Giustizia: amnistia o ipocrisia?... intanto le carceri stanno esplodendo di Valter Vecellio L’Unità, 16 giugno 2011 L’Espresso pubblica una dettagliata inchiesta: “Tutti prescritti”. Si racconta che sono circa 150mila i processi che ogni anno vanno in fumo per scadenza dei termini. Una sorta di impunità, si legge, anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. E le cose sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Le cifre: nel 2008, 154.665 procedimenti prescritti; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si arriverà a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 vanno al macero, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. Conclusione? Un’amnistia mascherata, un numero colossale di crimini resterà impunito. E si fa un esempio concreto. Nel tempo che s’impiega a leggere l’articolo dell’Espresso tre processi vanno in prescrizione. Marco Pannella, che dal 20 aprile è in sciopero della fame, fra qualche giorno passerà anche a quello della sete. Ha una proposta: “Per affrontare in modo serio il problema del funzionamento della giustizia e l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, non si può che cominciare dall’amnistia. Un’altra strada non c’è. Oggi lo Stato è fuorilegge, è un delinquente professionale: mandare in prescrizione 200mila processi all’anno, negare il principio per cui la sentenza si ottiene in tempi reali, significa infatti negare la giustizia e riempire le carceri di detenuti che per il 30 per cento, lo dicono le statistiche, sono ancora in attesa di giudizio, una situazione che è sicuramente più infame di quella che ci ha lasciato il ventennio fascista”. La proposta può piacere o no, ma non si capisce perché si dice no a un’amnistia ufficiale, e si assiste inerti a quella che si consuma ogni giorno. Pannella duo aver ragione o torto, ma - almeno - si discuta il problema, lo si dibatta, ci si confronti, si cerchino le possibili soluzioni. Silenzio, invece. Ma Pannella non è isolato: con lui centinaia di detenuti, le loro famiglie, gli avvocati penalisti, i sindacati della polizia penitenziaria, gli psicologi del carcere, migliaia di cittadini comuni. La dottoressa Daniela Teresi, psicologa penitenziaria, che aderisce all’iniziativa di Pannella dice: “La cupa consapevolezza di quanto potrebbe accadere se si continua a non far nulla a livello di Governo mi impone di aderire alla coraggiosa e nobile iniziativa di Pannella a favore delle problematiche delle carceri italiane ed è per questo che esprimo apertamente la mia stima, il mio apprezzamento e la mia gratitudine per il suo sciopero della fame”. Io credo che ci si debba schierare al fianco di persone per bene come Pannella e Daniela Teresi. Sono in errore? Giustizia: migliaia di detenuti scioperano e i mass media non se ne accorgono di Patrizio Gonnella MicroMega, 16 giugno 2011 In molte carceri, in giro per l’Italia, i detenuti hanno iniziato un coraggioso sciopero della fame. E lo stanno facendo in solidarietà allo sciopero della fame per la democrazia e l’amnistia di Marco Pannella. Il loro è un atto non violento di coraggio. C’è chi sciopera per l’amnistia, chi sciopera più genericamente contro il sovraffollamento, chi perché deve dividere una cella con decine di persone, chi perché la sera dopo le 22 manca la guardia medica. Tutti scioperano perché in carcere si vive male, molto male. Si vive spesso trattati non da uomini Alla loro protesta, assolutamente pacifica, risponde il silenzio, finora assordante, dei media e delle istituzioni. Eppure si tratta di circa tre mila persone detenute - da Roma a Sanremo, da Imperia a Trani, da Ancona a Lanciano - che scioperano contro condizioni di vita carcerarie indegne. Il carcere è oggi un luogo di ingiusto internamento dell’eccedenza sociale. Le leggi sull’immigrazione e sulle droghe producono una costosa e ingiusta detenzione. Le galere sono i nuovi ghetti urbani. Per ogni criminale di professione ne trovi almeno cinque che sono finiti in prigione perché poveri di soldi, di studi, di opportunità sociali. Oggi i detenuti sono circa 68 mila e i posti letto circa 44 mila. Ciò è indecente. Per ripristinare la legalità penitenziaria - ossia tanti detenuti quanti sono i posti letto regolamentari - non ci vogliono fantomatici piani carcere e barche di soldi da dare ai costruttori edili (vedasi l’appalto a favore di Anemone a Sassari) ma idee buone. Bisognerebbe ridurre all’osso lo spazio di applicazione della custodia cautelare, decriminalizzazre la vita dei consumatori di droghe, depenalizzare del tutto lo status di immigrato irregolare. In questo modo avremmo sicuramente molti meno detenuti. Si può anche prevedere l’amnistia come strumento ordinario di gestione umanitaria delle carceri. Prima di tutto però sarebbe necessario un nuovo codice penale (per esempio la bozza Pisapia). Comunque, far vivere cinque persone in una cella di dieci metri quadri è tortura. Giustizia: Magistratura Democratica; l’iniziativa di Pannella va al cuore del problema Ansa, 16 giugno 2011 “L’iniziativa politica di Marco Pannella è importante perché va al cuore dei problemi veri e concreti in cui versa oggi sia la giustizia che il carcere”. È Questa l’opinione espressa da Piergiorgio Morosini, Gip del Tribunale di Palermo e segretario generale di Magistratura Democratica, a Radiocarcere, in onda su Radio Radicale. “La condizione delle carceri è a dir poco drammatica a causa di un sovraffollamento che ha raggiunto livelli terribili. Sotto questo profilo non posso che rilevare che il 70% dei detenuti è in carcere per reati legati all’immigrazione e alle droghe leggere”, ha sottolineato Morosini. “Credo che sia giunto il tempo di aprire un dibattito serio che arrivi a una seria depenalizzazione e che riveda l’impostazione carcerocentrica del sistema sanzionatorio del codice Rocco. Per queste ragioni - ha concluso - l’iniziativa politica di Marco Pannella è importante e concreta”. Giustizia: Pd; nelle carceri si consuma una strage e il ministro Alfano è indifferente Dire, 16 giugno 2011 “La strage nelle carceri italiane continua inesorabile, nel perdurante silenzio del ministro della Giustizia, ormai evidentemente assorbito dalla sua funzione di segretario in pectore del Pdl”. Lo dice il senatore del Pd, Francesco Ferrante. “Dopo 678 giorni dalla presentazione della prima interrogazione, e le seguenti nove - ricorda - attendiamo ancora una risposta dal governo sullo stato di degrado, di mancato rispetto dei diritti umani e sui suicidi sospetti nelle carceri del nostro Paese. Nel frattempo, le persone continuano a morire. Ieri il carcere di Taranto, oggi Teramo, e nei mesi scorsi altre tantissime carceri sono state il teatro di 337 tentati suicidi, 1.858 gli atti di autolesionismo e 1.964 scioperi della fame: una situazione che è chiaramente sfuggita di mano”. Nel 2011, conclude Ferrante, “ogni settimana un detenuto si è tolto la vita, nel luogo dove il controllo e il sostegno dello Stato dovrebbe essere più vicino. Per l’ennesima volta chiederemo al governo di riferire su questa situazione indegna di un Paese civile, e di rispondere sullo stato di attuazione della proposta di riforma carceraria annunciata, e mai realizzata, da oltre due anni”. Belisario (Idv): il Governo continua a non far niente per le carceri “Se in oltre tre anni da Guardasigilli il ministro Alfano si fosse occupato almeno un po’ anche della realtà carceraria italiana, e non solo di sfornare le leggi ad personam commissionategli da Berlusconi, forse persino lui si sarebbe accorto di quanto drammatica e indegna di un Paese civile sia la situazione”. Lo afferma il capogruppo dell’Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario, che in mattinata ha visitato la casa circondariale di Poggioreale, a Napoli. “Le carceri italiane sono una bomba a orologeria pronta a esplodere - aggiunge - nel disinteresse del governo. Detenuti e agenti penitenziari sono costretti a vivere e a lavorare in condizioni insostenibili. Grazie ai tagli indiscriminati di Tremonti manca tutto: personale penitenziario, personale amministrativo, operatori ad ogni livello, strutture, attrezzature. Parlare di vergogna è poco, eppure di fronte a una situazione così grave il governo non ha fatto e continua a non fare niente, se non annunci puntualmente disattesi. Un immobilismo irresponsabile - conclude Belisario - mentre la situazione diventa ogni giorno peggiore”. Giustizia: Pdl; grandi risultati con il “piano carceri”, da opposizione sciacallaggio politico Ansa, 16 giugno 2011 “L’atteggiamento di alcuni rappresentati dell’opposizione invece di essere improntato al senso di responsabilità, è più simile al vero e proprio sciacallaggio politico”. È quanto dichiarato dal deputato Luigi Vitali responsabile dell’ordinamento penitenziario del Pdl in replica alla presa di posizione del senatore Ferrante (Pd) che attacca a testa bassa il ministro Alfano, prendendo spunto da un suicidio verificatosi l’altro ieri nel carcere di Taranto e dalla denuncia di alcuni atti di autolesionismo che si registrano negli altri istituti penitenziari. “Farebbe bene il senatore Ferrante e tutti quelli che speculano biecamente su queste vicende, a ricordare cosa ha fatto il centrosinistra nei due anni in cui ha governato il Paese, nonostante l’indulto che ha svuotato le carceri italiane - spiega Vitali. È troppo facile criticare gli altri in una situazione sicuramente difficile come è quella delle nostre carceri. Le continue polemiche e gli attacchi dell’opposizione non riusciranno a sminuire l’enorme lavoro del ministro Alfano che ha contribuito a costruire, in questi tre anni, più posti all’interno delle carceri di quanti ne siano stati realizzati negli ultimi quindici anni. Ed il piano carceri - ha concluso Vitali - , prevede ancora importanti obiettivi per 2011 e 2012”. Pagano: da Pd solite falsità su Alfano “Le accuse rivolte dal senatore Pd Francesco Ferrante al ministro Alfano, reo di trascurare la difficile questione carceraria per il nuovo ruolo di vertice all’interno del Pdl, altro non sono che esternazioni false e pretestuose”. Ad affermarlo in una nota Alessandro Pagano, componente della Commissione finanze della Camera e capogruppo Pdl in Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza. “Contrariamente a quanto sostenuto dal sen. Ferrante - prosegue Pagano - l’attuale gestione del ministero della Giustizia si è sempre contraddistinta per la particolare sensibilità e attenzione verso il dramma della condizione carceraria, aggravata dalla inadeguatezza strutturale e igienico - sanitaria degli istituti di pena nonché dal sovraffollamento dovuto alla penuria di strutture penitenziarie sul territorio”. “Una situazione drammatica - aggiunge l’esponente del Pdl - aggravatasi nel tempo per effetto dell’incuria dei precedenti governi e alla quale il ministro Alfano sta ponendo rimedio attraverso un piano carceri da 675 milioni di euro che prevede la realizzazione di undici nuovi istituti carcerari e di venti nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti”. “Di fronte all’impegno concreto e tangibile del ministro Alfano - conclude - come è possibile che le opposizioni si ostinino a perseguire queste campagne diffamatorie?”. Germanà: da Alfano grande sensibilità e umanità su questione carceri “La questione - carceri è una piaga per il nostro Paese, ma non si può non riconoscere al ministro Alfano una grande azione di prevenzione e gestione nel tentativo di debellare le criticità. Le misure messe in campo dal Guardasigilli riguardano un’ampia gamma di interventi, dall’edilizia all’implementazione di nuove strategie per superare il fenomeno del sovraffollamento, c’è ancora molto da fare ma Alfano ha dimostrato una profonda sensibilità sulla questione e una grande umanità nella consapevolezza che il diritto alla dignità è un diritto inalienabile”. Lo afferma in una nota il deputato del Pdl Nino Germanà. “Èquindi inutile e aberrante - conclude - che i colleghi Ferrante e Belisario strumentalizzino la questione al sol fine, in verità, di sferrare attacchi e colpire il nuovo incarico politico del ministro”. Giustizia: Ugl; servizio traduzioni e piantonamenti PolPen sta vivendo momento terribile Agenparl, 16 giugno 2011 “Il servizio traduzioni e piantonamenti della Polizia Penitenziaria, sta vivendo un momento terribile. La carenza d’organico che affligge ormai da tempo il sistema penitenziario incide negativamente anche sulla qualità del servizio, tant’è che le traduzioni o si effettuano sempre ben al di sotto dei parametri di sicurezza previsti dalle normative vigenti o non si effettuano, proprio come accaduto recentemente a Reggio Calabria”. Lo ha dichiarato Giovanni Centrella, Segretario Generale dell’Ugl, da sempre attento all’emergenza carceri e ai disagi che si registrano, quotidianamente, sul territorio nazionale e ribadendo, ancora una volta “la necessità di trovare, unitamente al Governo, delle soluzioni atte a dare delle risposte concrete al sistema penitenziario, messo ormai in ginocchio da tutta una serie di disagi”. “Se il Ministero della Giustizia non ha personale da inviare dove se ne richiede la necessaria presenza - conclude il sindacalista - che intervenga l’esercito a supporto dei Poliziotti Penitenziari. Il loro unico reclamo è legato esclusivamente al diritto di poter espletare al meglio il loro lavoro e, soprattutto in completa sicurezza” Giustizia: inchiesta Opg; in Italia dal nido del cuculo non esce più nessuno… se non morto di Carlo Maria Miele www.linkiesta.it, 16 giugno 2011 Nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, Mircea si è tolto la vita dopo aver saputo che il suo internamento era stato prolungato. 1500 persone rinchiuse in sei strutture: il 40% potrebbe uscire ma non sa dove andare, una sorta di ergastolo. Il personale è insufficiente, spesso a fare i piantoni sono i pazienti anziani. Quando si è tolto la vita, Mircea aveva 58 anni, gli ultimi otto dei quali passati all’interno dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa. Si è ucciso il 12 aprile, impiccandosi nel bagno della cella che condivideva con altri internati. Solo ventiquattr’ore prima gli era stata comunicata l’ennesima proroga dell’internamento. Quello che gli ospiti degli ex manicomi chiamano in gergo “stecca” e che nei fatti non è altro che un ergastolo mascherato. E i casi simili a questo, all’interno degli opg italiani, non mancano. Si stima che almeno il 40 per cento dei circa 1500 pazienti internati in queste strutture sia dimissibile, ma restano dentro “per mancanza di alternative”. In pratica non c’è nessuno disposto ad accoglierli: né le famiglie, che spesso nemmeno ci sono, né le Asl, che non hanno i mezzi e la volontà per farlo. In tali casi, il magistrato competente non può che decidere per la proroga. “Si tratta di un incredibile paradosso - afferma Dario Stefano dell’Aquila dell’associazione Antigone - Se sei sano di mente, ricevi una pena a termine e una volta che l’hai scontata sei un uomo libero. Se invece soffri di disturbi psichici, allora vieni prosciolto - perché incapace di intendere e di volere - e tuttavia vieni sottoposto a misure di sicurezza, che sono di fatto prorogabili all’infinito”. In Italia esistono tuttora sei Opg. Da Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, a Castiglione delle Stiviere, in Lombardia, passando per i due campani (Aversa e Napoli), Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. Strutture per lo più sovraffollate (oltre 1.500 internati a fronte di 1300 posti disponibili, secondo i dati dello scorso anno del ministero della Giustizia) e quasi sempre fatiscenti. Fornite di personale scarso e che, nelle pratiche adoperate, non si distaccano di molto dagli ex manicomi criminali, che pure dovevano rimpiazzare. Di fatto - come denunciano da tempo associazioni e istituzioni italiane e comunitarie - gli Opg sono vere e proprie strutture penitenziarie, dove la via contenitiva e farmacologica rappresenta la norma, e la pratica terapeutica è solo una lontana utopia. In alcuni posti l’equiparazione di fatto al carcere ha anche una rappresentazione fisica. Come a Reggio Emilia e a Napoli, dove l’Opg si trova all’interno degli istituti penitenziari veri e propri. Ma ancora più grave è l’equiparazione che trova evidenza tutti i giorni all’interno delle singole strutture, attraverso l’assenza di cure e mediante abusi e maltrattamenti. Dovunque manca il personale a sufficienza. E non scarseggiano solo i medici e gli psichiatri ma anche le guardie penitenziarie. Tanto che non è raro che per sorvegliare i soggetti più a rischio si ricorra al sistema del “piantone”. In pratica, in mancanza di personale apposito, il compito di sorvegliare i soggetti a rischio viene affidato a un altro internato, ritenuto più “affidabile”. Se ne è parlato nei giorni scorsi, sempre nell’Opg di Aversa, quando un detenuto con precedenti per autolesionismo è sfuggito alla sorveglianza del suo piantone ed è morto per soffocamento. In quell’occasione la direttrice dell’Opg campano Carlotta Giaquinto ha manifestato il proprio “sgomento”, precisando tuttavia che “con la cronica penuria di personale che abbiamo, a fronte di 240 internati, l’unica possibilità è di utilizzare un sistema come quello del piantone”. Come ha avuto modo di sottolineare in seguito anche la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia del sistema sanitario nazionale, quello creato all’interno degli opg italiani è “una sorta di inferno organizzato”. La stessa commissione, presieduta dal senatore del Pd Ignazio Marino, cita i casi di internati abbandonati da 25 anni, persone legate nude al letto di contenzione, di condizioni fatiscenti e stanze che puzzano di urina. L’unica struttura che sfugge in parte a questa rappresentazione è quella di Castiglione delle Stiviere, che però rappresenta un caso a sé, in quanto non è mai stata direttamente dipendente dal ministero della Giustizia e si è sempre configurata come struttura essenzialmente sanitaria, senza nemmeno la presenza di personale di polizia penitenziaria. L’emblema in negativo è invece è quello del più antico opg italiano, il “Filippo Saporito” di Aversa. Non è un caso che, nel 2008, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e delle pene inumani e/o degradanti del Consiglio d’Europa (Cpt) abbia scelto proprio la struttura aversana per la sua ispezione in Italia. Al termine dell’ispezione, lo stesso Cpt definì quella di Aversa una situazione “inimmaginabile”. Per farsene un’idea, tuttavia, è sufficiente citare alcuni dati. A partire da quello relativo ai suicidi, per il quale la struttura campana vanta un record assoluto. Solo negli ultimi cinque mesi si sono registrati tre decessi per suicidio più un altro classificato come “accidentale” e di cui vanno ancora chiarite le cause. Ma se si considerano gli ultimi cinque anni le morti avvenuti per cause diverse arrivano almeno a venti. Tra le regioni principali di questo fenomeno, secondo le associazioni, un peso importante va attribuito al sovraffollamento. La capienza “normale” stimata per l’opg è di 150 unità, ma al momento gli internati sono 240 e fino allo scorso aprile sfioravano le trecento unità. Proprio il ripetersi di suicidi ha spinto di recente le autorità a trasferire una parte degli internati, ma la situazione resta fortemente a rischio. E a dimostrare la gravità del “caso Aversa” ci sono anche le diverse inchieste aperte dalla magistratura. Lo scorso gennaio la procura di Santa Maria Capua Vetere ha notificato alla direttrice penitenziaria Carlotta Giaquinto un avviso di garanzia per omissione d’atti d’ufficio e maltrattamenti, mentre il direttore sanitario Adolfo Ferraro ha ricevuto - oltre ai precedenti - un avviso di garanzia per truffa per assenze sul posto di lavoro. In precedenza, a novembre, i carabinieri dei Nas avevano sequestrato la farmacia dell’ospedale “per le gravi irregolarità riscontrate”, ponendo l’attenzione in particolar modo sulla prescrizione di metadone che avveniva senza controllo medico e, dunque, in maniera illegale. Più di recente, invece, a marzo, un’altra indagine ha portato all’arresto di due agenti di polizia penitenziaria dell’Opg, accusati di aver perpetrato abusi su un transessuale internato nella struttura. Significativa la nota firmata dal procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Corrado Lembo, ad accompagnamento degli arresti, in cui si affermava che “le condotte ipotizzate appaiono di particolare gravità in quanto commesse nell’ambito di una realtà detentiva assai più drammatica di quella carceraria”. Paragonabile ad Aversa è forse solo la struttura siciliana di Barcellona Pozzo di Gotto, inaugurata dal ministro Rocco, guardasigilli del governo Mussolini nel 1925. L’istituto sconta un grave problema di sovraffollamento (380 internati a fronte di 200 posti previsti) che ha spinto i responsabili della struttura a usare anche letti a castello, esplicitamente vietati per legge. Ma l’ispezione effettuata lo scorso anno dai Nas ha messo in luce anche “l’assenza di cure specifiche, l’inesistenza di qualsiasi attività educativa o ricreativa e la sensazione di completo e disumano abbandono del quale gli stessi degenti si lamentavano. I degenti - si legge nel rapporto del nucleo dei carabinieri - oltre ad indossare abiti vecchi e sudici, loro malgrado, si presentavano sporchi e maleodoranti. Il tutto nell’assoluta indifferenza”. A complicare le cose contribuisce il fatto che la struttura faccia capo alla Regione autonoma Sicilia. Per tale motivo, l’Opg di Barcellona è il solo in Italia a non essersi conformato alla riforma del 2008 che ha sancito il trasferimento della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, e resta tuttora dipendente da ministero della Giustizia. A Napoli, nell’Opg ospitato presso il carcere di Secondigliano, le condizioni strutturali sono migliori. Ma anche qui non mancano i casi di detenuti abbandonati nonostante abbiano ottenuto parere favorevole alla dimissione, come Leonardo Marco, che - a fronte di una misura di 24 mesi - è internato da ben 25 anni. A Reggio Emilia l’Opg è ospitato in un ex carcere, all’estrema periferia della città, ed è anch’esso caratterizzato da un grave sovraffollamento. La struttura accoglie infatti 290 detenuti contro una capienza regolamentare di 135 unità. In celle di nove metri quadrati sono ospitati anche nove detenuti. A Montelupo Fiorentino l’Opg è ospitato in una villa medicea del cinquecento, in cui vivono 170 persone. A marzo un internato di 28 anni è morto mentre stava inalando del gas per sballarsi. A quanto pare, la pratica viene seguita da molti detenuti, ma a volte diventa mortale. Giustizia: Fleres (Pdl); sos per 3.000 italiani detenuti estero, garantire il gratuito patrocinio Agenparl, 16 giugno 2011 “Concedere la possibilità per gli indagati o imputati italiani all’estero di poter accedere ad un istituto di patrocinio a spese dello Stato”. È quanto chiede il senatore del Pdl, Salvo Fleres, in un’interrogazione parlamentare destinata al Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, ed al Ministro della giustizia, Angelino Alfano. Di seguito il testo integrale dell’interrogazione: “Da informazioni ottenute dall’associazione “Prigionieri del silenzio” tramite un documento rilasciato dal Ministero degli affari esteri, all’inizio del 2010 si contavano 2.905 cittadini italiani detenuti all’estero; di questi, alcuni versano in condizioni economiche molto difficoltose che rendono estremamente complesso, se non addirittura inesistente, l’esercizio di un pieno diritto di difesa, sia per la fase strettamente processuale che per il riconoscimento dei diritti fondamentali del detenuto. È assolutamente carente la comunicazione con i congiunti e, comunque, in generale la soddisfazione di tutte le esigenze e di tutti i diritti correlati allo stato di detenzione (sia esso a titolo cautelare o definitivo); per quanto risulta, sia da informazioni di stampa che da quanto riferito dall’associazione, i nostri connazionali non riescono ad ottenere risposte e riscontri soddisfacenti o, comunque, azioni concrete da parte degli enti che sarebbero preposti a garantire i diritti degli italiani detenuti all’estero; spesso i detenuti italiani all’estero vengono sottoposti a condizioni di vita lesive dei più elementari diritti dell’uomo e assolutamente non compatibili con l’obiettivo della riabilitazione, cui la pena deve essere finalizzata. Mancano, inoltre, idonei strumenti di assistenza, con la conseguenza che sovente i detenuti all’estero non ricevono cure mediche adeguate né un’appropriata difesa legale; in diversi casi, sono state riscontrate quelle che sempre più chiaramente appaiono essere violazioni dei diritti primari dell’essere umano: violazione del diritto ad un equo processo e del diritto alla salute. A ciò si aggiungano sia il gap linguistico che la necessità di trovare un avvocato sul luogo, nonché la continua ricerca di un rapporto con le istituzioni, che in questi casi vengono giustamente viste come unico punto di riferimento. Ed è proprio in questo tipo di situazione che appare sempre più necessaria l’istituzione di una figura che possa agire da supervisore, un organo al quale le famiglie possano rivolgersi affinché i propri familiari detenuti all’estero vengano controllati; si riportano due casi significativi di italiani all’estero: Francesco Stanzione, arrestato in Grecia, da anni ha richiesto l’applicazione della Convenzione di Strasburgo, che non gli viene concessa giustificando il trattenimento nel Paese di condanna a causa di una pena pecuniaria che non può permettersi di pagare, pena che, per le leggi esistenti, si potrebbe scontare con ulteriore tempo di detenzione; Carlo Parlanti da quasi sette anni detenuto in California, pur avendo perizie e analisi documentali redatte da esperti sia italiani che americani certificanti illegalità commesse nei suoi confronti nello svolgimento del suo procedimento legale, non ha avuto alcun concreto ed efficace aiuto al fine di potersi tutelare dagli abusi subiti nella fase processuale ed in quella detentiva; analizzando diversi casi di italiani detenuti all’estero, una delle problematiche più gravi è quella della mancanza di un “gratuito patrocinio”, si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo, per quanto di propria competenza, intendano agire al fine di: concedere la possibilità per gli indagati o imputati di poter accedere ad un istituto di patrocinio a spese dello Stato; creare delle figure, all’interno dei Ministeri, preposte a soddisfare i bisogni - anche conoscitivi - degli italiani che vivono questa problematica; istituire delle linee agevolate in uso alle famiglie che possano aver bisogno di informazioni e di interventi; sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema che diventa ogni giorno più attuale”. Lettere: un referendum per garantire a tutti la riparazione da errore giudiziario Ristretti Orizzonti, 16 giugno 2011 Una riflessione sui referendum e l’auspicio che dopo questo esito, venga anche approvata una legge che garantisca il risarcimento a tutti coloro sono stati vittima di errori giudiziari e ingiusta detenzione. La grande vittoria dei si ai referendum e anche l’alta partecipazione hanno fatto in modo che si sia scritta una bella pagina di democrazia. Anche lo strumento referendario, che è uno strumento di forte partecipazione, ha ripreso vigore. La difesa dell’acqua come bene pubblico, il rifiuto del nucleare, sono stati sanciti dal voto popolare, così come l’abolizione del legittimo impedimento. Su quest’ultimo referendum, va detto che in questo modo si è anche affermata la difesa dell’art. 3 della costituzione, che garantisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Naturalmente è auspicabile che questo principio della difesa dell’art. 3 della Costituzione, venga attuato sempre e allargato a tutte le questioni attinenti il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Siamo in tanti, da anni a batterci per introdurre il principio di equità, attraverso la retroattività nella legge sull’equa riparazione per ingiusta detenzione, che dovrebbe garantire a tutti/e la riparazione da errore giudiziario. Riparazione da errore giudiziario sancito anche dall’art 24 della Costituzione e dagli art. 314 e 315 del nuovo codice di procedura penale. La disuguaglianza sta nel fatto, che tutti coloro i quali sono stati assolti, dopo ingiusta detenzione, prima dell’entrata in vigore del nuovo codice ottobre 1989, non possono accedere alla riparazione. In questo modo viene violato l’art. 3 della costituzione, perché per alcuni c’è la riparazione per altri no, discrezionalmente a seconda che il processo sia stato celebrato in una città e concluso prima o dopo che in un’altra. In un Paese il cui Governo sappia ascoltare gli esiti delle consultazioni popolari, sarebbe un bel gesto che finalmente venissero calendarizzati i disegni di legge in tal senso presentati e che giacciono nei cassetti delle commissioni giustizia della Camera e del Senato. Giulio Petrilli, responsabile giustizia Pd l’Aquila Marcello Pesarini, Osservatorio permanente sulle carceri Marche: parte dalle carceri di Pesaro e Ascoli il lavoro di “Antigone Marche” Ristretti Orizzonti, 16 giugno 2011 Inizia dall’istituto penitenziario di Ascoli Piceno e da quello di Pesaro il lavoro di Antigone Marche. Venerdì e lunedì mattina scorsi due volontarie della neonata associazione regionale hanno visitato il carcere di Marino del Tronto e fatto un breve colloquio in quello di Villa Fastigi così da raccogliere i dati relativi all’attuale situazione che si vive all’interno delle mura di cinta. Le visite rientrano nell’ambito dell’attività dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione, tramite cui si compie una rilevazione sistematica delle condizioni delle persone private della libertà personale. Il carcere ascolano ha due sezioni. La prima, denominata “Marino”, ospita 44 detenuti (di cui 29 definitivi, 5 ricorrenti, 5 appellanti, 5 giudicabili) sottoposti al regime del 41bis, il cosiddetto “carcere duro”, previsto per persone incarcerate per reati di criminalità organizzata, terrorismo ed eversione, che impone misure più rigide per chi vi è sottoposto, come la censura della corrispondenza, la limitazione dei colloqui e di tutte le relazioni familiari (ad esempio le telefonate) o della permanenza all’aperto (l’ora d’aria). La seconda, che è la parte circondariale dell’istituto, ospita 68 detenuti (di cui 12 protetti, tra cui 4 sex offender e 8 tra collaboratori e appartenenti alle forze dell’ordine, 25 definitivi, 5 ricorrenti, 7 appellanti e 31 giudicabili). Tra questi vi sono un detenuto semi - libero e uno in articolo 21, cioè detenuti che possono passare parte della giornata fuori dell’istituto. La semilibertà è una misura alternativa al carcere e permette al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per attività lavorative, istruttive o utili al suo reinserimento nella società. Viene concessa dal Tribunale di Sorveglianza cui spetta il compito di valutare che il condannato definitivo abbia i requisiti soggettivi e oggettivi per ottenerla. L’articolo 21, invece, è una modalità del trattamento penitenziario che prevede, per la persona detenuta, l’uscita dall’istituto di pena per parte della giornata esclusivamente per motivi di lavoro. Per questo, viene disposto dalla direzione dell’istituto di pena su autorizzazione del magistrato di sorveglianza per i definitivi e della competente autorità giudiziaria per gli imputati. I problemi maggiori sono legati al sovraffollamento. La capienza regolamentare della sezione circondariale è di 36 detenuti, ma alla data del 13 giugno 2011 ce n’erano 68. Inoltre, 4 celle erano chiuse per ristrutturazione, mentre nella cella 10 vi erano ben nove detenuti in meno di 29 metri quadri (vano bagno incluso) e nella cella numero 3, della superficie di meno di 20 mq (vano bagno incluso), stavano 5 reclusi. A causa del sovraffollamento, poi, viene utilizzata la sala della socialità per alloggiare i detenuti: mettendo i materassi a terra. Al momento della visita, infatti, erano appena stati sfollati 6 detenuti fino al giorno prima alloggiati in questo modo. I posti di lavoro disponibili sono diminuiti sia nel numero che negli orari. Alla data della visita, erano 16 i lavoranti nel giudiziario e 4 nella sezione 41 bis. Ma a parte i tre aiuto cuoco che hanno un contratto di 6 ore al giorno, tutti gli altri hanno avuto tagli drastici negli orari: il barbiere lavora un’ora e mezzo per due volte a settimana; l’addetto alla lavanderia 2 ore al giorno; lo scopino 4 ore. Tutto il personale, sia quello di polizia che quello amministrativo, è sotto organico. In particolare, delle 182 unità di polizia penitenziaria assegnate all’istituto ascolano, al momento 141 sono quelle amministrate, ma solo 131 presenti. A queste forze, vanno aggiunte le 25 unità del Gom (Gruppo Operativo Mobile). Delle 21 unità previste di personale amministrativo, ce ne erano soltanto 12, più la direttrice. Non è previsto alcun trattamento per i sex offenders (i detenuti per reati sessuali) e il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha ridotto le ore dello psicologo, previsto per sole 130 ore annue. A questo taglio, però, la Regione sta cercando di rispondere aggiungendo altre 130 ore con un progetto ad hoc che riguarda tutti gli istituti di pena marchigiani. Al momento, per protestare contro la mancata fornitura di saponi, sia per l’igiene personale che per quella delle celle, i detenuti stanno facendo ogni giorno, a staffetta, uno per cella, lo sciopero della fame. Il problema della mancanza di carta igienica sembra, per ora, risolto. Un elemento preoccupante è che non c’è alcuna separazione tra detenuti e semi - liberi. La sezione dei semi - liberi, infatti, è chiusa da anni e sia i detenuti in articolo 21 che i semi - liberi dormono insieme agli altri detenuti. Il carcere di Pesaro, che ha sia la parte maschile che quella femminile, ha una capienza regolamentare totale di 152 persone, mentre quella tollerabile totale è di 252. Alla data di venerdì 10 giugno, però, vi erano 334 detenuti, di cui 27 donne. La quasi totalità delle celle sono di 9 metri quadri e molte ospitano tre detenuti, in particolare nella sezione femminile le celle da 3 sono 6. I bagni, in cui ci sono le docce, sono in ogni cella, in un vano separato. Si dovrebbero risistemare gli impianti, ma c’è sia acqua calda che fredda. A Pesaro non si registrano diminuzioni nella quantità di vitto, ma nelle ore di lavoro e nelle mansioni dei detenuti. Infatti, alcuni compiti sono stati accorpati ad altri, diminuendo perciò l’impiego delle persone recluse. Ad esempio, non c’è più il servizio della distribuzione del cibo perché sono gli stessi lavoranti della cucina a dovere anche portare i pasti agli altri. Per quanto riguarda il personale, dei sei educatori assegnati, ce ne sono in servizio cinque. C’è un solo psicologo che svolge un servizio di 70 ore annue a convezione. Mentre della pianta organica di 169 agenti di polizia, quelli assegnati sono 129, ma 120 sono in servizio. Da lunedì scorso, sono arrivati anche un commissario e un vice. Il personale amministrativo conta, invece, di 5 persone in segreteria e 7 in ragioneria. Le visite all’interno delle carceri sono il punto di partenza del lavoro di Antigone, sia per raccogliere i dati e stabilire una corretta informazione all’esterno sia per iniziare, partendo dal monitoraggio della situazione reale, un lavoro di sensibilizzazione sul rispetto dei diritti costituzionali delle persone private della libertà. “Abbandonare a sé stessa la comunità carceraria - sostengono i volontari dell’associazione - sia i detenuti che le persone che vi operano, considerata la delicatezza del contesto, significa mettere a rischio la democrazia e la dignità dell’uomo. Un’informazione non distorta, corretta ed indipendente è indispensabile per sensibilizzare ed avvicinare una società civile spesso distratta e comunque superficiale nelle valutazioni che riguardano il carcere. Troppo spesso la società valuta a senso unico la pena e il carcere, non ricordandosi di tutti quei familiari delle persone detenute che, per questo, vengono ingiustamente marginalizzate e si trovano a scontare anch’esse una pena”. Toscana: gli istituti di pena sono gestiti dalla metà dei dirigenti necessari, è allarme Affari Italiani, 16 giugno 2011 Gli istituti di pena toscani sono gestiti dalla metà dei dirigenti necessari. Dirigenti che lavorano senza contratto. È quanto denuncia il Sindacato dei direttori penitenziari (Sidipe) che da inizio maggio è sul piede di guerra. La coordinatrice regionale del sindacato e dirigente dell’amministrazione penitenziaria a Firenze, Daniela Calzelunghe, sceglie Affaritaliani.it per spiegare le ragioni della protesta: “In Toscana c’è un problema contrattuale che impedisce di risolvere anche quello numerico della mancanza di personale. Per questo abbiamo già fatto un mese di sciopero e stiamo per scendere in piazza a manifestare”. Ai direttori penitenziari della Toscana sono infatti affidati ad oggi 4.400 detenuti e 1.471 misure alternative ma le risorse sono state dimezzate: da sei anni la metà dei direttori gestisce il doppio delle strutture. “Dal 2005, da quando cioè siamo stati tutti nominati dirigenti, non abbiamo mai avuto un contratto - spiega Calzelunghe. Prima avevamo quello dei dipendenti della Pubblica amministrazione, dopo invece è stato applicato quello della Polizia di Stato ma solo per quanto riguarda gli stipendi. Per tutto il resto, dalla malattia alla pensione per fare solo qualche esempio, non abbiamo un inquadramento di riferimento. Ci sono delle gravissime colpe politiche del governo Berlusconi che è quello sotto il quale sono state fatte le nuove nomine ma non i nuovi contratti”. “Quello del contratto - continua Calzelunghe - è un problema nazionale ma ha una ricaduta regionale per quanto riguarda il personale. Mancano 15 dirigenti sui 30 necessari e ciascuno ha in carico in media 2 istituti che salgono anche fino a 5 durante le ferie. In altre regioni c’è un esubero di dirigenti ma la mancanza di un contratto impedisce di poter fare i trasferimenti. E sempre a causa della mancanza del contratto non è stato sostituito chi è andato in pensione”. In particolare le donne impegnate in questa attività, fanno presente attraverso un comunicato sindacale del Sidipe che “come donne dirigenti penitenziari subiamo quotidianamente la fatica non del ruolo istituzionale che intendiamo servire con serietà e senso del dovere, piuttosto subiamo l’incertezza del nostro status, l’assenza di regole certe, di diritti, di tutele professionali che disciplinano il nostro operare e che l’assenza delle stesse condiziona pesantemente il nostro privato che, in quanto donne sappiamo, essere composto da tante sfaccettature (mogli, madri e figlie) alle quali non intendiamo in nessun modo rinunciare”. Per tutto il mese di maggio i dirigenti penitenziari della Toscana hanno scioperato: “Il nostro sciopero è stato unitario di tutte le sigle - sottolinea Calzelunghe - e non abbiamo toccato il diritto dei detenuti. Ci siamo limitati a non fare gli straordinari, a sospendere le relazioni sindacali e a rifiutare altri incarichi come per esempio i corsi di formazione. Adesso stiamo organizzando dibattiti di sensibilizzazione e manifestazioni di protesta a Roma”. E pieno sostegno allo stato di agitazione delle donne direttrici delle strutture penitenziarie toscane arriva dalla Presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità della Toscana, Rossella Pettinati, che esprime solidarietà alle lavoratrici preposte alla direzione di istituzioni che richiedono un grosso impegno professionale e sociale e che vivono in una condizione di estremo disagio. Lombardia: direttrice San Vittore chiede reparto ospedaliero per detenuti e “agenti di rete” Ansa, 16 giugno 2011 Creare in uno degli ospedali milanesi un reparto psichiatrico dedicato ai detenuti, sbloccare i fondi regionali per sostenere il lavoro degli “agenti di rete” allo scopo di avvicinare famiglie e detenuti nelle varie fasi della detenzione e del reinserimento nella vita sociale, e infine una maggiore disponibilità di ricovero nelle comunità di recupero lombarde. Sono queste le richieste avanzate dalla direttrice del carcere San Vittore di Milano, Gloria Manzelli, alla Commissione regionale Sanità, presieduta da Margherita Peroni (Pdl), durante l’audizione a cui ha partecipato anche il direttore sanitario Francesco Nigro. L’incontro è stato sollecitato dal consigliere Stefano Carugo (Pdl) “perché dopo aver fatto visita alle strutture del carcere di San Vittore” dice “ho notato che c’erano alcune situazioni da chiarire come l’identificazione di un unico presidio di riferimento e il sostegno agli agenti di rete”. Teramo: detenuto di 32 anni muore per infarto; il Sappe chiede riforma organica carceri Apcom, 16 giugno 2011 È stato un infarto a uccidere Enzo Potente, il detenuto di 32 anni di Termoli (Campobasso), accasciatosi nel tardo pomeriggio di ieri nella sua cella nel reparto tossicodipendenti del carcere di Castrogno. Lo ha stabilito l’autopsia eseguita dal medico legale Giuseppe Sciarra su richiesta del sostituto procuratore Stefano Giovagnoni, che sull’episodio ha aperto un’inchiesta. Il sospetto di una morte naturale era forte già nell’immediatezza della tragedia, verificatasi sotto l’occhio del compagno di cella di Potente che non ha potuto far altro che avvertire il personale di servizio. Sull’ennesimo dramma carcerario è intervenuto oggi il segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Donato Capece che ha parlato di situazione critica nel carcere di Teramo. “Quello di Potente è soltanto l’ultimo di una serie di eventi drammatici registrati nel 2010; parliamo di 85 episodi di autolesionismo, di 18 tentati suicidi, un suicidio, 53 soggetti feriti, 73 scioperi della fame e 22 episodi violenti che hanno determinato danneggiamenti di beni dell’Amministrazione Penitenziaria - spiega Capece. La notizia della morte di un detenuto italiano nel carcere di Teramo intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive come gli uomini e le donne della polizia penitenziaria. E ora che la politica - ha concluso il segretario Sappe - si dia dunque da fare, concretamente e urgentemente, per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria”. Ferrara: Camera Penale aderisce a protesta per situazione carceri “detenuti sequestrati” www.estense.com, 16 giugno 2011 Un’azione non violenta per chiedere il rispetto delle garanzie nei processi e la soluzione al problema del sovraffollamento nelle carceri. È questo il senso dello sciopero della fame che il leader dei Radicali Italiani, Marco Pannella, sta portando avanti dal 20 aprile. Le ragioni e gli obiettivi della protesta sono stati illustrati ieri mattina dall’avvocato Franco Romani, della Camera Penale Ferrarese e dal presidente dei Radicali di Ferrara, Mario Zamorani. “A noi dell’Unione Camere Penali - ha esordito Romani - interessano prima di tutto le garanzie. Sappiamo di essere scomodi per i governi. La nostra amicizia con i Radicali nasce anche dal fatto che la loro radio è l’unica a trasmettere in diretta a livello nazionali i nostri incontri, nel silenzio degli altri media. Quella che Pannella sta portando avanti insieme ad altre 11mila persone è una battaglia di civiltà, perché le condizioni in cui vivono i detenuti nelle carceri non rispetta alcuna norma interna o internazionale. Sarebbe il caso - ha aggiunto - che ogni italiano si rendesse personalmente conto della situazione trascorrendo 24 ore all’interno di un carcere”. Mario Zamorani si è invece soffermato sugli obiettivi da raggiungere e sugli strumenti da adottare. “L’obiettivo principale - ha dichiarato - è fare rientrare nella legalità il nostro Paese. La situazione attuale è contro la legge e peggiora di mese in mese. Pannella ha ragione quando dice che lo Stato si comporta da criminale, perché quello che avviene nelle carceri è un vero e proprio sequestro di donne e di uomini, non solo detenuti ma anche agenti di polizia penitenziaria”. Zamorani ha quindi continuato con qualche esempio. “Attualmente - ha riportato - ci sono 9 milioni di processi in corso. Sarebbe opportuno ridurli a 2 - 3 milioni. Inoltre, nel 2010 ci sono stati 150mila processi caduti in prescrizione, che dovrebbero arrivare a 200mila alla fine di quest’anno. È un dato che nasconde un’amnistia di classe perché riguarda soltanto gli imputati che possono permettersi avvocati di un certo spessore. Il risultato è che il carcere si trasforma così nella discarica di una giustizia che non funziona”. Per quanto riguarda le possibili soluzioni, Zamorani propone “un’amnistia, accompagnata dall’abolizione delle leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi, insieme alla cancellazione del reato di immigrazione clandestina”. Misure che, secondo Zamorani, “farebbero uscire da sole due terzi dei detenuti”. Ampio spazio dovrebbe poi essere concesse alle misure alternative al carcere. “Il carcere - ha affermato - è una vera palestra di recidiva per i detenuti. È invece provato che le misure alternative facciano crollare le probabilità di un ritorno alla delinquenza”. In conclusione, Romani ha annunciato la sua intenzione di continuare la protesta già iniziata la scorsa settimana, partecipando per la giornata del prossimo 28 giugno allo sciopero della fame a staffetta. Alla protesta si uniranno anche altri 30 avvocati della Camera Penale di Ferrara. “Questa battaglia di civiltà - ha ribadito Romani - è giusta e noi andremo avanti fino a quando la politica non affronterà il problema in modo organico e serio”. Viterbo: Ferranti (Pd); carcere in emergenza, bisogna tutelare i diritti di agenti e detenuti www.ontuscia.it, 16 giugno 2011 Di seguito l’interrogazione a risposta scritta presentata dall’onorevole Donatella Ferranti al ministro della Giustizia Angelino Alfano in merito alla situazione di emergenza in cui verte il carcere viterbese Mammagialla: “Premesso che: per protestare contro la drammatica situazione delle strutture penitenziarie del nostro Paese, l’Unione delle camere penali ha promosso uno sciopero della fame, cui hanno aderito anche tre avvocati penalisti di Viterbo, che si asterranno dal mangiare per tre giorni al fine di denunciare le incivili condizioni in cui si trovano i detenuti e gli operatori penitenziari del carcere “Mammagialla” di Viterbo; la suddetta struttura, infatti, presenta un organico largamente sottostimato e sottoposto a turni insostenibili: gli agenti penitenziari previsti sarebbero 540, ma in realtà ne sono impiegati effettivamente solo 360, a fronte di 730 reclusi su un totale di 433 posti di detenzione disponibili; tali drammatiche condizioni dell’istituto viterbese hanno portato, negli ultimi anni, a numerosi casi di suicidio non solo tra i detenuti, ma anche tra gli agenti penitenziari -: quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per fronteggiare tale emergenza, al fine di tutelare il diritto dei detenuti di scontare la pena in condizioni dignitose, e, al tempo stesso, di permettere agli operatori carcerari di lavorare senza insostenibili sovraccarichi”. Pordenone: in attesa del nuovo carcere i detenuti sono ancora il doppio della capienza Messaggero Veneto, 16 giugno 2011 È come un fiume carsico, periodicamente emerge solo per confermare che nulla è cambiato. Oggi sono 85 le persone recluse a fronte di una capienza regolamentare di 43 ed una tollerabile di 68. Parliamo del carcere di Pordenone, la casa circondariale insediata in Castello, di cui da decenni si attende il trasferimento in un’altra, e più idonea, sede. Il 30 giugno a Pordenone si festeggerà il patrono della polizia penitenziaria, e sarà una nuova occasione per ricordare che, qui, nulla è cambiato. “La situazione è la solita - conferma il direttore Alberto Quagliotto - ed è sotto controllo. Abbiano 85 persone recluse e, quindi, abbiamo chiesto lo sfollamento”, e quindi il trasferimento di una parte dei detenuti in un’altra struttura. Per ragioni diverse, di vivibilità, evidentemente, per gli stessi detenuti, ed anche per il personale, perennemente sotto organico. Attualmente vi lavorano 46 persone, compreso il comandante, mentre l’organico ne prevederebbe 59. E il nuovo carcere? “Alla festa del corpo, il sottosegretario alla giustizia ha indicato Pordenone tra i primi nove centri per i quali è previsto l’avvio della gara per realizzare nuove strutture entro l’anno. Direi - prosegue Quagliotto - che questo in qualche modo rassicura perché l’iter pare essere giunto alla fase operativa. Ora è solo questione di tempo”. Risale al mese di marzo 2011 l’accordo di programma siglato tra la Regione Friuli Venezia Giulia e il commissario delegato per il piano carceri Franco Ionta, con il quale si individua Pordenone come sede di una nuova struttura penitenziaria con una capienza di 450 detenuti da edificare in Comina. A fronte di questo “patto” tra Stato e Regione, gli enti locali, dal Comune alla Provincia alla Regione stessa, si sono dichiarati disponibili ad erogare una somma importante, 20 milioni di euro, che è pari alla metà circa dell’investimento (stimato in 40,5 milioni). In cambio il castello, attuale struttura penitenziaria, passerà di proprietà e diverrà così possibile immaginare una nuova destinazione per un edificio storico e di pregio, qual è, per l’appunto, il castello. Si attende da allora, ovvero da tre mesi, la presentazione del progetto preliminare del nuovo carcere in Comina, necessario anche per una puntuale quantificazione delle risorse necessarie. Dando per scontato il pacchetto di risorse “locali”, bisognerà anche capire in che modo si procederà alla copertura degli altri 20 milioni necessari. Una volta chiusa la partita finanziamenti, entro 2, massimo 3, anni, il trasloco da piazza della Mota alla Comina dovrebbe diventare definitivo. E del castello, che si farà? La partita è aperta. L’ex sindaco di Pordenone Bolzonello era determinato ad acquisirlo al patrimonio cittadino, suggerendo un concorso di idee per il suo riutilizzo. Ora a decidere sarà la nuova amministrazione comunale con il sindaco Pedrotti, di concerto con la Provincia che, contribuendo con le proprie risorse al “progetto carcere”, non intende certamente chiamarsi fuori. Verona: Uil; dopo detenuti malati sospetta Tbc anche tra le fila della Polizia penitenziaria Adnkronos, 16 giugno 2011 La Uil-Pa Penitenziari lancia un allarme di sospetta Tbc tra gli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Verona. “In queste ore alcune unità di polizia penitenziaria in servizio alla Casa Circondariale di Verona Montorio si stanno sottoponendo ad accertamenti clinici per verificare l’insorgenza di eventuali casi di positività alla Tbc. Una eventualità che speriamo possa essere scongiurata ma che, purtroppo, appartiene al novero delle ipotesi possibili”, afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa, esprimendo la preoccupazione per l’evolversi della situazione sanitaria al carcere veronese che proprio la Uil aveva denunciato qualche giorno fa rendendo noto come in pochi giorni ben quattro detenuti fossero risultati affetti da Tbc. “Piuttosto che minimizzare o banalizzare il problema , come hanno fatto in tanti - afferma in una nota - era meglio attivarsi immediatamente per avviare le necessarie azioni di profilassi e di prevenzione. La possibilità che il contagio potesse riguardare anche il personale era un rischio da noi ben rilevato sin dal primo momento . Dalle prime indiscrezioni che filtrano dalla città scaligera pare che almeno tre agenti siano risultati positivi ai primi test. Qualora dovesse essere confermata la notizia del contagio ci si dovrà riferire, giocoforza, ad una epidemia in corso con tutte le conseguenze del caso. Speriamo che il Sindaco Tosi, il Prefetto, le Autorità sanitarie e la stessa Amministrazione Penitenziaria si attivino non solo con tempestività ma anche con efficacia”. Il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari nella mattinata si è relazionato con il Capo del Dap Ionta manifestando tutte le inquietudini del sindacato e le ansie che si registrano tra il personale. “Ho ritenuto informare direttamente e per le vie brevi il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria su quanto stesse accadendo a Verona, ricevendo assicurazioni di un tempestivo intervento da parte del Dap. Purtroppo la questione sanitaria è un aspetto, spesso poco indagato, del dramma complessivo che attraversa il sistema carcere in Italia. A questo punto - sottolinea Sarno - vogliamo sperare che il ministro Alfano, prima di dedicarsi alla sua nuova attività, possa essere determinato, come Maroni, a chiedere al Ministro Tremonti le risorse economiche per garantire la funzionalità del sistema penitenziario e impedire che lo stesso imploda nel volgere di alcune settimane”. Torino: nuovo tentativo di suicidio in carcere, detenuto salvato dagli agenti Adnkronos, 16 giugno 2011 Nuovo tentativo di suicidio ieri sera nel carcere di Torino. A quanto si apprende S.H., un egiziano di 29 anni in carcere da alcuni giorni per spaccio di droga, ha cercato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo nella sua cella della nona sezione al padiglione B della casa circondariale delle Vallette. A salvarlo, il tempestivo intervento degli agenti di Polizia penitenziaria. Il fatto si è verificato poco dopo le 19 di ieri e il giovane è stato trasportato all’ospedale Maria Vittoria di Torino da dove, dopo i controlli, è stato dimesso con cinque giorni di prognosi. È il quinto tentativo di suicidio, di cui tre portati a termine, che si verifica nel carcere torinese dall’inizio dell’anno. Oristano: è “emergenza ratti” nella Casa circondariale di Piazza Manno Ansa, 16 giugno 2011 È emergenza ratti nella casa circondariale di Piazza Manno a Oristano. Lo denuncia il consigliere provinciale e capogruppo del Partito Democratico Battista Ghisu, che ha reso nota una segnalazione inviata la settimana scorsa dalla Direzione del carcere alla Provincia, alla Asl n. 5, e per conoscenza anche al prefetto di Oristano, Giovanni Russo. Proprio stamattina - ha raccontato Ghisu ai giornalisti - nella guardiola del carcere è stato catturato un ratto lungo 18 centimetri, ma tanti altri, provenienti dalle fogne cittadine, circolano liberamente tra celle, uffici e reparti con grave pregiudizio per la salute dei 97 detenuti, di 109 tra ufficiali e agenti della Polizia Penitenziaria e dei venti impiegati del servizio amministrativo. Il carcere di Piazza Manno negli anni 80 era stato evacuato per motivi igienico sanitari. Da tutti i Comuni della Provincia nelle ultime settimane sono aumentate le segnalazioni sulla presenza di topi in scuole, uffici e luoghi pubblici. Pavia: l’Associazione Radicali in sciopero della fame per l’amnistia Comunicato stampa, 16 giugno 2011 Nel carcere di Torre del Gallo a Pavia, l’8 giugno erano detenute 506 persone a fronte di una capienza regolamentare di 244. Nelle celle di 7 mq, progettate per ospitare un detenuto, ne sono ammassati due o tre. La situazione è intollerabile; intollerabile per i detenuti, intollerabile per la polizia penitenziaria, per gli psicologi e i medici del carcere, intollerabile per l’amministrazione. Nel resto del Paese, la situazione non è migliore: 68.000 detenuti ammassati in condizioni disumane, nell’illegalità, nella violazione dei diritti fondamentali; la certezza che il carcere, in questa situazione, non abbia più alcuna funzione rieducativa, ma sia solo un’immensa tortura di Stato. Dall’inizio dell’anno sono morti nelle patrie galere 81 detenuti, di cui 27 suicidi. Per questo motivo in Italia ci sono più di 10.000 persone, di cui 7.500 detenuti, in sciopero della fame. Da oggi l’Associazione Radicali Pavia si unisce a queste persone, iniziando uno sciopero della fame “a staffetta”. Chiediamo al Governo una riforma del sistema penitenziario, che, stanti queste condizioni, ha fallito la propria missione. Chiediamo una riforma del processo penale, che riduca i tempi biblici dei procedimenti e impedisca, come invece avviene oggi, che siano detenuti 15.000 cittadini in attesa di giudizio e dunque presunti innocenti. Chiediamo un’amnistia, come provvedimento d’emergenza per ridare temporaneamente respiro a un sistema al collasso, ricordando che una sistematica e profondamente ingiusta amnistia esiste già, si chiama prescrizione, si abbatte su 170.000 procedimenti penali ogni anno e il Governo non fa nulla per combatterla. Chiediamo che si ritorni alla legalità; chiediamo che sia fatta giustizia, per chi è vittima di reato, per chi è imputato, per chi lavora in carcere, per chi in carcere è detenuto nell’illegalità e nell’illegalità muore. Federico Rano, segretario Associazione Radicali Pavia Pordenone: mio figlio ha problemi mentali… liberatelo perché possa curarsi Messaggero Veneto, 16 giugno 2011 “Mio figlio vive nella speranza di essere aiutato, ma l’unico conforto che riceve è quello di sua madre, della sua compagna e dei propri legali”. La madre di Antonio Zanetti, Paola Sartor, lancia un appello: “Gli siano concessi gli arresti domiciliari perché possa curarlo”. Una vicenda giudiziaria complessa e tortuosa, quella che riguarda Zanetti, di cui più volte abbiamo dato resoconto. Condannato a 8 anni e 9 mesi (con fine pena fissato per il 31 gennaio 2013), con altri carichi pendenti, l’uomo, oggi 40enne, conosciuto come il falso medico, “è stato visitato e periziato ormai da diversi psichiatri nominati dai giudici nei vari processi, i quali hanno evidenziato una patologia in atto ormai da diversi anni”. Gli specialisti, prosegue la madre, “sono tutti concordi nel sostenere la incompatibilità dello stato di salute di mio figlio con il regime detentivo”; il tribunale di sorveglianza, però, ha rigettato tutte le richieste di misure alternative al carcere, “basandosi sulle dichiarazioni del medico della casa circondariale”. Il centro di salute mentale di Pordenone “ha dato la disponibilità a seguire mio figlio - prosegue Paola Sartor - ma ciò non può avvenire perché dovrebbe essere posto agli arresti domiciliari”. Secondo il tribunale di sorveglianza, però, “il detenuto è monitorato quasi quotidianamente e il suo stato di salute è compatibile con lo stato detentivo”. Secondo i giudici, inoltre, “il pericolo di reiterazione del reato è molto elevato” e “non sussistono i presupposti per la predisposizione di un programma di esecuzione penale esterno”. Conclude la madre, annunciando di appellarsi anche ai Radicali, da sempre in prima fila in questa materia: “Non è possibile che un detenuto affetto da una patologia di natura psichiatrica abbia come unica alternativa il ricovero in un ospedale psichiatrico. Ad oggi mio figlio vive nella speranza di essere aiutato”. Genova: gabbiani reali “beccano” gli agenti in servizio sul muro di cinta Secolo XIX, 16 giugno 2011 Non bastassero il pesante sovraffollamento delle Case Rosse di Marassi (che ospitano oltre 800 detenuti a fronte dei circa 450 posti letto regolamentari) e la consistenze carenza di personale (sono 313 i Baschi Azzurri in forza nel carcere della Valbisagno mentre l’organico di Reparto previsto dovrebbe essere di 472 poliziotti), gli agenti di Polizia Penitenziaria del carcere genovese da qualche tempo devono fronteggiare quotidianamente una fastidiosa criticità. “La cosa farebbe anche sorridere, ma in effetti sta determinando non pochi problemi” ammette Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e Commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “Un gruppo di gabbiani ha scelto il tetto di uno degli edifici del carcere di Marassi per costruirvi il proprio nido. I problemi si verificano ogniqualvolta i nostri colleghi dei vari turni si alternano nelle garitte per la vigilanza armata del penitenziario e quindi percorrono il camminamento del muro di cinta. Un gabbiano è quasi stabilmente di vedetta sul tetto dello stadio: quasi sempre, quando vede i nostri colleghi sul muro di cinta, per difendere il nido e non potendo ovviamente sapere che è materialmente impossibile per i poliziotti raggiungere da lì il tetto dove sono i piccoli, emette una serie di segnali sonori con i quali chiama a raccolta gli altri gabbiani adulti e, tutti insieme, puntano verso gli agenti di sentinella. La cosa, ripeto, farebbe sorridere, ma crea non pochi problemi ai colleghi, tanto che, per garantirne l’incolumità, sono stati messi a loro disposizione dei caschi che abitualmente non usiamo per quel tipo di servizio armato”. La questione è già da tempo stata posta all’attenzione alla Direzione del carcere e per risolvere il problema sono stati interessati Vigili del Fuoco e Corpo Forestale “ma è stato detto che allo stato non è possibile fare nulla perché in Liguria c’è una legge regionale che tutela la nidificazione. Quindi, non è possibile rimuovere il nido dei gabbiani dal tetto. Almeno fino a quando i piccoli non saranno cresciuti. Io mi auguro si possa trovare quanto prima una soluzione a questo inconveniente, specie per i colleghi che ad ogni cambio turno di sentinella rischiano di essere beccati dai volatili. E, viste le dimensioni dei gabbiani, immagino non sia certo una piacevole esperienza”. E la regione Liguria risponde immediatamente attraverso una nota dell’assessorato all’Ambiente. “Il gabbiano reale è una specie protetta dalla legge nazionale 157/92, una specie altamente adattabile, in grado di distaccarsi dall’ambiente marino per colonizzare ambienti antropizzati. La penuria di cibo nelle acque marine - prosegue la nota - ha favorito lo spostamento di questo esemplare nelle città, dove sono presenti fonti alimentari alternative e siti riproduttivi ideali come i tetti degli edifici, in cui i gabbiani possono allevare la prole in assenza di predatori ed in totale sicurezza. Per contrastare la presenza di nuovi nidi e, allo stesso tempo, per poter rimuovere quelli presenti le Province possono organizzare piani di controllo, se si individuano particolari necessità. Piani che si possono attuare solo con il parere obbligatorio di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e con la stretta collaborazione dei comuni. Gli interventi, in genere, comportano la rimozione di nidi ubicati in edifici o unità abitative di proprietà pubblica o privata in terrazzi e balconi, tetti, grondaie, comignoli e altri siti e nelle condizioni di sicurezza. Tutti interventi, comunque, assolutamente incruenti e da attuare prima che schiudano le uova. Esiste, inoltre, la possibilità per i privati, al di là dei piani di controllo, di rendere inabitabili i tetti con strumenti di dissuasione (punte, reti o bacchette elettrificate) come quelli analogamente utilizzati per i piccioni. La Regione Liguria, né la Provincia di Genova non hanno mai ricevuto segnalazioni in merito a questo problema nelle carceri genovesi. Venezia: quattro detenuti costretti in una cella prevista per una persona Il Gazzettino, 16 giugno 2011 Celle per una persona, adattate per quattro, celle da quattro, occupate da otto. Dietro i numeri del sovraffollamento del carcere di Venezia, una situazione di promiscuità fra gli stessi detenuti e di sovraccarico di lavoro per direzione, agenti e operatori, giudicata da più parti “esplosiva”. Ad aggravare la condizione emergenziale anche la facilità con cui si finisce in prigione anche a causa di un disagio sociale incalzante riconducibile sia alla crisi economica che all’assenza di strutture alternative di fronte a reati cosiddetti minori. In tale contesto il continuo via - vai non aiuta: il 50% di chi entra a Santa Maria Maggiore esce dopo appena tre giorni di detenzione, mentre un terzo si trova a scontare la pena definitiva, quando la casa circondariale dovrebbe ospitare solo reclusi in attesa di giudizio. “Il disagio più pesante? È quello dell’inattività. Che di traduce nel dover rimanere chiusi in celle, per di più sovraffollate per l’intera giornata, fatte eccezione per l’ora d’aria”. Anche per questo i detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore hanno proclamato quattro giorni di sciopero, due attuati con il rifiuto del cibo, e altrettanti con la cosiddetta “battitura” delle sbarre con tazze e bicchieri. Una protesta pacifica, che si concluderà oggi, e che vuole rivendicare accanto a condizioni di vita dignitose dal punto di vista dell’accoglienza e degli spazi fisici, anche la possibilità di accedere a percorsi formativi finalizzati insieme alla socializzazione a un reale reinserimento sociale. “Sono molto sereni e nel contempo molto determinati - continua Maria Teresa Menotto, presidente de “Il granello di senape” - e sperano in una amnistia quale soluzione normativa al cronicizzarsi di una emergenza ormai non più sostenibile”. Presenti dal 1996 all’interno della Casa circondariale maschile di Venezia, i volontari dell’associazione assorbono gli umori e gli stati d’animi dei reclusi con i quali interagiscono almeno tre volte a settimana, nella gestione della biblioteca e di alcuni laboratori educativi, quest’anno sul tema “legalità e cittadinanza” con filo conduttore i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ma cos’è cambiato dentro le mura in questo quinquennio al di là della crescita esponenziale del numero di carcerati, 350 su una capienza di 160? “Innanzitutto la composizione della popolazione ristretta, con un aumento vertiginoso degli stranieri e delle etnie cui appartengono. I problemi di convivenza non si limitano quindi alla già insostenibile condivisione di spazi ma si estendono sul fronte culturale e religioso. Ma il sovraffollamento - continua Menotto - assume una dimensione ancor più grave se commisurato a risorse economiche e umane del tutto insufficienti. Il rapporto fra detenuti e agenti e fra detenuti e operatori è quanto mai squilibrato, nonostante tutti i tentativi sia della direzione che della polizia di dare il massimo. La tensione c’è, non si può negare”. Allora la costruzione di un nuovo penitenziario è davvero necessaria? “Dico solo che la cifra stanziata, ovvero 45 milioni di euro - conclude Menotto - è una somma enorme. Di soldi ne basterebbero molti di meno per sistemare la struttura dismessa della Giudecca e per finanziare progetti di lavoro e di orientamento professionale”. E intanto in attesa del carcere che verrà Santa Maria potrebbe arrivare al collasso definitivo. I residenti di Cà Solaro protestano contro il nuovo carcere “Accompagneremo il sindaco Giorgio Orsoni a visitare l’area della Bazzera, affinché si persuada che qui il carcere non può essere realizzato”. In occasione della visita che il primo cittadino farà a Favaro giovedì 23 giugno per affrontare con la Municipalità alcune problematiche locali tuttora irrisolte (Via Indri, problema trasporti, ecc.), il Comitato residenti di Cà Solaro si è reso disponibile a fare da guida al primo cittadino nella zona della Bazzera che dovrebbe ospitare la nuova casa circondariale, per convincerlo che l’indicazione suggerita dal Comune ai funzionari del Dipartimento dell’amministrazione carceraria è, secondo gli abitanti, del tutto sbagliata. All’incontro svoltosi l’altra sera a Cà Solaro, al quale hanno partecipato più di cento residenti, oltre a numerosi consiglieri del Comune, della Provincia e della Municipalità, c’è stato un coro unanime di pareri negativi, giustificati dal fatto che l’area della Bazzera è troppo fragile per sopportare l’impatto con una struttura grande e complessa come sarà il nuovo istituto penitenziario. “Non sussistono le condizioni infrastrutturali, viarie, di trasporto e di servizi, necessarie per una struttura di questo tipo - ha affermato la coordinatrice del comitato Elettra Vivian - e riteniamo che per l’area della Bazzera ci siano le medesime ragioni di criticità già rilevate per Campalto in merito alla vicinanza con il centro abitato”. A dare sostegno ai residenti è intervenuta due sere fa anche la Municipalità di Favaro, votando un Odg con il quale ha chiesto al sindaco e al presidente della Regione Veneto di segnalare al commissario governativo Ionta che Cà Solaro non è un’area idonea e che la volontà dell’istituzione locale è quella di realizzare il carcere a Cà Noghera nel sito dell’ex Forte Pepe. Di questo parere è anche l’assessore regionale Renato Chisso che, tra l’altro, abita proprio a Cà Solaro. “Tra quelle che sono state proposte ritengo l’area di Forte Pepe la più appropriata - ha spiegato Chisso - e di questo, nei prossimi giorni, mi farò portavoce presso il Ministero”. Chi, invece, non la pensa così è il capogruppo della Federazione della Sinistra in consiglio comunale Sebastiano Bonzio, che si dice indignato per la proposta di Forte Pepe. “Dichiaro la più totale contrarietà ad avvallare una simile proposta - ha dichiarato - perché riteniamo i forti ed il paesaggio beni comuni da difendere e valorizzare in chiave pubblica”. Padova: sciopero della fame per sostenere i detenuti, la battaglia è anche degli avvocati Il Gazzettino, 16 giugno 2011 L’Unione camere penali ha deciso di aderire alla battaglia non violenta portata avanti da Marco Pannella per denunciare la situazione nelle carceri italiane. Da martedì scorso e sino a domani è il turno dell’Osservatorio nazionale delle Camere penali sul carcere, formato da quattro avvocati, tra cui Annamaria Alborghetti di Padova. Oggi sarà il suo turno. Spiega l’avvocato Annamaria Alborghetti: “Credo sia importante ricordare che il numero dei detenuti nelle carceri è in continuo aumento, che il decreto “svuota carceri” non ha assolutamente modificato la situazione dato che il numero di coloro che ne hanno usufruito è esiguo e ha riguardato persone che, comunque, di lì a poco, avrebbero terminato la pena. Il dato preoccupante è il numero delle morti in carcere: dall’inizio dell’anno sono morti 76 detenuti di cui 26 suicidi. Devono far riflettere gli ultimi casi avvenuti a Padova, in un carcere dove le condizioni di vita sono senz’altro migliori che altrove. E l’estate, con le celle roventi e la convivenza resa più difficile dal clima, non promette nulla di buono. Vorremmo non vedere per l’ennesima volta i politici che a ferragosto vanno in carcere, si indignano e poi dimenticano”. Nei giorni scorsi i radicali si erano recati in visita al carcere di Padova, denunciando l’affollamento e la mancanza di lavoro per molti detenuti con pena definitiva. Emergenza carceri: sciopero della fame delle Camere penali (Il Mattino di Padova) Sciopero della fame a staffetta all’interno dell’Unione delle Camere Penali italiane per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulla drammatica condizione delle carceri italiane. Tra queste anche il Due Palazzi di Padova dove, negli ultimi tre mesi, si sono suicidati tre detenuti. Oggi è il turno dell’avvocato Annamaria Alborghetti che, dal 14 al 17 giugno, si alterna nello “sciopero” con quattro colleghi componenti dell’Osservatorio nazionale delle Camere penali sul carcere: Alessandro De Federicis di Roma, Mirko Mazzali di Milano e Michele Passione di Firenze. L’1 giugno è iniziato da parte delle Camere penali italiane il singolare sciopero. Spiega l’avvocato Alborghetti che è presidente della Camera penale di Padova: “Credo sia importante ricordare che il numero dei detenuti nelle carceri è in aumento. Il decreto cosiddetto “svuota carceri” non ha modificato la situazione dato che il numero di coloro che ne hanno usufruito è esiguo e ha riguardato persone che, di lì a poco, avrebbero terminato la pena. Dall’inizio dell’anno sono morti 76 detenuti, di cui 26 suicidi. E in estate, con celle roventi, la convivenza diventa più difficile. Per questo abbiamo aderito alla battaglia non violenta di Marco Pannella”. Asti: soprusi a due detenuti; 12 persone a giudizio dopo la denuncia dell’assistente sociale La Repubblica, 16 giugno 2011 Il sostituto procuratore della repubblica presso il Tribunale di Asti, Francesco Giannone ha chiesto il rinvio a giudizio di 12 persone tra agenti e assistenti del carcere astigiano di Quarto d’Asti. Sono accusati di violenze fisiche e vessazioni psicologiche nei confronti di due reclusi. Il fascicolo di inchiesta è stato aperto dopo la denuncia di un’assistente sociale e le dichiarazioni di tre detenuti sulle presunte vessazioni commesse nei loro confronti. Le vittime sono un giovane torinese ed un quarantenne di Novara detenuti nella casa di pena astigiana fino al dicembre dello scorso anno. Il giudice Leonardo Bianco ha fissato l’udienza preliminare per il prossimo 7 luglio. Le presunte vittime si sono costituite parte civile con l’assistenza degli avvocati Roberto Caranzano e Mauro Caliendo mentre i dodici imputati hanno affidato l’assistenza legale agli avvocati Mirate, Pasta, La Matina e Fusco. Enna: nuova protesta degli agenti, reclamano più fondi e condizioni di lavoro migliori La Sicilia, 16 giugno 2011 “La Destra” della Provincia di Enna ha portato la propria solidarietà agli agenti della Polizia Penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Enna, partecipando al sit in organizzato davanti alla casa circondariale da tutte le sigle sindacali della polizia penitenziaria. Gli agenti, hanno protestato contro il carico di lavoro dovuto al sovraffollamento della struttura e alla carenza di organico. Hanno protestato anche contro la mancanza di fondi e mezzi e le precarie condizioni del penitenziario. Il segretario provinciale de “La Destra”, Gaetano Di Maggio, unitamente al responsabile cittadino del partito Roberto Alerci e al consigliere provinciale Luca Faraci, ha voluto fortemente dare il proprio sostegno alla protesta da parte di tutti i sindacati della polizia penitenziaria di Enna. “Questi uomini - dice il segretario provinciale de La destra Di Maggio - che dedicano la loro vita al servizio dello Stato, operano in condizioni difficilissime dovute sia alla fatiscenza del penitenziario oltre che alla carenza, ormai cronica, del personale che genera carichi di lavoro sempre più massacranti. A questo si aggiunga la mancanza di mezzi, la mancata apertura del nuovo padiglione che potrebbe rappresentare, non soltanto, una permanenza nel penitenziario sicuramente più dignitosa per i detenuti e per gli operatori di polizia ma consentire anche una rimodulazione dell’organico degli agenti permettendo a molti poliziotti residenti nella provincia di Enna e che prestano servizio altrove di essere finalmente trasferiti”. Di Maggio de La Destra continua l’intervento a sostegno della protesta degli agenti di polizia penitenziaria aggiungendo: “Il nostro partito sensibilizzerà le istituzioni preposte alla soluzioni di tali problemi e se necessario segnalerà il tutto al Ministro di Giustizia tramite il nostro segretario nazionale Francesco Storace”. Milano: domani conferenza stampa di Radicali e parenti di detenuti per chiedere amnistia Ristretti Orizzonti, 16 giugno 2011 Nell’anniversario dell’arresto di Enzo Tortora conferenza stampa di Francesca Scopelliti e dell’associazione Enzo Tortora - Radicali Milano con parenti di detenuti ed ex detenuti per chiedere l’amnistia Il 17 giugno 1983 alle 4 del mattino Enzo Tortora viene arrestato dai carabinieri di Roma. A 28 anni da quel giorno la compagna di Enzo, Francesca Scopelliti e il segretario dell’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano, Francesco Poirè terranno un presidio dalle 11.30 alle 12.30 e una conferenza stampa alle 11.30 davanti al Tribunale di Milano per rilanciare l’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, dei detenuti, dei loro familiari, dei membri dell’Unione delle camere penali italiane e delle migliaia di persone che sono in sciopero della fame per l’amnistia. Enzo con l’esperienza carceraria ha cominciato una battaglia per rivendicare i diritti di tutti gli uomini che nelle carceri perdono la dignità di esseri umani. Nell’ottobre scorso il rapporto shock dell’Associazione Antigone parlava di un sovraffollamento che superava del 150% della capienza massima delle carceri italiane: 68.527 detenuti a fronte di 44.612 posti. Eppure a distanza di 8 mesi, a dispetto delle millantate epocali riforme del sistema giustizia, la situazione non è che peggiorata. Con Francesca Scopelliti e Francesco Poirè ci saranno familiari di detenuti ed ex detenuti e il consigliere comunale Marco Cappato. mesi, a dispetto delle millantate epocali riforme del sistema giustizia, la situazione non è che peggiorata. Con Francesca Scopelliti e Francesco Poirè ci saranno familiari di detenuti ed ex detenuti e il consigliere comunale Marco Cappato. Venerdì 17 giugno 2011 ore 11.30/12.30 - Tribunale di Milano. Roma: Uil-Pa; il 6 luglio protesta dirigenti penitenziari per mancanza fondi Adnkronos, 16 giugno 2011 “Considerato che il ministro Alfano da ben tre anni continua a ripetere che la contrattualizzazione dei dirigenti penitenziari è nell’agenda del Governo e che per tale operazione c’è la disponibilità di circa 14 milioni di euro, ma concretamente nessun atto è stato redatto per avviare le procedure il minimo che la categoria potesse fare era quello di indire lo stato di agitazione e cominciare a portare in piazza la protesta. Pertanto il 6 luglio le organizzazioni sindacali rappresentative dei dirigenti penitenziari si ritroveranno a Roma, davanti alla sede del Dipartimento della Funzione Pubblica - Palazzo Vidoni, per tenere un sit-in di protesta”. È quanto annuncia Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa penitenziari. “In un momento particolarmente difficile per l’intero sistema e per tutti gli operatori i dirigenti penitenziari hanno deciso di cominciare con modalità soft il loro percorso di proteste, - spiega Sarno - Evidentemente di fronte a una reiterata indifferenza parte di chi dovrebbe aprire il tavolo contrattuale queste proteste non potranno non svolgersi con modalità sempre più aspre al punto da non escludere la paralisi delle attività amministrative attraverso uno sciopero dei direttori penitenziari ed attraverso la pedissequa osservanza dei regolamenti penitenziari”. “L’esaurimento dei fondi sui capitoli di spesa impedisce una corrette e serena gestione degli istituti penitenziari, già attraversati da tensioni e pulsioni - ricorda il segretario Uil-Pa Penitenziari - Non osiamo immaginare cosa succederà all’interno degli istituti a settembre quando saranno esauriti anche i fondi per garantire il vitto quotidiano ai circa 70mila reclusi (quota giornaliera per colazione, pranzo e cena pari 3,60 euro procapite). L’apertura del tavolo contrattuale per la dirigenza, quindi, sarebbe un segnale di una ritrovata attenzione verso l’universo penitenziario - conclude Sarno - oggi relegato ai margini dell’attenzione del quasi ex ministro Alfano e dell’intero Governo Berlusconi”. Ancona: progetto Stabat Pater; a Montacuto i detenuti raccontano la loro paternità Corriere Adriatico, 16 giugno 2011 Il progetto Stabat Pater, a cura di Silvano Sbarbati, ha avuto inizio lo scorso autunno tra le mura del carcere, coinvolgendo una decina di ristretti nella sezione “Alta Sicurezza” in un laboratorio sulla paternità diviso in due parti: nella prima parte il laboratorio sulla scrittura, condotto da Sbarbati, dove ogni detenuto ha provato a descrivere nella maniera più sintetica e sincera la sua paternità in carcere; una seconda parte con il regista Simone Guerro ed il musicista Francesco Gatti, dove i detenuti hanno lavorato sulla comunicabilità dei propri sentimenti tramite la parola detta, il teatro, la musica. La rappresentazione sarà “un lavoro basato sull’essenzialità. Poca regia, molta consapevolezza” racconta Simone Guerro, che aggiunge: “Trattare sentimenti ed emozioni così intime dentro un carcere è stata una sfida molto delicata. All’inizio del laboratorio ho chiesto: perché dovremmo dire tutto questo a qualcuno? Che necessità abbiamo? “far capire che siamo comunque delle persone” è stata la risposta unanime. Da lì è iniziato il lavoro più duro: l’abbattimento dei muri che i detenuti sono costretti ad erigere intorno a sé per sopravvivere alla vita carceraria. Una riabilitazione emotiva che ha toccato le nostre corde più profonde e il cui scopo è stato quello di acquisire una consapevolezza maggiore circa la propria situazione passata, presente e futura. Sarà una rappresentazione breve, basata su testi scritti da loro stessi, delle lettere ai propri figli, creati sotto la guida di Silvano Sbarbati e il cui scopo è quello di far arrivare quelle parole con la maggior consapevolezza possibile, anche attraverso l’utilizzo della musica dal vivo eseguita dal M° Francesco Gatti, musicista e osservatore attento di tutto il lavoro, con tutto il patrimonio emotivo che appartiene a questi padri, la cui sincerità fa di questa performance un vero e proprio dono che i detenuti faranno agli spettatori”. L’iniziativa prosegue la felice collaborazione instaurata nell’estate 2010 tra la Fondazione Pergolesi Spontini e la Casa Circondariale di Ancona, quando furono rappresentate di fronte a 70 detenuti due rappresentazioni teatrali, entrambe dedicate a Pergolesi; nel dicembre dello stesso anno, poi, sempre la Fondazione promosse un concerto lirico sinfonico sempre in carcere. Il primo atto di Pergolesi a domicilio consisteva in un monologo in cui la madre di Pergolesi pensava al figlio lontano dalla sua città, piccolo e indifeso, allievo del Conservatorio di Napoli. Dopo la visione un detenuto chiese “Ma perché non si parla mai dei padri? In ogni film, libro, spettacolo, sono sempre le madri che soffrono la lontananza dai propri figli, ma ai padri nessuno dedica mai un pensiero, non se ne parla”. Proprio da questa osservazione è nato il progetto Stabat Pater. Appuntamento giovedì 16 giugno alle ore 11. Roma: un monaco zen fa “evadere” i detenuti 9Colonne, 16 giugno 2011 Nel carcere romano un monaco zen medita con detenuti e agenti. “Il lavoro più difficile è fargli chiudere gli occhi”. Lo racconta il settimanale Gli Altri in edicola da domani. Una volta alla settimana il monaco zen Dario Doshin Girolami entra nella casa di detenzione di Rebibbia a Roma per meditare con un gruppo di 24 detenuti di cui la metà ergastolani. Finito con loro, comincia a farlo con trenta guardie carcerarie. Questa singolare storia di detenzione e libertà la racconta lo stesso Doshin in un’intervista ad Alessandra Di Pietro, sul settimanale Gli Altri in edicola da domani. Immigrazione: trattenimento nei Cie fino a 18 mesi ed espulsione anche per i comunitari Corriere della Sera, 16 giugno 2011 Espulsione immediata per tutti i clandestini, tempo di permanenza nei Cie prolungato a 18 mesi. È quanto previsto dal decreto legge approvato giovedì dal Consiglio dei ministri, che ha anche dato il via libera ad un decreto legge su Lampedusa per la Protezione civile. Ad annunciare i provvedimenti il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Un decreto, ha detto il presidente del Consiglio, che prevede “l’espulsione coattiva immediata di tutti i clandestini” e con il quale “prolunghiamo il tempo di trattenimento nei Cie da sei a 18 mesi, attraverso una procedura di garanzia che passa dal giudice di pace”. Un tempo necessario, ha spiegato, per rendere possibile “l’identificazione e la procedura di espulsione”. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri dà “attuazione a due direttive europee”. Si trattava di un problema di “interpretazione e noi - nel pieno rispetto della direttiva - abbiamo fornito questa interpretazione”, ha aggiunto il ministro. E venerdì, ha detto ancora Berlusconi a proposito della Libia, Frattini firmerà un accordo con il comitato transitorio libico per poter riportare il Libia i migranti venuti in Italia, “è un fatto molto importante e continuiamo in questa direzione, visto che accordo con la Tunisia ha avuto piena realizzazione”. Il Cdm ha approvato anche un decreto su Lampedusa, per la quale si varano, ha detto Berlusconi, misure compensative: sospensione dei pagamenti di tributi, contributi, mutui e leasing fino alla fine dell’anno. Oltre al piano di rilancio da 26 milioni di euro, e la richiesta ufficiale all’Europa di poter istituire a Lampedusa una zona franca come quelle di Campione d’Italia e Livigno. “Tutto quanto possibile per sostenere l’economia di Lampedusa sarà fatto”, ha affermato Berlusconi. Touadi (Pd): prolungamento tempi nei Cie contro direttive Ue “L’annuncio di Maroni del prolungamento del tempo di trattenimento all’interno dei Cie da 6 a 18 mesi appartiene alla categoria della follia disperata”. Lo dichiara in una nota il deputato Pd Jean - Leonard Touadi. “Ancora una volta la Lega, - aggiunge - con le elezioni andate male, i sondaggi al ribasso e la base in subbuglio utilizza i migranti come strumento per uscire da una propria crisi. Chiunque abbia visitato un Cie, come me due giorni fa, ha potuto constatare che luoghi indegni di questo paese siano le tante Guantanamo sparse nel nostro territorio nazionale, dichiarate per altro illegali dalla Corte di Giustizia Europea che si è pronunciata al riguardo solo due mesi fa. La dilatazione dei mesi di trattenimento, di fatto una vera e propria detenzione senza i diritti che costituzionalmente spettano ai normali detenuti, va nella direzione opposta alla direttiva europea sui rimpatri del 2008 che richiede di limitare la durata massima della privazione della libertà nell’ambito della procedura di rimpatrio”. Finocchiaro (Pd): pericoloso populismo in salsa leghista “Si vede che mancano tre giorni a Pontida. Da un lato le espulsioni coatte e la permanenza nei Cie fino a 18 mesi, dall’altra il rogito della villa berlusconiana a Lampedusa. Ecco come il governo della destra affronta il dramma dell’immigrazione e la crisi umanitaria generata dai recenti eventi nei paesi nordafricani. Non c’è che dire: continua il pericoloso populismo demagogico del governo”. Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. “In nome del ricatto leghista - aggiunge - spunta l’assurda e grave, quanto inapplicabile e inattuabile, detenzione nei Cie di persone incensurate fino a 18 mesi e le altrettanto poco attuabili espulsioni immediate. Lampedusa ha bisogno di aiuto? Niente paura, Berlusconi compra casa lì. È chiaro che la lezione delle urne rimane inascoltata da parte di una maggioranza raccogliticcia e di un governo incompetente e all’ultima spiaggia”. Pacciotti (Pd): da Cdm provvedimento liberticida “Il decreto discusso oggi in Cdm che porta fino a 18 mesi il periodo di trattenimento dei migranti riconosciuti colpevoli d’immigrazione clandestina”, è solo propaganda pericolosa”. Lo dichiara Marco Pacciotti, coordinatore del Forum Immigrazione Pd che aggiunge: “Un provvedimento liberticida, che oltre a trasformare i Cie in strutture detentive assimilabili nei fatti a delle carceri, sancisce il fallimento di questo governo sul fronte dei rimpatri volontari e sulla stipula di accordi bilaterali, indispensabili per renderli esecutivi. Va sottolineato, inoltre, come questo provvedimento venga approvato in pompa magna a ridosso del raduno a Pontida dove i vertici leghisti sperano con questo zuccherino di rassicurare il loro popolo, ormai furibondo per le sberle prese e sempre più insofferenti a questa alleanza con Berlusconi”.