Giustizia: Ucpi; in Italia si abusa del carcere, magistratura e politica si autoassolvono Dire, 30 gennaio 2011 Alla cerimonia in Cassazione “su alcuni temi fondamentali si allude ma non si dice, salvo poi tacere sulla qualità dei processi. E soprattutto si rimuove il tema fondamentale della riforma della giustizia: quello di avere un giudice che sia realmente equidistante tra le parti”. Così Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle camere penali, commenta gli interventi all’apertura dell’anno giudiziario: “In queste occasioni - insiste Spigarelli - non si può ammettere ciò che chi si interessa di giustizia, compresi molti magistrati, ammette al di fuori delle sedi ufficiali: e cioè che nel nostro Paese si abusa della custodia cautelare, che il sistema carcerario non è degno di un Paese civile e che le intercettazioni vengono concesse in troppi casi senza un effettivo controllo giurisdizionale. Ma i cittadini, quando sono coinvolti in un processo penale, queste cose le comprendono da soli”. Secondo il presidente dei penalisti italiani, la magistratura “si autoassolve dai mali della giustizia, e la politica fa lo stesso, sembra sempre che la colpa sia di qualcun altro. L’avvocatura penale invece, ieri a Napoli, ha denunciato in maniera chiara e senza peli sulla lingua - rimarca Spigarelli - anche i propri mali. Ecco, ci vorrebbe più coraggio per affrontare i mali della giustizia, ma questo coraggio latita sia nei piani alti della Giustizia che in quelli della politica. Si parla di abuso del processo, di troppe garanzie, di sanzioni processuali inutili e dannose, ma mai dell’assurdo logico - conclude il presidente dell’Ucpi - per cui un magistrato fa il pm fino alla domenica e il giudice dal lunedì successivo”. Giustizia: Alfano: il Piano Carceri e le misure di miglioramento del sistema penitenziario www.giustizia.it, 30 gennaio 2011 Brano tratto dal discorso tenuto dal ministro della Giustizia Alfano ieri, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. L’anno appena concluso ha segnato un decisivo avanzamento delle tre linee d’intervento su cui si articola l’azione del governo nella delicata materia della gestione delle carceri: a) la deflazione dei flussi di ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione; b) il piano di interventi di edilizia penitenziaria; c) la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria. Il 30 giugno 2010 è stato approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di 11 nuovi istituti carcerari e di 20 nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l’entità degli investimenti (675 milioni di Euro) e la tempistica della loro esecuzione (nell’arco di un triennio), sia per portata strategica volta a soddisfare un fabbisogno carcerario pari a circa 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano. L’accelerazione delle procedure amministrative ha consentito, altresì, di raggiungere i primi obiettivi già nel 2010 ed altri verranno raggiunti quest’anno. Sono stati portati a completamento i lavori di ristrutturazione e di costruzione dei nuovi padiglioni di Cuneo, Velletri ed Avellino. Si tratta di un incremento di circa 1.100 posti carcerari. Un ulteriore incremento di 2900 posti conseguirà all’ultimazione dei lavori in corso negli istituti di Carinola, Ariano Irpino, Modena, Cremona, Terni, Frosinone, Pavia, Santa Maria Capua Vetere, Nuoro, Agrigento, Voghera, Biella, Saluzzo e Gela. Sul piano della riprogettazione della pianta organica della polizia penitenziaria il Dap ha portato a termine i concorsi pendenti ed ha dato corso all’immissione dei vincitori in graduatoria nell’amministrazione penitenziaria. Con l’art. 4 della Legge n. 26 novembre 2010, n. 199, è stata autorizzata l’assunzione di n. 1.800 unità di polizia penitenziaria a copertura dell’aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed all’apertura delle nuove strutture carcerarie. Di rilievo nel settore anche due interventi legislativi. La legge 199/2010 che introduce nuove disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, prevedendo la possibilità per chi deve scontare pene detentive non superiori a un anno (anche se residui di maggior pena), di poterlo fare agli arresti domiciliari. Il decreto legislativo 7 settembre 2010 attua la decisione quadro 2008/99/GAI in materia di trasferimento delle persone condannate. L’Italia è il primo Stato ad aver dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria che consentirà di trasferire le persone condannate dall’Italia verso lo Stato membro di cittadinanza, e viceversa, per l’esecuzione delle pene detentive. Grazie al principio del mutuo riconoscimento delle decisioni delle autorità giudiziarie degli Stati dell’Unione europea, per la prima volta, il trasferimento potrà avvenire senza un previo accordo con lo Stato estero (di cittadinanza del condannato) e senza il consenso della persona. Giustizia: Via Poma; la condanna a Raniero Busco, una vita distrutta dalla c.d. giustizia di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 30 gennaio 2011 La condanna inflitta a Raniero Busco lascia a dir poco perplessi sul concreto funzionamento del processo penale, sulla sua capacità di produrre sentenze giuste. Si tratta evidentemente di un processo indiziario. Un processo che trae origine su un dato incerto nella scienza medico legale. Ovvero: l’accertamento dell’ora del decesso. Dopo circa 20 anni dal delitto, i medici legali, incaricati dall’allora procuratore aggiunto Italo Ormanni, spostano l’orario della morte della Cesaroni e quindi di fatto si fa rientrare Raniero Busco tra i sospettati. Dopo tale assunto incerto, si è proceduto a nuovi esami su reperti. Reperti che da 20 anni erano custoditi in Tribunale. Esami che hanno prodotto tre risultanze indiziarie. 1. Tracce di saliva di Busco sul corpetto della Cesaroni. 2. Un morso sul seno della Cesaroni compatibile con l’impronta dentaria di Busco. 3. Tracce di dna di Busco rinvenute nell’appartamento che però sono solo in parte compatibili con il dna dell’imputato. Indizi. La domanda è: bastano tali indizi per condannare a 24 anni una persona? Nel caso di specie, sembra difficile rispondere in modo affermativo. La Cesaroni e Busco erano fidanzati. Appare normale quindi che ci siano tracce sul corpo della Cesaroni e che indichino una pregressa attività sessuale. Inoltre, la traccia di dna rinvenuta nell’appartamento di via Poma è solo in parte compatibile con il dna di Busco e pertanto da sola non è sufficiente per un’affermazione di colpevolezza. Ed ancora. C’è un elemento di prova a favore di Busco che pare essere stato sottovalutato. Sul corpo della Cesaroni sono stati rinvenuti lividi sulle anche. Lividi che sono indice di una violenza sessuale. Violenza a cui però non è seguita una penetrazione, tanto che all’epoca si pesò ad un violentatore incapace di avere un’erezione. Busco ha dei figli, difficile pensare a un uomo incapace di avere rapporti sessuali (impotenza coeundi). E poi. Siamo certi che, come nel caso Marta Russo, la magistratura abbia condannato l’imputato pur di non smentire l’operato di Pm tanto autorevoli? Infine la difesa di Busco. Si sostiene che Busco avrebbe avuto bisogno di un’impostazione difensiva diversa. Ma perché è fisiologico forse che un Giudice condanni l’imputato se non è ben difeso? Non sembra affatto. Anzi al contrario. Il Giudice, se riscontra lacune probatorie, che possono anche essere generate dall’impostazione difensiva, può colmare tali lacune come è previsto dall’art. 507 c.p.p. Lacune che, se non colmate, imporrebbero al Giudice di assolvere l’imputato ai sensi dell’art. 530, secondo comma, c.p.p. Ovvero per insufficienza o contrarietà della prova. Ora sia chiaro. Parlare di Giustizia deve significare soprattutto parlare di come questa viene esercitata concretamente. E, guardando al processo e alla condanna inflitta a Raniero Busco, non sembra che la giustizia oggi goda di buona salute. Una giustizia che, invece di generare certezza anche attraverso l’assoluzione, produce incertezza. Incertezza e paura. La paura che l’innocente o il colpevole non verranno riconosciuti tali. Dopo Lumumba, Stasi, Pappalardi, Scattone e Ferraro, ecco un altro triste capitolo. Raniero Busco. Una vita distrutta dalla c.d. giustizia. Lettere: a Milano volontaria cerca aiuto per organizzare mostra con i dipinti dei detenuti Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2011 Sono Marina Signorelli, rieducatrice psicofisica per le tossicodipendenze e faccio volontariato presso il carcere di massima sicurezza di Opera. Vorrei riuscire ad organizzare una mostra dei dipinti dei detenuti delle carceri della Lombardia, simile a quella organizzata a Verona: “Tra Mura Les”. Mi ritrovo con oltre 100 opere, che ho raccolto nelle varie carceri, di cui molte di Marco Medda, deceduto circa un anno fa. Sto chiedendo aiuto a tutti, una mano per dare visibilità a ciò che viene svolto da tantissimi detenuti, come espressione artistica. A Milano c’è qualcuno che mi può aiutare? Sono una volontaria, non speculo... ho solo un grande desiderio ! Mantenere una promessa fatta a Marco prima che morisse. Far vedere la sua arte, che l’ha aiutato a sopportare 30 anni di detenzione, trovando solo nella pittura la forza di andare avanti Marina Signorelli Per contatti: marinasigno@libero.it Veneto: il Governatore Zaia chiede risorse per le carceri; situazione a limite sopportabilità Asca, 30 gennaio 2011 “Una Regione come il Veneto che ogni anno regala allo Stato centrale sette miliardi di euro ha diritto a una giustizia efficiente, con risorse adeguate alle necessità. Sono certo che le relazioni del procuratore generale Pietro Calogero e della presidente della Corte d’appello Manuela Romei Pasetti e le loro denunce sull’inadeguatezza delle risorse per la giustizia non sono una critica al Governo, quanto piuttosto una giusta denuncia di una situazione insostenibile. Mi riconosco totalmente nel loro appello in difesa di valori comuni”. Così il Presidente dalla Regione del Veneto Luca Zaia commenta gli interventi e i dati emersi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Venezia. Commendando i dati sul sovraffollamento carcerario del Veneto dove contro una presenza regolamentare di 1.815 detenuti e una soglia tollerabile di 2.848 a ottobre 2010 c’erano 3.295 reclusi, il governatore veneto ha ricordato che “in carcere ci vanno persone che hanno diritto a una punizione giusta e non possono essere considerate reiette e abbandonate in strutture orribili e fatiscenti”. “In particolare - aggiunge Zaia - la troppo lunga carcerazione preventiva è una grave incrinatura del patto sociale. Da mesi la Regione del Veneto sta lavorando con il ministero della Giustizia per offrire tutto l’aiuto possibile nel reperire strumenti e luoghi in grado di restituire decoro alle nostre strutture detentive. Garantisco al procuratore Calogero, alla presidente Romei Pasetti e a tutta la magistratura le più viva attenzione di tutta la Regione su questi temi fondativi del patto sociale e istituzionale”. La situazione nelle carceri è al limite della sopportabilità Ieri mattina il provveditore regionale, Felice Bocchino, ha detto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario che nel secondo semestre 2009 ci sono stati tre decessi nelle carcere, due suicidi e una morte naturale. Nel primo semestre 2010 ci sono stati quattro decessi, uno per morte naturale, tre suicidi. “È difficile, se non impossibile, individuare cause e rimedi. Nel periodo che si considera comunque sono stati sventati complessivamente 54 tentativi di suicidio, gli atti lesionistici sono stati 346. Il sovraffollamento, le carenze di personale, difficoltà di comunicazione dovute alle diverse nazionalità di molti detenuti sono fattori che sono tenuti in debita considerazione anche se non da considerare cause determinanti”, ha affermato il provveditore regionale Bocchino. E ha aggiunto: “Il numero ingente di detenuti non comporta solo gravi problemi per la gestione di strutture concepite per un numero di persone molto al di sotto di quelle che eventualmente ospitano ma determina un aumento di non poco conto delle traduzioni, anche perché molte udienze di convalida degli arresti vengono effettuate all’esterno degli istituti”. Sicilia: presidente Corte appello Palermo; servono rimedi urgenti, per evitare il peggio Adnkronos, 30 gennaio 2011 Carceri sovraffollate e agenti penitenziari insufficienti. È la fotografia degli istituti di pena nel distretto di Palermo (che comprende le province di Palermo, Trapani ed Agrigento), che emerge dalla relazione di Vincenzo Oliveri, presidente della Corte d’Appello di Palermo. “Occorrono urgenti rimedi, se si vuole evitare il peggio - dice, perché nella popolazione carceraria il disagio è assai grave e l’atmosfera all’interno delle strutture è di forte tensione. La tensione può facilmente tradursi in esasperazione e l’esasperazione diffusa - conclude Oliveri - condurre da un momento all’altro ad atti collettivi di grave violenza”. Nella sua relazione, illustrata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte d’Appello di Palermo spiega che ‘la popolazione carceraria del distretto, già in notevole eccesso nel periodo precedente, è ulteriormente aumentata, essendo complessivamente passata da un totale di 3.563 soggetti al primo luglio 2009 a 3.585 al 30 giugno 2010, a fronte di una capienza regolamentare di 2.219. A fronte di una popolazione carceraria in crescita si registrano, denuncia Oliveri, “pesanti carenze quantitative” nel corpo della polizia penitenziaria, che nel distretto secondo previsione organica, dovrebbe contare su 2.210 fra uomini e donne, mentre ne conta solo 2.033. Lazio: presidente Corte appello Roma; carceri affollate all’inverosimile Agi, 30 gennaio 2011 “Resta pesante la situazione degli istituti penitenziari del Lazio, che sono colmi fino all’inverosimile, perché in tutti esiste un fenomeno drammatico di sovraffollamento”. È quanto emerge dalla relazione del presidente della corte d’appello di Roma, Giorgio Santacroce. “In carcere non c’è più posto”, sottolinea l’alto magistrato, “i detenuti presenti sono almeno il doppio del numero massimo dei posti regolamentari”. Secondo quanto è stato segnalato a Santacroce, “negli istituti di pena del distretto sono presenti molti più detenuti di quanti ve ne fossero all’epoca della concessione dell’indulto: da qui il verificarsi di continui episodi di autolesionismo, di ripetuti scioperi della fame, di danneggiamenti di beni dell’amministrazione”. Emilia Romagna: procuratore generale Bologna; detenuti privi di spazio minimo essenziale Adnkronos, 30 gennaio 2011 La grave situazione delle carceri dell’Emilia Romagna ha fatto capolino durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. Ne ha parlato nella sua relazione il procuratore generale di Bologna, Emilio Ledonne, ricordando che “gli istituti penitenziari del distretto hanno superato i limiti della cosiddetta capienza tollerabile”. Dalla sua relazione emerge che “al 30 dicembre 2010 erano presenti nelle carceri del distretto 4.373 detenuti a fronte di una capienza tollerabile di 4.015. La situazione è grave perché i detenuti negli istituti della regione sono privi dello spazio minimo essenziale nei luoghi in cui sono ristretti”. Lombardia: Camera penale di Milano; troppi detenuti suicidi, fermiamo questa strage Agi, 30 gennaio 2011 Parla di una “strage di detenuti” il consiglio direttivo della camera penale di Milano, intervenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Vorremmo che non si ripetesse più - scrivono gli avvocati milanesi - la strage che nell’anno appena trascorso ha causato più di 60 suicidi fra i detenuti e si affrontasse il problema del sovraffollamento delle carceri, non attraverso la nuova costruzione di istituti penitenziari, ma per esempio con l’applicazione di misure alternative alla detenzione”. Gli avvocati, sempre a riguardo delle problematiche carcerarie affermano: “vorremmo che la custodia cautelare tornasse ad essere applicata come estrema ratio nel rispetto dei presupposti previsti dalla legge processuale e non venisse utilizzata, attraverso percorsi motivazionali apparenti ed in modo surrettizio, come l’indebita anticipazione della pena detentiva”. Calabria: presidente Tribunale sorveglianza Catanzaro; situazione esplosiva nelle carceri Agi, 30 gennaio 2011 Gli otto istituti penitenziari del distretto del tribunale di Sorveglianza di Catanzaro stanno per esplodere. E questa volta la denuncia non è di organizzazioni sindacali o di volontariato, ma arriva direttamente dal presidente del tribunale ed è stata riportata nella relazione del presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Gianfranco Migliaccio, nell’inaugurazione dell’anno giudiziario che si è svolta oggi nel capoluogo calabrese. Cifre drammatiche sul sovraffollamento delle carceri: +43 per cento a Cosenza, +25 a Castrovillari, +31 a Vibo Valentia e Rossano, +13 a Catanzaro, fino al +84 per cento che si registra nel carcere di Lamezia. Si tratta, secondo quanto riportato nella relazione, di una “allarmante situazione di sovraffollamento carcerario, ben più consistente delle cifre comunemente diffuse da varie fonti di informazione, anche istituzionali”. Il problema, infatti, tra quanto previsto e quanto sostenuto nei dati ufficiali, è da rintracciare nelle “presenze effettive dei detenuti, al netto di tutti quei posti risultanti sulla carta, ma di fatto non utilizzati”. Complessivamente, i detenuti presenti negli otto istituti del distretto sono 2.366 con una media di sovraffollamento pari al 23 per cento. Una situazione che, così come riportato da Migliaccio, “produce enormi problemi e disagi sul personale, sui servizi, sui consumi, con serie ricadute sulla sicurezza interna ed esterna”, oltre che nel settore igienico - sanitario. Sicilia: presidente Corte appello Palermo; nelle carceri superato il limite di tollerabilità Ansa, 30 gennaio 2011 La popolazione carceraria del distretto, già in notevole eccesso nel 2009, è ulteriormente aumentata nel 2010, essendo complessivamente passata da un totale di 3.563 detenuti al 1° luglio 2009 a 3.585 al 30 giugno 2010, a fronte di una capienza regolamentare di 2.219 detenuti. Risulta così “sforato il limite di tollerabilità massima, che è in complesso pari a 3.377 posti”. Ha denunciato anche questo il presidente Oliveri nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. “È intuitivo come nel periodo che interessa le notevolissime difficoltà che già in precedenza, in connessione con il forzoso eccesso di presenze, si erano dovute fronteggiare nella gestione di ciascuna delle strutture carcerarie operanti nelle tre province di Palermo, Trapani e Agrigento, anziché essersi affievolite, si sono accentuate”, ha detto Oliveri. La situazione ha continuato ad essere particolarmente grave presso la Casa Circondariale d’Agrigento, dove alla data del 30.6.2010 si contavano in complesso 458 detenuti (a fronte di una capienza regolamentare di 260 posti); in quella di Trapani con 500 detenuti (e capienza regolamentare di 324); in quella di Termini Imerese con 172 detenuti (e capienza reg. di 77); in quella di Pagliarelli con 1.359 detenuti (e capienza regolamentare di 824). Non meno critiche le condizioni della Casa Circondariale “Ucciardone” di Palermo con 711 detenuti (e capienza regolamentare di 419 posti) e della Casa di Reclusione di Favignana, con 152 fra condannati ed internati (e capienza regolamentare di 139), le quali scontano entrambe anche le incidenti difficoltà aggiuntive collegate alla vetustà degli edifici. Nell’isola di Favignana la situazione dovrebbe, tuttavia, decisamente migliorare di qui a breve, poiché è imminente la consegna all’amministrazione di un istituto penitenziario di nuova realizzazione. Non è detto, tuttavia, che ciò porterà alla chiusura della vecchia struttura, poiché si deve tenere in conto la non evanescente 49 V anche la relazione del Provveditore Regionale del Dap. Oliveri ha ricordato che “non può ignorarsi che in tutti gli istituti del distretto vi è una quota notevole (circa un terzo del totale) di extracomunitari, il confronto con i quali per gli operatori è sempre assai difficoltoso (spesso anche soltanto per la impossibilità di agevole comunicazione), ed in alcuni di essi anche una rilevante frazione di detenuti che, per la loro spiccata pericolosità sociale, sono destinati alle sezioni di alta sicurezza (ben 417 al Pagliarelli, 145 nella Casa Circondariale d’Agrigento e 124 in quella di Trapani), con il forte impegno di risorse che ciò comporta sul piano dell’attività di vigilanza e delle incombenze che vi sono connesse, a fronte dell’insopprimibile esigenza di garantire la sicurezza interna ed esterna”. Quindi, “occorrono urgenti rimedi, se si vuole evitare il peggio, perché nella popolazione carceraria il disagio è assai grave e l’atmosfera all’interno delle strutture è di forte tensione”. Puglia: presidente Corte appello Bari; situazione compatibile con funzione educativa pena Adnkronos, 30 gennaio 2011 Sulla situazione carceraria nel Distretto, Caferra ha riferito che “la presenza complessiva delle persone detenute alla data del 30 giugno 2010 è ulteriormente aumentata rispetto al dato registrato raggiungendo il numero di 2.267. Una presenza che è andata ben oltre la complessiva capienza tollerabile, 1.879, degli Istituti di pena ubicati sul territorio del distretto. Tale situazione di sovraffollamento che, evidentemente, non è compatibile con la funzione rieducativa del trattamento penitenziario, interessa in varia misura quasi tutti gli Istituti del Distretto”. Sulla questione della durata dei processi. Caferra ha denunciato che “si è costruito uno strano sistema, che prevede una catena dei processi, l’uno filiazione dell’altro, aggiungendo al processo principale, quello originato dalla domanda di giustizia rivolta al giudice, altri processi derivati. Si assiste anche alla cosiddetta Pinto sulla Pinto, cioè alla richiesta di risarcimento per il ritardo nella definizione non solo della prima causa, ma anche sulla causa del ritardo. È il caso di dire - ha commentato amaramente - che non c’è limite alla nostra fantasia giuridica”. Aversa (Ce): l’Opg sotto inchiesta; avvisi di garanzia e sequestro cartelle cliniche internati Caserta Sette, 30 gennaio 2011 Degrado, pessime condizioni igienico sanitarie, violazioni nella somministrazione dei farmaci: torna nell’occhio del ciclone l’ospedale psichiatrico giudiziario Saporito, dove a seguito dei rilievi presentati dalla commissione d’inchiesta del Senato sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, ieri sono tornati i Nas che hanno sequestrato cartelle cliniche e registri. Sul posto un pool di magistrati della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, coordinati dall’aggiunto Capasso che hanno ispezionato la struttura. Nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura sammaritana sono stati notificati avvisi di garanzia all’ex commissario straordinario dell’Asl Ce Ferdinando Romano e alla direttrice del dipartimento di salute mentale ex Asl Ce2 Tiziana Celani, per “omissione d’atti di ufficio”, alla direttrice penitenziaria dell’Opg Carlotta Giaquinto e al direttore sanitario Adolfo Ferraro per “omissione d’atti d’ufficio e maltrattamenti”. A Ferraro è stato notificato anche un avviso di garanzia per truffa per assenze sul posto di lavoro. “Mi auguro che questa sia l’occasione per una svolta - sostiene la direttrice Giaquinto - Anche noi abbiamo più volte denunciato la condizione difficile degli internati”. A inizio mese l’ultimo suicidio La struttura di Aversa ospita, al momento, circa 300 pazienti. Da tempo però si parla della necessità di un adeguamento strutturale di tutto l’edificio. All’inizio del mese un detenuto dell’Opg si è suicidato, impiccandosi all’interno della sua cella. Il direttore sanitario Adolfo Ferraro ricorda che da tre anni i servizi sanitari sono diventati di competenza delle strutture territoriali ma, sottolinea, “le difficoltà non mancano e le segnalazioni non hanno avuto risposta” mentre la gestione della struttura è in capo all’amministrazione penitenziaria. Il due novembre scorso i carabinieri dei Nas della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale sequestrarono la farmacia dell’Opg per le “gravi irregolarità riscontrate”, dopo un sopralluogo a sorpresa della commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino. Messina: muore in carcere a 75 anni il "boss" Gioffrè, era malato di cuore da tempo Ansa, 30 gennaio 2011 E' morto in carcere questa mattina Rocco Antonio Gioffrè, boss dell'omonimo clan di Seminara, nel Reggino. Gioffrè, detto "u 'Ndolu", era detenuto nel carcere di Messina quando ha avuto un attacco di cuore che ha costretto i sanitari del penitenziario a richiedere il suo trasferimento in una struttura sanitaria messinse. Gioffrè 75 anni, è morto però durante il suo trasporto all'ospedale intorno alle 7. L'uomo, finito in carcere in seguito all'inchiesta della Dda di Reggio Calabria denominata "Topa", a causa delle sue precarie condizioni di salute, era stato denenuto in un primo momento nel centro clinico penitenziario di Parma. Dopo la condanna per associazione mafiosa e voto di scambio, nell'ambio de processo "Topa" era stato investito da una nuova ordinanza di custodia cautelare per un altro procedimento dell'antimafia Reggina, l'inchiesta "Artemisia", che aveva stroncato i due clan di Seminara, i Gioffrè appunto e quello dei Caia, impegnati in una violenta faida. Per poter assistere alle udienza del processo che si sta celebrando davanti alla Corte d'assise di Palmi, Gioffrè era stato trasferito a Messina, ma per le sue precarie condizioni di salute non aveva preso parte alle ultime udienze. Condizioni che avevano spinto i suoi legali, gli avvocati Domenico Alvaro e Michele Gullo del foro di Palmi, richiedere due perizie, mediche di parte per la sua scarcerazione. Richieste che erano state comunque respinte. Genova: delegazione Radicale in visita a Marassi; è “sotto la media” delle carceri italiane Ansa, 30 gennaio 2011 Una delegazione radicale, guidata da Rita Bernardini, componente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, sta visitando in questo fine settimana tutte le strutture penitenziarie liguri. Scopo della visita è quello di redigere un quadro completo sulla realtà carceraria ligure anche a seguito di un anno, il 2010, che ha visto tra i detenuti in Liguria 2 suicidi, 30 tentativi di suicidio, 230 atti di autolesionismo,165 persone coinvolte in iniziative dimostrative come gli scioperi della fame e 26 aggressioni a danno degli agenti di polizia penitenziaria. Il “tour” è partito ieri dalla casa circondariale di Marassi. “In questo carcere non esiste un regolamento interno per disciplinare i diritti e la vita dei detenuti”. Ha denunciato la deputata radicale, annunciando la presentazione di una interrogazione parlamentare in materia. Nel mirino dei Radicali anche il sovraffollamento (733 detenuti su una capienza massima di 456) e la mancanza di organico da parte della polizia penitenziaria: gli agenti in servizio sono 160. Solo 60 detenuti, infine, lavorano, gli altri 673 restano in cella per 19 ore al giorno. La deputata Radicale ha inoltre denunciato “Il grave problema degli infermieri, che lamentano stipendi tagliati del 10%, e la mancanza d’igiene, con il 25% dei servizi di pulizia tagliati nel 2011. Non c’é dubbio che quello di Marassi, tra le carceri italiane, sia da ritenere sotto la media”. Ieri sono stati visitati anche i carceri di La Spezia e Chiavari, mentre oggi la delegazione radicale si sposterà a Pontedecimo per poi proseguire verso le strutture penitenziarie del ponente. Tolmezzo: 17 detenuti sottoposti al regime di 41-bis e altri 55 in alta sorveglianza Il Gazzettino, 30 gennaio 2011 Notissimi boss della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta, ma anche terroristi e brigatisti rossi. Arrestati e condannati, scontano la loro pena a Tolmezzo. Qui si trova l’unico carcere del Friuli Venezia Giulia dove si applica il 41 bis, il carcere duro. Lì, di esponenti di spicco della criminalità organizzata e dell’eversione, ce ne sono ben 17. La struttura ospita anche altri 55 condannati per gravissimi delitti, sottoposti a regime di alta sorveglianza. Il carcere di Tolmezzo è speciale. Perché nonostante il grave sovraffollamento (308 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 220 posti), piaga che colpisce anche le altre quattro strutture carcerarie di Trieste, Udine, Gorizia e Pordenone, penalizzate drammaticamente nell’organico, ha al suo interno corsi di scuola media inferiore e superiore, di alfabetizzazione alla lingua italiana per i sempre più numerosi stranieri, attività formazione professionale. Nella struttura diretta da Silvia Della Branca c’è la forza del volontariato. Ci sono gli psicologi. Il carcere di Tolmezzo è speciale perché nel 2010 “non sono stati segnalati casi di suicidio né si sono verificate evasioni a seguito di concessione di permessi”. A raccontarlo è il presidente della Corte d’appello di Trieste, Mario Trampus, che ieri ha raccontato 365 giorni di giustizia in Friuli Venezia Giulia prima di aprire un nuovo anno giudiziario davanti ad una platea punteggiata da tante sedie vuote. A disertare, oltre a molti politici, anche le toghe dell’Unione delle Camere penali Fvg che si sono astenuti - come si legge in una nota del presidente Bruno Malattia - da un “rituale ottocentesco e paludato”, denunciando “l’immobilismo del Parlamento sui temi della giustizia ed evidenziando che per il sistema politico la giustizia sembra costituire solo un imbarazzante teatro di scontro mediatico”. Dalla relazione emerge la quotidianità di magistrati, forze dell’ordine, dirigenti e operatori. La regione, secondo il rappresentante del ministero della Giustizia, Angelo Piraino, “è una realtà virtuosa nel panorama italiano”, “che spicca”. Tutti i reati sono in diminuzione. Gli omicidi nel 2010 sono stati quattro, tutti consumati in ambito familiare, tutti perseguiti e scoperti dai Carabinieri. Rimane avvolta nel giallo la morte di Tatiana Tulissi, avvenuta a Manzano l’11 novembre 2008, sulla quale si continua a indagare, Ma magistrati, avvocati e dirigenti, invocano riforme e non pannicelli caldi. Perché presto non basterà la rete di solidarietà a tenere insieme il sistema. Servono uomini e mezzi. Il ‘processo brevè rischia di far tracollare il sistema, secondo Trampus. Bologna: la Camera penale non partecipa a inaugurazione dell’anno giudiziario Adnkronos, 30 gennaio 2011 La Camera Penale “Franco Bricola” di Bologna, d’intesa con l’Unione delle Camere Penali Italiane e con le altre Camere Penali territoriali, non ha partecipato all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Come si legge in un comunicato “il direttivo ritiene che la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario rappresenti un rituale sterile, perlopiù finalizzato a snocciolare freddi dati e lamentele circa la mancanza di risorse umane ed economiche, piuttosto che orientato ad affrontare le problematiche che affliggono il sistema giustizia”. E a tal proposito vengono avanzate delle ipotesi come “la separazione delle carriere che garantisca l’autonomia e l’indipendenza del magistrato, l’applicazione del principio del giusto processo che assicuri la reale parità tra le parti nel processo penale, la custodia cautelare in carcere come extrema ratio, concreta applicazione delle misure alternative alla detenzione, sistema carcerario rispettoso della dignità del detenuto ed orientato al suo recupero sociale, avvio anche per il processo penale della informatizzazione e migliore gestione delle risorse finanziarie dedicate al settore”. Genova: Sappe; è ancora allarme, per le carceri servono provvedimenti urgenti Comunicato Sappe, 30 gennaio 2011 “Il sovraffollamento delle carceri liguri e della struttura penitenziaria di Marassi a Genova sono indice di una insostenibilità rispetto alla quale il Sappe ha da tempo sollecitato il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ad assumere urgenti determinazioni. Proprio nel carcere genovese della Valbisagno, lo scorso 31 dicembre, rispetto alla prevista capienza regolamentare di 450 posti c’erano più di 750 detenuti, dei quali 430 circa (quasi il 60%) stranieri. Tra un po’ non sapremo più dove mettere i detenuti. Ciò si ripercuote principalmente sulle drammatiche condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria, considerato che il sovraffollamento dei penitenziari ricade principalmente proprio sui poliziotti penitenziari, che sono impiegati nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico in una sistematica inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti. Le criticità del carcere genovese sono confermate drammaticamente dai questi dati. I poliziotti penitenziari di Marassi nel solo 2010 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a 5 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che gli oltre 100 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Sono persone che nelle carceri italiane subiscono con drammatica sistematicità - nell’indifferenza dell’opinione pubblica, della classe politica ed istituzionale - continue aggressioni da una parte di popolazione detenuta aggressiva e violenta. Nessuno, però, mette in evidenza questi nobili gesti delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria. E a Marassi mancano più di 160 agenti. Su queste gravi ed evidenti criticità, comuni anche a quelle delle altre Case circondariali della Liguria, si deve (o meglio, si dovrebbe) intervenire con urgenza, attivando soluzioni percorribili come quelle di un maggior ricorso a misure alternative alla detenzione e contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per i detenuti con pene più brevi da scontare e l’espulsione dei detenuti stranieri per fare scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di origine”. È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe e commissario straordinario ligure, il primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo, a margine della cerimonia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario che si è svolta oggi a Genova. “Il mondo della politica, qualunque sia il colore di chi governa, se ne frega delle carceri. Approvato l’indulto” aggiunge Martinelli “Governo e Parlamento avrebbero dovuto prevedere con urgenza provvedimenti concreti per ripensare il sistema carcere nel suo complesso. Non è stato fatto nulla ed oggi la situazione è addirittura peggio di quando venne approvato l’indulto. Il Sappe da tempo auspica diversi provvedimenti finalizzati a tentare di risolvere le endemiche criticità penitenziarie: come fare scontare la pena ad una parte degli stranieri(che rappresentano il 40% della popolazione detenuta nazionale ed il 60% di quella presente a Marassi, e di cui Albanesi, Rumeni, Tunisini, Algerini, Marocchini superano il 70% del totale) nei propri Paesi d’origine previo incentivi anche economici, ai rispettivi Governi che accettassero tale proposta (ciò farebbe risparmiare allo stato Italiano centinaia di milioni di euro). Si dovrebbe anche ricorrere maggiormente alle misure alternative alla detenzione e depenalizzazione per quei reati che non destano allarme sociale ed impiegare in lavori socialmente utili (pulizia strade, giardini, boschi, torrenti, fiumi ecc.) quei detenuti, che avendone i requisiti, non hanno potuto fruire delle misure alternative quali semilibertà o affidamento al servizio sociale per mancanza di richieste di lavoro. La maggior parte delle retribuzioni degli stessi dovrebbero poi essere destinate in un fondo a favore delle vittime dei delitti e loro familiari”. Cagliari: un nuovo caso di tubercolosi nella Colonia penale di Is Arenas La Nuova Sardegna, 30 gennaio 2011 Nuovo caso di Tbc polmonare nella casa di reclusione di Is Arenas, il quarto in tre anni, a distanza di soli tre mesi dal precedente. Il detenuto colpito dalla tubercolosi è un extracomunitario del Nord Africa, arrivato nell’istituto carcerario una settimana fa proveniente da un altro penitenziario sardo. Ieri mattina, dopo i primi sintomi della malattia, è stato trasferito in un ospedale di Cagliari con reparto infettivi. “C’è da augurarsi che qualcosa cominci a funzionare nella casa di reclusione di Is Arenas - ha commentato Sandro Atzeni, della Fp Cgil della Polizia penitenziaria - , visto che il caso è stato riscontrato in pochi giorni e subito isolato. Tuttavia permangono le pessime condizioni igienico - sanitarie dell’istituto e il sovraffollamento delle celle”. Atzeni ha chiesto che tutti i casi sospetti vengano prontamente affrontati e che siano effettuati controlli medici sul personale e sui detenuti. Padova: dietro le sbarre nascono dolci da re La Stampa, 30 gennaio 2011 Con i nostri panettoni siamo entrati nella casa del Papa, dolcemente”, sorride Nicola Boscoletto, il presidente ciellino del consorzio sociale Rebus (3 cooperative, 450 dipendenti, fatturato 18 milioni di euro). Boscoletto con la coop Giotto è pioniere nel carcere “Due Palazzi” di Padova di un progetto, basato sul lavoro come strumento d’eccellenza per il recupero dei detenuti, d’avanguardia nel desolante panorama delle nostre prigioni (una minoranza dei 70 mila detenuti lavora; e di questi 1.200 sono in regime di semilibertà e solo 700 dietro le sbarre). “Nel 2005 abbiamo lanciato una sfida ambiziosa: fare alta pasticceria in carcere. Con l’aiuto del maestro pasticciere Lorenzo Chillon sono nati i Dolci di Giotto”, racconta Boscoletto. “Da allora, a Natale regaliamo al Papa un panettone e a Pasqua una colomba accompagnati da una lettera o un video sulle nostre attività in carcere. Un anno il Papa ha donato il nostro panettone ai detenuti di Rebibbia; poi, so che ha cominciato ad assaggiare qualcosa. E, questo Natale, dal Vaticano ci hanno ordinato 260 panettoni. Regali - regolarmente pagati - del Santo Padre a cardinali, ambasciatori e alla famiglia pontificia”. Apprezzati da così alti palati, premiati dall’Accademia italiana della cucina e lodati da celebri chef come lo spagnolo Fernan Adrià (ha visitato il laboratorio nel 2009) i dolci dei detenuti - pasticcieri di Padova (oltre a quelli dedicati a Giotto, sfornano per i pellegrini antiche ricette ritrovate dai frati della Basilica di Sant’Antonio) sono solo il fiore all’occhiello delle varie attività - “Lavoro vero, non assistito” - create in carcere dal pragmatico imprenditore veneto e dai suoi amici. Niente a vedere con il buonismo. “Ho la doppia fortuna di non essere un politico e di lavorare da 20 anni in questa trincea”, attacca Boscoletto. “Perciò, confesso di provare profondo disagio quando sento certi discorsi sulla sicurezza. Su questo tema - a tutti i livelli - è stato impostato un teatrino per fini elettorali; ora non sanno più come tirarsene fuori. Sia chiaro, il carcere oggi è una fabbrica di delinquenza - il dato reale sulla recidiva è intorno al 90% - e costa miliardi di euro alla collettività. Paghiamo, insomma, per farci del male. È elementare, eppure sembra quasi impossibile far ragionare le persone e chi capisce la situazione ha paura di fare qualcosa nel timore di perdere consensi”. Nato a Chioggia, laureato a Padova in scienze forestali, sposato con 2 figli, Boscoletto al carcere è arrivato per caso. Nel 1986 con un gruppo di universitari di Cielle (“L’incontro decisivo per tutti noi è stato quello con don Giussani”) fondò una cooperativa per la progettazione e manutenzione del verde. “Le aree esterne del “Due Palazzi” erano ridotte a una discarica; nel 1991 vincemmo il concorso ma dal ministero non arrivava l’ok. Dietro le sbarre 700 detenuti non facevano nulla, convincemmo il direttore a fare dei corsi di giardinaggio”. Nel 2001 un altro passo avanti. “A parte quei corsi, all’inizio il nostro ruolo era solo cercare il lavoro all’esterno. Ebbene, tra chi lavorava in semilibertà la recidiva era scesa al 15%. Era evidente: il lavoro bisognava portarlo dentro al carcere”. Tra ostacoli, diffidenze, miopie (“In questo campo ogni piccolo passo è come scalare l’Everest; oltretutto subiamo la concorrenza dei moltissimi laboratori clandestini”) il “Due Palazzi” è diventato un laboratorio di speranza. I 100 detenuti - dipendenti della Giotto (900 euro al mese come contratto delle coop sociali) non solo fanno squisiti dolci (30 mila panettoni a Natale) ma assemblano biciclette, valigie e gioielli. C’è chi fa chiavette con il software per la firma digitale e chi lavora al call center della locale Asl. 2010, nuova statistica. “Tra i nostri detenuti la recidiva è crollata al 1%”, nota con orgoglio Boscoletto. Educazione al lavoro, dignità, riscatto. Per Nicola Boscoletto “questa è la vera filiera della sicurezza. Tutto il resto sono parole al vento”. Rovigo: Centro Francescano di Ascolto; il volontariato per i detenuti da 21 anni Il Gazzettino, 30 gennaio 2011 “Un sistema fallimentare sia sul piano giudiziario che sotto il profilo dell’esecuzione delle pene”. È una stroncatura a tutto tondo quella pronunciata da Livio Ferrari, fondatore e direttore del Centro francescano d’ascolto, che oggi celebra il 21° anniversario dalla fondazione con la messa alle 8.30 al Centro San Giovanni Bosco e gli interventi che seguiranno tra i quali le testimonianze di Mauro Cavicchioli, presidente della cooperativa Il Pungiglione di Massa Carrara, e Tonio Dell’Olio, responsabile di Libera internazionale. Ferrari, da 25 anni a diretto contatto con i problemi carcerari, traccia l’ennesimo bilancio negativo del sistema penitenziario e della giustizia nazionali. “Di giustizia si parla ormai solo per slogan - spiega - la realtà è fatta di morti dietro le sbarre che aumentano ogni giorno, ragazzi ventenni con pene lievi e quasi scontate. In più ci sono i problemi di chi lavora negli istituti penitenziari, sotto organico e privati di ogni sostegno alla loro capacità di far fronte a situazioni di emergenza. Inoltre l’aspetto salute è a rischio dopo il travaso di competenze a Regioni e Ulss. Il passaggio dal ministero Guardasigilli al Sistema sanitario nazionale si è rivelato una iattura. Il primo forniva ausili, medicine e altro ancora. Ora manca tutto. Infine un meccanismo inverosimile ostacola l’accesso dei detenuti all’assistenza sociale e questo capita solo in Veneto. In tutt’Italia chi viene arrestato perde la residenza e ha diritto a quella dove sconta la pena, con relativa assistenza sociale del Comune. In Veneto vige un articolo abrogativo della legge 268 secondo cui per l’assistenza sociale la norma non vale. Così i detenuti devono recuperare l’ultimo domicilio per accedere all’assistenza o devono risalire al Comune di nascita”. Anche le valutazioni del procuratore della Repubblica Dario Curtarello sulla Casa circondariale di Rovigo sono preoccupanti. Uno stabile datato (in attesa dell’ultimazione del nuovo carcere) situato in pieno centro storico, cui sono necessarie opere continue di manutenzione e salvaguardia dell’igiene, oltre a piccoli interventi murari. Tutte opere eseguite, anche se in maniera insufficiente a causa degli scarsi stanziamenti. Il carcere di via Verdi è sovraffollato, con una presenza media di detenuti pari a 125 unità, quando la capienza regolamentare è di 66 posti. Nell’ultimo anno non si sono verificati casi di suicidio (a parte un tentativo) e c’è stata una sola evasione di un detenuto che era uscito in permesso premio. A fronte del numero eccessivo di detenuti, quello del personale di polizia penitenziaria è in sofferenza, con sole 55 unità in servizio contro le 66 previste dalla pianta organica. “Le condizioni sanitarie - dice il procuratore - risentono del notevole sovraffollamento e delle carenze di personale, tanto che le visite specialistiche programmate devono essere sovente rimandate”. Torino: successo per la serata a base di “carcere e cucina” di Sapori Reclusi a Eataly www.saporireclusi.org, 30 gennaio 2010 Tra un aperitivo, un baccala in gelatina d’arancia, un risotto mantecato al fondo bruno, un filetto di maiale e del latte fresco rivisitato Andrea Ribaldone, Davide Palluda, Flavio Ghigo, Gilberto Demaria, Roberto Campogrande hanno preso per la gola un centinaio di persone venute a sentire, a raccontare e a capire il carcere. L’evento, organizzato il 27 gennaio dall’associazione culturale Sapori Reclusi a Eataly Torino, è stato una rara occasione per parlare di argomenti difficili in serenità dando spazio a tutti i vari esponenti del mondo carcerario. Le associazioni Banda Biscotti, Recuperiamoci!, Pausa Caffè, Valelapena e Antigone hanno spiegato i loro progetti, il loro percorso, le loro speranze. Esperti di comunicazione hanno avuto modo di vedere il potenziale ancora in parte inesplorato del mondo carcerario Piemontese. Direttori di carceri, politici, addetti ai lavori hanno potuto spiegare e discutere il carcere con i curiosi. Davide Dutto, ideatore del progetto, ha esposto le sue immagini nella mostra “Dal Gambero nero a Sapori Reclusi”; mentre Marco, l’ex detenuto che sta cercando di ricostruirsi una vita, ha raccontato la sua storia, i suoi dubbi sul sistema carcerario e sulle incongruenze dell’integrazione. Sapori Reclusi è un’associazione che vuole dare voce e sapore a realtà nascoste e che vuole continuare il suo percorso, brillantemente inaugurato a Eataly, favorendo sinergie tra le varie realtà attive sul territorio Piemontese.” Pavia: droga nella cooperativa “Il Convoglio”; sequestrati 30 chili di hascisc, tre arresti La Provincia Pavese, 30 gennaio 2010 Trenta chili di hashish sequestrati nella struttura gestita dalla cooperativa “Il Convoglio”, che si occupa del reinserimento lavorativo degli ex detenuti. L’operazione dei carabinieri di Pavia ha portato anche all’arresto di tre persone, tra cui un dipendente. L’immobile, dove si trovano anche gli alloggi degli ex detenuti, è stato perquisito. Tre arresti e 30 chili di hascisc sequestrati. Sarebbero questi i numeri di un’operazione condotta ieri pomeriggio dai carabinieri della compagnia di Pavia all’interno della struttura della cooperativa “Il Convoglio”, che si occupa di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. Secondo quanto è stato possibile apprendere, i carabinieri avrebbero perquisito l’immobile di via Fossarmato a Pavia, che ospita e fornisce occupazione a 4 detenuti. Sull’indagine non sono stati resi noti altri particolari e neppure sono trapelati i nomi degli arrestati. Uno di loro, a quanto pare, sarebbe un dipendente della stessa cooperativa, che fornisce lavoro a tre detenuti all’interno del carcere di Torre del Gallo, ad altri tre ex detenuti al deposito di biciclette in piazzale della stazione, mentre altre 4 persone sono ospiti nella struttura di Fossarmato, dove si trova anche un laboratorio di panetteria. Qui il pane viene prodotto e venduto al pubblico. Pizze e focacce arrivano anche nelle scuole della città. E proprio negli appartamenti dove gli ex detenuti sono ospitati sarebbero stati trovati 30 chili di hashish, un quantitativo su cui ora i carabinieri vogliono vederci chiaro. L’obiettivo dell’inchiesta è soprattutto verificare la provenienza della droga. Le indagini sono ancora in corso e per questo motivo non sono stati forniti dettagli dell’operazione. Ieri, verso le 16, è stato però avvertito il presidente della cooperativa, Sergio Contrini, che preferisce non commentare l’operazione: “Aspetto di conoscere meglio i dettagli della vicenda”. Dipendente coop spacciava Da alloggio per gli ex detenuti a nascondiglio della droga. Sono sotto shock i vicini dello stabile di Fossarmato dove i carabinieri hanno trovato 27 chili di hashish. Tre in manette. Anche un dipendente della cooperativa Il Convoglio. “E chi se l’aspettava?” - dice un giovane che abita proprio di fronte alla struttura al numero 89, sede della cooperativa che si occupa del recupero degli ex detenuti - . All’inizio, quando si era parlato di questo progetto avevamo storto il naso. C’era stata anche una riunione tra i residenti. Ma devo dire che in realtà in questi anni non ci sono mai stati problemi”. Fino all’altro ieri, quando i carabinieri hanno scoperto che in quell’edificio era stata nascosta una quantità di droga di tutto rispetto. Quasi 30 chili di hashish, per un valore di circa 300mila euro. Al piano terra dell’immobile ci sono gli uffici della cooperativa, a fianco c’è il laboratorio dove si produce e si vende il pane (l’attività non è stata coinvolta nelle indagini). Al primo piano l’appartamento con una cucina, un bagno e tre camere da letto, in grado di ospitare fino a sei persone. Ci vanno anche i detenuti che ottengono permessi premio. Da circa un anno e mezzo era l’alloggio di Giuseppe Parrino, 48 anni, ex detenuto che con la cooperativa aveva trovato un’occupazione. Parrino riparava le biciclette e curava il deposito di bici in stazione. “Era bravo a fare il suo lavoro, una persona di cui ci fidavamo - dice sotto choc il presidente della cooperativa Sergio Contrini - . Riteniamo però positiva l’operazione dei carabinieri, perché ha impedito la diffusione di droga sul mercato. La cooperativa è consapevole della gravità di quanto accaduto e ne trarrà le necessarie conseguenze. Noi proseguiremo la nostra missione per quelle persone che escono dalla detenzione e vogliono reinserirsi”. Parrino, invece, è tornato in carcere, con l’accusa di spaccio. Insieme a lui sono state arrestate due sorelle romene, che alloggiavano in quell’appartamento in maniera abusiva e all’insaputa degli stessi responsabili della cooperativa. Efigena Feraru, 25 anni, e Racheta Feraru, 33 anni, erano ospitate dallo stesso Parrino. Nella casa vive anche un altro ex detenuto, che non risulta coinvolto nell’inchiesta. Solo la sua camera non è stata toccata: il letto è rifatto, sulla scrivania c’è un computer, la stanza è in ordine. Quella di Parrino e delle due sorelle è stata invece messa a soqquadro dai carabinieri. Vestiti sul letto, cassetti aperti. I militari hanno rovistato anche in cucina e in bagno. Si sono infilati perfino in una botola del sottotetto. Ma qui hanno trovato solo una parte di quello che cercavano. Il grosso della droga era custodito in un ripostiglio al piano terra, dove Parrino teneva attrezzi e alcune bici da sistemare. Il dipendente era l’unico ad avere le chiavi. Le indagini dei carabinieri duravano da mesi. A luglio e a dicembre, in particolare, c’erano già stati arresti e sequestri di droga: erano stati tolti dal mercato circa 2 chili di hashish. Il sospetto che esistesse un giro più ampio di spaccio di droga in città aveva spinto gli inquirenti ad approfondire. Appostamenti e verifiche anche sui consumatori pavesi hanno portato all’operazione dell’altro ieri. Televisione: il 13 febbraio puntata di “Presadiretta” (Rai 3) dedicata alle carceri Ansa, 30 gennaio 2010 Rai 3 scommette su “Presadiretta”. La trasmissione di Riccardo Iacona si rinforza con due nuove puntate che in questa seconda serie aumenteranno ad 8. Dopo quella in onda a settembre e ottobre questa di “Presadiretta” è la seconda serie della stagione televisiva 2010 - 2011. Da domenica 30 gennaio in prima serata alle 21,30 andranno in onda le nuove inchieste di Riccardo Iacona e della sua squadra. “Le mie prigioni” 13 febbraio - Riccardo Iacona con Raffaella Pusceddu e Francesca Barzini è partito dal problema del sovraffollamento nelle carceri cercando una risposta a molte domande scomode: Perché ci sono tanti suicidi tra i carcerati? Quasi la metà quelli in attesa di giudizio. Devono stare in carcere anche quelli non socialmente pericolosi? Si potrebbe evitare il sovraffollamento anche senza costruire decine di nuove carceri? Tossicodipendenti e malati mentali sono una vasta percentuale dei detenuti eppure secondo le leggi vigenti non dovrebbero essere reclusi. Cinema: in arrivo il dvd del pluripremiato docu-film “12 angry Lebanese” Il Velino, 30 gennaio 2011 Il docu-film, finanziato dalla Cooperazione italiana, ha seguito per 15 mesi 45 detenuti nel lavoro per adattare la piece teatrale di Sidney Lumet. Il regista del film “12 angry Lebanese”, Zeina Daccache, e l’ambasciata italiana a Beirut lanceranno il 30 gennaio il dvd del docu-film, finanziato dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina nell’ambito del programma di emergenza Ross (Riabilitazione socio - economica del paese e riqualificazione del territorio). Il documentario ha seguito per 15 mesi 45 detenuti del carcere di Roumieh, alcuni di loro quasi completamente analfabeti, mentre lavoravano insieme per presentare un adattamento della piece teatrale e successivo film di Sidney Lumet “12 angry men” (in Italia La parola ai giurati) del 1957, trasformandolo il “12 angry Lebanese”. Il risultato è stato che questa esperienza ha dimostrato gli effetti positivi dell’arte terapia anche su alcuni elementi ostracizzati particolarmente dalla società. Il film è stato realizzato nell’ambito dell’iniziativa di “Assistenza sociale alla prigione di Roumieh”, parte di Ross. Il film si è aggiudicato diversi riconoscimenti, tra cui due premi al Dubai film festival: “Primo premio miglior documentario” e “Primo premio People Choice”. Il docu-film, finanziato dalla Cooperazione italiana, ha seguito per 15 mesi 45 detenuti nel lavoro per adattare la piece teatrale di Sidney Lumet Roma, 28 GEN (Il Velino) - La Dgcs di concerto con l’ambasciata d’Italia in Libano, ha contribuito alla produzione del film e della colonna sonora originale anch’essa interamente realizzata dai detenuti di Roumieh. Inoltre grazie al governo italiano 200 detenuti del carcere hanno frequentato per un intero anno corsi di “Drama therapy” all’interno della struttura detentiva, intraprendendo un percorso di recupero psico-attitudinale e partecipando alla realizzazione del film “12 angry Lebanese”. “Questo documentario nasce dall’idea che lavorare sugli aspetti psicologici e ambientali non è meno significativo che creare strutture fisiche”, ha affermato Daccache. Il programma d’emergenza Ross è un’iniziativa finanziata dal governo italiano dal 2006 e giunto oggi alla sua terza fase. L’obiettivo del programma a oggi è contribuire alla riabilitazione e al rafforzamento dei servizi di base e delle condizioni socio - economiche, attraverso il sostegno allo sviluppo locale in generale e alla promozione delle politiche di salvaguardia ambientale e delle pari opportunità. Cinema: i fratelli Taviani e il “Progetto Rebibbia”, una scelta etica Ansa, 30 gennaio 2010 “È una scelta etica ma una scelta in un momento molto difficile per fare cinema senza fondi”. Così i fratelli Vittorio e Paolo Taviani oggi, a margine della lezione di cinema che hanno tenuto per “Bif&st” a Bari, hanno definito all’Ansa il loro “Progetto Rebibbia”. Si tratta - hanno spiegato - di un documentario narrativo che testimonierà sia la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare che faranno i detenuti sotto la guida di Fabio Cavalli sia i detenuti stessi nel passaggio dalla cella al palcoscenico. “Da tempo stiamo seguendo il lavoro dei detenuti - hanno sottolineato - e li abbiamo ammirati quando hanno realizzato La tempesta (sempre di Shakespeare, ndr) e ci è sembrato opportuni riprenderli mentre mettono in scena una tragedia in un luogo dove si incontrano tra loro sentimenti molto forti, dove convivono l’omicidio, la colpa, il rimorso, la vendetta”. Egitto: è rivolta anche nelle carceri; migliaia di detenuti evadono, molti uccisi dalla polizia Ansa, 30 gennaio 2011 Migliaia di detenuti sono evasi da un carcere in rivolta a nord del Cairo. Lo si è appreso da fonti della sicurezza. Il carcere da cui è avvenuta l’evasione di massa è quello di Wadi Natrun, ha precisato la fonte dei servizi di sicurezza nel sesto giorno della rivolta contro il regime del presidente Hosni Mubarak. Già ieri, fra l’altro, un numero imprecisato di detenuti era evaso del carcere di Khalifa, nei pressi della cittadella del Cairo. Inoltre era stato segnalato che otto detenuti sono rimasti uccisi, e 123 feriti, in scontri con la polizia durante un fallito tentativo di evasione dal carcere di Abu Zaabal, a nordest della capitale. In fuga islamici, con armi Ci sono anche molti estremisti islamici in carcere da diversi anni fra le migliaia detenuti evasi a Wadi Natrun, circa 100 chilometri a nord del Cairo. Lo ha riferito una fonte dei servizi di sicurezza. L’evasione di massa, viene aggiunto, è avvenuta durante la notte dopo una rivolta durante la quale i detenuti - fra cui anche criminali comuni - si sono impossessati di armi delle guardie carcerarie. Il numero degli integralisti islamici evasi viene definito “grande”. Polizia apre il fuoco nel carcere di Abu Zaabal La polizia egiziana ha condotto questa mattina un blitz nel carcere di massima sicurezza di Abu Zaabal, vicino al Cairo, aprendo il fuoco contro i detenuti, per evitare una possibile evasione. Secondo quanto riferisce l’inviato della tv al-Jazeera, nella sparatoria si contano otto morti e decine di feriti. Nel carcere sono rinchiusi detenuti politici e militanti islamici. Sempre oggi un numero imprecisato di detenuti è riuscito invece a evadere dal carcere di Khalifa, nei dintorni della cittadella del Cairo, rubando anche le armi delle guardie. Sparatoria nel carcere di Tura, il più grande del Paese Diversi colpi d’arma da fuoco sarebbero stati avvertiti all’interno del carcere di Tura, nella zona sud della capitale egiziana Il Cairo. Il penitenziario di Tura è il più grande dell’Egitto. Secondo la tv al-Jazeera, si tratterebbe di un tentativo di evasione da parte di alcuni detenuti. Per la concorrente al-Arabiya, invece, un incendio sarebbe scoppiato all’interno del carcere. Tribunale del Cairo in fiamme, detenuti evasi da celle stazioni di polizia Alcune centinaia di detenuti comuni, presenti ieri sera nelle celle di sicurezza di alcuni commissariati del Cairo, sarebbero riusciti a fuggire nella notta approfittando del caos che regnava in città. Secondo l’inviato della tv al-Jazeera, per alcune ore c’è stato un vuoto nella gestione della sicurezza, in particolare quando la responsabilità è passata dalla polizia all’esercito, e in quei momenti molte persone detenute in attesa di giudizio sono riuscite ad evadere. In questo momento un vasto incendio sta interessando il tribunale di al-Jala, al Cairo, dove in passato sono stati processati anche molti militanti del movimento giovanile “6 aprile”, in prima fila nella protesta contro Mubarak. Fratelli Musulmani: preoccupanti voci su uccisione militanti detenuti Preoccupazione arriva dai Fratelli Musulmani per le voci che circolano in Egitto sulla possibile uccisione di militanti del gruppo rinchiusi nelle carceri del Paese. “Circolano notizie sull’uccisione da parte della polizia di molti dei nostri militanti ancora in carcere e siamo molto preoccupati”, afferma il dirigente dei Fratelli Musulmani, Mohammed al-Baltaji. “Siamo preoccupati perché nelle carceri egiziane c’è metà del nostro gruppo dirigente, arrestato per le proteste in corso - prosegue - Non possiamo però confermare né smentire la notizia dell’uccisione di nostri militanti che sta circolando nel Paese”. Le parole di al-Baltaji arrivano dopo che le tv arabe hanno riferito di scontri a fuoco avvenuti in due penitenziari egiziani, all’interno dei quali ci sono anche diversi detenuti islamici. La polizia avrebbe aperto il fuoco per evitare tentativi di evasione. Detenuto telefona ad al-Jazeera: nel carcere di al-Qatta polizia ha ucciso 70 prigionieri “Chiediamo aiuto perché siamo rinchiusi nel carcere di al-Qatta e la polizia ha ucciso 70 detenuti”. Lo ha affermato un detenuto del carcere egiziano, nella zona di Giza, nei dintorni del Cairo, nel corso di una telefonata alla tv araba al-Jazeera. Secondo quanto sostenuto dal detenuto, la polizia avrebbe aperto il fuoco nel penitenziario per prevenire una sommossa uccidendo 70 persone. Decine di cadaveri giacciono in strada nei pressi di un prigione Decine di cadaveri giacciono in strada nei pressi di un prigione al Cairo teatro di una rivolta nella notte, riferiscono fonti della sicurezza senza fornire il nome del carcere ma precisando che è situato a est del Cairo. Durante l’evasione di detenuti sono stati esplosi colpi d’arma da fuoco. Iran: cittadina olandese impiccata per possesso droga, l’Aja congela rapporti con Teheran Agi, 30 gennaio 2011 L’Aja ha congelato i rapporti con l’Iran dopo che una cittadina olandese di origine iraniana è stata impiccata all’alba per traffico di droga. Lo ha riferito fonti del governo. Zahra Bahrami, di 45 anni, era stata arrestata dopo aver partecipato a un corteo dell’opposizione, nel dicembre 2009, e secondo l’organizzazione per i diritti umani International Campaign for Human Rights le accuse nei suoi confronti erano una montatura politica. L’ambasciata olandese aveva fatto sapere che le era stato negato ogni contatto con la detenuta perché Teheran non riconosce la doppia nazionalità. Secondo l’agenzia semi-ufficiale Mehr, la donna era stata condannata a morte dopo esser stata trovata in possesso di 450 grammi di cocaina al suo arrivo dall’Olanda. Famiglia: false accuse costruite dopo arresto in proteste piazza Non sono bastati l’intervento dell’Olanda né l’interessamento del Parlamento europeo a salvare la vita di Zahra Bahrami, una donna con doppia cittadinanza iraniana e olandese impiccata oggi a Teheran e che, dopo essere stata arrestata nelle manifestazioni anti - governative del 2009, era stata condannata a morte per traffico di droga. Il sito della televisione di Stato iraniana, citando un comunicato della Procura di Teheran, ha detto che la donna, di 46 anni, è stata giustiziata perché riconosciuta colpevole di avere importato in Iran cocaina. Secondo l’agenzia Mehr, in una perquisizione nella sua casa la polizia avrebbe trovato 450 grammi di cocaina. I familiari della donna affermano invece che quelle relative alla droga erano accuse fabbricate dalle autorità iraniane dopo l’arresto della Bahrami, nel dicembre del 2009, nelle manifestazioni contro la rielezione alla presidenza di Mahmud Ahmadinejad, nel giugno precedente. La notizia della condanna a morte era stata annunciata il 2 gennaio scorso e il governo dell’Aja aveva cercato di avere informazioni da Teheran e di ottenere che suoi diplomatici potessero incontrare la detenuta. Richieste rifiutate dall’Iran, che non riconosce la doppia cittadinanza e pertanto riteneva Zahra Bahrami esclusivamente propria cittadina. Il ministro degli Esteri olandese, Uri Rosenthal, è tornato a chiedere oggi spiegazioni sul caso all’ambasciatore iraniano in Olanda, che è stato convocato presso il ministero. Le manifestazioni contro la rielezione di Ahmadinejad furono stroncate con un bilancio di decine di morti e migliaia di arresti. Il 24 gennaio scorso due uomini, Jafar Kazemi e Mohammad Ali Hajaghai, finiti anch’essi in carcere per aver partecipato ai raduni di protesta, sono stati impiccati per cooperazione con i Mujaheddin del Popolo, la principale organizzazione di opposizione armata al regime. Francia: i Testimoni di Geova vogliono diventare Cappellani delle carceri Agi, 30 gennaio 2011 I Testimoni di Geova sollecitano il diritto di diventare cappellani di carcere, in particolare a Laon. L’udienza si è svolta venerdì mattina a Lille presso il tribunale amministrativo. Il caso è certamente insolito. Due avvocati sono convenuti a perorare la causa di tre testimoni di Geova che desiderano diventare cappellani di carcere a Bapaume, Rouen e Laon. Una prima richiesta era stata respinta dall’amministrazione penitenziaria circa cinque anni fa. Decisione annullata un anno dopo dal Tribunale amministrativo di Lille, che ordinò la reistruzione dei fascicoli dei tre candidati geovisti al cappellanato. Ma l’amministrazione penitenziaria ha confermato il suo rifiuto e ha presentato appello. Argomentando, tra l’altro, che i detenuti desiderosi di ricorrere ai Testimoni di Geova non sono abbastanza numerosi. Il fatto è che, inoltre, i Testimoni di Geova sono ancora al centro di una polemica in Francia: da un lato il carattere settario attribuito al movimento religioso dalla commissione parlamentare sulle sette nella sua relazione del 1995 e dall’altro il suo riconoscimento dal 2000 come associazione cultuale da parte del Consiglio di Stato. Per Philippe Goni e Michel Trizac, avvocati dei Testimoni, l’unica questione tuttavia è sapere, da un punto di vista puramente legale, cosa può impedire ai ministri di culto geovisti* di ottenere l’autorizzazione come cappellani di carcere. Per loro, non c’è alcun dubbio che il giudice non potrà fare altro che pronunciare ancora una volta l’annullamento del rifiuto dell’amministrazione penitenziaria. L’Avv. Philippe Goni ha sottolineato al volo che quando nel febbraio 2007 uno dei tre ministri di culto fece ricorso contro il Consiglio di Amministrazione, la Halde (Alta autorità per la lotta contro le discriminazioni e per l’uguaglianza) emise un comunicato in cui riteneva che quel rifiuto delle richieste di autorizzazione costituiva una discriminazione fondata su convinzioni religiose. Del resto, una trentina di procedure miranti a ottenere l’autorizzazione di cappellano di carcere sarebbero state avviate a livello nazionale. Anche il tribunale di Lille deve emettere la sua decisione entro un mese. Infine, nel penitenziario di Laon sono rappresentati tre culti: un cappellanato cattolico, uno protestante e uno musulmano. Secondo René Schneeberger, uno dei tre ministri di culto che sollecitano il diritto di diventare cappellani a Laon, ogni anno un detenuto su due avrebbe richiesto l’intervento di un ministro geovista. Per rispondere a questi, i Testimoni di Geova richiedono il diritto di visitare e incontrare i detenuti in parlatorio, ma non possono recarvisi con la Bibbia. India: italiano detenuto; appello dei genitori al ministro Frattini; vogliamo rispetto legge Ansa, 30 gennaio 2011 “Tre rinvii in una settimana sono troppi. Lunedì telefoneremo all’Ambasciata italiana di Nuova Delhi per sapere se il ministro degli Esteri, Franco Frattini, oltre a occuparsi delle case di Montecarlo si occupa anche di quello che capita agli italiani all’estero”. È lo sfogo di Marina Maurizio, madre di Tomaso Bruno, il cameriere di Albenga in carcere da un anno a Varanasi, in India, perché accusato di avere ucciso insieme a un’amica Francesco Montis, un amico con il quale si trovavano in vacanza in India. “Quanto dobbiamo ancora aspettare perché il governo chieda almeno il rispetto di quanto stabilito dalla magistratura indiana?” si chiede la donna. “Per oggi - riferisce - era stata fissata una nuova udienza, ma è saltata perché un testimone non si è presentato in aula”. Quello di oggi è stato così il terzo rinvio della settimana. “È una situazione incredibile - conclude amareggiata la madre del giovane in carcere - tanto più che la Corte Suprema dell’India aveva indicato il 29 gennaio come termine del processo”.