Giustizia: stop all’ex Cirielli, il principale scopo della pena deve essere quello rieducativo Apcom, 14 giugno 2011 Il principale scopo della pena detentiva deve essere quello rieducativo. Nel ribadire questo principio, chiaramente espresso nella nostra Costituzione, i giudici della Corte Costituzionale hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 bis, secondo comma del codice penale, nella parte in cui sancisce che non si deve tener conto del comportamento del condannato successivo al reato, per l’attribuzione delle attenuanti generiche. In particolare nella sentenza n. 183 del 10 giugno 2011, la Consulta ha stabilito che bisogna prendere in considerazione il comportamento del detenuto, successivo al reato ,anche nei casi più gravi di condannati “recidivi reiterati”. La Consulta ha affermato che la mancata considerazione della condotta del condannato successiva al reato, contrasta con l’art. 27 della Costituzione. In questo articolo, al terzo comma, infatti, si afferma, che le pene devono tener conto della rieducazione del condannato. Pertanto i giudici hanno ritenuto illegittimo l’art. 62 bis, argomentando che il principale obiettivo della pena, che deve essere quello rieducativo, non può essere raggiunto in maniera efficace se non vengono presi in considerazione quei comportamenti che dimostrano che il detenuto ha intrapreso un percorso di pentimento e accettazione dei valori condivisi della pacifica convivenza sociale. Per questo motivo anche chi ha sbagliato ripetutamente deve avere la possibilità di redimersi e intraprendere un percorso di rieducazione che può condurre anche ad uno riduzione della pena. Giustizia: Osapp; finiti effetti legge svuota-carceri e della decadenza reato di clandestinità Adnkronos, 14 giugno 2011 “Nelle carceri siamo tornati ai numeri di fine 2010 per quanto riguarda i detenuti ma con 1.500 poliziotti penitenziari in meno”. È quanto afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria), che spiega: “Gli oltre 67mila (67.280) detenuti registrati alle 17 di ieri, per 45.000 posti letto, stanno a dimostrare che nei cinque mesi appena trascorsi si sono esauriti gli effetti della cosiddetta legge svuota-carceri, per circa 2.600 soggetti autorizzati alla detenzione domiciliare, e della decadenza del reato di clandestinità disposto dalla Corte Europea di Giustizia con la scarcerazione di 1.300 soggetti”. “Nei prossimi giorni - prosegue il leader dell’Osapp - il trend di oltre 800 nuovi ingressi nelle carceri italiane è destinato a riprendere come già nel 2010 e, purtroppo, con sempre meno poliziotti penitenziari in servizio”. “Nel 2010 - ricorda Beneduci - circa 1.500 sono le unità di polizia penitenziaria che hanno lasciato l’attività lavorativa, (2.000 pensionamenti nel 2011) a fronte di 760 neo - assunti e già si devono affrontare carenze di organico che hanno del clamoroso, come le 700 unità in meno negli istituti penitenziari del Triveneto, le 850 unità in meno nel Lazio, le 950 in meno in Piemonte e perfino le 500 unità in meno in Sicilia, per una carenza nazionale complessiva in organico che supera le 7mila unità senza tenere conto degli effetti del piano - carceri che avrà avvio entro il corrente mese di giugno”. “Mentre non sappiamo che fine abbia fatto l’assunzione straordinaria di 1.611 unità promessa per mesi dal ministro Alfano - conclude Beneduci - l’auspicio è che, stanti i prestigiosi incarichi di partito dell’attuale Guardasigilli, il prossimo ministro della Giustizia voglia occuparsi più direttamente ed in maniera assai più concreta di carcere e di polizia penitenziaria”. Giustizia: Sappe; in piazza la rabbia delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria Adnkronos, 14 giugno 2011 Si è tenuto questa mattina a Roma, davanti alla sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il sit-in di protesta dei poliziotti aderenti al sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Oggetto della manifestazione, si legge in una nota del Sappe, “le gravose situazioni operative in cui sono costretti a lavorare i poliziotti penitenziari nelle sovraffollate carceri italiane”. Alla manifestazione, erano presenti anche le rappresentanze dell’associazione nazionale dei funzionari del corpo Anfu e dei sindacati penitenziari Lisiapp e Siapp: anche l’organizzazione confederale autonoma Confsal ha aderito alla protesta dei Baschi Azzurri del Sappe. In piazza erano presenti le delegazioni e gli iscritti Sappe provenienti, oltre che da Roma e dal Lazio, da Piemonte, Liguria, Campania, Marche, Molise, Toscana, Veneto, Puglia, Calabria, Sicilia, Lombardia e Umbria. “Siamo ancora una volta tornati in piazza - ha detto il segretario generale del Sappe, Donato Capece - per protestare contro quella parte di dirigenza dell’Amministrazione penitenziaria che da vent’anni ostacola ogni evoluzione ed accrescimento professionale della Polizia penitenziaria”. Nel corso della manifestazione, una delegazione del Sappe guidata dal segretario Capece, è stata ricevuta dal Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, che ha sottolineato gli sforzi del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e del Dipartimento che, si legge ancora nella nota del Sappe, ‘pur in un momento di grave difficoltà economica del Paese, hanno ottenuto significativi risultati come l’assunzione di 3.400 nuove unità di Polizia Penitenziaria e l’avvio delle procedure per le gare di nuovi istituti penitenziari’. Ionta, prosegue la nota del sindacato, ha annunciato di avere già chiesto che con la legge di assestamento di bilancio vengano individuate nuove risorse tali da permettere al Dap di sanare il credito che molti appartenenti al Corpo vantano verso l’Amministrazione, in particolare in merito a lavoro straordinario e servizi di missione non retribuiti. Ha quindi chiesto al personale di Polizia Penitenziaria uno sforzo supplementare per comprendere la particolare situazione economica che sta vivendo non solo l’Amministrazione Penitenziaria. Capece ha espresso un sincero apprezzamento per le parole espresse da Ionta, sintomo di una progettualità concreta ma ha sottolineato che il primo sindacato del Corpo non fa sconti a nessuno. Se le cose, in tempi ragionevolmente brevi, non dovessero cambiare, torneremo in piazza a manifestare. Giustizia: Gruppo EveryOne; carceri invivibili, è un dramma quotidiano www.inviatospeciale.com, 14 giugno 2011 Dall’inizio dell’anno si sono verificati 68 decessi ufficiali, che in realtà sono di più, perché l’Amministrazione Penitenziaria non considera come avvenute in carcere le morti verificatesi negli ospedali dove vengono trasferiti i detenuti in gravi condizioni. La denuncia del gruppo EveryOne. Nelle 208 strutture di detenzione italiane sono attualmente accolti circa 67.600 prigionieri, contro una capienza massima di 45.543 posti. Una condizione di sovraffollamento in cui si verificano migliaia di casi di stupro (specie nei confronti di detenuti giovani, che per paura e vergogna non li denunciano quasi mai), altrettanti casi di aggressione violenta (di cui circa 1900 denunciati: la punta di un iceberg), innumerevoli prevaricazioni, minacce, intimidazioni, episodi di persecuzione fisica e psicologica. L’enorme preponderanza di suicidi di detenuti di sesso maschile rispetto alle donne è dovuto prevalentemente proprio alla pratica degli stupri, che colpisce i prigionieri maschi, specie se giovani e/o longilinei, secondo gli studi. Nel 2011 si sono verificati 340 tentati suicidi, sempre secondo i dati ufficiali, e 1.860 atti di autolesionismo. Negli ultimi vent’anni, più di mille detenuti si sono suicidati e almeno 20 mila hanno tentato di togliersi la vita. Vale a dire il 2% dei detenuti, una percentuale che non ha uguali non solo nel mondo democratico, ma anche nei regimi integralisti. Da molte parti si denuncia questa tragica realtà, in cui i crimini più efferati restano impuniti per un tacito patto che vige solo all’interno del sistema penitenziario, mentre la vita di chi è costretto a scontare una pena detentiva non ha più la benché minima tutela contro abusi e persecuzioni. Tuttavia, sembra che questa sacca di orrore e ingiustizia non desti un vero interesse da parte delle istituzioni, che non muovono alcun passo per cambiare lo stato delle cose, limitandosi a stigmatizzare sovraffollamento e degrado. È importante che la società civile non accetti questa situazione di stallo e metta a punto nuovi metodi di protesta civile, spostando il dibattito nelle sedi internazionali, per evitare che l’inferno penitenziario italiano continui ad accogliere “anime dannate” privandole dei diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e dalle Carte internazionali. Il Gruppo EveryOne, che si impegna da anni contro l’esistenza di questo spietato carnaio in cui si consumano infinite atrocità, presenterà un dossier - carceri in Italia all’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, allo Special Rapporteur Onu sulla Tortura a altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani o degradanti, al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, nonché agli altri organismi internazionali deputati alla tutela dei diritti umani affinché siano prese le misure adeguate e venga posta fine alla condizione disumana in cui sono costretti a vivere e morire i detenuti nel nostro Paese. Lettere: il prossimo 24 giugno all’isola di Santo Stefano, contro l’ergastolo di Tilde Napoleone www.linkontro.info, 14 giugno 2011 È partita da Nicola Valentino, di Sensibile alle Foglie, l’idea di andare in una sorta di pellegrinaggio all’isola Ergastolo di Santo Stefano, vicino a Ventotene, per visitare il cimitero degli ergastolani, luogo ormai in stato di abbandono. L’iniziativa vuole sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al tema dell’ergastolo, pena disumana, forma di tortura non dichiarata, che, secondo gli organizzatori e le numerose associazioni che hanno aderito all’appello, dovrebbe essere abolita immediatamente in Italia e in Europa. Nicola Valentino è in carcere dal 1979 con una pena all’ergastolo per la sua partecipazione alla lotta armata; adesso si trova in semilibertà, ma lui continua a sentire “il fine pena mai” in ogni momento, anche se per metà della giornata è “libero”. Da sempre si è occupato di ergastolo e nel 1994 ha pubblicato per Sensibili alle foglie un libro proprio su questo argomento, attraverso testimonianze dirette e scritti di ergastolani. Con questa iniziativa, ha trovato un nuovo modo per rimettere al centro del dibattito italiano il tema del “fine pena mai”. Santo Stefano (carcere dal 1795 al 1965) è stato il primo istituto penitenziario costruito dai Borboni secondo lo schema del panottico: i reclusi erano guardati dai custodi 24 ore su 24. Ormai il carcere non è più usato, però, all’esterno, in ricordo di quel passato, c’è un piccolo cimitero dove sono sepolti gli ergastolani, un luogo abbandonato dove le croci non hanno nomi. Anni fa, un agente di custodia in pensione, decise di prendersene cura, circondando le tombe e ponendovi le croci in legno. Il cimitero degli ergastolani è importante da visitare perché ci racconta e ci ricorda la disumanità dell’ergastolo: le persone entrate in quel carcere sono state socialmente cancellate e poi morte in totale solitudine. Ed è importante anche perché ci ricorda la tragedia di coloro che hanno ancora questa condanna, adesso, in Italia e nel mondo. Chi vuole aderire all’iniziativa o partecipare all’evento può telefonare al numero 3664937843. Toscana dalla Commissione pari opportunità, solidarietà alle direttrici penitenziarie In Toscana, 14 giugno 2011 Rossella Pettinati, presidente della Commissione regionale: “Pieno sostegno allo stato di agitazione di donne che dirigono istituzioni con grosso impegno professionale e sociale”. Ai direttori penitenziari della Toscana sono affidati 4400 detenuti e 1471 misure alternative. Precarietà nell’organizzazione del lavoro, assenza di regole certe, di diritti e di tutele professionali, e tutto grazie alla mancanza di una specifica disciplina contrattuale. È quanto denunciano le donne direttrici di strutture penitenziarie in Toscana, che ieri, lunedì 13 giugno, hanno voluto esprimere il proprio disagio in un documento reso noto durante il seminario sul lavoro part - time organizzato dalla commissione Pari Opportunità del Consiglio regionale. Una condizione, quella delle donne alle prese con ruoli così impegnativi e delicati, che è stata immediatamente fatta propria dalla Commissione la cui presidente, Rossella Pettinati ha espresso “solidarietà a lavoratrici che sono alla direzione di istituzioni che richiedono un grosso impegno professionale e sociale”. “Pieno sostegno - ha chiarito Pettinati - anche al loro stato di agitazione”. Nel documento, le lavoratrici non lamentano il peso del ruolo istituzionale bensì l’assenza di una specifica disciplina contrattuale: accade così, si legge, “che venga assegnata la direzione anche di due carceri e, talvolta, anche di tre, quando i colleghi sono in ferie. Ai direttori penitenziari della Toscana sono infatti affidati ad oggi 4400 detenuti e 1471 misure alternative, mentre sono state dimezzate le risorse; con la conseguenza che la metà dei direttori gestisce il doppio delle strutture e tutto ciò da ben sei anni”. Bari: Sappe; il sovraffollamento ormai è arrivato al 300%, più che un carcere è un lager www.infooggi.it, 14 giugno 2011 Basterebbero 6 mesi per risolvere il problema che sta infiammando il Carcere di Bari di zona Carrassi. Ma ancora non si fa nulla. 530 detenuti, circa il 300% in più rispetto ai posti disponibili, fa slittare il penitenziario al primo posto di prigione-lager in Italia. A denunciarlo, è il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), sotto la firma del suo Segretario Nazionale Pilagatti e Paolo Sagace, direttore a Bari dell’istituto. Quest’ultimo con i poliziotti, è costretto ad un superlavoro visto che in camere dove al massimo dovrebbero essere ospitati 6 detenuti ve ne sono addirittura 20. Eppure basterebbe una commissione parlamentare che decida di far decollare il prgetto delle sezioni detentive modulari (da allocare entro i muri di cinta delle carceri) e per permettere di capire (si legge nel testo del Sappe online) “perché nel tempo le carceri italiane rappresentano un tesoro da razziare per i vari costruttori”. Non è giusto che alcuni detenuti dormano ad un palmo dal soffitto (quasi a 5 metri dal pavimento) e che il sovraffollamento riduca le condizioni sanitarie al minimo, con “rischio concreto di epidemie”. Ora che la criticità è massima, si aspettano i riscontri di Autorità Sanitarie e della Magistratura di Sorveglianza. Del resto, i detenuti sono umani. Umani che non si esclude che, per protesta, possono essere capaci di gesti estremi per farsi sentire. Bologna: la Camera Penale aderisce all’iniziativa di protesta di Marco Pannella Comunicato stampa, 14 giugno 2011 Il Direttivo della Camera Penale “Franco Bricola” di Bologna, condividendo appieno l’azione della Giunta Ucpi di adesione all’iniziativa di protesta portata avanti da Marco Pannella per denunciare le condizioni di inciviltà delle carceri italiane, aderisce all’unanimità allo sciopero della fame a staffetta che effettuerà a partire dal 21 luglio. Esprime, inoltre, solidarietà alle persone detenute nella Casa Circondariale di Bologna che da alcuni giorni portano avanti una iniziativa pacifica di protesta. Non può esimersi, ancora una volta, dallo stigmatizzare l’ennesimo avviso affisso al Tribunale di Sorveglianza di Bologna con il quale, in ragione dell’imminente ispezione ordinaria, si riduce senza alcun preavviso l’orario di apertura dell’unica cancelleria aperta al pubblico per complessive due ore al giorno. Compressione che poco si concilia con le proteste in atto in tutto il paese, volte a richiamare l’attenzione sulle inaccettabili condizioni di vita delle persone ristrette, stante le evidenti difficoltà che incontrano gli Avvocati ad operare nell’interesse dei soggetti detenuti. Riserva ogni opportuna iniziativa a tutela del diritto di difesa. Camera Penale “Franco Bricola” Per il Direttivo, Avv. Elisabetta d’Errico Civitavecchia (Rm): Cisl; aggressione a un assistente di Polizia penitenziaria Il Velino, 14 giugno 2011 “Ennesima aggressione ai danni di un Assistente di Polizia Penitenziaria in servizio presso il NC CC Civitavecchia ,ad opera dei detenuto, il quale ha riportato lesioni con prognosi di 7 giorni, a cui va la solidarietà della Fns Cisl”. Si apprende da una nota stampa del sindacato. “Il Sovraffollamento della popolazione detenuta, la grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria costituiscono un mix esplosivi che rendono di certo non felici le condizioni di vivibilità all’interno del Penitenziario NC di Civitavecchia, con conseguenti tensioni e criticità che spesso sfociano in atti di violenza come quella descritta. La Fns Cisl ha chiesto l’intervento agli uffici preposti affinché sia inviato congruo personale c/o L’istituto di Civitavecchia”. Pisa: i dipendenti ex detenuti della cooperativa Don Bosco vanno tutelati di Sandro Giacomelli e Federico Giusti (Sel Toscana) Il Tirreno, 14 giugno 2011 Stanno aggiudicando la gara di appalto per la gestione del verde ospedaliero senza quelle clausole sociali che permettano la riassunzione dei lavoratori attualmente impegnati dipendenti dalla cooperativa Don Bosco. Per loro si annuncia la perdita del lavoro in agosto. Una gara di appalto dovrebbe prevedere sempre la clausola di salvaguardia dei posti di lavoro, ma è ancora più grave che non avvenga in questo caso. I dipendenti della Don Bosco sono sette e si tratta di ex detenuti che attraverso il lavoro hanno avviato un riuscito reinserimento sociale. Ma se trovare un’altra occupazione è diventato arduo anche per operai plurispecializzati, immaginiamoci allora cosa può succedere a chi ha precedenti penali e un passato difficile. È ingiustificabile l’assenza delle clausole sociali negli appalti pubblici, è inaccettabile che l’assessore comunale Forte, pur chiamato in causa, non abbia mai preso posizione al contrario della collega Romei. Una disattenzione imperdonabile che disattende gli impegni presi negli anni dalle amministrazioni comunali. Cassino(Fr): ex detenuti si incatenano per protesta, serve lavoro altirmenti torniamo in carcere Agi, 14 giugno 201 Si sono incatenati sotto i portici di piazza Labriola a Cassino per protestare contro la fine del progetto che permetteva loro di guadagnare un misero stipendio. Si tratta degli orfani del progetto “Sette Adulti”, tutti di età compresa tra i 43 e i 45 anni, approfittavano di una occasione finanziata dalla Regione Lazio per il reinserimento in società di ex detenuti. Dal 2001 svolgevano lavori di manutenzione tra la villa comunale, il cimitero o, comunque, dove c’era bisogno di loro. A dicembre 2010, l’ultima annualità finanziata è terminata e da allora non è stata rinnovata. “Alcuni di noi - racconta Rinaldo Casciano incatenato con alcuni suoi colleghi - grazie a questo progetto hanno messo su anche famiglia. Venendo meno quel piccolo contributo, si sono ritrovati a dover far fronte a situazioni familiari difficili e, per questo, già tre di loro, hanno commesso errori per i quali sono tornati in carcere. Io stesso sono stato senza luce e senza gas per un certo periodo, poi, ‘grazie alle elezioni’ sono state riattaccate. E’ necessario quanto prima che quel progetto venga nuovamente finanziato. Siamo in mezzo ad una strada”. Agrigento: i politici locali scrivono ad Alfano; accelerare l’iter per il nuovo carcere La Sicilia, 14 giugno 2011 Il consigliere provinciale Mario Lazzano e il consigliere comunale Fabrizio Di Paola, si sono rivolti al ministro della Giustizia Angelino Alfano per segnalare la situazione di difficoltà in cui versa la locale Casa circondariale. Insieme alle note e inefficienze strutturali, si è aggiunto di recente anche il problema della mancanza di acqua calda a causa della impossibilità di acquistare il gasolio per carenza di fondi. Le proteste dei detenuti si sono accomunate a quelle del personale della Polizia penitenziaria, entrambi in difficoltà in una struttura che da anni necessita di costante manutenzione. “Tale situazione - scrivono Di Paola e Lazzano nella loro lettera ai vertici del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al ministro Alfano - sta provocando profondo malessere tra i detenuti ed anche tra gli stessi agenti penitenziari, che attraverso i loro rappresentanti sindacali hanno sollevato il caso”. I due sottolineano, inoltre, la necessità di definire l’iter per la nuova Casa circondariale, facente parte del nuovo piano carceri. Il carcere è ospitato presso l’ex convento dei carmelitani e conta ad oggi 121 detenuti, a fronte di una capienza massima di 90, con personale che risulta insufficiente a garantire servizi efficienti. L’immobile è considerato edificio di pregio storico ed architettonico e la fruizione per fini culturali viene ritenuta indispensabile per valorizzare ulteriormente le risorse artistiche e monumentali della città. Genova: lavori socialmente utili, i detenuti di Chiavari puliranno i boschi del levante Secolo XIX, 14 giugno 2011 Anche la Provincia di Genova, attraverso l’assessorato alle carceri, contribuisce al programma di lavori socialmente utili per carcerati avviato dalla direzione penitenziaria del carcere di Chiavari in collaborazione con il Comando provinciale del Corpo forestale dello Stato. Si tratta di un programma di particolare rilevanza ambientale e sociale, che prevede l’utilizzo di detenuti per la pulizia di aree verdi in zona boscata a Chiavari (15, 16 e 17 giugno) e Lavagna (22, 23 e 24 giugno). Spoleto (Pg): Sappe, nel carcere è di nuovo emergenza, altri 2 agenti aggrediti Il Velino, 14 giugno 2011 “Ancora nell’occhio del ciclone il carcere di Spoleto. Assume quasi i contorni di un bollettino di guerra quanto sta succedendo nel supercarcere di Spoleto. Dopo il suicidio di un detenuto e l’aggressione ad un assistente capo della Polizia penitenziaria nei giorni scorsi, sono purtroppo da registrare due nuove aggressioni a due nostri agenti della Polizia penitenziaria in due giorni”. Lo ha detto il segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe Donato Capece. “Fortunatamente - ha spiegato - l’agente aggredito nella giornata di ieri non ha riportato conseguenze gravi, mentre questa mattina un altro nostro agente che stava assicurando la sorveglianza presso la sezione infermeria ha riportato ferite per le quali è dovuto ricorrere al pronto soccorso con 4 giorni di prognosi. Tale sezione detentiva è attualmente stracolma di soggetti pericolosi e in più occasioni il Sappe aveva richiesto alla Direzione ed al Dap di chiuderla in quanto ricettacolo di troppi detenuti di vari circuiti penitenziari, tra l’altro ivi assegnati per il sovraffollamento e non per problemi sanitari”. “Nulla però - ha denunciato il segretario generale del Sappe - è stato fatto e non è noto sapere cosa intendano fare i responsabili della Direzione del carcere di Spoleto e del Provveditorato regionale di Perugia su quanto sta avvenendo nella Casa di reclusione umbra. Le criticità di Spoleto sono evidenti e la grave situazione di sovraffollamento e di carenza di organico di Polizia penitenziaria ha raggiunto livelli allarmanti (mancano 78 unità del ruolo agenti/assistenti rispetto alle 307 previste da una vecchia e inadeguata pianta organica del 2001). Dall’inizio dell’anno sono già 7 le unità andate in pensione che arriveranno a 10 entro ottobre, senza peraltro avere ancora la certezza di un reintegro del personale in quiescenza”. “E le situazioni di tensioni all’interno del carcere - ha attaccato Capece - sono anche aggravate da una risposta a nostra avviso inadeguata della Direzione in termini di provvedimenti disciplinari nei confronti dei detenuti che si rendono colpevoli di infrazioni al Regolamento penitenziario. Occorre al più presto che l’ufficio ispettivo del Dap invii i suoi uomini presso la Casa di reclusione di Spoleto per far luce su eventuali responsabilità, adottando - ha concluso il segretario generale del Sappe - ogni iniziativa utile per riportare in carcere quella serenità lavorativa che oggi al personale di Polizia penitenziaria manca”. Milano: protesta centri sociali davanti a San Vittore, per i “compagni anarchici” arrestati Ansa, 14 giugno 2011 Una manifestazione contro gli arresti dei “compagni anarchici” si è tenuta a Milano, davanti al carcere di San Vittore, dove si trova detenuto l’unico dei destinatari delle misure cautelari emesse dal gip di Firenze in merito ai disordini avvenuti a Firenze il 21 maggio scorso che portarono alla devastazione di una sede del Pdl. Un centinaio di antagonisti, per lo più appartenenti al centro sociale Cox 18 di Milano, hanno scandito slogan, fatto scritte sui muri e organizzato un piccolo corteo nell’adiacente viale Papiniano. La protesta, iniziata intorno alle 23.30 di ieri, si sarebbe conclusa verso l’una senza incidenti. Gli anarchici protestavano contro l’arresto di Valerio Ferrandi, 26 anni, milanese, figlio dell’ex terrorista di Prima Linea Mario, condannato per l’omicidio del vicebrigadiere Antonino Custra nel 1977. Già sottoposto a sorveglianza speciale, è l’unico dei sette arrestati per i danni alla sede del Pdl di Firenze durante il corteo del 21 maggio a Firenze ad essere finito in carcere. Gli altri sono ai domiciliari. Immigrazione: “Passpartù 36”… storie di ordinaria emergenza nei Cie d’Italia ww.amisnet.org, 14 giugno 2011 Questa settimana cerchiamo di fare luce su quello che sta accadendo nei diversi centri per migranti che si sono costruiti in questi ultimi mesi in tutta Italia, in nome della fantomatica “emergenza immigrazione”. Il quotidiano in queste strutture, costruite in fretta e furia senza consultare i cittadini, è fatto di controlli, rivolte, tentativi di fuga, pestaggi e repressione. Nella notte dell’8 giugno il Centro di identificazione ed espulsione di Santa Maria Capua Vetere, aperto a inizio aprile a seguito della “emergenza tunisini”, è andato in fiamme. L’incendio è scaturito da una rivolta messa in piedi dai migranti che erano reclusi all’interno dell’ex - caserma, l’ultima di una serie. I reclusi protestavano per le condizioni di vita disumane (vivevano in dodici/tredici persone per tenda, mangiavano a terra, non potevano uscire, molti riportavano lesioni e fratture contratte nel tentativo di fuga dalla tendopoli) e per il fatto che nessuno sapeva dirgli cosa sarebbe stato di loro in futuro. In duecento avevano fatto richiesta di protezione internazionale, temendo le repressioni da parte dei militari dell’ex - dittatore Ben Alì, ma solo uno di loro l’aveva ricevuta, nel frattempo la struttura, da centro di accoglienza e identificazione (Cai), era diventata un vero e prorio centro di identificazione e di espulsione (Cie), decisione che aveva gettato nel panico i reclusi. L’8 giugno il campo è andato a fuoco, i novanta ragazzi che si trovavano lì sono stati trasferiti nei cara di Foggia e Crotone e nel cie di Bari, ma ancora non sappiamo quale sarà la loro sorte. Mentre la Procura di Santa Maria Capua Vetere fa luce su quanto è accaduto nell’ex - caserma, che dopo l’incendio è stata sequestrata e chiusa, i legali che seguivano i novanta stanno proseguendo l’iter legale e in questi giorni depositeranno i ricorsi alle Commissioni, per sospendere l’espulsione e metterli nelle condizioni di beneficiare di un permesso di soggiorno straordinario. Nelle altre regioni del sud Italia la vita dentro ai centri non è di certo migliore di quella che vivevano gli “ospiti” della tendopoli campana. Andiamo in Sicilia, ad esempio. A Mineo, in provincia di Catania, è stato creato il centro per richiedenti asilo (Cara) più grande d’Italia. In queste 404 villette, che un tempo ospitavano i militari americani di Sigonella, da metà marzo sono state accolte migliaia di persone. Oggi i migranti che si trovano in questo centro sono circa 1800, tra cui 43 minori; la struttura però non ha mai svolto in maniera completa la sua funzione di Cara, dal momento che tra tutti i migranti passati da lì solo 20 sono riusciti a vedere avviata la propria pratica di richiesta di asilo. I reclusi sono ogni giorno più insofferenti per questa situazione di stallo che stanno vivendo e anche la routine del centro li rende sempre più nervosi. Anche se nelle case dove dormono ci sono le cucine, l’amministrazione non permette loro di utilizzarle, “non sanno usare il gas” ha detto la Croce Rossa, che ha gestito il campo fino ad oggi. Così i migranti passano la giornata a fare file per mangiare, telefonare, andare in bagno, monitorati da polizia e carabinieri incaricati di mantenere l’ordine. In queste ultime settimane per due volte centinaia di richiedenti asilo detenuti nel Cara hanno occupato la statale che collega Gela a Catania, per rivendicare standard minimi di vivibilità e per chiedere al governo italiano, affinché prenda in considerazione le loro richieste di asilo, ma dopo le manifestazioni niente è cambiato. Qualche settimana fa Passpartù aveva dato voce a Raffaella Cosentino, una giornalista che, come altri suoi colleghi, aveva ricevuto un secco no alla sua richiesta di accesso al centro di identificazione ed espulsione di Roma. Con una circolare scritta in fretta e furia ad aprile e firmata dal nostro Ministero dell’interno, l’ingresso ai Cie e ai Cara italiani è stato vietato a tutti i giornalisti. Nonostante questa inspiegabile norma, Raffaella Cosentino è riuscita in questi giorni a visitare il Cie di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza; lontana dai centri abitati, sperduta nelle campagne, l’ex - fabbrica confiscata a un boss è oggi di proprietà del Comune, che per anni l’ha utilizzata per accogliere i braccianti stagionali che accorrono nel territorio per raccogliere i pomodori, tranne l’anno passato, quando l’amministrazione comunale ha rifiutato un finanziamento da parte della regione Basilicata per accogliere i braccianti, sostenendo che non venivano rispettate le norme di sicurezza e di igiene e i lavoratori sono stati costretti ad accamparsi in casolari abbandonati. Il primo aprile però la struttura è stata riaperta in nome dell’”emergenza tunisini” come Cai, centro di accoglienza e di identificazione, per poi diventare Ciet, centro di identificazione ed espulsione temporaneo. Secondo le dichiarazioni ufficiali il centro funzionerà solo fino al 31 dicembre prossimo, ma i lavori che si stanno facendo al suo interno, dove oggi si trovano circa sessanta persone di origine tunisina, fanno pensare che il centro vivrà più a lungo. Il Ciet di Palazzo San Gervasio è il primo ad essere aperto nella regione Basilicata, che oggi lamenta di non essere stata consultata. Il centro, come quello di Trapani e Brindisi, è gestito dalla Connecting People, a cui è stata affidata ala gestione della struttura senza bando. Quando è andata al centro, i detenuti hanno consegnato a Raffaella un video, che mostra i tentativi di fuga dal centro di alcuni detenuti, il loro ferimento e il mancato soccorso da parte dei medici; a causa della circolare del primo aprile però, che vieta ad avvocati e giornalisti l’ingresso nei centri, il video consegnato a Raffaella e pubblicato su internet non ha ancora ricevuto una risposta attiva, anche se ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica: secondo l’Osservatorio migranti Basilicata la popolazione locale, che prima aveva reagito con paura, dopo avere letto l’inchiesta ha mostrato comprensione e solidarietà verso queste persone che stanno vivendo una situazione difficilissima. Luigi Perrone, è il membro dell’Icim, Centro studi internazionale sull’immigrazione. È lui che ci ha fatto un quadro della situazione in Puglia. Emblematica, a riguardo è la storia della tendopoli di Manduria, allestita, spiega Perrone “con una logica extra - territoriale, portata avanti cavalcando l’emergenza, senza nessuna azione partecipativa” e senza considerare che c’erano altre strutture già esistenti che si sarebbero potute utilizzare, come quelle costruite a Otranto, Lecce, al Regina Pacis: centri mantenuti in piedi con i soldi pubblici, oggi degradati e abbandonati. La gestione dell’accoglienza dei migranti nella regione Puglia insomma è complicata e poco chiara, avviene senza nessuna programmazione ed è fatta solo per l’interesse di pochi. Non solo. C’è un’altra questione che riteniamo preoccupante. Come abbiamo già denunciato a Passpartù, sempre più spesso gruppi di migranti sbarcati sulle coste calabresi o pugliesi vengono detenuti per giorni in stanzoni allestiti alla bella e meglio, per poi essere inviati dal porto di Brindisi in Grecia. Secondo le poche testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, le nostre forze dell’ordine non fanno accertamenti sulla provenienza dei migranti, non si chiedono se sono richiedenti asilo nè qual è la storia che hanno alle spalle. L’ultimo di questi episodi è avvenuto il 3 giugno: ad Andrano, in provincia di Lecce, sono arrivati 23 migranti a bordo di una piccola imbarcazione; i 23 sono stati rinviati in Grecia dal porto di Brindisi il 6… dove sono stati detenuti in quei tre giorni nessuno lo sa. Quello che sappiamo e che nei porti greci di Igoumentisa e Patrasso, dove per volontà del Ministero dell’Interno italiano vengono inviati questi migranti che arrivano sulle nostre coste, la situazione è sempre più tragica. La mattina del 9 giugno la collina di Igumenitsa, dove erano accampati centinaia di profughi, è stata presa d’assalto dalla polizia greca. “Hanno distrutto tutto quel che hanno trovato sul loro cammino” ha raccontato ai nostri microfoni il medico Polyxeni Andreadou. Venezuela: rivolta in un carcere, almeno 19 detenuti sono rimasti uccisi negli scontri Asca, 14 giugno 2011 Almeno 19 detenuti sono rimasti uccisi negli scontri avvenuti nel carcere di El Rodeo, in Venezuela, dove i disordini vanno avanti da domenica scorsa. Il bilancio è stato fornito dal ministro dell’Interno e la situazione non è ancora sotto controllo. Si tratta della peggiore rivolta avvenuta in una prigione venezuelana dal 1999, quando in uno scontro fra detenuti e polizia si contarono 27 morti. India: mancano i boia; condanne a morte sono rare e i volontari per eseguirle pochissimi Asia News, 14 giugno 2011 In India sono alla ricerca di un boia e trovarne uno tra gli oltre 1,2 miliardi di abitanti del paese non si sta rivelando un’impresa facile. Le esecuzioni avvengono di rado da quelle parti: l’ultima è stata nel 2004 e solitamente il presidente nei casi di condanne a morte concede la grazia. A maggio, però, a un detenuto condannato per omicidio nello stato nord - orientale di Assam è stata negata la grazia, obbligando così le autorità locali a mettersi alla ricerca di un esecutore di sentenze di condanna a morte, come raccontano Jim Yardley e Hari Kumar sul New York Times. Ma inizialmente nessuno ha risposto. I boia che vivevano in India sono quasi tutti morti o in pensione, e dei pochi rimasti è spesso difficile ritrovarne le tracce. La pena capitale fu introdotta nel periodo coloniale britannico, che stabilì che i condannati a morte venissero impiccati. Negli ultimi decenni, il Parlamento indiano si è espresso in più occasioni per rendere questa soluzione un provvedimento estremo, da assumere solo in rarissimi casi. Sono gli stessi responsabili delle carceri a suggerire ai condannati a morte di fare appello per la grazia, aiutandoli a compilare i moduli e a seguire correttamente le trafile burocratiche. Eppure, nel caso dell’Assam un boia era necessario. Riviste e giornali locali hanno pubblicato articoli che sembrano delle inserzioni macabre in cerca di aiuto: Grande nazione cerca qualcuno disposto a mettere un cappio intorno al collo di un assassino. Nello stato di Assam, le autorità carcerarie hanno avviato con riluttanza una ricerca. L’ultima esecuzione nell’Assam risale al 1990 e molti di quelli che parteciparono ancora se ne ricordano. “Ero molto combattuto”, dice Banikanta Baruah, un secondino ora in pensione che supervisionò l’esecuzione. “Da una parte, dovevo svolgere il mio compito, eppure dall’altra, provavo commiserazione per la persona che avrei dovuto impiccare”. Non trovando qualcuno nella zona, le autorità dell’Assam hanno deciso di contattare i loro colleghi nello stato del Bengala Occidentale, dove viveva Nata Mullik, un responsabile delle esecuzioni capitali che aveva gestito la propria ultima esecuzione all’età di 87 anni. La ricerca si è però rivelata inutile, perché Nata era morto due anni fa. Quelli dell’Assam si sono allora rivolti ai colleghi dello Uttar Pradesh, ottenendo la promessa che gli avrebbero mandato qualcuno per l’esecuzione. Nella città di Meerut nell’Uttar Pradesh vive una famiglia nota per aver avuto numerosi boia tra i propri componenti. Nel 1989, Kalu Kumar, un membro della famiglia e nipote di un esecutore, era diventato molto famoso a livello nazionale per essersi occupato dell’esecuzione di uno dei due assassini dell’ex primo ministro Indira Gandhi. Kalu è morto alcuni anni fa, ma ha tramandato la tradizione al proprio figlio Mammu Singh, che diceva di aver già portato a termine undici esecuzioni nel corso della sua carriera. Era il candidato ideale per occuparsi dell’impiccagione nell’Assam. Era, perché il 19 maggio scorso Mammu Singh è morto. Gran Bretagna: alcolici e permessi premio in cambio di sesso, sospeso direttore carcere Associated Press, 14 giugno 2011 Alcolici e permessi in cambio di prestazioni sessuali. Scenario della vicenda è l’istituto penitenziario femminile di Sutton, nella contea del Surrey (Inghilterra sud-orientale), protagonisti sono il direttore ed il primo funzionario. I due - rispettivamente di 41 e 45 anni - avrebbero offerto un trattamento speciale ad alcune detenute, le quali avrebbero saldato i favori concessi con il loro corpo. Gli abusi si sarebbero perpetrati per circa quattro anni, da luglio 2006 a febbraio 2010, quando contro i due sarebbero scattate le prime denunce. Il direttore avrebbe intrattenuto una relazione stabile con una detenuta, mentre con le altre avrebbe avuto soltanto occasionali incontri sessuali. Il rapporto sarebbe iniziato pochi giorni dopo l’arrivo al penitenziario della “compagna” del direttore, il quale l’avrebbe presto trasferita in una cella vicina al suo ufficio. Qui sarebbe iniziato tutto, quando lui le avrebbe ordinato di “aprire le gambe”. Da lì, il primo rapporto sessuale e la conseguente relazione. Il primo funzionario, invece, avrebbe fatto sesso con quattro carcerate, ne avrebbe molestata un’altra e si sarebbe masturbato all’esterno della cella di un’altra galeotta ancora. Secondo quanto dichiarato dal pubblico ministero Ian Acheson, tutti gli incontri sessuali sarebbero stati consenzienti, ma i due funzionari hanno abusato della loro posizione di potere, in particolare con una detenuta mentalmente disturbata. Direttore e primo funzionario sono stati, quindi, sospesi dal servizio e potrebbero essere condannati a diversi anni di carcere per abuso di potere all’interno del carcere britannico. Dal canto loro, i due respingono le accuse.