Giustizia: anno 2011, il carcere dopo Cristo di Adriano Sofri La Repubblica, 19 gennaio 2011 Alessandro Margara lo chiama “il carcere dopo Cristo”: non dopo la nascita, dopo la sparizione. 2010: 66 suicidi, 1134 tentati suicidi, 5603 atti di autolesionismo. Questo è un racconto umoristico. Non l’ho inventato io, io lo trascrivo. Non l’ha inventato nessuno: le stesse autorità competenti, anche quando sono perverse (in genere sono solo vuote) non hanno tanta fantasia. Dunque: i detenuti in Italia sono 70 mila. Capienza ufficiale: 44 mila. Descrizione della situazione nelle parole delle autorità competenti: “Pazzesca”, “Invivibile”, “Illegale”, “Tortura” e simili. Se siete un detenuto, o una suora di carità, vi cadono le braccia: come si fa a prendersela con uno scandalo carcerario di cui i titolari, dalle circolari ministeriali alle dichiarazioni di magistrati direttori educatori medici e sindacati di polizia, parlano con un tale disgusto? La Gazzetta Ufficiale riproduce a intervalli regolari titoli manzoniani: “Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare la situazione di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale”. Cioè? Niente. Cioè, escogitare un facsimile di legge e chiamarla “svuota carcere”. In vigore da metà dicembre, dice che chi ha una pena residua inferiore a un anno, può scontarla a domicilio. La pena inferiore a un anno è irrisoria, e vuol dire, naturalmente, che entro un mese o due o un anno al massimo quei detenuti saranno comunque liberi. La legge dice poi che ne sono esclusi i detenuti per una vasta gamma di reati più gravi. Poi dice che per trascorrere lo scampolo di pena in detenzione domiciliare (che non è la libertà, ma una pena, spesso invisa: per esempio quando significa infliggere ai propri famigliari l’ansia e la vergogna di visite di controllo a tutte le ore di giorno e notte) bisogna avere un domicilio idoneo, verificato tale dagli assistenti sociali, oltre che l’assenso dei famigliari. Condizione che esclude già un larghissimo numero di stranieri, dunque più o meno la metà dei detenuti interessati. Poi dice che i magistrati, cui sono inoltrate le pratiche dai direttori del carcere, devono valutare se ci siano ragioni ostative alla concessione (pericolosità sociale, rischio di fuga…). Poi dice che i detenuti assegnati alla pena a domicilio, se commettessero l’infrazione di “allontanamento dai domiciliari” (portare fuori il cane, sedere con le vicine a filare sui gradini, arrivare alla farmacia dell’angolo, avviarsi al primo fiume per buttarsi di sotto) la pagherebbero non più, come nell’evasione ordinaria, con una pena da sei mesi a un anno, bensì con una pena da un anno a sei. Poco fa, a Firenze, un detenuto a domicilio albanese, non sopportando più il vicino di pianerottolo e volendo evitare guai, uscì di casa per andarsi a riconsegnare a Sollicciano: fermato per strada e condannato per evasione. Nonostante tutta questa fabbricazione escludente e intimidatoria, un certo numero di detenuti chiedono effettivamente di usufruirne. Ebbene, ecco, dopo il primo mese di attuazione (così “Radio carcere”, che ha interpellato i magistrati competenti) il numero di detenuti effettivamente usciti in cinque regioni importanti: Lombardia: 12; Emilia Romagna: 2; Toscana: 15; Lazio: 30; e Campania: 34 (le due ultime cifre sono auspici, più che fatti). Totale: 93, su 32 mila 900 detenuti in quelle cinque regioni, alcune delle quali sono fra le più efficienti e “aperte”. Nel carcere cagliaritano di Buoncammino, il direttore spiegava a Natale che grazie alla legge era uscito un (1) detenuto; altri tre no, due sardi e un tunisino, “perché non sapevano dove andare”. Questo è già abbastanza comico. Ma, si dirà, un mese è poco per valutare. Però di questo passo se i detenuti sono sotto l’anno e non si impiccano prima, usciranno liberi, “raggiunto il fine pena nelle more dell’istruttoria”. È già chiaro comunque che le uscite saranno di gran lunga inferiori ai nuovi ingressi in carcere, il cui aumento ininterrotto non è dovuto a un incremento della criminalità (che, anzi, si riduce) ma alle leggi riempi - carcere, come la Fini - Giovanardi sulla droga, la Bossi - Fini sull’immigrazione clandestina, e il capolavoro, la (ex) Cirielli sulla recidiva, che ha fatto tabula rasa di ogni duttilità risocializzante del carcere, perché la gran maggioranza dei piccoli pesci che incappano nello strascico carcerario sono recidivi per definizione. (A parte gli statisti nelle interviste sull’infanzia, conoscete qualcuno che si sia fatto una volta sola?) La (ex) Cirielli, fiore di un delirio demagogico sulla “sicurezza”, sbarra a tripla mandata i cancelli sui disgraziati che le altre leggi scaraventano in galera, escludendoli dalle pene alternative. Disperato, il ministero, che la votò, non sa come uscirne, e magari punto anche lui qualche volta - chissà, la notte di Natale - da un turbamento per i suicidi e le morti innaturali di due o trecento detenuti all’anno, ricorre alla pena a domicilio per l’ultimo anno, che rimette in gioco (il gioco dell’oca) i recidivi dei reati minori. Una piccola e derisoria toppa a un buco grosso come una voragine. Attenzione però: come avvertono gli assistenti sociali e i magistrati che aspettano le loro relazioni, la verifica dell’esistenza e l’idoneità (!) del domicilio carica gli assistenti di un lavoro in più a detrimento di quello, già soverchiante, che compete loro per le pratiche ordinarie. Col risultato paradossale di inceppare il disbrigo delle concessioni di pene alternative a detenuti che vi avrebbero titolo normale, indipendente da questa legge dal nome pittoresco di svuota - carceri. Che cosa fare dunque, di fronte a una condizione carceraria “demenziale”, “invivibile”, “illegale”, “una tortura”? Niente. Abrogare le proprie leggi tanto sbandierate, non si può, tutt’al più aggirarle con un piccolo sotterfugio. Di indulto non si può parlare più dal 2006, dopo aver danzato alla canzonetta dei criminali messi in libertà, così da aver paura di integrare l’indulto con l’amnistia, che non avrebbe liberato nessuno ma avrebbe sgomberato processi diventati superflui, che ancora si celebrano per dichiararli nulli. Le condizioni delle galere dovrebbero inquietare tutti i cittadini, anche quelli che immaginano, buon per loro, di non poterci finire mai. E dovrebbero almeno consigliare, anche ai cinici, di accorgersi quale partita politica vi si giochi. La fanatica campagna contro l’indulto segnò, che lo si ammetta o no, il primo e irrimediato colpo al governo Prodi e al centrosinistra, in una delle ricorrenti sepolture di quel fenomenale Berlusconi. Che ne fu dissepolto anche allora non da un proprio talento, ma da uno spettacolare autolesionismo - l’eterolesionismo del vicino di banco - del centrosinistra. La demagogia di allora si servì dell’allarme su Previti e altri mostri per sobillare gli spiriti forcaioli. Previti era già comodamente a casa sua, e ci aggiunse la Caritas. Gli stessi crociati di allora hanno appena inveito contro “l’indulto mascherato” o “l’insulto” della leggina dell’ultimo anno, la “svuota carceri”, di cui ho appena illustrato i connotati. Previti non c’entra, né Vallanzasca, né io, né l’ingegner Scaglia. C’entrano quei 70 mila, senza faccia, senza nome - se non nelle statistiche sui decessi - con la loro branda a castello e il loro fornelletto da sniffare e da farsi il caffè, prima che gli tolgano anche quello. Giustizia: la legge svuota carceri è a rischio di fallimento di Pino Ciociola Avvenire, 19 gennaio 2011 L’avevano battezzata “legge svuota carceri, però mai nome si rivelò più sbagliato. Perché “non ha svuotato nulla”, come fa sapere il Gruppo Abele, il giudizio del quale è condiviso dall’associazione Antigone e da Radio radicale. Poiché i numeri confermano quanto era (anche) stato largamente previsto. Passetto indietro di qualche settimana: la legge in questione diventa tale lo scorso 26 novembre, entra in vigore il 16 dicembre e permette di scontare l’ultimo anno di pena agli arresti domiciliari. La previsione governativa è che nel giro di un anno farà uscire dalle patrie galere almeno 8mila detenuti, riducendone sensibilmente l’affollamento, ormai oltre il limite della tolleranza. La realtà sembra andare assai diversamente: in cinque distretti presi come campione, sono appena novantatré le persone che hanno ottenuto il beneficio, stando al monitoraggio effettuato qualche giorno fa da Radio Carcere, rubrica in onda su Radio Radicale. Si tratta di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania e i dati arrivano dai relativi magistrati di sorveglianza. Così, in Lombardia si sono registrate dodici concessioni dei domiciliari, in Emilia Romagna due, in Toscana quindici, nel circondario di Roma (comprendente cinque istituti di pena) sono state concesse trenta detenzioni domiciliari e trentaquattro nel circondario di Napoli. Sarebbe a dire, facendo una proiezione puramente matematica, che a questi ritmi in un anno si arriverebbe - stimando un numero nazionale - a duemila o poco più concessioni di domiciliari. Cifre e ritmi che per altro non c’è stato verso di farsi confermare, né smentire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria presso il ministero di Grazia e Giustizia... E tuttavia il giudizio degli addetti ai lavori “è severo”. Certo è che una legge “fatta in quel modo non poteva “svuotare” alcunché - spiega Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele - perché non ha tenuto conto che le carceri sono popolate soprattutto da stranieri e soprattutto da persone tossicodipendenti italiane”. Quindi la “svuota carceri” è inattuabile per gli stessi motivi per i quali non vengono applicate, su quegli stessi detenuti, alcune misure già previste, perché stranieri e tossicodipendenti o non hanno più la casa dove scontare la pena residua o mancano strutture alternative che li accolgono. E una faccenda di automatismi: “Con la cancellazione dal testo di quello che prevedeva gli arresti domiciliari nell’ultimo anno di pena, non si porta nessuna novità - aveva subito annotato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella perché i giudici avevano già la possibilità di decidere se mandare o meno ai domiciliari un detenuto, applicando le misure alternative”. Tutt’ altra storia sarebbe stata, al contrario, se si fosse mantenuto quell’automatismo originariamente previsto nel testo della legge e “circa 7mila persone avrebbero beneficiato del domiciliare”. Adesso la situazione resta né più, né meno come prima. Il magistrato di sorveglianza deve cioè ritenere, per concedere i domiciliari, che il detenuto non reiteri il reato e non scappi: “Chi si carica di questa responsabilità? E se poi le cose andassero male?”, si chiede Leopoldo Grosso. Mentre un’altra domanda sorge inevitabile: a cosa è, sarebbe, servito fare questa legge? “O è stata un’ingenuità, a voler dare una benevola interpretazione - secondo Grosso - nel senso che non sono state interpellate le persone più competenti prima di redigere la legge” oppure “si è voluto soltanto dire “abbiamo fatto qualcosa” disinteressandosi delle conseguenze”. Giustizia: Piano Carceri, Alfano annuncia lavori a Piacenza, Modena e Parma Dire, 19 gennaio 2011 Un nuovo padiglione per il carcere delle Novate di Piacenza, coi lavori in programma da febbraio, subito dopo l’inaugurazione del nuovo penitenziario di Trento, fissata al 31 gennaio prossimo. Un ulteriore “incremento” della capienza del Sant’Anna Modena, nell’ambito di un piano nazionale per aumentare di 2.900 posti alcuni istituti da nord a sud. Sono alcune novità per gli istituti dell’Emilia Romagna annunciate stamane dal Ministro della giustizia Angelino Alfano in una comunicazione alla Camera sullo stato dell’“amministrazione della giustizia”. Il carcere di Parma, ha spiegato Alfano, beneficerà invece di un investimento per potenziare il servizio di multi video conferenza, che consente la partecipazione a distanza ai processi penali per i detenuti più pericolosi sottoposti al regime del 41 - bis e per i collaboranti e testimoni protetti. “Nel piano di esecuzione dei lavori - ha spiegato alla Camera il Guardasigilli - è stata inserita anche la realizzazione in via sperimentale di quattro sale con particolare tecnologia evoluta denominata “telepresence”, che consente la trasmissione di dati audio - video ad alta definizione”. La prima sala è stata già realizzata al tribunale di Napoli. La casa circondariale ducale, “nel corso del 2011”, ne avrà una assieme ai carceri di Opera (Milano) e Rebibbia (Roma). Alfano alla Camera ha infine ricordato che proseguono i lavori di ristrutturazione del “centro polifunzionale minorile di Bologna” al Pratello. Giustizia: dalla Relazione del Ministro della giustizia alle Camere per l’anno 2010… www.senato.it, 19 gennaio 2011 “L’anno appena concluso ha segnato un decisivo avanzamento altresì delle tre linee di intervento su cui si articola l’azione del Governo nella delicata materia della gestione delle carceri: la deflazione dei flussi d’ingresso nel sistema carcerario e le misure alternative alla detenzione, il piano di interventi di edilizia penitenziaria, la rideterminazione della pianta organica della polizia penitenziaria. Con la pubblicazione dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 marzo 2010 è stato nominato il commissario delegato per l’esecuzione degli interventi di edilizia penitenziaria di cui al cosiddetto piano carceri. Il 30 giugno 2010 il comitato interministeriale da me presieduto e composto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dal capo della Protezione civile, organo di vigilanza sull’attuazione del piano carceri, ha approvato il piano degli interventi che prevede la realizzazione di undici nuovi istituti carcerari e di venti nuovi padiglioni in ampliamento delle strutture carcerarie esistenti. Si è dato così avvio ad un intervento infrastrutturale senza precedenti nella storia della Repubblica, sia per l’entità degli investimenti - 675 milioni di euro - sia per la tempistica della loro esecuzione, l’arco di un triennio, e per la portata strategica volta a soddisfare un bisogno carcerario pari a circa 9.150 posti, in esecuzione della sola prima parte del piano. Tra il mese di luglio 2010 ed oggi, sono state concluse quattro intese istituzionali tra il commissario delegato, le Regioni ed i Comuni interessati, intese che coprono circa il 75 per cento del volume complessivo degli investimenti previsti nel piano carceri, e nei prossimi giorni saranno finalizzate le residue intese con le altre Regioni interessate. Tali intese consentono la realizzazione degli interventi carcerari con le deroghe e varianti ai vigenti strumenti urbanistici che si rendono necessari. Il tutto secondo tempistiche e procedure di massima celerità e snellezza, sempre nel rispetto del dialogo con le autorità locali ed i soggetti cui è affidata la tutela dei regimi vincolistici del territorio. Senza tale regime derogatorio sarebbe stato impossibile, come lo è stato in passato, provvedere alla localizzazione dei nuovi interventi ed alle necessarie varianti propedeutiche all’esecuzione degli ampliamenti in tempi così straordinariamente ristretti. In attuazione del piano carceri il commissario delegato, esercitando i poteri straordinari conferitigli, ha potuto richiedere ed ottenere la collaborazione di tutte le amministrazioni interessate, e in particolar modo del DAP, ed il Dipartimento provvederà entro la fine di questo mese alla progettazione definitiva di 19 nuovi padiglioni sui 20 previsti, senza ricorrere a professionalità estranee all’amministrazione e, quindi, con una straordinaria valorizzazione e ottimizzazione delle risorse in house e con un notevolissimo risparmio di spesa. A partire dal prossimo mese di febbraio verranno attivate da parte del DAP le attività per le progettazioni preliminari dei nuovi istituti. Lo stesso ufficio del commissario delegato, articolato sulle figure dei soggetti attuatori e dei loro collaboratori diretti, è una struttura snella che opera secondo criteri di efficienza, economicità e per obiettivi. Entro il primo semestre dell’anno 2011 verranno stipulati gli affidamenti per la realizzazione dei nuovi 20 padiglioni previsti dal piano carceri con relativa consegna dei cantieri ed avvio dei lavori. L’accelerazione delle procedure amministrative ha consentito altresì di raggiungere i primi obiettivi già nel 2010, ed altri ne verranno raggiunti già nel 2011. Il 31 gennaio 2011 verrà ufficialmente inaugurato il nuovo carcere di Trento, già dal mese di dicembre in parziale attività, con una capienza di 250 posti, a fronte della dismissione di strutture carcerarie limitrofe ormai inidonee e prive dei requisiti di economicità e di efficienza, e dopo verrà posta la prima pietra di un nuovo padiglione a Piacenza; si tratta di un incremento di circa 1.100 posti carcerari. Un ulteriore incremento di 2.900 posti conseguirà dalla ultimazione dei lavori - lavori in corso - negli istituti di Ariano Irpino, Carinola, Modena, Cremona, Terni, Frosinone, Pavia, Santa Maria Capua Vetere, Nuoro, Agrigento, Voghera, Biella, Saluzzo e Gela, e sul piano della riprogettazione della pianta organica della polizia il DAP ha portato a termine i concorsi pendenti e ha dato corso all’immissione dei vincitori in graduatoria nell’amministrazione penitenziaria. Come già detto, con la legge n. 199 del 2010 è stata autorizzata l’assunzione di nuove 1.800 unità di polizia penitenziaria a copertura dell’aumentato fabbisogno connesso al fisiologico avvicendamento ed alla apertura delle nuove strutture carcerarie. Per altro verso, la Cassa ammende ha finanziato fondamentali progetti mirati al recupero dei ristretti anche tramite l’attività di nuovi posti di lavoro presso le case circondariali, consentendo così l’attuazione della funzione della pena in chiave di rieducazione, risocializzazione e recupero dei ristretti. E non va sottaciuto neanche l’impegno nella gestione delle misure di esecuzione esterna, che coinvolgono complessivamente 16.084 detenuti, con un incremento del 29,5 per cento rispetto al 2009, destinato ad una ulteriore crescita per gli effetti della legge n. 199 del 2010, e che sono sottoposti a misura alternativa alla detenzione. Di rilievo nel settore anche due interventi legislativi, e cioè quello relativo all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno - e ribadisco che per i detenuti stranieri il beneficio sarà concedibile solo in presenza di un domicilio effettivo - e il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che attua la decisione europea in materia di trasferimento delle persone condannate. L’Italia è il primo Stato ad avere dato attuazione a questo importante strumento di cooperazione giudiziaria, che consentirà di trasferire le persone condannate dal nostro Paese verso lo Stato membro di cittadinanza e viceversa per l’esecuzione delle pene detentive. Grazie al principio del mutuo riconoscimento delle decisioni delle autorità giudiziarie degli Stati dell’Unione europea, per la prima volta il trasferimento potrà avvenire senza un previo accordo con lo Stato estero di cittadinanza del condannato e senza il consenso della persona. Si realizza così un duplice obiettivo: da una parte, si consente al condannato di scontare la pena detentiva in un contesto, e cioè lo Stato di cittadinanza, che ne agevola il reinserimento sociale, familiare e lavorativo; dall’altra, insieme alle altre misure contenute nel piano carceri, si avvia a soluzione lo storico problema della tensione detentiva, riducendo il numero degli stranieri detenuti in Italia”. Giustizia: carceri nel degrado? è colpa dei tagli al bilancio del Dap di Emilio Gioventù Italia Oggi, 19 gennaio 2011 Se le celle sono sporche, se qualche problema c’è anche in cucina, è tutta colpa dei soliti tagli. O meglio del “budget largamente insufficiente assegnato per la remunerazione dei detenuti lavoranti” che ha condizionato in modo particolare le attività lavorative necessarie per la gestione quotidiana dell’istituto penitenziario” ovvero “servizi di pulizia, cucina e manutenzione ordinaria del fabbricato”. Il tutto “incidendo negativamente sulla qualità della vita all’interno dei penitenziari”. La relazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, presentata dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al parlamento, ufficializza che nelle carceri italiane si vive male. Ed è per colpa dei soliti tagli. E pensare, per stessa ammissione del dicastero di via Arenula, che nel 2010 sono stati assegnati addirittura più fondi che nel 2011, in pratica 54,2 milioni circa rispetto a 48 milioni e passa. Ma pur avendo ottenuto un budget più alto “si è dovuto procedere a liquidare i rimborsi Inail (856mila €) per gli infortuni sul lavoro che si sono verificati negli anni 2003 - 2004, 1,3 milioni all’Inps e 2 milioni all’Agenzia delle entrate per la copertura finanziaria della cosiddetta legge Smuraglia”, “limitando di fatto la disponibilità economica in favore degli istituti penitenziari per il pagamento delle mercedi (le retribuzioni che, sotto qualunque forma, vengono corrisposte ai dipendenti)”. Quelli che, invece, non sono stati messi in discussione sono stati anche per il 2010 i fondi per i corsi professionali di apicoltura”. Comunque, una buona notizia arriva dal carcere napoletano di Secondigliano dove non soltanto si fa la raccolta differenziata cella a cella, ma è stato inaugurato un impianto per trattamento dei rifiuti solidi non organici, plastica, legno e carta. Giustizia: voto bipartisan su Battisti; il governo brasiliano conceda l’estradizione Ansa, 19 gennaio 2011 Approvate mozioni all’unanimità alla Camera e al Senato. E oggi i familiari delle vittime saranno ricevute all’Europarlamento. Sull’estradizione dell’ex terrorista rosso Cesare Battisti, residente in Brasile e accusato di omicidio plurimo, si ricompatta tutto lo schieramento politico italiano, sia nel Parlamento nazionale che in quello europeo. Ieri sia alla Camera che al Senato sono stati approvate due mozione unitarie in appoggio della richiesta del governo italiano di estradizione, negata per il momento dalle autorità di Brasilia. Quest’oggi i familiari delle vittime di Battisti saranno a Strasburgo per raccontare la loro verità all’Europarlamento riunito in sessione plenaria. Nel pomeriggio incontreranno il presidente Jerzy Buzek. A parlare saranno Alberto Torregiani, figlio del gioielliere Pierluigi e lui stesso paralizzato da una pallottola sparata da Battisti; Maurizio Gerardo Campagna, fratello di Andrea, agente della Digos milanese ucciso il 19 aprile 1979; Adriano Sabbadin, figlio del macellaio Lino che il 16 febbraio 1979 fu ammazzato come Torregiani per aver reagito ad una rapina; Alessandro Santoro, figlio del maresciallo degli agenti di custodia Antonio, la prima vittima di Battisti. Domani il Parlamento europeo voterà su una proposta di mozione presentata e firmata da tutti i gruppi politici italiani in cui si chiede che l’Europa si mobiliti per favorire l’estradizione. Una posizione alla quale si è opposto il Gue, gruppo della sinistra unita. Nel testo di risoluzione presentata dai gruppi italiani si ricorda che “il partenariato tra l’Ue ed il Brasile è fondato sul rispetto reciproco che entrambe le parti rispettano la legalità ed i diritti fondamentali, compreso il diritto alla difesa ed il diritto a un processo giusto ed equo” e si auspica “che il nuovo ricorso avanzato dal governo italiano”, contro la decisione del presidente Lula di bloccare l’estradizione, “possa essere accolto dalle competenti autorità brasiliane”. Lazio: rapporto del Garante; detenuti in calo, ma il sovraffollamento rimane Il Velino, 19 gennaio 2011 Al 16 gennaio scorso erano 6.377 i detenuti reclusi, nelle 14 carceri del Lazio, oltre 1.700 in più rispetto alla capienza regolamentare. I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che, però, sottolinea una importante inversione di tendenza: dopo oltre un anno di crescita inarrestabile, infatti, il numero dei reclusi è in calo; 57 unità in meno rispetto alla rilevazione del 24 novembre 2010 quando, per la prima volta in assoluto, fu sfondata quota 6.400 presenze, con 6.434 reclusi. “Una piccolo segnale di speranza se non altro perché interrompe un trend che sembrava, ormai senza controllo - ha commentato il Garante. Tuttavia questi dati non ci rendono affatto tranquilli sulla possibilità di avere, a breve, un miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle carceri, considerato che, proprio negli ultimi due giorni dell’anno scorso, abbiamo purtroppo dovuto registrare due decessi negli istituti della nostra Regione. I problemi sono sempre gli stessi: sovraffollamento, inadeguatezza di certe strutture, carenza ormai cronica di risorse umane e finanziarie. Tutte criticità che non possono, certo, essere alleviate da una piccola diminuzione dei reclusi”. Nelle celle della Regione sono attualmente reclusi 5,558 uomini e 419 donne. Alla fine di novembre 2010 c’erano 5.989 uomini e 445 donne. A settembre c’erano 5868 uomini e 449 donne mentre ad agosto i reclusi erano 5853 uomini e 434 donne. A luglio nelle celle c’erano 5811 uomini e 442 donne. Il 20 giugno 5.795 uomini e 459 donne: il 24 maggio 5784 gli uomini e 445 le donne. Il 21 aprile i detenuti erano 5.704 uomini e 434 donne, l’11 marzo 6.082 (5648 uomini e 434 donne), a febbraio 5.882 (5.470 uomini e 412 donne). Le situazioni più critiche si confermano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece 141), Viterbo (quasi 300 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), Frosinone (200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (oltre 450 in più) e Regina Coeli (quasi 400 in più). A Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece 352, con tutti i problemi che questo comporta, anche nella gestione delle recluse madri con i figli da zero a tre anni al seguito. Paradossali i casi, da tempo segnalati dal Garante, delle strutture carcerarie di Rieti e Velletri dove nuove strutture con oltre 300 posti pronte per essere utilizzate sono chiuse per carenza di agenti. A Rieti, in particolare, il nuovo carcere da 306 posti ospita 102 reclusi in due sole sezioni aperte e sovraffollate. Stesso discorso per Velletri, dove un nuovo padiglione per oltre 200 detenuti da tempo ultimato è chiuso. Lazio: la Regione promuove un Gruppo di lavoro sulla sanità penitenziaria Dire, 19 gennaio 2011 Si è svolta oggi una seduta congiunta delle commissioni Sanità e Lavoro e politiche sociali della Regione Lazio, presiedute rispettivamente da Alessandra Mandarelli e Maurizio Perazzolo, per favorire l’istituzione di un gruppo di lavoro che si occupi in maniera specifica della medicina penitenziaria. In particolare, del delicato passaggio di competenze in questo settore dalle strutture del ministero della Giustizia alle Aziende sanitarie locali, e dunque alle Regioni. Una riforma datata 1999, che tuttavia non trova ancora completa applicazione nelle 14 carceri laziali. Lo fa sapere una nota della Regione Lazio. Il primo passo in questo senso, precisa il comunicato, sarà costituito da uno scambio tra i due presidenti dalle informazioni acquisite nel corso delle audizioni su questa tematica svolte finora dalle commissioni. Materiale che sarà recapitato ai commissari e a tutti i consiglieri che ne faranno richiesta, insieme alle relazioni su questi argomenti elaborate dagli uffici competenti. Inoltre, verranno programmate le audizioni dei direttori degli istituti di pena regionali. “Nel nostro caso - ha detto Mandarelli - i dati forniti in audizione dal Garante dei detenuti sono stati estremamente preziosi per leggere la difficile situazione patita dai detenuti tossicodipendenti, con gravi malattie, o anche delle detenute che vivono i vari momenti della maternità dietro le sbarre. Per dare piena attuazione alla riforma nazionale della sanità penitenziaria - ha proposto - abbiamo già richiesto alla Giunta di prevedere la presenza dei direttori degli istituti di pena all’atto di definire i piani di zona socio - sanitari, ossia i principali documenti di programmazione territoriale”. Secondo Perazzolo, che dall’agosto 2010 ha intrapreso una serie di visite presso le case circondariali regionali, per raggiungere questi e altri obiettivi “si rende necessaria la creazione di un gruppo di lavoro che ponga attorno allo stesso tavolo i principali enti decisori in tema sanità penitenziaria: la Regione, le Asl, il Garante, il ministero di Giustizia, le carceri stesse. Questo organismo avrebbe un duplice scopo: fotografare la situazione esistente ed elaborare al contempo ipotesi di lavoro per la risoluzione delle criticità emerse”. Alla seduta hanno partecipato quattordici consiglieri (di maggioranza e opposizione) e rappresentanti degli assessorati competenti, tutti sensibili alla tematica e favorevoli alla proposta. Nel corso dei numerosi interventi, prosegue la nota, “è emersa la volontà di dare immediato seguito alla riunione odierna attraverso la convocazione dei responsabili medici delle strutture penitenziarie e l’acquisizione del rapporto annuale, a cura della Giunta, sulla situazione sanitaria in carcere. Particolare sensibilità è stata manifestata sul fenomeno delle morti nelle carceri: sia relativamente ai suicidi, sia ai decessi “naturali”, spesso dovuti a patologie non individuate e curate tempestivamente”. Sicilia: le carceri sull’orlo del collasso, più pene domiciliari per renderle vivibili Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2011 Sono 8.227 detenuti per 5.763 posti disponibili. E questo il semplice rapporto che descrive la situazione carceraria in Sicilia Se poi si aggiungono i casi di carceri costruite e mai utilizzate, il quadro si fa ancora più grigio. Sì, perché la situazione carceraria siciliana comprende anche dei casi incomprensibili di opere incompiute o finite e mai utilizzate. Alcune, addirittura, da decenni. È il caso, per esempio, del carcere di Villalba, nel nisseno. Una struttura completata alla fine degli anni Ottanta, costata 8 miliardi di lire e capace di ospitare 150 detenuti, ma mai aperta. Se non ad alcuni allevatori della zona che vi hanno portato le mucche a brucare l’erba cresciuta all’interno. E come non citare i casi di Gela, Noto e Favignana Spulciando i dati disponibili sugli istituti di pena in Sicilia, il primo elemento che salta agli occhi è quello del numero di detenuti presenti nelle carceri rispetto a quelli che potrebbero essere ospitati. Aspettando la costruzione dei 4 nuovi penitenziari: 2400 posti in più in due anni per una spesa di 195 milioni. Aspettando la costruzione dei quattro nuovi penitenziari, annunziata come imminente da Franco Ionta, commissario delegato del governo per il Piano carceri, e Caterina Chinnici, assessore per le Autonomie locali e la Funzione pubblica della Regione siciliana, la situazione all’interno degli istituti di pena siciliani si fa sempre più difficile. E pensare che il primo a parlare dei diritti di chi deve scontare la pena è stato, nel Settecento, proprio un siciliano, il palermitano Tommaso Natale. Sia l’assessore che il commissario provano a essere ottimisti. “Con l’intesa firmata nei giorni scorsi - dice Caterina Chinnici - prende il via un progetto che porterà in breve tempo a una diminuzione del sovraffollamento penitenziario in Sicilia. Un piano che punta a restituire dignità ai detenuti, in alcuni casi costretti a vivere in condizioni disumane e quindi a far sì che il periodo trascorso in carcere possa servire realmente a una rieducazione del recluso, così da accompagnarlo verso il successivo reinserimento nella società civile”. E il commissario aggiunge: “Il Piano carceri intende operare una transizione dall’emergenza cronica dovuta al sovraffollamento delle carceri alla stabilizzazione del sistema penitenziario. In quest’ottica, le opere di edilizia carceraria sono solo un tassello, pur indispensabile, dell’articolato piano del governo per risolvere l’emergenza. Le misure deflattive alla carcerazione, come la legge sui domiciliari entrata in vigore la scorsa settimana, e l’assunzione di 1.850 agenti di polizia penitenziaria nel 2011 sono le altre tessere che compongono il mosaico”. A distanza di secoli dai saggi di Tommaso Natale, però, è proprio la sua Sicilia a lamentare una delle condizioni più critiche: otto suicidi e 91 tentativi di suicidio dietro le sbarre solo nel 2010 ne solo il segno più evidente. “La situazione è oramai intollerabile” dice a gran voce Lino Buscemi, dirigente dell’Ufficio del Garante per i diritti dei detenuti della regione Sicilia. “Nell’isola vi è una situazione - afferma Buscemi - che lede principi costituzionali, l’ordinamento penitenziario e i regolamenti ove sono riportati parametri invalicabili affinché la detenzione sia rispettosa della dignità della persona”. Il problema del sovraffollamento tocca molte delle circa 30 carceri siciliane. Ed ognuna di esse consente alla Sicilia di occupare comodamente 11 secondo posto nella poco nobile classifica delle regioni con il più alto tasso di sovraffollamento. Un altro tema caldo è rappresentato dalla sanità penitenziaria. Anche in questo la Sicilia emerge negativamente essendo l’unica regione a statuto speciale a non aver ancora provveduto a dare attuazione alle disposizioni che trasferiscono le competenze della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. “Il vuoto attuale - afferma Lino Buscemi - rende difficile l’assistenza sanitaria e ospedaliera con quel che ne deriva in termini di tutela della salute per chi è privato della libertà personale”. Problemi burocratici, insomma, che hanno però delle conseguenze pesanti per i detenuti che necessitano di cure e interventi. I problemi delle strutture carcerarie siciliane, sono state segnalate in più occasioni. Ha fatto scalpore, per esempio, l’esposto presentato al Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura. Un lungo dossier che ha delineato un quadro impietoso di alcuni degli istituti siciliani quali l’Ucciardone di Palermo, il Piazza Lanza di Catania, il carcere di Gazzi di Messina e le carceri di Favignana, Marsala, Modica e Mistretta. Acqua razionata, celle super affollate, mancanza di ricambio d’aria, ratti, scarafaggi e tanto altro ancora. Un quadro desolante che si fa paradossale quando si pensa alle strutture carcerarie presenti sul territorio e mai utilizzate. E mentre si aspettano Ì4 nuovi penitenziari, altrettanti stanno invecchiando senza mai essere stati usati. Catania: la mamma di Carmelo Castro; troppi punti oscuri sulla sua morte Corriere della Sera, 19 gennaio 2011 Fu trovato morto il 28 marzo 2009 nella sua cella a Catania. La Procura ha riaperto le indagini sulla base di un corposo esposto presentato dalla famiglia del giovane. “Mio figlio non può essersi suicidato, non era in grado nemmeno di allacciarsi le scarpe da solo, figuriamoci attaccare un lenzuolo alla branda e impiccarsi”. La madre non crede al suicidio del figlio in carcere e invoca chiarezza. La vicenda è quella di Carmelo Castro, il giovane diciannovenne incensurato morto il 28 marzo del 2009 nel penitenziario di piazza Lanza, a Catania. Ci sono contorni oscuri della drammatica vicenda che lasciano presagire l’esistenza di un nuovo “caso Cucchi”. La madre del giovane, Grazia la Venia, supportata dalle associazioni “Antigone” e “A buon diritto”, e dal Garante per i diritti dei detenuti siciliani Salvo Fleres, ha ottenuto dalla Procura di Catania la riapertura delle indagini, a seguito della presentazione di un corposo esposto. Il 24 marzo del 2009 Carmelo Castro viene arrestato e portato prima nella caserma di Biancavilla, poi in quella di Paternò. L’accusa è quella di aver preso parte, insieme ad altre due persone, a una rapina nei confronti di un tabaccaio della zona. La madre e la sorella raggiungono Carmelo nella caserma di Paternò e sentono provenire dal piano di sopra le urla e i pianti del ragazzo. La sorella, quando Carmelo esce dal commissariato, vede il volto del fratello gonfio, come se fosse stato picchiato. A riprova di un probabile pestaggio c’è la foto scattata al giovane il 25 marzo, al momento di entrare nel carcere di Piazza Lanza. La foto mostra un gonfiore del viso diffuso. Il 28 marzo 2009, durante la mattina, quattro giorni aver varcato il portone del carcere, Carmelo Castro si sarebbe suicidato legando un lenzuolo allo spigolo del letto a castello. Il 27 luglio 2010 il giudice delle indagini preliminari, Alfredo Gari, ha disposto l’archiviazione del caso: Carmelo Castro è morto suicida in carcere. Ma molte sembrano essere secondo la famiglia del giovane, assistita dall’avvocato Vito Pirrone, le incongruenze e le colpevoli dimenticanze nel corso delle indagini. Nonostante il reparto Nicito, quello in cui si trovava Carmelo, sia a grandissima sorveglianza, monitorato 24 ore su 24 dalle telecamere, non sono state acquisite le videoregistrazioni relative a quel giorno. Inoltre, tutte le celle del carcere hanno un cancello e una porta blindata, che in quel reparto rimane sempre aperta. L’agente che ha ritrovato il corpo di Carmelo durante un consueto giro d’ispezione, ha affermato di aver aperto lo spioncino e di aver visto il ragazzo impiccato al letto. Appare, quindi, strano che l’agente affermi di aver aperto lo spioncino se la porta blindata è sempre aperta. Altrettanto improbabile appare il fatto che l’agente piuttosto che soccorrere e slegare il lenzuolo dal collo del ragazzo, abbia dato l’allarme e atteso l’arrivo del medico. Quest’ultimo ha dichiarato di aver trovato il detenuto in grave crisi cardiorespiratoria: il giovane è stato portato prima nell’infermeria del carcere e, successivamente in ospedale. Però per il trasporto del ragazzo all’ospedale Garibaldi è stata utilizzata una semplice auto di servizio. Le indagini, secondo l’associazione Antigone, non hanno dato molta rilevanza all’incongruenza dell’orario della morte in carcere e dell’arrivo in ospedale. Il referto dell’ospedale certifica l’arrivo del cadavere di Carmelo alle 12.30. Ciò significa che il ragazzo è arrivato già morto al pronto soccorso. Ma, secondo il medico del penitenziario, il corpo sarebbe stato trovato alle 12,35. Dall’esame autoptico sul cadavere sono state riscontrate strane ipostasi, cioè accumuli di sangue, sulla schiena e non agli arti inferiori come dovrebbe essere nel caso di una morte per impiccagione. Inoltre, il medico ha rilevato che il ragazzo aveva mangiato da poco. Appare inverosimile che un ragazzo che sta per suicidarsi decida di mangiare. Se Carmelo ha consumato il pasto, qualcuno deve averglielo portato. Ma la prima indagine non ha ritenuto necessario sentire il detenuto addetto alla consegna dei pasti, che verosimilmente dovrebbe essere l’ultima persona ad aver visto Carmelo in vita. L’associazione Antigone ha denunciato come il letto a castello nel reparto in cui era detenuto Carmelo era alto 1,70 cm, mentre il ragazzo era di cinque centimetri più alto. Inoltre, non sono stati sequestrati né la cella né il lenzuolo con cui Carmelo si è impiccato. Carmelo era incensurato e, come spesso accade, una “faccia pulita” fa sempre comodo alla malavita. Il giovane era da poco rientrato dalla Germania con la famiglia. Un ragazzo giovane e appetibile per la piccola criminalità del suo paesino. Alla psicologa del carcere aveva confessato di aver paura perché i suoi complici nella rapina lo avevano “minacciato e costretto a delinquere”. Anche ai carabinieri aveva fatto mettere a verbale le stesse preoccupazioni: “Da tempo vivo in una condizione di assoluta paura poiché a seguito dell’arresto di Vincenzo Pellegriti, detto “u chiovu”, molti dei soggetti pericolosi che lo stesso serviva hanno iniziato a pensare a me come il suo naturale successore. Tale scelta da parte di questi individui forse è stata dettata dal fatto che i medesimi vedevano nel sottoscritto un ragazzo che era rientrato dalla Germania e che quindi non aveva particolari legami con alcuno e contestualmente non era particolarmente in vista alle forze dell’ordine”. L’accusa ha chiesto al magistrato di acquisire le videoregistrazioni; di conoscere il nome del detenuto che ha distribuito il mangiare quel giorno; di conoscere e sentire i nomi dei detenuti che si trovano nelle celle vicine per vedere se hanno sentito qualcosa. Inoltre, dato che nel reparto di grandissima sorveglianza esiste un registro in cui si annotano tutti i movimenti dei detenuti, è stato richiesta anche l’acquisizione dello stesso. Sulla vicenda di Carmelo Castro, fino ad ora, sono state presentate tre interrogazioni parlamentari al Senato. La prima dal senatore e garante dei diritti dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres il 6 maggio 2010, la seconda dal senatore Felice Casson il 12 maggio 2010, la terza ancora dal senatore Fleres, il 15 settembre 2010. Nessuna, però, ha avuto risposta. Messina: una Comunità terapeutica esterna, per 15 internati dell’Opg di Barcellona di Saverio Vasta Gazzetta del Sud, 19 gennaio 2011 “Un’esperienza pilota che si preannuncia affascinante”. Il direttore dell’Opg Nunziante Rosania definisce così la nascitura Comunità terapeutica per soggetti in regime di proroga della misura di sicurezza “Carmen Salpietro”, nel corso della conferenza stampa di presentazione del progetto finanziato dalla Cassa delle Ammende. Per 15 internati in regime di proroga della misura di sicurezza entro fine mese inizierà una nuova avventura fuori dalle mura dell’Ospedale psichiatrico giudiziario. Una vita di comunità, autogestita, senza la presenza diretta degli agenti di polizia penitenziaria e con il coordinamento e il sostegno di un’equipe di operatori sociali e specialisti, alcuni dei quali appositamente convenzionati. Una realtà che sarà gestita dall’Opg, dal Dap, dal Dsm di Messina in collaborazione con il volontariato sociale e il Comune, e che farà parte del più ampio progetto “Luce e Libertà”, che si propone di favorire sul lungo periodo la de - istituzionalizzazione e l’inclusione socio - lavorativa stabile di decine di internati. La struttura di Oreto è dotata di cucina, soggiorno, camere dal letto e bagni, ed è circondata da un’ampia area con giardino. Nelle pertinenze saranno realizzati dei prefabbricati che consentiranno l’avvio di attività scolastiche e di formazione professionale. Il sindaco Candeloro Nania ha voluto fare la cronistoria dell’edificio messo a disposizione dal Comune e adattato alle esigenze del progetto. “Nel 2001 grazie alla segnalazione dell’assessore Santino Calderone riuscimmo a ottenere un finanziamento di 600.000 euro per una struttura destinata a soggetti con handicap. Individuammo quindi l’area e avviammo i lavori di costruzione. Venuti a conoscenza dell’esigenza di locali per un progetto pilota destinato ai ricoverati dell’Opg, si decise di concedere in uso la nuova struttura, che, in attesa dell’avvio del progetto, è stata opportunamente adattata anche con fondi comunali”. All’inaugurazione presenzierà il Ministro Alfano. Intanto all’Opg è ancora emergenza affollamento. I ricoverati sono 372, e le condizioni generali di salute psicofisica sono ben più gravi di quelle di una volta. Intanto la Regione, in vista del passaggio della sanità penitenziaria al SSN, sta valutando i costi di gestione che pare ammontino a circa 4 milioni di euro, una grossa fetta dei quali riguarda proprio l’Opg. A fine mese dovrebbe essere inaugurata in Lombardia una seconda struttura ricettiva con caratteristiche simili a quelle di Catiglione delle Stiviere, che dovrebbe contribuire a decongestionare il Madia accogliendo i ricoverati di quel bacino d’utenza. Piacenza: il carcere è sotto ghiaccio, caldaie rotte e forti disagi per detenuti e agenti Libertà, 19 gennaio 2011 La direttrice Caterina Zurlo: grandi difficoltà per tutti, detenuti e guardie. Lettere a Roma. “Ma servono centinaia di migliaia di euro”. Ancora sul carcere, stavolta non è il sovraffollamento a mordere, ma il gelo. Sono guaste due caldaie delle quattro in dotazione, come conferma la direttrice della casa circondariale Caterina Zurlo. Già in estate si sono sperimentati gli effetti delle rotture del sistema di riscaldamento che fornisce anche l’acqua calda per lavarsi, tuttavia è con i mesi invernali e con il freddo intenso delle ultime settimane che questa terribile condizione emerge in tutta la sua gravità, come ha segnalato un detenuto attraverso una lettera al nostro quotidiano, in particolare riferendosi alle docce gelide. “Ho letto quelle righe - commenta oggi con amarezza la direttrice - è vero che il disagio è grande, righe che riconducono però il problema ad una mia responsabilità diretta, magari avessi il potere di intervenire, ma qui si è di fronte ad una spesa di centinaia di migliaia di euro”. Così si va avanti a rattoppi, concordati a spanne con la ditta che fa manutenzione alle caldaie, i fondi per sistemare un impianto molto impegnativo collocato in un locale vasto, non arrivano. Né sono mancate sollecitazioni con lettere alla direzione regionale di Bologna e a quella ministeriale di Roma. Soprattutto la prima sembra sensibile al problema, aggiunge Zurlo, peraltro i detenuti si sono fatti sentire. Però denari non se ne vedono, segnali incoraggianti neppure. “Anche il sindaco Reggi si è mostrato molto attento ai problemi del carcere e ha scritto al ministro cercando di smuovere le cose” ricorda la direttrice. Il malessere è comune a tanti istituti penitenziari italiani per effetto di un’impietosa riduzione di fondi pubblici. Nel caso di Piacenza si parla di oltre cinquecento persone, fra detenuti che superano sempre le quattrocento unità, agenti e personale amministrativo, tenute in ostaggio da una situazione a dir poco kafkiana. E pensando a come ci si straccia le vesti per il freddo del nostro canile municipale e dei cagnetti che vi sono ospitati, stride inevitabilmente il contrasto con il silenzio verso una realtà umana già così provata. Se la stessa situazione si fosse verificata in un ospedale ci sarebbe stata una rivoluzione, e giustamente, invece il carcere sveglia assai meno il senso di una normale solidarietà, c’è un retrogusto di indifferenza verso chi ha commesso, o si presume abbia commesso, delle colpe sociali. Anche gli episodi di autolesionismo carcerario scivolano nel cono d’ombra della dimenticanza. C’è, fra i detenuti, chi richiama attenzione contro il degrado tagliandosi, chi sceglie la protesta pacifica, la battitura delle inferriate. La direzione manda lettere alle autorità superiori, non si muove nulla. L’acqua calda arriva a gocce, se e quando vuole, spesso manca la pressione, la temperatura degli ambienti è un vago tepore. Pensare ad un ampliamento per altri duecento posti - il progetto è nell’attuale piano - carceri - quando non si riesce a tenere dignitosamente l’esistente sembra davvero una beffa. Anche le coperte sono insufficienti Docce inadeguate, ma anche mille altri problemi di “abitabilità” per i detenuti a Piacenza. Per esempio piove dentro da più parti in questo istituto carcerario che non è affatto vecchio: fu inaugurato nel 1992. E così i computer nell’aula apposita devono essere salvaguardati ricoprendoli con sacchi neri per la spazzatura. Del freddo si è detto e persino le coperte sembrano poche rispetto ai bisogni, come sarebbe emerso dalle lamentele della sezione femminile. Questo ed altro per un edificio che avrebbe bisogno di manutenzione come un affamato ha bisogno di pane. Il tutto in un contesto di generale sovraffollamento già più volte denunciato. Di due giorni fa è la segnalazione della Uil Penitenziari che ha reso una mappa delle situazioni italiane più disastrate, mettendo il complesso degli istituti di pena regionali al secondo posto in Italia per eccesso di detenuti rispetto alla capienza, e Piacenza al primo posto in regione per tasso di affollamento (+138,2 per cento). Dati che la direttrice Caterina Zurlo non contesta, pur preferendo prendere in esame quelli forniti dal ministero della Giustizia da cui risulta che la casa circondariale di via delle No - vate non è prima ma terza in regione per eccesso di detenuti. Secondo queste stime, al 31 dicembre dello scorso anno nella nostra città si contavano 78 presenze in più rispetto alle possibilità di capienza, mentre a Bologna (prima in regione) se ne contavano 239 e a Rimini (seconda in graduatoria) 79. Ma forse si tratta di una diversità di dati dovuta ai numeri assoluti, non all’indice di sovraffollamento. Di fondo, c’è la necessità di trovare urgentemente mezzi e organici perché si possa ridare dignità alla struttura carceraria dove operano numerose forze di volontariato, e dove le attività di assistenza non mancano. Oltretutto Piacenza ha designato una figura di garante - nella persona del professor Alberto Gromi - che è sicuramente una scelta d’avanguardia e di vicinanza civica alla struttura carceraria. Venezia: l’altolà del Pd sul nuovo carcere; il partito da sconfiggere è quello del mattone Il Gazzettino, 19 gennaio 2011 “Ancor prima di discutere sulla necessità o meno di un carcere nuovo a Venezia, contestiamo il metodo con cui è stato di fatto “imposto”. Non basta stanziare 45 milioni di euro, che di fatto sono una enormità, e individuare una zona per una “struttura compatibile con la detenzione”. Non c’è stato e non c’è un ragionamento complessivo su una questione dall’impatto ambientale e sociale fortissimo”. Claudio Borghello, capogruppo a Cà Farsetti e segretario comunale Pd, affronta con determinazione quello che sarà l’unico punto all’ordine del giorno del Consiglio straordinario fissato per il prossimo lunedì. “Non si può e non si deve approcciare un argomento del genere senza tener conto di una serie di questioni legate a doppio filo. Dal un sistema legislativo che “riempie” le celle invece di adottare misure tese a svuotarle come ad esempio gli arresti domiciliari per chi è in attesa di giudizio, alla presentazione di un progetto complessivo che, dati alla mano, contempli insieme alla costruzione del penitenziario, locali e laboratori tesi al recupero e al reinserimento nella società civile dei detenuti”. Borghello affonda: “Si ha la sensazione se non la certezza che anche in questo caso specifico il partito più forte da sconfiggere sia quello del mattone e quindi della sperpero del denaro pubblico, al pari di tutte le emergenze o presunte tali, dichiarate dal Governo con tanto di commissario”. “L’ipotesi Campalto quale eventuale sito la rigettiamo e comunque qualsiasi sia l’alternativa, il Comune ha l’obbligo - continua Borghello - di chiedere e di chiedersi la destinazione, il futuro di Santa Maria Maggiore se la strada fosse quella della sua dismissione. Ora, checché se ne dica, è un’area produttiva e se viene smantellata e stop, l’unico effetto sarà quello di impoverire ancora di più il centro storico”. I rappresentanti del Partito democratico in consiglio comunale sono stati gli unici finora a incontrare il Sappe provinciale, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che si è inserito nel dibattito quale parte in causa, mai però interpellato, e che già si espresso per il “no” ad altre galere a Venezia. “Le proposte che ci hanno illustrato - conclude Borghello - sono in larga parte condivisibili. A cominciare dalla riattivazione della “casa del lavoro” alla Giudecca con laboratori per insegnare un mestiere, specie quelli che stanno scomparendo e che sono legati alla città, ai reclusi”. E su questo fronte il Sappe, con il segretario Filomeno Porcelluzzi, lancia una sfida alle organizzazioni di volontariato che portato lavoro dietro le sbarre: “Non limitiamoci a mere attività di assemblaggio che chiunque è in grado di svolgere. Puntiamo sul restauro dei mobili antichi o delle barche, “arti” che stanno scomparendo e di cui Venezia ha bisogno”. Cagliari: detenuto albanese torna in patria dopo 92 giorni di inutile detenzione Agenparl, 19 gennaio 2011 “Ha scontato 92 giorni di inutile detenzione, per la maggior parte nel carcere di Buoncammino, un giovane albanese nonostante il Magistrato di Sorveglianza avesse emesso il 15 ottobre scorso il decreto di espulsione in alternativa alla pena detentiva in gran parte scontata. Sono stati, infatti, necessari ben tre mesi perché le autorità diplomatiche albanesi attuassero il decreto della magistratura italiana. Inutilmente Adrian Bali, nato a Tirana il 31 luglio 1975 aveva effettuato lo sciopero per il rispetto del diritto a raggiungere la famiglia. Finalmente, ottenuto il nullaosta dal Consolato albanese, ha lasciato il carcere cagliaritano. Si è quindi conclusa positivamente un’altra situazione assurda e anacronistica”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme che, dopo aver ricevuto una drammatica lettera, ha incontrato diverse volte in carcere Adrian Bali. Il giovane non riusciva a rendersi conto del mancato rispetto del provvedimento del magistrato di sorveglianza del Tribunale di Genova dott. Stefano Grillo che gli consentiva di raggiungere la moglie e la figlia a Paskuqan alla periferia di Tirana Quello di Adrian Bali - sottolinea Caligaris - non è un caso isolato. Nei mesi scorsi analoga vicenda aveva avuto protagonista un cittadino tunisino che, pagato il debito con la giustizia italiana, aveva il diritto a tornare in patria come del resto decretato dalla magistratura di sorveglianza. Le autorità diplomatiche dei Paesi interessati non possono ignorare, con la motivazione del dubbio delle generalità, i provvedimenti della magistratura italiana. Oltre al danno per i cittadini interessati, costretti a rimanere ingiustamente in carcere, vi sono i costi del loro mantenimento a carico dell’amministrazione penitenziaria italiana e i disagi provocati, soprattutto per il sovraffollamento, dalla permanenza ingiustificata, in un Istituto di pena italiano. Non rendere immediatamente esecutivi i provvedimenti della Magistratura di Sorveglianza inoltre genera una debolezza nel sistema italiano in quanto sminuisce il suo importante ruolo. Trieste: caduto dal letto a castello, detenuto risarcito con 65mila euro Il Piccolo, 19 gennaio 2011 Detenuto cade dal letto a castello assegnatogli in carcere e lo Stato è costretto a risarcirlo con 65 mila euro. Il caso coinvolge il carcere del Coroneo e il “beneficiario” è l’ex detenuto Fulvio Chiautta. L’uomo originario di Duino ma residente vicino a Monfalcone, è di costituzione robusta: alto un metro e 90, pesa 104 chili. Da sempre appassionato di Harley Davidson, ha una menomazione alla mano destra. Dopo una prima lesione procuratagli nel ‘89 da un incidente stradale, negli ‘97 lavorando ha perso le falangi di tre dita. Già in quell’occasione ottenne un risarcimento. L’Inps gli ha riconosciuto un’invalidità del 56 per cento. Rinchiuso al Coroneo nel 2002 per spaccio di droga gli viene assegnata una branda al secondo piano di un letto a castello, quello che in termini carcerari viene definito il terzo piano. Una sera, salendo sul letto, scivola. La menomazione alla mano gli impedisce di aggrapparsi al sostegno in ferro e cade procurandosi la frattura della spalla destra. Oggi, 9 anni dopo l’incidente, il giudice Monica Pacilio del Tribunale di Trieste ha riconosciuto a Chiautta il diritto di risarcimento, pur addebitando alla struttura detentiva solo il 70 per cento della colpa. In pratica il ministero è stato corresponsabile del danno per non aver posto l’uomo nelle condizioni di evitare l’incidente. “Pronunce di questo tipo - riferisce Riccardo Cattarini, legale di Chiautta - fanno capire che siamo ancora in uno stato di diritto anche se la collettività stenta a comprendere. Questa è la prima causa italiana a stabilire che dal momento in cui uno entra in carcere, la struttura penitenziaria ha un dovere di protezione nei suoi confronti: abbiamo aperto una strada”. Secondo Cattarini in carcere vanno assicurati i diritti fondamentali, benché minimi, di una persona. “L’obiettivo centrale - aggiunge - deve essere una gestione razionale dei posti liberi e dei detenuti. Se non ci sono le condizioni idonee ad ospitare una persona vanno applicate misure detentive alternative: le conseguenze saranno che i risarcimenti a carico del ministero e dunque della collettività aumenteranno”. Allo Stato spetta anche il pagamento anche delle spese legali. “Le decisioni dei giudici devono venire sempre rispettate - commenta Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste - ma le condizioni nelle quali noi siamo costretti ad operare non ci permettono di attuare quello che in teoria sembra semplice. Anzi, - precisa - vista l’altezza e la mole della persona in questione, pensavamo gli fosse più agevole stare su un posto letto rialzato”. Il Coroneo scoppia, in più casi i detenuti per mancanza di posti letto sono costretti a dormire su dei materassi che durante il giorno vengono alzati e appoggiati al muro per permettere ai carcerati di muoversi nella cella. Alcuni in questo modo non godono nemmeno di un posto letto dove sedersi, dove pensare, dove starsene con se stessi nel corso della giornata. Prigionia nella prigionia. In una situazione come questa, quando un nuovo detenuto viene accompagnato in carcere magari durante la notte, non c’è la possibilità di scegliere se farlo prendere posto in questa o quella branda. È impensabile, con i labili equilibri della popolazione carceraria, chiedere a un detenuto di spostarsi di branda o di cella. Un posto letto non vale l’altro. Nel 2002, durante la detenzione di Chiautta, la casa circondariale era in piena ristrutturazione e i posti letto ulteriormente ridotti. “Gli operatori penitenziari fanno quel che possono per andare incontro alle esigenze delle persone - sottolinea Sbriglia - e non c’è persona detenuta che non sia portatrice di problemi e di disagi, spesso psichici e non di rado fisici. Abbiamo avuto detenuti malati di Sla, in carrozzella, senza gambe, cardiopatici, emodializzati oltre ai “consueti” malati di epatite di hiv o sieropositivi”. Teramo: assolto il detenuto per l’alterco da cui scattò un’inchiesta contro gli agenti Il Messaggero, 19 gennaio 2011 Dall’audio shock che fece scoppiare il caso Castrogno al processo contro il presunto detenuto violento. Ieri quel detenuto, Mario Lombardi, finito davanti al giudice monocratico per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali nei confronti di un agente di Polizia penitenziaria, è stato assolto in primo grado perché il fatto non sussiste. Ad accusarlo un agente del penitenziario teramano secondo il quale Lombardi lo aggredì il 22 settembre del 2009. Ma l’agente non si limitò ad immobilizzare il detenuto dopo un battibecco nato tra i due in carcere. “Il detenuto reagì e nacque una vera e propria colluttazione - raccontò in aula un teste, collega della parte offesa. A quel punto intervenimmo per separarli”. Ma quale fu il motivo scatenante? “Dalla mia posizione non sentivo bene - riferì sempre in aula - . Però ricordo il collega urlare verso Lombardi prima di prendere il pugno e chiedergli “che ti è successo? Che stai facendo?”“ In carcere per reati di droga, Lombardi dopo l’episodio registrato nel cd che fece scoppiare il caso Castrogno (e che risalirebbe proprio a quel 22 settembre 2009) avrebbe avuto paura a denunciare i fatti per timore di non essere creduto. Quel mattino un litigio finito alle mani tra lui e una guardia ci fu. Per l’accusa si sarebbe trattato di resistenza a pubblico ufficiale. E a quanto pare sarebbe stato proprio quello il motivo “scatenante”, ciò che spinse i colleghi della guardia, più tardi, a far capire al detenuto come ci si dovrebbe comportare in carcere. Con un errore: “...C’è stato il negro che ha visto tutto...” (Uzoma Emeka, poi deceduto). Ma dalla Procura è stata chiesta l’archiviazione per il cosiddetto caso Castrogno e ora sono state disposte nuove indagini dopo l’opposizione. Perugia: nel carcere di Capanne detenuto aggredisce agente con una lametta La Nazione, 19 gennaio 2011 Avrebbe aggredito un agente della polizia penitenziaria colpendolo con una serie di pugni sulla testa e sulle spalle, cercando anche di sfregiarlo con una lametta. L’episodio, riportato dal Corriere dell’Umbria, si sarebbe verificato lunedì pomeriggio nel Carcere di Capanne. Protagonista un detenuto africano che, rientrando dall’ora d’aria, si sarebbe scagliato contro l’agente colpendolo ripetutamente. Poi avrebbe estratto dalla bocca una lametta, con la quale avrebbe cercato di ferire il poliziotto e ci sarebbe forse riuscito se non fosse intervenuto un collega a difenderlo. L’episodio fa seguito a una serie di altri, denunciati a più riprese dai sindacati di polizia penitenziaria. Degli episodi di violenza a Capanne si sono occupati anche i Radicali, che hanno presentato un’interrogazione parlamentare a firma Rita Bernardini. Napoli: seconda edizione del Progetto Jonathan Vela per i minori dell’area penale Ristretti Orizzonti, 19 gennaio 2011 Firmato in mattinata, al Circolo Savoia di Napoli, il protocollo d’intesa che dà il via alla seconda edizione del “Progetto Jonathan Vela”. Finalità dell’iniziativa è preparare i ragazzi selezionati, minori e giovani adolescenti dell’area penale, a lavorare in squadra a un obiettivo comune e, quindi, a gareggiare nella Regata dei Tre Golfi. L’equipaggio, composto da 5 ragazzi, sarà seguito da un team di esperti formato da uno skipper professionista e da due tutor dell’Associazione Jonathan. I giovani saranno impegnati per 4 mesi in un percorso di apprendimento tecnico e di preparazione fisica e psicologico - comportamentale. Importanti gli attori istituzionali e del mondo dell’impresa coinvolti a vario titolo dall’Associazione Jonathan Onlus, che cura la regia: il Centro per la Giustizia Minorile della Campania, il Reale Yacht Club Circolo Canottieri Savoia, Indesit Company S.p.A., l’Università Telematica Pegaso e l’Hotel Terme di Agnano. Giunto alla sua seconda edizione, il Progetto è un programma educativo che, attraverso la vela, offre ai ragazzi la possibilità di costruirsi un’identità adulta intorno a tre parole chiave: disciplina, rispetto delle regole e rispetto dell’altro. Infatti, compito dei giovani skipper sarà quello di formare un gruppo in grado sia di riconoscere l’interdipendenza dei suoi membri che di accettare regole, gerarchie e ruoli come risorsa indispensabile per la sicurezza del gruppo e per il raggiungimento dell’obiettivo. Anche quest’anno, l’auspicio degli organizzatori è confermare il valore formativo della vela nei programmi educativi per minori dell’area penale e, al contempo, mettere a sistema il modello pedagogico inaugurato lo scorso anno. Il Progetto Jonathan Vela rappresenta un’importante variante del Progetto Jonathan attivo dal 1998 nel recupero di ragazzi con problemi sociali e penali anche gravi. “Il progetto velico si inserisce nell’ottica di una ricerca di strumenti innovativi per educare i ragazzi al rispetto dell’altro e alla fiducia reciproca”, ha dichiarato Silvia Ricciardi, Presidente dell’Associazione Jonathan Onlus. “Ringrazio di cuore coloro che hanno voluto salire a bordo”. Pordenone: artisti dietro le sbarre; “A mani libere” porta l’energia positiva in cella Il Gazzettino, 19 gennaio 2011 Che cosa si fa in carcere? Per il direttore Alberto Quagliotto “si cerca di offrire opportunità per recuperare il senso della persona”. La scorsa estate, uno dei periodi più difficili per chi è detenuto, circa metà degli ospiti della Casa circondariale di Pordenone ci ha provato attraverso il progetto “A mani libere”, sostenuto dal Comune e dall’Ambito distrettuale urbano. Il risultato è l’omonima mostra inaugurata ieri in una sala del Museo di storia naturale. Nel progetto sono stati coinvolti 42 detenuti, divisi in tre gruppi. La scelta è caduta su quelli destinati a trascorrere più tempo nella Casa circondariale di Pordenone. Di questi 27 sono ancora reclusi, sette scarcerati e otto trasferiti. Dei 42 partecipanti, 17 sono stranieri, originari perlopiù del Centro Europa e dell’area maghrebina, oltre a un senegalese e a un argentino. La loro età è compresa fra i 21 e i 58 anni, ma con una decisa prevalenza dei giovani sotto i 32 anni. A tutti è stato narrato un episodio storico legato al Castello oggi trasformato in carcere, che ospitò nel 1452 il Sacro romano imperatore Federico III e la consorte Eleonora del Portogallo. Da lì, sotto la guida di Manuela Caretta, i detenuti hanno lavorato a figure, oggetti e gioielli in ceramica con i quali hanno rappresentato l’evento e, più in generale, il periodo storico. Tutti hanno portato a termine il compito. A testimonianza del loro lavoro, anche gli scatti del fotografo Gianni Pignat. “Un’iniziativa come questa - commenta il vescovo Ovidio Poletto - evidenzia l’importanza di attivare dentro le persone energie positive. Vorrei che questa mostra avesse anche un’eco in città, affinché il carcere sia vissuto come una realtà che fa parte del tessuto della città”. Le opere, in mostra fino al 30 gennaio da martedì a sabato dalle 15 alle 19 e la domenica anche dalle 10.30 alle 13, saranno poi acquistabili. Siracusa: il reinserimento passa anche dal teatro Gazzetta del Sud, 19 gennaio 2011 Anche su un palcoscenico si può fare reinserimento sociale. Andrà in scena oggi, nella casa di reclusione di Brucoli, la replica de “La patente”, di Luigi Pirandello, frutto del lavoro realizzato con i detenuti che partecipano al progetto “Teatro in carcere”. Lo spettacolo, già messo in scena nei giorni scorsi, è riservato alle famiglie dei detenuti ed è congiunto all’esibizione della corale polifonica. Il progetto è stato promosso dalla Biblioteca comunale, per volontà della dirigente del settore Politiche culturali Rosaria Garufi e della direttrice Annamaria Reale, in accordo con il sindaco Roberto Visentin e l’assessore al ramo Mariella Muti. L’iniziativa è parte di un progetto portato avanti con il direttore della casa di reclusione, Antonio Gelardi, che apre al territorio la vocazione propria della biblioteca di produrre e diffondere le pratiche legate alla creazione culturale e, nello specifico, alla lettura. “La collaborazione con il carcere - si legge in una nota del Comune - rappresenta un fiore all’occhiello perché porta la cultura, con tutte le sue derivazioni, non solo sul territorio ma anche in quella parte di territorio “svantaggiato”. Dubai: italiano arrestato per possesso di “ansiolitici”, interviene lo Sportello dei Diritti Ansa, 19 gennaio 2011 “Siamo preoccupati per la vicenda del poliziotto leccese arrestato all’aeroporto di Dubai perché trovato in possesso di ansiolitici utilizzati per curarsi”. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” dopo aver appreso della notizia rimbalzata sulle cronache locali. “Siamo preoccupati perché le informazioni sin qui fornite sono scarsissime e non si comprende perché sino ad oggi non si abbiano ulteriori notizie su di un nostro connazionale che sarebbe “colpevole” della circostanza di dovere alleviare alcuni episodi di crisi depressive con farmaci assolutamente legali in Italia ed in Europa ed oggi già da oltre un mese detenuto nel paese arabo con il rischio di una pesantissima condanna”. Lo “Sportello” ha da sempre rispettato le leggi e le credenze degli altri paesi e popoli, ma riteniamo che la vicenda stia assumendo dei contorni surreali che devono essere immediatamente chiariti se effettivamente al nostro concittadino è stato concesso di curarsi in carcere proprio con quegli ansiolitici che gli sono costati l’arresto. Per queste ragioni ci siamo subito attivati anche per il tramite dell’onorevole pugliese Pierfelice Zazzera al fine di verificare presso il Ministero degli Esteri ed il Ministero di Giustizia se nel caso in questione si stiano rispettando i diritti umani ribaditi anche dalle convenzioni internazionali e la possibilità di estradizione del cittadino. Cuba: italiano in carcere accusato di omicidio, il caso in Parlamento Il Gazzettino, 19 gennaio 2011 Il caso del vicentino Luigi Sartorio, che si trova da alcuni mesi in un carcere di Cuba, finisce in Parlamento. A lanciare ieri un appello al ministro degli Esteri Franco Frattini, la deputata del Pd Daniela Sbrollini: che, subito dopo l’approvazione di una mozione unitaria che impegna il governo a percorrere tutte le strade possibili per ottenere l’estradizione di Cesare Battisti, ha preso la parola nell’aula di Montecitorio per chiedere l’interessamento di Frattini rispetto alla vicenda che vede coinvolto l’ottico vicentino. “Lancio un appello al ministro per conoscere - dice Sbrollini - le condizioni di salute ed umanitarie del nostro connazionale detenuto da sei mesi in un carcere cubano di massima sicurezza”. E aggiunge: “Non entro qui nel merito della vicenda giudiziaria, anche se ci sono dei documenti che sembrano dimostrare la sua innocenza”. C’è, ad esempio, la testimonianza del suo avvocato che conferma la presenza di Sartorio nel suo studio di Vicenza lo scorso 14 maggio: cioè nel giorno in cui sarebbe avvenuto l’omicidio del quale è accusato. “Chiedo - riprende Sbrollini - che il ministro Frattini possa seguire direttamente la vicenda, soprattutto dal punto di vista umanitario. Il signor Sartorio scrive infatti alla sua famiglia di violenze subite in questi mesi nel carcere in cui è detenuto. Ecco, chiedo che il nostro connazionale sia messo nelle condizioni di difendersi e di essere trattato nel rispetto della sua persona. Facendo anche al più presto chiarezza rispetto alla vicenda nella quale è coinvolto, che come detto presenta molti lati oscuri”. Stati Uniti: una nuova denuncia; Carlo Parlanti perseguitato in cella Il Tirreno, 19 gennaio 2011 Cambia struttura detentiva e offre materia per una nuova interrogazione parlamentare, Carlo Parlanti, il manager informatico di 46 anni, condannato a 9 anni per stupro e dal 2005 detenuto in una prigione della California. A chiedere conto al ministro di Grazia e Giustizia, Franco Frattini, delle condizioni del montecatinese che sarebbe perseguitato da due guardie, è stato il parlamente del Pdl, Marco Zacchera. “Più volte - afferma l’esponente della maggioranza - ho avuto modo di occuparmi di Parlanti che ho avuto modo di visitare anche nell’istituto penitenziario californiano dove è detenuto”. Zacchera, anche presidente del Comitato sugli italiani nel mondo della Camera, conferma che il detenuto è stato di recente trasferito in una nuova struttura pur sempre nello stesso carcere. “Si sono moltiplicati sul “caso Parlanti” libri, appelli, interventi di associazioni, e altro tutti tesi a dimostrare l’iniquità di come si sia giunti alla condanna del nostro connazionale” aggiunge il parlamentare che chiede di sapere “se - anche alla luce di questi fatti più recenti - siano stati avviati o proseguiti contatti con le autorità Usa al fine di meglio valutare la posizione processuale del detenuto e se prosegua l’interessamento consolare a Carlo Parlanti e quali siano le attuali condizioni del condannato”. Parlanti è detenuto da quasi 6 anni nel carcere di Avenal, in California. Il 4 Luglio del 2004 venne arrestato dalla polizia tedesca all’aeroporto di Duesseldorf con l’accusa di aver picchiato, legato e stuprato la sua ex convivente Rebecca Mckay White negli Stati Uniti. Il 3 giugno 2005 fu estradato e mandato a Ventura, in California. “Le prove a suo carico sono pressoché inesistenti, ciononostante è stato processato e condannato dalla corte a nove anni - dicono all’associazione “Prigionieri del silenzio”. Parlanti, dopo aver contratto nella prigione californiana l’epatite C per la quale non viene curato, e dopo aver subito diverse umiliazioni, ad un anno e un mese dal suo rilascio continua ad urlare la sua innocenza inascoltato da chi dovrebbe fare chiarezza in questa situazione a dir poco scandalosa e criminale. Negli ultimi anni è stato perseguitato da due guardie addette allo stabile in cui risiedeva sino a due mesi fa, il 310. Dopo varie richieste, ma soprattutto con l’aiuto di altri detenuti e di alcune guardie più “umane” è stato spostato nello stabile 330. Da qualche giorno siamo venuti a sapere che le due guardie che lo hanno perseguitato per più di due anni, hanno fatto richiesta di trasferimento nello stabile 330, dove ora c’è Parlanti”. Tunisia: 1.700 detenuti evasi dal carcere di Chebba Ansa, 19 gennaio 2011 Sono 1.700 i detenuti evasi dal carcere di Chebba, località sulla costa centrale della Tunisia, secondo quanto riporta la stampa locale. Le guardie carcerarie avrebbero tentato di bloccarli facendo uso delle armi, uccidendo alcuni rivoltosi. Sempre secondo la stampa, si tratterebbe di detenuti per reati comuni residenti, nella maggior parte, in località vicine. Molti di loro, proclamandosi innocenti, si sarebbero posti a disposizione dei gruppi di cittadini che hanno costituito ronde e posti di blocco a difesa dei loro villaggi. Corea Nord: 154mila prigionieri politici in 6 campi di rieducazione e internamento Ansa, 19 gennaio 2011 Sono circa 154.000 i nordcoreani attualmente tenuti prigionieri per crimini politici, divisi in un centro di “rieducazione” e cinque campi di internamento sparsi nel Paese, sebbene il regime di Pyongyang continui a negare l’esistenza dei siti. Sono le ultime stime pubblicate dal quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, che oggi cita i dati forniti in via ufficiosa da una fonte del governo di Seul, secondo cui il numero di detenuti risulta sensibilmente più basso delle 200.000 unità calcolate un anno fa dalla Commissione nazionale per i diritti umani. ‘La Corea del Nord un tempo gestiva 10 strutture di questo tipo - spiega la fonte - , ma pare averne chiuse quattro in prossimità del confine con la Cina intorno al 1990, in seguito all’attenzione posta sul problema dalle organizzazioni internazionali in difesa dei diritti umanì. Tra le strutture di detenzione confermate attive figura il famigerato ‘campo numero 15’ di Yodok, l’unico centro di “rieducazione” del Paese, dove sarebbe incarcerato il blasonato ricercatore nucleare Kim So - in, accusato di spionaggio insieme al padre per la consegna di documenti top secret a un soggetto straniero. Gli altri cinque siti, invece, sarebbero veri e propri campi di concentramento da cui è improbabile uscire vivi: tra questi viene menzionato anche il ‘campo numero 14’ di Kaechon, dove, secondo informazioni riportate lo scorso anno da un’associazione di nordcoreani fuggiti nel Sud, sarebbero internate circa 3.000 persone, 1.200 delle quali con l’accusa di aver visionato clandestinamente programmi della tv sudcoreana. Iran: nuove condanne a morte, al patibolo 10 trafficanti di droga Aki, 19 gennaio 2011 Nuova condanna a morte in Iran: dieci trafficanti di droga detenuti in in carcere vicino Teheran sono stati impiccati a Rajaei Shahr Ten, dopo la conferma della pena capitale da parte della Corte Suprema. Lo riferisce l’emittente Irib. Omicidio, stupro, furto armato e traffico di droga sono tra i crimini per i quali la Repubblica Islamica prevede la pena di morte. Palestina: Ministro dei Detenuti chiede Commissione d’indagine su morte di 52 prigionieri www.infopal.org, 19 gennaio 2011 Il ministro per gli Affari dei detenuti palestinesi della Striscia di Gaza, ha chiesto alle organizzazioni per i diritti umani e alla Croce rossa internazionale (Icrc), l’istituzione di una Commissione d’indagine per fare luce sulla morte di 52 detenuti palestinesi all’interno delle prigioni dello Stato di Israele. In tutti questi casi, le vittime versavano in gravi condizioni di salute e si sospetta negligenza medica deliberata. Tentato assassinio fallito. Dopo la notizia diffusa ieri, 18 gennaio, oggi il ministro rivela l’identità del detenuto palestinese sul quale, lo Shin Bet (l’Intelligence generale israeliana) - con la complicità dell’amministrazione penitenziaria - avrebbe tentato un avvelenamento fatale. Si tratta di Haitham ‘Ezzat ‘Abdallah di Ramallah, detenuto ad Eshel. Alcuni precedenti. Insieme al caso di Haitham, il ministro ha fatto luce pure su numerosi fatti che l’anno preceduto e mai chiariti, in cui gli ufficiali carcerari israeliani hanno tentato di assassinare deliberatamente detenuti palestinesi: in maniera diretta (tortura) o lasciandoli morire lentamente (negligenza medica deliberata). “Se non è per la diretta somministrazione di droghe, la salute dei detenuti si aggrava per aver ingerito farmaci scaduti”. Si ricordano: la storia di Fayez az - Zaidaat, di al - Khalil (Hebron), deceduto a sei mesi dalla sua liberazione per un cancro al pancreas di cui si era ammalato in detenzione, le cause misteriose della morte di Mahran Rajab, ex detenuto di Tulkarem, anch’egli deceduto a pochi mesi dal suo rilascio e il destino di Murad Abu Sakout, morto in prigione per cancro. Molto grave il caso della prigioniera palestinese Fatima az - Zak, detenuta da Israele in stato interessante, alla quale gli ufficiali carcerari avrebbero causato - intenzionalmente - l’aborto, somministrandole farmaci non adatti al suo stato. Il ministro ha aggiunto: “Di proposito, i medici impiegati nelle prigioni israeliane utilizzano sui detenuti palestinesi medicinali che procurano infezioni gravi, e soprattutto, fatali”. “Sono tutti fatti che dimostrano il disprezzo delle autorità israeliane per la vita del popolo palestinese e, all’attuale stato della casistica, non si può restare inermi”. L’allarme lanciato dal ministro. In conclusione, il ministro ha chiesto che detenuti e prigionieri palestinesi ricevano una protezione internazionale, domandando che si aprano le celle alle visite mediche e che le autorità carcerarie israeliane mettano loro a disposizione i farmaci utilizzati nelle prigioni, perché possano visionarli e accertarsi della loro liceità. Si ricordano le patologie maggiormente diffuse tra i detenuti e i prigionieri palestinesi sofferenti e malati quali: cancro, insufficienza renale, diabete e altre gravi patologie. Oggi intanto, i prigionieri detenuti ad Eshel hanno dichiarato lo sciopero della fame contro l’ultimo tentativo di assassinio, ai danni di Haitham.