsabile, le regole sono profondamente condivise. C’è un sistema tecnico per definire le regole, ovvero quello di farle arrivare dal basso. Abbiamo scelto di chiedere alle stesse persone che partecipano alla cooperativa, quindi detenuti o diversamente abili, quale tipologia di regole volessero. Questa è stata una scelta difficile da portare avanti, perché è più semplice sia entrare in un posto con delle regole scritte ed è più facile anche rispettarle. Però dietro a questa “legislazione interna” c’è un’idea: la scelta. La maggior parte delle persone detenute, non hanno alcuna possibilità di scelta, e noi, molto spesso non siamo una scelta ma, dal punto di vista del detenuto, un obbligo per poter essere portati all’esterno. Quindi nell’ambito lavorativo scegliersi per lo meno quelle che sono delle regole di convivenza, diventa un elemento per il riconoscimento della persona. Facendo arrivare le regole dal basso, si attua un sistema di scambio relazionale tra persone il cui scopo ultimo è quello di vivere il più tranquilli possibile. Si cerca cercando di mantenere alto il livello di serenità laddove, soprattutto quando si deve andare in produzione, la tensione è di per se in crescita dovuta, ad esempio, alle date di consegna, dall’arrivo dei materiali. Un insieme di fattori collegati alle problematiche produttive. Noi, cerchiamo di neutralizzare tutti gli elementi che potrebbero aumentare la tensione permettendo così di inquadrare ogni singolo ruolo in uno più ampio, di gruppo. Si trovano delle difficoltà a fare questo? Si, ovvio, perché comunque è una cosa deve essere fomentata dal basso e non tutti hanno una preparazione legata al lavoro. È attraverso una preparazione (che si acquisisce con la formazione) che si cerca di spingere le persone a crearsi un modus vivendi coerente con quello degli altri. C’è chi, entrando qui, si crea delle aspettative per il futuro? Si, è quasi normale soprattutto per quelle persone che hanno un alto feeling con la tipologia del lavoro. Le aspettative, si creano col tempo e spesso trovano una soddisfazione. Noi ad esempio, abbiamo avuto delle persone detenute che sono rimaste con noi per più anni rispetto a quelli preventivati, persone rimaste legate alla tipologia di lavoro. Ci sono delle fasi. Quando arrivano qui, inizialmente, le aspettative sono elevatissime su tutto, non solo per il lavoro, ma per qualsiasi cosa una persona possa comunque fare. Dopodiché c’è un attenuazione dell’entusiasmo e dell’aspettativa. Ci si rapporta la realtà come tale. Una realtà difficile: una persona esce dal carcere per andare a lavorare e poi torna in carcere. Una situazione non completamente paradisiaca. Nel momento in cui si accetta tutto il sistema, si passa alla seconda fase dove, alcune persone pensano di poter trovare una relazione diversa con l’esterno attraverso il lavoro della cooperativa. Questo lo si realizza soprattutto quando passano da una misura di benefici di legge ad un’altra. In quel momento percepiscono il loro sacrificio in parte, riconosciuto dalla legge, in parte dal punto di vista lavorativo. Le persone, infatti, quando nella fase formativa passano da una borsa lavoro, ad un contratto a tempo indeterminato, incominciano a vedere che il loro lavoro viene assolutamente riconosciuto economicamente. Matera: martedì sit-in dei radicali lucani davanti al carcere Notizie Radicali, 19 giugno 2011 L’Associazione Radicali lucani martedì mattina terrà un sit-in fuori al carcere di Matera a partire dalle ore 11 a sostegno dell’iniziativa nonviolenta per a quale, dallo scorso 20 aprile, Marco Pannella sta dando vita a uno sciopero della fame e si prepara ora a intraprendere anche lo sciopero della sete. “Nell’ottobre scorso - spiegano i Radicali Lucani - un rapporto shock dell’Associazione Antigone faceva emergere una situazione di inaccettabile sovraffollamento di carceri che quotidianamente tradiscono le finalità che la Costituzione attribuisce alla detenzione: 68.527 detenuti a fronte di 44.612 posti. Marco Pannella ha annunciato il passaggio allo sciopero della sete. La sua è sete di verità e di giustizia, fame di legalità. Nell’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella vive il tentativo di dialogare con il palazzo sordo e immobile di fronte al disfacimento dello Stato di diritto e del diritto a poter conoscere per deliberare. Marco Pannella porge la sua guancia di nonviolento a chi lo vuole muto. Io sto con Marco e mi auguro che nelle prossime ore si apra uno spiraglio e filtri la luce, che vinca la forza del dialogo e la capacità di ascolto. Che qualcuno ascolti il grido di dolore che arriva dalle galere e dalla “comunità penitenziaria”. Torino: il Cappellano; nessuna corruzione… ho preso la vernice senza muovere un dito La Repubblica, 19 giugno 2011 La verità di don Piero. Il cappellano delle Vallette, agganciato dagli uomini d’onore che cercavano sponde per far trasferire Alfonso Crea da Bologna a Saluzzo, gratificato con una fornitura di vernice e di attrezzi, racconta di come “inconsapevolmente e senza colpe” sia finito in un capitolo delle indagini sulle ‘ndrine trapiantate sotto la Mole. L’attivarsi degli uomini d’onore per avvicinare a casa, e a loro, un compare carcerato. “Il detenuto è stato trasferito. Però io non ho fatto nulla per agevolare lo spostamento. Non ho mosso un dito. Non ho speso una parola”. E adesso il sacerdote, 72 anni e lo sguardo dritto di chi non ha niente da rimproverarsi, riepiloga l’accaduto. Una “soggettiva” che aggiunge, precisa, rettifica. “In carcere io provvedo anche a organizzare la tinteggiatura delle sezioni, perché altrimenti nessuno la fa. Uno dei detenuti, che solo successivamente ho saputo essere in combutta con altri, mi ha suggerito di andare a prendere il materiale che serviva per la sezione in un colorificio di corso Vercelli: “Lì ti fanno lo sconto”. Il giorno dell’acquisto, tre anni fa, ormai, mi sono stati messi a disposizione un furgone della polizia penitenziaria e un agente”. Durante il tragitto verso il negozio raccomandato, il sacerdote parla due volte al cellulare con Giuseppe Zucco, uno dei “vecchi” della Little Calabria di Piemonte, anche lui poi travolto dall’operazione Minotauro. “Mi ha spiegato la strada. Lo abbiamo raggiunto in piazza Rebaudengo e abbiamo cercato un parcheggio. Quando siamo entrati nel colorificio - sempre parole di don Piero - lui era già dentro e si comportava come se fosse il padrone della bottega. Ho dato la lista delle cose da comprare a quello che sembrava il garzone e il ragazzo è andato a prendere le latte di colore. Zucco intanto aggiungeva roba extra. Non mi sono stupito. Capita che i commercianti ci facciano prezzi di favore e omaggi, se sanno che è per il carcere. Alla fine mi ha detto che era tutto in regalo. Dopo, non prima, è arrivata la richiesta per Crea”. “All’inizio pensavo che fosse un poliziotto penitenziario. Invece era un detenuto in cella a Bologna, un padre di famiglia che cercava di avvicinarsi a casa. Ho risposto a Zucco che avrei chiamato il capo di noi cappellani, a Roma, ma che non c’erano possibilità diverse dalla procedura prevista: la domanda alla direzione, il nulla osta della magistratura. La sola alternativa sarebbe stata quella di individuare un detenuto in condizioni simili, nell’istituto desiderato, e proporre uno scambio di posti. Per me però la questione è finita lì: non ho più contattato nessuno e non mi sono attivato in alcun modo. Non ho dato peso alla cosa e non l’ho segnalata ad alcuno”. Alfonso Crea è stato spostato a Saluzzo e nel giro di pochi giorni, sottolineano gli investigatori. “La vernice l’abbiamo usata per una sezione delle Vallette, non per la chiesa interna. L’amministrazione non passa il materiale nemmeno per i reparti. Se non avessimo imbiancato noi, non l’avrebbe fatto nessuno”. Poi don Piero ha continuato e continua a dormire sonni tranquilli. “Ho la coscienza a posto. Quel che viene scritto non mi tocca. Sono stati loro a macchinare, a preparami la trappola. Io non ci sono caduto, non ho mosso un dito”. Parma: migliorano le condizioni di Calisto Tanzi, che per ora rimane in ospedale La Repubblica, 19 giugno 2011 “C’è stata una recrudescenza delle note patologie di cui è affetto che è sfociata in una perdita di conoscenza. È caduto in cella e presenta un ematoma piuttosto vasto alla schiena. Saranno fatti degli esami afferenti alla circolazione celebrale e, più in generale, sulla situazione neurologica”. Questa la situazione di Calisto Tanzi ricoverato nella sezione detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma dopo il malore che lo ha colpito in carcere. A riferirla uno dei suoi legale, l’avvocato Giampiero Biancolella. “Come sta adesso? Ci ha parlato e rispetto alla originaria patologia riscontrata c’è stato fortunatamente un minimo di regresso - ha risposto ancora Biancolella - Non è ancora lucidissimo ma siamo riusciti ad avere un colloquio diciamo soddisfacente”. Bolzano: detenuto con problemi psichici continua a cantare in cella, disposto il ricovero Alto Adige, 19 giugno 2011 Probabilmente nessuno in carcere si era mai trovato a dover affrontare una simile emergenza: avere a che fare con un detenuto super appassionato di canto al punto da cantare giorno e notte, a parte ovviamente durante le ore di sonno. Protagonista dell’incredibile vicenda è un cittadino cinese di 30 anni, di professione cuoco con evidenti problemi psichici. È stato arrestato l’altro pomeriggio con l’accusa di lesioni personali volontarie per aver aggredito e malmenato senza alcun motivo a Merano una signora di 78 anni che stava passeggiando con il suo cane. L’uomo si è avvicinato alla malcapitata e senza proferire parola, ma cantando, l’ha colpita con un ceffone in pieno viso. L’anziana è caduta a terra procurandosi lesioni ad un ginocchio e ad una spalla giudicate guaribili in una ventina di giorni. Arrestato e portato in carcere a Bolzano, il cinese ha iniziato a cantare a squarciagola giorno e notte diventando un vero incubo per gli altri detenuti e gli stessi agenti di polizia penitenziaria. Anche in occasione dell’udienza di convalida il cinese non ha risposto ad alcuna domanda ma ha chiesto al magistrato di poter continuare a cantare. Il giudice Walter Pelino lo ha dichiarato socialmente pericoloso disponendone gli arresti domiciliari presso il reparto di psichiatria a Merano ove è stato sottoposto ad un adeguato trattamento clinico. Immigrazione: in Italia…. l’importante è punire! di Luca Galassi www.peacereporter.org, 19 giugno 2011 Approvato decreto sull’immigrazione illegale: espulsioni dirette e 18 mesi di detenzione dei Cie. Un regalo alla Lega prima di Pontida. Agli immigrati irregolari approdati sulle coste italiane spetterà il “carcere”: un anno e mezzo nei Cie ed espulsione diretta. Lo ha deciso ieri il governo, con un decreto legge che priva i clandestini delle garanzie previste dalla Direttiva europea 2008/115 sui rimpatri. Con un provvedimento-propaganda, il primo ministro Silvio Berlusconi blandisce la Lega con la più populista delle concessioni. Il ministro degli Interni Roberto Maroni ha annunciato che il decreto “è coerente con le norme dell’Unione europea”. Oltre al trattenimento nelle “carceri” dei Cie, il provvedimento prevede espulsioni dirette per i soggetti “pericolosi per l’ordine pubblico, a rischio fuga, per coloro che sono stati espulsi con provvedimento dell’autorità giudiziaria”. Per “amorbidire” la misura, la procedura passerà attraverso il giudice di pace. La Direttiva europea prevedeva la reclusione soltanto come estrema ratio nel processo di rimpatrio degli irregolari. “Il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento - recita la misura della Ue - deve essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente”. L’avvocato Livio Cancelliere dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazioni), spiega che il decreto legge risponde all’invito delle istituzioni europee a completare il recepimento della Direttiva Ue, che doveva essere applicata entro il 24 dicembre 2010: “Mentre questa proponeva, anzi sollecitava una gradualità nel percorso di rimpatrio dell’immigrato irregolare, il decreto inverte l’ordine delle cose, interpretando nella maniera più repressiva la direttiva”. Il commento a caldo di Cancelliere è che il giudice di pace “crea meno problemi. Ciò che sconcerta sono le pene, altissime. L’inottemperanza al primo ordine di espulsione del questore prevede da uno a quattro anni. L’inottemperanza al secondo, da uno a cinque anni. È una cosa grave, perché, codice penale alla mano (art. 650), l’ordine di allontanamento dal Comune di residenza per un cittadino italiano prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro. A fronte della stessa condotta, per quello commesso dall’immigrato irregolare si parla di delitto, per l’italiano regolare di contravvenzione. Inoltre, vi sono sanzioni pecuniarie da tremila a diciottomila euro. Ma come può un immigrato pagare tali cifre? Nessun giudice applicherà mai una sanzione simile”. Immigrazione: rivolta nel Cie di Ponte Galeria a Roma Liberazione, 19 giugno 2011 La protesta sarebbe partita dal settore maschile della struttura, ed avrebbe coinvolto circa 70 immigrati. Uno di loro, leggermente ferito, è stato medicato in ospedale e subito riaccompagnato nel Centro. Ingenti i danni registrati. Proprio in queste ore la cooperativa che gestisce il Cie sta lavorando per ripristinare le condizioni di agibilità della struttura. “L’ultimo provvedimento del governo ha fatto detonare una situazione che, nei Cie di tutta Italia, era da tempo al limite - ha detto il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. Con l’aumento dei tempi di permanenza da 6 a 18 mesi queste strutture sono state trasformate in luoghi in cui gli stranieri, pur non avendo commesso reati, sono costretti per un anno e mezzo a vivere in vere e proprie carceri lager”. “Queste proteste - ha aggiunto il Garante - sono la diretta conseguenza di una politica migratoria, fortemente criticata dal mondo cattolico e dal volontariato, che si è sempre più inasprita nel corso di questi anni e che non tiene conto della sofferenza e della dignità di migliaia di disperati cui, nonostante l’opera delle forze dell’ordine e degli operatori che gestiscono i Centri, non è possibile garantire i diritti fondamentali. Le condizioni di vita all’interno dei Cie sono pesantissime e i sempre più lunghi tempi di permanenza trasformano queste strutture in luoghi di tortura dove proteste e atti di disperazione sono all’ordine del giorno”. India: scarcerato detenuto di 108 anni, uccise 4 persone quando ne aveva 81 Ansa, 19 giugno 2011 Un bramino di 108 anni, in prigione in India per omicidio e considerato il detenuto più anziano del paese, è stato rilasciato dietro cauzione, per le sue condizioni di salute. Lo scrive oggi il quotidiano The Times of India. L’uomo, Brij Bihari, era rinchiuso dal 1984 nel carcere di Gorakhpur (stato settentrionale dell’Uttar Pradesh). A 81 anni aveva ucciso quattro persone per vendetta, perché gli era stata negata la carica di responsabile di un tempio. Non si è mai pentito dell’omicidio.