Giustizia: detenuto di 66 anni suicida nel “Reparto Internati” del carcere di Sulmona Ristretti Orizzonti, 20 gennaio 2011 Un detenuto egiziano di 66 anni, Mahmoud Tawfic, proveniente dalla libertà vigilata e tornato in carcere da due mesi, si è suicidato impiccandosi ieri sera nel carcere di Sulmona. Da inizio anno è il terzo suicidio in carcere, mentre altri 4 detenuti sono morti per “cause naturali”. Negli ultimi dieci anni nel carcere sulmonese sono morti 15 detenuti: quello di ieri sera è il 12° suicidio in quel lasso di tempo; l’anno scorso furono tre i detenuti a togliersi la vita nello stesso istituto penitenziario. Un nuovo suicidio nel cosiddetto “Reparto Internati” del carcere di Sulmona. Formalmente si tratta di una “Casa di Lavoro”, pensata per agevolare il recupero di quei condannati che, pur avendo terminato di scontare la pena, non vengono rimessi in libertà in quanto ritenuti “socialmente pericolosi”. In realtà è un luogo di disperazione, dove gli “internati” restano rinchiusi per mesi ed anni senza processo e senza “fine pena” certo. Sono 200 le persone che popolano questo Reparto, sovraffollato oltre ogni limite. Lo scorso anno tre internati si sono uccisi: Antonio Tammaro, di 28 anni, il 7 gennaio; Romano Iaria, di 54 anni, il 3 aprile; Raffaele Panariello, di 31 anni, il 24 agosto. Un quarto, Domenico Cardarelli, di 39 anni, è morto per cause “naturali” l’8 aprile 2010. In altre 14 situazioni (solo lo scorso anno) i detenuti hanno provato a uccidersi, ma sono stati salvati grazie al provvidenziale intervento degli agenti di polizia penitenziaria. La Casa di Lavoro di Sulmona avrebbe una capienza di 75 posti: invece in celle di nove metri quadrati, concepite per un massimo di due persone, oggi sono in 4 - 5, con brande a castello e nessuno spazio per muoversi. È l’unica struttura del genere considerata di “massima sicurezza”, rimasta in funzione insieme a quella di Saliceta San Giuliano di Modena. Gli altri due istituti, a Castelfranco Emilia e Favignana, hanno smesso di svolgere la loro funzione di “recupero sociale”. Così in due anni Sulmona ha visto quadruplicare il numero degli ospiti internati, saliti da 50 a 200. Un carcere difficile quello di Sulmona, anche se in questi ultimi tempi il direttore Romice sta lottando duramente per migliorare le condizioni sia dei detenuti sia degli operatori che lavorano nella struttura. Nel recente passato ci sono stati anche suicidi “eccellenti”, come quelli del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, o della direttrice Armida Miserere. Mauro Nardella, Vicesegretario della Uil-Pa Penitenziari Abruzzo, riconosce l’impegno straordinario della direzione, ma lamenta una insufficienza di risorse economiche e di personale (sotto organico di almeno 60 unità), che può essere risolta solo a livello politico, cominciando col modificare le norme che oggi consentono l’internamento (senza processo e, quindi, senza reati accertati) degli ex detenuti, in base a una prognosi di “pericolosità sociale”. E sul versante politico una prima risposta arriva da Rita Bernardini, Deputato Radicale membro della Commissione Giustizia della Camera, che nel prossimo fine settimana tornerà a visitare il carcere di Sulmona, per verificarne le condizioni incontrando gli operatori penitenziari e i detenuti. La cronaca del suicidio Ancora un suicidio nel carcere di Sulmona. Un detenuto egiziano di 66 anni si è ucciso impiccandosi nella sua cella, nel reparto internati del penitenziario peligno. Il detenuto era affetto da tempo da una forte depressione che aveva minato il suo equilibrio psichico. Furti, rapine ed estorsioni che l’avevano costretto trascorrere molti anni dietro le sbarre. Ad agosto aveva ottenuto la libertà dopo aver finito di scontare la sua pena. Ma la lunga detenzione gli aveva procurato forti contraccolpi a livello psichico. Uscito dal carcere, ha cercato di rifarsi una vita trasferendosi a Roma ma nella capitale si sarebbe macchiato di nuovi reati tanto che lo scorso mese di dicembre è tornato nel carcere di Sulmona, questa volta da internato. Proprio in seguito al comportamento assunto una volta uscito dal carcere, il giudice lo ha ritenuto socialmente pericoloso, condannandolo all’ulteriore pena della Casa di Lavoro. Erano quasi le 20 di ieri quando gli altri internati hanno lanciato l’allarme richiamando l’attenzione degli agenti di polizia penitenziaria in servizio in quel momento. A nulla sono valsi i tentativi di rianimarlo, tanto che il medico del carcere intervenuto anche lui in soccorso dell’egiziano, non ha potuto far altro che constatarne il decesso. Sul posto sono accorsi anche gli agenti della scientifica del commissariato di via Sallustio per effettuare i rilievi del caso. Sembrerebbe che il detenuto sia impiccato alla grata della cella utilizzando un pezzo di lenzuola. Sull’episodio sono state avviate due inchieste: la prima interna ordinata dal direttore del carcere Sergio Romice e l’altra avviata dal procuratore Federico De Siervo, il quale ha già fissato per oggi l’autopsia per accertare in maniera definitiva le cause che hanno portato alla morte del detenuto egiziano. Domani l’autopsia È stato fissato per domani pomeriggio l’esame autoptico sul corpo di Mahmoud Tawfic, il detenuto egiziano di 66 anni che si è suicidato nella tarda serata di ieri nella sua cella del reparto internati del carcere di Sulmona. Lo ha deciso il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sulmona, Federico De Siervo, che ha affidato l’esame all’anatomopatologo, Ildo Polidori. Al medico legale è stato chiesto di accertare le cause che hanno portato al decesso del detenuto. Secondo il primo sopralluogo effettuato dalla polizia scientifica del commissariato di Sulmona, nella immediatezza del fatto, Mahmoud Tawfic, che era affetto da problemi psichici, si sarebbe impiccato alla grata della sua cella utilizzando un lembo del lenzuolo. Il detenuto stava scontando un periodo di casa di lavoro che gli era stato assegnato dal giudice di Sorveglianza nel mese di dicembre perché ritenuto socialmente pericoloso. Il detenuto era uscito dal carcere nel giugno del 2010 dopo aver scontato una lunga pena, trascorsa proprio nel carcere di Sulmona. Giustizia: Petrilli (Pd); la vita nelle carceri italiane è durissima, Sulmona cimitero per vivi Ansa, 20 gennaio 2011 “Ieri sera, un detenuto egiziano ristretto nel carcere di Sulmona si è suicidato. L’ennesimo suicidio in quel luogo invivibile che è il carcere di Sulmona”. Lo dice Giulio Petrilli, responsabile provinciale del Pd per il dipartimento diritti e garanzie. “La vita nelle carceri italiane è durissima - aggiunge - con un sovraffollamento molto alto, quasi il doppio della capienza consentita, ma nel carcere di Sulmona diventa infernale, poi la sezione internati è veramente impressionante. Non ci sono parole per poterla descrivere, detenuti accalcati dentro celle anguste molto spesso a scontare non un reato, ma una presunta pericolosità sociale. Dovrebbero lavorare, ma non c’è lavoro e per i pochi che hanno questa fortuna ci sono stipendi mensili che variano dai trenta ai settanta euro. L’assistenza sanitaria è praticamente nulla. A fronte di quattrocento detenuti, metà dei quali con patologie psichiche, c’è un solo psichiatra part time. Dentro quel carcere - osserva Petrilli - il tempo non scorre mai, tanto che tutti gli orologi delle sezioni sono fermi, perché il detenuto deve capire che lì è un cimitero per vivi. Il 30 settembre scorso scrissi al Ministro della Giustizia On. Alfano, affinché venisse a verificare di persona la vita nel carcere di Sulmona. Non ho avuto nessuna risposta e nessuna visita del Ministro è avvenuta”. Giustizia: Uil-Pa; Alfano racconta in Parlamento di un sistema penitenziario che non c’è Il Velino, 20 gennaio 2011 “Mentre il ministro Alfano, come Alice nel Paese delle meraviglie, è impegnato a raccontare in Parlamento di un sistema penitenziario che non c’è, nelle nostre prigioni e nella realtà quotidiana del penitenziario si continua a morire. A Sulmona, ieri sera un detenuto si è tolto la vita impiccandosi. Salgono così a tre i suicidi di questo 2011, con la media di uno ogni sei giorni. Forse a questo si riferiva Alfano quando parlava dei record conseguiti in materia penitenziaria dal Parlamento, visto che di assunzioni non se ne intravedono e i progetti restano tali”. Questo il commento del segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, nel comunicare il suicidio di un egiziano detenuto nella casa di reclusione di Sulmona. “Da tempo, inascoltati, abbiamo posto il problema dell’inadeguatezza strutturale della sezione internati a Sulmona. Per questa tipologia di reclusi occorrono ambienti ben diversi. Purtroppo al Dap, evidentemente, sono distratti dalla fregola edificatrice per interessarsi di cose reali. Eppure i due suicidi dello scorso anno, i 14 tentati suicidi e le aggressioni a danno del personale avrebbero dovuto costituire un importante campanello d’allarme”. La Uil Pa Penitenziari sottolinea le gravi carenze organiche e, soprattutto, gli scarsi finanziamenti. “Il governo - prosegue Sarno - ha inteso ribadire lo stato di emergenza per le carceri. Ci pare un atto di assoluta ipocrisia. A cosa serve dichiarare lo stato di emergenza, quando non solo si depauperano gli organici dei poliziotti penitenziari per inviarli a fare servizio nelle comode poltrone dei palazzi romani, ma non si dà corso alle assunzioni promesse ed annunciate? A cosa serve dichiarare lo stato di emergenza, quando si operano tagli lineari del 30 per cento? I fondi stanziati dal governo portano a poco più di tre euro la somma per garantire il vitto quotidiano ai detenuti (colazione, pranzo e cena). Garantiscono circa il 50 per cento del necessario per il pagamento dei canoni di acqua, luce, gas, elettricità, ecc. Il personale non potrà vedersi remunerate le indennità di missione perché sono stati stanziati solo nove milioni, a fronte dei 26 necessari. Ciò significherà, a breve, il blocco dei processi, perché è impensabile che si potranno continuare a tradurre i detenuti con i soldi anticipati dai poliziotti. Alfano, dunque, avverta il bisogno di un confronto con le rappresentanze dei lavoratori e provi a raccontare a noi, che ben conosciamo le realtà, le favole che racconta in Parlamento. Sarebbe il caso che il governo nella sua interezza si facesse carico del dramma penitenziario e riveda gli stanziamenti complessivi per il Dap, in modo da garantire almeno l’ordinaria amministrazione”. Giustizia: Marroni; tagli a budget spesa renderanno condizioni di vita ancora più critiche Agenparl, 20 gennaio 2011 “Sono passate sono tre settimane dall’inizio del 2011 e la tragica contabilità delle morti in carcere è già arrivata a tre suicidi e quattro morti per cause naturali. Numeri fatalmente destinati a crescere se non si deciderà di affrontare seriamente l’emergenza carceri nel nostro Paese”. Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - vice presidente della Conferenza nazionale dei garanti - commentando il suicidio, nel carcere di Sulmona, di un detenuto 66enne di origine egiziana. “Abbiamo appreso dalle cronache che quest’uomo era affetto da una forte depressione - ha aggiunto Marroni. Forse non sapremo mai se è stata questa la causa che ha condotto quest’uomo a pensare di non avere più alternative alla morte. Quello che è, invece, certo è che le i tagli annunciati ai budget di spesa dei provveditorati regionali renderanno ancor più critiche le condizioni di vita all’interno delle carceri soprattutto a causa del sovraffollamento insostenibile. E, in questo quadro, la situazione di perenne emergenza fa sì che i più deboli dentro il carcere vedono nella fine traumatica della loro vita la soluzione di ogni problema”. Giustizia: Sappe; 67.976 detenuti, domani due appuntamenti sulle criticità del sistema Adnkronos, 20 gennaio 2011 Seppure si registra una leggera flessione, resta molto alto il numero dei detenuti in Italia. Nelle oltre 200 carceri italiane il 18 gennaio 2011 le persone detenute erano 67.976: 42.997 gli italiani e 24.979 gli stranieri, 28.927 gli imputati e 37.219 i condannati, 1.745, infine, gli internati. Leggera la flessione rispetto al 30 novembre 2010, quando i detenuti erano 69.155. Proprio il sovraffollamento carcerario e le criticità del sistema sono al centro di due importanti appuntamenti che si svolgeranno da domani 21 gennaio 2011 a Milano. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa Organizzazione del Personale di Polizia Penitenziaria con il 31% di rappresentatività nazionale che quest’anno celebra i vent’anni dalla fondazione, svolgerà infatti nel capoluogo lombardo (presso la Sala Colucci della Confcommercio, in Corso Venezia 49) il pomeriggio di domani, il Convegno nazionale “Professione Poliziotto Penitenziario. Il trattamento è sicurezza” e, il giorno seguente, il V Congresso nazionale del Sappe. “Il Convegno sarà preceduto - spiega Donato Capece, segretario generale Sappe - dalla consegna del Premio Basco Azzurro del Sappe honoris causa alla trasmissione tv Striscia la Notizia, che come recita la motivazione, si è distinto per servizi di forte impegno morale, sociale ed educativo e per il sostegno alla giustizia e al rispetto della legalità, occupandosi delle criticità del carcere e del Corpo di Polizia Penitenziaria, andando ad assolvere il difficile compito di informare con obiettività e imparzialità l’opinione pubblica su sprechi e abusi e diventando esso stesso promotore di cultura della legalità. E a ritirare il premio verrà uno degli inviati di punta della trasmissione, Valerio Staffelli”. Interverranno il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, i Sottosegretari di Stato Carlo Giovanardi e Giacomo Caliendo, il presidente dei senatori dei Pdl Maurizio Gasparri. Saranno presenti anche il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà ed il vice sindaco di Milano De Corato. Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, che in quei giorni sarà all’estero per impegni istituzionali, interverrà con un videomessaggio mentre ai Dirigenti Generali del Dap Mariotti Culla (a capo dell’Esecuzione penale Esterna), Ardita (Detenuti e trattamento), Turrini Vita (Personale e Formazione), a don Virginio Colmegna (presidente della Casa della Carità di Milano), Enrico Sbriglia (presidente del Sidipe) ed al provveditore penitenziario dell’Emilia Romagna Nello Cesari è riservato un intervento di natura più tecnica tecnico sulla materia. Giustizia: Sappe; a che servono le nuove strutture penitenziarie senza agenti? Redattore Sociale, 20 gennaio 2011 Parla il segretario del sindacato: “Da una parte serve un carcere invisibile sul territorio, per chi commette reati lievi, dall’altro un sistema penitenziario serio per chi commette reati gravi”. Domani convegno a Milano “Chiediamo alla politica un provvedimento bipartisan per disegnare un sistema sanzionatorio diverso, con una maggiore attenzione alle misure alternative. Non vediamo di buon occhio la costruzione di nuove carceri. A che servono nuove strutture se non ci sono agenti per gestirli?”, dice Donato Capece, segretario del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), che anticipa alcuni dei contenuti del convegno “Professione poliziotto penitenziario. Il trattamento è sicurezza” promosso in occasione del ventennale della fondazione del Sappe in programma domani a Milano. I “baschi blu” chiedono alla politica un carcere nuovo: “Da una parte un carcere invisibile sul territorio, dove collocare chi commette reati lievi - spiega Capece. Dall’altro un sistema penitenziario serio per chi commette reati gravi e che provocano allarme sociale”. Altra richiesta, un maggiore investimento per la vigilanza dinamica, ovvero telecamere e altri dispositivi tecnologici che permettano di impiegare meno uomini nel controllo dei detenuti. È il caso, ad esempio, dei braccialetti elettronici attraverso i quali “è possibile assicurare un controllo serio - precisa Capece. Un provvedimento che permetterebbe di ridurre il sovraffollamento nelle carceri”. Al 18 gennaio 2011, infatti, erano presenti nelle strutture penitenziarie italiane 67.976 persone, a fronte di una capienza di poco superiore ai 43mila posti letto. “Occorre dare una svolta il più presto possibile. Mettendo in atto misure concrete. Il carcere non può essere una pattumiera in cui si butta tutto quello che la società vuole allontanare - commenta Donato Capece. Bisogna invece lavorare per il recupero dei detenuti, soprattutto di quanti finiscono in carcere per reati lievi”. Il convegno, in programma venerdì 21 gennaio alle ore 15, si svolgerà a Milano presso la Sala Colucci della Confcommercio (corso Venezia, 49), mentre sabato e domenica si svolgerà il quinto congresso nazionale del Sappe. Giustizia: la carcerazione preventiva come arma di lotta sociale di Renato Farina Tempi, 20 gennaio 2011 Fare il nome e il cognome oppure no? Parlo di persone, innocenti per diritto costituzionale e buonsenso, finite in carcere di recente, accusate di reati connessi ai loro incarichi politici. Taccio, ho deciso di tacere i dati anagrafici. Perché c’è sempre qualcuno che, letto di un tale che nemmeno sapeva esistesse, si fissa in testa che - anche dopo eventuale assoluzione - se la magistratura si è occupata di Pinco, “qualcosa avrà fatto, da noi non si arresta la gente così, per niente” (Aleksandr Solzenicyn, Reparto Cancro). C’è anche altro che induce in me prudenza: i familiari sono convinti che i magistrati appartengano a una razza super-umana per di più dotata di strabiliante attitudine vendicativa; dunque se uno protesta per l’ingiustizia subita da Tizio, poi le toghe medesime se la legano al dito, e Tizio è spacciato. Specialmente se chi alza il velo sulla nequizia è un deputato, e non è di sinistra. Non sono d’accordo, ma mi adeguo. Non riferisco nomi, luoghi, e così via. Ma circostanze, quelle le devo spiattellare, e annuncio che ho pronte interrogazioni e interpellanze parlamentari, essendo il Diavolo della Tasmania temporaneamente in servizio a Montecitorio e piuttosto propenso ad attirarsi i fulmini di (alcuni) pm e affini. Annuncio subito le mie conclusioni morali e pratiche: chi si fa agnello il lupo lo mangia. Io resto convinto che il 99 per cento dei pm e dei gip siano eccellenti persone, che sbagliano come ognuno di noi. Se tolgono la libertà ingiustamente, e glielo si dimostra, cambiano idea. Se sono disonesti, non si trasformano in angeli di delicatezza lisciandogli la toga; anzi, acquistano certezza del loro strapotere e di una sorta di infallibilità che ne deriva. Caso A). Viene arrestato in dicembre un signore stimato da tutti. Presiede un ente intercomunale di bonifica. Le accuse sono molteplici, la più grave scuote l’opinione pubblica. Per tre anni avrebbe lucrato facendo versare fanghi inquinanti su terre coltivate. Giusto orrore. Emerge: 1) la perizia che avrebbe acclarato questo spaventoso avvelenamento è del 2008. Per circa tre anni i magistrati e i carabinieri hanno lasciato inquinare senza far nulla. Il gip ci mette tre mesi a ordinare l’arresto, mentre si continua a inquinare. Perché? Assurdo per un reato di tale pericolosità. Dopo lo spavento di migliaia di persone, la controanalisi svela che non c’era “pericolosità”, ma solo qualche irregolarità. La gente non è informata di questo. Ci penso io con alcune interviste, per ridare dignità a una persona nel frattempo ancora detenuta (io giro le carceri, ovunque in Italia). Mi risponde un consigliere regionale del Pd, circa così: vergogna, bisogna rispettare la magistratura. Rispondo: ma anche la logica. Ed è triste sapere che il procuratore del posto, sotto la cui vigilanza è partita l’indagine, è stato deputato del Pd e, in pensione, si appresta a candidarsi con Di Pietro. Caso B). Sindaco di piccolo paese. Tre mesi e più di carcere preventivo. Le indagini sono chiuse. Avrebbe turbato un’asta da 30 mila euro. C’è il processo per rito immediato. Nonostante questo, avendo rifiutato il patteggiamento, viene tenuto ancora in carcere. Posso permettermi? Pazzesco. Il fatto è che nessuno ha il coraggio di urlare, perché nei dintorni ci sono stati arresti per ‘ndrangheta e il magistrato è potentissimo. Mica che si arrabbi. Bè, non va bene. Non deve andare così. In Italia c’è una ripresa della mentalità del 1992 - 1993. La magistratura si sente investita di un sacro compito, per la giustizia si provoca ingiustizia più grave, in un circuito tremendo. Giustizia: troppo pochi i fondi per il lavoro in carcere di Antonio Maria Mira Avvenire, 20 gennaio 2011 Così mentre aumentano i detenuti, diminuisce la percentuale di quelli che svolgono un occupazione e scendono anche le ore lavorate pro capite. E questo incide “negativamente sulla qualità della vita” nelle prigioni. A denunciare questo preoccupante peggioramento è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta nella relazione sul lavoro in carcere inviata da pochi giorni al Parlamento. Ionta scrive di un “budget largamente insufficiente assegnato per la remunerazione dei detenuti lavoranti”. E questo ha anche altre conseguenze. Perché, prosegue la relazione, questa situazione “ha condizionato in modo particolare le attività lavorative necessarie per la gestione quotidiana dell’istituto penitenziario (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato, ecc.) incidendo negativamente sulla qualità della vita all’interno dei penitenziari”. Insomma meno soldi, meno lavoro e vita peggiore. I dati resi noti dal Dap sono chiarissimi. Nel 2010 i detenuti lavoranti sono stati 14.116 contro i 13.408 del 2009. Apparentemente “un leggero incremento”, si legge ancora, ma in realtà, denuncia la relazione, un calo percentuale perché si passa dal 21,7% dei detenuti presenti al 20,68%. Il motivo? “A fronte di un consistente aumento della popolazione detenuta non è stato possibile, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, rispondere con uguale aumento, in termini percentuali, del numero di detenuti lavoranti”. E questo proprio a causa del “budget largamente insufficiente”. Infatti, come si può leggere nella tabella allegata alla relazione. Si è passati dai 71.400.000 euro del 2006 quando i detenuti erano “appena” 51.748, ai circa 62 milioni del 2007 per 44.587 detenuti (ma è l’anno dell’indulto), e poi ai quasi 61 milioni del 2008 per 54.789 detenuti. Nel 2009 lo stanziamento scende a picco fino a circa 48.200.000 euro mentre i detenuti salgono a 64.791. Nel 2010 i carcerati continuano a crescere arrivando a 68.345 e, apparentemente, sale anche il budget per il lavoro, che arriva a 54.215.128. Ma, avverte il Dap, “si è dovuto procedere a liquidare i rimborsi dovuti all’Inail per 856.103 euro per gli infortuni sul lavoro verificatisi negli anni 2003 - 2004, all’Inps per 1.355.015 euro e all’Agenzia delle entrate 2.038.689 euro, limitando di fatto la disponibilità economica in favore degli Istituti penitenziari, per il pagamento delle mercedi, a 49.965.319 euro”. Ecco, dunque, perché è calata la percentuale dei lavoranti. Per ovviare a questa situazione e “mantenere un sufficiente livello occupazionale tra la popolazione detenuta” le direzioni degli istituti “hanno ridotto l’orario di lavoro pro capite ed effettuano la turnazione sulle posizioni lavorative”. In altre parole per far lavorare più detenuti li si impiega per meno ore. In modo da poter garantire a più persone la possibilità di guadagnare qualcosa. Va un po’ meglio per i lavoro alle dipendenze di ditte e cooperative esterne al carcere. Infatti il numero di detenuti impegnati in queste attività, dentro e fuori dagli istituti, è passato da 1.798 del 2009 a 2.058 del 2010. Vengono segnali, in particolare, le esperienze di Padova, Milano Bollate, Torino, Monza e Massa. E quella innovativa di Napoli Secondigliano dove è stato realizzato un impianto per il trattamento dei rifiuti soldi. Attività che verrà presto estesa a Roma Rebibbia e poi in penitenziari di Toscana, Marche e Abruzzo. Insomma, sottolinea il Dap, “si rileva un certo interesse nei confronti della manodopera “detenuta”, anche se - avverte - molto resta ancora da fare per rendere più significativa la presenza del mondo imprenditoriale all’interno del carcere”. Giustizia: Rovasio (Certi diritti); trans in carcere, tra isolamento e sezioni affollate di Andrea Tornese www.dirittodicritica.com, 20 gennaio 2011 Sabato 15 gennaio una delegazione dei Radicali, composta da Rita Bernardini, deputata radicale del Pd e Presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti, Giuseppe Rossodivita, Consigliere Regionale radicale del Lazio, Leila Deianis, Presidente dell’Associazione Libellula e Sergio Rovasio, Segretario di Certi Diritti, hanno visitato il carcere romano di Rebibbia. Accompagnati dal direttore dell’istituto penitenziario Carmelo Cantone hanno voluto in particolare constatare la vivibilità per i detenuti e le detenute transessuali visitando il reparto a loro riservato dove attualmente rinchiuse 25 persone, quasi tutte straniere. In tutta Italia le persone transessuali detenute sono 168 distribuite in 17 carceri italiane, che i radicali si sono impegnati a visitare tutte nei prossimi mesi. La maggior di queste detenute e detenuti si trovano nei penitenziari di Napoli, Roma, Firenze e Belluno e spesso vivono in condizioni di forte disagio. Quasi tutte sono persone extra - comunitarie e molte si trovano in regime detentivo per violazione della legge sull’immigrazione. Rovasio, l’attenzione dei radicali non si distoglie mai dalla situazione delle carceri e dei diritti dei detenuti. Caso sicuramente particolare è quello dei detenuti e delle detenute transessuali. Oltre i dati allarmanti qual è stata l’impressione della delegazione radicale e della rappresentante della comunità transessuale presente con voi? Nel reparto protetto delle persone transessuali del carcere di Rebibbia si vivono le stesse pessime condizioni che vivono tutti gli altri detenuti, alle quali si aggiungono però le maggiori difficoltà che vivono più in generale le persone transessuali. I problemi più gravi sono il sovraffollamento e le condizioni umane, senza dubbio inadeguate alle loro esigenze. La mancanza di un’attività lavorativa, poi, non fa che peggiorare ulteriormente la situazione. Su 25 persone detenute nel reparto, soltanto due hanno la possibilità di lavorare. Inoltre ci sono problemi seri sulle visite mediche specialistiche: troppo poche e non adeguate, anche nella tempistica, alle richieste. È di un anno fa, del 27 gennaio 2010, la notizia dell’apertura di un carcere a Empoli per persone transessuali. Avete notizie del suo funzionamento? Quello di una struttura dedicata è l’unica strada percorribile per assicurare una detenzione che comunque non violi i diritti di queste persone? Con Leila Deianis, presidente dell’Associazione Libellula e Rita Bernardini, deputata e Presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti, abbiamo parlato di questo carcere mai aperto, ma del quale è rimasto in piedi progetto. Vi sono pareri discordanti. Il principale riguarda il fatto che la ghettizzazione in un ambiente chiuso non è certo la migliore soluzione per le persone transessuali. L’unico aspetto positivo potrebbe essere la specializzazione riguardo il trattamento medico e sociale, ma questo si può ottenere in un qualsiasi reparto detentivo delle carceri italiane. Occorre piuttosto aprirsi di più alle associazioni di volontariato e aiuto, promuovendo attività ricreative e culturali, anche esterne, quasi del tutto assenti oggi. Nel lunghissimo elenco tenuto dai Radicali, che incidenza hanno i casi di suicidi di persone transessuali? Purtroppo la percentuale di suicidi o tentativi di suicidio, includendo anche i Centri di Identificazione ed Espulsione, è molto alta tra le persone transessuali. Abbiamo segnalazioni di vicende umane drammatiche, determinate anche dal fatto che spesso le transessuali vittime della tratta delle prostituzione, fenomeno purtroppo molto diffuso e non conosciuto, si ritrovano incarcerate o detenute nei Cie con gli aguzzini e sfruttatori/sfruttatrici, senza che le autorità facciano nulla per scongiurare il rischio di violenze e soprusi e le gravi conseguenze. Questo determina disperazione e solitudine inimmaginabili. L’attuale legislazione quale trattamento prevede per i detenuti e le detenute transessuali? In questo tipo di battaglia, qual è l’obiettivo dell’associazione Certi Diritti? Le persone transessuali sono detenute in aree considerate protette. In realtà si tratta di reparti come tutti gli altri con l’unica caratteristica che loro non entrano in contatto, ad esempio durante l’ora d’aria, con il resto della popolazione detenuta. Ciò è dovuto a ragioni di sicurezza, per evitare atti violenti causati dal pregiudizio e dall’ignoranza. Il nostro obiettivo è quello di verificare le condizioni di detenzione di questa parte della popolazione carceraria, che necessita di aiuto e sostegno maggiori a causa di una grave emarginazione. Ciò che per loro è già difficile all’esterno del carcere diventa ancora più difficile e drammatico al suo interno. Spesso si verificano conflitti anche tra di loro e questo complica ulteriormente la situazione. In passato ci sono stati segnalati casi di violenze e soprusi da parte del personale carcerario, per fortuna si tratta di casi isolatissimi che non sembrano più ripetersi. Più in generale, pensando comunque alla comunità transessuale, quali sono quei “certi diritti” per i quali si batte la vostra associazione. Noi cerchiamo di lottare contro questo sistema ipocrita e sessuofobico che criminalizza, mette all’indice e considera peccaminoso tutto ciò che non è conforme ai principi del moralismo bigotto della peggior cultura clerico - fascista. Le persone transessuali sono tra le prime vittime di questi pregiudizi, ed è anche per questo che siamo impegnati nella promozione e nella difesa dei loro diritti. Visti i tempi che stiamo attraversando, con il trionfo della peggiore ipocrisia e falsità, è sempre più difficile riuscire a contrapporre un’idea di liberazione dai pregiudizi e dall’odio che provengono innanzitutto dalla nostra miserabile classe politica. Sempre più genuflessa ai voleri dei gerarchi vaticani che campano di privilegi e finanziamenti di ogni tipo. Piccola associazione, la vostra ha comunque ottenuto un importante successo attraverso la campagna “Affermazione civile”, attraverso la quale, insieme alla rete Lenford, siete riusciti a portare all’attenzione della Corte costituzionale il problema della parità dei diritti per le coppie di persone dello stesso sesso… Dopo che la Consulta si è espressa sul tema ben tre volte, abbiamo deciso di rilanciare la campagna di Affermazione Civile. Continueremo a cercare coppie lesbiche e gay disposte a presentarsi nei loro Comuni di residenza per chiedere le pubblicazioni per il matrimonio. L’obiettivo è quello di incardinare continuamente iniziative legali quando il Comune oppone alle coppie il diniego al matrimonio. In stretto contatto con le associazioni di Spagna, Belgio, Portogallo, Olanda, Germania, stiamo cercando coppie lesbiche e gay italiane e/o miste, che si sono sposate all’estero, per sollecitarle a intraprendere iniziative legali in ambito europeo, ricorrendo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o alla Corte di Giustizia Europea. Il mancato riconoscimento di queste coppie da parte dell’Italia è una evidente violazione dei Trattati di Nizza e di Lisbona oltre che una violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Per questo andiamo avanti su questa strada. Prima o poi anche la nostra classe politica - retrograda, incurante del rispetto dei diritti civili e umani, che calpesta continuamente i valori democratici e costituzionali del nostro Paese - grazie a centinaia e centinaia di ricorsi si dovrà rendere conto che occorre muoversi, smettendola di sbandierare l’arma del fondamentalismo ideologico e religioso. Questi principi li applicassero per loro, se vogliono, ma è semplicemente folle volerli imporre a tutti, come se vivessimo in uno Stato teocratico. Giustizia: Serracchiani (Pd); Cesare Battisti è un delinquente comune, deve pagare 9Colonne, 20 gennaio 2011 “Battisti è un delinquente comune che deve andare in galera a pagare per i suoi crimini”. Lo ha dichiarato l’europarlamentare del Pd Debora Serracchiani, che oggi a Strasburgo ha partecipato alla conferenza stampa dei parenti delle vittime dell’ex terrorista. Secondo Serracchiani “la sua mancata estradizione è uno schiaffo al diritto e una beffa atroce ai familiari delle vittime, che dopo tanti anni ancora attendono giustizia. Per questo domani, per la seconda volta, il Parlamento europeo chiederà con un voto plebiscitario l’estradizione dal Brasile di Battisti, per il quale - ha sottolineato - non può esserci nessuna scusa, nessuna caricatura ideologica a giustificazione dell’impunità di cui sta godendo”. Riferendosi al figlio di Antonio Santoro, maresciallo capo della Polizia penitenziaria ucciso nel 1978 da Cesare Battisti a Udine davanti al carcere di Udine, Serracchiani ha affermato che “stringere la mano al mio concittadino Alessandro Santoro è stata una grande emozione e mi ha confermato la giustezza di ogni impegno volto a riportare Battisti in Italia. Questo è uno di quei casi in cui, per girare pagina, il prezzo della pena deve essere pagato”. Lettere: il trasferimento infinito di V.G. di Simona Filippi Terra, 20 gennaio 2011 Per la terza volta decidiamo di parlare del caso di V.G. e con lui di tutte quelle migliaia di detenuti che chiedono sia garantito il Principio di territorializzazione della pena da scontare. Per la terza volta decidiamo di parlare del caso di V.G. e con lui di tutte quelle migliaia di detenuti che chiedono sia garantito il Principio di territorializzazione della pena da scontare.Lo scorso mese di settembre avevamo appreso del trasferimento di V. in un carcere del nord Italia, vicino alla sorella. La notizia non ci aveva fatto cantare vittoria: l’Amministrazione penitenziaria aveva sì applicato la legge, ma il trasferimento era soltanto “provvisorio”. Con una carcerazione che va avanti da più di dieci anni, le decine di istanze di trasferimento presentate e sempre rigettate per le più svariate ragioni, le certificazioni dei medici penitenziari che attestano il bisogno di V. di stare vicino alla famiglia, il buon comportamento tenuto in quel carcere, l’accesso ai benefici oramai prossimo, ci sembrava conseguenziale che l’assegnazione in quel carcere potesse divenire definitiva. I più recenti fatti hanno confermato i nostri timori: nonostante le richieste di assegnazione definitiva al carcere, l’Amministrazione penitenziaria, questa volta tempestivamente, a pochi giorni dalle vacanze natalizie, ha disposto nuovamente il trasferimento di V. in un altro istituto lontano, e di molto, dal paese dove vive la sorella. Oggi siamo allo stesso punto di partenza con l’unica differenza che V. è ancora più provato, deve adattarsi ad un nuovo carcere e le sue condizioni psicologiche sono precipitate. Certamente non si sente sconfitto e ha fatto l’unica cosa che gli è permesso fare: presentare di nuovo istanza per tornare in un carcere vicino alla sorella. Lo abbiamo detto tante volte: il prolungato allontamento dai familiari è in contrasto con il Principio di territorializzazione della pena ma è anche causa di una detenzione inumana come questa che V. continua a subire e se l’amministrazione penitenziaria non riesce a garantire quanto previsto dalla legge lo chiederemo al Magistrato di Sorveglianza, per richiamarlo ad una delle sue funzioni originarie di garante dei diritti dei detenuti, e porteremo la richiesta di V. anche davanti ai Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo. Emilia Romagna: Errani avverte Alfano; per nuove carceri serve intesa con Regione Dire, 20 gennaio 2011 Che Angelino Alfano non pensi di fare da solo. Il presidente della Regione, Vasco Errani, ricorda al Guardasigilli che “per localizzare le nuove infrastrutture penitenziarie occorre una intesa tra Regione e ministero”. Questo il senso del messaggio inviato dal governatore dopo le comunicazioni di Alfano sulle nuove infrastrutture da realizzare in alcune carceri dell’Emilia - Romagna. Nella lettera inviata oggi Errani chiede un incontro al ministro. “Per localizzare le aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie all’interno degli istituti penitenziari di Bologna, Parma, Reggio Emilia e Ferrara occorre siglare una intesa istituzionale tra ministero e Regione”, ribadisce Errani. “Ai primi contatti avvenuti a luglio 2010, è seguita solo nei giorni scorsi una bozza di intesa. Per arrivare alla firma dell’accordo ritengo quindi necessario - conclude - un incontro formale fra ministero e Regione, per approfondire nel merito i contenuti, le procedure e i termini della reciproca collaborazione”. Puglia: Sappe; costruzione di nuove sezioni detentive è solo spreco denaro pubblico Ansa, 20 gennaio 2011 La costruzione di due nuove sezioni detentive in Puglia, una a Lecce e una a Taranto, sono uno spreco di denaro pubblico: lo denuncia in una nota il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. Costeranno quasi il doppio le nuove sezioni detentive già messe in cantiere in Puglia. Una sorgerà a Lecce ed una a Taranto per un totale di circa 400 posti, che prevediamo ospiteranno non meno di 800 detenuti. Ancora una volta - sostiene il Sappe - si è scelto il vecchio con strutture in cemento che oltre a far lievitare i costi, fra pochissimi anni, saranno decadenti, fatiscenti come accaduto per i penitenziari di Lecce e Taranto. Verranno spesi circa 20 milioni di euro, a fronte di meno di 14 se si fosse utilizzata - si legge nel comunicato - la nuova tecnologia modulare che consente, come innanzi detto, un grosso risparmio economico, energetico, di manutenzione, nonché la possibilità di avere tempi certi e brevi. Il Sindacato autonomo polizia penitenziaria ‘ritiene che la Puglia, alla stregua di quanto avviene negli Stati Uniti ed in altre Nazioni ove tale tecnologia viene utilizzata da decenni, potrebbe rappresentare un laboratorio per sperimentare questo sistema di costruzione di carceri che ribadiamo, oltre ad essere molto più economico di quello in muratura - si evidenzia - offre maggiori confort, pulizia, sicurezza, e non necessita pressoché di alcuna manutenzione. La cosa incredibile - si conclude - è che proprio nel nostro Paese sia presente la tecnologia necessaria per portare avanti questo progetto, ma che a tutt’oggi si boicotta tale soluzione (che farebbe risparmiare tantissimi soldi allo Stato) per motivi che ci sfuggono, o forse no, considerati gli scandali che vengono scoperti proprio negli appalti pubblici. Lecce: il Sindaco Perrone; servono duecento posti in più al carcere Ansa, 20 gennaio 2011 “Vogliamo alleviare - afferma il sindaco Perrone - le sofferenze dei detenuti”. Via libera all’ampliamento del carcere di Borgo S. Nicola di Lecce. All’interno dell’Istituto penitenziario leccese verrà realizzato un padiglione che potrà ospitare a regime altre duecento persone e quattro cortili da passeggio. Il provvedimento è legato allo schema d’intesa tra il Commissario delegato all’emergenza carcere e il presidente della Regione Puglia e rientra nel Piano Carceri approvato lo scorso 24 giugno dal Comitato di indirizzo e controllo, composto dal ministero di Grazia e Giustizia, dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio. Il Comune di Lecce, dal canto suo, ha espresso parere favorevole sulla localizzazione dell’area da destinare alla realizzazione del nuovo padiglione destinato ai detenuti. “Faremo tutto il possibile e in tempi rapidissimi - assicura il sindaco di Lecce Paolo Perrone - per dare una risposta concreta ai tanti detenuti ospitati al carcere di Lecce che vivono in gravi condizioni di disagio. Il nostro obiettivo, dunque, è quello di alleviare le sofferenze di quanti sono costretti a vivere in condizioni disumane all’interno della struttura penitenziaria”. Al carcere di Borgo S. Nicola le celle sono piccole: c’è uno spazio calpestabile per ogni persona di appena 1,5 metri quadrati. Il che significa girare per la cella solo quando gli altri due compagni sono stesi nel letto. Ma la criticità non finiscono qui: i detenuti dormono in letti a castello, in cella c’è una sola finestra ed un bagno cieco senza acqua calda, il riscaldamento funziona d’inverno 1 ora al giorno, le grate sono chiuse per 18 ore al giorno. “La limitazione della libertà - afferma il sindaco Perrone - deve avere come obiettivo la riabilitazione dell’uomo e il suo reinserimento in società”. Il problema prioritario resta quello del sovraffollamento. Tuttora la struttura ospita circa 1.500 detenuti, a fronte di una capienza ottimale che si aggira sulle 600 unità e tollerabile sulle 800. Mancano anche gli agenti di polizia: sono circa 800, 150 in meno di quelli previsti. Con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza. Savona: il sindaco Briano; nuovo carcere? non ci sono le risorse per costruirlo Ansa, 20 gennaio 2011 “Non ci sono le risorse da mettere in campo da parte del ministero, questa è la verità”. A dirlo è il sindaco di Cairo Montenotte Fulvio Briano che è tornato sul tema del nuovo carcere in Provincia di Savona. “Il Sant’Agostino non può andare avanti oltre e la situazione necessita di una programmazione per la nuova struttura penitenziaria nel Savonese. La Val Bormida ha dato una sua disponibilità e questo è un fatto positivo e deve essere colta, tuttavia a mancare sono i soldi…” afferma Briano. “Ci sono delle aree ottimali per un nuovo carcere, penso ad esempio alla frazione di Ferrania, ma senza l’intervento diretto del ministero il progetto non può certo partire” conclude il primo cittadino cairese. Tolmezzo (Ud): il sovraffollamento del carcere crea tensione fra detenuti e polizia Corriere delle Alpi, 20 gennaio 2011 Un’altra problematica che interessa direttamente Procura tolmezzina è rappresentata dalla presenza del carcere, che ospita anche una cospicua sezione di detenuti sottoposti al regime dell’art. 41bis (carcere duro) dell’ordinamento penitenziario. “Il sovraffollamento del carcere - sottolinea il procuratore capo Giancarlo Buonocore - concorre a determinare uno stato di tensione permanente che, accompagnato anche da un certa “inflessibilità” di una parte del personale della polizia penitenziaria radica un numero di procedimenti penali non esiguo; gli stessi hanno ad oggetto, da un lato denunciate aggressioni fisiche e verbali da parte dei detenuti, e, dall’altro, lamentate vessazioni ad opera degli agenti della polizia penitenziaria. La necessità di evitare una sorta di precostituita valutazione (a favore dell’una o dell’altra parte) impone un approfondimento investigativo di non poco conto”. Altro problema di una Procura di confine è quella inerente il riciclaggio soprattutto di veicoli di grande valore (in uscita dallo Stato): “per questo sono stati intensificati i controlli in autostrada e nelle statali a opera della Polizia stradale”. Sempre in tema di collaborazione, la sinergia con il foro di Tolmezzo, ad esempio per quanto riguarda la prassi del “rito direttissimo” per i reati di immigrazione clandestina, ha permesso di velocizzare i tempi del procedimento senza minare le esigenze difensive”. Treviso: detenuto romeno denuncia pestaggio; non capivo nemmeno cosa mi dicevano La Tribuna, 20 gennaio 2011 “Mi hanno picchiato di brutto il giorno dopo il mio arrivo in carcere. Sono venuti tre volte in un giorno, mi hanno colpito alla schiena con calci e pugni. E sono tornati anche il giorno dopo”. Ieri in aula il racconto del rumeno Lucian Elwis Andricsak, 28 anni. L’uomo ha accusato tre agenti di polizia penitenziaria del carcere di Santa Bona di averlo picchiato tra il 12 e il 13 ottobre 2007, dopo che era stato arrestato per aver violentato una brasiliana a Spresiano (condannato a 5 anni). I tre - Pasquale Tartamella, Gaspare Corso e Maurizio Varriale - sono ora a processo con l’accusa di abuso d’ufficio. Ieri il tribunale ha raccolto la deposizione della vittima, assistita dall’avvocato Guido Galletti, mentre il processo è stato rinviato al prossimo 21 giugno per sentire tutti i testi. “Mi hanno picchiato a mani nude, più volte: quando il giudice mi ha interrogato gli ho detto che ero stato picchiato - ha riferito ancora Andricsak al collegio. Ho avuto dolori per un anno dopo l’accaduto. Non capivo niente di quello che mi dicevano”. Pavia: Lotfi e la cooperativa “Il convoglio”; nuova vita col pane nel forno di Fossarmato La Provincia Pavese, 20 gennaio 2011 Quella della cooperativa “Il convoglio” è una storia che comincia undici anni fa, nel carcere di Pavia, grazie a un intuizione di Stefano Penna, ex cappellano della casa circondariale. Una cooperativa che insegna ai detenuti come produrre il pane, che viene venduto al centro di Fossarmato. Dalla produzione di pane per il carcere la cooperativa è passata alla vendita al pubblico. Nel giro di poco tempo è stato trovato un immobile, al centro di Fossarmato, che potesse ospitare l’alloggio di alcuni ex detenuti, in attesa di tornare ad essere parte integrante della società, e un grosso laboratorio di panetteria. Da quel giorno di dieci anni fa in molti si sono alternati davanti ai forni del quartiere pavese, fornendo pane, pizza, grissini e focacce anche alle scuole circostanti. Oggi, grazie all’impegno di Eugenio Vitali, viene coordinato il lavoro di cinque addetti fra volontari e dipendenti, che a turno si svegliano prima delle luci dell’alba, per impastare e distribuire il pane che verrà messo a tavola in città. Non si tratta solo di una scommessa vinta da chi l’ha ideata e da chi la porta avanti, ma anche di una speranza di reinserimento per chi decide di crederci. Lo si capisce subito parlando con Lotfi, un giovane tunisino che da tre anni è impiegato presso la panetteria. Dopo una vita non sempre facile, ha trovato nel Convoglio la possibilità di reinventarsi, come uomo e come professionista. Fra le diverse iniziative dalla cooperativa sociale guidata da Sergio Contrini, l’unica interamente dedicata al mondo del carcere, anche la creazione di un deposito custodito per le bicilette dei pendolari, alla stazione dei treni di Pavia. In un momento di crisi come quello attualle, c’è un gruppo di persone che dà il suo contributo a un mondo spesso dimenticato, offrendo agli ex detenuti una speranza di rilancio sociale, oltre gli anni del carcere. Con il pane caldo al mattino e qualcuno sempre pronto a riparare una bicicletta. Lamezia Terme: bando per l’accoglienza dei condannati a lavoro di pubblica utilità www.lameziaweb.biz, 20 gennaio 2011 Bandito l’avviso pubblico per l’individuazione degli enti, associazioni di volontariato e cooperative sociali interessati alla prestazione di attività non retribuita da parte delle persone condannate allo svolgimento di lavori di pubblica utilità. Si tratta di quelle persone condannate per gravi reati che invece del carcere scelgono di rendersi utili allo scopo di espiare la pena rendendo un servizio pubblico del tutto gratuito. Questo è stabilito da un accordo stipulato lo scorso 3 dicembre dall’amministrazione comunale e dal tribunale lametino. L’iniziativa presentata dal presidente della sezione penale del tribunale Giuseppe Spadaro, insieme al sindaco Gianni Speranza e agli assessori Tano Grasso e Rosario Piccioni, tende ad offrire opportunità d’inserimento in lavori di pubblica utilità alle persone condannate (il protocollo riguarda fino a cento imputati), offrendo un servizio di accompagnamento alla rete dei servizi sociosanitari del Comune. In particolare, i lavori di pubblica utilità verranno svolti oltre che nelle sedi municipali anche in organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato come quelle impegnate nel terzo settore. Si tratta di centri diurni per anziani e per i disabili, associazioni ed enti che prestano assistenza ai malati di Aids, centri d’assistenza ai malati terminali, centri sociali per anziani e sale operative sociali, centri d’accoglienza per i senzacasa, organizzazioni che si occupano di recupero dei tossicodipendenti, comunità per il reintegro di minorenni disagiati sottoposti a procedimenti penali e centri d’accoglienza per detenuti ed ex detenuti. Ogni sei mesi l’assessorato comunale alle Politiche sociali predisporrà una relazione sullo svolgimento delle attività previste dalla convenzione da comunicare al presidente del tribunale. “Continuiamo così”, ha spiegato Speranza, “nella collaborazione con la magistratura lametina in tutti i campi e, in questo caso, per il recupero ed il reinserimento lavorativo dei detenuti e dei condannati a pene alternative, rafforzando anche per questa strada le politiche sociali del Comune”. Per leggere il bando e scaricare on line la modulistica necessaria per fare la domanda agli uffici comunali basta consultare il portale ufficiale su Internet “www.comune.lamezia - terme.cz.it”. Il presidente Spadaro presentando questa forma alternativa di espiazione della pena (si tratta di condanne per piccoli reati che generalmente prevedono fino a massimo un anno di detenzione nelle patrie galere) ha parlato di uno sforzo da parte della persona condannata a riallacciare i suoi rapporti con la società stabilendo nuove relazioni importanti per la propria crescita ma anche per quella della comunità in cui ha deciso di restare. Un modo nuovo per recuperare gli errori commessi. Milano: inchiesta anti-droga, arrestati agente penitenziario e due volontari dei City Angels Ansa, 20 gennaio 2011 Detenuti nel carcere di Monza e di Milano che si telefonano grazie anche a un cellulare fornito per 300 euro da un agente della polizia penitenziaria, e un impiegato dell’Agenzia delle Entrate di Milano che fornisce dietro un compenso compreso tra i 200 e i 1.500 euro codici fiscali falsi. Una curiosa coppia di coniugi che lavoravano per l’associazione di volontariato City Angels che facevano entrare e uscire da San Vittore dei “pizzini” per un detenuto, e un ingegnoso traffico di auto usate. Progetti di evasione dal carcere e pistole e armi da guerra con la matricola abrasa nascoste in una cantina di un palazzo di via Uccelli di Nemi, a poca distanza dall’aula bunker del tribunale di Milano. È l’inquietante quadro che emerge da una lunga indagine del Gico della guardia di finanza di Milano su un ingente traffico internazionale principalmente di cocaina dalla Colombia che ha portato all’emissione da parte del Gip Giordano Bruno di 41 ordini di custodia cautelare in carcere richiesti dal Pm Marcello Musso, e notificati oggi a una trentina di persone (le altre risultano al momento latitanti) quasi tutti italiani residenti nell’hinterland milanese, tra cui personaggi legati alle ‘ndrine del Vibonese e del Reggino. L’indagine nasce da due operazioni condotte a partire dal 2004 sempre dal Gico contro due un’organizzazioni, una albanese e una pakistana, che trafficavano stupefacenti in Italia e ne riciclavano i proventi attraverso il network informale “Hawala” (o “Hundi”), sistema anonimo e a bassissimo costo di trasferimento di valuta basato sull’onore garantito da una vasta rete di mediatori “legalmente” attiva in molti Paesi del Medio Oriente, del Nord e centro Africa e dell’Asia meridionale. Un sistema antico, ben collaudato, giudicato molto sicuro, presente in maniera clandestina anche in Italia (dove è illegale) e utilizzato da diversi immigrati per inviare in patria i propri guadagni. Tra le somme affidate al maggior “hawaladar” per l’Italia, un cittadino pakistano Ahmed Parvaz titolare di un negozio di barbiere a Carpi (Modena), indagato nel 2006 per riciclaggio insieme con un suo “superiore” a Dubai, i finanzieri hanno scoperto anche 4 milioni di euro che sarebbero stati commissionati da Valerio Morrone, 32enne monzese con quattro pagine di certificato penale che parlano soprattutto di furti, ricettazione e truffe. Denaro che, sempre secondo l’accusa, sarebbe stato il pagamento di diverse partite di coca acquistate da un’associazione a delinquere guidata dallo stesso Morrone e da Pasquale Valentino Forti, “Lillo” per gli amici, pregiudicato reggino legato al clan Bruzzaniti - Palamara deceduto per una malattia l’anno scorso a 57 anni. Nelle quasi 800 pagine di ordinanza, emerge che i due si erano conosciuti nel penitenziario milanese di San Vittore e insieme avevano deciso di avviare un traffico di cocaina grazie alla complicità del latitante varesino Lorenzo Vittorio Sangiovanni detto “il calvo”, che era riparato a Madrid per sfuggire ad una condanna definitiva a dieci anni, e faceva l’intermediario con i tre referenti di un cartello della droga in Colombia. Oltre che con Sangiovanni, sempre secondo le indagini, Morrone aveva trattato l’acquisto di cento chili di coca anche dal 43enne Salvatore Mancuso dell’omonimo clan di Limbadi, allora detenuto a Monza, e con un cittadino croato residente a Milano, Davor Slavica, che “rappresentava” dei fornitori slavi. Ma nell’indagine emerge anche un altro nome, quello del pluripregiudicato Franco Milone, che dal febbraio 2006 all’aprile 2007, insieme con altri pregiudicati attivi nella zona Lorenteggio, Giambellino e San Siro, aveva comprato diverse decine di chili di cocaina dalla “banda” di Morrone. Milone, 62enne originario del brindisino, era stato rinviato a giudizio nel novembre scorso perché coinvolto nell’omicidio di Giovanni Di Muro, ex uomo di Pepé Onorato ed ex collaborante in un’inchiesta sulla ‘ndrangheta, che fu freddato a colpi di pistola il 5 novembre 2009 in via dei Rospigliosi a Milano. All’origine di quel delitto, secondo la Squadra Mobile, c’erano una serie di debiti mai saldati e crediti mai riscossi nell`ambito di un giro di assegni per saldare una partita di costosi orologi di dubbia provenienza. Palermo: detenuto del Pagliarelli aggredisce agente penitenziario Il Velino, 20 gennaio 2011 Questa mattina nella casa circondariale di Palermo Pagliarelli un ispettore superiore è stato aggredito da un detenuto. Ha riportato la rottura di due dita della mano destra. Lo rende noto Mimmo Nicotra, vice segretario generale dell’Osapp: “Sembrerebbe che il medesimo detenuto, già isolato, non sia nuovo a questi comportamenti. Il detenuto extracomunitario qualche anno fa aveva aggredito il ministro della Giustiza di allora, Giovanni Maria Flick, in occasione della visita all’istituto di Roma Regina Coeli”. Le cause dell’aggressione non sono note in quanto sono in corso gli accertamenti. Cinema: “Il loro Natale”, di Gaetano Di Vaio al convegno “Pena e libero arbitrio” Il mattino, 20 gennaio 2011 Un film documentario sulla quotidianità di donne di detenuti nelle carceri napoletane durante le festività di Natale. Giovedì 20 gennaio 2011 alle ore 11,30 presso la Sala Arengario, Tribunale di Napoli - Nuovo Palazzo di Giustizia, Piazza Cenni, nell’ambito del convegno “Pena e libero arbitrio”, organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e dalla Camera Penale di Napoli, verrà proiettato: “Il loro Natale” di Gaetano Di Vaio, film documentario presentato fuori concorso alla 67° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Al dibattito che seguirà, prenderanno parte il regista e produttore Gaetano Di Vaio, il critico cinematografico e docente universitario Valerio Caprara, lo scrittore Peppe Lanzetta, l’operatrice interculturale Barbara Pierro. Il film è una produzione Figli del Bronx (Gaetano Di Vaio, Pietro Pizzimento), coprodotto da Minerva Pictures Group. Ingresso gratuito con documento di identità. Per informazioni: 081.0203639. Il loro Natale è un percorso nella quotidianità delle donne dei detenuti nelle carceri di Napoli, durante la Natività. Il film racconta le storie di queste donne attraversate dalla solitudine, dalla tenace dignità, da mille difficoltà e da un’evidente marginalità sociale. Maddalena e Mariarca, Titina e Stefania vivono giornate riempite oltre che dalla cura per la casa e per i figli, anche dalle attenzioni verso i mariti che seppure “chiusi” in un altro luogo, con la loro assenza sono presenti in ogni momento. Si prepara il “pacco”, si rimediano i soldi da lasciare “alla porta”, si cerca la solidarietà nelle relazioni di vicinato e si procede per i faticosi colloqui settimanali. Di queste cose è fatta la vita delle nostre donne, in tutti i momenti dell’anno, anche quando la festa del Natale è alle porte. Francia: caso Franceschi; la Camera Penale di Milano invita a proseguire le indagini Ansa, 20 gennaio 2011 Alla madre ed ai familiari di Daniele Franceschi, il ragazzo viareggino morto il 25 agosto scorso a 36 anni nel penitenziario di Grasse in Francia, “non rimane che continuare la loro battaglia, non per un j’accuse! contemporaneo, ma per comprendere solamente se il proprio figlio sia morto in carcere per il mancato tempestivo intervento medico oppure per un infarto repentino”. Lo afferma, in una nota, la Camera Penale di Milano. Una vicenda che merita un’attenzione continua sino a quando i molteplici interrogativi che essa, drammaticamente, ha posto troveranno una risposta adeguata da tutte le istituzioni interessate. La tutela dei diritti delle persone indagate, imputate e condannate - sottolinea la Camera Penale - soprattutto nelle ipotesi in cui esse si trovino in stato di detenzione, infatti, è un irrinunciabile presidio della nostra democrazia. Le istituzioni che la compongono sono tenute a salvaguardarlo soprattutto nei casi in cui il compito loro affidato di tutela della salute e dell’incolumità dei cittadini loro affidati sia così drammaticamente fallito. Tunisia: liberati i detenuti politici, in carcere 33 del clan di Ben Ali Ansa, 20 gennaio 2011 Il nuovo governo di unità nazionale fatica a partire in Tunisia, dopo una giornata di mediazioni fallite per far rientrare i quattro ministri dimissionari, ma segnali forti oggi sono stati lanciati. Il presidente ad interim Foued Mebazaa si è impegnato, in un solenne discorso in tv, a compiere una “rottura totale con il passato” e ha annunciato l’arresto degli uomini dietro le violenze dei giorni scorsi. E tutti i prigionieri politici sono stati liberati, è stato annunciato, compresi gli attivisti dell’Ennahda, il movimento integralista islamico guidato da Rached Gannouchi. Anche se quest’ultimo, da anni a Londra dopo una condanna all’ergastolo, dovrà attendere un’amnistia varata dal Parlamento per rientrare nel Paese. In serata la tv ha poi reso noto che 33 membri del clan di Ben Ali sono stati arrestati per crimini contro la Tunisia e ha mostrato oro e gioielli sequestrati. Dopo il tracollo politico e la fuga, per Ben Ali e la sua famiglia arrivano i guai giudiziari ed economici. Un’inchiesta è stata aperta per acquisizione illegale di beni, investimenti finanziari illeciti all’estero ed esportazione illegale di valuta. Un’accusa che riguarderebbe soprattutto i parenti della moglie di Ben Ali, Leila Trabelsi. Non solo, la Svizzera ha deciso di bloccare eventuali fondi illegali del deposto presidente, mentre il ministro degli esteri italiano Franco Frattini giudica opportuna un’iniziativa europea per congelare i beni all’estero. La Banca Centrale della Tunisia, si è appreso oggi, aveva bloccato nei giorni scorsi le carte bancarie internazionali dei tunisini, per impedire illegali trasferimenti all’estero di denaro da parte del clan di Ben Ali. Ma, anche se oggi in Tunisia non ci sono stati scontri e violenze (quelle che, ha fatto sapere l’Onu, in poco più di un mese hanno causato più di 100 morti), guai seri per l’economia del Paese sono arrivati stamani. Vale a dire, il rating abbassato da Moody’s, da Baa2 da Baa3, sui titoli di stato e il passaggio dell’outlook da stabile a negativo. Moody’s, preoccupata per la stabilità della Tunisia, ha anche declassato le valutazioni della Banca Centrale, mentre stasera si è appreso che la Borsa di Tunisi ha sospeso le transazioni. È anche per questo che alcuni ministri dell’opposizione del traballante governo stanno cercando di resistere alla pressione della piazza che spinge per far cadere un esecutivo troppo marchiato dal simbolo dell’odiato partito del vecchio potere. C’è una crisi economica da fronteggiare, spiegano al Partito democratico progressista (Pdp), e l’instabilità allontana anche il turismo. Ma soprattutto, fanno capire, se questo governo cade c’è il rischio che il vuoto sia occupato dall’esercito, e sia così subito abortito il nuovo percorso democratico avviato. Tuttavia domani, nella prima riunione del nuovo governo, è probabile che il Pdp alzi la posta in gioco. Forse avevamo sopravvalutato la forza effettiva dell’Rcd (il partito di Ben Ali) - spiega off the records un dirigente del partito di Nejib Chebbi - accettando un compromesso troppo al ribassò. Un compromesso da cui hanno invece preso le distanze i tre rappresentanti del sindacato Ugtt e quello dei un altro partito di opposizione, benché i tentativi del premier Mohammad Ghannouchi di far loro cambiare idea siano durati per tutta la giornata.