Giustizia: le cifre di uno sfascio su cui tace il ministro Alfano, il Csm, l’Anm… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 15 giugno 2011 Il settimanale “l’Espresso” ancora in edicola, e che esce nelle grandi città il venerdì, quasi una settimana fa, pubblicava una lunga, dettagliata inchiesta di Gianluca Di Feo, “Tutti prescritti” - che (abbiamo ripreso proprio ieri). Si racconta che sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Una sorta di impunità, si legge, anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. Così la giustizia sta soffocando sommersa dai fascicoli, uno scandalo senza fine, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose, per quanto possa sembrare incredibile, sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Le cifre: nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono e c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano, nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l’anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l’anno. Conclusione? Un’amnistia mascherata. Senza una terapia d’urgenza, un numero colossale di crimini resterà impunito. E viene fatto un esempio concreto. Nel tempo che la lettura dell’articolo dell’ “Espresso” richiede sono andati prescritti tre processi. Potrebbe essere il caso della donna di 54 anni morta durante un’operazione all’anca a Reggio Emilia: i familiari hanno speso soldi per costituirsi parte civile e hanno atteso invano per dieci anni, la verità non ci sarà mai. O il più grande scandalo di corruzione della sanità romana, le tangenti elargite da Lady Asl per farsi rimborsare ricoveri inesistenti. O le mazzette intascate per la ricostruzione dell’Irpinia terremotata, la vergogna della prima Repubblica: il processo è finito al macero da poco, 30 anni dopo il sisma. “Nessun colpevole, nessun innocente”, scrive “l’Espresso”. “Tutti prescritti. A pagare è solo la giustizia”. Diciamo meglio: a pagare è il paese, sono i cittadini. “L’Espresso” pubblica anche un colloquio con Marco Pannella: “Per affrontare in modo serio il problema del funzionamento della giustizia in Italia, e l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, non si può che cominciare dall’amnistia. Un’altra strada non c’è. Oggi lo Stato è fuorilegge, è un delinquente professionale: mandare in prescrizione 200mila processi all’anno, negare il principio - esistente dai tempi del diritto romano - per cui la sentenza si ottiene in tempi reali, significa infatti negare la giustizia e riempire le carceri di detenuti che per il 30 per cento, lo dicono le statistiche, sono ancora in attesa di giudizio, una situazione che è sicuramente più infame di quella che ci ha lasciato il ventennio fascista”. Bene: questa bella inchiesta, come ho detto è stata pubblicata venerdì scorso (“Notizie Radicali l’ha riprodotta nell’edizione di ieri). Si descrive una situazione che dà pienamente ragione all’analisi e agli obiettivi di Pannella. Sarà per questo che nessuno fiata? Tace l’ancora ministro della Giustizia Angelino Alfano, quello che prometteva un giorno sì e l’altro pure di fare finalmente giustizia e di sistemare le cose, e che ora, per pudore, tace perché poco ha fatto, e quel poco lo ha fatto male. Ma tacciono anche i loquacissimi esponenti dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, che intervengono su tutto, ma su questo solo silenziosi. Tace il Consiglio Superiore della Magistratura, tacciono tutti, maggioranza e opposizione. Per loro questo problema, questa emergenza non esistono. Non mancano, per fortuna, segnali confortanti. Su “Notizie Radicali” di ieri, per esempio abbiamo pubblicato la lettera della dottoressa Daniela Teresi, psicologa penitenziaria, che aderisce all’iniziativa di Satyagraha di Pannella: “Contro l’indifferenza emozionale del Governo per lo stato di estrema emergenza delle carceri di tutt’Italia, contro la cecità verso le innumerevoli problematiche penitenziarie del personale civile; contro la sordità delle problematiche del personale di polizia penitenziaria veramente costretto a farsi carico fisicamente e moralmente di un lavoro massacrante; contro lo stato di disagio psichico della popolazione detenuta soprattutto di quella che ha perduto la speranza; contro l’alto numero di suicidi riguardanti i detenuti ma anche della Polizia penitenziaria; contro ogni violazione del principio di uguaglianza di vivere una vita dignitosa ed umana. La cupa consapevolezza di quanto potrebbe accadere se si continua a non far nulla a livello di Governo mi impone di aderire alla coraggiosa e nobile iniziativa di Pannella a favore delle problematiche delle carceri italiane ed è per questo che esprimo apertamente la mia stima, il mio apprezzamento e tutta la mia gratitudine con il suo sciopero della fame”. E poi ci sono i detenuti, le loro famiglie, i sindacati della polizia penitenziaria, centinaia di cittadini comuni, silenziati, ignorati, censurati, cui si nega la voce e la possibilità di essere conosciuti. Eppure ci sono, resistono e lottano con gli strumenti della nonviolenza. E sono più di quanto si creda e “loro” credano. Giustizia: droga e carcere, i dati del tracollo di Franco Corleone Il Manifesto, 15 giugno 2011 Lo zar è nudo. I dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria confermano i tremendi danni sul carcere che la legge antidroga votata nel 2006 dalle Camere già sciolte ha prodotto nei cinque anni di applicazione e in particolare nel 2010. Carlo Giovanardi architettò il vulnus istituzionale inserendo il testo proibizionista nel decreto sulle Olimpiadi e il Quirinale purtroppo controfirmò. Eravamo stati facili profeti a immaginare le conseguenze delle norme punitive introdotte per pura ideologia e a ridicolizzare la retorica salvifica secondo la quale la gravità delle punizioni avrebbe spinto alla cura i tossicodipendenti. La strage che si compie ogni giorno nelle carceri italiane in termini di violazione della legalità e dei diritti e che va sotto il nome pudico di “sovraffollamento”, non è un accidente naturale, ma ha una causa nella legge criminogena che si appella alla “guerra alla droga”. Arriviamo alle cifre. Al 31 dicembre 2010 il numero dei tossicodipendenti in carcere era di 16.245 detenuti pari al 24% dei 67.961 presenti (la cifra è sottostimata perché mancano i dati di Roma e di altri Istituti minori). Per una valutazione completa del fenomeno, va aggiunto il numero imponente di 27.294 ristretti per violazione dell’art. 73 (detenzione e spaccio) del Dpr 309/90, pari al 40,16% delle presenze. Il quadro diventa ancora più sconvolgente se esaminiamo i flussi di entrata in carcere in un anno e non le presenze in un giorno. Nel 2010 nelle carceri italiane sono entrati dalla libertà 84.641 soggetti per droga, di questi 24.008 (pari al 28,5%) classificati come tossicodipendenti e 26.141(pari al 29%) per fatti inerenti l’art.73 della legge antidroga. Ovviamente vi è un margine di sovrapposizione tra le due figure, ma è certo che più del 50% degli ingressi e delle presenze in carcere sono dovuti a comportamenti legati alla questione droga che da problema sociale viene di fatto declinata come vicenda criminale. Dai dati del Ministero dell’Interno, si ricava che la persecuzione si orienta per il 40% contro la canapa. Ma chi sono realmente le oltre 27.000 persone in galera a fine 2010? Sono trafficanti e spacciatori? 0 sono consumatori in possesso di un quantitativo di poco superiore alla soglia stabilita in via amministrativa per trasformare un cittadino in uno spacciatore presunto? Dalla ricerca in profondità eseguita in Toscana, risulta che almeno il 40% degli incarcerati per l’art.73 sono consumatori o al più piccoli spacciatori. Se aggiungiamo le persone segnalate alle prefetture per semplice consumo (quarantamila giovani all’anno, per il 72% fermati con uno spinello!), dobbiamo avere il coraggio di denunciare la violenza su milioni di persone, vittime non della droga ma della war on drugs. Pochi giorni fa il Seminario dei giudici latini, organizzato da Magistratura democratica, ha denunciato il carattere emergenziale delle leggi proibizioniste e la violazione dei diritti umani; con la conseguenza di un sistema giudiziario sommerso nella repressione della marginalità e debole verso i gravi reati della corruzione politica e dei colletti bianchi. Una giustizia di classe che in Italia è bene espressa dalla legge Cirielli che salva gli incensurati e calpesta i recidivi. Il bilancio fallimentare della legge Giovanardi deve spingere a raccogliere le sollecitazioni autorevoli della Global Commission on Drug Policy per un cambio di paradigma. Una riforma subito, dunque. Giustizia: lo scandalo degli Opg di Maria Grazia Giannichedda Il Manifesto, 15 giugno 2011 Solo la Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale e i Presidenti della Repubblica e del Senato avevano visto integralmente il filmato di mezz’ora che il 9 giugno ha aperto il convegno sugli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) ed è rimbalzato in quasi tutti i telegiornali della sera. Corpi sformati, persone disperate, spazi angusti, gabinetti rotti, letti di contenzione, storie di soprusi e violenza, non raramente di morte fisica, sempre di incuria e morte civile: le visite a sorpresa negli Opg, effettuate nei mesi scorsi dalla Commissione presieduta da Ignazio Marino, hanno documentato una situazione atroce e nota. Infatti c’era tensione palpabile ma nessuna sorpresa nel pubblico convocato a Palazzo Giustiniani, un centinaio di addetti ai lavori tra responsabili sanitari e penitenziari degli Opg, giudici di sorveglianza, dirigenti di dipartimenti di salute mentale e dell’amministrazione penitenziaria, esponenti di quel mondo associativo che da decenni presidia la questione Opg e da qualche mese ha aperto una nuova campagna per l’abolizione di questi istituti (www.stopopg.it). Alla fine del lungo dibattito, un’ovvia unanimità su alcuni punti: chiudere questi Opg, intervenire sui canali che li alimentano, utilizzare gli strumenti giuridici e le risorse da tempo disponibili per ricollocare all’esterno la gran parte delle persone internate e prendersi cura di loro. Era però assai difficile allontanare la sensazione che oggi nessuna autorità, dai ministri di sanità e giustizia agli assessori regionali (tutti assenti), abbia la volontà e la forza di rendere meno intollerabile, nel nostro paese, la distanza tra ciò che le leggi consentono e prescrivono e ciò che le istituzioni pubbliche fanno e non fanno. Per questo è così importante far uscire la questione Opg dalle stanze degli addetti e includerla nell’agenda che i cittadini devono costruire sia per cambiare il governo che per cambiare la cultura di gran parte della classe politica su questioni che riguardano le libertà di tutti e i fondamenti della democrazia anche se toccano gruppi ristretti e istituzioni marginali. Gli opg sono sei (a Castiglione delle Siviere, vicino a Mantova, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli e Barcellona Pozzo di Goto, in provincia di Messina) e ci sono più di 1500 persone internate. Mai negli ultimi trent’anni era stata raggiunta questa cifra, anzi per tutti gli annì90 gli internati erano stati meno di 1.000. La crescita attuale è l’esito di diversi fattori: nasce certo dalle politiche recenti di crescita della carcerazione da un lato e impoverimento dei servizi sanitari e sociali dall’altro, ma è anche il frutto dell’aver lasciato a se stesso, com’è nel costume politico italiano, il processo di riforma degli Opg messo in opera sia dalla Corte Costituzionale che da diversi decreti di attuazione delle norme sul Servizio sanitario nazionale. Con una ventina di sentenze emesse in gran parte dopo la legge 180, la Consulta ha infatti cancellato alcuni degli automatismi più aberranti del Codice Rocco che nel 1932 aveva disegnato gli Opg, è intervenuta sui canali di alimentazione di questi istituti e sui meccanismi di uscita. Queste sentenze, insieme alla legge 180 e alle norme sul passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, hanno creato da tempo le condizioni per ridurre i nuovi ingressi e portare a poche centinaia il numero degli internati. Invece gli internati crescono, e le aberrazioni giuridiche continuano anche quando la legge consente di evitarle. Un esempio: 380 internati sono trattenuti illegalmente. Si tratta di persone che hanno concluso la misura di sicurezza e sono state dichiarate non più “pericolose”, eppure il giudice rinnova la misura perché i servizi di salute mentale non vogliono o dicono che non possono prendersi cura di questi loro cittadini, oppure non rispondono alla lettera del magistrato, il quale pigramente rinnova la misura. Il Comitato Stop Opg ha chiesto di conoscere la geografia di questi internamenti illegali per poter contattare le Asl, offrire collaborazione e suggerire le modalità di accesso ai fondi, che la metà delle regioni neppure hanno chiesto, per costruire progetti individualizzati di riabilitazione. Altro esempio. Oltre la metà degli internati ha commesso “reati bagatellari”, - alterchi, minacce, piccoli danneggiamenti - che implicherebbero pene inferiori ai due anni e sono stati perciò condannati alla misura di sicurezza di durata più bassa, cioè due anni (all’opposto, a meno del 20% degli internati è stata inflitta la misura di durata più alta in quanto autori di reati gravi come l’omicidio). Dunque una buona metà degli internati, senza il giudizio di non imputabilità, avrebbe probabilmente avuto una carcerazione più breve. Questa è certo una scandalosa iniquità del codice penale, ma la Corte Costituzionale è intervenuta più volte su questo punto, l’ultima nel 2003 quando ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 222 del codice penale “nella parte in cui non consente al giudice di adottare, in luogo del ricovero in Opg, una diversa misura di sicurezza prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale”. Questa sentenza chiarisce anche che la misura di sicurezza può essere “la libertà vigilata accompagnata dalla prescrizione di un rapporto stabile e continuativo con il servizio psichiatrico territoriale”. Quanta parte degli internati attuali avrebbe potuto evitare l’Opg se i servizi di salute mentale, i giudici di sorveglianza, i poliziotti e i magistrati si fossero messi a lavorare insieme, caso per caso, utilizzando, come si fa in alcune Asl e regioni, le leggi e le risorse esistenti? Bisogna ricominciare a chiedere conto dei “crimini di pace”, come li chiamava Franco Basaglia, che oggi fanno più rabbia perché sappiamo cos’altro si potrebbe fare e invece ci ritroviamo a essere ancora testimoni dell’illegalità, della violenza e della morte amministrate dalle istituzioni democratiche in nome della cura e della protezione. Una questione, a questo punto, sulla politica e sulla sua capacità di produrre e governare innovazioni istituzionali orientate al rispetto dei diritti. Abbiamo avuto una riforma, la 180, criticata in quanto non graduale, “violenta”, nella scelta di chiudere il manicomio. Abbiamo sotto gli occhi il processo graduale che ha riformato gli Opg. Ma in un caso e nell’altro abbiamo una politica che poco o nulla ha fatto per promuovere il riorientamento delle istituzioni sulle nuove norme e per scoraggiare la persistenza delle vecchie attitudini e di comportamenti ai margini della legalità. Avrà ben poco esito una riforma organica degli Opg se la politica non saprà riformarsi. Giustizia: carceri sono illegali; Pannella annuncia passaggio a sciopero sete Notizie Radicali, 15 giugno 2011 “L’obiettivo del mio sciopero della fame è quello di far rientrare nella legalità lo Stato italiano, uno Stato che si trova in una situazione di criminalità professionale. Da decenni si stanno realizzando in Italia forme di detenzione che non sono previste e tollerate dalla legge italiana e internazionale. E rappresentano una forma di sequestro ad opera della forza pubblica”. Lo ha ribadito Marco Pannella, intervenendo questa sera in diretta durante “Radio Carcere”, la trasmissione sulla realtà carceraria in onda su “Radio Radicale”. “Tutti i media - ha aggiunto il leader radicale - e soprattutto quelli del servizio pubblico, da mesi, da trimestri, da semestri, da anni, censurano ogni nostra possibilità di denuncia e ogni dibattito su quello che diciamo. Davvero è una situazione da Shoah. Gran parte del popolo tedesco forse nei primi anni non conosceva la situazione dei lager. Oggi non si può dire che la situazione non si conosca. Malgrado questa televisione di Stato e privata, che ha stabilito che noi non abbiamo diritto di esistenza, di informare. “Prendo atto - ha detto Pannella - che i responsabili costituzionali ed istituzionali si stanno comportando in un modo che a me ricorda fortissimamente il comportamento di tanti Stati europei, compreso quello tedesco, che realizzava la prima consistente realtà di Shoah, nascondendola al popolo tedesco. In Italia si è fatto della comunità penitenziaria, in tutte le sue parti, dai direttori alla polizia giudiziaria ai detenuti, una situazione criminale, perché dura da decenni”. “Lo Stato italiano, a tutti i suoi livelli di responsabilità, malgrado l’aiuto che abbiamo inteso fornire perché non si insista in un atteggiamento quantomeno omissivo, sembra ignorarci. La nostra lotta deve diventare sempre più nonviolenta”. “Il Paese - ha proseguito Pannella - non ha il diritto di scegliere tra queste nostre lotte e quelle del Regime, che è composto dal centro, dalla destra e dalla sinistra. Rispetto ai problemi del diritto e dei diritti umani, della giustizia, della legalità, della sofferenza di milioni e milioni di persone, il Regime è da una parte e noi siamo dall’altra”. “Annuncio che passerò a tre o quattro giorni di sciopero della sete”. Pannella dal 20 aprile è in sciopero della fame. Uno sciopero della fame che - ha detto il leader radicale - “faccio con assoluto amore, senza rabbia, con la ri-conoscenza di tutti coloro che vivono e lottano perché questo risultato venga raggiunto”. “Lo faccio in nome della legge, in nome della legge internazionale, in nome della legge europea, in nome della Costituzione, della legge suprema e delle leggi ordinarie, della cosiddetta Repubblica italiana”. “Io rischio la vita e, per quanto possibile, non la morte” ha concluso Pannella. Giustizia: Marcenaro (Pd); in arrivo Autorità indipendente dei diritti umani Agenparl, 15 giugno 2011 “Ieri la prima Commissione del Senato ha incardinato il progetto di legge governativo che istituisce l’Autorità Indipendente dei Diritti Umani”. Lo annuncia oggi Pietro Marcenaro, il Senatore del Partito Democratico che presiede la Commissione straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato, durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto “L’Italia ad un anno dalle raccomandazione del Consiglio Onu per i diritti umani”, redatto da un Comitato di 83 ong e associazioni. “Il termine per gli emendamenti è fissato a domani - spiega Marcenaro - in una o due settimane speriamo che il progetto di legge sia pronto per l’Aula e in breve tempo anche licenziato da Palazzo Madama. È un provvedimento atteso da tanto, l’unico emendamento che presentiamo riguarda l’istituzione permanente della Commissione per i Diritti Umani che oggi al Senato è una Commissione straordinaria e alla Camera è solo un Comitato”. “Sono 3 gli impegni che il Governo si è assunto - prosegue il Presidente - questione Rom, emergenza immigrati e carceri. La settimana scorsa con i ballottaggi si è ritirata fuori la questione Rom: attenzione, perché i ballottaggi finiscono, ma i danni continuano. Bisogna insistere sui campi e sulla scolarità dei bambini. Sull’immigrazione faccio un esempio: non può esistere una situazione come quella di Santa Maria Capua Vetere, 100 persone in tende sotto il sole con inevitabili problemi. Su carceri e detenuti siamo ormai in estate, che acuisce i punti di tensione”. Giustizia: Sidipe; direttori delle carceri e degli Uepe ostaggi dell’Amministrazione penitenziaria Comunicato stampa, 15 giugno 2011 È prossima la scadenza che, insieme alle altre oo.ss. Della dirigenza penitenziaria, avevamo indicato al ministro della giustizia ed ai dicasteri (Mef-Funzione pubblica) interessati per un incontro, finalizzato all’apertura del tavolo contrattuale, allo scopo di affrontare le numerose problematiche che imprigionano la categoria. Ancora una volta abbiamo mostrato ragionevolezza e senso dello stato, cercando di non acuire la drammaticità della difficile situazione che stiamo subendo, ma è valso a nulla! Il disegno perseguito dalla parte pubblica sembra ormai evidente e allarmante: vogliono di fatto cancellarci, farci sparire. I direttori penitenziari e di Uepe forse sono un ingombro: non si fanno omologare, si permettono di contraddire e, contestando il Dap ed il suo stato maggiore, mostrano di non accettare l’idea dello sbilanciamento unidirezionale per un nuovo “sistema” penitenziario appiattito sull’icona dell’uniforme (significative sono le recenti foto del capo del Dap che indossa capi di vestiario della polizia penitenziaria), non si piegano al fatto che “occorra tenere in debito conto la maggioritaria presenza di polizia penitenziaria” (richiamando le parole del dott. Turrini vita, nel corso di un incontro con i direttori a Trento), e quindi della inevitabile forza di attrazione di una componente sulle altre figure, laiche, professionali. Vanamente proviamo a spiegare che “la complicanza” del sistema penitenziario non è casuale e non sempre tutto può essere ridotto a semplificazione. I direttori sono stati posti al centro del sistema non per errore, ma perchè devono costituire il punto d’incontro tra le diverse esigenze istituzionali che da sempre devono trovare bilanciamento per non contrapporsi: sicurezza e trattamento. Qui invece pare si stia cercando di trasfigurare il sistema, riempendolo solo di ipocriti enunciati e disattendendo le norme penitenziarie e quelle strumentali ed organizzative, rivolte ai dirigenti d’istituto e di Uepe (legge Meduri e dlgs. 63/2006). Addirittura viene autorevolmente suggerito di guardare ed emulare altre esperienze di paesi vicini: la Francia, oppure la Norvegia, etc., mostrando di non avere memoria e rispetto verso una lunga storia di cultura penitenziaria italiana (quantomeno da Beccaria a Gozzini). D’altronde le azioni politico-amministrative davanti ai nostri occhi sono esplicite: 1. Mentre ogni anno vengono banditi i concorsi per magistrati e per altre categorie dello stato, tanto non avviene per dirigenti penitenziari; 2. Mentre vengono banditi concorsi per commissari di polizia penitenziaria, per ispettori, per sovrintendenti e agenti, altrettanto non avviene per le altre figure professionali penitenziarie ; 3. I dirigenti penitenziari d’istituto e di Uepe, idem i reggenti Uepe, dopo essersi spesi una vita per dare lustro all’amministrazione, vanno in pensione nell’assoluta indifferenza e nessuno dirigente coprirà le voragini nei relativi organici; 4. Si chiacchera di costruire nuove carceri, mentre prevale, strisciante la cultura dell’apparato repressivo e del controllo: nulla si fa per rimpolpare gli organici di educatori, di assistenti sociali, di contabili, di psicologi, per non parlare della mancata previsione di interpreti, di mediatori culturali, di capi d’arte, etc.; il passaggio della sanità penitenziaria a quella regionale è, pressoché dappertutto, un fallimento e quelli che lo propiziarono sono tutti al loro posto o fanno ulteriore carriera, discettando sull’effimero penitenziario; 5. Non si avvia alcun tavolo negoziale per il primo contratto di lavoro dei dirigenti penitenziari, nonostante siano già decorsi quasi sei anni di totale vuoto normativo, utile solo per consentire all’amministrazione centrale di applicare regole assolutamente arbitrarie, attraverso il richiamo analogico di questa o quella norma, del comparto sicurezza o del comparto ministeri, spesso ad usum delphini, e sempre per applicare trattamenti in peius ai dirigenti penitenziari; 6. Sono negati sistematicamente i diritti sindacali ed il sistema delle regole, giungendo a non riconoscere la maggiore rappresentatività del si.di.pe., il sindacato storico dei direttori penitenziari, che sempre è stato ed è il più numeroso, fin dalla riforma del 2005, costringendolo ad adire le vie legali; 7. Si nega l’applicazione puntuale dell’art. 28 del dlgs. 63/2006. Nel frattempo però siamo un’amministrazione che ha il maggior numero di ufficiali generali senza esercito, sono i tanti sottotenenti del disciolto corpo degli agenti di custodia che, sulla scorta di automatismi, arriveranno tutti a fregiarsi della greca: essi non entreranno mai nelle carceri, non faranno mai i comandanti negli istituti, non faranno traduzioni a bordo di scassati mezzi, per loro e per tanti altri vi sono le fiammanti Bmw, le Jaguar, etc.; eppure nessuno si scandalizza, mentre i soldi non si trovano per ricostruire almeno le nostre scassate carriere di notti insonni, di grate, di celle, di suicidi, di sofferenza, dopo che hanno tentato di distruggere la nostra identità professionale. Vediamo tanti magistrati collocati fuori ruolo che abbandonano i luoghi di giustizia sottraendo i posti di funzione ai dirigenti penitenziari presso il dap, assistiamo pure alla fuga di tanti dirigenti penitenziari che vengono sottratti alle carceri per implementare i già pingui organici dipartimentali ed i provveditorati, vediamo assieparsi tanti giovani commissari di polizia penitenziaria che vogliono imitare “i generali”, negli anfratti del Dap, impegnati nella ricerca e nello studio del nulla, e dei provveditorati, oppure di altre amministrazioni che nulla hanno a che fare con il pericoloso, caldo, sanguigno fronte penitenziario. È il momento di dire basta, con forza, con dignità, con passione civile, per salvare un pezzo di democrazia, di costituzione, di società civile che crede ancora nell’esecuzione penale, che crede nel recupero e nella sicurezza duratura e non in quella che esalta esclusivamente la forza, rabbiosa ed opaca, imbarbarendo le comunità penitenziare. Sempre di più gli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria che operano nelle carceri mostrano uguale inquietudine e preoccupazione: essi sanno come sia preferibile una direzione imparziale, super partes; comprendono che le difficoltà nella gestione sono conseguenti esclusivamente alle deficienze di organico ed all’assenza di risorse che si soffre in periferia: tutti sanno fare quattro conti. I direttori operano per rendere trasparente l’esecuzione penale, essi sono semplicemente espressione di legalità; non vestono divise perchè il legislatore li ha voluti super partes, garanti dei diritti di tutte le categorie di personale, garanti delle le finalità istituzionali del carcere. I direttori sanno di potere, all’occorrenza e con prudenza, equilibrio e pacatezza, fare riferimento alla professionalità degli appartenenti al corpo della polizia penitenziaria per assicurare la sicurezza nei momenti di criticità ed insieme a loro. I direttori sanno di dovere vigilare per evitare ogni stortura, ogni eccesso, ogni gratuita violazione, riferendo alla magistratura, alle istituzioni ed all’opinione pubblica. I direttori penitenziari sono fondamentali e rassicuranti, in contesti spesso segnati da emergenza e criticità che vanno costantemente monitorati. Forse per questo non piacciono, per quanto presenti in ogni sistema penitenziario evoluto: contemplati dalle norme e convenzioni internazionali, dalle regole penitenziarie europee, risultano scomodi in italia; allora ecco la soluzione finale: niente contratto, niente concorsi per nuovi direttori, niente che possa evocarli: occorre rimuoverli, sono ostaggi ingombranti di cui liberarsi in silenzio per dare vita ad un nuovo ordine. Per evitare che ciò si concretizzi come temiamo, chiediamo il vostro aiuto e vi invitiamo a prendere parte alla grande manifestazione unitaria che, con le altre sigle rappresentative dei dirigenti penitenziari, stiamo organizzando in Roma e di cui daremo dettagli. Nell’occasione, invitiamo quanti non fossero ancora iscritti al Si.Di.Pe. Di farlo ed al più presto. Non rinunciate ai vostri, ai nostri, diritti; non permettete di essere schiacciati, mortificati, offesi economicamente e professionalmente; non consentite che sia intaccata la democrazia reale. Come potremmo difendere i diritti altrui se non fossimo in grado di difendere i nostri? Forza, insieme ce la faremo! Il Segretario Nazionale Dr. Enrico Sbriglia Giustizia: in carcere per 21 anni, ma morirò da innocente di Valentina Marsella Il Secolo d’Italia, 15 giugno 2011 All’età di 92 anni, Paris Bagnerini sopravvive tenacemente con un unico scopo: dimostrare la propria innocenza nell’omicidio che 45 anni fa lo portò in carcere con l’amante Clara, accusati di aver ucciso con una mazza in testa il marito di lei. I 21 anni passati in cella, per lui, sono poca cosa rispetto all’idea di morire senza che si avveri il suo ultimo desiderio: riabilitare la propria persona dopo quello che ha sempre sostenuto essere stato “un clamoroso errore giudiziario”. La verità, a 25 anni dalla sua uscita di prigione, oggi potrebbe essere vicina. La revisione del processo, chiesta dagli avvocati Valentina Di Loreto e Gabriele Magno, presidente di “Articolo 643”, associazione nazionale vittime degli errori giudiziari, è stata infatti accolta dalla Corte di assise d’appello di Genova, e la prima udienza si è tenuta lo scorso 10 giugno. La Corte si è riservata di decidere sulla riapertura del caso, di fronte al 92enne che ha voluto essere presente in aula. Quel processo, si fa notare, all’epoca dei fatti, quando ancora le tecnologie non erano a disposizione degli inquirenti, fu solo indiziario e senza alcuna prova. Ad avvalorare questa tesi, spiega l’avvocato Magno, il fatto che la Corte abbia deciso di tornare a esaminare una vicenda dai contorni ancora poco nitidi. Le uniche cose certe e chiare, sono le due sentenze fotocopia emesse dalla Corte d’Assise di Siena e dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze, che hanno condannato senza appello i due amanti, considerando poco credibili le testimonianze e altri elementi a favore di Paris. Oggi però gli ultimi sopralluoghi fatti sulla scena del crimine potrebbero rovesciare la situazione. Ma questa è solo l’ultima parte della storia. Torniamo indietro alla notte tra il 12 e il 13 marzo del ‘65, quando sulla statale Siena-Arezzo, due camionisti scoprono all’interno di una Fiat 600 il cadavere di un uomo, identificato poi come Lorenzo V., marito di Clara. Tra i coniugi, come raccontano i camionisti agli investigatori, non corre più buon sangue da tempo. Senza alcun appiglio probatorio, come scrivono gli avvocati nella richiesta di revisione del processo, “si suppone da subito che nel delitto potevano essere coinvolti Clara ed uno fra i suoi presunti amanti, tale Paris Bagnerini”. Ma quest’ultimo, il giorno del delitto, ha un alibi di ferro: quella sera e per tutta la notte, ammalato e febbricitante, si trova a casa sua; con lui ci sono la figlia Sandra e l’anziana madre, e poi, dopo le 23,30 arrivano anche l’altra figlia Dolores e la moglie Wanda. Un alibi supportato da testimonianze attendibili. Come quella di Riccardo, medico di famiglia, che va a visitarlo tra le 20,20 e le 20,45. Ma questo non basta: a voler incastrare Paris, pare sia la stessa Clara, che, secondo la ricostruzione dei fatti, lo coinvolge nel delitto per un rifiuto. Perché lui ha detto ai carabinieri che la loro storia, finita da tempo, è stata solo una mera relazione sessuale. E poi Paris ha una famiglia solida, una posizione sociale ed economica stabile, e nessuno scandalo lo spingerebbe a rinunciare alla famiglia per lei. La prova tangibile c’è ancora oggi: malgrado i lunghi anni di reclusione e il clamore della vicenda, l’unione tra Paris e la moglie è ancora salda più che mai. Clara allora cova molta rabbia, e per quel rifiuto il suo ex amante deve pagare. E anche se l’alibi di Bagnerini all’ora del delitto è solido e le modalità dell’omicidio sono dubbie, la situazione per lui precipita. Secondo la prima ricostruzione, il delitto sarebbe avvenuto in casa della vittima, poi il cadavere sarebbe stato portato dai due amanti a bordo di una Fiat 600 a ridosso di una scarpata. Il primo dubbio è sull’agguato nell’abitazione di Clara e del marito: la donna ha reso ben 13 versioni diverse di come andò. La prima versione, è che Paris andò a casa sua prima del rientro del marito, intorno alle 19, e che l’omicidio si consumò tra le 20 e le 20,30. Proprio l’ora in cui il medico era a casa sua per visitarlo. Appurando l’alibi, Clara sposta la scena del crimine a un orario successivo, fornendo molte dichiarazioni contraddittorie. Vi sono poi degli elementi a discarico di Paris, “mai correttamente valutati”, a parere dei suoi legali. Nessun teste ha mai dichiarato di averlo visto uscire dalla propria abitazione, percorrere in auto il tratto di strada fino alla casa del delitto ed aggirarsi nei pressi dell’abitazione. Come non c’è un teste che dice di aver visto la sua auto sostare per almeno due ore sotto casa di Clara. E ancora, non si trova, nonostante le perquisizioni immediate, alcuna traccia di sangue sulla persona, sui vestiti, nell’abitazione o nella Fiat 500 del presunto killer, come non si riscontra nessuna impronta digitale riconducibile a lui, né sulla Fiat 600, né sulla scena del crimine, né sulla grossa mazza utilizzata per colpire ripetutamente la vittima. La verità che oggi si vuole provare, è che qualcun altro quella notte andò a casa di Clara, prima del rientro della vittima e, già nascosto in bagno, al momento giusto, lo aggredì alle spalle. Forse un altro amante della donna, che un mese prima della tragedia, minacciò telefonicamente Bagnerini invitandolo a troncare ogni legame con lei. E ora, a restituire dignità a Paris, potrebbero essere i nuovi elementi probatori allegati all’ultima memoria presentata nei giorni scorsi, elementi che potrebbero annientare le due testimonianze considerate granitiche, tanto da incastrarlo. “Un primo teste - spiega l’avvocato Magno - subito dopo il fatto disse di aver accompagnato a casa la figlia di Paris intorno alle 23,45, e di aver visto parcheggiata l’auto dell’uomo, che quindi non poteva trovarsi sul luogo del delitto. Mesi dopo però, aveva ritrattato tutto, spiegando che forse si era sbagliato”. Ma è la seconda testimonianza, quella di un vicino di casa che abitava a oltre 100 metri da Bagnerini, a vacillare ancora di più: l’uomo, due anni e mezzo dopo il fatto, subentra nel processo con una lettera anonima inviata ai carabinieri, nella quale si dice che lo stesso conosce particolari utili all’accertamento della verità. Il soggetto chiamato a testimoniare sostiene di ricordare benissimo cosa accadde la notte tra il 12 e il 13 marzo. Un ricordo associato al fatto che quella sera avrebbe visto casa di Paris piantonata dai carabinieri. “Ma non era possibile, l’uomo ricordava qualcosa che non è mai avvenuto”, spiega il presidente di Articolo 643, “perché i sopralluoghi degli investigatori, semmai, possono esserci stati nelle sere successive”. Altra incongruenza di questa testimonianza: l’uomo, malato di asma, in una fredda notte della campagna toscana, dice che a mezzanotte e mezza, per oltre due ore, resta affacciato alla finestra di casa sua. E in quel frangente, dice di vedere dopo un’ora la macchina di Bagnerini “entrare repentinamente nel garage”. Ma, colpo di scena, anche qui qualcosa non quadra: nella sentenza c’è una contraddizione, perché si ha la certezza che nel garage di Paris è parcheggiata la macchina del cognato. “Ho fatto un sopralluogo in quel garage - spiega l’avvocato Magno - e ho appurato che c’è posto solo per un’auto. Come faceva Bagnerini a rientrare repentinamente, se il garage era già occupato?”. Ma c’è di più. Il legale è riuscito a fare un sopralluogo anche nella casa dove abitava un tempo il vicino testimone, notando che la distanza di 125 metri dall’abitazione di Paris e la strada che a un certo punto piega in una curva, rendeva tutto davvero poco visibile. L’unico modo per osservare bene la scena era spostarsi di oltre mezzo busto, restando in posizione per due ore e mezza. “Un’altra incongruenza mai appurata con una perizia”, fa notare il legale. Ecco perché il vecchio castello accusatorio potrebbe crollare, se la giuria popolare deciderà di scoprire l’altra verità di una storia che potrebbe celare l’ennesimo errore giudiziario. Puglia: il dramma delle carceri non trova soluzione di Andrea Gabellone www.iltaccoditalia.info, 15 giugno 2011 Ancora notizie sconfortanti dalle carceri pugliesi. La situazione, nonostante le autorità ne siano a conoscenza, non accenna a migliorare. Nonostante dalle carceri pugliesi, più e più volte negli ultimi tempi, siano partite denunce circa il sovraffollamento, le inadeguate condizioni igienico-sanitarie, la fatiscenza di alcune strutture, la situazione non accenna a migliorare; se possibile, peggiora. Le ultime arrivano dal capoluogo di regione: l’Asl di Bari ha revocato l’incarico al medico responsabile presso la commissione medica ospedaliera di Bari non consentendo così, a decine e decine di poliziotti penitenziari, di poter rientrare a lavorare dopo un periodo di malattia. La legge prevede, infatti, che per le pratiche di idoneità al servizio presso l’Ospedale militare di Bari debba esserci come la figura di un medico che rappresenti la Polizia Penitenziaria. Dal 30 maggio scorso, il presidio che dovrebbe garantire questo servizio è rimasto scoperto, costringendo così ad una parte del personale di polizia a permanere in malattia. Il Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ha già scritto, nei giorni scorsi, all’assessore alla Sanità ed al dirigente generale dell’ASL di Bari informandoli sulla situazione e chiedendo delucidazioni, senza però ottenere alcuna risposta. A fronte di un sovraffollamento feroce, l’organico di vigilanza scarseggia e l’accaduto di Bari non fa altro che rimarcare, ancora una volta, la gravità di un problema che comincia a produrre risultati drammatici. In Puglia, negli stabilimenti carcerari, i posti disponibili sarebbero 2300, ma le presenze arrivano a 4400 unità. La carenza di personale completa un quadro disperato. Ad accrescere l’amarezza, è giunto, durante la serata di ieri, dalla casa circondariale di Taranto, l’annuncio di un nuovo suicidio. Un detenuto tarantino, che scontava la pena per una rapina, si è tolto la vita inalando il gas di una bomboletta. Le motivazioni familiari sembrano essere alla radice del gesto, ma lo stato di abbandono e la totale assenza di assistenza psicologica da parte della struttura penitenziaria, sono fattori che non si possono ignorare. Oltre le denunce e le polemiche, rimane, purtroppo, il rammarico per aver perso un’altra vita. Abruzzo: al via iter istituzione per l’istituzione del Garante dei detenuti Il Centro, 15 giugno 2011 La Quinta Commissione (Affari sociali e Tutela della salute) ha iniziato la discussione sul progetto di legge per l’istituzione del “Garante delle persone sottoposte a misure della libertà personale”. Il provvedimento è stato proposto dal Presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano e dalla Presidente della Commissione Nicoletta Verì. “Nei mesi scorsi - spiega la Verì - abbiamo effettuato un sopralluogo nella casa circondariale di Sulmona, riscontrando gravi problemi di sovraffollamento e promiscuità carceraria. Ma abbiamo rilevato anche una serie di altri problemi per i detenuti, che imponevano un intervento della Regione”. Il progetto di legge - che si compone di 6 articoli - mira a garantire agli ospiti delle strutture di pena il diritto alla salute, il miglioramento della qualità della vita, l’istruzione e la formazione professionale, l’erogazione di prestazioni finalizzate al recupero, alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro. “Finalità - continua Nicoletta Verì - realizzate proprio attraverso l’istituzione del Garante, cui spetterà verificare se ai detenuti vengono assicurati questi diritti, impegnandosi anche nel rimuovere quegli ostacoli che ne impediscono l’effettivo godimento”. Le funzioni di Garante dei detenuti saranno assegnate al Difensore Civico regionale e a tal fine è già stato avviato il procedimento per la modifica dello Statuto della Regione Abruzzo, che consentirà l’entrata in funzione della nuova figura. Calabria: senza benzina per trasferire i detenuti, pericolo che non si possano celebrare i processi Gazzetta del Sud, 15 giugno 2011 Il carcere di Vibo Valentia non ha più la possibilità di reperire a credito carburante per i suoi veicoli e questo comporta “il fondato pericolo che non si possano celebrare processi”. È l’allarme lanciato dal procuratore Mario Spagnuolo dopo che, ieri mattina, è stato informato dal direttore del carcere delle difficoltà economiche che attraversa l’istituto. La situazione, però, non è migliore negli uffici giudiziari. “In Procura - ha spiegato il magistrato - manca la carta per le fotocopie e incontriamo gravi difficoltà nel rilasciare copie di atti all’utente. I fondi per l’acquisto del toner coprono appena il 50 per cento del fabbisogno, la dotazione della benzina è di 20 buoni per due auto, una delle quali, blindata, è destinata a un magistrato sottoposto a misure di protezione. Anche nelle sezioni di pg mancano computer, carta, toner e materiale di consumo. Fino a ora aveva sopperito la Procura, ma adesso non possiamo più”. Spagnuolo ricorda poi che nell’ultimo anno “è arrivato un solo computer nuovo e non c’è manutenzione per quelli ormai vecchi e usurati”. Inoltre prosegue il pensionamento del personale amministrativo “senza che ci sia copertura dei posti”. Magistrati e personale amministrativo, ha spiegato il Procuratore di Vibo, “di fronte a questa situazione non sono stati fermi. Abbiamo avviato progetti e convenzioni con amministrazioni locali alla ricerca di risorse esterne per far fronte quantomeno all’emergenza. Ma le risorse devono provenire dallo Stato”. Questa situazione, ha evidenziato Spagnuolo, non può essere fisiologica, “soprattutto in Calabria, e a Vibo Valentia, dove l’aggressione delle cosche allo Stato è ora ai massimi livelli: progetti per uccidere pm, minacce continue e gravissime a magistrati, attentati a imprenditori e rappresentanti delle istituzioni locali”. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, ha deciso di intervenire subito, non appena il procuratore Mario Spagnuolo ha lanciato l’allarme sul rischio di non celebrare processi, vista l’impossibilità per il carcere di reperire a credito carburante per i mezzi con cui la polizia penitenziaria trasferisce in Tribunale i detenuti imputati. Un uomo di fiducia di Ionta sarà già oggi in Calabria per parlare con i responsabili dei provveditorati di Catanzaro e di Reggio Calabria, oltre che con i direttori dei penitenziari interessati. “L’obiettivo sarà quello di riorganizzare il sistema traduzioni in Calabria dove - spiega Ionta - i numerosi arresti degli ultimi mesi sono divenuti processi, e dal momento che bisogna tenere ben distinti i capi rispetto ai gregari, le sedi detentive sono diventate numerose e implicano diversi trasferimenti per la celebrazione dei processi. Il problema è sì di risorse, ma soprattutto di modelli operativi nello spostamento dei detenuti in Calabria. Chiederemo la collaborazione dell’autorità giudiziaria perché - spiega Ionta - se la convalida degli arresti avvenisse in carcere, le traduzioni non sarebbero necessarie”. Gli interrogatori dei detenuti in carcere e la convalida degli arresti in flagranza nelle strutture della forza di polizia che procede sono dunque due possibili soluzioni per tamponare l’emergenza. Donato Capece, segretario generale del maggiore sindacato penitenziario, il Sappe, è al corrente del problema “L’amministrazione penitenziaria non ha più soldi, nemmeno per pagare i debiti per la benzina. Non ci meravigliamo che le compagnie abbiano ritirato le carte “fuel” in dotazione al servizio traduzioni di Vibo Valentia”. Calabria: Ionta (Dap); problema è di modelli operativi nello spostamento dei detenuti Ansa, 15 giugno 2011 Il problema è sì di risorse, ma soprattutto di modelli operativi nello spostamento dei detenuti in Calabria. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ha deciso di intervenire subito, non appena il procuratore di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, ha lanciato l’allarme sul rischio di non celebrare processi vista l’impossibilità per il carcere di reperire a credito carburante per i mezzi con cui la polizia penitenziaria trasferisce in Tribunale i detenuti imputati. Un uomo di fiducia di Ionta si recherà domani in Calabria per parlare con i responsabili dei provveditorati di Catanzaro e di Reggio Calabria, oltre che con i direttori dei penitenziari interessati. L’obiettivo sarà quello di riorganizzare il sistema traduzioni in Calabria dove - spiega Ionta all’Ansa - i numerosi arresti degli ultimi mesi sono divenuti processi, e dal momento che bisogna tenere ben distinti i capi rispetto ai gregari (della ‘ndrangheta, ndr), le sedi detentive sono diventate numerose e implicano diversi trasferimenti per la celebrazione dei processi. Secondo Ionta, dunque, è vero che con l’ultima finanziaria c’è stato un ulteriore taglio ai fondi dell’Amministrazione penitenziaria, specialmente su capitoli di bilancio vitali come le missioni del personale, gli straordinari e il vitto ai detenuti, ma - spiega - ‘questo è un problema al momento avvertito solo in Calabria. Ogni anno in tutta Italia la polizia penitenziaria compie 330mila traduzioni di detenuti. In Calabria, secondo una stima del Dap, almeno il 6% dei trasferimenti di detenuti potrebbe essere evitato, con un risparmio di soldi che in assenza di fondi per la benzina può risultare importantissimo. Chiederemo la collaborazione dell’autorità giudiziaria perché - spiega Ionta - se la convalida degli arresti avvenisse in carcere le traduzioni non sarebbero necessarie. Gli interrogatori dei detenuti in carcere e la convalida degli arresti in flagranza nelle strutture della forza di polizia che procede sono dunque due possibili soluzioni per tamponare l’emergenza. Poi, con la manovra di assestamento, speriamo di avere più fondi nei prossimi mesi per far funzionare la macchina. Benzina necessaria permettendo. Taranto: detenuto di 24 anni si toglie la vita in cella col gas di una bomboletta Gazzetta del Sud, 15 giugno 2011 Un detenuto di 24 anni di Taranto, F.G., in carcere per rapina nel penitenziario di Taranto, si è suicidato ieri inalando il gas di una bomboletta che aveva in cella per la preparazione dei pasti. A fare la macabra scoperta sono stati gli agenti della Polizia penitenziaria durante un giro di controllo. Il ragazzo, che dopo l’arresto aveva collaborato con la giustizia facendo arrestare i propri complici, sembra che si sia tolto la vita a causa di problemi legati a motivi familiari. Secondo il Sappe, sindacato degli agenti di Polizia penitenziaria, “il detenuto era stato abbandonato dalla moglie e sicuramente - ha dichiarato il segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti - ha influito negativamente su di lui anche la grave situazione di abbandono che si vive nelle carceri e che non consente alcun apporto psicologico”. La situazione di sovraffollamento di detenuti continua a farsi sempre più tragica nelle carceri pugliesi in particolare, con quasi 4.400 detenuti a fronte di 2.300 posti disponibili nella regione e con il carcere di Taranto che ha quasi raggiunto i 650 detenuti a fronte di una capienza massima di circa 315 posti. “Purtroppo - ha proseguito Pilagatti - la Polizia Penitenziaria non ce la fa più, a causa della grave carenza degli organici ad evitare il ripetersi di fatti tragici, nonostante le centinaia di interventi messi in campo per salvare i detenuti che hanno deciso di farla finita”. A testimoniare un disagio crescente negli istituti di pena italiani e pugliesi, in particolare, il Sappe sottolinea che la maggior parte dei suicidi e tentativi di suicidio avvengono soprattutto presso gli istituti che soffrono del sovraffollamento più preoccupante, come Lecce, Foggia, Bari, Taranto. “Purtroppo la miscela esplosiva che si è formata nelle carceri - scrive Pilagatti - rischia di esplodere a brevissimo tempo, considerate anche le condizioni igienico-sanitarie e di promiscuità in cui sono costretti a vivere i detenuti e che pone all’attenzione un altro grave problema che riguarda l’emergenza sanitaria”. A gennaio scorso un altro ragazzo della provincia di Taranto, Michele Massaro, si era tolto la vita nel carcere di Capanne, a Perugia, sempre inalando gas da una bomboletta. Brescia: Canton Mombello disumano, penalisti in sciopero della fame Brescia Oggi, 15 giugno 2011 La Camera penale di Brescia ha aderito all’iniziativa nazionale promossa da Marco Pannella. Gli avvocati sono pronti a far parte della staffetta avviata dal primo giugno per tenere alta l’attenzione sul degrado delle carceri italiane. Gli avvocati penalisti bresciani fanno lo sciopero della fame per protestare contro l’insostenibile situazione del carcere di Canton Mombello. Alla protesta, deliberata dalla Giunta dell’Unione delle camere penali alla fine di maggio, ha aderito in questi giorni anche la camera penale di Brescia. Tutti i penalisti del direttivo della camera penale sono pronti a fare lo sciopero della fame per denunciare le condizioni disumane in cui vivono i detenuti di Canton Mombello. Dopo l’adesione dell’intero direttivo altri iscritti della Camera penale di Brescia hanno dato la propria disponibilità a scioperare. E la disponibilità pare lievitare di giorno in giorno, sono sempre più numerosi i penalisti che si danno la propria adesione. “Maggiore sarà l’adesione - spiega Alessandro Magoni, presidente della Camera penale di Brescia - e maggiore sarà il periodo di protesta: noi inizieremo verso i primi giorni di agosto, poi toccherà ad altri colleghi in altre zone d’Italia”. A lanciare l’iniziativa di protesta è stato Marco Pannella, che sta digiunando da oltre due mesi per denunciare le drammatiche condizioni delle carceri italiane. Dal primo giugno i componenti della giunta dell’Unione delle camere penali italiane, a partire dal presidente nazionale Valerio Spigarelli, dell’Osservatorio carcere, della Commissione carcerazione speciale e diritti umani dell’Ucpi e di numerose camere penali territoriale hanno intrapreso a staffetta lo sciopero della pace. Le adesioni sono numerose al punto che la staffetta dello sciopero della fame è già programmata fino a agosto inoltrato. Il 7 giugno il consiglio direttivo della Camera penale di Brescia ha deliberato la propria adesione allo sciopero. Una protesta forte, una forma assolutamente inedita per la Camera penale di Brescia, una scelta che farà discutere. Proprio trattandosi di una protesta shock la Camera penale di Brescia è convinta che “possa rivelarsi utile - come riferito in una nota - a mantenere alta l’attenzione sul degrado del nostro sistema carcerario, giunto ormai a livelli drammatici nel sostanziale disinteresse del Governo e della politica in generale”. “Crediamo che le Camere penali - prosegue il documento del direttivo bresciano - come sempre è stato nella loro storia, debbano promuovere le battaglie “giuste” e, pur nella loro trasversalità e autonomia dalle contrapposte forze politiche, possano sostenerle se volte ad ideali comuni”. La protesta della Camera penale si pone come obbiettivo quello di “un sistema carcerario dignitoso - prosegue la nota - che garantisca le esigenze di tutela sociale nel rispetto dei diritti umani delle persone detenute, oggi spaventosamente compromessi da una situazione di sovraffollamento intollerabile, nella quale il carcere di Brescia tristemente primeggia”. La situazione del carcere di Canton Mombello è talmente critica, il sovraffollamento talmente cronico, che ancora lo scorso giugno la Camera penale di Brescia aveva inoltrato uno specifico esposto alla procura della Repubblica, ma l’esposto a gennaio è stato archiviato. Roma: Nobile (Fds); il carcere di Regina Coeli è una discarica sociale Ansa, 15 giugno 2011 Ieri mattina una delegazione della Federazione della Sinistra guidata dal Consigliere Regionale Fabio Nobile e da Mario Pontillo, responsabile dello Sportello di Segretariato Sociale sul carcere del Prc/Fds, ha visitato il carcere di Regina Coeli. “Le drammatiche condizioni di vita che hanno spinto i detenuti del carcere solo un mese fa allo sciopero della fame sono le stesse che abbiamo riscontrato ieri visitando le sezioni” - dichiara il Consigliere Nobile in una nota. “Non è un paese civile, men che meno democratico, - continua Nobile - quello che condanna un cittadino a scontare una pena in un luogo in cui, a causa del sovraffollamento, vera e propria emergenza permanente, gli spazi di socialità sono riadattati a celle in cui sono reclusi fino ad otto detenuti in condizioni igieniche pietose”. “In uno spazio di socialità riadibito a cella, visitato ieri, - prosegue Nobile - accanto ai cinque letti vi erano adagiati sul pavimento tre materassi ove la notte avrebbero riposato tre detenuti. Alcune sezioni hanno peraltro a disposizione solamente tre docce per 120 persone. Il diritto ad usufruire dell’acqua, riaffermato a furor di popolo col referendum, deve essere garantito a tutti i cittadini compresi i detenuti. Più che un carcere Regina Coeli è una discarica sociale”. “Con l’approssimarsi dell’estate le condizioni igienico-sanitarie a Regina Coeli sono destinate ad aggravarsi. È per questo motivo - conclude Nobile - che ci appelliamo a tutte le autorità competenti per lo stanziamento di fondi straordinari affinché questo ed altri istituti carcerari della Regione possano essere sgravati dai problemi che rendono incivile e indegna la permanenza dei detenuti: si rendano pienamente operativi il carcere di Rieti, ove attualmente sono detenuti solo in 120 per mancanza di personale, e il nuovo braccio del carcere di Velletri, ove per i medesimi motivi non risulta utilizzabile parte della struttura”. Reggio Emilia: Sappe; carceri al collasso totale, si dimette Nucleo Traduzioni La Gazzetta di Reggio, 15 giugno 2011 Stiamo per assistere al “collasso totale degli istituti penitenziari di Reggio”. Non è un’ipotesi, ma un’apocalittica previsione che il Sindacato autonomo della polizia penitenziaria formula nel momento stesso in cui dà il via da ieri allo stato di agitazione, invitando gli agenti ad astenersi dal servizio di mensa e programmando tutte le altre forme di protesta consentite dalla legge. La catastrofe, a suo avviso, sarà la conseguenza della cronica carenza di personale e di automezzi, dell’inadeguatezza delle strutture e dei recenti tagli finanziari. Il Sappe non esclude “possibili accadimenti di fatti irreparabili” e, denunciando la sordità e l’inerzia delle istituzioni, preannuncia che in tal caso non accetterà “solidarietà alcuna espressa in occasione di comizi, manifestazioni e iniziative pubbliche”. Come dire: “Ve l’avevamo detto e non ci avete ascoltato”. Per scongiurare la catastrofe il Sappe chiede il potenziamento immediato degli organici: almeno 15 unità in più nella casa circondariale e altrettanti all’Opg, per arrivare a 20 dopo che, in settembre, sarà terminato il corso di formazione dei nuovi agenti. Esige poi l’assegnazione di due furgoni per il trasporto ordinario, un furgone blindato e due radiomobili, oltre alla copertura dei capitoli per il rifacimento dei tetti, la realizzazione di docce e la manutenzione degli automezzi, molti dei quali guasti o da rottamare. L’appello è rivolto al prefetto, al sindaco, al presidente della Provincia, alle autorità giudiziarie e carcerarie e ad esponenti politici di tutti i partiti. Viene delineato un quadro di estrema debolezza nello stato della custodia di detenuti che possono rappresentare un pericolo per gli altri e per loro stessi. “Il personale - scrive Michele Malorni, segretario provinciale del sindacato - è ridotto ai minimi termini, tanto da essere richiamato in servizio dalle ferie o dal riposo settimanale per il piantonamento nei luoghi di cura esterni. La traduzione degli internati e di persone con minorazione psicofisica è eseguita con automezzi inidonei. Le strutture sono fatiscenti e non più a norma. I tagli finanziari impediscono il pagamento di lavoro straordinario e indennità di missione”. Si dimette Nucleo Traduzioni “Questa mattina ci è stato comunicato che tutto il personale di polizia penitenziaria in servizio al nucleo traduzioni e piantonamenti del carcere di Reggio Emilia, compreso l’ispettore coordinatore del nucleo medesimo, ha rassegnato le dimissioni ed ha chiesto di essere impiegato in altri servizi. Il motivo che ha indotto gli agenti ad assumere questa iniziativa estrema è il timore per la propria incolumità personale e professionale, a causa delle gravi difficoltà in cui sono costretti ad operare”. È quanto annuncia il Sappe, il sindaco della polizia penitenziaria. “Infatti - spiega in una nota -, il reparto è carente di sette agenti, gli automezzi sono assolutamente insufficienti e le traduzioni vengono effettuate con autovetture prese a noleggio o con automontate prive di séparé (che dovrebbe separare la zona detentiva, in cui si trovano i detenuti, dall’abitacolo destinato agli agenti di scorta), a causa della mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria”. Il Sappe - aggiunge la nota - aveva chiesto all’Amministrazione penitenziaria l’assegnazione di due furgoni ordinari e due blindati, per gli istituti di Reggio Emilia (Casa circondariale e ospedale psichiatrico giudiziario), senza però ottenere risposte adeguate. A ciò si aggiunge l’ulteriore disagio che dal mese di gennaio 2011 non vengono retribuite le missioni al personale di polizia penitenziaria, il quale è spesso costretto ad anticipare i soldi dal proprio stipendio. Inoltre, a Reggio Emilia il servizio traduzioni è reso ancora più difficoltoso dal fatto che, spesso, ad essere trasportate sono persone con minorazioni psicofisiche che necessiterebbero di un adeguato sostegno sociosanitario. La situazione di Reggio Emilia è simile a quella di tanti altri istituti penitenziari italiani, dove ormai non ci sono più i fondi per mettere la benzina nei mezzi di trasporto, per acquistare la carta ed il toner per le fotocopiatrici ed i computer. Ormai, in alcune realtà, potrebbe essere a rischio anche la celebrazione dei processi, visto che la polizia penitenziaria non potrà effettuare le traduzioni nelle aule di giustizia. Augusta (Sr): Osapp; dopo il buco di 30 cm nel muro rinvenuti altri 4 telefonini Ansa, 15 giugno 2011 “Non solo qualche giorno fa un buco nel muro da 30 cm., un cellulare e nei mesi scorsi un’evasione a dir poco clamorosa, ma adesso nell’area detentiva della Casa di Reclusione di Augusta sono stati rinvenuti altri 4 telefoni cellulari” ad affermarlo è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Se fossimo del tutto irresponsabili e se non vi fossero conseguenze, oltre che amministrative anche penali - prosegue il leader dell’Osapp - per l’istituto penitenziario peggiore della Sicilia in termini di sicurezza e per carenza di personale (130 unità in meno, pari al 60%), visti i rischi pressoché quotidiani che corrono i colleghi, come sindacato dovremmo ‘pretenderè che il Personale di Polizia Penitenziaria non si rechi più in servizio senza le dovute garanzie”. “Ma le gravi condizioni del carcere di Augusta, dove la popolazione detenuta è presente in misura doppia del consentito (700 ristretti invece che 350) e dove, malgrado le pesanti incognite, il Dap continua ad assegnarsi detenuti di particolare allarme quali gli ex 41bis - indica ancora il sindacalista - sono il sintomo preoccupante di un disagio che investe non solo il livello regionale dell’Amministrazione, ma anche i Vertici centrali per una politica che intende ottenere risultati senza investimenti né risorse e soprattutto ignorando i progressivi segnali di allarme provenienti dal territorio”. “Ad Augusta il sindacato ha già messo in atto pubbliche proteste per ottenere, ad oggi, il nulla ed il crescente disagio di un Personale che, come i recenti rinvenimenti dimostrano, continua a svolgere il proprio dovere. - conclude Beneduci - Vorrà dire che nei prossimi giorni, visti i palesi e reiterati errori e tenuto conto del rinnovamento il 20 giugno p.v. del vertice regionale dell’Amministrazione penitenziaria siciliana, porremo in essere iniziative intese ad ottenere cambiamenti sostanziali anche in ambito nazionale e di Governo”. Verona: Uil-Pa; detenuto aggredisce 5 agenti, situazione sta volgendo al peggio 9Colonne, 15 giugno 2011 “Ieri alla Casa Circondariale di Verona, si è consumato l’ennesimo atto di violenza: l’aggressione a cinque poliziotti penitenziari da parte di un detenuto magrebino, che con un manico di scopa ha aggredito e colpito il personale che era intervenuto per sedare una violenta protesta messa in atto dallo stesso”. Lo afferma Leonardo Angiulli, segretario della Uil-Pa Penitenziari del Triveneto, rendendo noto il ferimento di cinque poliziotti penitenziari, avvenuto ieri nella cella 29 del carcere di Verona Montorio. Pochi giorni fa il carcere, ricordano dalla Uil, il carcere scaligero è stato oggetto di forti attenzioni sia per la grave situazione di sovraffollamento che in relazione a casi di Tbc: “Qualche giorno fa c’è stato anche un incontro con il sindaco Tosi ed il prefetto inerente la difficile situazione di sovraffollamento, la situazione sanitaria e la carenza dell’organico. Oggi - sottolinea Angiulli - si contano 868 detenuti a fronte di una recettività massima pari a 410. Ed è evidente che in questa situazione che rasenta l’inciviltà ogni situazione può dare spunto a proteste e violenze che, a volte, il personale subisce direttamente sulle proprie persone. Per questo sollecito il Dap a monitorare gli episodi di violenza e le eventuali sanzioni comminate agli aggressori, perché è necessario reprimere le violenze anche attraverso momenti sanzionatori. Analogamente invito il mondo politico ad avere maggiore attenzione sul pianeta carceri. È cosa ben nota che i fondi assegnati per l’ordinaria amministrazione non bastano più. Sono finiti i soldi per la benzina, per la carta, per le bollette. Da settembre persino i soldi per garantire il vitto quotidiano ai detenuti. Per questo ci stiamo già preparando al peggio”. Genova: detenuti tutelano l’ambiente e puliscono i boschi del Tigullio Agi, 15 giugno 2011 Prende il via un progetto che vede i detenuti della casa circondariale di Chiavari impegnati a tutelare l’ambiente e il territorio del levante genovese. Un gruppo della Casa Circondariale di Chiavari, volontariamente, sarà impegnato nella pulizia e manutenzione delle zone boschive nei territori dei Comuni di Chiavari e Lavagna. Il piano socialmente utile nasce dalla collaborazione tra la Direzione del penitenziario del Golfo del Tigullio, il Comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato con l’assessorato alle Carceri della Provincia di Genova e, ovviamente i due Comuni di Chiavari e Lavagna. La Provincia fornisce il contributo per i pasti dei detenuti impegnati in questi lavori e i due Comuni la copertura assicurativa. “Il progetto - dice il direttore della Casa Circondariale chiavarese Paola Penco - è frutto di una importante collaborazione tra istituzioni e realizza un servizio di rilievo ambientale e sociale in sei giornate di pulizia delle zone boschive a Chiavari (dal 15 al 17 giugno) e a Lavagna (dal 22 al 24), impegnando un gruppo di persone ristrette del nostro carcere e affidando le attività di direzione, coordinamento e sorveglianza alla Polizia penitenziaria e al Corpo Forestale”. L’iniziativa, ha aggiunto l’assessore provinciale Milò Bertolotto, “è meritoria e molto positiva, sia per le ricadute concrete sul territorio sia per il contributo che può offrire nel superare vecchi stereotipi e luoghi comuni sull’immagine delle persone recluse”. Verona: Garante dei detenuti; domani la presentazione del libro “Quando hanno aperto la cella” Ristretti Orizzonti, 15 giugno 2011 Il politico e sociologo Luigi Manconi sarà a Verona con la coautrice Valentina Calderone, giovedì 16 giugno alle ore 18, nella sala Morone del convento di San Bernardino, per presentare il nuovo libro “Quando hanno aperto la cella” edito da Il Saggiatore. L’incontro è promosso dalla Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Verona Margherita Forestan con il patrocinio dalla Presidenza del Consiglio comunale e del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli studi di Verona. “Si tratta di un rapporto critico e lucido su alcuni casi di abuso di potere compiuti da appartenenti alle forze dell’ordine - spiega Forestan - che, non sufficientemente chiariti, hanno portano al risultato di mancare l’individuazione dei colpevoli e di gettare discredito in chi, con coraggio, compie quotidianamente il proprio lavoro. Un confronto tra lo scrittore e i responsabili delle Istituzioni potrà favorire quel dialogo indispensabile a dare ai cittadini tutti la certezza che davvero la responsabilità penale è sempre del singolo, vesta o meno una divisa”. All’incontro partecipano il presidente del Consiglio comunale di Verona Pieralfonso Fratta Pasini, il Procuratore aggiunto di Verona Angela Barbaglio, la Direttrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Verona Donata Gottardi e il Presidente della Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia Maurizio Mazzi. L’incontro sarà animato da musiche e letture a cura di Hamza Sallemi e Vincenzo Todesco. Prima della presentazione a San Bernardino, alle ore 17 gli autori saranno ospiti della libreria Gheduzzi Giubbe Rosse, in Corso Santa Anastasia 7, per la firma delle copie. Alba (Cn): “Vale la pena?”, il 23 giugno seminario sul lavoro dentro e fuori dal carcere Targato Cn, 15 giugno 2011 Un seminario, dal titolo “Vale la pena?”, per riflettere e confrontarsi sulle esperienze di lavoro dentro e fuori dal carcere. È quanto accadrà a Serralunga d’Alba, presso le cantine Fontanafredda, giovedì 23 giugno 2011 dalle 9:30 del mattino. Dopo i saluti del sindaco di Bra, Bruna Sibille, e del vice sindaco di Alba, Mariangela Roggero Domini, sarà la direttrice della casa circondariale di Alba, la dottoressa Giuseppina Piscioneri, a prendere la parola per ricordare, assieme a Daniela Giordano ed Elena Saglietti, le esperienze portate avanti sul territorio albese e braidese nel corso degli ultimi anni. Dopo di loro, saranno Pietro Parente, del progetto Liberamensa coop Ecosol della casa circondariale di Torino, e Marco Girardello, del progetto Banda biscotti per la fondazione Casa di carità che opera presso la casa circondariale di Verbania, a portare la loro esperienza all’interno e all’esterno dei carceri, prima di lasciare la parola a Stefano Lenci, presidente della cooperativa Lazzaria che opera presso la casa circondariale di Velletri, e Lucia Castellano, direttrice casa di reclusione di Milano Bollate, per illustrare i progetti di reinserimento avviati al di fuori del territorio piemontese. A chiudere la mattinata, una tavola rotonda che coinvolgerà l’assessore regionale Claudia Porchietto, delegata alla formazione e lavoro della giunta Cota, la presidente della provincia di Cuneo, Gianna Gancia, il dottor Aldo Fabozzi provveditore dell’amministrazione penitenziaria del Piemonte, e i vice presidenti delle fondazioni Cassa di risparmio di Cuneo, Antonio Degiacomi, e Cassa di risparmio di Bra, Livio Sartirano. Il dibattito sarà moderato dal giornalista e scrittore Tiziano Gaia, che lascerà al presidente di Cis - Compagnia di iniziative sociali, Alessandro Durando, il compito di tirare le conclusioni. Prima dell’inizio del seminario sarà presentata la mostra fotografica “Dal Gambero Nero a Sapori Reclusi” del fotografo fossanese Davide Dutto. “Vale la pena?” è un’iniziativa promossa dalle amministrazioni comunali di Alba e Bra, dal Cis - Compagnia di iniziative sociali, dal Ministero di Giustizia e dalla Regione Piemonte. L’attività è inserita nel progetto “In out”, realizzato con il contributo della Regione Piemonte. L’ingresso è libero ma è gradita la prenotazione è gradita ai numeri telefonici 0173.292357 (Comune di Alba) e 0172.412283 (Comune di Bra) oppure via posta elettronica agli indirizzi: informagiovani@comune.alba.cn.it; spal@comune.bra.cn.it. A chiusura dei lavori sarà offerto un buffet con prodotti tipici di Eataly. Torino: detenute in cattedra per spiegare come creare bijoux di pelle Redattore Sociale, 15 giugno 2011 Nuova iniziativa promossa dalla cooperativa “La casa di Pinocchio” di Torino che propone, per sabato 25 giugno, la possibilità di trascorrere un pomeriggio all’interno della casa circondariale “Lorusso e Cotugno”. Le donne detenute salgono in cattedra e spiegano come creare originali bijoux di pelle. È la nuova iniziativa promossa dalla cooperativa “La casa di Pinocchio” di Torino che propone, per sabato 25 giugno, la possibilità di trascorrere un pomeriggio all’interno della casa circondariale “Lorusso e Cotugno”. “Spesso, chi acquista i nostri prodotti e ci conosce dice che vorrebbe imparare a creare borse e gioielli con materiali di scarto”, spiega Monica Gallo, referente dell’associazione. È nata così l’idea di proporre a due donne detenute di tenere corsi ad hoc per piccoli gruppi di aspiranti creative. “È un progetto cui stiamo lavorando da circa un anno e non è stato semplice portarlo a termine -spiega Monica Gallo. Dal prossimo settembre e fino a giugno 2012, ogni terzo sabato del mese, si svolgeranno le lezioni aperte al pubblico esterno”. Per mettere a punto il meccanismo, nel mese di giugno sono state organizzate due lezioni “di prova” con 13 allieve. “La prima si è svolta sabato 11 giugno. Le due detenute docenti erano un po’ spaventate da questa idea - ricorda Monica. Ma la loro timidezza è svanita in mezz’ora”. Sabato 25 giugno, durante il “Corso di bijoux craft in pelle” le due detenute insegnanti spiegheranno alle partecipanti come creare una collana di cilindretti di pelle, una “spilla insetto” con pelle, pietre e piume o una “collana caramella”. Appuntamento alle ore 10, davanti ai cancelli del carcere. La quota di partecipazione è di 25 euro e comprende (oltre al materiale e al compenso per le docenti) il pranzo offerto da “La casa di Pinocchio” all’interno dello showroom “Fumne”. Per informazioni e iscrizioni è possibile consultare il sito web dell’associazione (www.lacasadipinocchio.net) dove a breve sarà disponibile anche il calendario di settembre. Napoli: tre incontri del Comitato “Carcere possibile” con la Camera penale di S. Maria C.V. Comunicato stampa, 15 giugno 2011 Organizzato dal Comitato dell’Ente Onlus “Carcere Possibile”, con il patrocinio della Camera Penale, del Comune di S. Maria C.V., e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, si terrà domani, giovedì 15 giugno, il primo dei tre incontri previsti sul tema: “Incontri sulla criminalità e risposta istituzionale nel casertano. Dalla prevenzione al recupero delle risorse umane”. Il convegno sarà presentato dall’ Avv. Anna Maria Ferriero e moderato dall’Avv. Francesco Piccirillo. Dopo il saluto delle Autorità sono previsti interventi di: Dott. Luigi Gay, Sostituto Procuratore della Repubblica. Avv. Elio Sticco, Presidente Ordine degli Avvocati, Avv. Alessandro Diana, Presidente della Camera Penale. Il programma prevede interventi su “Utopie e realtà nell’opera di dissuasione dei soggetti “a rischio” (Dott. Fabio Venditti giornalista Mediaset - e Avv. Riccardo Polidoro, Presidente Carcere Possibile. Sulle misure di prevenzione tra garanzie e sicurezza parleranno invece l’avv. Camillo Irace e il magistrato Corinna Forte, componente del collegio della Corte di Assise di S. Maria C.V . L’Associazione Onlus “Carcere Possibile”, - spiega l’avv. Francesco Piccirillo - da anni impegnata sul tema dei diritti dei detenuti, si è fatta promotrice di una serie di incontri (se ne prevedono almeno tre) allo scopo di fornire un’analisi della criminalità nel territorio casertano e delle attività di contrasto del fenomeno da parte della società civile. Intendendo per società civile non solo le istituzioni stanziate sul territorio, ma anche le associazioni di volontariato esistenti nel casertano, sempre più impegnate sul fronte della dissuasione verso i soggetti che, per le più varie ragioni, presentano inclinazioni antisociali”. “Va subito detto che l’intento è quello di “rilanciare” un’attenzione più “ragionata” sul fenomeno criminale nella provincia di Caserta; nel senso che la sola attività di repressione da parte delle forze dell’ordine, e poi di condanna al carcere, non è sufficiente, come non è stata sufficiente fino ad oggi, per arginare il tasso di illeciti che anche la cronaca si trova a registrare”. “L’idea di fondo - continua l’avv. Picirillo - è che il delitto non può essere combattuto con la punizione, anche se alla minaccia della pena, per chi commette reati, lo Stato non può rinunciare. Ma è necessario, a nostro parere, che venga definitivamente archiviata la fantasia, tutta popolare, ma troppo spesso cavalcata anche da vasti settori della politica, secondo la quale più è grave la pena…meno reati si commettono; come se il delinquente, prima di commettere il reato, vada a consultare il codice penale o l’avvocato per una consulenza preventiva (al sottoscritto penalista non è mai capitato di fare una consulenza preventiva sulla misura della pena). Dunque lo scopo dell’incontro è anche quello di provocare sensibilità verso risposte alla criminalità da parte della società civile diverse ed ulteriori dalla pura e semplice repressione”. “Ci è sembrato poi assolutamente il caso di accendere i riflettori - ha detto concludendo l’avv. Piccirillo - sull’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. È di tutta evidenza che le troppe morti degli ultimi tempi siano indicative di una degenerazione della condizione di vita che, seppure riferite a soggetti portatori di malessere psichico anche grave a volte, assai probabilmente indicano colpevoli disfunzioni della struttura Opg di Aversa”. Milano: quadrangolare di pallavolo al carcere di Opera, in tribuna l’allenatore della nazionale Redattore Sociale, 15 giugno 2011 Sono “Aspromonte Volley” e “Sound Volley” le squadre protagoniste di “Sportivi Dentro”. Oggi la sfida con le ospiti “Uisp Volley” e “Visitors Volley”: tattica valutata da un osservatore d’eccezione, Mauro Berruto Sono “Aspromonte Volley” e “Sound Volley” le squadre protagoniste di “Sportivi Dentro”, il primo quadrangolare di pallavolo promosso da Edison per i detenuti della Casa di Reclusione di Opera (Milano). Dietro i cancelli del carcere di massima sicurezza 16 detenuti hanno sfidato due squadre ospiti, “UISP Volley” e “Visitors Volley”, mettendo a frutto nove mesi di allenamento con i preparatori specializzati nell’attività sportiva all’interno dei penitenziari. La tattica di gioco è stata valutata oggi da un osservatore d’eccezione: il nuovo allenatore della Nazionale maschile di pallavolo, Mauro Berruto. Il progetto ha interessato 25 detenuti comuni di età compresa fra i 23 e i 57 anni e con almeno due anni di pena ancora da scontare. “Sportivi Dentro” è il nome che i detenuti del Carcere di massima sicurezza di Opera hanno scelto per il progetto di Edison dedicato alla riabilitazione attraverso lo sport. Nel penitenziario lo sport diventa strumento per tradurre in energia positiva l’aggressività dei reclusi e ristrutturare in maniera costruttiva i rapporti interpersonali. A coordinare l’attività è stata Marina Signorelli, docente di educazione fisica con un’esperienza consolidata nelle carceri, con l’aiuto di due allenatori Claudio Cice e Simone Putignano. “Crediamo che lo sport sia lo strumento più efficace per insegnare il rispetto delle regole e far capire che il lavoro di squadra migliora il singolo aprendolo a rapporti positivi con gli altri e favorendone il reinserimento in un tessuto sociale civile”, dice Andrea Prandi, direttore delle relazioni esterne di Edison, che spera di poter incrementare le attività sportive per i detenuti di Opera e introdurre anche il gioco del basket. “Spero che tutte queste cose - ha scritto un detenuto che partecipa al progetto - mi rimangano impresse bene in mente il giorno che uscirò, perché solo così potrò sempre avere la forza di lavorare duramente per far sì che non dovrò mai più combattere con questi posti. Lo spero tanto anche perché sto già buttando via parecchi anni della mia vita e per cosa? Per il potere e per i soldi, ma ne vale la pena?...No!!!”. Firenze: a Sollicciano 20 detenuti mettono in scena la loro storia di migranti Redattore Sociale, 15 giugno 2011 “Odissea ovvero storia di Ulisse, immigrato clandestino” è uno spettacolo ispirato alle storie dei detenuti stessi e ai personaggi del poema epico omerico. Firenze, 15 giugno 2011 -Venti detenuti del carcere di Sollicciano interpretano la loro Odissea di migranti clandestini. Questo sarà lo spettacolo realizzato con la regia di Elisa Taddei dell’Associazione Krill Teatro e che andrà in scena mercoled’ 22 e giovedì 23 giugno in prima nazionale all’interno dell’stituto. “Odissea ovvero storia di Ulisse, immigrato clandestino”, questo il titolo della piece, è il risultato di un anno di lavoro con detenuti per la maggior parte nordafricani. “Non è stato difficile ed è stato talvolta molto emozionante per i partecipanti - ha spiegato la regista - dare senso a ciò che lentamente veniva fuori nel corso delle prove”. Lo spettacolo è un collage di storie personali degli stessi detenuti e dell’Odissea originale. Dall’opera di Omero è stato preso l’essenziale: qualche personaggio che appartiene alla memoria collettiva, Polifemo, le sirene, Penelope, che diventano allegorie di sembianze mostruose. “Sono storie drammatiche e toccanti - ha aggiunto Elisa Taddei - come quella di un giovane nordafricano che a 14 anni ha lasciato il suo Paese, si è nascosto nella stiva di una nave e ha affrontato il lungo viaggio della speranza verso l’Italia. Durante le prove, tra l’altro, gli sbarchi di Lampedusa hanno portato gli stessi attori ad emozionarsi fortemente attualizzando quello spettacolo la cui trama era già tracciata”. Augusta (Sr): studenti e detenuti insieme sullo stesso palcoscenico La Sicilia, 15 giugno 2011 “Tutti attorno ad un campanile” è il titolo dello spettacolo teatrale di Achille Campanile, messo in scena, nei giorni scorsi, nella casa di reclusione di Brucoli. Sul palco (nella foto) studenti e detenuti, nell’ambito di un progetto di educazione alla legalità portato avanti dall’istituto scolastico “A. Ruiz” e dal carcere che insiste in contrada Piano Ippolito, avviato nel novembre del 2010. Da tantissimi anni molti studenti entrano nel penitenziario di Augusta per incontri, dibattiti, partite di calcio. Da qualche anno studenti e detenuti studiano inoltre pittura, lavorano la ceramica e cantano insieme. Il direttore della casa di reclusione, Antonio Gelardi, la polizia penitenziaria, l’ufficio educatori, insieme al regista Davide Sbrogiò, all’aiuto regista Imprescia, alle insegnanti Lisi, Dispensa, Baffo, alla scuola Arangio Ruiz, hanno portato avanti questo esperimento raro, la scommessa di fare entrare ogni settimana dentro la struttura carceraria degli studenti, costituire un gruppo teatrale, preparare un prodotto artistico di qualità. L’ingresso dei ragazzi, ha portato luce, aria fresca ed energie. “Come dico ai ragazzi, quando li incontro per me è primavera queste le parole di un detenuto. Con gli studenti si è creato un gruppo coeso ed armonioso. La magia del teatro - afferma Gelardi - ha fatto si che tutti insieme diventassero una vera e propria compagnia teatrale. Ed è nata l’idea di raccogliere tutto il patrimonio di esperienze e riflessioni maturate in un libro da pubblicare entro l’autunno”. Fra gli spettatori il sindaco di Augusta, il presidente del consiglio provinciale, il dirigente scolastico, i genitori degli studenti, oltre ai detenuti della casa di reclusione. Immigrazione: a Lampedusa nell’ex base Loran… il carcere dei bambini di Sara Picardo www.rassegna.it, 15 giugno 2011 Circa 200 bambini sbarcati nell’isola vivono nell’ex base Loran, un posto totalmente inadatto. “Si tratta di una situazione di illegalità. Nessuno può essere trattenuto lì per più di 48 ore, soprattutto i minori e le donne”. Subito condotti nei due centri d’accoglienza, per le strade dell’isola i nuovi arrivati non si vedono più. Dovrebbero essere trasferiti entro 48 ore. Ma per molti non è così e tutto si fa più difficile. La cosa che sorprende di più, quando arriva un barcone, non è tanto come hanno fatto a viaggiare per giorni, così stipate, tante persone su un legno misero e leggero, ma perché nessun bambino pianga. A Lampedusa è finita la tregua. I barconi della speranza sono tornati a distogliere i primi turisti dalle loro vacanze. Sabato 11 giugno, infatti, sono ripresi gli sbarchi di uomini e donne provenienti dalla Libia. Oltre 1500 persone sono giunte sull’isola siciliana - “la porta d’Europa” come viene chiamata - in sei sbarchi successivi, iniziati alle 2 del mattino e terminati il pomeriggio alle 15. Altri sono avvenuti il giorno successivo. Finita la pausa di ben undici giorni, i due centri d’accoglienza dell’isola, quello dell’Imbriacola per i tunisini e l’ex base Loran per i sub sahariani provenienti dalla Libia, sono tornati a riempirsi di clandestini. La maggior parte dei nuovi arrivati, però, nei centri ormai rimane solo poche ore. Circa mille di loro infatti sono stati subito portati in nave in Sicilia e smistati nei vari Cie e Centri d’accoglienza. “Nei due centri però rimangono alcune centinaia di persone che sono lì già da molte settimane, di cui oltre duecento minori” racconta una dottoressa di Medici Senza Frontiere. “La situazione è preoccupante perché i centri di Lampedusa non sono attrezzati per ospitare gente per più di quarantott’ore, mentre alcune persone in attesa di rimpatrio o di essere trasferite in altri centri sono lì da quasi un mese”, spiega Simona Moscarelli, coordinatore legale dell’Oim, impegnata nel progetto Praesidium, finanziato da ministero dell’Interno e Commissione europea. Praesidium vede impegnati Oim, Unhcr, Save the Children e Croce Rossa, che dentro i centri hanno una stanza per fare assistenza e monitoraggio delle condizioni di vita dei migranti. “Si tratta di una situazione di totale illegalità - continua l’avvocato -, nessuno può essere trattenuto in quei centri per più di quarantott’ore, ripeto, soprattutto i minori e le donne”. Sabato sono stati ventidue i bambini, di cui due neonati, giunti sull’isola. Save the Children ha denunciato la difficile condizione in cui vivono. “I minori arrivati a Lampedusa da gennaio a oggi sono oltre cinquecento - racconta Francesca di Save The Children -, quasi tutti accompagnati da almeno un genitore. La legge italiana dovrebbe assicurare loro l’accoglienza in strutture attrezzate, ma circa duecento di loro vivono detenuti nell’ex base Loran che è un posto totalmente inadatto”. Anche per questo alcuni - adulti e ragazzi -, prostrati da settimane di permanenza disumana nel Centro, avevano ingerito lamette e si erano procurati tagli sul corpo. Volevano essere trasferiti altrove, in un luogo più grande, con spazi vivibili. I bambini hanno volti di pietra, spaventati. La cosa che sorprende di più, quando arriva un barcone, non è tanto come hanno fatto a viaggiare per giorni, così stipate, tante persone su un legno misero e leggero, ma perché nessun bambino pianga. Neanche i due neonati giunti l’11 hanno versato una lacrima. Silenziosi, sono stati accolti dal personale della Croce Rossa e di Medici senza frontiere, messi sui pulmini di Lampedusa Accoglienza, che gestisce i due centri, e portati alla ex base Loran. “Il trasferimento in strutture adatte ai minori, come le case famiglia, non avviene in tempi utili - continua la volontaria di Save the Children. Noi abbiamo denunciato più volte questa situazione alle autorità”. Anche le donne vengono tenute all’ex base Loran. Molte confessano di aver paura di stupri, altre hanno i volti segnati dal viaggio e dall’attesa. “Arrivano sempre meno tunisini - spiega Barbara Molinario dell’Unhcr. Gli sbarchi più recenti sono in gran parte di libici, che hanno quasi tutti diritto al permesso per motivi umanitari. Noi li informiamo dei loro diritti quando arrivano al centro, gli spieghiamo quale sarà l’iter futuro a seconda che siano respinti o accolti”. Dopo il 5 aprile, data dell’accordo fra Italia e Tunisia per il rimpatrio dei migranti clandestini, quasi tutti i tunisini maggiorenni che arrivano senza documenti sono messi sull’aereo e rimandati nel loro paese. “Non sempre i migranti vengono informati del fatto che stanno per essere rimpatriati”, racconta Ilaria Vecchi, dell’associazione Askavusa, che si è occupata di accogliere e dar da mangiare ai migranti durante i mesi caldi di febbraio e marzo, quando a Lampedusa c’erano oltre seimila clandestini a dormire all’addiaccio. “Durante il primo rimpatrio - dice ancora la volontaria - alcuni ragazzi hanno avvertito i connazionali del centro che non andavano in Italia ma tornavano in Tunisia. Così molti di loro hanno ingerito lamette. Un ragazzo si è tagliato le vene e hanno dovuto fargli trasfusioni con sei sacche di sangue. La cosa più difficile per loro è stare tutto il giorno fermi in spazi angusti, senza sapere che ne sarà del futuro. Il governo ha gestito e sta gestendo male la situazione. In fondo la maggior parte dei clandestini arriva in Italia da terra e non dal mare. La quarta potenza europea è sicuramente in grado di accogliere meno di 40mila persone arrivate in questo modo. Viene da pensare che l’emergenza, più che reale, sia stata guidata e forse voluta per altri fini”. Mentre i migranti continuano a giungere al porto vecchio di Lampedusa alcuni abitanti si lamentano dello scarso numero dei turisti. “Sono i giornalisti che ci hanno fatto cattiva pubblicità. Qui i clandestini non vanno più in giro per l’isola, li portano subito via. Qui si sta bene ora”, dice una signora a un gruppo di vacanzieri incuriositi dagli sbarchi. I volti dei migranti spariscono dietro il furgone diretti al centro. I bambini continuano a non piangere. Tunisia: l’ex presidente Ben Ali rischia dai 20 anni alla pena di morte Agi, 15 giugno 2011 Zine el Abidine Ben Ali rischia fino a 20 anni di carcere se sarà condannato per le accuse dei traffico di droga, armi e riciclaggio e la pena di morte per omicidio e tortura. Lo ha riferito il ministero della Giustizia di Tunisi, a meno di una settimana dall’apertura del primo processo in contumacia a carico dell’ex uomo forte di Tunisi e della moglie Leila Trabelsi, lunedì prossimo. A meno di sei mesi dalla caduta del regime, il Paese nordafricano si appresta quindi a giudicare il suo passato. Al primo processo ne seguirà un altro, davanti al tribunale militare in cui l’ex presidente sarà giudicato per alto tradimento in relazione alle esecuzioni e alle torture che avrebbe ordinato. Si tratta di un reato per il quale l’ordinamento tunisino prevede la pena di morte. Ben Ali ovviamente non sarà in aula e seguirà le notizie del processo dalla sua villa di Abha, una città di montagna dell’Arabia Saudita 450 chilometri a sud di Gedda. Pakistan: condannata a morte per un sorso d’acqua, la storia di Asia Bibi Adnkronos, 15 giugno 2011 “In carcere i giorni e le notti sono uguali. Non so più dire cosa provo. Paura, questo è sicuro... ma non mi opprime più come all’inizio. I primi giorni arrivava a farmi battere un tamburo in petto. Ora si è un po’ calmata. Non è più un soprassalto continuo”. Firmato Asia Bibi, la pakistana cattolica imprigionata e condannata a morte per aver bevuto da un pozzo per sole musulmane. Con il titolo ‘Blasfemà, che è anche il capo d’imputazione della protagonista, esce in italiano la sua biografia, raccolta segretamente dalla giornalista francese Anne-Isabelle Tollet. L’Avvenire ne pubblica un brano. “Prima di tutta questa storia - racconta la donna, una contadina analfabeta madre di 5 figli - ero felice con i miei, laggiù a Ittan Wali. Oggi sono come tutti i condannati per blasfemia del Pakistan. Che siano colpevoli o no, la loro vita viene stravolta. Nel migliore dei casi stroncata dagli anni di carcere. Ma il più delle volte chi è condannato per l’oltraggio supremo, che sia cristiano, indù o musulmano, viene ucciso in cella da un compagno di prigionia o da un secondino”. “In questo momento - racconta Asia Bibi, in carcere ormai da 2 anni - mi rammarico di non saper né leggere né scrivere. Solo ora mi rendo conto di quale enorme ostacolo sia. Se sapessi leggere, oggi forse non mi ritroverei chiusa qui dentro. Sarei senz’altro riuscita a controllare meglio gli eventi. Invece li ho subiti, e li sto subendo tuttora. Secondo i giornalisti, 10 mln di pakistani sarebbero pronti ad uccidermi con le loro mani”.