Giustizia: un anno in stato di emergenza, ma la situazione delle carceri non migliora www.rassegna.it, 4 gennaio 2011 Il bilancio della strage nei penitenziari italiani: stesse cifre del 2009, la situazione non migliora. Primo morto del 2011 colpito in cella da un infarto. 23mila posti in più della capienza regolamentare, il sindacato ad Alfano: “Faccia una riforma vera”. Nel 2010 sono stati 65 i detenuti suicidi nelle carceri italiane. Lo ha riferito nei giorni scorsi l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria. Facendo il bilancio dell’anno scorso, per l’ennesima volta l’organizzazione ha lanciato l’allarme: “Il governo e il ministro Alfano - si legge in una nota - garantiscano, con il nuovo anno, l’avvio di una vera riforma del sistema carcerario”. Il numero dei suicidi in cella è pari a quello del 2009. La situazione dunque non migliora, fa notare il sindacato. “Ci vuole uno scatto in più - spiega il segretario generale, Leo Beneduci. Alla vigilia del nuovo anno chiediamo al Guardasigilli, alla politica e alla società civile di tenere alto il livello d’attenzione su una situazione non certo facile e su fenomeni tragici”. Il dicastero, a suo giudizio, deve riprendere “al più presto il dialogo con le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria: 23mila detenuti in eccedenza, infatti, su una tollerabilità oramai non più sostenibile, condizionano comunque un bilancio, che senza l’intervento esperto degli addetti del corpo sarebbe stato molto più grave”. E intanto arriva il primo decesso del 2011. Un detenuto foggiano di 35 anni, Salvatore Morelli, è stato trovato morto all’alba dell’1 gennaio nella sua cella nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce. A stroncargli la vita con ogni probabilità è stato un infarto. Lo riferiscono oggi (3 gennaio) fonti di agenzia. Un compagno di cella ha avvertito gli agenti, è stato vano ogni tentativo di rianimarlo da parte da parte dei medici. L’uomo soffriva di cardiopatia. Nel nostro paese a fine 2010 è stata superata la soglia di 69mila detenuti, contro una capienza regolamentare di 45mila. Giustizia: Osapp; i problemi delle carceri restano, anche con Piano Ionta e ddl Alfano Adnkronos, 4 gennaio 2011 “Si sbaglia di grosso chi dovesse ritenere superati i problemi del sistema penitenziario” con il piano di edilizia predisposto dal capo del Dap Franco Ionta e grazie al cosiddetto ddl svuota - carceri che dallo scorso 16 dicembre consente la detenzione domiciliare ai condannati con una pena residua inferiore ad un anno. Lo fa notare il sindacato penitenziario Osapp, che spiega come il piano - carceri “che dovrebbe realizzare 10.000 posti - detenuto in più entro dicembre 2012 è solo alle fasi iniziali in meno di un terzo delle regioni previste (Marche, Sicilia, Friuli, Veneto e Bolzano)”. Il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, afferma che “rispetto ai 4.000 ristretti con pena residua inferiore ai 12 mesi che dovrebbero ultimare la detenzione nel proprio domicilio, ad oggi, ne sono usciti dal carcere solo poche centinaia, con buona pace di chi riteneva il provvedimento di legge un indulto mascherato”. Ieri erano 67.954 i detenuti presenti in carcere per non oltre 45.000 posti disponibili, contro i circa 69mila alla fine dello scorso novembre. “Tenuto conto dei permessi premio e di necessità concessi durante le festività natalizie e di fine anno”, questi dati per l’Osapp “dimostrano che anche negli ultimi 15 giorni la crescita della popolazione detenuta si è mantenuta sullo standard di 200 unità a settimana, mentre i 2.600 agenti di polizia penitenziaria che dovranno essere assunti quest’anno rappresentano circa il 30% delle attuali carenze di organico e senza tenere conto dei 1.000 pensionamenti nello stesso periodo”. E il ministro della Giustizia Alfano, conclude l’Osapp, “appare lontano e in altre faccende affaccendato”, mentre servirebbe un “referente politico concreto” in grado di cogliere disagi e sofferenze della polizia penitenziaria e di “affrontare riforme oramai irrinunciabili”. Giustizia: caso Castro; i familiari, Antigone e A Buon Diritto chiedono nuova autopsia Redattore Sociale, 4 gennaio 2011 Lo chiedono le associazioni insieme ai familiari del diciannovenne incensurato morto nel carcere di Catania il 28 marzo 2009, in un esposto depositato presso la Procura della Repubblica. “Eclatanti contraddizioni nell’indagine”. Una nuova autopsia sul corpo di Carmelo Castro per chiarire le ragioni della sua morte in carcere, avvolta da troppi dubbi sulle indagini e sugli orari che non coincidono. È quanto chiedono le associazioni Antigone e A Buon Diritto in un esposto depositato presso la Procura della Repubblica di Catania per accertare le cause della morte del diciannovenne incensurato deceduto in carcere il 28 marzo 2009 presso la Casa Circondariale Piazza Lanza di Catania dopo soli quattro giorni dall’arresto in seguito ad una rapina in una tabaccheria di Biancavilla in Sicilia. Per gli atti si è trattato di suicidio e il caso è stato archiviato lo scorso 27 luglio, ma per i familiari e le associazioni, la vicenda ha troppe zone d’ombra. “L’esposto evidenzia eclatanti contraddizioni e lacune presenti nell’indagine - spiegano. Sono state portate alla luce circostanze che non sono state oggetto di indagine o che non sono state debitamente approfondite”. Sintesi dei fatti. Il 24 marzo 2009 Carmelo Castro viene prelevato dalla propria abitazione dai Carabinieri. Dopo essere stato nella caserma di Biancavilla e quella di Paternò, viene trasferito nella Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza e sottoposto al regime di “grandissima sorveglianza”. Carmelo è accusato di aver preso parte, insieme ad altre due persone, ad una rapina nei confronti di un tabaccaio della zona. Quattro giorni dopo l’arresto, il diciannovenne incensurato muore e secondo la “versione ufficiale” il decesso del ragazzo sarebbe avvenuto “per asfissia da impiccamento” con un lenzuolo attaccato allo spigolo della branda della sua cella. Le richieste. Tre i supplementi di indagine richiesti dalle associazioni e dalla famiglia della vittima. La prima chiede di verificare cosa è accaduto nella caserma dei carabinieri di Paternò. Secondo i familiari, infatti, il giorno dell’arresto Carmelo è in perfette condizioni di salute, ma all’uscita della caserma di Paternò, Carmelo appare col volto gonfio. I familiari affermano di aver sentito le urla e il pianto di Carmelo mentre erano nella sala d’attesa della caserma. Quando riescono a vederlo, dopo qualche ora, riescono soltanto ad avvicinarsi a lui notando “il suo volto notevolmente gonfio e pestato”. “Tali fatti non sono mai stati oggetto di indagine - denunciano le associazioni. Con l’esposto si chiede la disposizione di una nuova perizia sul corpo di Carmelo Castro considerato che quella già effettuata non era volta a verificare l’eventuale presenza di segni di atti di violenza perpetrati i giorni precedenti al decesso ma era stata disposta esclusivamente per accertare la compatibilità dell’ipotesi suicidaria con “causa, epoca e mezzi della morte”. A sostegno della necessità di una nuova perizia, aggiungono le associazioni, anche la fotografia scattata a Carmelo Castro il giorno 25.03.2009 alle ore 2.05, nel momento dell’ingresso in carcere: “si evince chiaramente che il giovane aveva subito atti di violenza, infatti il volto appare evidentemente gonfio e livido”. La seconda richiesta riguarda quel che è accaduto nel carcere di Piazza Lanza. “Il 26 marzo 2010 - ricostruiscono le associazioni - , la madre di Carmelo Castro e la sorella, Agatuccia Castro, assieme alla sorella della madre, si recano presso la Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza per incontrare Carmelo, ma il colloquio gli viene negato in quanto gli Agenti di polizia penitenziaria riferiscono che il giovane si trovava in “isolamento”. La disposizione in isolamento giudiziario, con divieto di incontro con gli altri detenuti, spiegano le associazioni Antigone e A Buon Diritto, non è stata rintracciata tra gli atti di indagine. Non solo. Secondo il documento delle due associazioni, dal verbale del colloquio di primo ingresso emerge “che Castro temeva possibili ripercussioni sulla sua persona in quanto aveva riferito all’Autorità inquirente che i suoi coimputati lo avevano “minacciato e costretto a delinquere”. Nella relazione post-mortem, infine, viene riportato che dai colloqui non sarebbero emersi “sintomi che potevano presagire in alcun modo gesti anticonservativi” mentre dal breve verbale redatto dopo l’incontro, sono riportate le seguenti frasi: “prima aveva subito violenze”. La terza richiesta di indagine riguarda la morte di Carmelo, certificata nel verbale di Pronto soccorso dell’Ospedale Garibaldi di Catania dove si afferma che sarebbe giunto cadavere alle ore 12.30 del 28 marzo. Ma è proprio sugli orari che associazioni e familiari chiedono chiarimenti. Secondo gli atti, spiegano le associazioni, il corpo agonizzante di Carmelo sarebbe stato trovato alle ore 12.20, dall’Assistente capo durante un giro di controllo in tutto il reparto affermando di averlo trovato “all’impiedi con il lenzuolo in dotazione attorniato al collo con un nodo”. Una versione dei fatti che Antigone mette in dubbio anche grazie a quanto emerso da una recente visita di un osservatore della stessa associazione presso il carcere di Catania Piazza Lanza che “ha accertato che i letti a castello delle celle del Reparto Nicito sono alti circa 170 cm. Questa circostanza è un’ulteriore conferma dei dubbi avanzati nell’esposto: considerato che Carmelo Castro era alto 175 cm è necessario capire come si sia potuto suicidare appeso ad un letto a castello meno alto di lui”. Ma sono gli orari a non tornare. “L’Assistente Lo Nero avrebbe sentito l’allarme alle ore 12.25 - spiegano - ed il dott. De Luca avrebbe rinvenuto il corpo alle ore 12.35. Questi orari sono del tutto inconciliabili con il verbale del pronto soccorso che indica le ore 12.30 come orario dell’arrivo del corpo di Carmelo Castro”. “Dinnanzi alle ripetute stranezze e incongruenze dei fatti così come ricostruiti sulla base degli atti raccolti, risulta del tutto incomprensibile la scelta dell’Autorità inquirente di non voler sentire il medico, dott. De Luca, di non sentire qualcuno dei numerosi agenti di polizia penitenziaria intervenuti a seguito del ritrovamento del cadavere di Castro o quanto meno sentire l’Assistente Capo Salvatore Brafa Musicoro che è colui che avrebbe dato l’allarme dopo aver trovato il corpo suicida di Castro. A queste omissioni, si aggiunge la mancata disposizione del sequestro della cella e del lenzuolo con cui Castro si sarebbe impiccato”. Tre interrogazioni parlamentari. Sulla vicenda di Carmelo Castro, inoltre, sono state presentate tre interrogazioni parlamentari al Senato. La prima dal Senatore e Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres il 6 maggio 2010, la seconda dal Senatore Felice Casson il 12 maggio 2010, la terza ancora dal Senatore Fleres, il 15 settembre 2010. Nessuna di questa, però, a fino ad oggi avuto una risposta. Giustizia: Carmelo Castro è morto in carcere a 19 anni, ma il suo “suicidio” non convince La Repubblica, 4 gennaio 2011 Non la convinceva l’ipotesi di suicidio con la quale era stata “liquidata” e “archiviata” la morte del figlio Carmelo Castro, deceduto il 28 marzo 2009 a soli 19 anni nella Casa Circondariale di Catania di Piazza Lanza, dopo soli quattro giorni dal suo arresto. Ora, infatti, Grazia La Venia, madre del diciannovenne, affatto soddisfatta dalle spiegazioni allora addotte, vuole vederci chiaro e, supportata dal proprio legale Vito Pirrone e dall’Associazione Antigone, chiede la riapertura del caso, archiviato il 27 luglio del 2009. Il giovane incensurato, finito in manette con l’accusa di aver preso parte, insieme ad altre due persone, ad una rapina ai danni di un tabaccaio, era stato trovato impiccato con un lenzuolo, che lui stesso avrebbe attaccato allo spigolo della branda della sua cella. L’impiccagione dunque sarebbe all’origine della “morte per asfissia”, come recita la relazione di servizio. Sebbene sulla vicenda della morte di Carmelo Castro, fino ad ora, siano state presentate tre interrogazioni parlamentari al Senato, nessuna di queste ha ottenuto una risposta. Allo scopo di accertare una volta per tutte le cause all’origine del decesso del diciannovenne, L’Associazione Antigone e l’Associazione A buon diritto di Luigi Manconi hanno quindi depositato un esposto presso la Procura di Catania in cui, evidenziando “ le eclatanti contraddizioni e le lacune” che caratterizzano le indagini, ne chiedono la riapertura. Troppe, infatti, le ombre, le incongruenze e i punti poco chiari che emergono dalla ricostruzione degli eventi e dalla lettura degli atti, a partire dalla presenza di lividi sulla schiena e sugli arti di Castro, dal suo viso gonfio, fino alle urla del ragazzo, udite dalla madre e dalla sorella rimaste per diverse ore dopo l’arresto in una piccola stanza della caserma adibita a sala di attesa. Elementi questi che non collimano o comunque non spiegano l’ipotesi di suicidio. Inoltre, si legge nell’esposto, “Nel corso delle indagini preliminari non è stato disposto il sequestro della cella, né del lenzuolo con il quale Castro si sarebbe impiccato. A questo, si aggiunga che non è stato sentito nessuno del personale di polizia penitenziaria intervenuto, né il detenuto che avrebbe portato il pranzo a Castro e che sarebbe l’ultima persona ad averlo visto ancora da vivo”. Ma l’associazione si è spinta oltre, arrivando a chiedere la riesumazione del cadavere per accertare, se ancora possibile, eventuali tracce del “pestaggio cui, secondo la denuncia della famiglia, sarebbe stato sottoposto nella caserma dei carabinieri e che sono visibili dalla stessa foto segnaletica”. Giustizia: caso Battisti; continua battaglia giudiziaria, dopo la mancata estradizione Ansa, 4 gennaio 2011 Oggi, al sit-in piazza Navona, per chiedere l’estradizione dal Brasile di Cesare Battisti partirà una petizione in cui si chiederà al Parlamento europeo di tutelare i principi di giustizia e di memoria delle vittime di Cesare Battisti. “L’europarlamentare Marco Scurria ha già dato la sua disponibilità a raccogliere altre adesioni di colleghi e a consegnarla nella mani del Presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek”: è quanto annunciano gli organizzatori del sit-in autorizzato dalla Questura di Roma Lorenzo Loiacono e Riccardo Corsetto, rispettivamente coordinatore romano e responsabile giovanile del “Movimento per l’Italia con Daniela Santanché”, in una nota congiunta con Fabio Sabbatani Schiuma, coordinatore regionale e componente dell’esecutivo romano del Pdl. “Il Brasile - continua la nota - ha effettivamente violato il trattato con l’Italia, negando l’estradizione di un cittadino condannato per omicidio, facendo su ipotetiche persecuzioni cui potrebbe andare incontro, se rimpatriato, chi è stato condannato per reati politici e più in generale se vi è fondato motivo di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta a pene o trattamenti che comunque configurano violazione dei diritti fondamentali: tali argomentazioni offendono i principi di giustizia e l’Italia intera con il suo sistema democratico”. La richiesta dell’Avvocato dell’Italia L’avvocato che rappresenta il governo italiano nel processo di estradizione di Cesare Battisti, Nabor Bulhoes, ha depositato intorno alle 16.30 di oggi una richiesta per il ricorso contro la richiesta di scarcerazione presentata ieri alla Corte Suprema (Supremo Tribunal Federal, Stf) da parte degli avvocati che difendono l’ex membro dei Pac (Proletari armati per il comunismo). I legali dell’ex terrorista, hanno riportato gli organi di informazione brasiliani, chiedono l’immediata liberazione del cliente. La difesa di Battisti ha argomentato che l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva (Pt) ha deciso il 31 dicembre, nell’ultimo giorno del suo mandato, di negare l’estradizione dell’ex attivista in Italia. La documentazione del rilascio, a parere degli avvocati, potrebbe essere immediatamente prodotta dal presidente della Corte Suprema Federale del Brasile, Cezar Peluso, che è in servizio in tribunale. Ma l’avvocato del governo italiano sosterrà che soltanto la plenaria della Corte Suprema, che si riunirà a febbraio, possiede l’autorità di concedere tutte le autorizzazioni necessarie a un eventuale rilascio. Secondo Bulhoes, la plenaria della Corte, nel decidere l’anno scorso a favore della sua estradizione, ha contestualmente deciso di mantenerlo in carcere. Pertanto, per annullare questa detenzione, sarebbe competente esclusivamente questo organismo. Non c’è un accordo di estradizione fra Brasile e Ue Il caso Battisti è di natura bilaterale, e non c’è margine per un’iniziativa a livello comunitario per convincere le autorità brasiliane a estradare l’ex terrorista dei Proletari armati per il Comunismo (Pac), condannato in Italia all’ergastolo per aver partecipato a diversi omicidi. È quanto ha affermato, in sostanza, oggi a Bruxelles, un portavoce della Commissione europea, parlando a nome dell’Alto rappresentante per la Politica estera comune, Catherine Ashton. “Si tratta - ha detto il portavoce, Michael Mann, rispondendo a un cronista durante il ‘briefing’ quotidiano della Commissione - di una questione bilaterale fra Brasile e Italia, quindi non di competenza dell’Ue. Spetta a Brasile e Italia decidere”. Più tardi, a margine del briefing, il portavoce ha spiegato che “non ci sono accordi di estradizione fra il Brasile e l’Ue, e quindi l’Ue non ha la competenza per intervenire”. Il portavoce (che sostituisce temporaneamente la collega titolare, ancora in vacanza) ha detto anche di non essere al corrente di alcuna iniziativa dell’Italia per sollecitare la solidarietà degli altri Stati membri e far salire al livello europeo la pressione sulle autorità brasiliane. Lettere: la “non estradizione” di Battisti, per l’applicazione di motivi umanitari di Sandro Padula Lettera alla Redazione, 4 gennaio 2011 Un clima sereno e ragionevole è quello che avrebbe dovuto esserci dopo la decisione di Lula di non concedere l’estradizione di Cesare Battisti. Al contrario, abbiamo sentito l’odio del tutto irrazionale di diversi opinionisti italiani che neppure conoscono il parere dell’Avvocatura Generale dell’Unione su cui si è basata la scelta del Presidente della Repubblica del Brasile. Qualcuno, come Claudio Magris sul Corriere della Sera del 2 gennaio, è arrivato al punto di scrivere che Cesare Battisti avrebbe “ucciso quattro persone e reso invalida per sempre una quinta”. Qualcun altro, come Maria Lombardi sul Messaggero del 31 dicembre, ha intervistato Alberto Torreggiani, figlio del gioielliere Pierluigi Torreggiani ucciso dai Pac il 16 febbraio 1979 in una sparatoria nella quale il Battisti non era nemmeno presente, come se fosse stata una vittima dello stesso Battisti e non una persona rimasta invalida nelle gambe, proprio da quel medesimo giorno, perché ferita involontariamente dal padre. Il problema non è comunque la gravità dei reati compiuti da Battisti. Se al suo posto, tanto per fare una ipotesi, ci fosse stato un cinquantaseienne condannato all’ergastolo in maniera definitiva per una delle stragi (in realtà sempre sostanzialmente impunite) avvenute in Italia fra il 1969 e il 1980, oggi probabilmente, a distanza di troppi anni, non esistendo l’ergastolo in Brasile e stante la non più giovane età della persona richiesta, l’Avvocatura generale dell’Unione avrebbe dato parere contrario all’estradizione. L’Avvocatura generale dell’Unione ha ragionato in termini materialistici e non ideologici: anche l’eventuale commutazione dell’ergastolo in una pena detentiva di 30 anni avrebbe corrisposto, nella situazione concreta, ad una pena detentiva perpetua per chi, come Cesare Battisti, oggi ha 56 anni. E la pena detentiva perpetua è considerata folle in molti paesi del mondo, Brasile compreso! La Costituzione brasiliana e il trattato fra Brasile e Italia in tema di estradizione concedono un margine di discrezionalità al Presidente della Repubblica del Brasile che, nel caso Battisti, ha deciso sulla base del parere dell’Avvocatura generale dell’Unione e quest’ultima, a sua volta, ha ragionato sulla scia di una tradizione giuridica che si richiama al pensiero criminologico umanitario dell’italiano Luigi Ferrajoli ( Diritto e ragione, teoria delle garanzie penali, São Paulo: RT, 2006, p. 195. Traduzione di Anna Sica Zomer Paolo, Choukr Hassan Fauzi, Juarez e Luis Flávio Gomes Tavares). Nella mentalità giuridica brasiliana, e nel più avanzato diritto contemporaneo, è inconcepibile che una richiesta di estradizione, come quella nei confronti di Cesare Battisti, sia argomentata soprattutto per dare giustizia alle vittime, o meglio ai figli delle vittime. Lo Stato non dovrebbe far propri eventuali sentimenti di vendetta. Dovrebbe essere giusto, equilibrato e umano sia con i responsabili dei reati che con i parenti delle vittime. Secondo l’Avvocatura generale dell’Unione è stato un grave errore il fatto che alcuni uomini politici e giornali italiani abbiamo costruito una campagna ideologica contro l’eventuale rigetto della richiesta di estradizione di Cesare Battisti. In altri termini, tutti coloro che hanno parlato a sproposito del caso Battisti si sono assunti la responsabilità politica di fomentare un populismo penale italiota e analfabeta che al Brasile non è piaciuto per niente. L’Italia però, come tutti sanno, presenta pure un filone di pensiero libertario e garantista che viene studiato in tutto il mondo. Non a caso il nostro paese è stato all’avanguardia nella lotta mondiale contro la pena di morte, una pena che esiste ancora in grandi paesi come gli Usa e la Cina. A questo punto però, a differenza della dichiarazione rilasciata a Il Riformista del primo gennaio dall’ex piellino Sergio D’Elia secondo cui “la nostra classe politica sta ragionando secondo la logica parabrigastista del “colpirne uno”, e cioè Cesare Battisti, per assolverne cento”, non si tratta di fare degli idioteschi paragoni fra l’attuale classe politica e i militanti delle Br degli anni 70 con il loro “colpiscine uno, educane cento”, anche perché - fra le altre cose - decine di ex brigatisti rossi come il sottoscritto sono ancora in carcere. Perfino dopo ben oltre 32 anni di prigionia, ad esempio nel caso di Vincenzo Gagliardo. Non si tratta nemmeno, sempre a differenza di quanto afferma D’Elia, di lanciare frasi generiche sul fatto che il carcere sarebbe una tortura. Questa idea, in apparenza libertaria e rivoluzionaria, è inesatta e risulta utile proprio a coloro che hanno torturato e torturano sapendo che in Italia non esiste il reato di tortura! Il carcere, da circa tre decenni, è oggettivamente un sistema di torsione premiale, cioè un dispositivo di torsione psico-fisica che premia i “pentiti” e gli abiuranti con grandi sconti di pena detentiva e punisce tutto il resto. Di conseguenza è necessario lottare soprattutto per abolire le lunghe pene carcerarie, a partire dall’ergastolo perché, come ben sapeva Cesare Beccaria, la pena di schiavitù perpetua è qualcosa di infinitamente peggiore della pena capitale in quanto è distillata giorno per giorno ed ora per ora. Su questo bisognerebbe discutere, con serenità e intelligenza. E soprattutto col più totale rispetto verso gli oltre 1.400 ergastolani presenti in Italia! Lettere: l’orrore del presente carcerario e lo sguardo di Primo Levi di Alberto Capitta La Nuova Sardegna, 4 gennaio 2011 I dati che ci giungono dalle carceri riferiti al 2010 non sono dei più confortanti: su 69 mila detenuti 15 mila sono i tossicodipendenti, 100 sono le morti naturali dovute per lo più a malattie croniche curate male o ai lunghi deperimenti, 65 i suicidi, 1.000 i tentati suicidi, 6.000 i casi di autolesionismo. Poggioreale, Ucciardone, Regina Coeli, San Sebastiano, Buoncammino sono solo alcuni tra i campioni di cotanto primato. Il 20% dei reclusi soffre di patologie psichiatriche, molti sono affetti da Hiv e poi ci sono gli affetti da scabbia, quelli con la tubercolosi, quelli col cancro e così via. In carcere persino il più banale dei mal di testa può divenire un supplizio. Numerosi sono i detenuti dalle gengive semi vuote perché estrarsi i denti con mezzi di fortuna a volte è l’unico rimedio davanti alla disperazione per l’insolvenza di un medico che non arriva mai. Discarica, mattatoio, lazzaretto, chiamatela come volete la realtà del carcere. Realtà accettata e spesso sostenuta dalla popolazione esterna portata per natura a condividerne la funzione punitiva, come se la colpevolezza potesse giustificare la tortura e il disdoro. Solo al caldo della altrui colpa la coscienza ritrova la libertà di non interrogarsi. In questa logica anche il più odioso dei soprusi viene legittimato; si certifica per abitudine l’indegnità. E allora domandiamoci se sono uomini questi, costretti a dormire accanto alle loro latrine, mescolati ai topi, ridotti a parlare con le mosche o a lavarsi col proprio sudore; noi che la sera torniamo alle nostre tiepide case consideriamo se sono donne queste donne dal grembo gelato o queste altre che allattano al seno i loro piccoli carcerati. Il 2011 non sarà diverso purtroppo, alla fine ci vedrà ancora qui a raccontare la mala novella di quanto è bastato animo all’uomo di fare dell’uomo. Sardegna: Sdr; non ancora assegnati i 500mila euro per emergenza sanitaria nelle carceri Agi, 4 gennaio 2011 “Non è più tempo di palleggiarsi le responsabilità ma di restituire dignità e senso a chi si trova in stato di detenzione nei 13 istituti penitenziari dell’isola”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando che “i 500 mila euro messi a disposizione dalla Regione per far fronte all’emergenza sanitaria per i detenuti non sono stati ancora assegnati agli istituti. È evidente - rileva la presidente di Sdr - che non si può stare ad aspettare le comodità di coloro che non vivono la drammaticità di avere un parente ospite di una struttura penitenziaria. La situazione risulta più delicata e rischiosa in realtà come Buoncammino dove la presenza di un Centro diagnostico terapeutico, con una trentina di posti per detenuti con gravi patologie, richiede un’attenzione speciale. Deve essere infatti garantito un costante monitoraggio per evitare che da condizioni croniche si passi a situazioni critiche con necessità urgenti di ricoveri in ospedale quando non sono sufficienti neanche gli agenti di polizia penitenziaria per i piantonamenti”. “Chiedere tempestività al Governo è quindi necessario ma lo è altrettanto - osserva Caligaris - sollecitare la Regione ad attivare quelle azioni preliminari che consentano di attuare concretamente il passaggio della sanità alle Aziende Sanitarie Locali. Non si comprende perché non sia stato ancora attivato un tavolo di concertazione tra Regione e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. È urgente definire i referenti per ciascuna ASL individuando il punto di riferimento per ogni specialistica. Per Cagliari - Buoncammino si può pensare a una corsia preferenziale per le urgenze e alla definizione del servizio di guardia medica”. “È poi ancora del tutto in alto mare la questione delle professionalità mediche e infermieristiche che da decenni prestano servizio nel carcere cagliaritano. Risulta incontrovertibile l’individuazione di un nucleo stabile di medici e di infermieri garantendo così continuità nel servizio. Ciò va fatto però - conclude Caligaris - tenendo anche conto delle specializzazioni maturate nel tempo”. Frosinone: il Garante; morto detenuto di 53 anni, si indaga sulle cause del decesso Ansa, 4 gennaio 2011 Un detenuto italiano di 53 anni, Claudio A., è morto il 29 dicembre scorso nel carcere di Frosinone. Le cause della sua morte sono ancora da accertare. Lo ha reso noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Si tratta dell’undicesimo decesso (fra cui 4 suicidi) registrato nelle carceri della Regione nel 2010. Secondo le informazioni a disposizione dei collaboratori del Garante, è stata già effettuata una autopsia per stabilire le cause della morte, ma gli esiti dell’esame autoptico non sono stati ancora resi noti. Claudio A. era arrivato nel carcere di Frosinone il 6 dicembre scorso. Nato a Roma il 6 gennaio del 1958, l’uomo è morto nella sezione “transito”, dove era stato momentaneamente alloggiato al suo rientro dopo un permesso di quattro giorni accordato per le festività natalizie. Le sue condizioni di salute non erano ottimali: sembra, infatti, che soffrisse, tra le altre cose, di ipertensione, accusava problemi cardiaci ed ero sottoposto a terapie farmacologiche. “Al momento le autorità non ci hanno comunicato le circostanze in cui è maturata questa morte - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - ma spero che ci si attivi subito per sgomberare il campo da ogni dubbio. L’ennesima morte di un detenuto è la conferma della gravità della situazione nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento e la scarsità delle risorse, aggravano sempre più le condizioni di vita dei detenuti e compromettono la qualità del lavoro degli operatori”. Venezia: più processi per “direttissima”, per un carcere meno affollato di Antonio Franchini (presidente Camera Penale Veneziana) La Nuova Venezia, 4 gennaio 2011 La notizia di questi giorni della decisione di costruire un nuovo carcere a Campalto è di quelle che ti fanno sentire di appartenere ad un paese civile. Sembrava impossibile che, di fronte ad una situazione come quella del Carcere di Santa Maria Maggiore, con le bocche di lupo nelle celle, con il sovraffollamento selvaggio da paese del terzo mondo, con storie suicidiarie, con la sistematica violazione delle regole igieniche (un water in cella per 8 o 9 detenuti!), con il mancato rispetto dello spazio minimo per ogni detenuto (tre metri quadri), il governo nazionale, quello regionale, un sindaco illuminato come Giorgio Orsoni non intervenissero in nome di una democrazia liberale, che deve assicurare a chi delinque una pena certa, ma in condizioni di vita civile e con lo scopo costituzionale della rieducazione del condannato. Per non parlare dei detenuti in attesa di giudizio, presunti innocenti fino alla sentenza definitiva. I penalisti veneziani in questi anni hanno spesso protestato per le condizioni dei detenuti di Santa Maria Maggiore, condizioni che non dipendono certo dalla Direzione della struttura o dalle guardie penitenziarie, che fra mille sacrifici si trovano coinvolte nel degrado e nel sovraffollamento del carcere (243: numero fisiologico di detenuti - 363: attuali presenze) e continueranno a protestare con azioni sempre più incisive finché questa vergogna non sarà cancellata. Già 20 anni fa Nicolò Amato emise un decreto di chiusura del carcere di Santa Maria Maggiore, decreto che poi venne bloccato dalla giustizia amministrativa. Era un segnale ed un simbolo. Ora è necessario andare fino in fondo, senza incertezze o ripensamenti, perché non succeda che un dibattito infinito (del quale si avvertono i primi segnali) ritardi o, peggio, blocchi un’opera di giustizia e civiltà. Intanto, finché non sarà costruito il nuovo carcere, è comunque necessario intervenire urgentemente per alleviare una situazione che resta drammatica. Vi è, infatti, un dato impressionante che, fa capire come intervenire si possa e si debba. Nell’arco dell’anno 2010 i detenuti “in transito” sono stati più di 1000: costoro restano in carcere 3 - 4 giorni e poi vengono liberati per una serie di motivi tecnici (assoluzione o sospensione condizionale della pena nei processi per direttissima, mancate convalide degli arresti, ecc.). In realtà, se il Tribunale garantisse la celebrazione delle udienze di convalida e dei giudizi direttissimi entro 24 ore dall’arresto, questi detenuti potrebbero essere condotti direttamente davanti al Giudice senza transitare per il carcere, ma rimanendo in custodia presso le camere di sicurezza della Polizia o dei Carabinieri. Questi detenuti “provvisori” entrano invece in carcere con il risultato di un insostenibile aggravio numerico della popolazione carceraria e una moltiplicazione burocratica del tutto inutile. Le Autorità preposte (Procuratore della Repubblica, Questore, Comandante dei Carabinieri) devono urgentemente intervenire per mutare questa situazione. Nell’immediato non esistono altre ricette; per il futuro si chiuda finalmente Santa Maria Maggiore e si costruisca finalmente il nuovo carcere senza tentennamenti, senza se e senza ma. Cosenza: Sappe; sette detenuti in dodici metri quadri, in cella come le sardine Calabria Ora, 4 gennaio 2011 “Sette persone in una cella di 12 metri quadrati”. Non sarà il record italiano, ma non è certo una buona cosa. Un dato preoccupante sulla casa circondariale di Cosenza pronunciato ieri dal segretario generale aggiunto del Sappe (sindacato della Polizia penitenziaria), Giovanni Battista Durante. E in più Cosenza ospita 342 unità ma in teoria è in grado di sopportarne solo 209. Non è finita qui. A via Popilia c’è “un padiglione nuovo, inutilizzabile per carenza di personale” - tuona ancora il segretario. L’altro grande problema è l’eccessiva vicinanza di palazzi a più piani, che per solito non potrebbero essere costruiti così vicino a un penitenziario. Il sindacato già nel 2008 aveva inviato una lettera alle autorità competenti in cui segnalava l’anomalia. Ma nulla si è mosso. Sulla possibilità di costruire un nuovo carcere a Montalto Uffugo si è espresso il segretario regionale del Sappe, Damiano Bellucci: “È una voce infondata, non c’è nessun progetto”. Grafici, numeri, gente che racconta la difficoltà di amministrare un penitenziario. Nel 2006, dopo l’indulto, i detenuti in Calabria erano 2.340. Un trend positivo che negli anni è cambiato vorticosamente. In media nel novembre scorso la cifra ha toccato quota 3.290. L’unica soluzione all’orizzonte è la depenalizzazione dei reati minori e l’aumento del personale di Polizia giudiziaria. Il grido del sindacato è: basta straordinari, servono nuove assunzioni. Nella conferenza stampa di ieri nel carcere di via Popilia nessuno ha premuto il grilletto contro il governo. Ma è evidente che dietro questa crescita esponenziale della popolazione carceraria c’è una politica di depenalizzazione di reati anche gravi (vedi falso in bilancio) e un accanimento contro i reati minori. La dittatura dei media e delle elezioni permanenti impone la mano pesante anche contro chi sbaglia perla prima volta e per poco. L’altra grande battaglia, come fa notare, Durante “è l’utilizzo necessario di pene alternative alla detenzione”. Reggio Emilia: celle al gelo durante la notte, i volontari portano berretti di lana per i detenuti Il Resto del Carlino, 4 gennaio 2011 I termosifoni sono accesi soltanto dieci ore su 24 e le volontarie lavorano a maglia per riscaldare i carcerati. Detenuti al fresco, in tutti i sensi. Tra i volontari che danno un supporto esterno al carcere di via Settembrini ci sono donne che, in questi giorni, sferruzzano per confezionare berretti di lana da consegnare ai detenuti infreddoliti. Il motivo? Alla Pulce la notte fa molto freddo. I termosifoni infatti sono accesi soltanto dieci ore su 24. Lo stabilisce il contratto con la ditta fornitrice di calore tramite il teleriscaldamento. E quando si va sotto zero, nelle celle il gelo si sente. Al punto che tra i detenuti c’è chi protesta. E se si indaga sui motivi del “riscaldamento ridotto”, due sono le versioni che vengono alla luce: la prima - fonte sindacale - vuole che il risparmio sul calore sia uno degli effetti dei tagli dell’ultima Finanziaria, la seconda - direzione - dice che non sarebbe una novità: il problema si era posto già l’anno scorso. Dalla direzione della casa circondariale, da noi interpellata ieri, giungono rassicurazioni: il problema verrà affrontato quanto prima per trovare una soluzione. Non si capisce, infatti, perché nel carcere di Modena il problema del freddo nelle celle non esista e a Reggio sì. Venezia: l’Open Design Italia 2010 premia il Progetto “Design in gabbia” Redattore Sociale, 4 gennaio 2011 A Venezia quattro designer organizzano un laboratorio con 40 detenuti della casa circondariale Santa Maria Maggiore per creare borse, grembiuli, pouff e accessori da parete in cotone. Il progetto premiato alla mostra internazionale Open Design Italia 2010 Il lavoro di 40 detenuti, 8 mesi di lezioni insieme a designer di alto livello come Raffaella Brunzin e Anthony Knight, la collaborazione dello studio Imegadito e della cooperativa sociale Rio terà dei pensieri di Venezia. Questi gli ingredienti che hanno reso possibile l’elaborazione di un progetto di design di successo premiato a Modena durante il primo festival internazionale di design autoprodotto. Punto vincente di “Design in gabbia” secondo la giuria è “l’unione tra progetto e metaprogetto, ovvero la capacità di ottenere un buon risultato di design attraverso un buon progetto sociale”. “L’idea di Design in gabbia è nata nel marzo 2009 - racconta Raffaella Brunzin, una delle artiste che ha pensato il progetto - Abbiamo poi ottenuto un finanziamento dalla Regione Veneto per iniziative socioeducative a favore di persone detenute negli istituti penitenziari”. Gli artisti nelle prime lezioni hanno coinvolto i detenuti nella fase creativa partendo dalla condizione di essenzialità in cui sono costretti a vivere per il periodo della pena. “Abbiamo prodotto un grembiule da cucina o da lavoro, una shopping bag, un pouf, un pannello multiuso da parete - spiega Brunzin - tutti oggetti attrezzabili con accessori applicabili grazie a un sostegno in velcro acquistabili singolarmente: i nostri prodotti sono disponibili in diverse librerie e negozi d’arte a Venezia e si possono ordinare attraverso il nostro sito”. Ora concluso il percorso formativo, quattro detenuti che lavorano in carcere hanno il compito di produrre gli oggetti che vengono ordinati. Il progetto prevede che il ricavato venga reinvestito per finanziare le attività della cooperativa di detenuti e volontari Rio terà dei pensieri specializzata in corsi di formazione professionale in carcere. Frosinone: sventato il tentativo di evasione di un detenuto ricoverato in ospedale Dire, 4 gennaio 2011 Gli agenti di Polizia Penitenziaria nella notte di domenica scorsa hanno sventato un tentativo di evasione messo in atto da un detenuto ricoverato presso l’ospedale di Frosinone. Lo fa sapere in una nota la segreteria provinciale Uilpa Penitenziari di Frosinone, spiegando che il detenuto la sera di sabato è stato accompagnato presso il pronto soccorso della struttura ospedaliera cittadina e nella serata di domenica ha chiesto lui stesso le dimissioni dalla degenza. Durante le procedure per le sue dimissioni, già ammanettato, è riuscito a divincolarsi dagli agenti e a superare la porta di emergenza lanciandosi per le scale, venendo però immediatamente bloccato dagli stessi agenti che lo hanno ricondotto nella cella del carcere. “Fortunatamente nessuno” ha riportato “lesioni o ferite”, spiega la nota, “ma il fattore sicurezza nella gestione dei detenuti nei nosocomi rimane sempre un fatto insoluto e che dovrebbe richiedere più attenzione dall’Amministrazione Penitenziaria che dovrebbe trovare intese con le Aziende Sanitarie Locali per la locazione in sicurezza dei detenuti degenti”. Già esistenti le strutture di Roma e Viterbo, per la Uilpa Penitenziari “rimangono ancora inevase le strutture di Frosinone dove tra l’altro la presenza dei detenuti in ambito cittadino superano abbondantemente la quota di 500 presenze”. La segreteria auspica quindi “che l’Amministrazione penitenziaria a partire dalla Direzione, si attivino a risolvere con urgenza quanto necessario per la ubicazione in sicurezza dei detenuti degenti”. Porto Azzurro: spedizione punitiva nei confronti di un detenuto si trasformata in una rissa Il Tirreno, 4 gennaio 2011 Una spedizione punitiva nei confronti di un detenuto che si è trasformata in una rissa. Quindici le persone coinvolte e la vittima dell’aggressione, un nordafricano di 35 anni, finito in ospedale con diverse contusioni e un sospetto trauma cranico. L’ennesimo episodio violento dentro le mura di Forte San Giacomo è accaduto ieri pomeriggio intorno alle 14. Il copione è praticamente lo stesso dell’aggressione di quindici giorni fa: ancora una spedizione punitiva nei confronti di un detenuto e, come allora, nella quattordicesima sezione del terzo reparto dell’istituto dove vengono sistemati i nuovi arrivati. Fortunatamente ieri pomeriggio non sono rimasti coinvolti agenti della penitenziaria, come in occasione della rissa di due settimane fa. I poliziotti sono subito intervenuti per mettere fine al pestaggio ma senza subirne conseguenze. Né sembrerebbero gravi le condizioni del detenuto accompagnato in ospedale da un’ambulanza della Pubblica assistenza di Porto Azzurro e tutt’ora ricoverato sotto la stretta sorveglianza degli agenti. Rimane la gravità dell’accaduto reso ancora più significativo dal fatto che nel reparto dove si è verificata la rissa sono tutt’ora presenti i carcerati protagonisti dell’aggressione dello scorso 16 dicembre i quali, nonostante le richieste, non sono stati trasferiti in altro istituto. “Quanto accaduto - affermano i delegati dei sindacati Sinappe e Fsa - Cnpp - conferma che la situazione è ormai insostenibile”. Due settimane fa Sinappe e Fsa - Cnpp avevano scritto ai vertici dell’amministrazione penitenziaria denunciando le gravi condizioni di lavoro degli agenti in servizio a Porto Azzurro. Ma al momento nessuno è intervenuto né ha risposto agli appelli del sindacato. “Cosa dobbiamo ancora aspettare? - si chiede Aldo Di Giacomo del Sappe - che succeda qualcosa di grave a un agente o a un detenuto? Da carcere migliore d’Italia Porto Azzurro si sta trasformando nel peggiore. Chiederò con forza un intervento dell’amministrazione”. Immigrazione: nuovo “decreto flussi”; procedure impossibili per scoraggiare chi vuole integrarsi L’Unità, 4 gennaio 2011 È stato pubblicato il decreto flussi 2010 - 2011 e il 31 gennaio ci sarà il primo “click day” tra i tre previsti. (Si noti: chi non possa accedere a un collegamento internet rimane definitivamente escluso) 98.080 assunzioni così ripartite: 52.080 posti per lavoratori provenienti da paesi che hanno firmato con l’Italia accordi di cooperazione in materia di immigrazione e senza alcuna restrizione sul tipo di attività lavorativa da svolgere; 30.000 posti destinati all’assunzione di colf e badanti non provenienti dai paesi del primo gruppo; 16.000 per richieste di conversione e per ingressi particolari. Che dire? Palesemente, siamo in presenza di un flusso di dimensioni ben al di sotto delle esigenze del nostro sistema economico, tanto più che gli ultimi ingressi risalgono al 2008. E così evidente risulta lo scarto tra fabbisogno di manodopera ed entità dei flussi che si sono aggiunti 30mila ingressi riservati esclusivamente a quelle figure professionali (colf e badanti) che appaiono, per un verso, “più indispensabili” e, per l’altro verso, meno concorrenziali con la manodopera nazionale. D’altra parte, restano le due fondamentali incongruenze di questo tipo di politica: l’abbandono alla irregolarità di decine e decine di migliaia di lavoratori, esclusi dalla sanatoria del 2009 limitata al solo lavoro domestico; e il fatto che per quanti, tra questi ultimi, oggi irregolari, volessero rientrare nei flussi, sarebbe necessario tornare nel paese di origine e, da qui, ottenere il nulla osta per l’ingresso in Italia. Insomma, come sempre, le procedure relative all’immigrazione si confermano come sistemi macchinosi e pesanti, sempre tesi a scoraggiare e a demotivare, piuttosto che a favorire lineari processi di integrazione. Iran: il Governo non cede a pressioni Germania su giornalisti arrestati Aki, 4 gennaio 2011 L’Iran non cederà al pressing della Germania per il rilascio dei giornalisti tedeschi della Bild am Sonntag arrestati il 10 ottobre scorso insieme al figlio di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte per adulterio, ed al suo avvocato di allora. Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast, ha detto che la Repubblica Islamica non si arrenderà davanti alle pressioni tedesche per il rilascio dei due reporter detenuti, accusati di essere entrati nel paese come turisti e di non avere l’autorizzazione necessaria per svolgere il lavoro giornalistico. Intanto ieri la stessa Sakineh parlando alla stampa dal carcere di Tibriz dove è detenuta ha chiesto al figlio di citare in giudizio i due giornalisti tedeschi che lo hanno intervistato; il suo ex legale, Mohammad Mostafai; la responsabile della Ong tedesca anti - lapidazione, Mina Ahadi e il presunto killer del marito, Issa Taheri. Il figlio di Sakineh era stato rilasciato dopo due giorni dall’arresto dopo il pagamento di una cauzione. La Germania ha avviato una forte mobilitazione per la scarcerazione dei due connazionali ed ha lanciato un appello che è stato firmato da centinaia di nomi illustri, tra cui quello del cancelliere Angela Merkel e della star del calcio Phillipp Lahm. India: ergastolo per un noto attivista dei diritti umani accusato di eversione Ansa, 4 gennaio 2011 Il 24 dicembre scorso, nel corso di una sessione del Tribunale di Raipur nello Stato Indiano di Chhattisgarh, il dottor Binayak Sen è stato giudicato colpevole di eversione e complotto. L’uomo, noto attivista a sostegno dei diritti civili, è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di complicità con i ribelli maoisti. Il dottor Sen è pediatra e vice presidente dell’associazione Peoplès Union for Civil Liberties. La sua figura è molto popolare tra le comunità tribali di Chhattisgarh; è dal 1981 che il dottore si batte per l’estensione dell’assistenza sanitaria anche alle popolazioni tribali e rurali più povere. Il 14 maggio del 2007 era stato arrestato con l’accusa di fare da corriere tra Narayan Sanyal, leader dei naxaliti detenuto in carcere, e l’uomo d’affari Piyush Guha, anche lui accusato di complicità con i maoisti. Sen, che [per quell’accusa] ha trascorso in cella due anni, era stato rilasciato su cauzione nel 2009 in seguito a una decisione della Corte Suprema. Nel corso di quei due anni erano stati lanciati numerosi appelli per la sua liberazione, da Amnesty International, Noam Chomsky e molte altre figure di rilievo, tra le quali 22 vincitori del premio Nobel. Stati Uniti: Obama potrebbe sfidare il Congresso su processi ai detenuti di Guantanamo Adnkronos, 4 gennaio 2011 La prima sfida dell’anno fra la Casa Bianca e il Congresso potrebbe essere su Guantanamo. Lo riferiscono fonti dell’amministrazione di Washington. Al centro della questione vi è la legge sulla spesa militare approvata in dicembre, che il presidente Barack Obama sta valutando se firmare con riserva. Il provvedimento si occupa infatti anche di Guantanamo e vieta al governo federale di trasferire qualsiasi detenuto sul suolo americano, anche per essere processato. È pone restrizioni al trasferimento negli Stati Uniti di prigionieri per i quali è stato deciso il rilascio. Una delle possibilità prese ora in esame è che Obama emetta una dichiarazione scritta al momento della firma della legge in cui si precisa che il Congresso si è intromesso nei suoi poteri per quanto riguarda la persecuzione dei sospetti terroristi. George Bush è stato uno dei presidenti che ha fatto più ricorso a queste dichiarazioni scritte, all’epoca duramente stigmatizzate da molti democratici che oggi sono impegnati nell’amministrazione. Il provvedimento è stato approvato dal passato Congresso a maggioranza democratica, ma ora la scelta di ricorrere ad una dichiarazione scritta potrebbe anche annunciare un nuovo trend nei rapporti con il potere legislativo in vista del nuovo Congresso che si inaugura domani. con la Camera a maggioranza repubblicana e un Senato dove i democratici hanno una maggioranza più ristretta che in passato (53 contro 47). Stati Uniti: detenuto scagionato dopo 30 anni di carcere grazie a prova dna Adnkronos, 4 gennaio 2011 Trenta anni dopo essere stato condannato al carcere per rapina e stupro, l’americano Cornelius Dupree è stato scagionato dalle accuse grazie al test del Dna. Dupree, 51 anni, ha trascorso più tempo in un carcere del Texas per un crimine non commesso di tutti coloro che sono stati scagionati negli ultimi anni nello stato grazie ai test del Dna. Era stato condannato nel 1980 insieme a Anthony Massingil per avere derubato una coppia e per avere stuprato la donna. Ma i test Dna sulle tracce di seme hanno dimostrato che nessuno dei due uomini era responsabile dello stupro. Dupree era tornato in libertà condizionata alcuni mesi fa, ancora prima dei risultati del test. Massingil è rimasto in prigione perché è stato condannato nel frattempo per un altro assalto sessuale. Russia: pugno di ferro contro l’opposizione, 35 attivisti arrestati dopo manifestazione Asca, 4 gennaio 2011 Pugno di ferro della polizia russa contro un gruppo di persone che manifestava davanti al carcere dove è detenuto il leader dell’opposizione, Boris Nemtsov. Trentacinque attivisti sono stati arrestati. Nemtsov è stato fermato il 31 dicembre durante una manifestazione e condannato a 15 giorni di carcere per “disobbedienza alla polizia” insieme allo scrittore dissidente Eduard Limonov e a un altro esponente dell’opposizione, Konstantin Kossiakine. Insieme a loro, la polizia aveva fermato 68 persone a Mosca e 50 a San Pietroburgo nel corso delle manifestazioni in onore dell’articolo 31 della Costituzione russa che prevede la libertà di assemblea per i cittadini.