Giustizia: la morte di Fernando Paniccia e l’illegalità delle carceri di Mario Braconi Altre Notizie, 2 gennaio 2011 La Costituzione e le leggi italiane in materia di detenzione sono illuminanti: basta scorrere l’Art. 27 della Carta: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Oppure si può leggere l’Art. 1 della Legge n. 354 del 26 luglio 1975: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona. Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose. [...] Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari”. Il caso di Fernando Paniccia, ventisettenne di Frosinone morto il 27 dicembre nel carcere di Sanremo (pare per arresto cardiaco) è emblematica di quanto, al di là delle nobili intenzioni, la legge, nei fatti sia rimasta pura enunciazione di principio. In effetti, la morte in carcere di Paniccia, un metro e novanta di altezza per 186 chilogrammi, epilettico, invalido al 100% e gravemente ritardato (e quindi per definizione incapace di intendere e di volere) é il capolavoro di un sistema infame, feroce, classista. Nel mondo reale non è vero (come pure pretenderebbe la legge) che il “trattamento” carcerario viene applicato in modo indiscriminato a tutti i condannati. Paniccia, ad esempio, ha iniziato la sua “carriera” di carcerato nel 2003, a seguito di un brillante arresto messo a segno dai militari dell’Arma in flagranza di reato: il ragazzo aveva infatti sottratto tre palloni di cuoio da un centro sportivo dove si era recato, assieme al fratello, a svolgere dei lavori di manutenzione. Niente meno. Un episodio che, con al sua crudele ironia, ricorda che la giustizia somministrata dallo Stato finisce per essere (non da ora e non solo da noi) un fatto di classe: essa è infatti tanto rigorosa con ritardati, sans-papier, tossicodipendenti, poveri - in una parola, con gli ultimi - quanto permissiva con i potenti, quelli che hanno i mezzi per assicurarsi i servigi di un abile avvocato, quando non arrivano addirittura (anomalia tutta italica questa) a scriversi qualche legge su misura per evitare la galera o anche solo per evitare di pagare le tasse. Sarebbe interessante capire in base a quale abominio burocratico una persona disabile come Paniccia sia stata rinchiusa (e sia rimasta sepolta) in carcere: non solo infatti lo impedirebbero (oltre al buonsenso) la Costituzione e la legge 354/1975, non potendosi considerare in questo caso la reclusione compatibile con “il senso di umanità”, ma anche due articoli dell’Ordinamento Penitenziario (O.P.). Come ricorda infatti Francesco Morelli di “Ristretti Orizzonti” (ONG che si occupa del mondo carcerario), l’art. 47 ter dell’O.P., tra gli altri casi, prevede la carcerazione domiciliare per le persone condannate a pena detentiva residua di meno di quattro anni “in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”; mentre l’art 11 lascia intendere che possa essere perfino il direttore del carcere a disporre il trasferimento di un detenuto in luogo di cura esterno “nei casi di assoluta urgenza”. Per quanto possa sembrare incredibile, in Italia vi sono almeno 500 persone nelle stesse condizioni di Paniccia: detenuti a dispetto della loro disabilità. Il numero sarebbe in sé già abbastanza preoccupante, se non fosse necessario registrare una circostanza ancor più grave: la palese indifferenza dello Stato di fronte a questa vergogna. Pare infatti che le statistiche sui disabili in carcere siano ferme al 2008; le schede relative alle rilevazioni del 2009 sono state sì somministrate ai vari istituti di pena per la compilazione, ma poi non se ne è fatto più nulla. Non solo, insomma, chi dovrebbe punire i criminali si comporta da criminale, ma non sente alcun impulso ad emendarsi. Del resto la situazione delle carceri italiane è ormai fuori controllo, come racconta la fotografia scattata dalla Ong Antigone a fine ottobre, in occasione della pubblicazione del suo Settimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia: 69.000 detenuti a fronte di una capacità di “accoglienza” pari a 45.000 unità. Il che significa che nelle carceri italiche è stipato un numero di detenuti pari ad una volta e mezza la capienza massima; poco meno della metà (il 44%) di loro è imputata (!), mentre il 22% è in attesa di giudizio; oltre il 40% è coinvolto in vicende di droga (dato, questo, più eloquente di qualsiasi comizio anti-proibizionista). C’è anche chi non ce la fa ad uscirne vivo: 65 sono stati i suicidi, cui si devono aggiungere quelli registrati tra le guardie carcerarie (4 da inizio del 2010 secondo i radicali), mentre le morti per cause “da accertare”, ad agosto, erano già più di 100. Qualcuno ne parla? Mica tanto. All’onore delle cronache sono assurti solo alcuni casi particolarmente clamorosi, le cui vittime erano italiani con una famiglia o degli amici in grado di fare un po’ di rumore sui media, anche se troppo tardi. Una piccola “chicca” riguarda i bambini: sono in 57, al di sotto dei 3 anni, a trovarsi nelle galere nostrane. Un autentico disastro, che però fa poco notizia in un Paese che le chiacchiere senza costrutto hanno stordito al punto da fargli perdere ogni senso delle priorità politiche, quindi umane. Un po’ come è successo, per un attimo, quando è toccato a Paniccia, ladro di palloni. Giustizia: Sel e Idv intervengono sulla situazione delle carceri di Imperia Secolo XIX, 2 gennaio 2011 Roberto Ormea, Consigliere Provinciale di Sinistra Ecologia e Libertà, e Claudio Martini, Consigliere dell’Idv intervengono sulla situazione delle carceri. “La morte di Fernando Paniccia - scrivono - detenuto nel carcere di Sanremo, lo scorso 27 dicembre, impone ancora una volta una riflessione sulla condizione delle persone che scontano il loro periodo di pena entro gli istituti penitenziari. Fernando Paniccia è morto a 27 anni, presumibilmente per arresto cardiaco, a causa delle sue proibitive condizioni di salute. Paniccia è il secondo detenuto morto nel carcere di Sanremo in soli 8 mesi. Il 25/05 era morto Giuseppe Bonafè, 44 anni, presumibilmente per una caduta dal terzo livello del letto a castello”. “Le questioni che le due morti sollevano sono molteplici: in regime di sovraffollamento, caratteristica ormai costante di molti penitenziari italiani, è possibile prestare la dovuta attenzione a tutti, e in particolare a persone dal quadro personale e clinico complesso e problematico? Il personale, composto di agenti penitenziari, ma anche di tutti quegli operatori e volontari, specialistici e non, che operano nelle carceri, è adeguato come numero e come formazione, al fine di fornire l’adeguato supporto, promuovere i progetti di assistenza sanitaria e recupero sociale richiesti? La risposta non può che essere negativa: secondo un dossier sugli istituti penitenziari liguri redatto la scorsa estate 2010 dal Consigliere Regionale SEL Matteo Rossi e dall’avvocato Alessandra Ballerini, il carcere di Sanremo ha una popolazione carceraria di quasi 400 unità, il doppio dei numeri disponibili in termini di capienza della struttura; un terzo dei detenuti è tossicodipendente”. “Il personale degli agenti di custodia, numericamente insufficiente, come in tutti gli istituti liguri e italiani in generale, è sottoposto inoltre a vari generi di stress e soggetto a turni di lavoro spesso massacranti. In generale, i numeri delle carceri italiane ci dicono di un sovraffollamento sempre maggiore, di condizioni proibitive relativamente alla qualità della vita, di un aumento delle morti in carcere, un terzo delle quali per suicidio. Riteniamo importante che i luoghi di pena, dimenticati sovente dalle istituzioni, non si degradino a discariche sociali per i soggetti marginali della nostra società, ma divengano luoghi di attenzione alla persona, di recupero delle abilità e delle risorse, di reinserimento sociale per i detenuti. Chiediamo alle istituzioni competenti, in primo luogo al Ministero della Giustizia, che vengano stanziate le risorse necessarie per ottemperare agli obiettivi di cui sopra”. “Riteniamo altresì fondamentale che i detenuti vengano considerati persone a tutti gli effetti, e mai private dei loro inalienabili diritti. Per questo motivo, in linea con la proposta di legge già presentata in Consiglio Regionale da Sinistra Ecologia Libertà nella persona di Matteo Rossi (sottoscritta anche da consiglieri Idv e Fed. Sinistra), chiediamo che negli istituti penitenziari liguri, come già in altre regioni italiane, venga istituita la figura del Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Crediamo che questo sia un atto dovuto e un imprescindibile segno di civiltà: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. (Fëdor Michajlovic Dostoevskij)”. Giustizia: Lula ha negato l’estradizione di Battisti in Italia, proteste e polemiche Il Sole 24 Ore, 2 gennaio 2011 Il presidente brasiliano in scadenza Luiz Inacio Lula da Silva ha concesso lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti. L’ex terrorista resterà comunque in carcere almeno fino a febbraio. La decisione è stata presa dopo un incontro con l’avvocato generale dello stato Luis Inacio Lucena Adams nel palazzo presidenziale del Planalto. L’annuncio della mancata estradizione è stato fatto dal ministro degli esteri Celso Amorim. Nella nota si legge che il governo brasiliano ha appreso con stupore le posizioni e le critiche a Lula espresse dal nostro governo ieri, prima della presa di posizione ufficiale del presidente. Secondo il ministro la posizione del Brasile non rappresenta un affronto verso il nostro paese “nel momento in cui si creano situazioni particolari che possono generare rischi per la persona, nonostante il carattere democratico dei due stati”. “La decisione del Presidente Lula ha suscitato in me profonda delusione, amarezza e contrarietà. Gli avevo scritto nel gennaio 2009, illustrandogli ampiamente le circostanze di fatto, e gli argomenti giuridici e politici, che chiaramente militavano per la concessione dell’estradizione di Cesare Battisti; gli riproposi tutti i termini della questione - spiega il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in una nota - incontrandolo a L’Aquila in occasione del G8 e ricavai da quell’incontro motivi di fiducia nella comprensione, da parte brasiliana, delle ragioni dell’Italia”. “A maggior ragione, mi appare incomprensibile la decisione, le cui motivazioni appaiono tanto infondate quanto insensibili alle garanzie dell’ordinamento giuridico e alla tradizione democratica del nostro paese. Non mi resta che confidare in una seria considerazione, nelle competenti sedi brasiliane, delle nuove istanze che saranno prodotte dalle autorità italiane; e rivolgere un pensiero addolorato - conclude il capo dello Stato - alle vittime dei crimini di Battisti come di tutte le vittime del terrorismo”. “Esprimo profonda amarezza e rammarico per la decisione del presidente Lula di negare l’estradizione del pluriomicida Cesare Battisti nonostante le insistenti richieste e sollecitazioni a ogni livello da parte italiana. Si tratta - afferma il presidente del Consiglio in una nota diffusa da Palazzo Chigi - di una scelta contraria al più elementare senso di giustizia”. “Esprimo ai familiari delle vittime tutta la mia solidarietà, la mia vicinanza e l’impegno a proseguire la battaglia perché Battisti venga consegnato alla giustizia italiana. Considero la vicenda tutt’altro che chiusa: l’Italia non si arrende e farà valere i propri diritti in tutte le sedi”, conclude Berlusconi. La Farnesina si appresta a richiamare a Roma l’ambasciatore d’Italia in Brasile, Gherardo La Francesca per consultazioni. Il ministro degli esteri Franco Frattini ha chiesto a La Francesca di recapitare al nuovo presidente del Brasile, Dilma Rousseff, al momento stesso del suo insediamento, un messaggio sul caso Battisti. Nella nota si legge che il governo italiano si appresta ad “esperire tutte le possibili vie legali per ottenere l’estradizione in Italia di Battisti” affinché‚ il nuovo presidente possa rivedere la decisione del suo predecessore ed uniformarsi alla sentenza del Tribunale supremo brasiliano. In carcere o no? Per il ministro del Supremo Tribunale Federale, Marco Aurelio Mello, “Cesare Battisti deve essere scarcerato immediatamente”. Lo ha auspicato oggi lo stesso ministro alla televisione brasiliana Globo. “La prigione di Battisti è stata decisa a suo tempo dal Supremo per veicolare la sua estradizione, dopo la decisione della Corte, che è stata semplicemente verbale, di convalidare la richiesta di estradizione del governo italiano”, ha detto Mello che ha aggiunto: “a partire dal momento in cui questa estradizione è stata revocata, non c’è più motivo che Battisti resti in carcere”. Il 4 gennaio sit-in davanti ad ambasciata Brasile “Giustizia calpestata - Uniti per la Giustizia, al fianco dei parenti delle vittime: sarà questo il messaggio del sit-in organizzato per il 4 gennaio alle ore 16, in piazza Navona di fronte all’ambasciata del Brasile. In una nota gli organizzatori dell’iniziativa Lorenzo Loiacono e Riccardo Corsetto, rispettivamente coordinatore romano e responsabile giovanile regionale del Lazio per il ‘Movimento per l’Italia con Daniela Santanché, spiegano che si tratterà di un sit in “senza bandiere di partito ma aperto a tutti gli esponenti politici che vorranno aderire, come hanno già fatto l’Udc e la Giovane Italia”. Lorenzo Loiacono e Riccardo Corsetto ricordano poi che “da quattro giorni tre fondatori del nostro movimento, Fabio Sabbatani Schiuma, Paola Marraro e Massimo Larcinese, sono, per la terza volta da gennaio 2009, in sciopero della fame per protestare contro la mancata estradizione di Cesare Battisti”. “Sono previsti - continua la nota - gli interventi di Alberto Torregiani, figlio del gioielliere Pierluigi Torregiani, per la cui morte Cesare Battisti è stato condannato, e responsabile nazionale del dipartimento Giustizia del Movimento per l’Italia, e di altri parenti delle vittime, oltre a quelli degli esponenti di governo: Giorgia Meloni, Daniela Santanché, Franco Frattini e Ignazio La Russa”. Frattini: pronti al ricorso a Corte Internazionale Aia Il ministro degli Esteri Franco Frattini in una intervista al Corriere della Sera annuncia che il governo italiano sta pensando “di portare il caso (Battisti) dinanzi alla Corte internazionale dell’Aia”, dopo che l’ex presidente brasiliano Lula, nell’ultimo giorno del suo mandato presidenziale, ha deciso di non concedere l’estradizione all’ex terrorista dei Pac, condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi commessi negli anni Settanta. “Non vogliamo lasciare nulla di intentato” ha detto Frattini nell’intervista. “Il no all’estradizione è un precedente gravissimo che potrebbe influire sui destini di tanti latitanti: non può passare il segnale che il Brasile è il paese dove si può ripetere un nuovo caso Battisti. Non è accettabile che, dopo la dottrina Mitterand, si diffonda l’idea che esista una dottrina Lula”. La Russa: A rischio relazioni commerciali con Brasile Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha avvertito che sono a rischio le relazioni commerciali con il Brasile, dopo che l’ex presidente brasiliano Lula ha negato l’estradizione di Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Pac condannato all’ergastolo in Italia per quattro omicidi commessi negli anni Settanta. “Non si è creato un clima favorevole” alla ratifica degli accordi economici tra Italia e Brasile siglati recentemente, ha detto La Russa in una intervista al quotidiano La Stampa. “Deciderà il Parlamento quando ratificare gli accordi commerciali ed economici” ha aggiunto il ministro. “Ora il meno che possa capitare è rinviarli a dopo la decisione della Corte brasiliana. Non è il governo che decide. Prevedo un rinvio e spero che non ci sia un danno per le imprese, ma quando ci sono queste situazioni il danno è sempre reciproco. L’interesse a risolvere il problema deve essere reciproco”. Nell’intervista La Russa rivela anche anche il suo omologo brasiliano, Nelson Jobim, lo aveva rassicurato sulla estradizione: “Mi aveva dato assicurazioni informali sul fatto che la sentenza di estradizione decisa dal Tribunale Supremo del suo paese sarebbe stata eseguita”. Donadi: Governo e opposizione uniti per estradizione “Governo, maggioranza e opposizione siano unite e facciano una sola battaglia per l’estradizione del criminale Cesare Battisti”. Lo afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. “Sosterremo le iniziative del ministro Frattini, compreso il ricorso al tribunale dell’Aja, per riconsegnare Battisti al nostro Paese - aggiunge Donadi -. La mancata estradizione di Battisti è uno schiaffo non solo alla memoria delle vittime ed ai loro cari, ma a tutta l’Italia. Per questo ci auguriamo che non ci siano divisioni di fronte all’obiettivo comune di assicurare un assassino alla giustizia italiana”. Giustizia: D’Elia; giusta la decisione di Lula, le nostre carceri sono strumenti di tortura di Tommaso Labate Il Riformista, 2 gennaio 2011 “Lo Stato italiano è un delinquente abituale. Basta considerare che le nostre carceri sono strumenti di tortura”. E “la nostra classe politica sta ragionando secondo la logica parabrigastista del “colpirne uno”, e cioè Cesare Battisti, per assolverne cento”. Intervistato dal Riformista, l’ex deputato Sergio D’Elia, leader di Nessuno tocchi Caino, grida “onore a Lula”. L’intervista che Sergio D’Elia consegna al Riformista è di quelle destinate a lasciare un segno nel dibattito sulla mancata estradizione del pluriomicida Cesare Battisti. L’ex deputato radicale (fu segretario dell’Ufficio di presidenza della Camera), con un passato remoto nell’organizzazione terroristica Prima linea (ha scontato 12 anni di carcere per l’assalto al carcere di Firenze in cui nel 1978 perse la vita un agente di polizia, anche se non era fisicamente presente) e un presente storico da leader dell’associazione Nessuno tocchi Caino, difende la scelta del Brasile di non consegnare all’Italia Battisti. D’Elia, credo che lei stia andando oltre il “rispetto” della decisione del Brasile. Non c’è dubbio che la scelta delle autorità di un paese democratico come il Brasile dev’essere rispettata. A questo si aggiunge il giudizio severo e condivisibile su come vengono amministrate la giustizia e le carceri in Italia. Il suo giudizio qual è? L’Italia non ha l’autorità politica nazionale e internazionale per protestare con chicchessia. Un paese che è stato condannato decine di volte dalla giustizia europea per come gestisce carceri e tribunali non ha titoli per chiedere al Brasile la consegna di Battisti. Un conto è la gestione delle carceri, altra cosa sono le condanne di Battisti, non trova? Guardiamo al numero di morti nelle carceri italiane, pensiamo al sovraffollamento di strutture che sono, di fatto, degli strumenti di tortura. Finire in galera in Italia è come essere condannati a morte. Per questo io dico che è meglio Battisti libero in Brasile che Battisti in una prigione italiana. Messa così, le sua sembra la difesa di un pluriomicida. A me non interessa nulla di Battisti. A me interessa la difesa del “detenuto ignoto”, non di quello noto. In un carcere italiano, Battisti rischia la vita. È stato condannato, Battisti. Secondo la Costituzione, il carcere serve a rieducare. E io sfido chiunque a sostenere che il Battisti di 35 anni fa sia lo stesso Battisti di oggi. Il Battisti del delitto non è lo stesso uomo della pena. Per cui, Costituzione alla mano, non dovrebbe andare in galera. D’Elia, non pensa ai parenti delle vittime? Le loro sono le uniche istanze sacrosante. Quelle dei vari La Russa, quelle della destra e della sinistra, sono ridicole. I parenti delle vittime, in realtà, sono stati traditi non da Battisti, ma dallo Stato italiano. E non ce l’ho col governo Berlusconi. Ma con cinquant’anni di un regime partitocratico che ha sottratto a questo Paese le leggi, le garanzie e i diritti. E che ha commesso delitti su delitti. Ci faccia un esempio. Questo è uno Stato che si è macchiato del sangue di molte stragi. Piazza della Loggia, Piazza Fontana, l’Italicus: quando non si trovano gli autori, la strage diventa automaticamente “strage di Stato”. Parliamo di decine di vittime e di centinaia di parenti delle vittime, altro che dei delitti di Battisti. Che cosa c’entra col caso Battisti tutto questo? C’entra che tutti, adesso, urlano “in galera” all’indirizzo di Battisti soltanto per assolvere se stessi. Ripeto: tutti seguono la logica parabrigatista del colpirne uno per assolverne cento. I crimini commessi da Battisti sono orrendi. Ma un delinquente abituale come lo Stato italiano non ha i titoli per insegnare niente ha nessuno. Lettere: stufi di statistiche sui suicidi al 41-bis… ecco le statistiche dei danni della strage Antimafia Duemila, 2 gennaio 2011 Con l’arrivo del nuovo anno 2011, puntuali come sempre, le associazioni di categoria hanno preparato una statistica relativa ai suicidi in carcere, dalla quale emergerebbe che il 4% di coloro che si tolgono la vita fra le sbarre delle prigioni italiane, è da annoverarsi fra i detenuti a “41 bis”. Ovvero, i detenuti a “41 bis” nelle carceri italiane, sono poco meno di 700, ma incidono ben del 4% sulle morti che avvengono fra le sbarre, almeno questo dicono i politici che difendono tutti i carcerati, ma i mafiosi a “41 bis” li sostengono con un a marcia in più. Ebbene noi abbiamo fatto la nostra di statistica e per doloroso che sia rammentarcelo, con coraggio l’abbiamo affrontata e la rendiamo pubblica. Considerando le sole 26 famiglie quelle che di fatto hanno intrapreso causa civile contro la mafia “cosa nostra” per la strage di via dei Georgofili, composte di circa 6 persone a famiglia, ossia le persone più direttamente coinvolte nella strage, risultano 156 persone travolte in modo grave dalla mafia che voleva con il massacro di Firenze abolito il “41 bis”. La percentuale sconvolgente che se ne trae quindi è che il 15% dei coinvolti nella strage di via dei Georgofili in nome e per conto dell’annullamento del 41 bis, hanno subito danni gravissimi, infatti 5 sono morti nell’immediato delle strage, altri sono morti negli anni a causa dell’attentato per suicidio, tumore, gravi patologie cardiache causate dall’esplosione ecc. e altri sono oggi in serie gravissime difficoltà. Quindi il 4% dei suicidi a “41 bis” lo riteniamo un dato più che insignificante. Del resto basta, anche senza guardare a noi che siamo le vittime dirette di “cosa nostra” e dei suoi accoliti sotto il tritolo stragista ed eversivo del 1993, prendere in considerazione quante morti avvengono in Italia ogni giorno per gli effetti devastanti di tipo economico e sociale che le stragi del 1993 hanno causato nel Paese e ci si accorgerebbe attraverso percentuali altissime, sicuramente anche oltre il nostro personalizzato 15%, che di mafiosi che non si pentono ne muoiono veramente troppo pochi. Giovanna Maggiani Chelli Presidente Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili Lecce: a Capodanno tragica morte di un detenuto nel carcere di Borgo San Nicola di Andrea Morrone Gazzetta del Sud, 2 gennaio 2011 A stroncare la vita del quarantenne originario di Foggia è stato, con ogni probabilità, un malore. Sarà l’inchiesta della magistratura a far luce sul decesso. Sarà l’inchiesta della magistratura a far luce sulla morte di un detenuto nel carcere di Borgo San Nicola, avvenuta la notte di capodanno. Il decesso è avvenuto pochi minuti dopo le due, proprio mentre nelle piazze del Salento impazzavano le feste e i concerti per salutare l’arrivo del 2011. A stroncare la vita del quarantenne originario di Foggia è stato, con ogni probabilità, un malore. Pare che l’uomo, infatti, fosse affetto da patologie preesistenti legate a problemi cardiocircolatori. Una situazione clinica aggravata dall’obesità (pesava oltre un quintale) di cui il detenuto di origine daune era affetto. Ad accorgersi della morte è stato il suo compagno di cella che, insospettito dal prolungato silenzio del 40enne, ha provato a chiamarlo. Un tentativo apparso subito vano, il braccio dell’uomo pendeva rigido dal letto a castello della cella. Sarà la relazione redatta dal medico legale, il dottor Alberto Tortorella, a chiarire le cause della morte. Il magistrato di turno, Giuseppe Capoccia, non ha ancora deciso se procedere a esame autoptico. Oltre che far luce sull’esatta dinamica della morte, l’inchiesta dovrà anche accertare se le condizioni dell’uomo fossero compatibili con il regime carcerario. Secondo quanto si è appreso il quarantenne foggiano era stato sottoposto solo venti giorni fa a visita specialistica. Quella del carcerato deceduto la notte dell’ultimo è anno, è una delle tante storie di solitudine e disperazione che provengono dai nostri istituti di pena. La storia di un uomo solo, senza parenti e amici (nessuno gli avrebbe mai fatto visita negli ultimi tre mesi trascorsi nel carcere di Lecce), con gravi problemi di relazione e provato nell’anima e nel fisico. Da pochi mesi era stato trasferito nel capoluogo salentino, dove avrebbe finito di scontare la sua pena a ottobre nel 2011. Una morte tragica che ripropone i malesseri di uno dei carceri più affollati d’Italia con oltre 1.400 detenuti, alle prese con costanti emergenze sanitarie e in cui, nell’anno scorso, si sono verificati due suicidi e cinque tentativi. Palmi (Rc): candidato a elezioni regionali arrestato testa in suicidio in cella Ansa, 2 gennaio 2011 Antonio Manti, uno dei quattro candidati alle elezioni regionali in Calabria del marzo dello scorso anno, arrestati nell’operazione Reale 3, del centrosinistra, avrebbe progettato di impiccarsi utilizzando il cavo della tv della cella del carcere di Palmi, dove è detenuto. Il proposito di Manti è stato sventato grazie all’intervento dei compagni di cella, che hanno subito avvertito gli agenti della polizia penitenziaria. Manti adesso sta bene e viene guardato a vista. Nell’operazione, condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di Manti sono rimasti coinvolti anche il consigliere regionale Santi Zappalà, del Pdl, ed altri tre aspiranti consiglieri poi non eletti. Secondo l’accusa, i cinque candidati alle ultime regionali si erano recati da Giuseppe Pelle, boss dell’omonima cosca di San Luca, per chiedere il suo sostegno elettorale. Catania: Antigone chiede la riapertura delle indagini sulla morte di Carmelo Castro Ansa, 2 gennaio 2011 Martedì 4 gennaio, alle ore 10.30, a Catania, presso la Camera del lavoro, in via dei Crociferi 40, Patrizio Gonnella, Presidente nazionale di Antigone, insieme ai familiari e all’Avvocato Vito Pirrone che sta seguendo il caso, presenta l’Esposto, depositato presso la Procura della Repubblica di Catania, di richiesta di riapertura delle indagini per la morte del diciannovenne incensurato Carmelo Castro, avvenuta il 28 marzo 2009 presso la Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza dopo soli quattro giorni dall’arresto. Bari: piano di evasione con buco nel muro della camera di sicurezza del Tribunale di Manlio Triggiani Gazzetta del Sud, 2 gennaio 2011 Stavano programmando una fuga, praticando un buco al muro del gabinetto delle camere di sicurezza del Tribunale di via Nazariantz, nelle quali i detenuti attendono di essere chiamati per andare in giudizio. È successo una decina di giorni fa, ma solo ieri si è venuti a conoscenza dell’episodio. Anche se alla Procura l’episodio non risulterebbe o, forse, non sarebbe stato ancora segnalato. Di che si tratta? La parte esterna del muro del gabinetto, che sarebbe in cartongesso, si affaccia su un’intercapedine delimitata da un muro di mattoni forati. Più esternamente, c’è il recinto perimetrale. “Chi ha praticato il buco, l’ha occultato - spiega Enzo Lumieri, segretario generale regionale della Federazione nazionale sicurezza della Puglia, sindacalista della Cisl, con alle spalle 11 anni da coordinatore del Nucleo traduzioni dopo 4 di vice - e secondo i rilievi sarebbe stato effettuato fra le 13 e le 14. L’apertura era sufficiente per far passare una persona. Probabilmente una volta nell’intercapedine avrebbero “lavorato” per aprire un altro buco nel muro di mattoni forati. O forse qualche complice, dall’esterno, avrebbe aiutato il detenuto che doveva scappare. Avrebbe potuto farlo con relativa tranquillità perché la parte esterna è in una zona poco frequentata del tribunale. È chiaro - continua Lumieri - che stavano preparando la fuga di un detenuto”. Quella zona è poco frequentata proprio perché si passa di lì solo per dirigersi verso altre uscite del Tribunale. “In tanti anni che ho coordinato il Nucleo traduzioni - spiega Lumieri - ricordo che solo in alcuni casi veniva utilizzata quella strada che costeggia il muro per utilizzare ingressi laterali”. Se dieci giorni fa nessuno è fuggito dei tanti detenuti che avranno usufruito del gabinetto, è dipeso dal fatto che gli agenti di Polizia penitenziaria hanno notato l’apertura nel muro. È evidente che chi ha praticato il foro è una persona che conosce bene gli uffici, e magari nell’ora di maggior via vai nel Tribunale non sarebbe stato difficile per il fuggiasco mescolarsi alla folla e andar via. Del resto, il trasporto di detenuti dal carcere al tribunale è un’operazione molto delicata, non priva di rischi, specie poi quando si tratta di un maxiprocesso con decine e decine di persone da scortare. Memorabile, il caso di 15 anni fa, quando un detenuto, Leonardo Campanale, nel tribunale di piazza De Nicola fuggì perché, stipato nella gabbia dell’aula dove si teneva il processo, riuscì a nascondersi sotto una panca con un’apertura laterale. Quando i carabinieri, allora responsabili dei trasferimenti, andarono via, Campanale uscì dalla gabbia e si dileguò. “Il tribunale di via Nazariantz - sostiene Lumieri - non è idoneo a ospitare udienze di detenuti e il numero degli agenti di Polizia penitenziaria addetto al servizio è largamente insufficiente. Come Cisl stiamo organizzando una protesta per sensibilizzare gli organi preposti a fare qualcosa in tempi brevi. Abbiamo anche presentato un esposto al prefetto e ai massimi vertici del dipartimento poiché la rotazione prodotta dei responsabili ha determinato uno scollamento nelle attività con conseguente abbassamento della sicurezza”. Padova: delegazione dei Radicali trascorre il Capodanno con i detenuti del Due Palazzi Il Gazzettino, 2 gennaio 2011 Al cenone di capodanno hanno preferito la visita ai detenuti delle due carceri (la casa circondariale e quella di reclusione) di via Due Palazzi. E così già nel primo pomeriggio di venerdì una delegazione di esponenti del partito Radicale, guidata da Marco Pannella, è entrata all’interno degli istituti di pena. Un incontro iniziato alla casa circondariale e che poi è proseguito con la cena all’interno del “polo universitario” della casa di reclusione e quindi con la visita a tutti i padiglioni dell’istituto. Assieme a Marco Pannella c’era l’onorevole Rita Bernardini, e i rappresentanti del comitato nazionale dei Radicali italiani Matteo Angioli e Maria Grazia Lucchiari. “Abbiamo ricevuto un’accoglienza eccezionale - ha raccontato Maria Grazia Lucchiari - sia da parte delle guardie carcerarie, sia dagli stessi detenuti contenti di poter ricevere la visita e l’augurio di buon anno da parte di Marco Pannella”. Ad accompagnare la delegazione radicale, oltre al sovrintendente capo Giuseppe Racioppi, c’era anche Ornella Favero, direttore della rivista “Ristretti orizzonti”. “Il carcere - ha ripreso Maria Grazia Lucchiari - contiene tanta umanità e sensibilità, anche da parte degli stessi detenuti. Che, come accade per il personale di guardia, devono affrontare quotidianamente molte difficoltà: dal sovraffollamento delle celle alla gestione dei servizi. In questo momento, per esempio, l’emergenza riguarda l’assistenza sanitaria, con un problema che tocca in particolare le infermiere”. Busto Arsizio: amministratori comunali in visita presso la struttura di detenzione Varese News, 2 gennaio 2011 Amministratori comunali in visita presso la struttura di detenzione. Il laboratorio dolciario è universalmente apprezzato; restano sovraffollamento e carenza di risorse, umane e finanziarie. Aprirà in febbraio o marzo lo spaccio che venderà i dolci prodotti dai detenuti del carcere di via per Cassano nel laboratorio di pasticceria interno. Non a caso si chiamerà Dolci Libertà. Il desiderio dei liberi, e quello dei carcerati sintetizzati in due parole due, e in prodotti apprezzati a distribuiti (anche via Web) a enti e negozi, nel periodo natalizio anche presso le “casette” di via Milano in centro città. La notizia è giunta ieri durante la visita condotta da un gruppo di amministratori di Busto Arsizio presso la casa circondariale. Accolti dal direttore Salvatore Nastasia, dalla responsabile dell’area trattamentale Rita Gaeta e dal personale di sorveglianza, erano presenti il presidente del consiglio comunale, l’europarlamentare Francesco Speroni (giunto “naturalmente” in bicicletta), l’assessore ai servizi sociali Mario Crespi e il collega di Giunta Alberto Ammiraglio, i consiglieri comunali Mario Cislaghi (del gruppo misto) e Antonello Corrado (“La Sinistra che Fa il Proprio Dovere”). Nel colloquio con la direzione dell’istituto di pena sono emerse anche le nuove iniziative che si intende portare avanti a partire dal mese di febbraio: altri corsi professionalizzanti, dall’informatica all’idraulica e all’edilizia, la prosecuzione della collaborazione con le scuole superiori della zona, iniziativa coraggiosa e lodevole. Se i dolci del laboratorio sono punto di forza e risultato visibile (e gradito al palato) di una gestione che si sforza di dare un senso e una prospettiva al periodo di detenzione di chi ha violato la legge a danno della comunità e del prossimo, il problema del carcere resta quello del sovraffollamento, per cui è tristemente noto a livello nazionale; tutta “colpa” di Malpensa che come un magnete attrae i corrieri della droga. I tre quarti dei detenuti, al momento 414 (su 180 posti teorici...), in calo da un “picco” di 450 un mese fa, quando i detenuti fecero addirittura ricorso a Strasburgo, sono stranieri. “Parliamo di 55 nazionalità diverse” riferisce ancora frastornato Mario Cislaghi. “I problemi sono questi, da un paio d’anni non cambiano. Molto bene il laboratorio dolciario, ci lavorano quasi in cinquanta, ma va detto che è un’iniziativa sostenuta da privati. Perché qua, dal ministero soldi non ne arrivano” riferisce il consigliere. “E con un affollamento simile, il personale di polizia penitenziaria tende a calare!” Tanto che un sindacato di categoria, il Sinappe, aveva stilato un documento durissimo nel mese di novembre. Il collega di consiglio Antonello Corrado non si preoccupa del fatto che solo pochi amministratori abbiano preso parte alla visita. Meglio, dice, una presenza convinta che una rituale. “Rispetto a qualche anno fa, quando facevo interrogazioni sulla situazione del carcere, ci sono rapporti molto diversi anche con il Comune, le mie segnalazioni di allora qualche effetto l’hanno avuto” osserva. “Poi, diciamolo, fra i detenuti che hanno una sentenza in giudicato (una minoranza ndr) qui tanti sono proprio di Busto. Da fare c’è ancora tanto. L’indulto del 2006 fu un errore, non c’era nulla di preparato per gestire e preparare l’uscita dalle celle di tanti e prevenirne il ritorno alla delinquenza. Ora c’è il decreto svuota carceri del governo Berlusconi, e vedremo”. Dietro l’angolo, c’è anche il lavoro silenzioso e discreto di associazioni come Volgiter, con Casa Onesimo. Corrado propone di far lavorare i semiliberi, che possono lavorare di giorni fuori dal carcere, per attività legate al Comune. E segnala che con l’aggravarsi della crisi, il 2010 ha registrato un triste fenomeno. “Dal centro psicosociale (Cps) dell’ospedale ci dicono non solo che i loro pazienti sono raddoppiati, ma sta emergendo una nuova tipologia di crimini: quella da disperazione. Parliamo di persone che avevano sempre rigato diritto ma si trovano non più in grado neanche di pagare delle bollette, e che improvvisamente danno di matto, o si danno al crimine”. Anche questa è la realtà. Avezzano (Aq): il vescovo Santoro celebra messa per i detenuti Il Centro, 2 gennaio 2011 Un messaggio di speranza e l’abbraccio della Chiesa ai detenuti del carcere di San Nicola. Il vescovo Pietro Santoro ha celebrato la prima cerimonia eucaristica nella nuova cappella della struttura penitenziaria marsicana. Alla presenza del cappellano, don Francesco Tudini, ha aperto il suo cuore ai detenuti confermando la propria vicinanza e quella di tutta la comunità di fedeli. La cerimonia religiosa si è tenuta ieri alle 8,30 e durante la funzione è stato benedetto il nuovo altare sul quale da ora in poi sarà celebrata la messa. La Chiesa diocesana, con i suoi operatori e volontari, da anni è in prima linea nell’assistenza materiale e religiosa ai detenuti. Ma il messaggio del vescovo, con la sua presenza, va oltre. Si sposta al di là del semplice se pur fondamentale sostegno spirituale. Si apre invece all’accoglienza umana, alla condivisione nel nome di Cristo, che ha detto: “Ero carcerato e mi avete visitato” (Matteo 25,36). È stato un modo concreto, quindi, per abbattere il muro che si è inevitabilmente creato tra i detenuti e la società. Il vescovo Santoro, però, è andato tra i carcerati per condividere le loro paure riguardo al futuro, le loro preoccupazioni, e non per negare le difficoltà. Ha varcato la soglia del carcere per portare il messaggio di riconciliazione con i fratelli e liberazione interiore. È andato tra i detenuti per parlare loro con il linguaggio del Signore che non evidenzia il peccato e la condanna, ma apre alla rinascita e al perdono. Il vescovo, con la semplicità di una visita voluto dire che Cristo può liberare ogni uomo dal carcere morale in cui lo intrappolano le sue passioni attraverso la conversione del cuore. Alla cerimonia erano presenti anche gli agenti di polizia penitenziaria e gli esponenti della Croce rossa italiana, tra cui Maria Teresa Letta. Iran: 100 personalità tedesche chiedono la liberazione dei 2 giornalisti arrestati Adnkronos, 2 gennaio 2011 Un centinaio di personalità in Germania ha firmato un appello per chiedere la liberazione dei due giornalisti tedeschi arrestati in Iran per aver cercato d’intervistare il figlio e l’avvocato di Sakineh Mohammed Ashtiani, la donna condannata alla lapidazione. L’appello figura sul sito della Bild, il giornale per il quale lavoravano i due reporter. Fra i firmatari figurano il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, la premio Nobel per la Letteratura, Herta Mueller, il calciatore Philipp Lahm, il chief executive della Deutsche Bank, Josef Ackermann, e l’amministratore delegato della Daimler, Dieter Zetsche. “Spero che l’Iran non stia utilizzando i due giornalisti come merce di scambio per perseguire altri interessi”, ha commentato la Mueller, mentre il ministro degli Esteri ha promesso il suo massimo impegno per ottenere la scarcerazione dei due connazionali. I due giornalisti, entrati in Iran con un visto turistico, sono stati arrestati il 10 ottobre mentre cercavano di effettuare l’intervista. La settimana scorsa le autorità hanno concesso loro di incontrare alcuni familiari in un albergo di Tabriz, ma non vi sono stati segnali di una loro possibile liberazione. Ieri Sakineh Ashtiani è apparsa in televisione e ha annunciato di voler querelare i due giornalisti, accusandoli di aver strumentalizzato la sua vicenda. Gran Bretagna: rivolta in carcere, i detenuti rifiutano i test anti-alcol Ansa, 2 gennaio 2011 Rivolta di Capodanno in un carcere del West Sussex in Gran Bretagna: la polizia in assetto anti-sommossa sta cercando di domare l’insurrezione scoppiata nella notte quando gli agenti di custodia hanno tentato di riportare i detenuti nelle loro celle, Una quarantina di prigionieri hanno spaccato vetri e mobili e dato alle fiamme alcune unità del penitenziario intorno a mezzanotte. Secondo un portavoce del ministero della giustizia non ci sarebbero notizie di feriti. La rivolta - ha reso noto l’associazione nazionale degli agenti di custodia - è scoppiata dopo che alcuni detenuti hanno rifiutato di sottoporsi al test anti-alcol. Secondo il portavoce dell’associazione Mark Freeman, vaste quantità di alcol erano state trovate nei giorni scorsi nel penitenziario e gli agenti avevano dato la caccia ai detenuti da un paio di giorni cercando di sottoporli alla prova del palloncino. Nel carcere ieri si trovavano circa 200 prigionieri ma solo due agenti di custodia e quattro dipendenti ausiliari. Sono stati adesso inviati 140 uomini di rinforzo. Tra le unità della prigione danneggiate o distrutte dalle fiamme, c’è la palestra e una sala del biliardo nuova di zecca. La rivolta di capodanno in un carcere del Sussex è stata domata e tutti i detenuti che avevano messo a ferro e fuoco il penitenziario sono tornati in cella o trasferiti ad altre strutture carcerarie. Lo ha annunciato Mark Freeman, portavoce dell’associazione degli agenti di custodia. Secondo Freeman sei prigionieri sono stati identificati come gli istigatori della rivolta che ha provocato danni per un milione di sterline quando sei blocchi del carcere sono stati alle fiamme. I danni subiti dalla prigione sono tali che 160 detenuti su quasi 500 dovranno esser trasferiti in altre strutture. Hanno partecipato all’insurrezione circa 290 prigionieri. Stati Uniti: la Croce Rossa organizza telefonate via Skype per i detenuti di Guantanamo Ansa, 2 gennaio 2011 Una videochiamata per alleviare la vita nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo. È il progetto sponsorizzato dalla Croce Rossa Internazionale che, a partire da questo mese, offre la possibilità ai prigionieri yemeniti del carcere americano di rivedere il volto dei loro familiari dopo quasi dieci anni di detenzione in isolamento. “Abbiamo il pieno supporto delle autorità Usa” ha dichiarato il portavoce dell’organizzazione Simon Schorno, spiegando che l’opportunità offerta ai sospetti terroristi può migliorare la loro salute mentale. Finora erano autorizzate solo comunicazioni scritte o occasionali telefonate con i parenti: ora i detenuti potranno effettuare video conferenze di un’ora, anche se il servizio sarà attivo una volta ogni tre mesi, durante le visite della Croce Rossa. A poter usufruire delle telefonate via computer saranno solo i detenuti di nazionalità yemenita, 90 sui 150 circa che il carcere ancora ospita. Cuba: cardinale Jaime Ortega annuncia rilascio altri detenuti politici nei prossimi mesi Ansa, 2 gennaio 2011 Il cardinale cubano Jaime Ortega ha oggi ribadito che il governo libererà nei prossimi mesi 11 prigionieri condannati nel 2003 insieme ad altre 41 persone, già scarcerate nell’ ambito di un processo aperto dallo scorso luglio. La promessa del governo cubano in questo senso è chiara e formale, ha puntualizzato Ortega nell’omelia di una messa per la Giornata mondiale della Pace nella Cattedrale di L’Avana. Sei mesi fa, dopo un colloquio con il presidente Raul Castro, Ortega aveva annunciato la scarcerazione di tutti e 52 i prigionieri condannati con l’accusa di essere mercenari al soldo degli Stati Uniti. L’opposizione cubana clandestina considera tutti i componenti del gruppo prigionieri politici. Dei 41 già liberati, solo uno è rimasto a Cuba, mentre gli altri 40 hanno raggiunto la Spagna. I rimanenti 11 hanno invece fatto sapere che, se scarcerati, resteranno sull’isola. Oltre al gruppo la cui liberazione era stata annunciata il 7 luglio scorso, le autorità cubane hanno scarcerato fino ad oggi altre 16 persone già giudicate e condannate al carcere per altri motivi.