Giustizia: le mille bolle blu del ministro Alfano di Valter Vecellio Notizie Radicali, 13 gennaio 2011 La storia sembra il soggetto di uno di quei film in cui erano insuperabili Camillo Mastrocinque o Steno (a patto d’avere, beninteso, attori del calibro di un Totò, di un Peppino De Filippo, di un Aldo Fabrizi). La storia, dunque, per come veniva raccontata ieri pomeriggio dall’agenzia Ansa. C’è un detenuto, sconta la sua pena nel carcere di Parma. Riesce ad evadere, fugge. Qualche ora di latitanza, poi si costituisce; non a Parma, piuttosto bussa “asilo” al penitenziario di Lucca. Non per un errore abbiamo scritto “asilo”. L’uomo infatti racconta di essere evaso e di essersi dopo qualche ora costituito a Lucca nella speranza di poter scontare la pena in una cella più comoda, e soprattutto meno umida. Protagonista della vicenda un pregiudicato napoletano di 39 anni; alle spalle una lunga serie di reati contro il patrimonio. A Parma stava scontando la pena alternando periodi in detenzione ad altri periodi in cui era agli arresti domiciliari. La sera del 2 dicembre, dopo il lavoro era salito in automobile, e si era diretto verso la Toscana. Giunto alle porte di Lucca si era poi consegnato agli agenti di una pattuglia della polizia stradale. Gli agenti, increduli, lo avevano considerato un personaggio eccentrico e un po’ svitato. Non sufficientemente eccentrico e “svitato” per fare un controllo, però. E il controllo rivelava appunto che quell’uomo per quanto incredibile potesse sembrare, aveva detto la verità. Così lo hanno arrestato per evasione. Ora però basta il sorriso. La storia è vera, e il carcere di Parma quello che è. Al punto che le denunce dei detenuti e quelle degli agenti di custodia sono sovrapponibili, e le si possono per esempio trovare nei documenti ufficiali elaborato dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria. Dunque, evadere per stare in una cella migliore, che non sia umida. Ci sono anche episodi paradossali e amaramente divertenti come questo, quando si parla di carceri e situazione giustizia. Ogni giorno è un bollettino di guerra: Prorogato lo “stato di emergenza” delle carceri, critici Sindacati e Associazioni. La decisione adottata dal Consiglio dei ministri. Uno dei leader delle organizzazioni sindacali della P.A., Donato Capace, dice: “Dei 47 nuovi padiglioni promessi non ne è stato costruito neanche uno. Promessi 2 mila nuovi agenti, ne sono arrivati meno della metà. Sono 14mila i detenuti che lavorano, il 20 per cento della popolazione carceraria. In Calabria il degrado delle carceri è qualcosa di allarmante. A Brescia le carceri, come un po’ ovunque, sono sovraffollate, protestano gli agenti di Canton Mombello e Verziano. La situazione carceraria cittadina è disastrosa, non solo dal punto di vista dei detenuti, ma anche di chi vi lavora, cioè del personale della polizia penitenziaria. “Telegrammi” di vicende assai complicate e che, colpevolmente, si lasciano incancrenire. Oramai da via Arenula non fanno neppure più la “mossa” di fare qualcosa. Assistono, indifferenti e allo svolgersi di quotidiane tragedie. Un giorno è un detenuto che “evade” impiccandosi, e gli mancavano magari poche settimane prima di essere scarcerato, ma poco importa il peso della detenzione era così schiacciante, che ha preferito farla finita; un’altra volta sono detenuti che vivono ammassati in sette - otto - dieci, abbarbicati sui letti a castello…Tragedie che lasciano indifferenti la maggioranza, ma spesso, purtroppo, anche l’opposizione. È molto abile nelle chiacchiere, il ministro Alfano, un affabulatore come il suo leader e presidente del Consiglio. Come lui, promette, annuncia, dichiara; come molti anni fa cantava Mina: “parole, parole, parole…”. Giustizia: sull’emergenza carcere Alfano rimette la firma di Dina Galano Terra, 13 gennaio 2011 Il Consiglio dei ministri ha prorogato di un altro anno lo stato di crisi del sistema penitenziario. Con il Piano per l’edilizia ancora sulla carta, obiettivi e fondi ancora più deboli. Una semplice formalità. In un Consiglio dei ministri frettolosamente riunito, insieme alla proroga dei termini di alcuni provvedimenti urgenti in scadenza nel 2011, è stato vistato anche il decreto che il 13 gennaio scorso aveva riconosciuto lo stato di crisi del sistema penitenziario. Sarà emergenza sovraffollamento anche per il 2011, dunque. Con i poteri straordinari in mano al commissario Franco Ionta e le procedure sottoposte a secretazione d’ufficio. Ma ciò che si è riuscito a portare a termine durante l’anno passato è talmente poca cosa da scoraggiare la stessa amministrazione. è stato sì approvato il decreto che interpretato da alcuni come “svuota carceri”, ma il numero del sovraffollamento è al massimo storico e nemmeno una pietra del fantomatico Piano per l’edilizia penitenziaria è stata posata. Ciò che si è verificato è stato il sostanziale indebolimento degli obiettivi e dei fondi. Come ha scritto recentemente Luigi Morsello, ispettore generale dell’Amministrazione penitenziaria, “si è partiti con 49 padiglioni e 18 edifici, per approdare a 11 nuovi penitenziari e 20 padiglioni. I posti letto da realizzare sono scesi da 21.709 a 9 - 10mila. I fondi si sono ridotti da 600 a 200 milioni di euro, dei quali 50 a carico del ministero della Giustizia e 150 della cassa delle Ammende”. Soldi che in realtà dovrebbero essere destinati alle attività per i detenuti. Nulla di fatto anche per l’assunzione dei 2.000 agenti previsti come terzo pilastro del Piano, carenza più volte denunciata dai sindacati di polizia. La Uil-Pa penitenziaria ha notato che dal 2008 i tagli per il sistema carcere sono arrivati al 30 per cento finendo per imporre il risparmio su “manutenzione e la pulizia dei fabbricati, ma anche il mantenimento e l’assistenza sanitaria dei detenuti”. Così, in media, “per garantire il vitto (colazione, pranzo e cena) alla popolazione detenuta occorrono 4,15 euro al giorno pro - capite”. Se dal ministero della Giustizia non arrivano al più presto somme sufficienti quantomeno a sostenere le spese minime, diventa quasi lecito giustificare i ritardi del programma che dovrebbe arginare i problema sovraffollamento. “Sul Piano di edilizia penitenziaria siamo al punto di partenza”, sostiene Stefano Anastasia dell’associazione Antigone. “Detenuti accatastati in carceri vecchie”. “è chiaro che la decisione della proroga dipende dal fatto che non è stato realizzato nulla”, continua il Garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone. Delle 11 nuove ancora sulla carta, è Camerino l’unica sede che ha visto avviare le procedure per la costruzione di una struttura. “Stiamo vigilando affinché il nuovo istituto tenga conto dell’esigenza lavorativa dei detenuti e sia dotato di un reparto per l’attività sanitaria”, dichiara il Garante dei detenuti della Regione Marche, Italo Tanoni. Tempo stimato per la realizzazione, due anni. “Speriamo ci sia la volontà politica”, sottolinea il Garante, “perché nelle Marche la situazione complessiva delle carceri è esplosiva e c’è necessità di decongestionare l’alto tasso di sovraffollamento”. Lettere: affidiamo ai detenuti la manutenzione delle strade di Roberto Martinelli* Secolo XIX, 13 gennaio 2011 Faccio riferimento all’inchiesta del Decimonono dell’altro giorno circa i gravi problemi di manutenzione delle strade di Genova. Suggerisco una soluzione. In analogia a quanto già avvenuto e avviene in altre città d’Italia, propongo di impiegare anche a Genova i detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale occupandosi, ad esempio, della manutenzione delle strade, dei parchi della città, della pulizia dei greti dei torrenti e delle spiagge della nostra Provincia. L’attivazione sul territorio nazionale di iniziative inerenti la promozione del lavoro è diventato obiettivo primario che l’amministrazione penitenziaria persegue al fine del coinvolgimento consapevole e responsabile dei soggetti in espiazione di pena in attività lavorative volte all’integrazione e al reinserimento nella comunità sociale. Tutto questo nella convinzione che il lavoro è uno degli elementi determinanti su cui fondare percorsi di inclusione sociale non aleatori. Impiegare in detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità è una delle richieste storiche del sindacato autonomo di polizia Penitenziaria Sappe, motivata dalla necessità concreta di dare davvero un senso alla pena detentiva. I detenuti hanno prodotto danni alla società? Bene, li ripaghino mettendosi a disposizione della collettività ed imparando un mestiere che potrebbe essere loro utile una volta tornati in libertà. Oggi sono pochissimi i carcerati che lavorano nei penitenziari: la maggior parte oziano tutto il santo giorno. E allora, se è vero - come è vero - che il lavoro è potenzialmente determinante per il trattamento rieducativo dei detenuti (perché li terrebbe impiegati per l’intero arco della giornata durante la detenzione - ore che oggi passano nell’ozio pressoché assoluto; perché permetterebbe loro di acquisire un’esperienza lavorativa utile fuori dalla galera, una volta scontata la pena), perché non provare a percorrere anche questa strada? Dicevo prima che l’amministrazione penitenziaria, nel quadro degli scopi trattamentali previsti dall’ordinamento penitenziario, ha da tempo intrapreso una serie di iniziative sperimentali volte a favorire il reinserimento socio lavorativo di soggetti in espiazione di pena mediante la partecipazione responsabile e consapevole in progetti di recupero del patrimonio ambientale e lavori di pubblica utilità. Per i positivi esiti finora conseguiti non solo sul piano trattamentale, ma anche nei confronti della cittadinanza che ha visto attivamente impegnati in lavori di pubblica utilità coloro che si sono resi responsabili di reati, credo si dovrebbe pensare ad una soluzione di questo tipo, nel prossimo futuro, anche per la città di Genova. Roberto Martinelli è segretario generale aggiunto Sappe Perugia: detenuto di 23 anni si suicida inalando gas da una bomboletta di Carlo Ciavoni La Repubblica, 13 gennaio 2011 Un altro decesso in carcere, il 6° del 2011 Aveva 23 anni ed è morto aspirando gas. Originario di Taranto, scontava un cumulo di pena per reati contro il patrimonio che lo avrebbe tenuto in cella fino al 2018. Non si sa ancora se si è tolto la vita, oppure se la bomboletta del fornello da campeggio l'ha aspirata solo per stordirsi. L'inspiegabile silenzio della questura di Perugia. Un detenuto di 23 anni - M. M. di Taranto - è morto nel carcere di Capanne a Perugia dopo avere inalato del gas dalla bomboletta di un fornello da campeggio che aveva in cella per cucinare. Sono in corso accertamenti, della squadra mobile del capoluogo umbro, che ha messo i sigilli alla cella e che sta valutando due ipotesi: quella di un incidente, legato all'uso del gas per stordirsi, oppure quella del suicidio. Sia la direzione del carcere, che la questura di Perugia hanno alzato un inspiegabile muro di silenzio sull'accaduto. Il detenuto era entrato in carcere nell'ottobre scorso per scontare un cumulo di pena maturato dopo diverse condanne per reati contro il patrimonio, alcuni furti e una rapina. Sarebbe uscito nel 2018. L'on. Bernardini aveva avvertito. E' il sesto decesso dietro le sbarre, dall'inizio dell'anno: se si arriverà ad accertare che M. M. si è tolto la vita, sarà il terzo suicidio dal 1° gennaio scorso. Nel carcere di Perugia sono attualmente rinchiuse 519 persone in uno spazio che potrebbe contenerne 350. L'onorevole Rita Bernardini, deputata del Partito Radicale, eletta nelle liste del Pd, due giorni fa aveva avanzato un'interrogazione parlamentare, a seguito di alcune segnalazioni di atti di autolesionismo che si erano verificati nel carcere di Perugia. La parlamentare aveva chiesto anche che fossero messi in atto i protocolli di sicurezza previsti dal ministero, per prevenire i suicidi. Intanto, la popolazione carceraria cresce di giorno in giorno: il 31 dicembre scorso risultavano in cella oltre 67.000 reclusi, in uno spazio complessivo utile per 45.022 persone. "Vietare le bombolette". Era tarda sera, quando M. M. ha deciso di inalare il gas contenuto nella bomboletta, che ha prima immesso in un sacchetto di plastica e poi aspirato con forza. I suoi compagni di cella - stando a quanto è stato possibile apprendere finora - non si sarebbero accdorti di nulla. Il giovane è stato subito soccorso dal personale di sorveglianza, ma è morto poco dopo. In carcere è quindi intervenuto anche il medico-legale, che entro domani farà sapere l'esito dell'esame autoptico. Il Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, in un comunicato parla di "ennesimo suicidio". Il segretario generale, Donato Capece ha quindi spiegato che tutti i detenuti "legittimamente" hanno le bombolette per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, "come prevede il regolamento penitenziario". A suo avviso è però necessario "rivedere la possibilità che continuino a mantenere questi oggetti nelle celle". Ma i fornelletti servono". Di parere opposto sono invece le organizzazioni di volontariato che svolgono il lavoro di supporto e assistenza nelle carceri, o che - come Ristretti Orizzonti - svolgono un costante ruolo di monitoraggio sulla condizione nelle carceri italiane, nell'ottica della difesa dei diritti. Sulla tabella degli stanziamenti, alla voce spese per il trattamento dei detenuti, i 160 mila euro nel capitolo dedicato al vitto sarebbero stati ridotti a 85 per il 2011. Ora, tenendo conto che per i tre pasti al giorno lo Stato spende 4 euro a detenuto, la prospettiva è che quella cifra si riduca ulteriormente. Ecco allora l'esigenza del fornelletto in cella, per permettere ai reclusi di prepararsi autonomamente qualcosa in più rispetto a quanto fornito dall'amministrazione penitenziaria. Il bilancio. Dal 2000 al 2010 i morti in carcere sono stati 1736, di cui 626 suicidi. Nel corso dell'anno appena passato le persone che si sono tolte la vita sono state 66. L'anno precedente - il 2009 - è stato nel trascorso decennio quello con il numero maggiore di suicidi: 72. Le bugie del governo. È stato prorogato lo "stato di emergenza sulle carceri", scaduto il 31 dicembre scorso. La decisione è stata presa l'altra sera dal Consiglio dei ministri. La misura, entrata in vigore il 13 gennaio 2010, era stata introdotta per affrontare le drammatiche condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane. Una misura che per ora non ha dato i risultati promessi: dei 47 nuovi padiglioni promessi dal piano carceri non ne è stato costruito neanche uno. La loro costruzione avrebbe dovuto essere agevolata proprio dallo stato di emergenza. "Inoltre erano stati promessi 2mila nuovi agenti, ne sono stati assunti 56. Ma 800 sono andati in pensione" spiega Donato Capece, segretario del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Lavora solo il 20% dei detenuti. Secondo Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone 3, "dovrebbero cambiare alcune leggi che producono un'eccessiva carcerazione e, sul lungo termine, lavorare sulla prevenzione, attraverso i temi dell'educazione, del lavoro, dell'immigrazione". A questo proposito, va ricordato che solo il 20% dei detenuti nella carceri italiane lavora, il restante 80% trascorre il suo tempo in un'angosciosa inattività, spesso all'origine dei suicidi, in spazi sempre più angusti. Catania: dieci detenuti per cella, morire nell’inferno di Piazza Lanza di Andrea Sessa Live Sicilia, 13 gennaio 2011 Catania, Piazza Lanza. Una giornata tiepida di fine marzo di due anni fa, una primavera dolce come tante altre. Siamo all’interno del carcere etneo. Reparto Nicito, quello destinato ai nuovi arrivati. Tra intonaci caduti e l’aria stagnante trascorre l’ennesima giornata di passione per centinaia di persone. Alle 12,20 l’assistente capo della polizia penitenziaria effettua il solito giro di controllo nel reparto a lui assegnato. Sarebbe solo una semplice routine. Ma all’interno della cella numero 9 trova un ragazzo impiccato al letto a castello e dà l’allarme. Il ragazzo viene portato in ospedale, con un’auto normalissima e non con un’ambulanza, già morto. Ed è così che inizia la tragica vicenda della morte di Carmelo Castro, giovane 19enne di Biancavilla. Carmelo, con l’accusa di aver partecipato ad una rapina, era stato prelevato da casa sua dai carabinieri. Era in perfette condizioni di salute. L’articolo 27 della nostra Costituzione prevede che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il caso di Carmelo esemplifica, purtroppo, il contrario. Lo Stato garantisce trattamenti che “tendono alla rieducazione del condannato”? Nel caso di Piazza Lanza i numeri parlano chiaro. Spesso i detenuti arrivano ad essere il quadruplo di quelli previsti. Durante la visita di un responsabile dell’associazione Antigone i detenuti erano 554, contro una capienza regolamentare di 155 persone. E così molti abitanti della zona del carcere sentono spesso i detenuti picchiare con pentole e forchette sulle sbarre per far sentire la disperazione di vivere in spazi così angusti. Basti pensare che all’interno di una cella sono stipati dagli otto ai dieci detenuti. Numeri deficitari anche per il personale in servizio. Come rivela un dossier dell’associazione Antigone, al momento dell’ultima visita di un responsabile vi erano 248 agenti in servizio su un totale di 435 unità previste. Il reparto dove Carmelo è morto, il Nicito, è uno dei peggiori. Pessima accoglienza per i nuovi arrivati: si tratta di un’ala non ristrutturata da molto tempo e in condizioni fatiscenti. Muri scrostati, umidità, 20 celle di 8 metri quadri con 3 detenuti ciascuna. Tutto ciò per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo costituirebbe un trattamento “disumano e degradante”. Al contrario degli altri reparti al Nicito non hanno le docce all’interno delle celle. Non c’è un nido, nonostante le 4 donne con bambini piccoli entrate tra il 2009 e il 2010. Per i detenuti stranieri che non conoscono l’italiano la situazione si complica: non esistono traduzioni in altre lingue del regolamento interno della casa circondariale. Per quanto riguarda l’assistenza medica le spese sono ancora a carico dell’istituto. Questo perché ancora la Sicilia non ha effettuato il passaggio della sanità alle strutture pubbliche. È quindi capitato che per risparmiare sulle spese il servizio infermieristico sia stato disponibile solo 12 ore e si è scelto di mantenere il servizio notturno. Sulle condizioni del carcere catanese negli ultimi due anni sono state presentate ben sette interrogazioni parlamentari. Non è arrivata nessuna risposta. Sulla morte di Carmelo Castro sono state presentate 3 interrogazioni. Anche in questo caso lo Stato ha risposto con il silenzio. Parma: Sel e Verdi presentano interrogazione in regione su nuove norme detenzione Dire, 13 gennaio 2011 “Le strutture carcerarie sono in difficoltà, e non è un problema solo di Parma”. La denuncia è di Gian Guido Naldi e Gabriella Meo, consiglieri regionali del gruppo Sel - Verdi, dopo la notizia del detenuto fuggito dal carcere della città emiliana in cerca di una cella migliore. “Mancano i fondi per le ristrutturazioni e la messa a norma e le strutture così malmesse non sono più adatte a contenere un numero di detenuti così alto - si legge in una nota congiunta - il sovraffollamento infatti rende ancora più difficile la gestione e la possibilità di ristrutturare zone, anche se ristrette, delle strutture”. La situazione del carcere di Parma è critica, si parla tra gli altri di notevole umidità delle celle. Ma anche nel resto dell’Emilia - Romagna ci sono problemi importanti nei penitenziari: “È difficile trovare delle strutture in condizioni ottimali - proseguono Naldi e Meo - Ci stiamo rendendo conto, nelle nostre visite (che riprenderanno lunedì 24 gennaio dal carcere della Dozza a Bologna), che in molti casi le carceri hanno problemi analoghi di mancata manutenzione e difficoltà di gestione delle strutture. Lo denunciano i sindacati di polizia e ce lo hanno confermato anche i direttori, che sono costretti a chiudere delle aree perché troppo fredde o umide”. Come è accaduto a Ravenna, in una struttura già piccola che ha dovuto chiudere in inverno la zona di prima accoglienza dei detenuti perché non riscaldata. Sel e Verdi si stanno comunque muovendo in un’altra direzione: “Abbiamo depositato una interrogazione per sapere come la Regione si sta muovendo per prepararsi all’entrata in vigore della legge 199/2010 - conclude la nota - che permetterebbe, a quasi 900 detenuti nelle carceri dell’Emilia - Romagna, di scontare gli ultimi 12 mesi di detenzione al proprio domicilio o presso una struttura pubblica o convenzionata”. Trieste: in carcere finiti i fondi anche per gli spazzolini e le celle scoppiano di Valeria Arnaldi Leggo, 13 gennaio 2011 Resta l’emergenza del sovraffollamento: in 5 regioni campione, solo 93 i detenuti che hanno ottenuto il beneficio previsto dalla cosiddetta legge “Svuota carceri”. “Non ci sono i fondi neppure per garantire ai detenuti il kit di prima assistenza igienica, ossia carta igienica e spazzolino. Prima lo pagava l’amministrazione, oggi con i tagli, non è più possibile. Molti reclusi sono a carico delle famiglie”. È un problema quotidiano e concreto quello che Donato Capece, segretario generale Sappe, usa per dare la misura del grave stato d’emergenza delle carceri italiane. “Il sistema è al collasso - dice - I posti letto sono circa 42mila, i detenuti quasi 70mila. Molti dormono su brande o materassi tenuti sotto i letti. Per riposare in cella si devono fare i turni e qualcuno deve rimanere in piedi”. Questione di spazio, ma non solo. “I suicidi sono aumentati del 50% rispetto allo scorso anno. È difficile prestare attenzione e cure necessarie: c’è uno psicologo ogni cento presenze, in taluni casi, addirittura ogni duecento. In molte carceri sono state soppresse le sale sociali. Il rischio di implosione è altissimo. Il numero di reclusi deve essere ridotto almeno del trenta per cento”. La cosiddetta legge svuota carceri, però, sembra non funzionare. Ad oggi ha interessato solo qualche centinaio di persone. “L’esecuzione presso il proprio domicilio dell’ultimo anno di pena - spiega Massimo Battaglia, segretario generale Confsal Unsa - consentirebbe una riduzione della popolazione carceraria di circa cinquemila persone, non sufficiente a incidere sulla drammatica situazione dei reclusi, che aumentano di circa 800 unità ogni mese. È indispensabile incrementare misure alternative al carcere”. Il Sidipe (Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari) chiede nuove carceri: “Servono più strutture concepite in modo nuovo. Spazi angusti e che tendono ad atterrire, come quelli attuali, non sono giustificabili. Occorre progettare istituti più accoglienti e di più rapida costruzione”. Sulle misure alternative insiste pure Capece: “In carcere deve essere portato solo chi ha commesso reati gravi. Faremo un sit-in di protesta davanti al ministero di Giustizia e a Montecitorio”. Il Direttore Sbriglia: sì alle prigioni sulle piattaforme galleggianti Enrico Sbriglia, presidente Sidipe e direttore del carcere di Trieste, la legge “svuota carceri”, pensata per risolvere il problema del sovraffollamento, sembra non funzionare: cosa ne pensa? “È stato fatto un errore strategico. Per l’applicazione è previsto un processo giurisdizionale, con relativa tempistica. Si sarebbe potuto fare con procedimento amministrativo. Senza contare che la legge è temporanea, valida solo fino al 2013, e non ha senso visto il problema permanente”. Quali potrebbero essere allora delle soluzioni efficaci? “Sicuramente, misure alternative al carcere e pure velocizzate, magari affidandole alla direzione penitenziaria in perfetta autonomia e attribuendo alla Procura solo la verifica sulla legalità del procedimento”. Servono nuove carceri? “Sì, ma basate su una diversa filosofia. Non devono essere luoghi che atterriscono ma che sollevano. Io ho proposto di farle su piattaforme galleggianti. Perfettamente funzionali, edificabili in tempi rapidi e belle. E l’esperienza mi insegna che ciò che è bello è, spesso, più sicuro di ciò che non lo è”. Messina: nuova sezione esterna dell’Opg, pronta a ospitare quindici pazienti di Saverio Vasta Gazzetta del Sud, 13 gennaio 2011 Si chiamerà “Comunità Carmen Salpietro” in memoria del vicedirettore dell’Ospedale psichiatrico giudiziario Madia scomparsa lo scorso anno. È il reparto esterno che già a partire dalla prossima settimana ospiterà 15 ricoverati dell’Opg nei locali comunali di Oreto, destinati a ricovero per anziani, e recentemente ristrutturati per le specifiche finalità del progetto elaborato in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale di Messina e finanziato dalla Cassa delle Ammende (253.000 euro per tre annualità). “Il reparto sarà inaugurato martedì prossimo ed è destinato a 15 detenuti che hanno ultimato le misure di sicurezza” annuncia il direttore Nunziante Rosania, in partenza per un convegno organizzato ad Aversa dal Forum di Salute Mentale cui parteciperà anche il senatore Marino. “La Comunità sarà gestita da un’équipe di medici, paramedici, tecnici della riabilitazione psichiatrica, animatori, senza la diretta presenza della polizia penitenziaria - spiega Rosania - Si tratta della seconda annualità di un progetto di “custodia attenuata” avviato nel 2008 all’interno dell’Opg, in un’ala dell’edificio ristrutturata in previsione dell’istituzione del reparto femminile, comunque eccentrica al blocco manicomiale”. Il locale di Oreto, ristrutturato dal Comune, si sviluppa a pian terreno ed è circondato da un ampio spiazzo con giardino. L’Opg ha provveduto all’arredo e all’istallazione dell’impianto di videosorveglianza. “Con il consorzio di cooperative sociali e il Dsm si provvederà all’allestimento di prefabbricati intorno all’edificio per la realizzazione di attività scolastiche e di formazione professionale” annuncia il direttore. Le finalità del progetto sono “evitare le proroghe delle misure di sicurezza, favorire l’uscita duratura dall’Opg, ma anche dimostrare che persone con patologie mentali possono essere gestite in ambiente diverso dalla struttura penitenziaria”. Il prossimo anno la nascitura Comunità sarà coinvolta nel più ampio progetto “Luce e Libertà”, già finanziato dalla Cassa delle Ammende per 4 milioni di euro. Il progetto, promosso dal Dsm, dal Coordinamento delle Cooperative sociali, dall’Uepe di Messina in collaborazione con l’equipe dell’Opg, coinvolgerà 56 ricoverati, che saranno impegnati nella realizzazione di centrali di produzione fotovoltaiche su beni confiscati alle mafie e non solo. Gli aderenti conferiranno i proventi di tale attività (capitali di capacitazione) a una fondazione che sosterrà sul lungo periodo (20 anni) i costi del welfare comunitario. Un progetto che dovrebbe quindi favorire la de - istituzionalizzazione e l’inclusione socio - lavorativa stabile di decine di internati, in attesa che si compiano i passi opportuni per il definitivo e auspicato superamento degli Opg. San Gimignano: Cenni (Pd); carcere verso il collasso, imbarazzante replica del ministero www.valdelsa.net, 13 gennaio 2011 Una risposta insoddisfacente, che non dice nulla di nuovo sulla situazione del carcere di Ranza. Che i problemi del penitenziario di San Gimignano siano comuni a tutte le carceri italiane non ci consola affatto: è semmai la conferma di come il sistema carcerario sia ormai al tracollo, nonostante i roboanti annunci del Governo. Intanto i problemi di Ranza continuano ad aggravarsi, mentre il ministero ne rimanda la soluzione alla realizzazione del fantomatico piano carceri, annunciato ormai un anno fa, e del più recente piano straordinario, entrambi rimasti però lettera morta”. Con queste parole Susanna Cenni, deputata senese del Pd, commenta la risposta del ministero della Giustizia all’ultima interrogazione sul carcere di Ranza presentata dai parlamentari del Partito democratico. “La prima risposta ufficiale del ministero a distanza di due anni e mezzo dalla prima interrogazione - continua Cenni - è quasi imbarazzante: generica, non aggiornata sui numeri, priva di qualunque soluzione e di indicazioni precise sui tempi, il personale, la struttura, i detenuti, la direzione. Un ministero evidentemente troppo occupato scrivere e riscrivere leggi ad personam a tutela del premier per occuparsi seriamente delle carceri italiane”. Ranza verso il collasso, aspettando il piano carceri. “Il sottosegretario Casellati - continua la deputata Pd - ha dichiarato che la situazione dell’istituto di San Gimignano sarà suscettibile di sicuro miglioramento con l’attuazione del piano carceri. Peccato che il piano carceri sia stato annunciato dal Governo esattamente un anno fa (gennaio 2010) e da allora sia rimasto lettera morta. Resta peraltro da capire se per Ranza il piano preveda gli stanziamenti necessari ad effettuare gli adeguamenti di cui la struttura ha bisogno per quanto riguarda il servizio idrico, gli ambienti, i collegamenti con il centro abitato ed altri servizi essenziali. Nel frattempo la situazione continua a peggiorare giorno dopo giorno - sottolinea Cenni - in un clima di tensione che sfocia troppo spesso in episodi gravissimi e pericolosi”. Sulla carenza di organico nessuna risposta e dati non aggiornati. “A Ranza - dice ancora Cenni - gli incrementi di personale di cui parla il ministero, collegati alle procedure annuali di mobilità, non solo non colmano la carenza di organico della struttura, ma non bastano neppure a rimpiazzare gli agenti che sono andati in pensione in questi ultimi anni. Per quanto riguarda il direttore, sostanzialmente il sottosegretario ci ha detto che attenderemo ancora anni prima di poter contare su una figura in pianta stabile. Questo in un quadro di assoluta emergenza, con il personale costretto a continui turni straordinari e una situazione di rischio continuo, non solo per gli operatori ma anche per la cittadinanza di San Gimignano, come non mancano di sottolineare le istituzioni locali e i rappresentanti degli agenti di polizia penitenziaria. Noi non ci fermeremo - dichiara Susanna Cenni - e continueremo il nostro impegno accanto agli enti locali, al personale penitenziario e ai detenuti”. Catania: reinserimento sociale dei detenuti; formazione e lavoro le sfide da vincere Gazzetta del Sud, 13 gennaio 2011 “Il nostro auspicio è che questo progetto possa servire a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema del reinserimento sociale dei detenuti”. Orazio Faramo, dirigente generale del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, presenta nell’Auditorium de La Città del Sole il progetto “Formazione e lavoro, nuove prospettive di vita”. Un innovativo progetto, finanziato dal Fondo sociale europeo attraverso l’Assessorato regionale alla Famiglia, che ha l’obiettivo di insegnare un mestiere ai detenuti e ha preso il via il 30 settembre scorso con la compartecipazione delle Direzioni penitenziarie. A illustrarlo è stato il suo ideatore e direttore, Nino Novello, spiegando che i detenuti, dopo le fasi di ricerca e di orientamento, potranno seguire cinque corsi teorico - pratici (tre nel carcere di piazza Lanza a Catania e due in quello di Giarre) da 150 ore. La fase successiva sarà un esteso periodo di work experience (480 ore) che sarà realizzato, per la prima volta in Sicilia, anche nelle delle imprese. Flavia Cocuzza, referente del progetto della Casa circondariale di Giarre, dove si trovano detenuti tossicodipendenti, quindi con un doppio gap, ha poi sottolineato come il corso valorizzi l’elemento più importante del trattamento del detenuto: il lavoro. “Fondamentale - ha aggiunto - è poi la work experience, per soggetti che non hanno mai sperimentato lavori veri e che non sono consapevoli delle proprie risorse”. Rosario Tortorella, direttore del carcere di piazza Lanza, si è soffermato su due corsi: il primo prevede la formazione di operatori per realizzare libri in Braille e Large print “che consente a una frangia di persone svantaggiate di aiutare un’altra frangia di svantaggiati” e il secondo è quello per la realizzazione di tappeti tipici siciliani. Faramo ha sottolineato come questo progetto sostiene il detenuto “una volta uscito, nel suo ingresso nel mercato del lavoro, restituendolo alla società civile”. E questo, come ha spiegato Novello, anche attraverso un fondo per l’avviamento al lavoro, che consentirà l’accesso al micro credito per la costituzione di imprese artigiane e cooperative”. Parma: detenuto evade per cambiare carcere; cella umida e troppo fredda di Maria Chiara Perri La Repubblica, 13 gennaio 2011 Incredibile vicenda avvenuta i primi di dicembre: un 39enne in regime di semilibertà a Parma non ha fatto ritorno in carcere ed è andato a consegnarsi in quello di Lucca, dicendo che dove era prima stava male. Gli atti inviati alla Procura perché accerti le condizioni del casa circondariale “Sono evaso, sto andando a costituirmi al carcere di Lucca perché in quello di Parma stavo male”. Umidità, nottate gelide, infiltrazioni d’acqua nella cella. È quello che avrebbe spinto un detenuto del carcere di via Burla a prendere una drastica decisione: cambiare carcere. È quello che ha riferito alla polizia di Lucca un 39enne lo scorso 2 dicembre. Gli agenti lo hanno guardato increduli, pensando di trovarsi davanti a una persona con problemi psichiatrici. Invece, l’uomo aveva detto la verità. Il pluripregiudicato di origine napoletana stava scontando nella casa circondariale di via Burla una pena per diversi episodi di rapina, furto, ricettazione, porto abusivo d’armi e falso ideologico. Si trovava in regime di semilibertà: poteva uscire dalla sua cella la mattina per andare a lavorare e doveva rientrarvi entro le 22. Quel giorno, non è rientrato. A bordo della sua auto ha raggiunto Lucca e si è consegnato al primo posto di blocco che ha trovato sulla strada per il carcere. L’obiettivo della sua fuga non era la libertà. A spingerlo al gesto che poteva costargli i benefici della buona condotta è stato il grave disagio subito per le condizioni della cella in cui doveva passare ogni notte, nel reparto della semilibertà: nessun riscaldamento notturno, condutture dell’acqua spesso rotte, infiltrazioni che rendevano la stanza umida. Inoltre, il detenuto non poteva usufruire né di una tv né di uno specchio. Arrestato per evasione, il 39enne è rimasto nel carcere toscano fino ad oggi, giorno del processo per direttissima. Davanti al giudice Gabriele Nigro e al pm Massimiliano Sicilia ha raccontato nei dettagli quali fossero le condizioni della sua cella. “Ho fatto presente più volte la situazione alla polizia penitenziaria - ha riferito - ma non è mai cambiato niente”. Alla fine, esasperato, ha deciso di cambiare carcere. Le sue parole sono state ritenute credibili dall’accusa, che ha disposto il trasferimento degli atti in Procura perché possa verificare se effettivamente le condizioni delle celle del carcere di via Burla possano ledere i diritti dei detenuti. Il pm Sicilia ha riconosciuto l’attenuante della costituzione volontaria e ha chiesto il minimo della pena per evasione. Il giudice ha accolto la richiesta e ha condannato l’evaso a sei mesi di reclusione. Da scontare ai domiciliari. Dettaglio di non poco conto. Milano: l’imputato resta in cella con il copia-incolla del nome sbagliato www.giustiziagiusta.info, 13 gennaio 2011 Si chiama “copia e incolla”, ed è una funzione assai usata sui computer di tutto il mondo. Si prende un brano da un testo e lo si infila in un attimo in un altro testo. Fa risparmiare un sacco di tempo. Ma quando a usare il “copia e incolla” sono i giudici, qualche problema si pone: perché il codice non lo prevede, e perché ogni imputato avrebbe diritto a essere valutato con cura, volta per volta e caso per caso. Eppure è grazie alla pratica del “copia e incolla” che a Milano può accadere che un imputato venga tenuto in galera con le motivazioni di un altro. Può accadere che i pubblici ministeri, di fronte ad una richiesta di scarcerazione, si limitino a copiare - e - incollare il parere già espresso per un altro detenuto, senza neanche ricordarsi di cambiare il nome. E, ancora più singolarmente, può accadere che il giudice accolga il parere come se niente fosse, senza accorgersi che riguarda un altro imputato. In carcere da tre mesi, festività comprese, per un reato (la turbativa d’asta) che la legge punisce con una pena esigua: talmente esigua da rendere praticamente certo che, in caso di condanna, ci sarà la sospensione condizionale della pena. Era bastato questo, finora, a fare di Giovani Valdes, ex sindaco ciellino di un paese tra Milano e Pavia, e del bancario Alfredo Introini, i protagonisti di un “caso” giudiziario che sollevava alcune perplessità: rafforzate da episodi sconcertanti, come quello degli atti del ricorso in Cassazione dei loro legali “dimenticati” a Milano per un mese senza venire trasmessi a Roma. Ma il giorno della Befana, dal carcere di Voghera, Valdes prende carta e penna e scrive ai giornali locali: raccontando la storia del “copia - e - incolla” che lo tiene in galera. “Come ci comporteremmo - domanda Valdes - se un dottore cui chiedessimo lumi su una nostra grave malattia, ci rispondesse con quattro righe standard, che usa anche per altri pazienti, e che, a testimonianza della superficialità avuta, non riportano il nostro nome ma quello di un altro?”. Domanda legittima. Eppure eccoli, i documenti di cui parla il detenuto. Il 24 dicembre il difensore di Valdes, Mario Brusa, chiede al gip Andrea Ghinetti la scarcerazione del suo assistito. Lo stesso giorno il pubblico ministero Paolo Storari, braccio destro del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, scrive: “Parere sulla istanza di revoca/modifica avanzata dalla difesa di Valdes. Allo stato si esprime parere contrario per i seguenti motivi: si tratta della terza istanza avanzata da Introini. Introini dopo pochi mesi dall’aver ricoperto la carica di sindaco si è subito messo a disposizione”, eccetera eccetera. Il maldestro “copia - e - incolla” è vistoso, ma il giudice Ghinetti non fa una piega. E tre giorni dopo, “visto il parere negativo del pm”, respinge l’istanza. Taranto: Sappe; pronti allo sciopero bianco, per protesta contro condizioni di lavoro Ansa, 13 gennaio 2011 Il Sappe, nonostante da diverso tempo stia denunciando la grave situazione di fatiscenza del penitenziario tarantino ormai a rischio crolli dopo la caduta di un cornicione lungo alcuni metri - per un miracolo non ci furono vittime - nonché per la cronica carenza di poliziotti penitenziari - mancano almeno 100 unità - che devono far fronte ad un sovraffollamento di detenuti ormai divenuto drammatico (oltre 600 detenuti a fronte di 270 posti disponibili), deve registrare che nessun intervento è stato posto in essere da un’amministrazione penitenziaria sorda e irresponsabile. Lo si legge in una nota del Sappe Puglia. È inaccettabile che per il provveditore regionale, in missione una tantum nella nostra Regione, tutto invece vada bene, mentre la casa sta bruciando in maniera lenta ma inesorabile. In questo contesto la tensione si fa sempre più preoccupante e a pagare, come sempre, sono i meno colpevoli, quelli in prima linea, buttati allo sbaraglio, non certo il provveditore regionale, seduto nel suo bell’ufficio di Bari. L’ultimo episodio è accaduto l’altro ieri, quando un detenuto ha aggredito in maniera vigliacca un agente di polizia penitenziaria, che ha riportato una prognosi di 15 giorni. Tanto lavoro in più con molti poliziotti in meno. Questa è la tragica situazione che si sta vivendo all’interno del penitenziario tarantino, dove sono stati tagliati lavoro straordinario, riposi e ferie. Il Sappe deve segnalare poi che la situazione sta diventando ancora più incandescente a causa della folta presenza di detenuti affetti da gravi patologie psichiatriche, nonostante non ci siano i mezzi necessari per contenere in maniera adeguata tali patologie. Ancora una volta, il Sappe denuncia la carenza nell’assistenza di questi malati, che ricade soprattutto sulla polizia penitenziaria, costretta a sopperire a tali mancanza rischiando anche la propria incolumità. Purtroppo, presso il carcere di Taranto - come peraltro in moti altri istituti pugliesi - si vive il dramma di questi malati mentali che, con la chiusura dei manicomi, sono stati buttati, senza alcuna pietà, nella discarica di umana disperazione che è diventato il carcere. Il Sappe ritiene non sia possibile accettare che il carcere diventi la discarica non solo dei delinquenti, ma anche un ospedale per la presenza di tantissimi malati affetti da problemi psichiatrici e da malattie importanti (quali Hiv, epatite, etc.) senza un’assistenza sanitaria adeguata alle necessità, con la polizia penitenziaria costretta a surrogare anche a tali compiti. Proprio per questo, diciamo basta a questa inerzia della politica, che si è completamente disinteressata alle problematiche carcerarie, nascondendole sotto lo zerbino, poiché deve essere pubblicizzata l’efficienza dello Stato, che difende i cittadini offrendo più sicurezza. Il Sappe ritiene che tali comportamenti tra non molto verranno al pettine, con risvolti assai dannosi sia per i lavoratori penitenziari che per l’intera collettività, poiché l’immondizia verrà fuori e travolgerà chi si è occupato del carcere nel 2006 solo per promulgare un indulto che avrebbe ripulito condannati eccellenti, senza nessun concreto provvedimento per la soluzione della questione penitenziaria italiana. Il Sappe, qualora la situazione persista, praticherà lo sciopero bianco nel pieno rispetto della legalità e con le modalità consentite dalla legge, che prevede la rigida applicazione dei regolamenti e che provocherà probabili grossi disagi per i detenuti, per i familiari, per avvocati e magistrati dei quali ci scusiamo fin da ora. Infatti, tutta una serie di attività che vengono svolte in violazioni alle disposizioni vigenti - quali colloqui tra detenuti e familiari, immissione dei detenuti ai passeggi per l’ora d’aria, traduzioni sottoscorta per accompagnare detenuti presso i tribunali o luoghi di cura - potrebbero saltare, poiché il personale applicherà alla lettera i regolamenti e le procedure. Rovigo: accordo tra l'Uepe e il Csv per impiegare i detenuti nel sociale Redattore Sociale, 13 gennaio 2011 Alcuni condannati in misura alternativa avvieranno percorsi di giustizia riparativa. L'accordo tra Csv e Uepe prevede per il primo anno l'inserimento di 5 persone, ma il numero potrà crescere in futuro. Csv e Uepe insieme per favorire percorsi di giustizia riparativa. L'associazione Polesine Solidale, ente gestore del Csv, ha siglato oggi una convenzione con l'Ufficio esecuzione penale esterna per favorire il recupero e reinserimento sociale di detenuti in misura alternativa affidati in prova al servizio sociale per svolgere attività gratuita a favore della collettività. "È la prima esperienza di questo tipo per noi - spiega emozionato il presidente del Csv Vani Franceschi: ci apriamo a un mondo completamente nuovo e cio' comporta un impegno da parte nostra anche per quanto riguarda la sensibilizzazione delle associazioni. Il volontariato anche in questa occasione adempie alla propria funzione di sostegno alle persone svantaggiate". Non nuovo a esperienze di questo tipo è invece Giuseppe Amato, vicepresidente del Csv e presidente dell'associazione San Vincenzo De Paoli, che vanta un impegno decennale su questi temi: "In 10 anni abbiamo seguito oltre trenta persone in esecuzione penale esterna, ottenendo risultati eccezionali. Alcuni hanno continuato a fare volontariato con noi o a partecipare con la propria famiglia all'incontro annuale dei soci". L'obiettivo per il primo anno è di inserire cinque persone, che verranno monitorate sia dal Csv sia dall'Uepe, e in caso di buon esito il numero di detenuti potrà anche crescere. "È un'opportunità anche per le associazioni - commenta il direttore del Csv, Luca Dall'Ara - che potranno coinvolgere persone con competenze e risorse. Il nostro compito è individuare le associazioni piu' adatte e favorire l'inserimento a fianco dei volontari". Fossano (Cn): morire in carcere, argomento chiave dell’ultimo numero de “La Rondine” www.targatocn.it, 13 gennaio 2011 Il giornale scritto dai detenuti di Fossano traccia un bilancio della vita tra le sbarre e dei suoi risvolti negativi. È uscito, verso la fine dell’anno, un nuovo numero del giornale del carcere Santa Caterina, scritto dagli stessi detenuti con l’aiuto dei volontari e il sostegno della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fossano. Il numero è incentrato su un tragico argomento: le morti nelle carceri italiane. Nel 2009 i dati erano saliti a 69 suicidi su 174 morti complessive. Nell’ultimo decennio sono morti quasi 1.700 detenuti, un terzo per suicidio, un aumento del 300% rispetto agli anni sessanta. La media dei suicidi tra i reclusi italiani è maggiore di quella europea e molto più alta di quella statunitense. Del resto, si legge nell’editoriale, le condizioni di vita in carcere continuano a essere drammatiche a causa del sovraffollamento: quasi 69 mila detenuti ristretti in spazi che ne dovrebbero ospitare 44 mila. In alcuni istituti di pena, celle da due sono occupate da quattro persone, o in celle di 18 mq sono stipati nove detenuti che sono costretti a fare i turni per rimanere alzati. Così le malattie dilagano e l’equilibrio psichico è minacciato. Nello stesso numero si può trovare il seguente articolo inerente un fatto accaduto nel 2010 nel carcere fossanese: “Era un giovane nero, arrivato nel carcere di Fossano nell’agosto del 2009. Un giorno, verso la fine di ottobre dello stesso anno, viene portato all’ospedale di Savigliano dove diagnosticano la frattura o incrinazione di alcune vertebre lombari. Lui stesso dichiara di essere scivolato sul pavimento. È un irregolare e per la legge ha diritto solo a interventi salva - vita. I dottori lo immobilizzano con un lungo busto rigido, pagato dai volontari. La sera stessa ritorna al Santa Caterina nella sua cella che condivide con altri tre detenuti. Nei giorni successivi sta male, si lamenta per il dolore, non è autosufficiente nei suoi bisogni vitali. Il carcere non ha ancora l’infermeria attrezzata a causa dei lavori di sistemazione e sono i suoi compagni di cella che se ne prendono cura. Lui continua a lamentarsi, non mangia, dimagrisce a vista d’occhio. È portato dal neurologo per verificare se finge, ma non è così. Ben presto, a metà novembre, la situazione si aggrava e arriva a vomitare sangue. È trasportato d’urgenza al reparto per detenuti dell’ospedale di Cuneo, ma qui muore il giorno dopo. Per quale motivo? Di lui si sa nulla, neanche il vero nome, non compare neppure nell’elenco dei morti redatto dal sito “Ristretti Orizzonti”, che promuove un costante monitoraggio delle morti in carcere. Nessuno, si potrebbe chiamare. La sua morte ha però lasciato una profonda tristezza in chi gli è stato vicino”. Ivrea (To): per gli ex - carcerati una guida per reintegrarsi nel territorio www.localport.it, 13 gennaio 2011 Seconda edizione per il manuale ragionato per i detenuti che vengono dimessi dalla struttura carceraria di Ivrea: prevalentemente un indirizzario utile. La prima edizione fu presentata a dicembre del 2008 e voleva essere un modo per fornire all’ex carcerato un orientamento anche solo geografico (“che pullman devo prendere per andare in città?”), ma soprattutto voleva essere una guida ai servizi che possono essere utili: dormitori, strutture sociali, servizi per l’impiego. A distanza di due anni dall’uscita di quel “Dove mangiare? Dove dormire? Dove cercare lavoro? e altre informazioni utili per chi esce dal carcere”, libricino ricco di informazioni sui servizi pubblici presenti nelle città principali del Piemonte e della Valle d’Aosta, si è quindi pensato di dare vita ad una nuova pubblicazione con dati revisionati e aggiornati. Per questa edizione più formale il titolo: “Informazioni Utili sui Servizi Gratuiti - Piemonte e Valle d’Aosta”. “Una modifica non casuale quella del titolo - fa notare l’assessore alle politiche sociali di Ivrea Paolo Dallan - che sottolinea la finalità del manuale, strumento utile per una larga fascia di popolazione e non solo per coloro che vengono dimessi dal carcere”. La pubblicazione può essere consultata, e stampata, dal sito del comune di Ivrea (www.comune.ivrea.to.it) , alla sezione “politiche sociali e giovanili/interventi nel settore penitenziario”. Il manuale è, inoltre, reperibile presso il Servizio Politiche Sociali: chi fosse interessato può contattare il numero 0125410327. Oltre che dal Comune di Ivrea, il progetto ha visto l’adesione della Casa Circondariale di Ivrea, dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Vercelli e Biella, del Ser.T. Asl To4 di Ivrea, del Consorzio Servizi Sociali In.Re.Te. di Ivrea, degli Assistenti Volontari Penitenziari e della Fondazione Ruffini Onlus. La pubblicazione è stata realizzata in parte con fondi propri del Comune di Ivrea, in parte con un contributo della Regione Piemonte e grazie al lavoro svolto dalla Fondazione Ruffini Onlus che ha verificato e aggiornato i dati, a titolo volontario e gratuito. Lanciano (Aq): agente picchiato da un detenuto - karateka Il Centro, 13 gennaio 2011 È un detenuto esperto di arti marziali quello che lunedì pomeriggio, nel carcere di Villa Stanazzo, ha sferrato una gomitata in pieno viso ad un agente di polizia penitenziaria. Solo pochi giorni fa era scoppiata una violenta lite tra detenuti. In due si sono staccati a morsi la falange di un dito e un pezzo di orecchio. L’uomo, poco meno che trentenne e sottoposto ad un regime penitenziario particolare (art. 14) per tentata evasione dal carcere di Velletri, al rientro dall’ora d’aria ha colpito con una gomitata al volto il sovrintendente addetto alla sorveglianza generale del carcere. Solo grazie all’intervento di altri agenti è stato possibile riportare la calma nel reparto. Il detenuto covava da tempo acredine nei confronti della guardia, che riteneva responsabile di uno sgarbo nei suoi confronti. Alle minacce non erano seguiti altri incontri tra i due proprio al fine di evitare qualsiasi contatto. Fino a lunedì, giorno dell’aggressione. “È un fatto di assoluta gravità”, dice Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Sappe, “e rappresenta l’ennesimo segnale dei problemi nel penitenziario di Villa Stanazzo”. Solo qualche giorno fa infatti, nell’istituto di pena frentano è scoppiata una violenta lite tra detenuti. In due sono stati ricoverati in ospedale. Ad uno è stata staccata la falange del dito di una mano con un morso, all’altro, sempre a mozziconi, è stato strappato un pezzo di orecchio. “Siamo ai limiti del cannibalismo”, afferma Ruggero Di Giovanni in una nota del sindacato Uilpa, “noi continuiamo a denunciare questa situazione: troppi carichi di lavoro a fronte di un costante aumento dei detenuti”. Le presenze nella struttura sono circa 350, contro una capienza di 180 posti. A fronte di una carenza organica “di 50 unità, riferita al livello minimo”. “Si lavora in condizioni sfiancanti ormai da mesi”, riprende Capece, “ma quanto si pensa possa sopportare una persona costretta a turni massacranti, straordinari non pagati, a convivere con malattie infettive, a scongiurare suicidi e a schivare aggressioni?”. La richiesta di personale distaccato sembrava poter essere utile alla risoluzione di alcune criticità, “ma l’amministrazione regionale ha preferito ignorare la nostra richiesta di aiuto”. A questo si aggiunge l’annoso problema legato al servizio mensa dell’istituto. “Dopo nove mesi di chiusura per tentare di sminuire la protesta del personale che si asteneva dal consumare i pasti”, si legge nel comunicato della Uilpa, “lunedì è stato ripristinato il servizio e un agente è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso per un’intossicazione alimentare, verosimilmente dovuta al pasto consumato in mattinata nella mensa”. “Siamo esseri umani, non animali”, lamenta un agente, “ieri, subito dopo aver consumato il pranzo in mensa si è sentito male un altro collega. Qui non c’è né igiene né qualità, ieri mancava anche il pane”. Proprio oggi si riunisce la commissione per il controllo della mensa. Intanto all’agente ferito, arriva la solidarietà del senatore del Pdl Fabrizio Di Stefano: “Non è la prima volta che in questo carcere si verificano episodi di violenza. Gli agenti hanno il diritto di lavorare in sicurezza”. Taranto: detenuto aggredisce agente, i sindacati di polizia penitenziaria protestano Il Tacco d’Italia, 13 gennaio 2011 Ancora una volta, la notizia arriva da un carcere pugliese. Questa volta si tratta del penitenziario di Taranto dove, il 10 di gennaio, un detenuto ha aggredito un agente di Polizia Penitenziaria procurandogli 15 giorni di prognosi. Questo, però, è solo l’ultimo degli accaduti preoccupanti nella casa circondariale tarantina. Infatti, oltre al già discusso e ormai diffuso problema del sovraffollamento (600 detenuti per 270 posti disponibili), nel luglio scorso, dopo vane denunce per la fatiscenza dell’impianto da parte degli operatori, si è registrato il crollo di un cornicione lungo 10 metri e, solo per pura casualità, non ci sono state conseguenze. Per proseguire nell’increscioso elenco, il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) fa sapere che sarebbero necessari altri 100 agenti nella struttura per poter sopperire alle emergenze create dalla cattiva gestione dell’Amministrazione penitenziaria. La massiccia presenza di detenuti affetti da problemi psichiatrici, da hiv o da epatite si scontra, come se non bastasse, con l’inadeguata assistenza sanitaria provocando disagi e pericoli per la salute di agenti e detenuti. Ancora una volta, come dicevamo, ci troviamo a denunciare gravi problemi che esistono da molto, troppo tempo e ai quali lo Stato non sembra volersi interessare. Bisognerà, come spesso accade, aspettare la tragedia per porvi rimedio? Pesaro: teatro e carcere, convegno sulle esperienze in sezioni femminili 9Colonne, 13 gennaio 2011 Dopo la prima edizione europea dell’Edge Festival, il Cetec - Centro Europeo Teatro e Carcere, continua il suo impegno nello sviluppo dell’Edge Network nazionale e internazionale con la collaborazione e partecipazione a “Immaginazione contro emarginazione”: XI edizione del Convegno di Studi su “I Teatri delle Diversità”, promosso dall’omonima rivista europea diretta da Vito Minoia. L’iniziativa, dedicata a Emilio Pozzi sarà ospitata quest’anno dalla città di Urbania, il 15 e 16 gennaio. La regista Donatella Massimilla, parteciperà nel pomeriggio di sabato dalle 14.30 alla tavola rotonda coordinata da Laura Mariani sulle esperienze di Teatro e Carcere nelle sezioni femminili, e, a seguire, all’importante incontro preparatorio per il Coordinamento Nazionale di Teatro e Carcere. A chiusura della giornata dedicata a teatro e carcere sabato 15 gennaio alle 22 presso il Teatro Bramante si terrà lo Studio teatrale “Princese a San Vittore”, nuovo capitolo di narrazione teatrale della compagnia del Cetec che vedrà poi la presentazione a San Vittore e la prima europea in occasione dell’Edge Festival 2011. “Princese a San Vittore” con l’attore ex detenuto Luigi Povelato in scena insieme all’attrice Gilberta Crispino, alla cantante Nadia, al musicista Francesco Mazza, alla regista Donatella Massimilla, racconta la “Mala milanese”: l’avventura del teatro in carcere a San Vittore insieme alle storie di Princese, donne segnate dalla droga, donne immigrate, madri di famiglie mafiose. Francia: caso Franceschi; sparito il diario tenuto in carcere a Grasse Agi, 13 gennaio 2011 Il diario tenuto in carcere da Daniele Franceschi non si trova più. Il quaderno personale dove l’operaio viareggino di 36 anni morto lo scorso 25 agosto nella sua cella del penitenziario francese di Grasse appuntava quotidianamente le sue giornate da detenuto non solo non è mai stato restituito alla famiglia (malgrado la madre Cira Antignano ne abbia fatto più volte esplicita richiesta alle autorità francesi), ma non risulta neppure dai verbali di sequestro del materiale rinvenuto all’interno della cella dopo la morte del giovane. A rivelare la notizia - confermata anche dall’avvocato Maria Grazia Menozzi, legale della famiglia Franceschi - è il quotidiano “Il Tirreno”. I tanti dubbi che fin da subito hanno circondato la morte di Daniele Franceschi si arricchiscono dunque di un nuovo, inquietante interrogativo. Anche perché la madre Cira sostiene che nelle sue pagine il figlio aveva scritto tutti i torti ai quali era sottoposto all’interno della struttura carceraria francese. Mentre si profila a giorni l’iscrizione dei primi indagati per la morte di Franceschi (il giudice istruttore francese sta per consegnare il suo fascicolo al pm), la famiglia non esclude che qualcuno abbia voluto intenzionalmente far sparire il diario con il suo potenzialmente rischioso contenuto. Libia: tornano a riempirsi i Centri di detenzione per immigrati clandestini Ansa, 13 gennaio 2011 Sono 1.450 ad oggi i migranti irregolari detenuti in Libia in cinque centri di detenzione per immigrati clandestini. Lo riferiscono all’Ansa fonti locali ben informate. Da un mese a questa parte stanno infatti tornando a riempirsi in Libia i centri di detenzione, dopo che si erano svuotati con la sanatoria proposta del leader libico Muammar Gheddafi a metà luglio. Con il provvedimento veniva concesso a tutti i reclusi un documento della validità di tre mesi e la possibilità di un lavoro socialmente utile. Scaduti i tre mesi i migranti che non si sono regolarizzati sono tornati ad essere a rischio di detenzione e deportazione nei Paesi di origine. I cinque centri interessati sono: Twisha, con 900 uomini; Zawia, con 120 uomini; Zwara, con 70 uomini e 2 donne; Garabulli, con 90 uomini; Surman (vicino Sabratha), con 70 uomini e Sebha con 200 fra uomini e donne. Sempre secondo fonti locali si tratterebbe in prevalenza di nigeriani, nigerini, ghanesi, malesi, sudanesi ed egiziani, mentre non ci sarebbero né eritrei, né somali. Tunisia: Commissario Onu chiede indagine su morti e maltrattamenti nelle carceri Asca, 13 gennaio 2011 L’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha sollecitato il governo tunisino a garantire che le forze di sicurezza cessino l’uso eccessivo di forza contro i dimostranti e ad avviare indagini trasparenti e credibili sui decessi avvenuti durante le recenti proteste contro gli aumenti dei prezzi, le scarse opportunità di occupazione, la presunta corruzione e le limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali. Ventuno sono le persone uccise tra l’otto e il nove gennaio, secondo cifre ufficiali governative, anche se le organizzazioni per i diritti umani parlano perfino di un numero maggiore. Se è vero che la situazione è precipitata durante il fine settimana, tuttavia decessi si erano già registrati nelle settimane precedenti. Le manifestazioni, iniziate il 17 dicembre, continuano in tutto il paese. ‘Qualunque sia il numero totale, sono estremamente preoccupata per l’elevato numero di persone uccise in Tunisia durante le ultime settimane,’ ha affermato Navi Pillay, è essenziale che ci si conformi con urgenza e in maniera rigorosa alle norme fondamentali internazionali sui diritti umani, e ai principi guida in materia di utilizzo delle armi da fuoco. I resoconti - ha aggiunto - indicano che la maggior parte delle proteste sia stata di natura pacifica, e che le forze di sicurezza abbiano reagito con eccessiva forza in violazione degli standard internazionali. È imperativo che il Governo avvii un’inchiesta trasparente, credibile e indipendente su violenze e uccisioni. Se si prova che membri delle forze di sicurezza hanno utilizzato forza eccessiva, o hanno perpetrato uccisioni extra - giudiziali, essi devono essere arrestati, processati e, se ritenuti colpevoli di reato, puniti conformemente alla legge. È essenziale che si faccia giustizia, e che il pubblico ne sia consapevole. Pillay ha inoltre espresso preoccupazioni circa resoconti su una vasta ondata di arresti, tra cui quelli dei difensori dei diritti umani e dei blogger che invocano principi fondamentali dei diritti umani come la libertà di espressione, come pure a proposito a proposito di notizie su tortura e maltrattamenti inflitti ai detenuti in Tunisia. È giusto che le persone vengano arrestate se vi è la prova che queste abbiano commesso crimini come violenze e incendi dolosi, nessuno dovrebbe essere arrestato o molestato per aver levato la propria voce a sostegno dei diritti umani. I difensori dei diritti umani e i blogger, arrestati esclusivamente per le loro attività pacifiche, devono essere liberati immediatamente, ha detto. Canada: il pugno duro contro il crimine non basta, tribunali e carceri sono intasati Corriere Canadese, 13 gennaio 2011 Prigioni sovraffollate, tribunali sovraccarichi di lavoro, mancanza di sostegno a detenuti con disturbi mentali e barriere discriminatorie nei confronti delle minoranze. A tracciare un ritratto dalle tinte fosche di un sistema legale e giudiziario, quello canadese, che sembra avere insidiose lacune è il ministro ombra della Giustizia Marlene Jennings ieri a Toronto per discutere del ruolo del governo federale in quelli che sono i maggiori problemi legati alla giustizia. Diversi gli incontri con autorità e operatori del settore che si sono svolti in città. In mattinata quello con John McCamus di Legal Aid Ontario, quindi con il ministro della Giustizia dell’Ontario, Chris Bentley, e Malcolm Heins, della The Law Society of Upper Canada. Assistenza legale alle famiglie a basso reddito, regolamentazione delle armi da fuoco, prevenzione del crimine e programmi di sostegno alle vittime tra i temi sul tavolo di discussione in quello che è un vero e proprio tour che sta portando il ministro ombra Jennings a parlare dei problemi che affliggono il sistema legale canadese con ministri provinciali, associazioni, procuratori generali e diversi altri operatori del settore. Quali sono le difficoltà e le sfide che il governo federale e quello provinciale devono affrontare in tema di giustizia? “Abbiamo un ministro federale della Giustizia che ha fatto davvero poco per andare incontro alle parti provinciali e migliorare l’accesso dei canadesi al sistema legale. Il ministro Bentley mi ha parlato delle sue preoccupazioni sulla mancata presa di posizione del governo conservatore sui crimini legati alle armi da fuoco. Proprio i conservatori hanno recentemente annunciato che la modifiche alla regolamentazione in materia sarà rimandata di altri due anni. Il loro tentativo di abolire il gun-registry è da ipocriti. Le riporto alcuni esempi. L’agenda del governo conservatore prevede il pugno duro per chi infrange la legge e quindi una sentenza minima obbligatoria per molte infrazioni. Cosa succede? Che sempre più persone non si dichiarano colpevoli perché altrimenti avrebbero automaticamente una condanna. Di conseguenza i tribunali vengono sovraccaricati e schiacciati dal peso del numero sempre più crescente di casi. Pensiamo anche ai detenuti che aspettano di essere processati. Le prigioni gestite dai governi provinciali sono quindi sovraffollate ma non ricevono fondi dal governo federale per risolvere la situazione. Legail Aid è un’associazione che aiuta le persone povere. Una persona che percepisce una paga minima e deve affrontare un divorzio o una battaglia per l’affidamento non ha i soldi per sostenere un avvocato. Sempre più canadesi sono obbligati a difendersi da soli in tribunale e siccome non conoscono le leggi questo provoca ulteriori ritardi nel sistema. Anche i giudici chiedono un maggiore impegno da parte del governo provinciale e federale. Ricordiamoci inoltre che avere leggi dure contro il crimine non significa che le nostre strade siano più sicure”. Angola: nel carcere di Viana apre una scuola per formazione professionale dei detenuti Agi, 13 gennaio 2011 Il ministro dell’Interno dell’Angola, Sebastiao Martins, ha annunciato come imminente l’apertura di una scuola secondaria nel carcere di Viana, periferia di Luanda, per contribuire alla formazione professionale dei detenuti. “Questo è solo l’inizio”, ha detto il ministro, “perché abbiamo intenzione di aprire scuole anche negli altri penitenziari del paese consentendo ai detenuti che lo vogliano di proseguire i loro studi oppure di intraprenderli. Un’iniziativa che è condivisa dal governo e in particolare dal ministero dell’Istruzione”. Il ministro dell’Interno, infine, ha spiegato che questa è una delle iniziative tese a rendere, sempre di più, il carcere un luogo di riabilitazione e reintegrazione. Kuwait: detenuto muore per presunte torture, ministro dell’interno nella bufera Aki, 13 gennaio 2011 Governo nella bufera in Kuwait, dopo la notizia della morte di Mohamed al-Mutairi, un detenuto che, secondo alcuni deputati dell’opposizione, sarebbe morto a causa delle torture subite in carcere. Alcuni parlamentari sciiti del Blocco d’Azione Popolare (Bap) hanno puntato il dito contro il ministro dell’Interno kuwaitiano, Sheikh Jaber al-Khaled, indicandolo come responsabile di quanto accaduto. Il Bap, stando a quanto riporta l’emittente al-Arabiya, ha preparato un’interrogazione parlamentare contro al - Khaled, ma ha deciso per il momento di rinviarla, preferendo attendere la conclusione delle indagini sulla morte di al-Mutairi. Secondo Musallam al-Barrak, membro della formazione sciita, alcuni membri dello staff dell’ospedale dove al-Mutairi era stato ricoverato sono pronti a confermare che l’uomo aveva diverse ferite e lividi sul corpo e che i suoi piedi erano stati legati. Dal canto suo, il ministro dell’Interno, in una nota indirizzata al parlamento, ha respinto le accuse, sostenendo che la dignità dei cittadini è una “priorità” per le forze di sicurezza del Kuwait. Al-Khaled ha sottolineato che al-Mutairi era stato colto in flagrante mentre vendeva alcol e aveva anche provato ad accoltellare un agente.