Giustizia: ddl svuota carceri? provvedimento inutile, mancano percorsi di reinserimento di Maria Chiara Cugusi www.dirittodicritica.com, 14 gennaio 2011 “Una misura pensata in chiave punitiva, che non consente il reinserimento sociale dei detenuti. Occorre invece creare una cultura dell’accoglienza”. Il ddl svuota carceri non risolve il problema del sovraffollamento: finora solo poche centinaia di detenuti hanno usufruito del provvedimento in Italia e molti preferiscono finire di scontare la pena in carcere, per evitare misure troppo restrittive (da uno a 5 anni di carcere in caso di “evasione” dai domiciliari). In Sardegna (dove il sovraffollamento è critico), su 2.300 detenuti finora un solo recluso ha usufruito del provvedimento: “Alcuni rifiutano - spiega Maria Grazia Caligaris, responsabile dell’associazione Socialismo, diritti e riforme, intervistata da Diritto di critica - perché una volta usciti dal carcere, non sanno dove andare e non hanno un lavoro per mantenersi”. Il disegno di legge, approvato in via definitiva lo scorso novembre, prevede che chi deve scontare un anno o meno di pena, possa tornare a casa, beneficiando degli arresti domiciliari (l’esecuzione domiciliare è disposta dal magistrato di sorveglianza). Si tratta di una legge “a tempo”, valida fino al 2013, pensata per risolvere il problema del sovraffollamento (circa 72mila i detenuti complessivi rispetto ai circa 44.500 posti disponibili), non applicabile ai delinquenti abituali (cioè la maggior parte dei detenuti). Per le associazioni si tratta di un provvedimento inutile, che, per le clausole imposte, sarà utilizzato complessivamente da non più di poche migliaia di carcerati (massimo 3mila, rispetto ai settemila previsti): “Questo ddl - spiega Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale volontariato e giustizia a Diritto di critica - non è usufruibile perché mancano quelle risposte sociali che andavano pensate prima, per poter creare realmente ipotesi alternative al carcere”. I problemi più grossi sono la carenza di opportunità abitative e di lavoro, su cui il mondo del volontariato ha da tempo lanciato l’allarme. “L’indulto - continua Elisabetta Laganà - avrebbe potuto essere l’occasione per ripensare il sistema carcere, ma non è stata sfruttato”. Le critiche maggiori al ddl riguardano l’innalzamento della pena per l’evasione dai domiciliari da 1 a 5 anni e l’accertamento della stessa evasione: “Può succedere che il detenuto sia in giardino, e non senta il campanello”. E poi soprattutto, ci sono le limitazioni riguardanti il domicilio, che, per essere considerato idoneo “deve possedere certe caratteristiche - spiega Maria Grazia Caligaris, che rendano possibile un controllo costante”. Così, continua la Caligaris, “molti detenuti, che potrebbero accedere alle misure alternative, preferiscono restare in carcere, dove paradossalmente si sentono più al sicuro”. Ad essere penalizzate sono soprattutto le categorie più deboli (che potenzialmente potrebbero usufruire maggiormente del provvedimento), come immigrati “che non hanno un domicilio, perché privi di permesso di soggiorno”, o come i tossicodipendenti (22% dei detenuti, tra cui tanti giovanissimi) “che hanno difficoltà di essere riaccolti nelle famiglie”. Una misura che non è dunque concepita per “favorire l’alleggerimento, ma pensata in chiave punitiva”. Bisognerebbe invece favorire reali progetti di reinserimento sociale, attuare “un ripensamento del sistema sanzionatorio generale - sottolinea Elisabetta Laganà - attraverso la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti, per arrivare a una soluzione non solo tampone, ma stabile”. Giustizia: Osapp; suicidi in carcere, semplici accorgimenti per ridurli dell’80% Adnkronos, 14 gennaio 2011 “Se l’Amministrazione Penitenziaria prendesse piccoli accorgimenti i suicidi potrebbero ridursi del 80%” - lo sostiene Leo Beneduci, segretario dell’Osapp, uno dei massimi sindacati di categoria della Polizia Penitenziaria a due giorni dall’ultimo suicidio, avuto luogo a Perugia, di un detenuto italiano di 23 anni, morto dopo avere inalato del gas da una bomboletta che aveva per cucinare. “Il concetto è molto semplice - sottolinea Beneduci - certi incidenti avvengono sempre per le stesse cause: o perché ci si impicca con lacci ricavati da lenzuola fatte a brandelli, o per inalazione di gas, come è capitato l’altro giorno. Perché non interrogarsi, allora, sulle cause e cercare di ridurne gli effetti?”. “Sono 10 anni che ripetiamo la stessa cosa, da quando - spiega l’Osapp - l’Amministrazione ha inteso adottare il nuovo regolamento per il vitto e per l’alloggio in cella: la possibilità cioè di disporre anche di queste bombolette a gas - prosegue Beneduci - , che però spesso servono, come vediamo, o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti o come veicolo suicidario”. “Non è bizzarro pensare che nonostante il vitto sia comunque distribuito, ai detenuti sia consentito avere simili strumenti di morte? Non è bizzarro pensare che se solo si adottassero lenzuola alternative, magari monouso, che si logorano cioè dopo un giorno, certe cose non accadrebbero con la stessa facilità? Non è facile pensare che se solo si migliorasse il vitto e si selezionassero le dotazioni in cella, il detenuto sarebbe inibito all’uso di certe pratiche?”. “In carcere ci si sta per scontare la pena, e si sa come la noia favorisca la depressione e aguzzi l’ingegno, ma a tutto ciò non è conseguente il pensiero che al recluso si possano facilitare simili consuetudini - conclude Beneduci - per cui dopo il c.d. “piano carceri”, utile solo ad aumentare i posti in carcere, ci auguriamo che il Ministro Alfano esca dal silenzio e si occupi e disponga finalmente per le irrinunciabili riforme dell’amministrazione penitenziaria, del corpo di polizia penitenziaria e per i correttivi all’attuale trattamento penitenziario”. “Oltre che per il sovraffollamento, contro cui questa organizzazione si trova a combattere ogni giorno, le cause del disagio sociale sono da attribuirsi certamente a motivazioni più recondite che appartengono al singolo e dentro le quali non è possibile indagare”. “Ma ciò non toglie che quest’Amministrazione debba prendersi il carico, al di là del fatto che non l’abbia mai fatto prima, di adottare soluzioni perché certi incidenti non avvengano più. Chi ha la responsabilità ha anche l’onere che certe piccole condizioni migliorino la vita del cittadino e non che, al contrario, le peggiorino”. Lettere: morire in carcere, suicidio di un 23enne a Perugia di Daniele Rosati (Coordinatore Nazionale Sinappe) www.spoletocity.com, 14 gennaio 2011 La morte in carcere è sempre una morte che fa più rumore di altre morti e il suicidio di un essere umano rinchiuso in carcere è il fallimento della collettività. Naturalmente il carcere è una componente limite della società, è quella componente che per certi versi è facile e comodo dimenticare, ma ripeto è quella frontiera dove la società isola i suoi rifiuti, i suoi fallimenti. In carcere chi vuole veramente suicidarsi, almeno che non sia sottoposto a sorveglianza a vista, lo può fare in qualsiasi momento, con la conseguenza che chi ne è preposto alla vigilanza ed osservazione ne può soltanto prendere atto a fatto compiuto, almeno che per la combinazione di fortunose coincidenze non ne riesce a sventare il tentativo. Tuttavia i soggetti con problemi psichiatrici e intenti anticonservativi vengono segnalati a Grande Sorveglianza, ma in una giornata di 24 ore in una struttura Penitenziaria dove un Poliziotto Penitenziario in alcune ore della giornata deve vigilare anche 130 detenuti, maggior parte dei quali segnalati a Grande Sorveglianza, l’occasione per suicidarsi non manca. Possiamo dire soltanto che esistono strutture adeguate al trattamento di soggetti psichiatrici, ma per motivi di sovraffollamento, di burocrazia del sistema, di mancanza di fondi per il pagamento di figure professionali quali Psichiatri, Psicologi, ed Educatori Penitenziari, diventa sempre più difficile gestire le necessità di un essere umano con disagi psichiatrici e l’invio di questi uomini con necessità di cura in queste strutture, diventa sempre più difficile per la grande congestione del sistema Penitenziario Italiano. A complicare il sistema sanitario c’è anche stato il passaggio di gestione del sistema stesso da quello penitenziario a quello pubblico, il quale deve far quadrare i bilanci e taglia dove invece dovrebbe investire. La Casa Circondariale di Perugia è gravata da numerosi problemi legati alla carenza di organico di Polizia Penitenziaria di educatori Penitenziari ed in più è una struttura sovraffollata, appunto a fronte di una capienza regolamentare di 250 detenuti ne ospita 620 per l’ottanta percento dei quali extracomunitari, molti dei quali tossicodipendenti e comunque detenuti per reati legati allo spaccio delle sostanze stupefacenti. Tuttavia la situazione grazie all’impegno straordinario di tutte le figure professionali va avanti soltanto perché ci deve andare, perché gli obbiettivi dell’art 27 comma tre della Costituzione Italiana oltre che essere di difficile conseguimento in situazioni ordinarie, in queste condizioni sono soltanto utopia. Ma questo noi lo andiamo dicendo ormai da anni ed affinché le promesse da marinaio della Politica Italiana continueranno ad essere protagoniste di questo mesto palcoscenico, sarà sempre più difficile gestire la situazione di disagio degli uomini che vengono consegnati dalla società al carcere per iniziare il percorso di redenzione di cura e poi di reinserimento. Si parla del carcere soltanto quando succedono casi limite come nel caso, ed è da tempo che questa O.S. non fa parlare di se sui giornali soltanto, perché crediamo che situazioni come queste per la società siano diventate ordinarie, ma questa O.S. crede che ci si debba interrogare sulla situazione riflettendo sulle problematiche del sistema Penitenziario Italiano, facendo anche se necessario autocritica ma anche delle scelte di priorità, ma è soltanto restituendo la giusta importanza agli eventi, che questa società potrà veramente iniziare un costruttivo e serio programma di riorganizzazione di alcuni settori dello Stato, come quello Penitenziario il quale è ormai sull’orlo del baratro. Lettere: Bravo Lula… www.politicamentecorretto.com, 14 gennaio 2011 Il presidente del Brasile, Lula, rifiuta l’estradizione di Cesare Battisti. Parte dell’opinione pubblica italiana, la maggioranza dei mass media e dei politici si sono scandalizzati per la decisione. Ma perché? Dove sta lo scandalo? Voi concedereste un parente, un amico, un nemico, un criminale, un assassino a un Paese come l’Italia? Dove nei suoi carceri solo nell’anno appena finito si sono suicidati 66 detenuti? Due detenuti suicidi in un solo giorno a L’Aquila e a Como: (Fonte: Osservatorio permanente sulle morti in carcere, 19 dicembre 2010). Dove le condizioni di vita dei detenuti sono quelle di un cane in un canile? Dove in molti casi non vengono rispettati i diritti umani? Giustizia: Italia condannata 1.556 volte dalla Corte di Strasburgo, peggio solo in Turchia (Fonte: Italia Oggi, Anna Irrera, 9 dicembre 2010) Dove chi è forte, potente e ricco non entra in carcere e se ci entra esce subito, mentre i poveracci ci rimangono, alcuni per tutta la vita? Dove molti ergastolani ostativi, senza nessuna possibilità di liberazione, sono destinati a morire in carcere? Dove ci sono detenuti che non fanno l’amore con la propria fidanzata, compagna, convivente da dieci, venti e trenta anni? Cosa che si può fare invece nelle carceri brasiliane e in Paesi fanalini di coda dell’Europa, come l’Albania! In un Paese dove si suicidano persino gli stessi agenti di Polizia Penitenziaria? Dove sono sottoposti più di 660 detenuti al regime di tortura del 41 bis, che da decenni non ricevono e non possono dare carezze ai propri cari? Che da decenni non possono toccare con una mano e non possono sentire l’odore della propria madre e l’odore dei propri figli? I vetri al colloquio sono disumani perché non separano solo i corpi, ma tagliano a metà pure due cuori che si incontrano. Giustizia: così il “carcere duro” aumenta il rischio di suicidi… dei 66 suicidi totali solo 26 sono avvenuti in regime “comune”. (Fonte: Redattore Sociale, 20 dicembre 2010). Voi concedereste un parente, un amico, un nemico, un criminale, un assassino a un Paese come l’Italia? Dove certi politici usano la lotta alle mafie, ma non alla mafia politica, finanziaria e mediatica, per vincere le elezioni e per raggiungere potere e soldi? Poche volte, quasi mai, il carcere fa diventare buoni i cattivi, ma spesso può far diventare cattivi i buoni che invece di verità e giustizia pretendono vendetta e pene infinite e dolorose. A Cesare Battisti, se fossimo stati al posto di Lula, forse avremmo dato la pena più dura, ma mai lo avremmo consegnato a un Paese come l’Italia che ha questa classe dirigente, questo governo e questa giustizia ingiusta, perché la legalità prima di pretenderla bisogna darla. Gli ergastolani Carmelo Musuemci e Giuseppe Reitano, Carcere di Spoleto Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino Campania: Barbirotti (Idv); condizioni invivibili nelle carceri Ansa, 14 gennaio 2011 “Risposte generiche e alquanto lacunose sono state fornite da parte dell’assessore regionale Nappi durante il question time odierno, in merito alla mia richiesta di impegnare la giunta regionale della Campania a realizzare programmi di intervento a carattere formativo e lavorativo a favore dei detenuti che intendano usufruirne”. Così, in una nota, il consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Dario Barbirotti, che ha denunciato lo stato di abbandono in cui versano i detenuti degli istituti di pena della Campania. “Da molti anni sono impegnato - ha sottolineato il consigliere dipietrista - in una battaglia senza esclusione di colpi per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Ancora una volta ho richiesto alla giunta regionale di impegnarsi a realizzare interventi strutturali a favore dei penitenziari, finalizzati alla realizzazione o ristrutturazione di spazi laboratoriali, artigianali e industriali, ma fino ad oggi il centrodestra non ha ancora affrontato questo importante e delicato problema con l’attenzione e la determinazione che l’argomento richiederebbe”. “I detenuti vivono in condizioni disumane, in particolare nell’istituto di Fuorni a Salerno - prosegue la nota - addirittura la caldaia dell’acqua è insufficiente per il numero dei reclusi che sono costretti, oltretutto, a condividere in otto autentiche celle - lager. Tutto questo alimenta il grave fenomeno dei suicidi in carcere”. Emilia Romagna: Sel-Verdi; la Regione quantifichi posti per detenuti a fine pena Adnkronos, 14 gennaio 2011 La Regione Emilia Romagna quantifichi il numero di posti letto presso strutture pubbliche o private disponibili ad ospitare i detenuti che ai sensi di legge possono scontare l’ultimo anno di carcere ai domiciliari ma che non hanno domicilio o non possono usufruire del proprio domicilio perché non idoneo. La richiesta giunge, tramite interrogazione, dai consiglieri del gruppo Sel-Verdi Gabriella Meo e Gian Guido Naldi, che nell’occasione ricordano come “circa il 52% dei detenuti è straniero e in molti casi non ha domicilio, o ha un domicilio non idoneo”. In Emilia Romagna, secondo il dato riportato da Meo e Naldi, sarebbero circa 880 i detenuti che, giunti ormai ad un anno dalla fine della pena, potrebbero usufruire del regime cautelare domiciliare. Ma per permettere loro di anticipare l’uscita dal carcere, sostengono i consiglieri, servirebbe un monitoraggio dei posti disponibili. Per questo motivo Meo e Naldi sollecitano la giunta a attivarsi per adeguare la capacità delle strutture ai bisogni della popolazione carceraria, in caso quelle esistenti non si rilevino sufficienti. Lazio: Polverini; speriamo di avere presto una struttura esterna per madri detenute Dire, 14 gennaio 2011 Un lavoro fatto di “interventi normativi e di governo importanti ma anche di semplici gesti di attenzione e di affetto, che hanno visto durante le recenti festività momenti di sano svago e la presenza gratuita di importanti personaggi dello spettacolo in molte carceri laziali così come lo abbiamo fatto per i malati e le loro famiglie negli ospedali”. Così la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, ha parlato delle iniziative messe in campo per i detenuti, in occasione della consueta udienza concessa dal Papa ai rappresentanti degli Enti locali. Polverini si è rivolta al Santo Padre con la speranza di “poterle dare notizia il prossimo anno della definitiva apertura di un Istituto di custodia attenuata per le madri detenute che possa consentire un maggiore rispetto dei bambini che si trovano incolpevoli a vivere la loro infanzia in questa particolare situazione”. Perugia: Michele Massaro era disperato, aveva confidato ai familiari di volersi uccidere Ristretti Orizzonti, 14 gennaio 2011 Era un ex tossicodipendente, ricoverato in Comunità Terapeutica. Lo avevano trasferito in carcere a ottobre, a seguito dell’ordine di esecuzione relativo a un “cumulo” di pene. Nel corso di un colloquio aveva confidato ai famigliari tutta la sua disperazione e per questo gli operatori del carcere, avvertiti, lo seguivano con particolare attenzione. Michele Massaro, 23 anni, si è suicidato mercoledì pomeriggio inalando il gas di una bomboletta da camping. Era detenuto nel carcere “Capanne” di Perugia dallo scorso mese di ottobre, quando i Carabinieri lo prelevarono dalla Comunità Terapeutica nella quale era ricoverato. I suoi trascorsi da tossicodipendente ed i reati “contro il patrimonio”, che spesso contrassegnano l’esistenza di chi deve procurarsi i soldi per la “dose”, gli avevano fatto accumulare una pena che considerava sproporzionata: 8 anni, troppi per avere una misura alternativa, ma per lui troppi anche da trascorrere in una cella, evidentemente. Forse le sue ultime, uniche soddisfazioni - prima che venisse trovato da un agente penitenziario con un sacchetto di plastica calato sopra la faccia - sono state un trancio di pizza con la cipolla e un pezzo di pane con la Nutella, offerte dal compagno napoletano con il quale divideva la cella numero “1” del terzo piano del Reparto circondariale. Poi la decisione: Massaro ha approfittato del cosiddetto momento di “socialità” in cui l’altro detenuto è uscito, forse uno dei pochi in cui la vittima è stata lasciata completamente sola nelle ultime settimane, per togliersi la vita. In seguito al fax inviato dal suo legale alla direzione del carcere di Capanne - comunicazione avvenuta dopo l’incontro coi familiari sconvolti, ai quali era stato confidato l’intento suicida da Michele - il giovane era seguito dal personale con un’attenzione maggiore. Lui, che si era sempre mostrato passivo e quasi per niente coinvolto nelle attività ricreative dell’istituto penitenziario, è stato portato via - dopo che il medico legale Sergio Pantuso Scalise ne ha constatato il decesso - nel silenzio rispettoso dei detenuti del braccio maschile. Da inizio anno, in soli 12 giorni, salgono così a 6 i detenuti “morti di carcere”: il più “anziano” aveva 35 anni, Michele era il più giovane. Due si sono suicidati, gli altri 4 sono morti per “infarto”. Nel carcere di Perugia l’ultimo decesso risaliva all’ottobre 2007, quando Aldo Bianzino - falegname arrestato per il possesso di alcune piante di marijuana - fu trovato morto in cella in circostanze mai del tutto chiarite (la Procura ha recentemente archiviato il relativo fascicolo, che come ipotesi di reato riportava “omicidio volontario contro ignoti”). Livorno: detenuto tenta suicidio bevendo varechina e impiccandosi, salvato dagli agenti Il Tirreno, 14 gennaio 2011 Ancora un tentativo di suicidio sventato dalla polizia penitenziaria alle Sughere: un detenuto ha tentato di togliersi la vita bevendo del detergente e poi impiccandosi, ma è stato visto dall’agente di sorveglianza e portato al pronto soccorso, dove i medici sono riusciti a salvargli la vita. Se la caverà con una prognosi di dieci giorni. Il drammatico episodio è avvenuto nella tarda serata di lunedì, in una delle celle dei detenuti comuni della casa circondariale. Le notizie in merito sono piuttosto scarne. Il protagonista dei fatti, in giovane di origine straniera ma di residenza livornese e cittadinanza italiana, ad un certo punto ha tentato di impiccarsi con un rudimentale cappio, dopo aver ingerito una notevole quantità di detergente per i pavimenti. Per fortuna l’agente della polizia penitenziaria in servizio in quel momento (il personale di custodia in servizio è in numero drammaticamente più basso del dovuto in un carcere che invece ospita 467 detenuti in luogo dei 284 previsti come capienza massima), è riuscito ad accorgersi di ciò che stava succedendo. L’agente ha dato l’allarme e il detenuto, che già in passato era stato protagonista di episodi di autolesionismo, è stato soccorso dapprima dal personale medico delle Sughere, poi preso a bordo di un’ambulanza e trasportato al pronto soccorso, dove i medici sono riusciti ad evitare il peggio. Quello di lunedì altro non è che l’ennesimo tentativo di togliersi la vita da parte di un detenuto delle Sughere, una struttura che, secondo i dati resi pubblici a suo tempo dal sindacato Uil - Penitenziari, è al secondo posto fra le carceri di tutta Italia per numero di tentativi di suicidio: ben 47 i casi avvenuti nell’arco dei dodici mesi dello scorso anno. L’unico carcere che nel 2010 ha avuto più tentativi di togliersi la vita, è, con 48 casi, quello di Lecce, ma va sottolineato che di tentativi dei detenuti di farla finita se ne contano più qui da noi che nel carcere di Poggioreale a Napoli (37) o in quello di Rebibbia a Roma (30). Tutti episodi, quelli delle Sughere, in cui delle vite, spesso giovani sono state salvate dagli agenti della Penitenziaria, nonostante l’annosa difficoltà di operare costantemente sotto organico. E questo senza contare i casi, come quello del giovane Yuri Attina, trovato senza vita nella sua cella per motivi che devono ancora essere ufficialmente chiariti, e del quale sono in programma per stamani alle 11,30 i funerali alla cappella del cimitero dei Lupi. Ferrara: dossier del Garante dei detenuti; celle strapiene, in aumento le patologie fisiche di Stefano Lolli Il Resto del Carlino, 14 gennaio 2011 Problemi strutturali, carenza di lavoro e spesso di prospettive personali. Disagio psicofisico, e di conseguenza sociale. È la “fotografia” che il Garante dei Detenuti Federica Berti consegna alle istituzioni locali e, di riflesso, alla collettività. Il dossier che lunedì sarà illustrato in Consiglio comunale, sviscera tutte le difficoltà della struttura dell’Arginone, a partire da quelle determinate dalla popolazione dei reclusi. Al 5 gennaio scorso, i detenuti erano complessivamente 501, dei quali 243 stranieri e 258 italiani. “Va registrato il notevole aumento di detenuti con età inferiore ai 25 anni - scrive la Berti -, che si attestano attorno al 20% della popolazione detenuta, costituita da diversi elementi di difficile gestione”. Ma le professionalità presenti nell’istituto (dai dirigenti agli agenti di custodia, alle figure di supporto) “riescono a costruire rapporti di rispetto reciproco”, afferma il Garante. Resta però il fatto del sovraffollamento, peraltro comune alle carceri italiane: i posti regolamentari sono 235, con una tolleranza di 446. In realtà l’effettiva capienza tollerata è di 383 detenuti, prosegue la Berti, in quanto vanno tolte “4 celle chiuse per inagibilità, i 36 posti della sezione semiliberi attualmente usufruita da soli due detenuti, i 56 posti della sezione collaboratori di giustizia, oggi con 36 presenze”. Queste ultime due sezioni, evidentemente, non possono essere utilizzate per i detenuti comuni: quindi il sovraffollamento oltre la capienza tollerata è di 118 unità in più (e di ben 266 oltre quella regolamentare). I numeri, pur espliciti, descrivono la realtà in modo arido. E la realtà, nel carcere cittadino, è tale per cui “il sovraffollamento impedisce gli standard idonei a mantenere un buono stato di salute psicofisica - osserva Federica Berti -, gli ambienti in cui i reclusi si ritrovano a vivere non consentono neppure un’attività fisica semplice come la deambulazione nelle celle, impedita dallo spazio insufficiente. Le celle, infatti, predisposte strutturalmente per accogliere una singola persona, attualmente ne ospitano fino a tre”. Questa situazione determina l’aumento del disagio sia di carattere psicologico, sia di patologie fisiche. Un problema emergente riguarda quelle di carattere ortopedico: “C’è grande preoccupazione fra i detenuti - sottolinea il Garante - per l’alta frequenza delle patologie di origine traumatologica”; alle complicanze per la salute si aggiungono quelle burocratiche, visto che “spesso l’ortopedico prescrive cicli di fisiochinesiterapia che il servizio sanitario nazionale fornisce solo previo il nulla osta del fisiatra”. Ma per i detenuti dell’Arginone, “alla difficoltà per la traduzione per la prima visita presso quest’ultimo - prosegue la relazione della Berti, si aggiungono i lunghissimi tempi di attesa per gli eventuali cicli di cura”. Il sovraffollamento non è peraltro destinato a calare. Anzi nella casa circondariale cittadina è prevista - ma al momento bloccata dalla carenza di fondi - la realizzazione “di un ulteriore blocco per altri 200 posti, che comporterà la riduzione anche degli spazi esterni”. In teoria, questa struttura supplementare sarà conforme ai nuovi criteri dell’edilizia penitenziaria, “quindi ogni cella avrà al suo interno acqua calda e bagno con doccia”. Un sogno, o addirittura un’utopia visto che attualmente “i locali doccia non sono stati adeguati, e risultano insufficienti nelle sei sezioni di 26 celle - sottolinea il Garante; anche i tetti dell’istituto necessitano di restauro; purtroppo, alle segnalazioni fatte non è seguita alcuna azione di intervento. Perciò quattro celle risultano inagibili, aumentando il problema del collocamento delle persone”. Le proposte Si avvia a conclusione il mandato triennale del Garante dei Detenuti Federica Berti: uno dei 17 in carica sul territorio italiano. Un numero ancora molto esiguo, che evidenzia perciò l’attenzione delle istituzioni ferraresi (la carica è stata istituita di concerto fra Comune e Provincia). Al termine della propria relazione, perciò, la Berti lancia alcune proposte operative; non potendo evidentemente incidere sul numero dei detenuti e sull’organico della polizia penitenziaria, focalizza alcuni aspetti di carattere sociale. Suggerendo ad esempio “l’ampliamento dello Sportello Stranieri, visto che la presenza di detenuti non italiani è sempre più crescente”. Poi, incentivare “la cultura della mediazione socio - sanitaria, riprendere ed attivare progetti sulla genitorialità”. A fronte dell’estrema difficoltà di garantire un lavoro - e di conseguenza qualche piccola forma di reddito - per i detenuti, la Berti propone di “attivare uno Sportello di orientamento al lavoro, per aggiornare e formare i detenuti in previsione del loro futuro ritorno nella società”. A proposito di lavoro, quello espletato all’interno del carcere è largamente insufficiente: “Attualmente nella Casa Circondariale l’unica attività lavorativa in essere - si legge nella relazione -, è quella del riciclaggio degli elettrodomestici, con l’impiego di 4 detenuti in ‘borsa lavorò erogate dall’Azienda Servizi alla Persona, e 2 detenuti in tirocinio formativo, con compenso erogato dalla Provincia. Per tale laboratorio, ha già preso corpo un’ipotesi di ampliamento ad altri settori, quali il recupero ed il riutilizzo dei computer e delle biciclette”. Ancora poco, però: “Il numero delle persone che accedono a questo lavoro è largamente insufficiente ad arginare il problema dell’inoccupazione delle persone recluse”, chiude la Berti. Che chiede, tornando alle proposte operative lanciate alle istituzioni, “di intervenire anche a livello politico sulla territorializzazione della pena, per rispettare il diritto agli affetti del detenuto e dei suoi familiari”. Il personale: delle 192 unità assegnate, solo 153 effettivamente operative Celle strapiene, ma resta l’emergenza dell’organico anche per gli agenti di custodia. Nel 2010, come si ricorderà, sono stati assegnati al carcere cittadino alcuni agenti in più. Ciò non ha attenuato di molto i problemi, secondo quanto rileva il Garante Federica Berti. L’organico attuale è complessivamente di 192 unità assegnate dal Ministero, ma di queste soltanto 167 sono effettivamente in servizio (altre 17 sono distaccate ad altri istituti e allo stesso Ministero, 8 invece hanno malattie irreversibili riconosciute). “Dei 167 in servizio, gli operativi sono poi 153 per 501 detenuti - sottolinea la Berti -, in quanto vanno tolti i 14 agenti adibiti al nucleo per le traduzioni dei reclusi, richieste dall’autorità giudiziaria presso i tribunali. Ad esempio, i collaboratori di giustizia spesso vanno accompagnati sino in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia”. La carenza di personale, perciò, è evidentissima: in teoria, a fronte di 250 detenuti, servirebbero 236 unità. All’Arginone oggi c’è esattamente il doppio dei reclusi, e mancano 83 agenti rispetto allo standard ottimale minimo. La Berti evidenzia la professionalità e la dedizione del personale, dal direttore Francesco Cacciola al comandante della Polizia Penitenziaria Giuseppe Battaglia, sino ai singoli agenti di custodia: ma le condizioni di lavoro sono oggettivamente molto difficili. “Il personale è tuttora di un’unità per sezione, con 90 metri da percorrere e un alto numero di persone da sorvegliare, con estrema responsabilità e stress”. Grandi e piccoli problemi si sommano: “Il personale rimane ancora sprovvisto di un telefono ‘cordless’”, evidenzia la Berti che già peraltro l’anno scorso aveva chiesto di risolvere questo aspetto operativo. Le prospettive di rinfoltire la schiera degli agenti, come si è visto l’anno scorso quando era esploso il disagio ed erano state attuate anche iniziative da parte del sindaco e dei parlamentari ferraresi, non sono comunque rosee. Anzi. “Cresce la preoccupazione che il personale in servizio non venga incrementato - conclude il Garante - neppure a seguito della costruzione del nuovo padiglione da 200 posti, che comporterebbe un aumento delle sezioni detentive da 7 a 12, con un aumento esponenziale delle esigenze di sorveglianza”. Gli stranieri: oltre 110 solo quelli di fede musulmana Gli stranieri reclusi all’Arginone sono complessivamente 243. Ciò comporta anche particolari attenzioni sotto il profilo del vitto e delle tutele religiose: nella lista degli alimenti appartenenti al cosiddetto sopravvitto sono presenti le carni macellate nel pieno rispetto dei dettami della cultura musulmana. Sono 100 - 110 i detenuti che professano inoltre questa religione, e che settimanalmente frequentano il locale adibito a moschea, all’interno del carcere. La percentuale di cittadini stranieri all’interno delle prigioni italiane (il 38% su scala nazionale, quasi il 50% nella casa circondariale di Ferrara), presenta “problematiche molto complesse e di difficile soluzione - sottolinea la relazione del Garante; è in questa fascia di popolazione detenuta che si registra infatti la media più elevata di gesti di autolesionismo, con probabilità in relazione all’assenza della famiglia e degli amici, ed alla mancanza di un sostegno sia affettivo che materiale”. Per quest’ultimo aspetto, la Berti ha parole di apprezzamento per alcune iniziative di supporto, garantite da enti e associazioni; si va dal materiale sanitario e farmaceutico fornito dall’Afm all’inserimento del carcere tra i beneficiari del progetto “Brutti ma buoni” di Coop Estense (che recupera alimentari ancora integri). Fino all’attività dell’associazione “Noi per loro” promossa dal cappellano delle carceri don Antonio Bentivoglio: un negozio di via Adelardi vende oggetti per la casa e piccola bigiotteria, il cui ricavato netto (alcune migliaia di euro nel 2010) è destinato proprio ai detenuti. Chiusa la palestra: “attrezzi deteriorati” Lo sport è una valvola di sfogo per i detenuti. Ma la palestra del carcere ora è chiusa, molti attrezzi sono inservibili (appello alle palestre per attrezzature dismesse). Anche i campi da calcio hanno bisogno di restauro. Venezia: Sappe; non serve un nuovo carcere, meglio investire in ammortizzatori sociali Il Gazzettino, 14 gennaio 2011 Anche gli agenti della Polizia penitenziaria del Sindacato autonomo (Sappe) sono contrari alla costruzione di un nuovo carcere a Campalto e lo sono per più motivi, che hanno elencato in un comunicato che termina, tra l’altro, con un appello al sindaco Giorgio Orsoni. Sostengono di essere ormai stanchi di ripetere il solito ritornello sulle carceri italiane, quello del sovraffollamento e della carenza di organico di chi deve controllare i detenuti. Ma si chiedono egualmente come può un agente, da solo, controllare 80 - 100 detenuti? “Per onestà morale - proseguono poi - chiediamo che quei 45 milioni di euro da “buttare” a Campalto siano impegnati in ammortizzatori sociali...e una minima parte di quei soldi siano impegnati per la riapertura della ex casa di lavoro della Giudecca”. “Altre carceri a Venezia non servono” ribadiscono. La struttura nell’isola è chiusa da anni per mancanza di fondi per ristrutturarla. Per il “Sappe” è importante che anche a Venezia “i detenuti siano impegnati in progetti per il recupero del patrimonio ambientale, ad esempio occupandosi delle strade, delle calli, dei parchi della città, dei canali e delle spiagge”. Spiegano che all’interno del carcere il lavoro viene considerato un privilegio. Aggiungono che il piano carceri prevede che le nuove strutture siano pronte per la fine del 2012, ma non ci credono. E allora propongono di rivedere il sistema sanzionatorio: “In carcere ci vadano i veri criminali - sostengono - per gli altri chiediamo pene alternative, come i lavori socialmente utili, o gli arresti domiciliari”. Infine, chiedono al sindaco Orsoni di battersi per la riqualificazione della Casa di lavoro della Giudecca con lo spostamento dei laboratori nella struttura dell’isola. Bologna. Merola “Pd); vorrei Paolo Billi come nuovo Garante dei detenuti Dire, 14 gennaio 2011 Come successore di Desi Bruno come garante dei detenuti “proporrei Paolo Billi, ma non ho idea se accetterebbe e se conosce le norme. Esperienza nel settore ce l’ha di sicuro”. La proposta è del candidato alle primarie del centrosinistra Virginio Merola, che vedrebbe bene in quel ruolo l’animatore del teatro nel carcere minorile del Pratello. La domanda è stata fatta a Merola e alla rivale Amelia Frascaroli nel corso del dibattito con il mondo del volontariato tenuto ieri sera in vicolo Bolognetti (il candidato non invitato, Benedetto Zacchiroli, ha tenuto un volantinaggio di protesta all’esterno coi suoi collaboratori) e organizzato da una serie di associazioni tra cui il Centro Poggeschi. Merola ha criticato l’accorpamento temporaneo della figura del garante al difensore civico, voluto dall’amministrazione commissariale. Alla base “C’è una sottovalutazione del tema che può creare confusione”. Invece Frascaroli non fa nomi e cognomi delle sue preferenze. “Chiamerei un vecchio saggio, una persona d’esperienza che possa mettersi in gioco a titolo gratuito, in termini di volontariato. Un modo per risparmiare ed avere un vero garante”. Del resto la ex Caritas ha qualche riserva sul fatto che il ruolo possa essere coperto da un avvocato (Bruno lo era). “Potrebbe crearsi anche un’incompatibilità”. Sul fronte immigrati invece Frascaroli inoltra “una protesta formale nei confronti del comitato per le primarie perché il sito informativo per gli immigrati è ancora spento. Moltissimi amici mi hanno detto che è così. Già è difficile” partecipare al voto “se poi il sito lo apriamo il 21 gennaio abbiamo fatto un’operazione di sole parole, un po’ di boicottaggio”. Pordenone: spazi ridotti, sovraffollamento e ora anche una seria carenza di organico Il Gazzettino, 14 gennaio 2011 Sono solo alcuni dei problemi del “Castello” venuti a galla ieri nel corso dell’iniziativa benefica che ha portato nella Casa Circondariale vecchi televisori a 16 pollici, quelli resi inevitabilmente datati dal passaggio al digitale terrestre. Tv che troveranno una nuova vita in carcere, dove la ricezione non è un problema, grazie al decoder centralizzato. L’idea è stata di un agente ed è stata raccolta dalla San Vincenzo che si è fatta promotrice di una raccolta. “Penso che questa iniziativa - commenta il direttore Alberto Quagliotto - sia, oltre che segno di sensibilità sociale, anche indice di una razionalizzazione dei beni”. Più complicato portare avanti gli altri progetti nonostante la collaborazione con la direzione. Resta il problema del sovraffollamento. I detenuti sono attualmente 84, contro i 68 previsti. Un’ulteriore riduzione è prevista a breve, mentre scarsi sono stati i riflessi della norma “svuota - carceri”, che ha visto assegnare gli arresti domiciliari solo a cinque persone. Il 2010 è stato un anno positivo anche per il calo degli eventi critici (autolesionismo, scioperi della fame), mentre rimane il problema della carenza di personale per la Polizia penitenziaria: diversi i posti non coperti fra i 59 previsti in pianta organica, e nessuna speranza dai concorsi previsti i cui vincitori saranno perlopiù assegnati al nuovo carcere di Trento. Quanto al nuovo carcere pordenonese, prevale l’incertezza: “Il meccanismo si è messo in moto - commenta Quagliotto. Rispetto al passato qualcosa c’è, ma è impossibile parlare di tempi”. Modica (Rg): il Sindaco chiede udienza al ministro Alfano per il nuovo carcere Corriere di Ragusa, 14 gennaio 2011 Angelino Alfano dia una risposta chiara sul nuovo carcere. Antonello Buscema ha chiesto al Guardasigilli un incontro urgente per capire quali sono le reali intenzioni del ministero sulla nuova struttura carceraria ed ha scritto una lunga lettera ad Alfano nella quale il sindaco fa la cronistoria della vicenda carcere. Nello stesso tempo Antonello Buscema ha segnalato ad Alfano la perdurante carenza di personale presso gli uffici giudiziari della città ed in particolare nel settore amministrativo, cosa che rende sempre più difficile l’amministrazione della giustizia. Antonello Buscema apre la sua missiva al ministro della Giustizia ricordando la lettera che appena qualche mese fa aveva inviato sempre sullo stesso argomento ed alla quale non ha avuto alcuna risposta. “Le chiedo - scrive il sindaco - un incontro urgente nel quale ci venga chiarito in maniera definitiva quali sono gli intendimenti del Ministero della Giustizia a proposito del carcere di Modica. Quando il ministero ha previsto la realizzazione di undici nuove carceri sul territorio nazionale, di cui ben quattro nel territorio della Regione Siciliana, avevo preteso chiarimenti sull’assenza del carcere di Modica dalla programmazione nazionale sui nuovi istituti penitenziari e la stessa pretesa le ribadisco oggi, dopo che il Governo lo scorso dicembre ha siglato l’intesa con la Regione Siciliana per l’attuazione del piano. Dal momento che, oltre al carcere di Catania, è stata finanziata la realizzazione di strutture presso centri minori non capoluogo come Marsala, Sciacca e Mistretta (oltre all’ampliamento di quelle già presenti a Siracusa e Caltagirone) appare infatti ancor più colpevole il fatto che Modica sia stata volutamente ignorata pur in presenza di una pratica già aperta da lungo tempo. Da diversi anni, infatti, il nuovo carcere di Modica è previsto all’interno di una lista contenuta in atti ufficiali del Suo Ministero, tanto che il nostro Comune,già dal 2003, ha completato l’iter per l’individuazione in contrada Catanzarello dell’area per la sua costruzione e che funzionari del Ministero hanno effettuato un sopralluogo per certificarne l’idoneità”. Aversa (Ce): la difficile situazione degli Opg italiani, un Forum discute il superamento La Repubblica, 14 gennaio 2011 Si terrà ad Aversa, nel Castello Aragonese presso la scuola di polizia penitenziaria il 14 e 15 gennaio, il VI Forum nazionale sulla salute mentale dal titolo “Strategie e pratiche per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari: il ruolo dei dipartimenti di salute mentale”. Gli Opg italiani sono sei: Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione dello Stivere, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. Vi sono internati i criminali dichiarati incapaci di intendere e di volere, in tutto 1.452 persone. Il loro scopo dovrebbe essere quello di accompagnare gli internati in un percorso di reinserimento sociale e per questo dal 2008 il servizio sanitario nazionale è entrato nella gestione degli istituti per favorire il trasferimento dei reclusi ai servizi di salute mentale territoriali. La situazione degli istituti però è allarmante e le strutture si trovano spesso in condizioni estreme con internati lasciati quasi all’abbandono e con gli operatori psichiatrici che non vengono messi in grado di lavorare perché le risorse che lo Stato assicura sono minime. “Gli Opg sono rimasti sostanzialmente estranei e impermeabili alla cultura psichiatrica riformata, e il meccanismo di internamento non è stato influenzato dalla legge 180. Molti giuristi, psichiatri, politici, opinionisti e cittadini attivi nelle associazioni riconoscono che la persistenza dell’Opg e delle stesse procedure per accedervi sono incostituzionali” denunciano infatti gli organizzatori del Forum. Le inchieste giornalistiche e parlamentari hanno descritto una situazione spaventosa fatta di strutture fatiscenti e detenuti trovati in condizioni estreme: la commissione Marino addirittura ne trovò uno completamente nudo, legato al letto mani e piedi con della garza e con un foro nel materasso per far cadere gli escrementi in un pozzetto. I casi di suicidio poi non sono rari: proprio pochi giorni fa un internato di Aversa, di soli 31 anni, si è tolto la vita in cella, impiccandosi in pieno pomeriggio senza che nessuno si accorgesse di niente. A questa già tragica situazione bisogna aggiungere il fatto che per i malati mentali brevi condanne si trasformano spesso in quello che viene definito “ergastolo bianco”. Gli internati non hanno infatti una pena fissa come i detenuti comuni, le misure di sicurezza possono essere prorogate al loro termine se un medico rileva ancora pericolosità sociale o se nessun servizio psichiatrico territoriale si prende carico del soggetto. E soprattutto quest’ultima eventualità accade molto spesso, a dispetto della riforma del 2008, con la conseguenza che persone internate anche per reati minori e con condanne di due anni, sono rimasti in Opg anche 25 anni. Immigrazione: a Padova 8 “clandestini” scarcerati per effetto nuova Direttiva europea Il Gazzettino, 14 gennaio 2011 Sono già otto i clandestini arrestati e immediatamente scarcerati a Padova per effetto della nuova direttiva europea in merito ai rimpatri. Si tratta di nigeriani, moldavi, marocchini, trattenuti in carcere per aver violato l’ordine del questore a lasciare il territorio nazionale entro i 5 giorni previsti dalla legge Bossi - Fini. Ora la procura di Padova, per mano del pubblico ministero Paolo Luca, ha disposto che queste persone vengano rimesse in libertà perché la loro detenzione è in netto contrasto con la direttiva europea “entrata in vigore” dal 24 dicembre scorso. Casi simili si sono già verificati anche a Firenze e Torino. E questo perché l’Italia non ha adeguato in tempo la propria legislazione in materia di espulsioni, per cui ora la direttiva comunitaria di fatto “prevale” sul diritto interno. Le direttive europee possono essere definite “self extecuting”, ovvero immediatamente applicabili nel caso in cui lo stato membro non abbia prodotto una legislazione in linea con i principi ispiratori dell’Europa. E siccome i principi ispiratori della Bossi - Fini sono in netto contrasto con quelli della comunità europea i clandestini detenuti in carcere senza adeguate motivazioni devono essere liberati. Per l’Ue le adeguate motivazioni sono il pericolo di fuga e la pericolosità sociali. In ogni caso ogni provvedimento di espulsione deve essere motivato nel dettaglio considerando ogni aspetto della vita del cittadino clandestino. Ciò vale non tanto, e non solo, per tutti gli extracomunitari arrestati per la violazione dell’articolo 14 della Bossi - Fini dopo il 24 dicembre, ma anche prima di questa data, si tratta di uno dei pochi casi di retroattività di una legge. Questo perché la normativa europea non solo è diversa, ma è diametralmente opposta a quella interna. Diversità che si esprime su due fronti: il primo è che la Bossi - Fini prevede l’espulsione entro 5 giorni per ordine del questore, e prevede l’arresto in caso di inottemperanza, mentre l’Ue promuove l’allontanamento volontario dello straniero tra i 7 e i trenta giorni. Il secondo è che la detenzione è prevista unicamente come “extrema ratio”, in caso di gravi condotte dell’immigrato. In caso contrario, dice l’Europa, non lo si può privare della libertà. Stati Uniti: in Alabama giustiziato detenuto di 51 anni, il terzo da inizio anno Ansa, 14 gennaio 2011 Un uomo di 51 anni, Leroy White, è stato giustiziato ieri in Alabama, nel sud degli Stati Uniti, per l’omicidio della sua ex compagna, dopo che la Corte Suprema aveva sospeso l’esecuzione per alcune ore. Poca prima del 18 locali, ora prevista per la sua esecuzione con una iniezione mortale alla prigione Holman ad Atmore, “la Corte suprema ha accordato una sospensione provvisoria, revocata alcune ore dopo, così White è stato giustiziato”, ha indicato il suo avvocato, Bryan Stevenson. Il governatore e la Corte Suprema dello Stato avevano sempre respinto gli appelli alla clemenza. Questa sospensione temporanea della più alta corte americana ha fornito alle autorità giudiziarie nuovo tempo per esaminare il caso del condannato a morte, ma non è servita a salvare la vita a White. L’uomo ha trascorso più di 22 anni in carcere dopo essere stato condannato nel 1989 per l’uccisione della sua ex moglie. “L’esecuzione di oggi dimostra ancora una volta che la pena capitale in questo paese è diventata una sentenza arbitraria che si applica nei confronti di coloro che sono troppo poveri, handicappati e vulnerabili per potere evitare questa vendetta letale”, ha commentato il legale di White. Quella in Alabama è la terza esecuzione del 2011 negli Stati Uniti. Le prime due avevano avuto luogo in Oklahoma. Nel 2010 la pena capitale era stata applicata 45 volte. Kuwait: detenuto muore per torture, si dimette il ministro dell’interno Aki, 14 gennaio 2011 Il ministro dell’Interno del Kuwait, Sheikh Jaber al - Khaled al - Sabah, si è dimesso dal suo incarico dopo la conferma della morte di un detenuto, Mohamed al - Mutairi, a causa di sospette torture subite in carcere. Lo riferisce il sito web del quotidiano Gulf News, precisando che poco prima delle dimissioni di al-Khaled al-Sabah, il ministero dell’Interno ha emesso un comunicato in cui si ammetteva che al-Mutariri non era morto per cause naturali, smentendo la prima ricostruzione della vicenda, secondo cui l’uomo era morto per un infarto. “Ho presentato le dimissioni in linea con l’obbligo che ho di assumermi la piena responsabilità rispetto a quanto ho promesso mercoledì”, si legge in una nota di al-Khaled al-Sabah. “Non posso accettare di guidare un ministero che attacca i cittadini kuwaitiani” ha aggiunto. Nei giorni scorsi al-Khaled al-Sabah è stato duramente attaccato da alcuni parlamentari sciiti del Blocco d’Azione Popolare (Bap) che hanno indicato il ministro come responsabile di quanto accaduto. Alcuni medici dell’ospedale dove al-Mutairi era stato ricoverato, a seguito delle violenze subite, hanno confermato che l’uomo aveva diverse ferite e lividi sul corpo e che i suoi piedi erano stati legati. Al-Mutairi era stato arrestato sabato scorso per traffico di alcol, dopo avere tentato la fuga dagli agenti e provato ad accoltellare alcuni di loro. Tibet: due monaci muoiono dopo lunga detenzione e torture nelle carceri cinesi Ansa, 14 gennaio 2011 Due monaci tibetani sono morti poco dopo essere stati liberati dopo una lunga detenzione in carceri cinesi, dove avrebbero subito torture. Lo riferisce il Tibet Post International, giornale della diaspora tibetana. Le due morti risalgono all’anno scorso, ma la notizia si è appresa solo poche ore fa. Thupten Legtsok era un monaco nel monastero di Daklha Lhuguk di Lhasa, la capitale tibetana, da dove fu arrestato nel 1989 per aver preso parte alle proteste pacifiche di quell’anno in Tibet. In quella occasione, Thupten partecipò a una marcia pacifica per le strade di Lhasa insieme ad altri monaci, brandendo la bandiera tibetana. Secondo il giornale, fu arrestato e torturato in una prigione segreta dalle autorità cinesi ed ebbe come conseguenza gravi problemi di salute. Il monaco è stato poi liberato alla fine dell’anno scorso ed è morto poche ore dopo il rilascio. Stessa sorte anche per Dorjee Tsering, morto lo scorso novembre. Fu arrestato durante una protesta pacifica a Lhasa nel 1994. Iraq: evasione in massa dal carcere di Bassora, fuggiti 13 qaedisti Agi, 14 gennaio 2011 Tredici terroristi di Al Qaeda sono evasi dalla prigione di Bassora, in Iraq, in cui erano detenuti. A rivelarlo è stato il parlamentare della corrente sadrista, Hussein Talib al - Mansouri, citato dall’agenzia Nina, il quale ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’evasione avvenuta “con modalità ambigue”.