Giustizia: il sovraffollamento delle carceri e le verità dubbie del ministro Alfano www.inviatospeciale.com, 31 gennaio 2011 Sabato il fedele collaboratore del premier ha annunciato un piano mirabolante che dovrebbe risolvere il sovraffollamento delle carceri. Ma non tutto oro quel che luccica. Ha detto Alfano all’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Corte d’Appello di Roma che il governo “ha dato avvio ad un intervento straordinario senza precedenti nella storia della Repubblica, vista l’entità degli investimenti (675 milioni), la tempistica delle loro esecuzioni (nell’arco di un triennio) e la nuova creazione di 9.150 posti in esecuzione della sola prima parte del piano”. Secondo il ministro sarà avviata “la realizzazione di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti”. “Duemila posti in due anni, equivalenti al numero di nuovi posti che erano stati istituiti nei 10 anni precedenti”. Alfano ha anche promesso l’assunzione di 1.800 agenti di polizia penitenziaria definendolo “il più alto numero di posti banditi in un solo concorso”. Tuttavia la polizia penitenziaria non ha molta fiducia negli annunci del governo. La Uil Penitenziari ha di recente ricordato, per la sola Lombardia, che la situazione è tragica. Nei penitenziari lombardi ci sono 9400 detenuti a fronte di una capienza di 5.382 e solo per quella regione mancano 1.200 agenti, su una pianta organica di 5.300 e di 200 unità nel Comparto Ministeri. Angelo Urso, segretario nazionale Uil Penitenziari, ha dichiarato: “Purtroppo a quei numeri bisogna aggiungere le conseguenze che derivano dai tagli orizzontali che la legge finanziaria ha realizzato, i quali rendono praticamente impossibile il mandato istituzionale e insopportabili le condizioni di lavoro. Se consideriamo anche che i mezzi di trasporto sono ormai obsoleti; che le traduzioni dei detenuti sono garantite prelevando le relative spese dalle tasche del personale; che le caserme sono veri e propri colabrodo a causa delle infiltrazioni d’acqua e che le divise sono insufficienti”. E se la Polizia penitenziaria e l’intero sistema carcerario sono in ginocchio, la polizia non è in una situazione diversa. Nicola Tanzi, segretario del Sindacato autonomo di Polizia (Sap), ha detto che “se il governo non darà in tempi brevi una risposta concreta alle richieste delle forze di polizia la protesta sarà durissima”. Il sindacalista ha sostenuto che “si sta lentamente ma inesorabilmente scivolando verso una paralisi del sistema” sicurezza. Mentre il nostro Paese sembra ormai diventato un grande rotocalco rosa i poliziotti continuano ad operare in silenzio, a garantire la sicurezza dei cittadini, a mettere a repentaglio la vita nonostante dal primo gennaio di quest’anno siano a rischio alcuni diritti fondamentali a causa dei mancati impegni del governo”. Poliziotti vittime “di scelte politiche e soprattutto economiche che non riducono gli sprechi, ma penalizzano le eccellenze e negano diritti fondamentali”, ha aggiunto Tanzi. Secondo il Sap la politica continua a fingere di non vedere i problemi del comparto quando invece è necessario “trovare subito e senza altre perdite di tempo una soluzione reale ai problemi delle forze dell’ordine, che può e deve essere concretizzata nel primo Consiglio dei ministri utile, anche con l’approvazione di un provvedimento di urgenza”. Se non arriveranno soluzioni, ha concluso il segretario del Sap “la nostra risposta sarà durissima: siamo pronti a forti iniziative di mobilitazione e dissenso sia livello centrale che sul territorio”, perché “siamo stufi di questa politica che si interessa di cose distanti anni luce dai problemi reali”. Naturalmente nel caso che riguarda la polizia il ministro responsabile è Roberto Maroni, ma il governo è lo stesso, cosi come eguale è il disastro che riguarda l’intero comparto della Forze dell’ordine. Giustizia: “Ristretti Orizzonti”, il giornale del carcere che fa nascere il dialogo di Agnese Moro La Stampa, 31 gennaio 2011 La nostra Costituzione, all’articolo 27, dice che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Non mi sembra che questo articolo sia molto applicato, in carceri sovraffollate, nelle quali è difficile svolgere qualsiasi attività, e con il personale ridotto all’osso. Questo non significa che non sia possibile promuovere iniziative di alta qualità, come avviene nella Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, con il coinvolgimento dell’Istituto Penale Femminile della Giudecca, dove, dal 1998, si pubblica un bimestrale, “Ristretti Orizzonti”, interamente preparato in carcere. L’iniziativa gode del sostegno della associazione “Il granello di senape”, della direzione del carcere, degli enti locali. Le motivazioni della nascita del giornale le troviamo nel ricchissimo sito www.ristretti.it: “Le notizie che i maggiori giornali diffondono sul carcere spesso non hanno un reale riscontro con quella che è effettivamente la vita in carcere. Volevamo svolgere anche un servizio d’informazione interna, che informasse i detenuti sugli avvenimenti e le opportunità che si verificano nell’Istituto. Ma i problemi del carcere non si risolvono né si esauriscono al suo interno, il coinvolgimento di chi “sta fuori è essenziale”. La redazione oggi è composta da trentacinque detenuti e da alcuni volontari. Partecipano alle riunioni di redazione anche dei tirocinanti, studenti universitari che fanno la tesi sul carcere. La scrittura si è rivelata un importante strumento di crescita e di presa di coscienza. Dice Ornella Favero, direttore di “Ristretti Orizzonti” che da quindici anni si impegna come volontaria nel carcere: “La scrittura significa due cose: darsi delle regole e pensare che c’è sempre un “altro da te”, il tuo lettore; cioè quello di cui le persone che finiscono in carcere proprio non si sono curate: le regole e gli altri. Quando mi metto a correggere i loro testi, leggo le loro vite e attraverso la fatica che fanno a raccontarsi, seziono ogni parola per poi discuterne, ragionare sul fatto che ci sono parole che feriscono, troppo “leggere” rispetto alla pesantezza di quello che hanno commesso”. Dalle pagine del giornale il dialogo si allarga, o diventa diretto. Innanzitutto con le scuole. Dice Ornella: “Due, tre volte alla settimana entrano in carcere, nella nostra redazione, grappi di studenti, due classi alla volta, e si confrontano con i detenuti, fanno le domande più spietate, ascoltano le loro testimonianze. Mi sembra sempre una specie di miracolo che delle persone che hanno rovinato tante vite, compresa la propria, mettano la loro esperienza negativa al servizio di ragazzi, si scoprano, raccontino di sé, facciano qualcosa di assolutamente gratuito, sperimentino che occuparsi degli altri può essere appassionante, che ti può riempire la vita”. E chi li ascolta, cosa ne ricava? “Ho sentito persone detenute - dice Ornella - ripercorrere a ritroso la propria esperienza, senza cercare giustificazioni, ma spiegando i meccanismi perversi, i conflitti repressi, la paura di dover ammettere un “fallimento”. Credo che sia un’esperienza unica, perché è raro che una persona “regolare” si confronti davvero con il male, con il progressivo superamento del limite, con percorsi di vita che portano, a volte, a un lento e inesorabile distacco dalla realtà. È un’illusione immaginare che ci siano i “mostri”, cosa che ci rassicurerebbe molto di più che non capire che ci sono persone “normali”, comuni che possono fare cose mostruose”.. È un’esperienza che ogni anno può fare chi partecipa, nel carcere di Padova, ad un seminario in cui dialogano autori di reati, le loro famiglie e vittime. Tante le presenze, circa 600, tra detenuti e chi si impegna quotidianamente per rendere vero l’articolo 27 della Costituzione. Il confronto è intenso e assolutamente onesto. Si impara, tutti, a guardare con altri occhi. Giustizia: Sappe; rischi ripercussioni in carcere da tensioni in Nord Africa Ansa, 31 gennaio 2011 “L’onda lunga” delle proteste in Egitto e in altri Paesi africani semina preoccupazione nelle carceri italiane, dove sono presenti quasi 25 mila detenuti stranieri, di cui circa 4.500 provenienti da Egitto, Tunisia e Algeria. È la denuncia del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe). “L’inasprimento delle tensioni in Egitto, Tunisia ed Algeria - spiega il segretario generale del Sappe, Donato Capece - potrebbe avere risvolti preoccupanti anche all’interno delle carceri italiane, considerati l’altissimo sovraffollamento delle celle e l’altrettanto elevato numero di detenuti stranieri, originari di quei Paesi. Detenuti che non riescono a contattare i propri familiari nei Paesi di origine e, quindi, sono inevitabilmente in apprensione e più nervosi”. Alla data del 31 dicembre 2010, rende noto il Sappe, nei 208 penitenziari italiani erano presenti 482 detenuti di nazionalità egiziana, 3.126 tunisini e 900 algerini. Il 40% dei circa 70 mila detenuti ospiti complessivamente nelle nostre carceri sono stranieri, una percentuale che in alcuni istituti del Nord arriva addirittura a raggiungere l’80%. Questo, sottolinea il sindacato, accentua le criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, “che prendono origine da esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche”. Queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati, anche per i problemi legati alla lingua e all’adattamento. E le tensioni in alcuni Paesi di origine di molti di loro, associata a difficoltà di collegamento con i propri familiari, accentua inevitabilmente - conclude il Sappe - le già gravi criticità penitenziarie italiane. Giustizia: in vetrina i prodotti dei detenuti di Carlo Giorgi Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2011 Oltre duecento prodotti di ottima qualità e di ogni tipologia merceologica prodotti nelle carceri italiane da oggi si possono ammirare on - line sul sito del ministero di Giustizia. Sulla homepage di via Arenula, infatti, è consultabile la “bacheca di prodotti dal carcere”; vetrina dell’artigianato di qualità che viene realizzato da oltre 110 tra aziende e cooperative all’interno degli istituti di pena italiani. I settori prediletti dei lavoratori - detenuti sono l’abbigliamento e l’alimentare, seguiti dall’arredamento d’interni. Tra le regioni di produzione, prima la Lombardia (con 114 prodotti) e ultimo il Molise (2). “La bacheca è già molto nutrita - spiega Antonella Barone, del Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), ma il censimento è in divenire e stimiamo che questo sia solo un terzo dei prodotti realizzati nelle nostre carceri”. Il lavoro recluso finalizzato alla produzione e alla vendita di oggetti all’esterno, vede un momento di attenzione e crescita importante: anche nel 2011, per il terzo anno consecutivo, “Fà la cosa giusta!”, fiera nazionale del consumo critico (Milano 25 - 27 marzo), dedicherà all’economia carceraria una sezione espositiva a sé stante. Mentre Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia, hanno da poco finanziato un censimento aggiornato delle realtà produttive delle carceri lombarde. Gran parte del merito di questa crescita è della cosiddetta Legge Smuraglia (legge 22.6.2000, n.193) che offre importanti sgravi fiscali e contributivi a cooperative e imprese che danno lavoro ai detenuti. La Smuraglia garantisce infatti il diritto a un credito d’imposta mensile di 516 euro per ciascun detenuto recluso assunto o in permesso di lavoro all’esterno (chiamati “articolo 21”). Inoltre, cooperative e imprese godono di un abbattimento dell’80% dei contributi Inps per i detenuti che lavorano all’interno (mentre solo le cooperative mantengono queste condizioni per quelli occupati all’esterno). “Portare occupazione dentro un istituto di pena ha anche altri vantaggi - spiega Nicola Di Silvestre, responsabile del lavoro penitenziario per il Dap: infatti, utilizzando spazi dell’Amministrazione in modo gratuito, gli imprenditori non pagano affitti, Ici, tassa rifiuti e sorveglianza; ma solo le spese di produzione e manutenzione dei macchinari”. Facilitazioni per imprese e cooperative sono un punto importante della strategia del ministero: “La nostra missione è di far lavorare il maggior numero di detenuti - continua Di Silvestre. Preferibilmente cercando di imitare lo stile di lavoro che c’è all’esterno. Una cosa, infatti, è lavorare alle dipendenze dell’Amministrazione, magari con incarichi di facchinaggio o distribuzione del vitto. Altra cosa è lavorare per una società esterna, con consegne e produttività da rispettare. Siccome i detenuti alla fine escono, è fondamentale orientarli verso la realtà che troveranno fuori”. Secondo le ultime rilevazioni del ministero (giungo 2010), in Italia lavorano 14.116 detenuti, il 20,7% dei 69 mila reclusi totali. Di questi, gli assunti da imprese e cooperative sono 2.058, mentre i restanti 12 mila lavorano alle dipendenze dell’amministrazione. Mantenere e incentivare questi posti di lavoro non è semplice: uno strumento è costituito dalla firma di protocolli d’intesa tra il Dap e i consorzi di cooperative, come segnala una relazione sul lavoro recluso consegnata dall’amministrazione penitenziaria al Parlamento lo scorso novembre. Per chi lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, invece, la situazione starebbe peggiorando: dal 2006 al 2010, secondo il Dap, i fondi destinati dal ministero alla remunerazione dei detenuti lavoranti sono passati da 71,4 milioni di euro a 54,2 mentre il numero dei detenuti è lievitato da 51 a 68mila. Costringendo le direzioni degli istituti a ridurre l’orario di lavoro pro capite, per aumentare turni e soggetti detenuti cui poter garantire una pur minima fonte di sostentamento. Un capitolo importante nel campo del lavoro penitenziario è rappresentato dal lavoro agricolo. Tra i prodotti in mostra sul sito del ministero spiccano, ad esempio, i formaggi stagionati e il miele di timo con marchio “Galeghiotto”; sono prodotti di alta qualità realizzati dalle colonie agricole di Is Arenas, Isili e Mamone, in Sardegna. Veneto: nasce il Forum per il diritto alla salute dei detenuti Redattore Sociale, 31 gennaio 2011 L’iniziativa coinvolge numerose associazioni da sempre in prima linea. I promotori: “Obiettivo garantire la qualità della vita e della dignità della pena”. Per tutelare il diritto alla salute delle persone detenute all’interno degli istituti veneti è nato a Padova un apposito Forum, che riunisce numerosi soggetti che gravitano intorno al mondo del carcere. In prima linea figurano la Conferenza Volontariato Giustizia del Veneto e la redazione di Ristretti Orizzonti, ma vi rientrano anche le associazioni “La Fraternità“ di Verona, “Il Granello di Senape” di Venezia e Padova, Antigone Padova, il “Gruppo Operatori carcerari volontari” di Padova e la Cgil Padova. Al momento della costituzione del gruppo sono stati presenti anche l’Ulss 20 di Verona del Sistema sanitario nel carcere di Montorio e la Garante dei diritti dei detenuti veronese, Margherita Forestan. “L’iniziativa - spiegano i promotori - nasce dalla volontà di dare vita a un organismo aperto alla partecipazione di soggetti, associazioni, enti e istituzioni già impegnati in ambito penitenziario, con una particolare attenzione alla difesa della qualità della vita e della dignità della pena quali condizioni indispensabili per un reale recupero sociale”. Il Forum padovano non è l’unico nel suo genere: esperienze simili si registrano già in altre regioni, come Piemonte, Toscana, Lazio. Adesso i prossimi passi del Forum veneto saranno la predisposizione di una vera e propria struttura organizzativa e l’inizio della campagna informativa per aumentare il numero di adesioni, anche se di fatto è possibile fin d’ora prendere parte al gruppo. “Vi può aderire chiunque sia interessato a questi temi - riferiscono gli organizzatori - , anche nell’ambito dell’associazionismo a difesa dei malati, delle camere penali, di organizzazioni come Magistratura democratica e Giuristi democratici, da coinvolgere nel processo di monitoraggio dell’applicazione della legge di riforma della sanità penitenziaria negli istituti del Veneto”. Per informazioni: Conferenza regionale Volontariato Giustizia mail maurizio.mazzi@libero.it, Redazione di Ristretti Orizzonti mail redazione@ristretti.it. Sardegna: sanità penitenziaria; anno nuovo, vecchio limbo Sardegna Oggi, 31 gennaio 2011 “È “inspiegabile” il ritardo del Consiglio dei ministri sull’attuazione del trasferimento della sanità penitenziaria dalla Stato alla Regione Sardegna, dopo la normativa approvata 53 giorni fa dal Consiglio regionale sardo”. La denuncia arriva ancora una volta dall’ex consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo, diritti e Riforme (Sdr), che invita i parlamentari sardi a chiedere spiegazioni. Anno nuovo, vecchia storia. “Sta finendo anche gennaio ma la sanità penitenziaria è nel caos con medici e infermieri preoccupati per le inevitabili conseguenze - protesta Caligaris, ricordando come - anche la lettera del Presidente della Regione Ugo Cappellacci su questo delicato argomento sia rimasta senza risposta”. A rischio è il diritto alla salute di centinaia di reclusi sardi, una situazione di limbo che si vive da mesi e che di fatto porterà a bloccare le più banali attività quotidiane. “A complicare la situazione, peraltro tutt’altro che semplice, è l’ormai improcrastinabile trasferimento in Sardegna - ricorda Caligaris - di una cinquantina di internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Senza chiarezza sul destino della sanità penitenziaria, non sarà possibile garantire l’assistenza e non sarà possibile rispettare il principio costituzionale del diritto alla salute per i cittadini privati della libertà”. La Regione. “Non è neppure incoraggiante - evidenzia Caligaris - il sostegno economico indicato dal bilancio della Regione. La sanità penitenziaria per il 2011 è stata finanziata solo con un milione e 300 mila euro avendo subito un ‘tagliò dalla stessa Giunta di 4 milioni e 500 mila euro, rispetto a quanto previsto inizialmente. Senza contare che se dovessero essere rispettati i tempi di consegna del nuovo carcere ubicato nel territorio di Uta (Cagliari) i problemi si moltiplicheranno anche perché aumenteranno notevolmente i detenuti”. Sicilia: un progetto con il Louvre per reinserire i detenuti siciliani www.siciliainformazioni.com, 31 gennaio 2011 Reinserire i detenuti nel mondo del lavoro utilizzando le opere d’arte siciliane custodite nei magazzini e non mostrate al pubblico. L’idea è dell’assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, Sebastiano Missineo, che ha intenzione di avviare una collaborazione con il Louvre per sfruttare l’iniziativa sperimentata dal museo parigino con i responsabili del carcere di Poissy. “In questi giorni - dice Missineo - dalla Francia arriva una notizia che sta incuriosendo tutto il mondo. A Poissy, in un carcere vicino a Parigi, hanno esposto nel cortile delle riproduzioni dei quadri di Mantegna e Gericault e di altri dipinti del Louvre. Una partnership tra il celebre museo e questa prigione dove sono rinchiuse 230 persone che hanno lunghe pene da scontare (l’80% addirittura ha condanne che vanno oltre i venti anni). Questa interessante iniziativa mi ha convinto e mi ha spinto a cercare di fare di più in un paese dove solo in pochi si ricordano che esiste un problema di carceri e reinserimento nella società di chi ha espiato la sua condanna. Per questo ho deciso di inviare un lettera ai responsabili del carcere di Poissy per avviare una proficua collaborazione con scambio di dati, informazioni, consigli allo scopo di realizzare anche in Sicilia un analogo progetto. Quante opere di ogni genere giacciono abbandonate o quantomeno inutilizzate nei magazzini dei nostri musei? Vorrei dare la possibilità - continua l’assessore - anche a chi sconta in carcere la sua pena di vedere da vicino un’opera d’arte, di sfiorarla, di respirarla sino a sentir quel fascino che ha stregato per millenni centinaia di generazioni trasformando così due categorie di esclusi in due categorie di privilegiati. Da una parte l’arte scoperta ritornerebbe al suo ruolo: comunicare valori e parlare ai sentimenti. Dall’altra potremmo rendere meno grigie le giornate di chi sta scontando la sua pena in carcere, rivalutare ed in alcuni casi restituire all’umanità un’arte ingiustamente relegata nelle carceri - magazzino dei musei. Qualcosa più, dunque, di un’ora d’aria, un lavoro di espiazione, perché persone e opere tornino a respirare e raccontare le loro storie”. La proposta dell’assessore Missineo giunge dopo le critiche rivolte alla Regione, agli inizi di gennaio, da “El Pais”, uno dei principali quotidiani internazionali, con un articolo dal titolo “Ieri assassini, oggi guardie al museo”. Nel testo si condannava l’integrazione di un gruppo di custodi del museo di Palazzo Abatellis con sei ex detenuti con un passato nella criminalità. “Allora come oggi - conclude Missineo - difesi quella scelta che rivendicai con convinzione, bollando quelle critiche come uno strumentale caso di snobismo culturale. Contro quanti stereotipi e luoghi comuni dobbiamo combattere ogni giorno noi siciliani. La mafia è la nostra battaglia numero uno, che dobbiamo combattere in modo inflessibile, senza tregua. Nessuno ne deve dubitare, neanche in Spagna”. Mosella (Alleanza per l’Italia) : raccogliere proposta Missineo per recupero detenuti “Il Ministro dei Beni Culturali e il Ministro della Giustizia valutino e raccolgano la proposta dell’Assessore siciliano Missineo sulle attività da svolgere nelle carceri per il recupero dei detenuti”. Lo afferma in una nota il deputato di Alleanza per l’Italia Donato Mosella. “In considerazione del problema che esiste nel nostro Paese, riguardante le carceri e il reinserimento dei detenuti nella società - prosegue - ritengo che iniziative come quelle proposte dall’Assessore siciliano, relative a delle partnership tra carceri e musei per la valorizzazione del rapporto tra opere d’arte e detenuti, possano costituire un prezioso aiuto per il reintegro sociale degli stessi detenuti, oltre che una importante possibilità per la cultura italiana di valorizzazione di opere abbandonate o inutilizzate”. “Ritengo pertanto che i Ministri competenti, da quello della Cultura, Sandro Bondi, a quello della Giustizia, Angelino Alfano - conclude Mosella - abbiano il dovere di valutare seriamente la proposta di Missineo prendendo in considerazione anche la possibilità di dare vita ad altre attività all’interno delle carceri, come ad esempio corsi di restauro, che permettano di alleviare la pena ai detenuti e consentano loro di tornare a vivere, nel senso più proprio del termine, all’interno della società, oltre a dare un contributo utile al patrimonio culturale dello Stato”. Trento: inaugurato oggi dal Ministro Alfano il nuovo carcere di Spini di Gardolo Asca, 31 gennaio 2011 Inaugurato oggi alla presenza del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e di numerose altre autorità il nuovo carcere di Spini di Gardolo. Alla cerimonia presente anche il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, che ha sottolineato “la leale collaborazione fra istituzioni, che ha reso possibile la realizzazione di questa importante infrastruttura, e il senso di responsabilità manifestato da una terra dall’Autonomia molto speciale quale è il Trentino”. Il ministro Alfano a sua volta ha sottolineato come nella giornata di oggi sia stata suggellata “una concordia istituzionale la quale rappresenta un modello di collaborazione che questa terra così laboriosa può esportare nel resto d’Italia, una collaborazione che va al di là delle appartenenze politiche, perché le istituzioni non hanno colore. Il carcere di Spini, ha detto ancora Alfano, rappresenterà, sia sotto il profilo infrastrutturale e tecnologico, sia sul piano gestionale, “un modello per le altre case circondariali che si andranno a realizzare in Italia in virtù del Piano straordinario delle carceri varato dal Governo”. Il ministro ha concluso il suo intervento annunciando la firma dell’atto di chiusura del carcere di Rovereto, i cui detenuti saranno quindi fatti confluire a Trento. La struttura, classificata di media sicurezza, cioè destinata a coloro che non debbano scontare più di 5 anni di pena, ospita già ora circa 150 detenuti; l’impegno del Governo è di valorizzare il carattere di modello che questa realtà assume per il resto del Paese, anche a fronte del nuovo Piano straordinario che prevede la realizzazione di 11 nuovi istituti di pena e di 20 nuovi padiglioni in carceri già esistenti, come spiegato dal Capo dipartimento dell’amministrazione della polizia penitenziaria Franco Ionta. Roma: detenuto morto a Regina Coeli; per il Pm andava trasferito in altra struttura Agi, 31 gennaio 2011 Per la procura di Roma il detenuto Simone La Penna, morto il 26 novembre del 2009 nel carcere romano di Regina Coeli a causa di condizioni si salute precaria andava trasferito in una struttura idonea a curarlo. Sono i risultati di una consulenza disposta dal pubblico ministero Eugenio Albamonte che indaga sulla morte del 32enne originario di Viterbo e che si trovava in carcere per reati legati agli stupefacenti. La consulenza ha infatti chiarito che Simone La Penna aveva delle condizioni di salute precarie e per gli esperti, proprio per questo, andava trasferito in una struttura sanitaria più idonea. Il referto del decesso parlava di arresto cardiaco provocato da squilibrio elettrolitico. La morte avvenne un mese dopo il decesso di Stefano Cucchi, l’altro detenuto morto però nel reparto giudiziario dell’ospedale Pertini. La procura indaga per omicidio colposo e nel registro degli indagati sono iscritti medici e infermieri del Regina Coeli. Catania: morì in carcere, chiesta la riesumazione del corpo di Carmelo Castro La Sicilia, 31 gennaio 2011 Il Garante Fleres ha riferito al Pm che i letti delle celle sono d’altezza inferiore alla statura del giovane. La presunta impiccagione viene messa in dubbio. Ora che è stata riaperta l’inchiesta giudiziaria sulla morte in cella del diciannovenne incensurato di Biancavilla Carmelo Castro, la famiglia del ragazzo si aspetta verità, trasparenza e giustizia. Il giovane è deceduto il 28 marzo del 2009 (quattro giorni dopo l’arresto) nella cella 9 del reparto Nicita di piazza Lanza. Secondo le dichiarazioni (non ancora approfondite) del personale del carcere, quel giorno, verso le 12,30, Carmelo fu trovato penzoloni, con un lenzuolo al collo, appeso a un perno del letto a castello della sua cella di isolamento. Ma si sospetta che forse non ci sia stata alcuna impiccagione o che quantomeno sia accaduto qualcosa che si vuol tenere nascosto. Il giovane, oltretutto, pur essendo recluso in regime di “grandissima sorveglianza”, fu perso di vista dagli agenti penitenziari per circa tre ore: cosa è successo nel frattempo a Carmelo? Chi gli ha portato il pasto? Chi si è avvicinato alla cella? E perché la direzione del carcere non ha voluto mettere a disposizione il filmato che riproduce tutto quello che è avvenuto nel corridoio in quelle ore? Si tenga ancora in considerazione che Carmelo - forse costretto da alcuni delinquenti a fare da palo in una rapina - aveva rivelato ai carabinieri i nomi dei correi e dunque temeva ritorsioni, tanto che durante la sua breve permanenza in piazza Lanza ha sempre rinunciato all’ora d’aria. E ancora: dagli atti si evince - fino a prova contraria - che il giovane, per quanto fosse agonizzante, non è stato liberato subito dal cappio, ma solo 10 - 15 minuti dopo (quando cioè arrivò il medico, chiamato da un agente carcerario); altra grande contraddizione sta nel fatto che tutti i letti a castello di quel reparto non sono più alti di un metro e 70, quando invece Carmelo era alto un metro e 1 metro e 75. Questa constatazione è stata personalmente fatta, non solo dagli attivisti delle associazioni “Antigone” e “A buon diritto” che hanno visitato il carcere, ma anche dal Garante dei diritti dei detenuti siciliani, senatore Salvo Fleres, il quale, proprio per “cristallizzare” questo importante dato, venerdì è stato sentito dal procuratore aggiunto Giuseppe Toscano (che coordina le nuove indagine) come “persona informata dei fatti”. Fleres è stato ascoltato su richiesta dell’avvocato Vito Pirrone che assiste la parte offesa, ossia i parenti di Carmelo. Anche un bambino a questo punto si chiederebbe: Com’è possibile che il giovane si sia impiccato da un’altezza inferiore alla propria statura? Anche se il Garante Fleres è vincolato dal segreto istruttorio circa il contenuto delle sue dichiarazioni in Procura, si conosce già chiaramente la sua posizione rispetto al caso Castro, tanto è vero che egli ha già presentato sull’argomento ben tre interrogazioni parlamentari al ministro della Giustizia, l’ultima delle quali lo scorso 18 gennaio, quando il senatore ha anche chiesto al ministro della Giustizia un’ispezione ministeriale al Palazzo di Giustizia per esaminare il fascicolo. Numerosi sono gli adempimenti che la Procura dovrebbe disporre in questa fase delle indagini e altrettante le lacune da colmare e i testimoni da convocare. L’avvocato Pirrone, nel suo lunghissimo elenco di richieste, reclama ulteriori accertamenti medico - legali, con riesumazione del cadavere, “al fine di chiarire la presenza di macchie ipostatiche in parti del corpo non compatibili con l’impiccagione e di evincere le reali cause e dinamiche della morte”. Mantova: nella Casa circondariale di via Poma “rischio sanitario” altissimo Gazzetta di Mantova, 31 gennaio 2011 La Casa circondariale di via Poma al collasso e un insostenibile sovraffollamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Queste sono le emergenze che la giustizia a Mantova e nel suo territorio deve fronteggiare ogni giorno. Lo ha detto chiaramente il presidente della Corte d’appello di Brescia Graziana Campanato. La Casa circondariale di via Poma, al 30 giugno 2009, aveva una popolazione carceraria di 216 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 119 ed una presenza massima tollerabile di 180 detenuti. La presidente ha reso noto che il medico del carcere ha segnalato che il sovraffollamento cronico è tale da rendere inaccettabili le condizioni ambientali dei detenuti. L’alta promiscuità e l’alto numero di detenuti che rifiutano prelievi e vaccinazioni rende elevato il rischio sanitario, non solo per chi è rinchiuso, ma anche per il personale di polizia penitenziaria e per quello medico e infermieristico. “Nel periodo in esame - ha aggiunto ancora la presidente della Corte d’appello - vi sono stati dieci tentativi di suicidio. Si tratta - ha concluso - di numeri che evidenziano da soli una situazione carceraria lesiva della dignità dei soggetti detenuti”. Una situazione pressoché analoga è sopportata dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere che, come noto, ha un’organizzazione esclusivamente sanitaria, senza agenti di custodia e che, unico in Italia, ospita la sezione femminile. Gli internati a Castiglione erano 231, di cui 142 maschi e 79 donne. Presenze superiori ai limiti di capienza della struttura, che ha una capacità di 210 posti letto. Il numero è aumentato a 266 presenti (dato al 30 settembre 2010), a seguito dell’attuazione della territorializzazione dei pazienti giudiziari. Sulle carenze delle strutture carcerarie è intervenuto anche il rappresentante del governo. “Il 30 giugno 2010 - ha chiarito Mele - è stato approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture già esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento senza precedenti nella storia della Repubblica sia per l’entità degli investimenti (675 milioni di euro) e la tempistica della loro esecuzione (nell’arco di un triennio) sia per la portata strategica, volta a soddisfare un bisogno carcerario pari a circa 9.150 posti”. Per quanto riguarda la pianta organica della polizia penitenziaria Mele ha chiarito che sono stati portati a termine i concorsi pendenti e che i vincitori sono stati immessi in ruolo. È stata inoltre autorizzata l’assunzione di 1800 di agenti di polizia penitenziaria a copertura dell’aumentato fabbisogno e per l’apertura delle nuove strutture carcerarie. Trieste: il carcere del Coroneo scoppia, 105 detenuti in più rispetto alla capienza Il Piccolo, 31 gennaio 2011 Un importante capitolo della relazione è dedicato alla situazione penitenziaria, ormai tragica e insopportabile in tutto il Paese. “La condizione del carcere del Coroneo nel corso del 2010 si è andata progressivamente aggravando, per effetto sia della costante riduzione di risorse finanziarie atte a consentire il mantenimento degli standard qualitativi che negli anni precedenti l’avevano contraddistinta, sia per la carenza di personale con funzioni di polizia: l’organico degli agenti attualmente denuncia una scopertura del 25 per cento. Sono in servizio 120 agenti sui 159 previsti”. Il numero dei detenuti già nel gennaio 2010 superava quota 241, “ben oltre al numero regolamentare di 155 e di quello tollerabile di 197. Oggi sono più di 260 con una presenza del 60 per cento di cittadini stranieri appartenenti a 25 - 30 nazionalità. Degno di menzione è il buon funzionamento della scuola carceraria che si è accompagnata alla realizzazione di numerosi corsi di formazione professionale con gli enti accreditati dalla Regione”. “Grazie a tre diverse convenzioni stipulate con il Comune, con la Provincia e con l’Acegas, numerosi detenuti sono stati avviati alle misure alternative alla pena ed impegnati in attività utili alla collettività”. Hanno operato nel settore della manutenzione delle strade, delle scuole, dei giardini, della pulizia della città, nello sfalcio dell’erba e nella sistemazioni dei sentieri nei boschi”. Mediamente - informa la relazione del presidente Trampus - sono 12 - 15 i detenuti che usufruiscono di questi permessi concessi dalla magistratura di sorveglianza. Nel periodo preso in considerazione dalla relazione - luglio 2009, giugno 2010 - “non si sono verificate né evasioni, né suicidi, né gesti autolesionistici da parte dei detenuti: nessuna manifestazione collettiva di protesta violenta”. Venezia: per l’ubicazione del nuovo carcere spunta l’ipotesi Tessera La Nuova, 31 gennaio 2011 Da una parte c’è la scelta del sito di Campalto sulla quale per ora nessuno è ancora tornato indietro, dall’altra si continuano a vagliare possibili piste alternative da prendere in considerazione. Detto questo, sul carcere la situazione è ancora molto fluida e si parla persino di una nuova ipotesi, che questa volta coinvolgerebbe la frazione di Tessera. Per ora si tratta di “voci di corridoio”, che sono arrivate però, a diversi orecchi, sia a Cà Farsetti che in piazza Pastrello. Un sito “privato” e per nulla demaniale, che sovvertirebbe i criteri di individuazione finora individuati. Il presidente di Favaro, Ezio Ordigoni, si limita a dire che a giorni ci potrebbero essere delle sorprese. Pare però che non sia il Comune, in questo caso, coinvolto nella nuova pista, ma direttamente il Ministero. Non si smorza, nel frattempo, nemmeno la polemica. Il vicepresidente del Consiglio comunale Saverio Centenaro (Pdl) ha scritto una lettera al sindaco Giorgio Orsoni, nella quale domanda: “Perché il Comune non comunica al vicepresidente della Regione, Marino Zorzato, quanto deliberato dal Consiglio comunale in merito al nuovo carcere di Campalto? Mi risulta che ad oggi non siano ancora state trasmesse a Palazzo Balbi e al Ministero della Giustizia le volontà del Consiglio comunale rispetto alla richiesta di una nuova localizzazione per il carcere veneziano. Considerato che risulta determinante sulle scelte future, dal momento che la tempestività di inoltro permette di intervenire ancora nell’iter in corso, chiedo cortesemente di dare seguito a quanto approvato all’unanimità dal Consiglio comunale”. L’assessorato sta vagliando i siti alternativi demaniali, mentre Cà Farsetti attende ancora che la Regione fornisca qualche informazione in più in merito ai margini di manovra. Molti dubbi sul carcere li ha anche il consigliere comunale del Pd Gabriele Scaramuzza: “Vorrei capire oggettivamente ciò di cui c’è bisogno - spiega - mi domando perché l’ampliamento del carcere di Vicenza avvenga su 5 mila metri quadri che dovrebbero ospitare 200 persone in più, mentre per Venezia si parla di 198 mila metri quadri per 400 detenuti. Vicenza avrà già le strutture comuni, ma il divario è troppo, il tema vero è che si stia pensando a qualche cosa di diverso visto che non si parla di Casa circondariale ma di Istituto di pena”. Salerno: la Casa circondariale di Fuorni conserva un buon livello di funzionalità www.salernonotizie.it, 31 gennaio 2011 Nonostante tutto, la casa circondariale di Fuorni conserva un buon livello di funzionalità. Almeno così è scritto nella relazione presentata in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario sulla situazione carceraria di Salerno. 450 i detenuti presenti, a fronte di una capienza massima di 330 unità tollerabili; di questi, 75 sono stranieri. Oltre la metà di loro è in attesa di giudizio, solo un terzo ha una condanna definitiva. Sottodimensionato l’organico, a partire dagli educatori che sono sei, a fronte dei degli otto necessari. Ci sono tre psicologi ed una guardia medica, con il compito di assistere il 20% di detenuti tossicodipendenti o coloro che sono affetti da patologie particolari, quali Aids, malattie epatiche, dermatologiche o respiratorie: dei classici della convivenza forzata. Negli ultimi tempi, nel carcere di Salerno s’è registrato un aumento delle cardiopatie e dei disturbi della psiche, con esiti spesso tragici. La qualità della detenzione viene migliorata con i progetti di formazione ed avviamento al lavoro, come i corsi di ceramica, sartoria, cucina e teatro. Nella relazione è citata anche l’area verde attrezzata con giochi, tavoli e panchine per consentire ai detenuti - genitori di incontrare i propri figli, soprattutto in tenera età, in modo da ridurre l’impatto emotivo del contesto - carcere. Ma la continua riduzione dei fondi non fa ben sperare. Vercelli: ex direttore del carcere sotto processo, è accusato di abuso e peculato La Stampa, 31 gennaio 2011 Per sistemare l’appartamento avrebbe utilizzato gli addetti alla manutenzione del carcere. Mentre per il trasporto di un frigorifero e altro materiale dall’alloggio di servizio, a quello personale, in città, avrebbe fatto figurare, sulle fatture, un’attività del carcere. Vanno dal peculato all’abuso d’ufficio e ai maltrattamenti le accuse per l’ex direttore del carcere di Vercelli, Antonino Raineri, 64 anni, dal marzo del 2010 in servizio a Verbania: il giudice Martina Flamini, accogliendo le richieste del pm Pier Luigi Pianta, lo ha rinviato a giudizio insieme con altre cinque persone, appartenenti al corpo di polizia penitenziaria ed ora trasferite in altre strutture carcerarie. Il processo è fissato per il 30 giugno, e tutti gli imputati sono difesi dagli avvocati Roberto Scheda e Roberto Rossi. Secondo le accuse, nell’inchiesta condotta dalla sezione di pg dei carabinieri, nell’autunno del 2009 Antonino Raineri si sarebbe servito degli addetti alla manutenzione del carcere, distogliendoli dalle loro mansioni, per farsi sistemare casa: impianto elettrico e idraulico, ma anche le pulizie dell’alloggio (e persino la sostituzione di un copri water). E le tre fatture della ferramenta che avrebbe trasportato diversi materiali dall’alloggio del direttore in carcere alla nuova casa in città (1.620 euro) sarebbero state pagate ma non dal diretto interessato, bensì come attività legata alla struttura carceraria. Il capo d’imputazione per l’ex direttore è articolato. Parla anche di un telefono cellulare, che sarebbe stato trovato ad un detenuto, ma la cui presenza non sarebbe mai stata denunciata ai superiori gerarchici. E di cui ex direttore (e tre agenti) si sarebbero appropriati, facendolo finire in cassaforte. Ci sarebbero anche un episodio di diffamazione di un ispettore e di maltrattamenti nei confronti di un altro ispettore donna di cui Antonino Raineri è chiamato a rispondere. In un’epoca diversa, nel settembre del 2007, il personale del carcere rinviato a giudizio, avrebbe invece utilizzato, e portato rocambolescamente fuori dal carcere, cibo destinato alla mensa e ai servizi dei detenuti: zucchero, scatolette di tonno, latte, caffè, burro e persino carta igienica. E ancora, un ispettore e due agenti, devono rispondere dì un’altra truffa: si sarebbero fatti rilasciare certificati medici per malattie inesistenti, con l’appoggio di un collega sindacalista che poi avrebbe evitato loro i controlli. Da Verbania, Antonino Raineri aveva già fatto sapere: “Ho la coscienza a posto. Sono sereno, si chiarirà tutto”. Milano: i detenuti Opera sul palcoscenico nello spettacolo “La luna sulla capitale” Asca, 31 gennaio 2011 Il carcere di Opera di Milano ospiterà, sabato 5 febbraio alle ore 15.30, lo spettacolo teatrale “La luna sulla capitale” recitato da una quindicina di detenuti del circuito Alta Sicurezza. Lo riferisce una nota del Consiglio regionale della Lombardia. Il progetto e lo spettacolo, che godono del patrocinio del Consiglio, verranno presentati martedì 1 febbraio nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle ore 12 presso le Sale Commissioni (Sala A) al primo piano rialzato della sede del Consiglio regionale in via Fabio Filzi 29 a Milano. Saranno presenti il vice presidente del Consiglio, Franco Nicoli Cristiani, il consigliere regionale, Stefano Carugo, l’assessore ai Giovani, Sport e Tempo Libero del Comune di Milano, Alan Rizzi, il direttore della Casa di reclusione di Opera, Giacinto Siciliano, e la regista IsaBeau. La performance, realizzata grazie all’impegno della cantautrice Isabella Biffi, in arte IsaBeau, sarà accessibile ad un numero limitato di spettatori che dovranno prenotarsi tramite il sito www.eventidivalore.it. Nelle speranze dei promotori non è escluso, in futuro, che il progetto preveda un tour itinerante nelle varie carceri italiane. Lo spettacolo fa parte di un progetto curato da EX.it, consorzio di cooperative sociali, che si propone di contribuire a opere di solidarietà. Negli anni scorsi, in occasione di ogni singolo spettacolo, sono stati raccolti fondi destinati a persone in difficoltà come i terremotati dell’Abruzzo e quelli di Haiti. Como: un successo l’esibizione della cantante Ivana Spagna al Bassone La Provincia, 31 gennaio 2011 Pubblico in delirio ieri per Ivana Spagna che ha regalato uno specialissimo concerto ai detenuti del Bassone. Un’ora di musica e canzoni, un’ora di emozioni incontenibili, tutte sul filo di un unico racconto, quello che in ogni vita riconosce più o meno le stesse armonie e dissonanze, che conserva le schegge di malinconia e di struggimento, le lontananze e le paure, e “una voglia di averti vicino” - così in una delle applauditissime canzoni - e di superare “un vuoto che più vuoto non c’è”. “Sono emozionatissima” aveva sussurrato ancor prima che iniziasse lo spettacolo in un’aula gremita da un centinaio di detenuti. “Mi sono sempre piaciute le sue canzoni, ne ricordo una che aveva cantato a Sanremo... Ma la soddisfazione oggi è anche un’altra: un’artista famosa come lei, abituata alle folle, ai grandi teatri, è qui per un piccolo gruppo di carcerati. Non è andata a San Vittore, è venuta da noi al Bassone”. Un vero onore, un orgoglio che leggeva anche su altre facce: “Non è che siamo solo delinquenti, abbiamo sbagliato, ma siamo anche noi persone normali” dice Elisa, 28 anni e un sorriso che sprigiona tanta speranza. Shola, 37 anni nigeriana, le canzoni di Ivana Spagna non le aveva mai sentite, non sapeva che cosa aspettarsi, ma... “Già essere qui è bellissimo” rivela respirando quel clima che sembra aver assottigliato l’isolamento, eliminato improvvisamente l’emarginazione dal resto del mondo. Un intento che sta nella filosofia e anche nella prassi dell’istituto penitenziario e che al Bassone è confermato in iniziative concrete già intraprese e sostenute con convinzione dallo staff di educatori, in primis dalla direttrice Maria Grazia Bregoli, da Mauro Imperiali promotore dello spettacolo e da vari responsabili di progetti dell’area educativa, fra i quali Federica Pisani e Ida Morosini. Il ponte auspicato fra la popolazione reclusa e la comunità che vive nel territorio, per quanto ancora in fase progettuale, ha rivelato la sua consistenza ieri durante lo stesso evento: la direttrice, insieme ad alcune detenute, a conclusione dello spettacolo, ha donato alla cantante alcune sciarpe della “linea Adriana” confezionate della sartoria allestita all’interno del carcere intitolata a Adriana Carcano, scomparsa prematuramente dopo aver avviato un laboratorio di formazione nel settore della moda che ora promette a donne carcerate un lavoro con possibili sbocchi in collegamento con le imprese del territorio. Ed è stata solo uno delle innumerevoli espressioni di calorosa simpatia manifestate da fans decisamente speciali, con un carico di errori e delinquenze, di sofferenza e di pena, ma anche della scoperta di una bellezza che si può sempre rivelare nel fondo dell’anima, nell’imprevedibile raggio di speranza che può affacciarsi anche nei pochi metri di una cella. Parole poetiche, alcune rose realizzate con sapone, piccoli doni offerti alla famosa cantante che non è riuscita a trattenere le lacrime. “Immagino che sia duro stare qua , ma c’è tanta gente che vi vuol bene, fuori di qui vi stanno aspettando...”: Ivana Spagna, ha trasmesso brividi d’emozione con le sue canzoni, ma anche nel racconto di un vissuto personale spesso attraversato da amarezze, dolore, povertà, raccolti anche in un libro autobiografico. “Tutti possiamo sbagliare... i momenti più difficili passeranno, ve lo auguro con tutto il cuore”. Ed è stato difficile fermare gli applausi. Treviso: torneo di calcio a S. Bona, agenti in squadra con i carcerati La Tribuna, 31 gennaio 2011 L’auspicio è avere Gianni Rivera, numero uno del Settore Giovanile e Scolastico, ospite della festa finale. Il sogno è rendere la manifestazione itinerante e nazionale. L’intento è allargarla, col supporto della Caritas Tarvisina, magari ai carcerati maggiorenni. Il progetto “Un pallone di speranza” approda alla terza fase: scatterà da lunedì il torneo di calcio, articolato in 5 partite, che vedrà opporsi i detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Santa Bona e le selezioni (miste juniores - allievi) di Casier Dosson, Pro Mogliano, Preganziol e Istrana. Si giocherà in carcere e dirigeranno gli arbitri della Sezione di Treviso. È l’ultimo atto di un’iniziativa, avviata lo scorso anno con le lezioni didattiche dei giovani “fischietti” e le partite disputate da arbitri e studenti di 5 istituti. Coinvolgerà un centinaio di ragazzi, compresi 16 (80% stranieri) detenuti minorenni: “Non tutti giocano, ma come rinforzi ci sono le guardie carcerarie”, rivela Bepi Ruzza, ideatore e coordinatore veneto settore Giovanile Scolastico. “Ne siamo orgogliosi, diamo così una seconda possibilità a giovani più sfortunati - aggiunge. Un bambino non nasce mai cattivo: se lo diventa, è per colpa degli adulti. Ci sono pure condannati per omicidio o stupro”. “Qui il calcio dà il meglio di sé e con tutte le sue componenti”, gli fa eco Ulderico Salvestrin, delegato Figc Treviso, presente con Fiorenzo Vaccari. “È un’esperienza che ti spacca il cuore - chiosa Leo Sorrentino, Sezione Aia di Treviso - . Mi piace citare un aneddoto sulla partita dell’anno scorso: un mio ragazzo si è ferito per uno scontro di gioco fortuito e ne è nata una corrispondenza epistolare. Un paradosso, quando magari altrove si finisce in tribunale”. Aosta: anche le opere dei detenuti di Brissogne alla fiera di Sant'Orso Aosta Sera, 31 gennaio 2011 Aosta - Le loro opere, realizzate all'interno di un laboratorio tenuto in carcere da Egidio Seghesio, sono state esposte domenica e lunedì in piazza della repubblica nel banchetto che il Comune di Aosta ha messo a disposizione dell'Avvc. Anche i detenuti della casa circondariale di Brissogne hanno partecipato, seppur indirettamente, all'edizione 2011 della Fiera di Sant'Orso. Le loro opere sono state esposte domenica e lunedì in piazza della repubblica nel banchetto che il Comune di Aosta ha messo a disposizione dell'Associazione Valdostana di Volontariato Carcerario. Maschere, animali, libri, e ancora cornici e quadri, tutti in legno, realizzati all'interno di un laboratorio di intaglio e di scultura che Egidio Seghesio tiene in carcere tutte le settimane e a cui partecipano una decina di detenuti. Nonostante la posizione un po' defilata rispetto al circuito della fiera, i visitatori hanno manifestato curiosità e interesse nei confronti di queste opere sicuramente un po'particolari. "Alcuni si sono proprio fermati a chiedere informazioni e alla fine della giornata l'impressione è abbastanza positiva" ha spiegato Piera Asiatici, presidente dell'Avvc. A lei il compito di coordinare la dozzina di volontari che si sono alternati al presidio del banco. Tra loro anche Franca Bianchini e Francesco Framarin da diversi anni impegnati a favore della realtà carceraria. "E' un mondo terribile, la gente non si immagina neanche cosa voglia dire essere reclusi, vivere dietro quelle sbarre". Da lì la scelta di impegnarsi per favorire l'alfabetizzazione e un sostegno a chi è in carcere per scontare una pena. La "vendita" delle opere, da una prima stima, frutterà poco più di 250 euro. Ma, è quasi inutile dirlo, non è il ricavo economico il valore aggiunto di questa iniziativa che consente di dare visibilità alle tante attività che si portano avanti in carcere. Alle opere in legno si sono aggiunti i vasetti del miele "Dolce evasione" anche questo prodotto in carcere grazie ad un percorso di apicoltura. Immigrazione: Maroni; dopo decisione della Consulta pronto nuovo decreto su espulsioni 9Colonne, 31 gennaio 2011 “Ho già pronto un decreto per tamponare gli effetti negativi della decisione della Consulta (che rende quasi impossibili le espulsioni dei clandestini) e quelli relativi al necessario adeguamento alla Bossi - Fini della recente direttiva europea sui rimpatri che rischia l’effetto “liberi tutti”. La sua approvazione in Consiglio dei ministri potrebbe già essere un banco di prova. E poi bisogna promuovere un’azione diplomatica immediata e forte azione per i Paesi del Maghreb che sono in rivolta”. Lo afferma il ministro dell’Interno Roberto Maroni in una intervista al Corriere della Sera. “Temo - aggiunge - l’invasione, noi siamo la porta dell`Europa. Quando leggo che un carcere di massima sicurezza egiziano è stato dato alle fiamme e i detenuti sono scappati, prevedo che effetti potrebbe avere questa situazione. Dalla Tunisia già arriva qualche piccolo segnale e dunque è proprio l’Italia a dover guidare l’Europa in questa fase, tenendo conto che dalla stabilità di questi Stati dipende anche la nostra stabilità”. Medio Oriente: liberati palestinesi detenuti in Egitto InfoPal, 31 gennaio 2011 Nel fine settimana appena concluso, i familiari dei palestinesi detenuti in Egitto avevano manifestato pubblicamente ansia e preoccupazione per l’attuale stato di caos in cui verte il Paese e, come avevano fatto solo una settimana fa, erano tornati a chiederne il rilascio. Si tratta di cittadini palestinesi, detenuti anche da sette anni, nel carcere egiziano di Abu Zàbal e sono tutti residenti nella Striscia di Gaza. Emad è il portavoce dell’associazione dei familiari dei detenuti palestinesi nelle prigioni egiziane e, sabato, 29 gennaio, aveva lanciato un appello perché, tra i fatti di disordine che stanno interessando l’Egitto, c’era stato un incendio proprio all’interno della struttura penitenziaria di Abu Zàbal. Sicurezza e guardie carcerarie si erano scontrate e avevano attaccato i detenuti. Due degli ex detenuti palestinesi di Abu Zàbal, oggi rientrati nella Striscia di Gaza, hanno confermato che le forze dell’ordine egiziane hanno attaccato deliberatamente i detenuti aprendo il fuoco all’impazzata. “Dodici detenuti sono stati uccisi, non ci sono palestinesi tra le vittime e, per molte ore, all’interno del carcere di sono udite esplosioni”, hanno riferito al nostro corrispondente Hassan Wishah e Mùttassem al-Qawqa. Wishah ha trascorso ad Abu Zàbal tre anni e stava scontando una pena carceraria di dieci. Tra tutti i detenuti rilasciati, è stato il palestinese che ha scontato il tempo più breve in detenzione egiziana. Al-Qawqa è stato detenuto nella stessa prigione per sette anni, nonostante il tribunale egiziano ne aveva chiesto il rilascio. Residente nel campo profughi di ash-Shati, ad ovest della Striscia di Gaza, al-Qawqa ha raccontato che la sicurezza egiziana era intenzionata a condizionare la sua liberazione a quella del soldato israeliano, Gilad Shalit, sequestrato dalla resistenza palestinese nel 2006. Ieri sera, 30 gennaio, ci sono stati i primi rilasci; inizialmente sono stati liberati otto detenuti palestinesi i quali, una volta rilasciati, sono stati sottoposti ad attesa (ad una sorta di transfer) poiché impossibile incontrare il coordinamento degli ufficiali egiziani per garantire che questi ex detenuti fossero diretti in sicurezza verso la Striscia di Gaza. Per lunghe ore, la moglie di Ayman Noufal (leader delle brigate al-Qassam detenuto in Egitto da 3 anni) ha temuto per la sorte del marito, detenuto nel carcere egiziano di Marj. Su di lui, da lungo tempo non si avevano notizie. Poi, in tarda serata, la donna ha appreso del suo rilascio; Noufal ha raggiunto Gaza insieme ad altri quattro ex detenuti tra cui Mohammed ash-Shàer. A seguire, sabato scorso, hanno fatto ritorno nella Striscia di Gaza altri 10 ex detenuti palestinesi liberati dal penitenziario egiziano di Abu Zàbal. Tra di essi anche Mohammed Abdel al-Hadi, Jumàah at-Tahlah, Omar Shàath. Dopo la loro liberazione, alcuni ex detenuti palestinesi avrebbero preferito non rientrare nella Striscia di Gaza, facendo sapere che per il momento preferiscono restare in territorio egiziano per timore di essere catturati nel tragitto verso Gaza. I prigionieri politici palestinesi in Egitto sono circa 25 sparsi tra le prigioni di Abu Zàbal, Marj, al-Qantarah, Tarah e Lazghali. Nei loro confronti il tribunale egiziano aveva disposto il rilascio e tuttavia, l’ordine giudiziario viene disatteso ad oltranza da ufficiali esecutivi, sicurezza e autorità carcerarie. Egitto: catturati 1.950 detenuti evasi dalle carceri del Paese Aki, 31 gennaio 2011 L’esercito egiziano ha catturato 1.950 detenuti evasi nei giorni scorsi durante le rivolte che hanno interessato diversi centri di detenzione del paese arabo. Lo ha annunciato la tv di stato del Cairo. La tv satellitare al-Arabiya, inoltre, ha reso noto che le forze di sicurezza hanno arrestato cinque palestinesi evasi da un carcere egiziano che facevano parte di Hamas e della Jihad islamica e che tentavano di fuggire verso la striscia di Gaza.