L’Università garantisce il diritto dei detenuti allo studio Il Mattino di Padova, 18 gennaio 2011 Il progetto del polo universitario in carcere, attivo nella la Casa di reclusione di Padova, comprende una sessantina di detenuti iscritti all’Università. Con un protocollo d’intesa siglato tra Università e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ai detenuti del Triveneto è offerta la possibilità di fruire effettivamente di una serie di servizi, cui la condizione detentiva ostacolerebbe l’accesso. Se la formale iscrizione all’Università rimane un diritto di tutti, solo grazie al progetto del polo è possibile per molti detenuti partecipare all’obbligatorio test di ingresso alle diverse facoltà e, una volta ammessi, essere affiancati da un tutor, fruire di corsi di sostegno e sostenere gli esami. Tutto ciò è reso possibile, oltre che dall’impegno assunto dall’Università e dalla direzione del carcere, dalla disponibilità dei volontari che, quotidianamente sostengono gli studenti detenuti dal punto di vista materiale e psicologico. Una dozzina di studenti, selezionati in base ai risultati negli studi e alle esigenze della sicurezza interna, hanno la possibilità di risiedere in una sezione separata, appositamente istituita, che consente loro lo studio in condizioni più idonee, contatti più frequenti con docenti e volontari e un limitato accesso a internet. Il progetto del polo comprende però tutti gli iscritti all’Università e i risultati, generalmente buoni, sono stati a volte sorprendenti: negli ultimi anni, alcune lauree triennali e una magistrale regolarmente raggiunte, ma soprattutto la riscoperta dello studio come risorsa e opportunità. Studiare per dare un senso alla pena e alla riabilitazione La scommessa che stiamo facendo con il progetto del polo universitario è se possa esistere, pur in condizioni di detenzione, uno spazio effettivo di tutela dei diritti del detenuto in quanto studente. È evidente che l’offerta di concrete opportunità di studio è in grado di rientrare perfettamente nella definizione di un percorso individualizzato di rieducazione, così come richiesto dall’ordinamento penitenziario. Così come è ovvio l’auspicio di tutti che l’impegno rivolto allo studio possa integrarsi con altri importanti veicoli della riabilitazione, quali quelli costituiti da ulteriori opportunità formative, da importanti iniziative culturali o da eventuali possibilità lavorative. Ciò nonostante, il servizio offerto dall’Università è prima di tutto un servizio agli studenti che vuole strutturarsi, per quanto possibile, in modo indipendente dalle necessarie valutazioni che altri sono tenuti a svolgere sulle caratteristiche personali e giudiziarie delle persone recluse. La scommessa è quindi che possa instaurarsi uno spazio, per quanto minimo, in cui la persona torni ad essere titolare effettiva di diritti (allo studio) e di doveri (lo studio), senza che le considerazioni relative alla pericolosità, alla sicurezza, alla rieducazione, che tanto peso hanno sulla vita detentiva, possano incidervi pesantemente. Nell’attuale situazione di sovraffollamento, ciò può significare pretendere una preparazione adeguata da persone che spesso sono costrette a studiare di notte o in bagno o in situazioni di forte promiscuità; ma significa al contempo garantire, invece che semplicemente concedere, una serie di servizi essenziali. Se è evidente che non possiamo essere ciechi di fronte alle tante difficoltà dello studente detenuto, né d’altro canto di fronte alle esigenze della sicurezza, rimane che lo studio può davvero costituire un’opportunità per ritrovare un limitato spazio di libertà, e per ciò stesso di responsabilità, solo nella misura in cui viene sottratto alle dinamiche della detenzione, spesso caratterizzate dal prevalere di logiche di concessione e dimensioni di incertezza. Francesca Vianello Docente Sociologia devianza, responsabile attività universitarie in carcere La laurea, un traguardo per affrontare la vita fuori Con la mia laurea finalmente ho dato ai miei cari qualcosa per essere orgogliosi di me. Se quando ero ragazzo mi avessero detto che mi sarei laureato in filosofia, avrei fatto una risata dicendo che era pura follia. Per me lo studio era fonte di noia, di lunghe sedute sui banchi ad ascoltare professori che parlavano di cose lontane dalla mia idea della vita e da tutto ciò che allora mi allettava. Preferivo bighellonare per la città, vivere di espedienti e corteggiare ragazze... tanto che per concludere le medie ci ho messo più anni del dovuto. Quando sono finito in carcere, mi sono accorto di quante lacune avevo, non tanto perché le mie conoscenze scolastiche erano limitate, ma proprio per la difficoltà di conversare, di confrontarmi con opinioni diverse; a causa di queste difficoltà, spesso e volentieri le dispute verbali sfociavano in veri e propri scontri fisici. Tanto che, specialmente nel primo periodo della mia carcerazione, venivo trasferito da un carcere all’altro, perché ritenuto facile alla collera e con un temperamento impulsivo. Col tempo, ho incominciato ad avvicinarmi allo studio, da principio frequentando corsi di scrittura e lettura, poi iscrivendomi alle superiori, fino a conseguire il diploma. Man mano che prendevo confidenza con lo studio mi accorgevo che anche le conversazioni erano più ricche, gli interessi non si limitavano a discorsi sul calcio, sui processi o sulle donne, ma mi permettevano anche di parlare di letteratura, di storia e di comprendere che quando si ha la capacità di esprimersi si ha anche la possibilità di farsi capire, si ha la forza di far valere le proprie ragioni senza eccedere, senza arrivare all’offesa o alle mani. Questo nuovo modo di vedere mi stimolava, capivo che attraverso lo studio potevo conoscere persone interessanti, che avevano qualcosa da dire e da dare a livello umano. Così mi sono iscritto a Lettere e Filosofia, fino a conseguire la laurea. Al di la del fatto che questo traguardo per me è stato molto importante, sia a livello personale, perché ho capito che sono in grado di fare qualcosa di positivo, sia per le persone che mi sono care, alle quali finalmente ho dato qualcosa di cui essere orgogliose, credo che lo studio mi abbia fornito gli strumenti per poter affrontare la vita fuori dal carcere con maggiori possibilità, per non ricadere negli errori che mi hanno portato qui. Sandro Calderoni Giustizia: Corte di Strasburgo; l’Italia riveda le norme sul voto ai condannati Ansa, 18 gennaio 2011 L’Italia non può togliere automaticamente il diritto di voto ai condannati, così come prevede oggi la normativa (dpr 223/1967) nell’ambito dell’interdizione dai pubblici uffici per pene superiori ai cinque anni. Lo ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza emessa per la causa intentata da Franco Scoppola contro Italia. Nella sentenza i giudici di Strasburgo hanno sottolineato che un divieto generalizzato del diritto di voto per i detenuti e i condannati costituisce un’automatica e indiscriminata restrizione di un diritto di importanza vitale e che quindi questa misura cade al di fuori dei margini di manovra consentiti a uno Stato, per quanto ampi questi possano essere. Secondo la Corte la decisione di togliere il diritto di voto dovrebbe essere presa caso per caso e motivata. La sentenza diventerà definitiva solo tra 3 mesi e il governo o il ricorrente hanno ancora la possibilità di presentare ricorso. Ma non è la prima volta che i giudici di Strasburgo intervengono su questa materia. Nel 2005 la Grande Camera della Corte ha condannato la Gran Bretagna per lo stesso motivo e ora Londra sta modificando la sua normativa in materia di voto ai condannati. Questa è la terza volta che Franco Scoppola - giudicato colpevole dell’omicidio di sua moglie e del ferimento dei due figli - si rivolge alla Corte e vince. Con il primo ricorso fece condannare l’Italia per le condizioni inumane della sua detenzione a Regina Coeli, mentre con il secondo è riuscito a far commutare il suo ergastolo in 30 anni di prigione. Giustizia: ex Caro del Dap Amato; il 41-bis per molti anni fu inutile Agi, 18 gennaio 2011 "Il 41-bis così come è stato usato per anni è sostanzialmente inutile". Ad affermarlo, davanti alla Commissione parlamentare antimafia, è Nicolò Amato, direttore del Dap dall'83 al '93. "Un esempio? I colloqui. Il 41bis nel limitava il numero e ne riduceva la durata: dobbiamo continuare a prenderci in giro dicendo che questo basta davvero a tagliare i collegamenti tra l'interno e l'esterno delle carceri? Ben altro risultato si sarebbe raggiunto prevedendo per legge che quei colloqui venissero registrati, come io proponevo nell'appunto del 6 marzo del 1993 diretto al ministro della Giustizia: se fosse stato fatto davvero, quante comunicazioni, e quanti delitti, sarebbero stati evitati?". "In quell'appunto - ricorda Amato - mi limitavo ad affermare cio' che ho sempre pensato. Proponevo una condizione carceraria per i detenuti mafiosi ancora più dura e rigorosa di quella prevista dal 41-bis, solo un po' più intelligente, efficace e corretta dal punto di vista giuridico: ho sempre creduto che il 41-bis, come prima l'articolo 90 (pensato per i terroristi e i cosiddetti "killer delle carceri", ndr) fosse uno strumento eccezionale, cui era giusto ricorrere nell'immediatezza delle stragi, e che trasformarlo in un istituto ordinario significasse calpestare la Costituzione e le regole minime dell'Onu e del Consiglio d'Europa". "Perchè, ne sono convinto - conclude - la sicurezza del carcere non dipende dalla durezza della condizione carceraria ma da una organizzazione razionale, dalla professionalità del personale di custodia, dal rispetto dei criteri fondamentali di umanità". Giustizia: al Senato oggi discussa Mozione sull’estradizione di Cesare Battisti www.senato.it, 18 gennaio 2011 Mozione sull’estradizione di Cesare Battisti. Presentata dagli On. Gasparri, Finocchiaro, Bricolo, D’Alia, Pistorio, Belisario, Viespoli, Quagliariello, Berselli, Tonini, Russo. Il Senato, premesso che: il cittadino italiano Cesare Battisti è stato condannato all’ergastolo con sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano del 1988 (definitiva in Cassazione nel 1993), per omicidio plurimo, oltre che per i reati di banda armata, rapina e detenzione di armi; complessivamente ben sette processi e ventiquattro giudici italiani ne hanno stabilito la colpevolezza; sottrattosi alla giustizia italiana e rifugiatosi in Francia, Battisti è stato tratto in arresto l’11 febbraio 2004 in esecuzione di una richiesta di estradizione avanzata dalla giustizia italiana, ma non appena le autorità francesi si sono pronunciate in senso favorevole all’estradizione, egli si è reso latitante; nel 2006 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Battisti contro il provvedimento di estradizione concesso dalla Francia, stabilendo, tra l’altro, che i giudici italiani avevano perfettamente rispettato gli standard europei (quanto a diritto d’accesso e informazioni sul procedimento, diritti della difesa); sulla base delle richieste sia italiana che francese, il 18 marzo 2007 Battisti è stato arrestato a Rio de Janeiro, ed il 24 marzo dello stesso anno l’Italia ne ha richiesto l’estradizione; il 13 gennaio 2009 il Ministro della giustizia brasiliano pro tempore ha concesso a Battisti lo status di rifugiato politico; considerato che nella seduta del 18 novembre 2009, il Supremo tribunale federale (STF) ha dichiarato nullo il provvedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, concesso l’estradizione richiesta dall’Italia e autorizzato il Presidente della Repubblica brasiliana a consegnare Cesare Battisti al nostro Paese in conformità al vigente Trattato bilaterale in materia di collaborazione estradizionale, pur precisando che la pronuncia faceva salve le competenze del Presidente stesso; il Capo dello Stato, dalle cui dichiarazioni pubbliche e atti istituzionali il Paese si sente pienamente rappresentato, e il Governo italiano, nelle molteplici occasioni di contatto, hanno ripetutamente sottolineato alle autorità brasiliane che si aspettavano il rispetto della decisione del STF di concessione dell’estradizione di Battisti; il 30 dicembre 2010, l’Avvocatura generale dello Stato brasiliana ha reso pubblico il proprio parere, approvato dal Vice Avvocato generale, che, richiamando l’art. 3, lettera f), del Trattato bilaterale di estradizione (secondo cui l’estradizione non sarà concessa “se la Parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti”), si poneva in senso contrario alla concessione dell’estradizione di Battisti; il 31 dicembre l’ex Presidente della Repubblica brasiliana ha reso nota la propria decisione - conforme al parere dell’Avvocatura - che non accoglie la richiesta di estradizione dell’Italia nei confronti del connazionale; considerando poi in particolare che la mancata estradizione di Cesare Battisti configura, nell’opinione di autorevoli giuristi, una violazione del predetto Trattato bilaterale di estradizione del 1989 da parte del Brasile, ciò che implicherebbe la responsabilità del Brasile sul piano internazionale per aver disatteso le disposizioni dell’accordo stesso; la decisione brasiliana di addurre come motivazione l’art. 3, lettera f), del Trattato bilaterale di estradizione rende tale diniego profondamente ingiusto sul piano dei principi e infondato sul piano legale; il Presidente del Supremo tribunale federale del Brasile con decisione del 6 gennaio 2011 ha negato la scarcerazione di Battisti e inviato gli atti al giudice relatore per un ulteriore esame del caso in sede plenaria; il caso Battisti, infine, non sembra limitarsi ad una semplice questione bilaterale tra Italia e Brasile, in quanto, essendo stato messo in dubbio che il sistema giudiziario dell’Italia sia in grado di offrire adeguate garanzie al condannato, il diniego dell’estradizione mette in discussione il rispetto dei principi stessi di civiltà giuridica da parte di tutta l’Unione europea, quale omogenea comunità di valori e spazio di libertà e giustizia, essendone l’Italia un Paese membro, impegna il Governo a percorrere tutte le strade sul versante giudiziario offerte dal Supremo tribunale federale, non lasciandone intentata alcuna, fino ad adire, eventualmente, la Corte internazionale di giustizia, affinché il rifiuto opposto dall’ex Presidente della Repubblica brasiliana alla concessione dell’estradizione venga rimosso e Cesare Battisti possa essere assicurato alla giustizia italiana, a completamento del procedimento di estradizione, come previsto dal Trattato bilaterale; ad esperire, nel prosieguo legale della vicenda, ogni strumento reso disponibile dall’ordinamento giuridico del Brasile per impugnare il diniego all’estradizione, nonché, ove necessario, a ricorrere nelle sedi multilaterali ed europee in tale direzione, anche affinché vengano rispettati i principi di civiltà giuridica che sono alla base dello spazio di giustizia europeo e della stessa Unione europea; nel quadro delle relazioni in essere con il Brasile - tradizionalmente buone - e in parallelo con il percorso giudiziario, a sostenere puntualmente l’azione diplomatica sulla questione, cogliendo l’occasione di tutti i possibili contatti con la nuova amministrazione, per rappresentare alle autorità brasiliane la nostra aspettativa per una corretta interpretazione del contenuto del Trattato bilaterale e quindi per l’accoglimento dell’estradizione; a farsi interprete dell’auspicio unanime del Parlamento affinché la soluzione finale della vicenda sia in sintonia con le norme del citato Trattato e con i sentimenti di un’opinione pubblica che, senza distinzioni, è sorpresa e indignata per il diniego dell’estradizione. Lettere: nel carcere di Poggioreale siamo in 12 dentro un’unica cella www.radiocarcere.com, 18 gennaio 2011 Cara Radio Carcere, siamo 12 detenuti del carcere di Poggioreale. 12 persone che dividono la stessa cella, cella dove rimaniamo chiusi 22 ore su 24. Qui dentro, per essendo in 12 detenuti, abbiamo ovviamente un solo bagno ed è facile immaginare la fila che dobbiamo patire soprattutto la mattina. Un unico bagno per 12 detenuti che tra l’altro è soggetto a continue perdite con conseguenti allagamenti. Noi ogni mattina facciamo presente il problema, ma loro se ne fregano. Ed è così che noi, oltre a vivere in 12 dentro un’unica cella, dobbiamo anche vivere tra la sporcizia, tra pozze d’acqua e in una puzza che è impossibile da descrivere. E il bello è, se così si può dire, che se proviamo a lamentarci rischiamo di finire di sotto, ovvero nelle celle di isolamento. Tutto ciò è nulla rispetto a quanto accade nel carcere di Poggioreale, un carcere dove la legge e lo Stato sono assolutamente assenti. Ciao e grazie. 12 persone detenute nel padiglione Milano del carcere Poggioreale di Napoli Ferrara: vivere in tre metri quadrati; la situazione carceraria descritta dal Garante www.estense.com, 18 gennaio 2011 Troppi carcerati e pochi agenti di polizia penitenziaria. Non migliora la situazione dell’Arginone. Lo afferma nel suo rapporto finale, al termine dei tre anni di mandato, Fede Berti, garante dei detenuti. La relazione è stata presentata ieri in consiglio comunale. Ed è cominciata con la descrizione di una situazione immutata rispetto a un anno fa: nella cella singola di 12 metri quadrati, comprensiva di tre metri quadrati per il bagno, soggiornano attualmente da due a tre persone. Alcune celle vedono la presenza di un solo detenuto a seconda delle esigenze specifiche legate a disposizioni interne. Il personale di polizia è tuttora di una unità per sezione, con 90 metri da percorrere e un alto numero di persone presenti da custodire con grande responsabilità e stress lavoro correlato notevole. Il personale è sprovvisto di cordless. I locali doccia non sono stati adeguati, risultano pertanto ancora insufficienti nelle 6 sezioni di 26 celle. I tetti dell’Istituto necessitano di restauro e alle segnalazioni fatte, non è seguito alcuna azione di intervento. A causa di questo 4 celle, corrispondenti a 9 posti, risultano inagibili, aumentando in tal modo il problema del collocamento delle persone, dato l’esiguo spazio presente, anche solo 9 persone in più costituiscono un numero notevole. Quanto all’alimentazione, all’interno della casa circondariale di Ferrara nella lista di alimenti appartenenti al sopravvitto sono presenti le carni macellate nel rispetto dei dettami religiosi della popolazione musulmana (sono più di 100 i detenuti che professano la loro religione settimanalmente nel locale adibito a moschea). Attualmente i pasti giornalieri erogati sono 501, di cui 214 così differenziati: 49 senza carne; 129 senza maiale; vitto bianco (previsto dal sanitario) 18; intolleranze varie 18. Quanto all’attività motoria, ad oggi la palestra dell’Istituto è stata chiusa a causa del deterioramento di molti attrezzi, non usufruibili per alcune settimane. Tuttavia, anche se restaurati, c’è la necessità di sostituirli al più presto, anche con attrezzature dimesse dalle palestre cittadine. Questo aggrava ulteriormente la situazione di inattività motoria delle persone ristrette. Nell’area esterna i campi da calcio avrebbero bisogno di un restauro per renderli più agibili al gioco. È stato molto apprezzato dalla popolazione detenuta l’ampliamento e l’apertura dell’Area Verde preposta ai colloqui con i familiari. I detenuti hanno costruito dei gazebo riciclando del materiale interno, l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune ha provveduto all’acquisto di tavoli e sedie. Mancano i giochi per i bambini. In continuità al Progetto “Oltre il Giardino”, il direttore ha concesso la prosecuzione dell’attività ortofrutticola, dando la possibilità ad un gruppo di detenuti di coltivare un orto, i cui prodotti sono distribuiti tra la popolazione detenuta. Gli spazi esterni saranno ridotti per la costruzione di altri 200 posti, come previsto dal piano carceri. La nuova struttura sarà conforme ai nuovi criteri dell’edilizia penitenziaria, quindi ogni cella avrà al suo interno acqua calda e bagno con doccia. Quanto ai carcerati, al 5 gennaio 2011 sono 501 i detenuti presenti, 243 stranieri e 258 italiani. Occorre sottolineare il notevole aumento di detenuti con età inferiore ai 25 anni che si attesta attorno al 20% della popolazione totale. La popolazione detenuta è costituita da diversi elementi di difficile gestione. Tuttavia le diverse professionalità all’interno dell’Istituto riescono a costruire rapporti di rispetto reciproco. Sono presenti 13 ergastoli, 10 pene oltre i 20 anni di detenzione. Nell’anno 2010 si sono verificati: 12 episodi di autolesionismo e 2 tentativi di suicidio. I posti regolamentari sono 235, con una tolleranza di 446. In realtà l’effettiva capienza tollerata è di 383, in quanto occorre togliere al numero complessivo di posti: le 4 celle chiuse (9 posti in meno); i 36 posti della sezione semiliberi attualmente usufruita da soli 2 detenuti (non usufruibile da altri che non abbiano le condizioni previste per la semilibertà); i 56 posti della sezione collaboratori di giustizia attualmente con 36 presenze (posti non usufruibili dai detenuti comuni). Quindi il sovraffollamento oltre la capienza tollerata e di 118 unità in più, per la regolamentare è di 266 in più. L’organico della Polizia Penitenziaria 192 unità assegnate dal Ministero: 167 in servizio; 17 unità distaccate in altri Istituti e al Ministero; 8 unità con malattie irreversibili riconosciute dall’Ospedale Militare. Dei 167 in servizio, gli operativi sono 153 per 501 detenuti, in quanto dai 167 occorre togliere 14 unità adibite al nucleo per le traduzioni delle persone ristrette richieste dall’Autorità Giudiziaria per le udienze presso i Tribunali. Ad esempio per i collaboratori di giustizia spesso le traduzioni sono in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. L’organico previsto è di 236 unità per 250 detenuti La carenza di personale comporta un aggravio delle condizioni lavorative dato il sovraffollamento in atto. A ciò si aggiunge la preoccupazione che il personale in servizio non venga incrementato alla costruzione del nuovo padiglione di 200 posti, che vedrebbe un aumento delle sezioni detentive da 7 a 12 con un aumento delle esigenze di sorveglianza. Fede Berti conclude la sua relazione con alcune proposte, messe al vaglio del consiglio comunale. “Risulta necessario ampliare lo Sportello Stranieri secondo le modalità esposte; incentivare la cultura della mediazione socio - sanitaria; riprendere e attivare progetti sulla genitorialità; attivare uno sportello di orientamento al lavoro per aggiornare e formare i detenuti sul mondo del lavoro in previsione del loro futuro ritorno nella società; intervenire a livello politico sulla tematica della territorializzazione della pena per rispettare il “diritto agli affetti” del detenuto e dei suoi familiari”. Trani (Ba): Osapp; realizzate celle per detenuti disabili, ma scarse condizioni di sicurezza www.traninforma.it, 18 gennaio 2011 Una delegazione del sindacato di polizia penitenziaria, guidata da Mimmo Mastrulli (vice segretario nazionale dell’Osapp) ha effettuato una visita ispettiva al nuovo, ristrutturato, reparto detentivo del carcere di Trani che dovrebbe ospitare, a breve, altri 180 detenuti che si aggiungeranno ai 260 attualmente reclusi nella struttura di via Andria. I lavori, costati oltre 7 milioni di euro e durati poco meno di quattro anni, hanno interessato un’ala in passato occupata dalla sezione Giovani adulti. Il nuovo reparto si ispira al modello delle carceri americane e prevede - una rarità in Italia - anche due celle per detenuti disabili. La delegazione sindacale, al termine della visita, ha però contestato alcune disfunzioni strutturali. “Il carcere di Trani - spiega Mimmo Mastrulli - tornerà ad accogliere anche detenuti di un certo spessore ma non è nelle condizioni di poter compiere questo passo, né di accogliere così tanti detenuti. Le nuove celle, seppur in linea con gli standard delle migliori carceri internazionali, lamentano alcune deficienze che ne mettono a rischio la sicurezza. Mancano le telecamere, non tutti i bagni sono dotati di spioncini e, nel caso dovesse andare in tilt la centrale operativa, si costringerebbe il personale di polizia ad effettuare controlli su di un muro a cielo aperto, in barba a qualsiasi condizione metereologica”. Il problema maggiore segnalato da Mastrulli riguarda la cronica carenza di personale. “A Trani, nel giro di pochi anni, potremmo registrare un’utenza carceraria di circa 800 detenuti, soprattutto se verranno posti in essere i lavori di ristrutturazione di un’altra ala. Ad oggi, nella struttura, mancano all’appello circa 60 agenti di polizia penitenziaria. Per questo motivo chiedo l’istituzione di un tavolo di confronto al provveditorato regionale della Puglia invocando il rientro in sede a Trani di tutta la polizia penitenziaria distaccata da tempo presso altre strutture oltre che l’arrivo in città di un nuovo commissario di reparto. Le nostre richieste sono condivise dalla direzione locale, un motivo in più per proseguire nella nostra battaglia”. Genova: Sappe; a Marassi spedizione punitiva e rissa tra detenuti stranieri Ansa, 18 gennaio 2011 Dopo le proteste dei detenuti, le risse, i tentativi di suicidio e le continue violenze contro il Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Genova Marassi, un nuovo grave episodio è avvenuto ieri pomeriggio nel penitenziario della Valbisagno. “È stato pomeriggio di alta tensione, quello di ieri, con una spedizione punitiva di un gruppo di detenuti stranieri verso altri ristretti” spiega Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe (il primo e più rappresentativo della Categoria). “Alle 18 circa tre detenuti stranieri, di nazionalità albanese, hanno immobilizzato nella Prima sezione detentiva del carcere il collega che stava aprendo la porta del loro cella al termine della prevista attività ricreativa nella sala socialità e si sono scagliati contro gli occupanti di un’altra cella, anch’essi albanesi. Pare che le ragioni siano conseguenza di una precedente aggressione di questi ultimi ad un parente degli aggressori, anch’esso detenuto a Marassi. La rissa, breve ma violenta, solo per il pronto intervento di altri Agenti da altri posti di servizio ha evitato pericolosissime conseguenze che neppure vogliamo immaginare. Nonostante tutto, dunque, i colleghi intervenuti sono riusciti ad evitare più gravi e pericolose conseguenze, anche se l’Agente del piano è rimasto ferito alla spalla ed a lui va naturalmente la nostra vicinanza e solidarietà. Cos’altro dovrà accadere o dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perché ci si decida ad intervenire concretamente sulle criticità di Marassi. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria a Marassi - circa 160 Agenti in meno negli organici, carenza che ci auguriamo possa essere almeno parzialmente colmata con i neo Agenti attualmente nelle Scuole del Corpo che stanno frequentando i corsi di formazione, il pesante sovraffollamento (erano circa 750 i detenuti presenti a Marassi il 31 dicembre scorso, dei quali il 60% circa gli stranieri, rispetto ai 450 posti letto regolamentari) con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Episodi di violenza che sono inaccettabili e vanno stigmatizzati e contrastati con fermezza.” Il Sappe chiede dunque al Governo Berlusconi di “recuperare il tempo perso su questa significativa criticità penitenziaria e di avviare rapidamente le trattative con i Paesi esteri da cui provengono i detenuti - a partire da Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania, Nigeria - affinché scontino la pena nei Paesi d’origine. Per il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria “ è fondamentale trovare accordi affinché gli stranieri scontino la pena nei Paesi d’origine. Questo, oltre a mettere un freno ad una grave emergenza, potrebbe rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato, con risparmi di centinaia di milioni di euro, nonché per la sicurezza dei cittadini. Un detenuto - ricorda Martinelli - costa infatti in media circa 300 euro al giorno allo Stato italiano”. Genova: Uil-Pa; a Marassi aggredito e ferito un poliziotto penitenziario 9Colonne, 18 gennaio 2011 Ancora un episodio di violenza al carcere genovese di Marassi. Nel pomeriggio di ieri un poliziotto penitenziario nel tentare di sedare una colluttazione tra alcuni detenuti di origine albanese è stato aggredito e ferito. Lo rende noto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno: “Il collega era impegnato nelle operazioni di chiusura della socialità al primo piano della prima sezione, quando è scoppiato un violento alterco con scambio di colpi tra alcuni ( 5 - 6) detenuti di origine albanese. Prontamente intervenuto per ristabilire l’ordine, è stato oggetto di una proditoria aggressione da parte degli stessi detenuti. Trasportato all’Ospedale San Martino, oltre ad ecchimosi e contusioni varie, gli è stata riscontrata una infrazione ad una costola ed è stato giudicato guaribile in trenta giorni”. Sarno punta l’indice contro l’escalation di violenze che è costretto a subire il personale penitenziario: “Dopo l’episodio di sabato a Bologna dobbiamo registrare ancora un ferito tra le fila della polizia penitenziaria. Entrambe le aggressioni si sono verificate in danno di personale intervenuto a sedare disordini e violenze tra detenuti. È chiaro che questi episodi sono anche frutto delle gravi carenze organiche. Oramai un solo agente è preposto alla sorveglianza di decine, a volte centinaia, di detenuti. Solo, inerme e disarmato” e “a Marassi sono presenti circa 735 detenuti, rispetto alla capienza massima prevista in 456”. E conclude: “Dall’1 gennaio ad oggi sono già 9 gli agenti penitenziari aggrediti e feriti da detenuti, cui deve sommarsi anche l’aggressione e il ferimento di un infermiere a Trieste”. Venezia: il Pd di Favaro; con il nuovo carcere non si riqualifica Campalto Il Gazzettino, 18 gennaio 2011 L’argomento carcere, a Favaro e Campalto, continua a destare molto interesse e a suscitare discussioni, sia tra le forze politiche sia tra gli stessi cittadini. Per l’aria che tira non vi è dubbio che stiano prevalendo i contrari alla soluzione Campalto, anche se molti si dicono consapevoli che un carcere non può essere paragonato ad un lebbrosario, e che la nota situazione di sovraffollamento negli istituti di pena nonché le precarie condizioni igieniche in cui si trovano i detenuti nella casa circondariale di Venezia, rendano necessaria la costruzione di una nuova struttura. Mentre Pdl e Lega stanno da giorni coinvolgendo la cittadinanza con alcune iniziative (una raccolta firme, i primi, e un referendum, la Lega), ieri il Circolo del Pd di Campalto ha messo in distribuzione nella zona un ulteriore volantino con cui manifesta la netta contrarietà alla scelta dell’area di via Orlanda: “Se prima di avanzare decisioni sulla collocazione della casa circondariale a Campalto ci avessero chiesto il gradimento, avremmo risposto con un convinto no - si legge. Perché Campalto è un territorio già al centro di prossimi sviluppi urbanistici ad alto impatto ambientale, perché la costruzione di un carcere non rientra nel progetto di riqualificazione ambientale, sociale e culturale che noi abbiamo negli anni contribuito a realizzare a Campalto ed, infine, perché la disponibilità di aree demaniali dismesse nel nostro territorio non deve diventare occasione per collocare servizi che altrove sono fastidiosi”. Sale la discussione, ma cresce anche l’attesa per quanto ha dichiarato il sindaco Giorgio Orsoni durante la seduta del Consiglio di Municipalità di giovedì scorso. Il primo cittadino ha, infatti, promesso alla gente del posto il suo personale interessamento affinché Ministero e Regione, ai quali per legge compete la decisione finale, valutino la possibilità di reperire un’area demaniale alternativa a Campalto in cui realizzare il nuovo istituto penitenziario. Cagliari: giovedì 20 gennaio presentazione del Progetto Venus Ristretti Orizzonti, 18 gennaio 2011 Presso il Centro di Sperimentazione Didattica e Divulgativa l’Arca del Tempo in via Alagon 36 a Settimo San Pietro (Ca), giovedì 20 gennaio alle ore 9, si svolgerà un incontro di lavoro ed approfondimento sui temi dell’inserimento sociale e lavorativo per il recupero delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, sperimentazione e buone prassi nell’ambito delle politiche dell’Unione Europea. Nel corso dei lavori i partner promotori - Isfor Coop quale capofila, Ctr ed Eurodesk - ed i soggetti istituzionali che costituiscono la rete di collaborazione si confronteranno sulle problematiche dell’inclusione sociale e sulle azioni che verranno realizzate nell’ambito del Progetto Venus. Il Progetto “Venus” intende valorizzare le reali possibilità di sviluppo psico-sociale dei destinatari, attivando un percorso individuale di crescita in ambito formativo e lavorativo. L’idea progettuale prevede il coinvolgimento di un gruppo di persone all’interno di un percorso strutturato in varie azioni, con l’intento di sviluppare le competenze lavorative relative al profilo professionale dell’operaio specializzato in scavi archeologici, promuovendone l’inserimento lavorativo mediante Tirocinio Formativo e di Orientamento presso uno scavo archeologico in concessione al Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico - Artistiche dell’Università di Cagliari. Al termine del percorso si prevede la definizione di un progetto imprenditoriale legato alla costituzione di una cooperativa sociale di tipo B ai sensi della L. 381/91. Il Progetto si inserisce nel contesto dell’applicazione dell’articolo 21 della Legge 354/75 relativo al lavoro esterno dei detenuti, inteso come strumento fondamentale di inclusione sociale e lavorativa di persone adulte in misure restrittive della libertà personale (art. 15 Legge 354/75). È infatti rivolto a 15 persone adulte sottoposte a misure restrittive, in stato di disoccupazione o inoccupazione ed in condizione di svantaggio economico e sociale. Tolmezzo (Ud): la formazione professionale, una leva preziosa di reinserimento Il Gazzettino, 18 gennaio 2011 Un’occasione per riscattarsi, per imparare un mestiere, per non ricadere nei reati una volta usciti dalle porte del carcere: la formazione professionale nella casa circondariale di Tolmezzo diventa una leva preziosa di reinserimento nella società cosiddetta civile. È in questa direzione che va la collaborazione con lo Ial di Gemona, ormai da anni in prima linea in progetti di questo tipo e promotore, di concerto con la direzione del carcere, di due nuovi corsi dedicati a 27 detenuti. Il primo, partito i giorni scorsi, punta a formare quindici operatori generici di cucina, che alla fine del percorso di 600 ore otterranno una qualifica abbreviata di base e l’impiego nelle cucine del carcere stesso. Gli altri dodici, da oggi, invece saranno impegnati per 400 ore in un corso di falegnameria, ovvero impareranno a trattare il legno, costruendo oggetti e dedicandosi alla manutenzione delle strutture, oltre eventualmente a realizzare, come accaduto per i corsisti degli scorsi anni, lavori per enti anche pubblici esterni. Insomma, una bella occasione per dare opportunità reali e prospettive future. San Cataldo (Ct): sei ex detenuti “occupano” il Municipio per chiedere lavoro La Sicilia, 18 gennaio 2011 “O le manette o il lavoro!”: è l’aut aut perentorio con cui, ieri mattina, sei operai di San Cataldo, ex detenuti, hanno annunciato l’inizio di un’assemblea permanente in Municipio, al fine di ottenere risposte concrete alle loro continue richieste di occupazione. Si tratta dell’ultima iniziativa, in ordine di tempo, dei soggetti svantaggiati, tra cui giovani e meno giovani provenienti da realtà problematiche e da esperienze difficili, come il carcere. Pane e companatico per sostenersi durante la protesta, nel mezzo la frustrazione per la propria condizione e l’irremovibilità dall’intenzione di rimanere a manifestare: continuare a lavorare è l’istanza presentata dagli ex detenuti alle istituzioni, dopo un periodo di attività presso una cooperativa locale, terminato pochi giorni addietro. Sotto lo sguardo degli agenti di Polizia municipale, coordinati dal comandante Valenza, oltre che dei Carabinieri, gli operai hanno chiesto un incontro col sindaco Giuseppe Di Forti e l’assessore ai Servizi Sociali, Filippo Vullo. Presente alla riunione anche il commissario di Polizia penitenziaria, dott.ssa Sabrina Martorana. Al termine, i disoccupati hanno espresso il proprio malcontento: “Il sindaco è arrivato presto al Comune, ma non si è degnato di venire da noi. Dicono che per noi non ci sono soldi, poi però danno 40mila euro ad una ditta fiduciaria. La verità è che i soldi chissà dove vanno a finire! Mentre noi non possiamo più lavorare, intanto, le strade di San Cataldo rimangono sporche, eppure coloro con cui abbiamo collaborato fino a pochi giorni fa dicono che c’è bisogno anche di noi”. Interpellato sulla questione, il primo cittadino Di Forti ha spiegato: “Noi abbiamo fatto tutto il possibile per lenire i problemi di queste persone. Abbiamo deliberato un contributo economico, per poi predisporre un cantiere di lavoro. Comprendiamo le loro ragioni, ma adesso non siamo nelle condizioni di eliminare il loro disagio”. Firenze: sabato prossimo presidio e assemblea per Daniele Franceschi Nove da Firenze, 18 gennaio 2011 Sabato 22 gennaio “verità e giustizia per Daniele Franceschi”: presidio alle ore 15 sotto il Consolato francese a P.zza Ognissanti, a seguire assemblea alle ore 18 al Circolo anarchico in via dei Conciatori, per discutere di morti di stato e istituzioni totali. Promuovono: Zone del silenzio (Pisa), Coordinamento Anticapitalista Versiliese - Cav, Archivio Germinal - Carrara, Comitato verità per Yuri - Livorno. Il documento per l’assemblea Il 5 gennaio 2011 muore nel carcere delle Sughere di Livorno Yuri Attinà, 28 anni, detenuto per furto, l’ultimo di una lunghissima lista di decessi per “cause naturali”. Le versioni ufficiali che come sempre si rincorrono in questi casi, parlano prima d’infarto, poi di caduta dal letto e infine di morte per asfissia autoindotta con una bomboletta di gas per cucina Per noi la causa principale è l’istituzione carcere, lo Stato e le sue politiche repressive e securitarie che riempiono le galere di proletari e sottoproletari; questa appare sempre di più una vera e propria guerra di classe, dove i “detenuti sociali” vengono ammassati in questa gigantesca discarica. Quella stessa guerra che il 25 Agosto dello scorso anno si è presa la vita di Daniele Franceschi, detenuto nel carcere di Grasse per aver utilizzato una carta di credito clonata, deceduto per le solite “cause naturali”. Carceri, C.I.E, istituzioni psichiatriche, caserme e, più in generale, la militarizzazione della società, sono sempre di più gli strumenti con i quali la “fortezza Europa” affronta la crisi economica, ecologica ed etica. Una vera e propria crisi di sistema che si manifesta anche attraverso le svariate politiche di negazione dei diritti e delle libertà e delle tutele individuali e collettive. L’inasprirsi delle condizioni di vita di una sempre più vasta fascia della popolazione e le consistenti ondate migratorie hanno aperto tutta una serie di contraddizioni e conseguenti rivendicazioni che i padroni non possono e non vogliono tollerare. Per questo vengono represse le lotte per il lavoro, per la casa, per la salute ecc. La cosiddetta “guerra al terrorismo” e le varie guerre “umanitarie” sono in realtà delle sfacciate guerre imperialiste; sul fronte interno si utilizza ad arte la politica della paura per produrre un clima di sospetto e di insicurezza, clima che, anche grazie al supporto dei mass media, ha creato i presupposti per l’emanazione di leggi e decreti che restringono ulteriormente le libertà criminalizzando ogni marginalità. Il carcere, i C.I.E., l’istituzione psichiatrica oltre al loro ruolo repressivo e di violento “ammortizzatore sociale”, sono soprattutto, per i soliti noti, un business. La prossima frontiera da superare, e si sta già lavorando in questo senso, è quella della privatizzazione del sistema repressivo. Anche lo sterile tam-tam mediatico sull’emergenza carceri va in questa direzione. Nei disegni, nelle proposte e nei “sussurri” di legge, che affrontano il sistema carcere, c’è un unico obiettivo che vorrebbe portare alla creazione di una specie di “amministrazione carceraria s.p.a.” e si attende solo che le varie lobbie interessate si mettano d’accordo trovando il Bertolaso di turno. Che ci vogliano uno o dieci anni non importa: il sistema ha molta pazienza e il tempo dalla sua parte: nonostante le condizioni nelle carceri italiane siano ormai prossime al collasso e vicine ad una vera e propria esplosione. Nel carcere, così come sul lavoro, si muore per il profitto e per le politiche speculative e di controllo sociale dei governi. Gli psicofarmaci soprattutto ansiolitici che rappresentano l’80 per cento dei medicinali prescritti nelle patrie galere, alimentando un cospicuo giro d’affari, rispondono alla necessità di sedare ogni conflittualità o rivendicazione di diritti. Il rispetto della salute della persona detenuta è spesso calpestato, determinando il letale peggioramento di patologie altrimenti curabili. Oltre all’hiv, massicciamente presente nelle carceri italiane, oggi ricompare persino la tubercolosi, per non parlare delle periodiche epidemie di salmonella, scabbia...dovute all’assenza di prevenzione, cura e rispetto per le norme igenico sanitarie. L’anno 2010 si è chiuso con quasi 70.000 persone detenute in celle sovraffollate, con carenze igenico - sanitarie e prive di ogni tipo di assistenza. Un terzo di questi dannati della democrazia sono tra l’altro in attesa di giudizio, cioè potrebbero anche essere innocenti. Le sole leggi Bossi - Fini sull’immigrazione e la Fini - Giovanardi sulle droghe ci “forniscono” circa il cinquanta per cento delle 100.000 persone che ogni anno passano, anche solo per pochi giorni, dalle carceri nostrane. Immigrati, tossicodipendenti, disagiati sociali ed economici che ricevono come unica risposta alla contraddizione che portano in essere, la carcerazione, l’abbandono nella cosiddetta discarica sociale che sono oggi i reparti psichiatrici i C.I.E e le galere. Se si divide la popolazione carceraria per classi si aprono scenari inquietanti: circa il settanta per cento dei detenuti appartiene a quello che un tempo si chiamava sottoproletariato (marginali, precari, disoccupati, migranti). Anche perché per i ricchi, che possono permettersi collegi di avvocati, è oltremodo semplice arrivare alla prescrizione; per tutti gli altri l’inferno carcerario. A poco o nulla servono, con buona pace dei giustizialisti alla Travaglio, i vari decreti demagogici “svuota carceri” che la propaganda securitaria bipartisan ci propina come risolutori, gli istituti penali rimangono una realtà altamente esplosiva e la possibilità delle misure alternative alla detenzione è esclusa alla maggioranza dei detenuti. Il nostro intento è quello di mantenere viva la questione carceraria e repressiva più in generale, per cercare il più possibile di ampliare un dibattito largo e trasversale alle varie realtà politiche e di movimento e suscitare indignazione e lotta. Il nostro contributo va al miglioramento delle condizioni di detenzione, all’abrogazione delle leggi vergogna che hanno riempito le galere italiane e che costituiscono un vero e proprio crimine perpetrato dalla nostra classe politica. Lavorando al contempo al superamento del sistema carcerario stesso e della società che lo genera. Milano: dal 21 al 23 gennaio si svolgerà il V Congresso nazionale del Sappe Ansa, 18 gennaio 2011 Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, la prima e più rappresentativa Organizzazione del Personale di Polizia Penitenziaria con il 31% di rappresentatività nazionale che quest’anno celebra i vent’anni dalla fondazione, svolgerà a Milano (presso la Sala Colucci della Confcommercio, in Corso Venezia 49) nei giorni 21, 22 e 23 gennaio 2011 due importanti appuntamenti. Spiega Donato Capece, segretario generale Sappe: “Il primo appuntamento, nel pomeriggio di venerdì 21 gennaio, è il Convegno nazionale “Professione Poliziotto Penitenziario. Il trattamento è sicurezza”, nel corso del quale si discuterà dell’attuale situazione penitenziaria, della specificità professionale delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria e dell’importanza del trattamento rieducativo del reo, anche alla luce della positiva realtà del carcere milanese di Bollate. Si tratterà, dunque, di un importante momento di confronto, di analisi e di proposte per il futuro del sistema penitenziario nazionale al quale interverranno molti qualificati relatori, tra i quali il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, i Sottosegretari di Stato Giovanardi e Caliendo, il presidente dei senatori dei Pdl Gasparri ed i parlamentari Serra, Molteni, Vitali, Frassinetti, Paladini. Saranno presenti anche il presidente della Provincia di Milano Podestà ed il vice sindaco di Milano De Corato. Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, che in quei giorni sarà all’estero per impegni istituzionali, ci ha assicurato che ci farà pervenire un suo videomessaggio mentre ai Dirigenti Generali del Dap Mariotti Culla (a capo dell’Esecuzione penale Esterna), Ardita (Detenuti e trattamento), Turrini Vita (Personale e Formazione), a don Virginio Colmegna (presidente della Casa della Carità di Milano), Enrico Sbriglia (presidente del Sidipe) ed al provveditore penitenziario dell’Emilia Romagna Nello Cesari è riservato un intervento tecnico sulla materia”. “Nei giorni successivi, 22 e 23 gennaio 2011” conclude Capece “si terrà il V Congresso nazionale del Sappe, con le elezioni dei componenti la Segreteria Generale e la discussione sulle future iniziative di strategia sindacale, che non potranno ovviamente prescindere dalla critica situazione penitenziaria, con 70mila persone detenute per 43mila posti letto controllate da un Corpo di Polizia Penitenziaria carente nei suoi organici di circa 6mila unità. Proprio per ricordare solennemente i vent’anni di attività del Sappe, abbiamo istituito il Premio “Basco Azzurro del Sappe honoris causa” che abbiamo deliberato di assegnare alla trasmissione tv “Striscia la Notizia”, un programma televisivo che, come anche recita la motivazione, si è distinto per servizi di forte impegno morale, sociale ed educativo e per il sostegno alla giustizia e al rispetto della legalità, occupandosi delle criticità del carcere e del Corpo di Polizia Penitenziaria, andando ad assolvere il difficile compito di informare con obiettività e imparzialità l’opinione pubblica su sprechi e abusi e diventando esso stesso promotore di cultura della legalità. E a ritirare il premio verrà uno degli inviati di punta della trasmissione, Valerio Staffelli.” Rovereto (Tn): le opere di 52 detenuti al Mart Ansa, 18 gennaio 2011 L’aspetto artistico stavolta passa in secondo piano rispetto al valore sociale dei lavori posti in mostra dal Mart dove, sino al 30 giugno, alle opere degli artisti dell’arte moderna e contemporanea si abbinano i lavori artistici (ceramiche e dipinti) creati da 52 detenuti della Casa Circondariale di Rovereto. Le opere sono state realizzate negli ultimi sei mesi e costituiscono il risultato dei progetti “Formazione ceramica” ed “Espressione pittorica”, realizzati rispettivamente dalla Fondazione “Contessa Lene Thun onlus” di Bolzano e dalla Sezione didattica del Mart. La fondazione e il museo hanno lavorato a stretto contatto con la Direzione Penitenziaria della struttura carceraria roveretana, e raggiungendo una serie di obiettivi: l’apprendimento teorico e pratico, la valorizzazione emotiva e culturale della persona, lo stimolo della creatività e della manualità. Durante i due percorsi artistici i corsisti hanno lavorato in un clima di reciproco rispetto ed attenzione. Rilevante - spiegano gli organizzatori - è stato il raggiungimento dell’autostima personale che i partecipanti, realizzando il proprio lavoro, hanno conquistato. Gli utenti dei corsi hanno espresso gradimento, interesse e partecipazione, e le loro opere hanno raggiunto un buon livello qualitativo. L’iniziativa si inserisce nel quadro delle attività promozionali svolte dalla casa Circondariale di Rovereto in ambito territoriale, così come sostenuto dall’Amministrazione Penitenziaria centrale. Urbania (Pu): concluso Convegno Internazionale di Studi sui “Teatri delle diversità” Ristretti Orizzonti, 18 gennaio 2011 Si è conclusa ad Urbania (Pu) l’undicesima edizione del Convegno Internazionale di Studi sui “Teatri delle diversità - Immaginazione contro Emarginazione” organizzato dalla rivista omonima edita dal Teatro Aenigma, Centro Universitario Internazionale di produzione e ricerca sui rapporti tra teatro e disagio. Tra spettacoli, nuovi progetti avviati e momenti di grande intensità emotiva e valore culturale, si sono incontrati oltre duecento operatori, studiosi, studenti universitari ai quali si sono uniti nel fine settimana cittadini incuriositi e interessati. L’iniziativa, coordinata da Vito Minoia, docente di Teatro di animazione all’Università di Urbino, è stata dedicata alla memoria di Emilio Pozzi ricordato con grande commozione e partecipazione dagli amici e dai colleghi di Urbino e Milano dove risiedeva con la moglie giunta ad Urbania per presentare il libro di memorie autobiografiche “Quando non c’erano i gossip”. Molti hanno sottolineato la sua ironia e lucidità, come ha precisato De Bosio presidente dell’Istituto Internazionale per l’Opera e la Poesia dell’Unesco “all’interno della docenza, Pozzi si è richiamato agli ideali, sempre vissuti, d’un socialismo umanistico, nutrito dalla sua formazione laica, che deriva dall’assimilazione dell’insegnamento razionalista della migliore Italia, l’Italia rinascimentale di Machiavelli, e, aggiungo io, del Ruzzante”. Nella giornata di sabato 15 gennaio i tanti operatori teatrali in istituti penitenziari intervenuti, divisi in gruppi di lavoro, hanno elaborato Atto Costitutivo e Statuto del neonato Coordinamento Nazionale delle esperienze di Teatro in Carcere. Si tratta di un accordo molto importante per tutte le realtà che lavorano in questo campo, un nuovo territorio della Scena contemporanea italiana completamente originale: un tipo di teatro fondato sull’ascolto dei luoghi in cui opera, sulle biografie delle persone coinvolte, sulla reinvenzione continua dei linguaggi della scena secondo i limiti dati dalle strutture e dalle condizioni eccezionali di questa particolare forma di ricerca teatrale. “Qui spesso i limiti sono diventati armi vincenti. Spesso abbiamo visto forme teatrali fortemente intrecciate fra sperimentazione e tradizione scenica italiana e europea” affermano i promotori. Un’altra importante novità presentata al convegno sono i Teatri di Resilienza: rete teatrale indipendente di “Rigenerazione culturale e Decrescita serena”. Si tratta di un movimento artistico che per ora conta sette compagnie teatrali, per le Marche il Teatro Aenigma, che si rifanno a valori della sobrietà, del rispetto della natura, e del prossimo secondo il pensiero dell’economista francese Serge Latouche che ha rilasciato a Nicola Dentamaro e Francesca Zanini del Teatro Origine una video intervista in esclusiva per il convegno. “Il nostro progetto di costruzione di una società della decrescita va avanti per ripetere e convincere tutti che si può vivere con meno .... ma con un’abbondanza spirituale, intellettuale, estetica e di convivialità, ...” affermano i promotori nel documento costituente la Rete. Le diverse compagnie hanno animato il Teatro Bramante di Urbania con azioni sceniche, video, interventi riflessivi emotivamente coinvolgenti e stimolanti una nuova riflessione. La compagnia ExtraVagantis di Imola che dal 2008 rivolge laboratori teatrali a ragazzi con handicap ha creato un momento di festa e danza con gli spettatori nella platea, il gruppo aretino, Diesis Teatrango ha proposto “Storie al tramonto”, esito conclusivo del loro ultimo laboratorio di teatro sociale annuale, la Compagnia Stalker Teatro una nuova performance dal titolo “Il viola e l’arancione”. Altri due eventi in prima assoluta per l’iniziativa sono stati “Princese a San Vittore” del Cetec di Milano che ha raccontato sotto forma di spettacolo la sua storia di compagnia teatrale all’interno e all’esterno del carcere di S. Vittore e “Donne in catene” del Maestro Luciano Sampaoli che ha voluto omaggiare il suo collega universitario Pozzi. Uno dei momenti più intensi è stato rappresentato dalla mattinata dedicata a Giuliano Scabia, drammaturgo e poeta. Il suo nome è legato alle prime esperienze di teatro nei luoghi del disagio, come quella di Marco Cavallo all’Ospedale psichiatrico di Trieste con Franco Basaglia. Scabia ha compiuto con i partecipanti raccolti attorno a lui e ai sui testi che creavano un percorso sistemati sul pavimento, una passeggiata nella storia e nei luoghi della creatività del teatro degli anni 70 e 80. Docente al Dams di Bologna ha concepito il corso di drammaturgia come un campo aperto di ricerca assieme agli studenti suoi allievi, un processo che coinvolgeva la stessa città di Bologna e allo stesso modo tutti i luoghi dove si svolgevano gli spettacoli. Senza autocelebrazione o superbia Scabia ha delineato di se stesso il ritratto di un intellettuale fuori dagli schemi, di un uomo in continua ricerca e celebrazione della verità sugli uomini e sulle loro storie attraverso la cui narrazione si può fare in modo che giungano alle persone messaggi di libertà, di gioia, di solidarietà. Memorabili le esperienze di teatro nei boschi dell’Appennino tosco - emiliano, quelle con le scuole in Abruzzo con il Teatro Vagante, o nei luoghi dove i personaggi protagonisti hanno vissuto, citando anche un progetto nel campo di Acqualagna dove fu ucciso il bandito Musolino. La città di Urbania si è animata per due giorni con ospiti provenienti da tutta Italia e che hanno espresso l’auspicio per la prossima edizione di ritrovare nella stessa città un clima così accogliente e una situazione favorevole alla ricerca e al teatro. Grecia: le cinque carceri di Evros in condizioni igienico-sanitarie disperate di Marzia Coronati Melting Pot, 18 gennaio 2011 La prefettura di Evros, in Grecia, ai confini con la Turchia, è uno degli snodi più importanti per i migranti che cercano di entrare in Europa. Oggi il territorio ospita cinque centri di detenzione, dove centinaia di persone sono trattenute per mesi in condizioni igienico - sanitarie disperate. Centri di permanenza temporanea di frontiera. Così sono chiamate le cinque strutture che si trovano ad Evros. Ospitano uomini e donne in celle sovraffollate, stanze dove convivono più di centocinquanta persone, costrette a dormire sedute per mancanza di spazio. A fine dicembre una delegazione di avvocati che lavora con i rifugiati e i migranti ad Atene ha fatto visita alle strutture. “Non avevamo mai visto una situazione così disperata” racconta l’avvocato Katerina Tsapapoulou “i migranti non hanno accesso alle cure sanitarie nazionali, ma ricevono solo visite di Medici senza frontiere una volta ogni tanto”. Richiedenti asilo, minorenni non accompagnati o gruppi vulnerabili che aspettano di essere inseriti in strutture adatte, profughi rimangono reclusi per periodi che raggiungono anche i sei mesi. A fine dicembre quattro di questi centri ospitavano circa 180 persone, e uno ne ospitava addirittura cinquecento. Gestiti dalle autorità greche, i centri sono vigilati dalla polizia di frontiera, che si occupa anche di distribuire il cibo ai detenuti. Gli avvocati hanno anche parlato con reclusi che aspettano di essere respinti in Turchia. Da luglio del 2010 infatti è rientrato in vigore un vecchio protocollo bilaterale di ammissione tra la Grecia e la Turchia, che permette di attuare respingimenti dalla Grecia alla Turchia di iraniani, afgani, siriani, iracheni. “I migranti vengono riaccompagnati in Turchia, dove viene attuato un secondo controllo e poi lo smistamento o nei loro paesi in origine o di nuovo in Grecia” racconta l’avvocato. Il governo greco ha in questi giorni dichiarato di volere costruire un muro alla frontiera tra Grecia e Turchia, ai fini di contrastare l’attraversamento del confine: un recinto di dodici chilometri, altro circa dieci metri, che sarà costruito nell’unica parte di confine non attraversata dal fiume Evros. Ma già oggi la frontiera di Evros costituisce un ostacolo per chi prova a passarla. Un campo minato, ora bonificato, ha lasciato per anni vittime e feriti, mentre navigare il fiume è molto rischioso, soprattutto a causa dei continui straripamenti. La zona peraltro è fortemente militarizzata. Oltre ai 5 centri già esistenti ed ai prefabbricati che potrebbero essere presto posizionati per far fronte al crescente numero di migranti, il mese scorso il governo di Atene ha annunciato l’acquisto dai Paesi Bassi di due strutture galleggianti che dovrebbero poter contenere circa 1.000 persone. Esercito e polizia di frontiera vigilano giorno e notte, e a questi controlli a ottobre si sono aggiunti gli uomini di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne: centinaia di esperti incaricati di rilasciare ogni mese rapporti e comunicati sul flusso dei migranti, pattugliando i confini con tecnologie avanzate. Stando ai dati di Fontex, attraverso Evros sarebbero passati, solo nell’ottobre 2010, circa 245 migranti al giorno. “Ma il muro non servirà a niente” conclude Tsapopoulou “solo a spostare di pochi chilometri il punto di passaggio dei migranti”. Russia: a Mosca apre il primo servizio e-commerce per detenuti di Vladimir Sapozhnikov Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2011 Per dare da mangiare ai carcerati - in Russia ce ne sono circa un milione - lo Stato spende 30 rubli (un dollaro) al giorno. L’inflazione che nel 2010 ha raggiunto l’8,7% non permette di rispettare le norme del “menù” quotidiano, che in teoria dovrebbe comprendere mezzo chilo di pane, 30 grammi di pasta, un etto di carne o di pesce, 25 grammi di burro, 20 grammi di olio, 30 grammi di zucchero e così via. Per permettere ai “zeki”, come in russo chiamano i detenuti, di nutrirsi con del cibo di milior qualità, l’amministrazione delle carceri di Mosca ha lanciato in prima assoluta un “supermercato” in Internet (battezzato “Sizomag”), dove si possono fare delle ordinazioni on - line così come si fa in qualsiasi altro “normale” negozio in rete. Con una sola differenza: dal momento che in Russia i carcerati non possono avere l’accesso a Internet né al denaro in contanti, le ordinazioni, così come i pagamenti, possono essere fatte soltanto dai parenti dei reclusi. “Il supermercato delle carceri di Mosca riceve 180 - 200 ordinazioni al giorno, ma ci vogliono tre giorni per far arrivare il pacco nella cella dal destinatario”, ha spiegato il colonnello Viktor Dezhurov, capo del Servizio penitenziario di Mosca. Oltre ai generi alimentari, dalla frutta ai dolci, dai salumi a “nove diversi formaggi, compresi quelli d’importazione”, alle sigarette (21 tipi) il “Sizomag” offre soltanto tre libri: il Codice penale della Russia, la Bibbia e il Corano. Dal prezziario del negozio è assolutamente escluso l’alcol ed è severamente limitata la quantità ordinabile del tè, che i detenuti russi trasformano in “cifìr”, una specie di droga leggera. Nonostante il fatto, secondo cui il presidente russo, Dmitrij Medvedev, avesse proposto di non mettere “dietro le sbarre” per i reati meno gravi, il numero dei clienti di “Sizomag” non dovrebbe diminuire. Secondo uno studio dell’Accademia di legge presso la Procura generale della Russia (un volume di 800 pagine), appena pubblicato dalla casa editrice Uniti - Dana di Mosca, le statistiche del ministero degli Interni che danno la criminalità in continua diminuzione, non reggono le critiche. In realtà il numero vero dei reati supera di parecchie volte quello, registrato dalla polizia. Mentre le statistiche ufficiali del 2009 hanno parlato di circa tre milioni di reati ufficialmente registrati, i dati rivelati dagli esperti della Procura hanno scritto che in realtà in Russia quell’anno sarebbero stati compiuti 26 milioni di crimini. Aumenta di anno in anno il numero di reati particolarmente gravi: mentre nel 2009 la polizia ha dichiarato di aver registrato 18.200 omicidi, le statistiche presentati dagli studiosi (il periodo analizzato è compreso tra il 1999 e 2009) hanno permesso di capire che in realtà due anni fa in Russia sono state uccise 46.200 persone. Questo significa che il tasso di criminalità - dato dalla polizia “in diminuzione” - è cresciuto nell’ultimo decennio in media del 2,4% all’anno. Le conclusioni degli esperti hanno ampiamente confermato le aspre critiche che Medvedev aveva rivolto nel novembre del 2010 alla polizia, bollando come “balle” le statistiche del ministero degli Interni. In vista delle legislative del 2011 e delle elezioni presidenziali del 2012 i dati sulla criminalità diventano un fattore importante di influenza sulla grande politica russa. Anche lasciando da parte le rivelazioni degli esperti, solo sulla base alle statistiche “ufficiali”, la Russia si trova attualmente al terzo posto nel mondo, dopo il Sudafrica e il Brasile, per il numero di omicidi per ogni 100mila abitanti (14,2) ed è l’unico Paese europeo che per questo dato rientra nella lista dei 20 Paesi più criminalizzati del mondo.