Giustizia: reato di “clandestinità”… l’impatto della Direttiva Ue sui tribunali e sulle carceri Redattore Sociale, 27 gennaio 2011 Alla luce delle direttiva europea 115/2008 sui rimpatri, alcuni tribunali hanno assolto imputati che non hanno ottemperato al decreto di espulsione come previsto dalla Bossi-Fini. La direttiva europea 115 del 2008 si riferisce al rimpatrio dei cittadini immigrati irregolari ed è entrata in vigore il 24 dicembre 2010. In Italia non è ancora stata recepita. La norma dell’Ue risulterebbe in contrasto con la legge Bossi - Fini per quanto riguarda il reato di clandestinità. Ecco perché: la legge Bossi - Fini stabilisce pene da 1 a 5 anni per lo straniero irregolare che resti in Italia nonostante un provvedimento di espulsione e un ordine di allontanamento del questore. In pratica l’immigrato irregolare può essere arrestato e condannato al carcere solo per inosservanza del provvedimento di espulsione. Proprio su questo punto la direttiva Ue sarebbe in contrasto con la Bossi - Fini, perché stabilisce invece che lo straniero “non può essere privato della propria libertà personale” e che si “dovrebbe preferire il rimpatrio volontario a quello forzato, con la concessione di un termine per la partenza”. Alla luce di questa indicazione, alcuni giudici hanno ritenuto non giustificabili gli arresti degli stranieri irregolari. E altri hanno già assolto degli imputati che non hanno ottemperato al decreto di espulsione del questore. A Firenze, la Procura ha emesso una circolare che stabilisce che non sarà più possibile arrestare “automaticamente” gli stranieri irregolari, ma sarà necessario procedere con regolari denunce all’autorità giudiziaria sulla loro presenza irregolare e attendere il responso della magistratura che valuterà i singoli casi e gli eventuali provvedimenti da prendere. A Genova, il sostituto procuratore Francesco Pinto non ha applicato la legge Bossi - Fini, ordinando la scarcerazione di un irregolare, proprio in base alla direttiva 2008/115. Il tribunale di Milano ha sospeso il processo a un senegalese e ha spedito gli atti alla Corte di giustizia dell’Ue. Secondo il tribunale, la legge Bossi - Fini svuota la direttiva Ue perché aggira le “condizioni tassative in presenza delle quali gli Stati possono lecitamente privare della propria libertà personale lo straniero sotto rimpatrio”. Il tribunale di Milano chiede quindi alla Corte Ue di chiarire se questa interpretazione sia corretta. Infine a Brescia, la procura ha emanato una circolare in cui si afferma che l’articolo 14 del Testo unico immigrazione, come previsto dalla direttiva europea, non verrà applicato nei confronti degli immigrati irregolari perché non possono essere perseguiti. Quindi verrà chiesta l’archiviazione degli atti perché il fatto non sussiste o verrà disposta l’immediata scarcerazione dello straniero. Giustizia: niente più arresto per quei “clandestini” che non hanno precedenti penali La Stampa, 27 gennaio 2011 La legge “Bossi - Fini” non sarebbe stata abolita dalla direttiva europea entrata in vigore anche in Italia il 24 dicembre scorso: è quanto emerge dall’interpretazione del procuratore generale Marcello Maddalena e dei capi delle procure piemontesi e valdostana, emersa in un recente incontro. “Ma, in considerazione della giurisprudenza adottata dalla quasi totalità dei giudici torinesi di , primo grado - scrive Maddalena in una nota ufficiale - appare prudente procedere a liberazione dell’arrestato provvedendo poi alla richiesta di con - i valida a piede libero in tutti i casi in cui i precedenti penali del soggetto facciano ritenere ragionevole la non richiesta di misure coercitive”. Ci si riferisce alla violazione dell’ordine di allontanamento del questore dal territorio italiano di chi, cittadino extracomunitario, sia sprovvisto del permesso di soggiorno. La direttiva 115 del 2008 dell’Unione europea trasforma l’ordine in “invito”. Marcello Maddalena nelle linee guida alle procure piemontesi e valdostana precisa tuttavia: “Negli altri casi - che verosimilmente riguarderanno i recidivi ritenuti pericolosi - si procederà normalmente con il rito direttissimo o, quando ciò appaia in concreto preferibile, con la richiesta di convalida e di misura cautelare al gip”. È anche l’orientamento della procura torinese: scarcerare di propria iniziativa chi non abbia precedenti penali o pendenze per reati come spaccio di droga, furto, rapina.... per i quali si profila una notte nelle camere di sicurezza. Quindi: niente carcere e quanto indica il procuratore generale (per non smentire l’operato delle forze di polizia). Maddalena si esprime in modo netto: “Qualunque sia la valutazione da darsi sulla compatibilità della legislazione nazionale con le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e sul loro carattere “self-executing” (da molti di voi e anche dal sottoscritto messo fortemente in dubbio) è opinione pressoché unanime delle Procure del distretto che non si sia comunque verificata nessuna abolitio criminis ad opera della direttiva comunitaria e men che mai per le condotte consumatesi prima del 24 dicembre”. Per norme comunitarie self-executing si intendono quelle da applicarsi integralmente, senza “adattamenti”. Precisato l’orientamento delle procure piemontesi e valdostana, Paltò magistrato scende nei dettagli delle linee guida e rende noto come intende sostenerle: “Questa Procura generale ha deciso di impugnare (con ricorso in Cassazione) tutte le decisioni che, sulla base della ritenuta immediata applicabilità della direttiva europea e della sua incompatibilità con quella nazionale, affermano l’insussistenza del fatto o che l’addebito non costituisce più reato”. Con un’avvertenza: “Le procure che non lo facessero ne daranno comunicazione alla Procura generale, ai fini di consentire l’impugnazione da parte di questo Ufficio”. In particolare: “Per gli ordini di allontanamento emessi dal Questore dopo il 24 dicembre, premesso che le Questure dovrebbero essersi adeguate alle disposizioni del Capo della polizia (ndr: motivare gli arresti con la pericolosità sociale dei soggetti che, come si è visto, per la procura torinese è da ancorare ai precedenti penali, non deve essere indiscriminata) è ovvio che in questo caso si procederà normalmente, cioè con la richiesta di convalida dell’arresto e processo per direttissima”. Giustizia: Antigone; sono 3mila i detenuti per reato di clandestinità, potrebbero uscire Redattore Sociale, 27 gennaio 2011 L’associazione chiede al Governo di “scarcerare gli immigrati detenuti per reato di clandestinità”, che “non sussiste più in base alla direttiva europea 115/2008”. Il Dap: “Il 78% di questi reclusi ha commesso anche altri reati”. Sono 3.118 i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane per reato di clandestinità. Secondo l’associazione Antigone, potrebbero essere scarcerati” perché “l’Unione europea ha deciso che il reato di clandestinità non sussiste più”. La direttiva europea a cui si fa riferimento è la 115 del 2008. La direttiva avrebbe dovuto essere recepita dall’Italia entro il 24 dicembre 2010, ma così non è stato. Ecco perché l’associazione Antigone invita il Governo ad adeguarsi alla normativa europea non arrestando più gli immigrati irregolari. Non solo. L’associazione Antigone rilancia: “In base al principio del favor rei, dovrebbero essere scarcerati gli irregolari attualmente in carcere e arrestati prima del 24 dicembre”, termine ultimo che l’Italia aveva per adeguarsi alla direttiva europea. Secondo i numeri forniti dall’ufficio statistiche del Dap, però, tra gli oltre 3mila detenuti arrestati per clandestinità, soltanto il 22% (680) hanno a carico solamente questo reato. Il 78% dei detenuti (2.438) ha commesso anche altre infrazioni. Complessivamente, questi detenuti sono quasi tutti uomini. Le donne sono soltanto 51. La nazionalità più presente è quella marocchina, con 916 detenuti. Seguono i detenuti tunisini (775), algerini (256), senegalesi (134), albanesi (124), nigeriani (102). Giustizia: la disperazione dei primi giorni; suicidi in carcere, una conta che non si ferma di Giacomo Russo Spena Il Riformista, 27 gennaio 2011 Si è suicidato nel penitenziario di Caltagirone. Salvatore Camelia, 39 anni, è l’ultimo di una lunga lista. Impiccagione, inalazione di gas, dissanguamento e avvelenamento sono i metodi usati. Nel 2010 ben 66 detenuti si sono tolti la vita in carcere, mentre quest’anno sono già 5 i casi. Numeri impietosi che evidenziano la drammaticità dello stato in cui versano le nostre patrie galere. La violenza nei penitenziari, sempre nel 2010, ha trovato riscontro anche nei circa 5.500 atti di autolesionismo e nei 170 tentativi di suicidio. Il 30 per cento delle morti volontarie, evidenzia uno studio del Dipartimento della Giustizia minorile, coinvolge reclusi di età inferiore ai 25 anni, i cosiddetti “giovani - adulti”. Come l’esempio di Antonio Montalto che a soli 22 anni ha deciso, l’altro ieri, di togliersi la vita nel carcere di Prato. Inoltre il 35 per cento dei suicidi avviene nella prima settimana di detenzione e il 25 in prossimità della fine della pena, mentre per il 28 per cento riguarda persone che devono scontare reclusioni brevi. Per l’associazione Antigone, che lavora da anni negli istituti penitenziari, “i suicidi accadono all’inizio perché nei primi giorni, soprattutto per chi è messo in isolamento, lo sconforto può essere devastante. E quando manca poco a uscire, perché si ha paura di non farcela a ricostruirsi una vita fuori”. Più in generale “i detenuti sono privi di speranza, una volta entrati sanno di essere abbandonati dalla società, questo è uno dei fattori che porta ad uccidersi”. La carenza di educatori, operatori sociali e di psicologi non fa che peggiore la situazione. Ogni recluso, di media, vede uno specialista 10 minuti al mese. Secondo Paola Giannelli, presidentessa del Sipp (Società italiana psicologia penitenziaria), chi si toglie la vita non ha patologie psichiche bensì “lo fa con una piena consapevolezza spinto dalla mancanza di un futuro, per gli stranieri c’è anche la lontananza dai propri cari ad incidere”. E così l’unico intervento è la somministrazione di psicofarmaci alle persone in difficoltà. “C’è un chiaro abuso di farmaci - conclude Giannelli - per rimediare all’assenza di personale”. In realtà, come dimostrano i numeri forniti dal Dap, il numero dei suicidi nelle carceri è in media, se non addirittura inferiore, ai dati europei: Francia e Nord Europa hanno numeri più impietosi. Intorno alle 100 morti nel 2010. Secondo Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, le cifre vanno analizzate. “Il tasso dei suicidi in galera da noi è 20 volte maggiore rispetto a quello della società - spiega. Negli altri paesi il tasso è di 8 volte. In Italia quindi c’è un moltiplicatore drammatico del fenomeno”. Il sovraffollamento è sicuramente uno dei fattori che può portare a gesti estremi il detenuto: i reclusi sono arrivati ad essere quasi 70mila, di fronte a una capienza di posti letto di 44.874. Celle strapiene, condizioni igienico - sa - nitarie pessime e reinserimento socio - lavorativo quasi inesistente. Anche se, come dimostrano i dati forniti dall’associazione Ristretti Orizzonti, dei 66 suicidi compiuti nel 2010 “solo” 26 hanno riguardato persone che si trovavano in reparti e in celle detentive comuni, il 90 per cento circa della popolazione carceraria vive in queste sezioni. Con la possibilità quindi, almeno teorica, di attuare relazioni sociali, di lavorare e di studiare. Il 60% dei suicidi è avvenuto, non casualmente, nei reparti e nelle celle di coloro che hanno minori possibilità di trascorrere la pena costruttivamente: reclusi che sono in regime di isolamento, alta sicurezza e 41 bis. Insomma, soltanto il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione abbasserebbe il numero delle morti in carcere. Giustizia: intervista a Rita Bernardini “le nostre carceri sono fuorilegge” di Bruna Iacopino Notizie Radicali, 27 gennaio 2011 Nel paese delle emergenze che ce ne sia una in più o una in meno fa poca differenza. Il carcere è semplicemente quella in più, e come tutte le altre continua a non far notizia, nonostante i dati allarmanti che ogni giorno vengono messi nero su bianco da attenti osservatori. E sul fatto, che l’istituzione carcere in Italia, sia completamente fuorilegge non ha alcun dubbio la deputata radicale Rita Bernardini, recatasi recentemente presso la Casa di lavoro di Sulmona… On. Bernardini, non è ancora finito il mese di gennaio che siamo costretti a registrare ben 5 suicidi verificatesi dietro le sbarre. Cosa bisogna leggere dietro queste morti? “Che l’istituzione carcere è completamente fuorilegge, sia rispetto alla costituzione italiana (articolo 27) sia rispetto allo stesso ordinamento penitenziario , un luogo in cui i diritti umani non vengono rispettati e il suicidio rappresenta il modo per uscire da una situazione invivibile e inaccettabile umanamente. Domenica sono stata al carcere di Sulmona e quello che ho avuto modo di costatare è che il 50 per cento degli internati, una particolare categoria di detenuti, ha problemi di carattere psichiatrico… si tratta di persone che andrebbero curate e invece vengono messe in una cella, senza dar loro la possibilità di svolgere alcun tipo di attività e senza cure specifiche: è ovvio dunque che alla fine si arrivi alla disperazione”. Proprio di recente il Ministro della giustizia Alfano ha relazionato in Parlamento in merito alla situazione della giustizia in Italia nel 2010. Nel capitolo dedicato all’istituzione penitenziaria, si legge di traguardi raggiunti o da raggiungere, di un piano carceri che partirà a breve, e di misure (quali il ddl svuota carceri) che serviranno a deflazionare il sovraffollamento carcerario. Un quadro che corrisponde a verità? “Il ministro Alfano è costretto, dal suo punto di vista, a raccontare un sacco di balle. Io ho presentato ben 546 interrogazioni parlamentari al riguardo, molte delle quali si riferiscono a visite fatte nelle carceri, ma il ministro non ha mai risposto: qualora dovesse rispondere, dovrebbe ammettere che le carceri italiane sono tutte illegali. Nelle carceri si consumano reati, e a consumarli è l’istituzione penitenziaria, con un dato di sofferenza, non solo a carico della popolazione detenuta, ma di tutto il personale che dentro il carcere lavora, ridotto all’osso: polizia penitenziaria, medici, infermieri, psicologi…A tal proposito, quando si parla di morte in carcere, molte volte ad essere tirata in ballo è anche la mancata o carente assistenza sanitaria”. La riforma entrata in vigore, può essere definita una riforma a metà? “Il trasferimento della sanità penitenziaria alle Asl, in realtà, in molte regioni non è mai avvenuto. Ancora, per esempio, ci sono incertezze sull’assunzione del personale… le Asl che tendono a risparmiare su tutto, lo fanno in particolare con la salute delle persone ristrette: in alcuni i casi mancano i farmaci, non sono rispettate norme igieniche fondamentali. Ho fatto una richiesta di accesso, a tutte le Asl del Veneto dove insistono diversi istituti, per leggere le ultime due relazioni attraverso le quali si certificano salubrità, igiene e sicurezza dei suddetti: sono curiosa di sapere come abbiano potuto rilasciare un attestato di agibilità e salubrità ad una serie di istituti che io ho visto con i miei occhi”. Come Radicali, con l’appoggio di tutte le forze d’opposizione, state lavorando su un’iniziativa per introdurre la retroattività nella legge sulla riparazione per ingiusta detenzione… “L’ingiustizia palese coloro è a carico di coloro che hanno subito ingiusta detenzione prima della data di entrata in vigore della legge e che non avranno diritto ad accedere all’indennizzo, non abbiamo al momento le cifre esatte e ne chiederemo conto al Ministro…”. Giustizia: nel 1993 i pm si opposero a far decadere il carcere duro per 300 boss di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 27 gennaio 2011 Quando il ministero della Giustizia, nell’autunno del 1993, si accingeva a far decadere gli oltre trecento decreti di “carcere duro” per altrettanti detenuti mafiosi, la Procura di Palermo tentò di fermarlo. Appena avvisati dell’intenzione, i procuratori aggiunti Vittorio Aliquò e Luigi Croce scrissero al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per evidenziare “l’inopportunità di eventuali modifiche dell’attuale regime carcerario” ed esprimere “parere favorevole alla sua proroga”. Andò al contrario. Nonostante la raccomandazione dei magistrati antimafia, nel giro di pochi giorni i decreti “41 bis” furono fatti decadere, per arrivare a un totale di 334 mancati rinnovi, n ministero aveva chiesto un parere anche alle forze di polizia, ma le risposte arrivarono alcune settimane dopo, quando i boss erano già tornati nei reparti ordinari. Il documento della Procura è stato acquisito agli atti dell’inchiesta che i nuovi magistrati palermitani stanno conducendo sulla presunta “trattativa” fra Stato e mafia, di cui uno dei passaggi fondamentali è diventato proprio il mancato rinnovo del regime penitenziario differenziato per alcuni boss alla fine del ‘93. Resta il mistero di chi ha suggerito e realmente deciso le mancate proroghe, di cui il ministro dell’epoca Giovanni Conso s’è assunto la piena responsabilità politica. L’indagine su questo capitolo, che riguarda il periodo in cui il governo era guidato da Carlo Azeglio Ciampi, si affianca a quelle sui passaggi precedenti e successivi delle ipotetiche relazioni tra esponenti della mafia e delle istituzioni: i rapporti tra Vito Cianci - mino e i carabinieri nel 1992 e i contatti al tempo della nascita della nuova formazione politica guidata da Silvio Berlusconi, tra la fine del ‘93 e l’inizio del ‘94, di cui hanno parlato Gaspare Spatuzza e altri pentiti. Nella ricostruzione degli inquirenti si tratta di momenti diversi, e a volte con soggetti e interlocutori diversi, di una stessa strategia messa in atto da Cosa Nostra a partire dalle stragi del 1992. Anche la commissione parlamentare antimafia prosegue la propria indagine sulla trattativa, avviata dopo la relazione del presidente Pisanu nella quale si afferma che “qualcosa del genere” ci fu. L’altra sera è stato riascoltato l’ex direttore dell’amministrazione penitenziaria Nicolò Amato, il quale lasciò la guida del Dipartimento nel giugno ‘93. Amato è l’autore di un documento del 6 marzo dello stesso anno, in cui suggeriva di revocare i decreti “41 bis” adottati dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, per dare un “segnale di forte uscita da una situazione emergenziale”. Nello stesso documento Amato aveva scritto che in un precedente comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, il capo della polizia Parisi aveva espresso “riserve sulla eccessiva durezza” del regime carcerario riservato ai mafiosi, ma dai verbali di quella riunione non risulta che Parisi abbia toccato l’argomento. Piuttosto era stato lo stesso Amato a sottolineare i problemi derivanti, fra l’altro, dall’atteggiamento più rigido nei confronti dei detenuti rinchiusi nelle super - carceri dell’Asinara e Pianosa, dove erano stati trasferiti i boss. Alla contestazione del senatore del Pd Giuseppe Lumia - ex membro dell’Antimafia, convinto che su questo tema l’atteggiamento dei rappresentanti istituzionali sia quello di minimizzare il problema e allontanare da sé qualunque responsabilità - Amato ha risposto di ricordare le perplessità di Parisi. Giustizia: Sappe; riforma del Corpo di Polizia penitenziaria non più rinviabile Adnkronos, 27 gennaio 2011 “È assolutamente necessaria e non più rinviabile una complessiva ed organica riforma del Corpo”. Lo rileva Donato Capece, segretario generale del Sappe secondo il quale la riforma è “indispensabile al riassetto gerarchico e funzionale della Polizia Penitenziaria ad oltre vent’anni dalla precedente riforma. È necessario - spiega in una nota - riallineare i ruoli dei vice sovrintendenti, dei vice ispettori e dei vice commissari della Polizia Penitenziaria, oggi penalizzati rispetto ai pari grado della altre Forze di Polizia, per rendere le progressioni di carriera davvero in linea e senza più alcuna differenziazione a seconda del Corpo di appartenenza. Questo non può che essere il presupposto per addivenire al più complessivo riordino di tutte le carriere che preveda l’unificazione del ruolo degli Agenti ed Assistenti con quello dei Sovrintendenti. Inoltre il Sappe ricorda che oggi il Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia ha deliberato la promozione a Generale di Brigata del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia di 8 Colonnelli. “Ai neo promossi Generali Bruno Pelliccia, Mario Coletta, Giuseppe Zito, Aduo Vicenzi, Ernesto Cimino, Lorenzo Silvestrelli, Enrico Di Costanzo e Pasquale Migliaccio vanno le nostre felicitazioni”, annota ancora. Alla luce di queste nuove promozioni e “considerato che ad oggi il Corpo di Polizia Penitenziaria ha in organico ben 700 Funzionari del ruolo Direttivo (tra vice Commissari, Commissari e Commissari Capo della Polizia Penitenziaria), 26 Generali e 6 Colonnelli del disciolto Corpo degli Agenti di Custodia (che espletano servizi di Polizia) ritengo non si possa più prescindere da una più adeguata organizzazione del Corpo di Polizia penitenziaria. Per questo - conclude il Sappe - un confronto con il Ministro Guardasigilli, dal quale il Corpo dipende, è tanto più necessario. Occorre garantire la piena funzionalità della Polizia penitenziaria, con l’ormai non più rinviabile istituzione della Direzione generale del Corpo, in seno al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per raggruppare tutte le attività ed i servizi demandati alla quarta Forza di Polizia del Paese”. Giustizia: Ilaria Cucchi scrive a Napolitano; mio fratello è morto per le botte, pm e giudici ipocriti Ansa, 27 gennaio 2011 Non è possibile “comprendere pm che ostinatamente fanno finta di non sapere che Stefano, se non fosse stato picchiato, ora sarebbe vivo come vivo era con noi la sera del suo arresto”. È uno dei passaggi di una lettera che Ilaria Cucchi, sorella del ragazzo morto il 22 ottobre del 2009 nel padiglione penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, ha inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Stefano, scrive Italia, “è morto in condizioni terribili, irriconoscibile a noi famigliari che lo avevamo visto solo pochi giorni prima del suo decesso. Certo era stato tossicodipendente, ricaduto nel giro, ma l’unica cosa sulla quale sono proprio tutti d’accordo è sul fatto che la droga non c’entri nulla con la sua morte. Per chi come noi deve fare i conti con la perdita di un proprio caro, l’ipocrisia diventa un’offesa insopportabile. Piuttosto si dica che è morto perché era uno spacciatore”. “Se di fronte alle evidenti drammatiche difficoltà in cui si trovava Stefano persino pm e giudice sono rimasti indifferenti, io come cittadina Italiana cosa posso pensare?”, continua la lettera, “tutti hanno guardato altrove, tutti tranne i medici che lo hanno avuto in cura prima del suo ricovero al Pertini, che hanno constatato lesioni oggi ostinatamente negate dai due pm del processo”. “Noi non comprendiamo, ma siamo ben consapevoli di quanto poco è contata per la umana Giustizia Italiana la vita di Stefano Cucchi. E quanto poco continua a contare. Ognuno di noi esseri umani - conclude Ilaria - coltiva un piccolo o grande sogno. Il mio è quello di essere smentita”. Giustizia: Giovanardi; non hanno capito che Stefano era fisicamente fragile 9Colonne, 27 gennaio 2011 “Stefano era stato già ricoverato 17 volte negli anni precedenti al Pronto soccorso per lesioni, fratture e ferite varie, documentate dai relativi referti medici. Sempre agli atti c’è la descrizione delle patologie di cui Stefano soffriva, causate da una vita segnata dalla tossicodipendenza. Il processo, nel quale il governo si costituisce parte civile, dimostrerà se e quali responsabilità ci sono state per provocarne la morte, ma credo sia un cattivo servizio alla verità negare che proprio un aggravante per quello che è accaduto è stata la fragilità di Stefano, non capita da chi aveva la responsabilità di custodirlo e curarlo”. Così il sottosegretario Carlo Giovanardi in una lettera al fatto in merito al caso Cucchi. La replica della giornalista Silvia D’Onghia un cui articolo ha portato all’intervento dell’esponente Pdl: “Prendiamo atto della precisazione, ma restiamo convinti che la fragilità di Stefano sia stata semplicemente quella di un ragazzo fermato, picchiato e privato dei propri elementari diritti alla salute e alla vita. Semmai, la droga potrebbe aver giocato a suo sfavore nella considerazione che di lui hanno avuto le persone alle quali era affidato”. Giustizia: il caso Battisti è una questione tra Italia e Brasile; l’Ue non ne vuol parlare La Stampa, 27 gennaio 2011 Tutto come se il Parlamento europeo, e il governo italiano, non avessero detto nulla. O come se gli appelli a fare pressione sul Brasile per attuare l’estradizione di Cesare Battisti fossero stati scritti sulla sabbia. L’Alto rappresentante per la Politica estera Ue, la britannica Catherine Ashton, ha incontrato ieri l’omologo di Brasilia, Antonio Patriota, tenendosi alla larga dal dossier del latitante italiano. “Il caso - assicura Bruxelles - è una questione bilaterale che non riguarda Bruxelles”. Il malumore cresce. Gli italiani dell’eurassemblea non l’hanno presa bene e il disagio è amplificato dal fatto che, a sentire i collaboratori della baronessa, il ministro Frattini non avrebbe intavolato la questione nell’incontro informale a Corvara con un gruppo di colleghi europei nel fine settimana. “A mia conoscenza il caso non è stato sollevato”, ha detto la portavoce Maja Kocijancic. “Il fatto che molti si dimentichino di Battisti è esattamente la ragione che gli consente di svernare a Copacabana”, ammette il capo degli eurodeputati del Pdl, Mario Mauro. Critico anche il suo collega del Pd, David Sassoli: “Grave che la Ashton non consideri il nostro voto a Strasburgo, come sarebbe grave se Frattini non l’avesse sollecitata a prendere un’iniziativa”. La Farnesina ritiene che si debba affrontare la questione dal punto di vista giuridico “evitandone la politicizzazione”. Nel quartier generale di Frattini si sottolinea che le motivazioni addotte da Lula - come il rischio per l’incolumità di Battisti in Italia - toccano la sensibilità di tutta l’Ue mettendo in dubbio il rispetto dei valori fondamentali comuni da parte di uno dei membri. Lo dice anche Niccolò Rinaldi, capo delegazione Idv all’Europarlamento, “stupito” dalla Ashton: “La decisione con cui Lula ha rovesciato la sentenza in favore dell’estradizione di Battisti disconosce i valori fondanti dell’Ue, come il rispetto della legalità e lo Stato di diritto”. Solo italo - brasiliano, è chiaro, il caso non pare neanche a lui. “Prendiamo sempre atto con rispetto delle posizioni dell’Europarlamento, ma per ora la valutazione resta che si tratta di una questione bilaterale”, tagliano corto i collaboratori della Ashton, per vocazione attenta ai commerci più che ai diritti fondamentali. La mancata estradizione di Battisti, ha commentato il brasiliano Patriota, “non ha danneggiato le relazioni bilaterali tra l’Italia e il Brasile” che si mantengono “amichevoli e produttive”. A suo avviso “prevale la dimensione giudiziaria del problema”, sul quale pende il pronunciamento della Corte federale brasiliana atteso per i primi di febbraio. Nel frattempo le polemiche non mancheranno. Sul quotidiano Le Monde la scrittrice francese Fred Vargas ha risposto con durezza all’articolo pubblicato il 16 gennaio sullo stesso quotidiano da Antonio Tabucchi. “Chi sostiene Battisti vuole far luce sulla verità”, afferma l’autrice, che nega l’esistenza di “prove materiali” e invita il collega a ricredersi “prima di trovarsi nell’imbarazzo quando la verità verrà a galla”. Accusando il giudice Armando Spataro che aveva seguito i processi dell’ex militante dei Pac di “illegalità e deviazioni nei processi che ha istruito durante gli anni di piombo”. Giustizia: intervista in carcere a Cesare Battisti “voglio scrivere e lavorare con la collettività” di Maria Niello Il Manifesto, 27 gennaio 2011 Come ha vissuto le ripercussioni del suo caso in Italia e in Brasile? È difficile parlarne. Questa è la ragione per cui sono rimasto traumatizzato e ho dovuto ricorrere a uno psichiatra. Quando leggo cose che non hanno molto a che vedere con me, resto... mi scoppia il cuore, non riesco a controllarmi, cado in uno stato di semi incoscienza. Ieri, per esempio, sulla Tv Sbt hanno dato una notizia su Berlusconi e le sue prostitute. Solo con l’annuncio della notizia “Italia”, mi sono messo a tremare. Hanno fabbricato un mostro che non ha niente a che vedere con me. Per quali motivi? Mi perseguitano perché sono uno scrittore, perché ho un’immagine pubblica. Se non fosse per questo, sarei uno dei tanti, come altri italiani che se ne sono andati dal paese per le stesse ragioni. Sono perseguitato dallo stato italiano e dalla magistratura brasiliana. Questa persecuzione non è per caso. Non si metterebbe in discussione una decisione del presidente della repubblica. Non esiste un paese al mondo in cui una estradizione non sia decisa dal capo del potere esecutivo. Vi immaginate se questa decisione presa dalla magistratura brasiliana si verificasse in un altro paese, la Francia per esempio? Sarebbe un assurdo, impensabile. E quando io sono diventato un caso internazionale, sono diventato una moneta di scambio per molte cose. Se Lula avesse preso la sua decisione prima, si sarebbero scatenati contro di lui, perché sconfiggere me sarebbe stato sconfiggere anche Lula. Adesso l’obiettivo principale della destra brasiliana, in questo caso, è colpire il governo di Dilma. Come ha accolto la decisione di Lula? È stato un atto di coraggio da parte di un capo di stato del livello di Lula, con le responsabilità che aveva e con i problemi connessi alla geopolitica. È evidente che la scelta del momento non è stata casuale. Il caso Battisti è stato usato per altre ragioni politiche. La sua estradizione quali precedenti porrebbe? Cambierebbe la storia, perché fino a oggi gli italiani non sono mai stati estradati. Quindi sarebbe un colpo duro. Non solo per gli italiani. Lei crede che se l’estradizione alla fine non sarà concessa, ci sarebbero delle rappresaglie dell’Italia verso il Brasile? L’Italia non è mai stata abbastanza forte per collocarsi fra i paesi più ricchi del mondo. Se ci sta è per via della Nato e della mafia, che impingua le casse delle banche del mondo. L’Italia è sempre stata un bluff. È l’Italia che ha bisogno del Brasile. Quello che i media dicono sono menzogne. In Italia c’è molta gente che mi difende. Se io ci tornassi, ci sarebbero dei casini, e Berlusconi lo sa. Quali sono i suoi sentimenti oggi verso l’Italia? Ormai non è più il mio paese. Io mi sono formato come cittadino del mondo. Quando abbandonai l’Italia, ero ancora molto giovane. Quindi questa storia della patria non la sento. Non è che ci sia arrivato intellettualmente, per il fatto di essere un anarco-comunista. Ci sono arrivato attraverso la vita stessa, per il modo in cui ho vissuto, per scelta e anche per dovere. Per me, questa storia della patria non ha senso. Chi sono i suoi nemici in Italia? I miei nemici sono quelli che vogliono nascondere gli anni di piombo. 1 media fanno di tutto per cancellare il contesto storico. Governo e opposizione sono gli stessi degli anni di piombo: Democrazia cristiana e Partito comunista italiano. Il Pci era il partito più stalinista ma non aveva il controllo del potere. Loro furono i più crudeli con noi. Torturatori. E oggi sarebbero l’opposizione a Berlusconi. In realtà non esiste opposizione, il Pei non ha alcun programma politico. Quando Berlusconi, che sappiamo bene chi è, dice che l’opposizione vuole vincere le elezioni con un golpe giudiziario, dice la verità. Come è già accaduto una volta. Ci sono riusciti, fra i due mandati di Berlusconi, attraverso un golpe. Perché la magistratura era controllata dal Pci, il Pci controllava i magistrati italiani. Negli anni di piombo i magistrati migliori erano del Pci e hanno continuato ad esserlo, alcuni di loro perfino candidandosi. Durante la dittatura loro organizzavano e assistevano alle sessioni di tortura. Torturavano il movimento rivoluzionario, dalle Brigate rosse fino all’Autonomia e ai Pac. Uno di loro era Armando Spataro, che non era iscritto ma era in relazione con il Pci. Lui era il torturatore di Milano. Amnesty International ha una documentazione al proposito. E lui è il procuratore che oggi mi perseguita. Lui è procuratore di Milano ed è ancora il procuratore europeo - italiano sul terrorismo. E qual è il suo rapporto con il Brasile? Se esiste un angolo di patriottismo, quello sarebbe il Brasile. Può sembrare un po’ opportunista, ma sono arrivato qui, non conoscevo nessuno e si è formato un movimento a mio favore. Questo scalda molto il cuore. Chi ha cercato quando è arrivato? Quando arrivai c’erano già molte mie foto da ogni parte. Sapevo di essere sorvegliato e quindi non ho preso contatto con gli italiani rifugiati qui, né con nessun movimento. Volevo preservare loro e me. Ma io non riesco a star lontano dai problemi, salivo ogni giorno nelle favelas (di Rio de Janeiro). Mi sedevo a un banchetto, mi facevo una birra e la proprietaria del banchetto aveva un figlio in carcere. Lei era analfabeta e mi chiedeva di leggerle le lettere del figlio e di rispondergli. E così io frequentavo tre favelas e avevo eccellenti rapporti con tutti. Quali favelas? Santa Marta, Tabajara e Cantagalo. A Cantagalo e Pavào, Pavàozinho. Sono diventato lo scrivano delle favelas. Ho sempre fatto lo stesso lavoro. In Francia avevo il permesso del Ministero di polizia e del Ministero degli interni per fare lavori di scrittura. Per me è stato una cosa naturale e tutte le auto della polizia mi conoscevano perché in qualsiasi favela di Rio c’è un’auto della polizia all’entrata. “Ecco il gringo”, dicevano. Salivo nella favela per potermi sentire vivo. Ma quando lei è arrivato, da chi è stato appoggiato? Da molta gente, del Pt e anche del Psdb (Partito socialdemocratico, centro - destra in Brasile). Quando sono stato arrestato, Fernando Gabeira (ex - guerrigliero passato ai verdi) è venuto a incontrarmi con alcuni deputati del Psdb. Chiaro che non sapevano molto bene quel che stava succedendo e dopo si sono allontanati, anche Gabeira. Lui mi accolse in Brasile, mi aiutò. Ma non come un soggetto politico pensante bensì come un prigioniero degli anni 70 che riteneva non rappresentasse alcun pericolo per nessuno, perché già c’erano altri italiani qui nella stessa condizione. Quando si rese conto di chi ero io, o meglio, di quella che i media avevano fatto di me, lui prese le distanze. Come si definisce politicamente? Sono un anarco-comunista da sempre, che considera finito il leninismo. Ma sono per un anarchismo organizzato, un anarco-marxista, perché esiste un altro nucleo forte dell’anarchismo che è individualista. E come vede il socialismo nel mondo di oggi? Sono convinto che si stiano creando le condizioni per il socialismo. La socialdemocrazia, nel nord d’Europa, con le sue politiche di welfare, ha conseguito dei risultati. Ma sta cadendo perché il blocco guidato dagli Stati uniti, quello del liberismo selvaggio che non si cura affatto della sicurezza sociale, è un concorrete molto difficile, crudele. Il Venezuela sta facendo il meglio che si può. Non è andato molto avanti perché il paese non l’ha permesso. Era quasi allo stato feudale. Non si può pensare che cambiando di presidente un paese cambi dalla sera alla mattina. E Cuba, se non fosse per l’embargo, potrebbe essere la miglior democrazia del mondo. Qual è la sua opinione sulla lotta armata? Fu lo stato a spingerci alla lotta armata, perché solo così avrebbe potuto sconfiggere il fortissimo movimento culturale che c’era. Il movimento rivoluzionario italiano arrivò a contare più di un milione di persone. Ma cademmo nella trappola e finimmo per fare il gioco del potere. Io non posso dire che la lotta armata non è viabile nel mondo intero, ma posso dire che non lo è più nel mondo che io conosco. Credo che la rivoluzione sia eliminare le classi, però ormai non passa attraverso le armi ma attraverso la cultura e l’istruzione. Quando uscirà di prigione che intende fare? Non so fare altro se non scrivere e lavorare con la collettività. Voglio fare lavoro sociale a partire dalla scrittura. Forse non ho diritto a fare politica, ma farò cultura. Vede dei rischi se la lasceranno andare? Ci sono minacce scritte di agenti carcerari contro di me. Se mi dovesse succedere qualcosa, Berlusconi dovrà risponderne. Liguria: delegazione Radicale con Rita Bernardini in visita alle carceri da domani a domenica Apcom, 27 gennaio 2011 Una delegazione radicale, guidata dalla deputata radicale Rita Bernardini, visiterà nel fine settimana del 28 - 29 - 30 gennaio tutti gli istituti di pena della Liguria. Con lei sarà presente anche la Segretaria dell’Associazione “Il detenuto ignoto”, Irene Testa. Rita Bernardini, componente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati è l’organizzatrice da due anni dell’iniziativa “Ferragosto in carcere” che ha permesso a moltissimi parlamentari e consiglieri regionali di conoscere veramente le condizioni di vita illegali alle quali è condannata l’intera comunità penitenziaria. A prima firma sua sono molte delle mozioni approvate dal Parlamento per la riforma della giustizia e del sistema penale. Con i Radicali e con gli operatori del settore sta lavorando per la tenuta al più presto dei primi veri e propri “Stati generali delle carceri” per rispondere al vuoto di iniziativa politica che interessa questo argomento. Scopo della visita è quello di redigere un quadro completo sulla realtà carceraria ligure anche a seguito di un anno, il 2010, che ha visto tra i detenuti in Liguria 2 suicidi, 30 tentativi di suicidio, 230 atti di autolesionismo, 165 persone coinvolte in iniziative dimostrative come gli scioperi della fame e 26 aggressioni a danno degli agenti di polizia penitenziaria. Il programma prevede il primo giorno, Venerdì 28 gennaio, alle ore 13:15 la visita del carcere di Genova Marassi (principale struttura penitenziaria ligure) con una conferenza stampa che si terrà alle ore 16:30 davanti al carcere alla quale interverranno i componenti della delegazione: Rita Bernardini, Irene Testa, Susanna Mazzucchelli, Segretaria dell’Associazione Radicali Genova, Walter Noli e Alessandro Rosasco del Comitato nazionale di Radicali Italiani. Sarà inoltre presente il consigliere regionale delle Liste civiche per Biasotti, Lorenzo Pellerano. Venerdì, verrà effettuata anche la visita al carcere di Chiavari per completare la giornata con la visita al carcere della Spezia dove si aggiungerà alla delegazione Deborah Cianfanelli, Segretaria dell’Associazione radicale Mario Tarantino e membro della Direzione nazionale di Radicali Italiani. Sabato 29, alle 10, sarà la volta delle visite all’istituto di Genova Pontedecimo dove la delegazione sarà composta da Rita Bernardini, Irene Testa, Alessandro Rosasco, Claudia Bornico, Presidente dell’Associazione Radicali Genova e Stefano Petrella, Segretario del Graf Gruppo Radicale Adele Faccio. Nel pomeriggio invece la delegazione si sposterà su Imperia per visitare il carcere accompagnati anche da Gian Piero Buscaglia, del Comitato nazionale di Radicali Italiani. Domenica 30 gennaio si proseguirà con la visita della delegazione radicale al carcere di Sanremo per concludere poi con l’ultimo istituto, il Sant’Agostino di Savona alla presenza, tra gli altri, di Bruno Mellano, della Direzione nazionale di Radicali Italiani. Emilia Romagna: la Giunta regionale discute sulla situazione delle carceri Apcom, 27 gennaio 2011 “Quali i progetti per il 2011 rivolti ai detenuti?”, lo chiede con un’interrogazione in Regione Andrea Pollastri (Pdl). “Più volte dall’inizio della IX Legislatura - scrive il Consigliere - la IV Commissione si è occupata della situazione carceraria. Un primo dibattito si è svolto il 14 luglio a seguito della “Relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia - Romagna nell’anno 2009” da parte del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Nello Cesari. Una seconda volta se n’è discusso nella seduta del 16 novembre durante la presentazione dell’Assessore alle Politiche Sociali degli interventi inserirti nel Programma annuale 2010 relativi alle iniziative ed ai finanziamenti per il 2011 del Piano Sociale e Sanitario”. “In entrambe le occasioni - si legge ancora - la Giunta ha confermato che, per il 2011, le risorse destinate ai carcerati rimarranno invariate, e verranno prioritariamente destinate al mantenimento degli sportelli informativi dentro al carcere, valorizzando principalmente gli interventi di reinserimento, in particolar modo quello lavorativo, nonché altre attività, in accordo con gli Enti Locali, per favorire la socializzazione dei detenuti. Proseguiranno altresì interventi a favore delle donne detenute e dei loro figli minori ed iniziative di carattere sanitario volte alla prevenzione e cura. Infine verranno promosse attività convegnistiche ed informative relative alla situazione delle carceri ed all’applicazione delle leggi in materia”. “Ritengo - commenta l’azzurro - che al di là dei momenti istituzionali previsti dalla legge, come l’audizione del Provveditore Regionale, si stia facendo avanti una logica di attenzione e sensibilità verso i detenuti assolutamente opportuna, anche se, ogni volta, la Giunta non perde occasione per fare della gratuita polemica politica e strumentalizzazione sul sovraffollamento, situazione che, è bene ribadirlo, il Ministero della Giustizia ha ben presente e che, nei prossimi anni si avvierà a risolvere con importanti interventi strutturali anche nella nostra Regione”. “Proprio questo spirito di sensibilità - conclude - mi spinge a sollecitare ulteriormente la Giunta affinché, ad inizio dell’anno, confermi gli impegni presi fin ora ed eventualmente, di concerto con il Governo e gli Enti Locali, pensi a nuovi progetti e richieste di finanziamento per attivare nuove politiche sociali e sanitarie rivolte agli istituti penitenziari”. Varese: domani la Polizia Penitenziaria sarà in piazza per protestare contro le condizioni di lavoro Varese News, 27 gennaio 2011 La Polizia Penitenziaria scende in piazza e protesta. Lo “sciopero” degli agenti che lavorano nelle carceri lombarde italiane è in programma per venerdì 28 gennaio con un presidio di fronte alla prefettura di Milano. Motivo? Le condizioni di lavoro - e potremmo dire di “vita” - negli istituti della regione. In piazza ci saranno anche gli agenti di Varese e Busto Arsizio. Soprattutto nella realtà vicino a Malpensa, la situazione è al limite già da anni: quattrocento persone detenute in un luogo pensato per duecento. E il personale di polizia perennemente sottorganico.«Le problematiche che denunciamo - spiega in un comunicato la Cisl Fns (Federazione nazionale della sicurezza) di Varese - ormai da diversi anni, sono molto complesse e di difficile soluzione. Subiscono gli effetti di scelte legislative, delle carenze del sistema giudiziario e di come la politica affronta il tema della sicurezza». A Varese mancano 28 unità di Polizia Penitenziaria dalla pianta prevista. «La Casa Circondariale di Varese - spiegano - di fatto vive un processo irreversibile di degrado e abbandono. Il muro di cinta del Carcere è transennato ormai da anni per che vi sono rischi di stacco e caduta di parti di esso; piove dai tetti nei reparti detentivi; vi sono tubazioni idriche fatiscenti, che spesso generano allagamenti e disservizi e seri pericoli per quanto concerne la sicurezza». E qui il pensiero corre subito al “problema” ormai storico di Varese. «Occorre - continua la Cisl - che l'Amministrazione Penitenziaria individui delle tempestive soluzioni, perlomeno se non ci sono le possibilità per costruirne un istituto nuovo, revochi perlomeno il vigente decreto di dismissione con un finanziamento di un progetto di ristrutturazione. Proprio in questi giorni sono iniziati i lavori per la riparazione del tetto della sezione detentiva, ciò significa che sono stati stanziati parecchie migliaia di euro per i lavori, però poco prima delle festività natalizie si è rischiato di chiudere l'istituto a causa di scoppio delle tubature idriche». Ma la situazione è realmente drammatica in tutta la regione. La pianta organica della Polizia Penitenziaria della Lombardia è pari 5.353, con una carenza di circa 1.200 agenti rispetto al numero previsto in teoria. Il personale dei ruoli civili del Comparto Ministeri è deficitario di circa 200 unità: mancano Educatori; Assistenti Sociali; Psicologi; Amministrativi. Figure di fondamentale importanza per l'osservazione e il recupero delle persone recluse (nella foto, un momento della festa provinciale del Corpo). Una situazione che si scarica prima di tutto sulle spalle delle persone detenute, ma anche su chi in carcere lavora ogni giorno. A partite proprio dagli agenti. «La mancanza di interventi seri di riforma del sistema penitenziario - lamentano i poliziotti - è stata scaricata sulle spalle della Polizia Penitenziaria che negli anni ha assunto il ruolo, di fatto, di presidio medico, psicologo, rieducativo, il tutto garantendo contemporaneamente la sicurezza dei cittadini e dei detenuti stessi. A causa delle carenze dell'organico si sobbarca turni massacranti che mettono a dura prova l'equilibrio psicofisico ed alimentano la sindrome del "corto circuito", che come è noto chi la subisce ha un doppio stress quello proprio e quello della persona da aiutare che vive alimentato dalla frustrazione e dall'alienazione del luogo di lavoro». Un lavoro enorme, non riconosciuto e non valorizzato dalla società, fatto di riposi non fruiti, ore di lavoro straordinario non pagato, spese di missioni anticipate e rimborsate dopo mesi e mesi, disagi che scontano le famiglie, rapporti disciplinari per inadempienze inevitabili, aggressioni subite e in casi estremi, soluzioni drammatiche come il suicidio. Proprio come succede ai detenuti: e infatti, con le carceri in questa condizione, “guardie e ladri” vivono in parte le stesse identiche difficoltà, giorno per giorno. Lecce: arrestato psicologo del carcere, per molestie alla figlia di un detenuto Ansa, 27 gennaio 2011 Una vera e propria ossessione per la giovane figlia di un detenuto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla. Anche andare contro le regole imposte dal suo ruolo di psicologo della casa circondariale di Borgo San Nicola. Ma secondo la Procura di Lecce sarebbe decisamente andato oltre i limiti del consentito. Per questo questa mattina i carabinieri della stazione di Leverano hanno posto agli arresti domiciliari Theodoros Koukakis, 59 anni, nato in Grecia ma residente a Leverano. Nell’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Carlo Cazzella su richiesta del pubblico ministero Stefania Mininni, gli vengono contestati i reati di stalking, violenza privata e minacce aggravate nei confronti del detenuto, di sua moglie e della loro figlia. La magistratura si è mossa da sola, poiché le presunte vittima non hanno mai presentato una formale querela. Tutto è partito dalle dichiarazioni fatte dal padre della ragazza agli agenti di polizia penitenziaria nell’ottobre scorso. Secondo il racconto dell’uomo, il professionista da circa un anno avrebbe iniziato a perseguitare i componenti della sua famiglia: sua moglie, ma in particolar modo sua figlia. Le avrebbe seguite, pedinate, appostandosi di frequente sotto la loro abitazione, arrivando a telefonare per i motivi più disparati fino a 10 - 12 volte al giorno. Il suo vero obiettivo, però, sarebbe stato la ragazza. Koukakis le avrebbe chiesto di recarsi nel suo studio di domenica, raccontando poi al padre che la figlia (sposata) aveva un rapporto piuttosto disinibito con gli uomini. E pare che durante i colloqui in carcere, lo psicologo gli avrebbe anche fatto spostare nel reparto di isolamento. “Tuo padre lo faccio marcire in carcere - avrebbe detto alla figlia - tutto dipende da me”. Questo il quadro probatorio emerso dalle indagini svolte simultaneamente dagli agenti di polizia penitenziaria e dai carabinieri della locale stazione. Pare inoltre che lo psicologo sia già indagato per una vicenda simile a questa dalla Procura di Bari. Lo assistono gli avvocati Francesca Conte e Giovanni Zecca. Catanzaro: detenuto aggredì un agente, assolto perché incapace di intendere e volere Ansa, 27 gennaio 2011 È stato processato per aver aggredito una guardia all’interno del carcere di Siano a Catanzaro, dove era detenuto, ma ieri Riami Camel è stato assolto dalle accuse, perché ritenuto incapace di intendere e volere. I fatti risalgono al primo settembre del 2008 quando un agente di polizia penitenziaria entrò nella cella dove Camel era detenuto e, secondo le accuse, senza alcun apparente logico motivo fu assalito dal detenuto. Le condizioni psichiche dell’imputato erano da subito sembrate critiche, tant’è che ben presto fu trasferito dal carcere di Siano all’istituto psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Ma a sgomberare il campo da ogni dubbio è intervenuta poi anche una perizia medica in cui si attesta l’incapacità di Camel il quale, tra le altre allarmanti circostanze rilevate dal medico, “insiste a voler parlare con il diavolo”. Di qui l’assoluzione sentenziata oggi dal tribunale monocratico di Catanzaro, come richiesto dall’avvocato Domenico Pasceri. Cagliari: conferenza stampa di presentazione dell’assemblea “Sorvegliare è punire” La Nuova Sardegna, 27 gennaio 2011 Si è tenuta ieri mattina presso il Cagliari Social Forum la conferenza stampa di presentazione dell’assemblea “Sorvegliare è punire”. “Sarà un momento di confronto aperto a tutti i cittadini - spiega Roberto Loddo, Associazione 5 novembre - nel quale si analizzeranno le diverse situazioni in cui ancora oggi è applicata la politica repressiva che si serve anche della violenza fisica e psicologica per frenare chi dissente e criminalizza chi manifesta liberamente il proprio dissenso”. L’assemblea, organizzata da Cagliari Social Forum, Associazione 5 novembre, Collettivo Anticapitalista sardo e Rete Antirazzista, si terrà venerdì alle 18 presso la sede del Cagliari Social Forum, in via Lanusei. Introduce il dibattito Dina Raggio, rappresentante del Cagliari Social Forum, con la partecipazione di Elias Vacca, avvocato. Coordina i lavori Roberto Loddo. “Tra gli episodi di repressione del nostro tempo aggiunge Loddo - non possiamo non citare i pastori sardi che, una volta sbarcati a Civitavecchia, sono stati caricati dalle forze dell’ordine. Pensiamo all’abuso della cancerizzazione e alla mancanza di territorialità della pena. Grazie alla legge Fini - Giovanardi sono oltre 10mila i detenuti tossicodipendenti in carcere”. All’assemblea aderiscono anche le associazioni Sardegna Palestina, Amsicora, Auser, Asap e la Federazione della Sinistra. Dubai: interrogazione parlamentare su italiano arrestato per possesso di farmaci antidepressivi Ansa, 27 gennaio 2011 Sull’arresto di un cittadino italiano avvenuto a dicembre negli Emirati Arabi uniti il parlamentare Pierfelice Zazzera (Idv) ha reso noto di aver depositato un’interrogazione parlamentare. “La questione dell’arresto di quest’uomo - spiega Zazzera - è piuttosto anomala, e non deve passare inosservata. Si tratta di un poliziotto di origine pugliese, che dopo un periodo di vacanza trascorso a Dubai, è stato fermato all’aeroporto arabo perché nella sua valigia sono stati trovati alcuni farmaci usati per alleviare fenomeni depressivi”. “Per le leggi degli Emirati Arabi - prosegue il parlamentare - il possesso di tali medicinali costituisce reato, punibile da quattro anni fino all’ergastolo. Non voglio poi nemmeno considerare l’ipotesi della pena di morte. Con l’accusa di possesso di sostanze stupefacenti, è stato tradotto in carcere ove ancora è costretto”. “Ci sono poche informazioni sulla vicenda, e risulta difficile persino sapere il nome della persona detenuta da parte della Farnesina. Gli ambasciatori italiani a Dubai hanno fatto sapere che l’uomo per ora è in buone condizioni fisiche, ma la sua situazione giudiziaria - continua Zazzera - non è chiara e i familiari si trovano in un profondo stato d’angoscia. “Per questo - conclude Zazzera - ho chiesto al Ministro Frattini di adoperarsi per il rimpatrio, anche al fine di garantire al nostro connazionale un eventuale processo davanti alla giustizia italiana.” Iran: pena di morte per chi ha più di 30 grammi di droghe; solo oggi impiccate 10 persone Adnkronos, 27 gennaio 2011 Sette trafficanti di droga sono stati impiccati nel carcere iraniano di Karaj, vicino alla capitale Teheran. Lo ha riferito la tv di Stato Irib, rivelando solo le iniziali dei condannati. Sono così 10 le sentenze capitali eseguite oggi nella Repubblica Islamica. Secondo l’agenzia d’informazione Irna, infatti, stamani sono stati impiccati altre tre narcotrafficanti nel carcere di Orumieh, nel nordovest del paese. Nelle ultime settimane si sono intensificate le impiccagioni nella Repubblica Islamica. Ciò è dovuto in particolare a un inasprimento della pena per i reati legati allo spaccio di droga. La nuova direttiva prevede la condanna a morte per il traffico di stupefacenti, anche sintetici, superiore ai 30 grammi. Lo scorso 24 gennaio sei persone sono state impiccate in Iran. A salire sul patibolo sono stati un omicida, tre stupratori e due attivisti appartenenti ai “Mujahedin del Popolo”, formazione politica di opposizione. I due attivisti sono stati accusati di avere attentato alla sicurezza nazionale, partecipando alle proteste scoppiate all’indomani delle elezioni presidenziali del giugno 2009. Dall’inizio dell’anno in Iran sono già state eseguite oltre 60 condanne a morte. Tunisia: 700 arresti in disordini ultime settimane; accuse di sabotaggio, aggressione e saccheggio Ansa, 27 gennaio 2011 Sono 698 le persone arrestate nei disordini avvenuti durante le manifestazioni precedenti e successive alla caduta del deposto presidente tunisino, Zine El Abidine Ben Ali: lo ha annunciato il ministro della Giustizia di Tunisi, Lazhar Karoui Chabbi. Dei fermati 133 si trovano attualmente in libertà provvisoria, mentre altri 31 sono stati scagionati dalle inchieste della magistratura; le ipotesi di reato riguardano “sabotaggio, aggressione e saccheggio”. Quanto all’applicazione della legge di amnistia, il Ministero sta valutando la scarcerazione dei detenuti di età superiore ai sessant’anni condannati per crimini non gravi, così come quelli di età compresa fra i diciotto e i vent’anni che rispettino il medesimo criterio. Cuba: arrestato il dissidente Guillermo Farinas, insignito a ottobre scorso del Premio Sakharov Agi, 27 gennaio 2011 Il dissidente cubano Guillermo Farinas è stato arrestato a Santa Clara, 240 chilometri dall’Avana. Lo ha riferito la madre, Alicia Hernandez. Farinas, che a ottobre scorso fu insignito del premio Sakharov, è finito in carcere con altri 15 oppositori del regime dei fratelli Castro. Psicologo, giornalista indipendente, Farinas mise in atto lo scorso anno uno sciopero della fame durato 135 giorni, raccogliendo il testimone da Orlando Zapata, morto dopo un lunghissimo digiuno di protesta contro l’assenza di libertà di espressione nell’isola. L’arresto di Farinas appare in forte controtendenza con le ultime mosse del regime, che in virtù di un accordo con le gerarchie ecclesiastiche locali, aveva deciso e parzialmente attuato il rilascio di una 52 prigionieri politici.