Messaggio alle associazioni di volontariato che operano all’interno delle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2011 Ci rivolgiamo a tutte le associazioni di volontariato che operano all’interno delle carceri italiane per sensibilizzare una più costante compartecipazione nell’informazione dei problemi attualmente esistenti nel mondo carcerario con riferimento all’attuale sovraffollamento, ma anche a tutto quello che concerne la salute in carcere, a tale scopo abbiamo iniziato già dal mese di novembre ad impostare una rassegna stampa mensile che viene inserita nel sito www.ristretti.org e che viene inviata tramite newsletter a tutti gli iscritti. Sarebbe inoltre nostra intenzione al fine di monitorare l’andamento delle carceri italiane di costruire una rete di referenti a livello nazionale all’interno del volontariato che opera nelle carceri, i quali dovrebbero in linea di massima nominare un referente che possa essere in contatto costante con la Redazione di Ristretti Orizzonti all’indirizzo mail maurizio.ristretti@gmail.com, dove dovrebbero arrivare tutte le notizie per poi catalogarle e fare un lavoro informativo aggiornato dello stato delle carceri italiane, sia per quanto riguarda i numeri delle presenze giornaliere dei detenuti, dei problemi che ogni carcere incontra, con l’attuale sovraffollamento tutto ciò che riguarda i problemi della salute e della mala giustizia all’interno delle carceri, soprattutto anche in riferimento del passaggio di competenze dall’amministrazione penitenziaria alle Usl regionali che ancora a distanza di quasi due anni non riescono decollare e quindi prestare un servizio decente, aumentando in quasi tutti i carceri le problematiche di criticità. Quindi saremmo ben lieti se nel volgere di breve tempo si riuscisse ad instaurare una rete di collegamento fra tutte le forme di volontariato che operano nelle carceri per creare e mantenere un dossier che monitori l’andamento della popolazione detenuta e delle problematicità all’interno delle carceri. La Redazione La punizione del Volontariato di Elisabetta Laganà (Presidente Cnvg) Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2011 Qualche giorno fa è stata comunicata alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia la sospensione di alcune volontarie operanti nel carcere di Ancona. Evento non inconsueto, dato che lo scorso anno si erano verificati vari casi di sospensione di volontari a Verona, Genova, ed altri luoghi. Volontari intelligenti, di lungo corso ed esperienza, capaci di affiancare alla mera (seppur necessaria) assistenza materiale ai detenuti una abilità creativa e progettuale in grado migliorare la vita della detenzione e di agire sul piano sociale per rendere visibili alla cittadinanza i problemi del carcere attraverso iniziative pubbliche, conferenze stampa, incontri con la cittadinanza. Siamo in attesa delle motivazioni che l’Amministrazione Penitenziaria espliciterà. Si auspica. Perché succede che le sospensioni avvengano anche senza alcuna motivazione scritta. Così, da un giorno all’altro, arriva il benservito. Si sceglie di procedere per la via più arbitraria attraverso la negazione del dialogo, del confronto, senza alcuna considerazione dei diritti di pari dignità sanciti dai Protocolli di Intesa stipulati con il Dap ed il Ministero della Giustizia, evidentemente carta straccia, in similitudine ai diritti dei detenuti che, in una campagna della Caritas di alcuni anni fa, venivano raffigurati con un rotolo di carta igienica; bene materiale, peraltro, nemmeno attualmente a disposizione nelle patrie galere. Un carcere quindi che per anni beneficia dell’apporto gratuito e disinteressato del Volontariato e che improvvisamente lo mette alla porta senza nemmeno fornire alcuna spiegazione, in una logica di potere del più forte. Si è scelta la strada della semplificazione, della decisione dall’alto, congruentemente con uno stile ormai consolidato di processi decisionali che contraddistingue ormai molte delle nostre istituzioni. L’istituzione che invece che cercare il dialogo e il confronto con chi collabora da anni mostra il volto duro, voltando lo sguardo dai visi concreti di quelle persone che, per anni, con passione umana e coerenza, hanno reso un carcere più umano, forse perché era uno sguardo troppo imbarazzante da sostenere. Ma chi si punisce realmente in questo modo? Il Volontariato? O una popolazione detenuta ormai allo stremo delle condizioni di vita e della solitudine? O, ancora, il concetto stesso di rapporto democratico tra soggetti sociali? Vale la pena di riportare alcune parole del Presidente Napolitano formulate in occasione di un convegno nazionale del Volontariato del 2007: “Grazie al volontariato si promuove, secondo i principi della Costituzione repubblicana, una cittadinanza responsabile e si realizza una forma di partecipazione al bene comune. Anche per questa via può colmarsi il divario tra società civile e politica, recuperando il significato più alto della politica”. La detenzione è un evento fortemente traumatico. La solitudine, la lontananza e l’impossibilità di avere contatti frequenti con i familiari e volontari sono spesso causa di crolli emotivi e di lacerazioni dei legami. Le relazioni e gli incontri con soggetti esterni al carcere sono così importanti perché rappresentano la possibilità di tenere attivi i propri legami e la propria storia ed hanno funzione di contrastare le conseguenze negative derivanti dalla privazione di contatti. Da sottolineare che lo scorso anno il Volontariato è stato interpellato dall’Amministrazione Penitenziaria, nello specifico dall’Ufficio Detenuti e Trattamento, per la realizzazione di progetti finalizzati alla prevenzione dei suicidi, che ha poi prodotto una circolare diffusa in tutti gli istituti che promuoveva il ruolo del Volontariato come soggetto direttamente coinvolto per il contrasto di tali eventi tragici, chiedendo di incrementarne la presenza in tutti gli istituti, in particolare quelli più colpiti dal sovraffollamento. Siamo quindi alla schizofrenia, all’istituzione che contraddice se stessa. Se quindi, come sopra definito, la scelta dichiarata dall’Amministrazione Penitenziaria è quella di implementare l’attività del Volontariato, la prassi conseguentemente immaginata per affrontare l’evento avrebbe dovuto essere quella di creare un momento interlocutorio con gli interessati per motivare le ragioni del problema (ammesso che un problema si sia realmente verificato) intercorso tra enti e suggerire le modalità del suo superamento, invece che sospendere i volontari. Dato che così non è stato, si aprono quindi alcuni interrogativi e considerazioni. Forse si sta cercando di dare risposta al sovraffollamento delle carceri non tanto riducendo il numero dei detenuti, ma quello del Volontariato: magari è questo il nuovo corso. Lo stesso Ministro della Giustizia, più volte sollecitato, non ha mai accettato di incontrare il Volontariato. Nei mesi scorsi come Cnvg abbiamo proclamato un appello per una mobilitazione che realizzi strategie e forme di pacifica manifestazione fino all’autosospensione dal servizio da porre in atto per sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare il Governo e le istituzioni preposte a trovare le adeguate soluzioni al problema delle carceri: forse l’Amministrazione Penitenziaria ha ritenuto di darci una mano, aiutandoci con l’eterosospensione. Ma non di tutto il Volontariato: probabilmente di quello scomodo, non afasico, che si adopera perché si affermi una coscienza sociale rispetto al dramma penitenziario che non trova sufficiente attenzione dalla maggior parte della politica e della società, ormai quasi impermeabile verso una delle più drammatiche questioni sociali del Paese, quel Volontariato che pone in risalto la necessità di denunciare continuamente il pericolo di sottacere la “normalità” degli atti di esclusione, dei processi con cui si valorizza o si disinveste la ragione. Stiamo evidentemente assistendo ad uno scollamento nei rapporti tra Volontariato ed Amministrazione Penitenziaria. Riteniamo che questa scissione tra le parti non porti beneficio a nessuno. C’è stato un momento in cui le strade sembravano poter avere obiettivi e programmi comuni, pur nelle reciproche differenze: questa fase ha dato origine a progetti, ai protocolli, a percorsi congiunti. Questa stagione sembra lontana, e l’assenza di dialogo pare dominare l’Amministrazione Penitenziaria nel rapporto con il Volontariato, poiché, al di là di momenti formali, o di poche isole felici, o di incontri ai convegni, è la sostanza del rapporto collaborativo che sembra essere intaccata. Chiediamo quindi, urgentemente, un confronto serio sullo stato dei rapporti tra Volontariato e Amministrazione Penitenziaria. Sappiamo di giocare su piani differenti, che non sempre esiste coincidenza tra le nostre idee e quelle dell’Amministrazione Penitenziaria, della politica, dei cittadini o della magistratura; ma questo pensare diversamente non dovrebbe impedire l’incontro, perché più si amplia la gamma delle differenze che concorrono al perseguimento dello stesso obiettivo più diventa difficile per chiunque sottrarsi alle sedi di consultazione e confronto tra le parti in causa. Da parte nostra, le azioni di mobilitazione e sensibilizzazione sui temi del carcere proseguiranno: ancora e sempre, a difesa dei diritti costituzionali dei detenuti. Perché, come ha sostenuto Martin Luther King “Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano”. Elisabetta Laganà Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Giustizia: fermare la strage silenziosa nelle carceri; è l’appello di Penalisti e Sindacati Adnkronos, 10 gennaio 2011 Proteste, violenza e morte. Tre parole inevitabilmente legate al sovraffollamento che, nelle nostre carceri, non accenna a diminuire. Il 2011 penitenziario si è aperto esattamente come si è chiuso il 2010. In questi primi giorni del nuovo anno, si sono già verificate tre morti per cause naturali a Lecce, Frosinone e Livorno, probabilmente correlate allo stato detentivo, come ha fatto notare la Uil Pa penitenziari nel fornire un bilancio della situazione del 2010. Tre decessi, ma anche un suicidio all’Ospedale giudiziario di Aversa il 4 gennaio scorso e diversi momenti di violenza con la rissa di Porto Azzurro a fare da capofila. L’allarme è alto, e da più parti si chiede di monitorare un fenomeno che assume sempre più contorni preoccupanti, come quello delle morti dietro le sbarre. Primo tra tutti l’appello dell’Osservatorio carceri dell’Unione Camere Penali italiane a vigilare sulla tragica escalation di decessi. In un dossier elaborato in questi giorni, l’Osservatorio parla di vera e propria “strage dei detenuti”, in un anno, il 2010, che è stato tragico. “È oggettivamente impossibile fornire numeri aggiornati sui detenuti morti negli istituti italiani - fanno notare gli esperti dell’Ucpi. Ad oggi le cifre sono impressionanti: oltre 170 morti, di cui ben 65 per suicidio”. Una vera e propria strage, spiega l’Osservatorio dei penalisti, “che ci deve far interrogare su un carcere non più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde. Il rapporto tra i suicidi delle persone ristrette in carcere e quelle libere è di 19 ad 1: una percentuale talmente sproporzionata da non essere spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale”. Carcere, dice il dossier, significa sovraffollamento, strutture vetuste, mancanza delle minime condizioni di igiene e spesso di cure sanitarie, “ma anche isolamento prolungato e luogo dove vengono meno i principi fondamentali del diritto e dell’umanità“. Alcune ricerche indipendenti, si fa notare, hanno dimostrato come ci sia una correlazione fra sovraffollamento e suicidi. “Nelle 9 carceri dove sono accaduti almeno 2 suicidi nel 2010 - continua il bilancio - il tasso medio di sovraffollamento è del 176% contro un dato nazionale del 154%, e la frequenza dei suicidi è di 1 caso ogni 415 detenuti, mentre la media nazionale è di 1 su 1090. Questo dimostra che là dove l’affollamento è del 22% oltre la media nazionale, la frequenza dei suicidi è più che doppia. Sembra evidente che quando alla limitazione della libertà personale si sommano altre condizioni di disagio, la situazione dei detenuti diventa drammatica e spesso porta ad un tale livello di disperazione da indurre al suicidio”. Un’altra ricerca, ricorda l’Osservatorio Ucpi, ha evidenziato poi come i regimi speciali di detenzione (che riguardano il 10% della popolazione carceraria) nel 2010 siano stati interessati dal 60% dei suicidi. “Una cifra impressionante - si legge - che dà ragione a chi definisce il regime del 41 bis una ‘tortura biancà, dove molte limitazioni, più che ai giusti criteri di sicurezza, si ispirano a criteri di applicazione disumana della pena. Se è vero che la civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri, le cifre di coloro che muoiono in cella dimostrano che, lungi dall’essere luoghi di rieducazione, come vuole la Costituzione, esse finiscano per diventare vere e proprie discariche sociali”. Ecco perché l’Osservatorio Carcere dell’Ucpi intende attuare “un’attenta azione di vigilanza sul fenomeno, valutando ogni singola vicenda anche attraverso esposti e denunce ove le circostanze e le dinamiche presentino profili di rilevanza penale”. D’altro canto la presenza di 22.643 detenuti in più rispetto alla capienza massima, rilevata al 31 dicembre 2010, aggiunge la Uil Pa penitenziari nel proprio bilancio, è “la fotografia più nitida dell’universo carcere e dell’anno che si è lasciato alle spalle, connotato da proteste, morte e violenza”. La Uil penitenziari, non si limita solo a dare dei numeri di quella che appare sempre più una carneficina, ma il segretario generale Eugenio Sarno, auspica che “si affermi una coscienza sociale rispetto al dramma penitenziario che, in tutta evidenza, non trova sufficiente attenzione da parte della quasi totalità del ceto politico, sempre più insensibile e distante verso una delle più drammatiche questioni sociali del Paese. Ma non perdiamo la speranza che prima o poi i politici, Alfano in testa - aggiunge - possano decidere di impegnarsi seriamente alla ricerca delle soluzioni, semmai in prossimità di qualche campana elettorale”. Al 31 dicembre scorso, sottolinea Sarno, erano presenti 67.623 detenuti ( 64700 uomini, 2923 donne), con una media nazionale dell’indice di sovraffollamento attorno al 53,5 %. La regione con il più alto indice di sovraffollamento, la Puglia (81,9%) seguita da Emilia Romagna (81,5%), Calabria (77,3 %), Lombardia (66,5%) e Veneto (65,5%). L’istituto penitenziario con il più alto indice di affollamento, prosegue il bilancio, è Lamezia Terme (176,7%), seguito da Brescia Canton Mombello (174,3%), Piazza Armerina (151,1 %). “Pur essendo solo quattro - sottolinea la Uil penitenziari - gli istituti con capienza regolamentare oltre i mille detenuti (Poggioreale, Secondigliano, Rebibbia, Torino) al 31 dicembre erano 12 le strutture che ne ospitavano di più. Oltre ai quattro già citati, hanno superato il limite anche San Vittore, Lecce, Opera, Palermo Pagliarelli, Bologna, Regina Coeli, e Bollate”. Delle 205 strutture penitenziarie attive, 30 sono risultate sovraffollate oltre il 100%, 89 tra il 99 e il 50%, 43 tra il 49 e l’10%, 9 con sovraffollamento sotto il 10% . Gli istituti non sovraffollati (o con saldo negativo rispetto alle capienze regolamentari) qualche giorno fa erano 34, “ma è necessario chiarire - fa sapere il sindacato - che nella maggior parte dei casi si tratta di strutture medio - piccole che hanno sezioni o celle chiuse per ristrutturazione, come Arezzo, ad esempio, che è praticamente chiuso per i lavori di rifacimento. Milano San Vittore ha due reparti chiusi (2° e 4°) e quindi il dato del sovraffollamento reale è ben più grave di quello ricavato dalle tabelle dipartimentali. Rieti e Trento pur essendo istituti nuovissimi sono solo parzialmente utilizzati, per l’impossibilità di garantire i necessari contingenti di polizia penitenziaria per la loro completa attivazione”. Il dramma dei suicidi, anche solo tentati e degli atti di autolesionismo che la Uil chiama “eventi critici”, non si arresta. “Nel 2010 le morti in carcere per cause naturali sono state 173. I suicidi in cella - prosegue Sarno - sono stati 57 per impiccagione, 5 per asfissia da gas, uno per la recisone della carotide, due per avvelenamento da farmaci e infine uno per soffocamento da sacchetti di plastica”. L’età più critica, quella tra i 25 e i 35 anni, dove si sono registrati 29 suicidi, mentre sono stati 20 quelli nella fascia di età tra i 35 e i 50 anni, 8 tra i 18 e i 22 anni e altrettanti negli over 50. Nell’ 86% degli istituti (176 su 205), almeno un detenuto ha tentato di togliersi la vita, per un totale complessivo di tentati suicidi in cella pari a 1.134. I detenuti salvati in extremis da parte della polizia penitenziaria sono stati 398, mentre gli atti di autolesionismo ammontano a 5.603 (messi in atto in 192 diversi istituti). Anche l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, che vede in prima linea i Radicali, associazioni come “Il detenuto ignoto”, “Antigone”, “A buon diritto”, e le redazioni “Radio Carcere” e “Ristretti Orizzonti”, tengono sempre d’occhio il fenomeno. E si trovano d’accordo con i penalisti sul fatto che “regimi detentivi più duri con il 41 bis causano un aumento del numero di suicidi”. Secondo l’Osservatorio permanente il 40 per cento dei suicidi nel 2010 sono avvenuti tra i detenuti comuni, mentre il 60 ha riguardato detenuti in isolamento, alta sicurezza, protetti. Al regime del 41 - bis, il cosiddetto carcere duro, sono sottoposte quasi 700 persone, ma questa condizione “contribuisce per quasi il 4 per cento al bilancio dei suicidi”. Il malcontento e il disagio, in qualche caso, precisa ancora la Uil Pa penitenziari, si sono trasformati in sciopero della fame, in 181 penitenziari per protesta, per un totale di 6875 reclusi coinvolti. Le manifestazioni di protesta collettiva sono state 601, gli atti singoli o collettivi, turbativi dell’ordine e la sicurezza 263. Le aggressioni sono arrivate a quota 3.462 (di cui 342 a danno di poliziotti penitenziari). E infine i detenuti evasi: 13 da istituti penitenziari, 37 da permessi premio, due da lavoro all’esterno, 12 dalla semilibertà, mentre le evasioni sventate dagli agenti sono stati 23. Il sindacato conclude la sua analisi passando in rassegna il mondo carcerario nell’arco di uno storico decennio, dal 2000 al 2010: in questo lungo periodo, si fa notare, le morti sono state 1.165, i suicidi 626, 8.702 quelli tentati, oltre 60mila sono stati gli atti di autolesionismo, oltre 30mila le aggressioni. Anche il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, parla di situazione drammatica. Abbiamo superato i 69 mila posti letto sui 42 mila disponibili. Ormai non ci sono più differenze: il mafioso sta insieme al detenuto comune e ci sono problemi per la sicurezza”. Capece fa notare che ‘il 27 per cento dei detenuti sono extracomunitari, mentre il 19 per cento sono tossicodipendenti. Mancano 7mila agenti di polizia penitenziaria e l’unica assunzione prevista è quella di 60 nuovi agenti del turn over 2008”. Secondo la legge 199, continua Capece, “ci dovrebbe essere una nuova tornata di assunzioni per 1.600 nuovi agenti e, tutti i detenuti con una pena definitiva inferiore ad un anno dovrebbero passare agli arresti domiciliari, dopo le dovute verifiche del magistrato di sorveglianza. Tale provvedimento è ancora insufficiente: si passerebbe da 69 mila detenuti a 64 mila”. Il piano emergenza carceri prevede l’apertura di 17 nuove carceri e 42 padiglioni per una spesa complessiva di 600 mila euro. “I tempi dicono che saranno pronti per il 2012, ma non ci credo. Noi chiediamo - conclude il leader del Sappe - che si riveda il sistema sanzionatorio e cioè che in carcere ci vadano i criminali veri. Per gli altri chiediamo pene alternative come i lavori socialmente utili o gli arresti domiciliari”. Giustizia: quei giovani attratti dal guadagno facile… e il finale nero di Noemi Diverio www.gingergeneration.it, 10 gennaio 2011 Un’intervista al giovane direttore di una fondazione che si occupa di corsi di formazione professionale all’interno delle carceri, porta alla luce un problema di mal costume che si sta diffondendo a macchia d’olio in questi anni funestati dalla crisi economica e dall’iper consumismo. Molti ragazzi (ma non solo) smaniano per possedere oggetti di culto (?) simboli di successo personale che consentano loro di far parte di una società malata e schiava dei consumi. Netbook, iPad, iPhone di nuova generazione, ma anche auto di lusso, vacanze esclusive e molto altro. Per esistere oggi devi possedere ma il mercato del lavoro ristagna e non offre in ogni caso stipendi adeguati allo stile di vita di chi vuole “esserci”. Per questo in tanti compiono passi falsi attratti da guadagni facili e si trovano intrappolati in meccanismi che finiscono per stritolarli. Affrontiamo l’argomento con una persona che tutti i giorni si confronta con la dura realtà e che da anni è in prima linea per aiutare le vittime di un sistema che abbandona chi ha smarrito la strada. Marco Girardello direttore dell’Area Tematica Carcere all’interno della Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri. Il Dott. Girardello dirige le tre principali attività della Fondazione che sono: formazione professionale, attività di inserimento lavorativo e simulatori di impresa, con lo scopo di aiutare i carcerati a costruirsi o ricostruirsi una professionalità che consentirà loro, una volta scontata la pena, di trovare un lavoro e una collocazione nella società. I laboratori si trovano all’interno delle carceri e producono beni che vengono collocati sul mercato esterno ottemperando per quanto è possibile alla legge di domanda e offerta. In carcere tante storie che meritano di essere ascoltate Gli chiedo come mai tra tutte le varie categorie di bisognosi presenti nella nostra società abbia deciso di dedicare tutto il suo tempo e le sue risorse per riabilitare persone che si sono macchiate di reati. La sua è una risposta che non ammette repliche: “bisogna avere il coraggio di mettere le mani gli occhi e anche un pezzo di cuore all’interno di quel mondo poiché ci sono tutta una serie di stereotipi e rappresentazioni ben consolidate che ci fanno credere che all’interno del carcere ci sia soltanto un sacco di spazzatura, mentre invece ci sono tante storie drammatiche che meritano attenzione.” Marco Girardello si sporca le mani, da quindici anni a questa parte lavora a stretto contatto con i reclusi e la sua opinione in questo campo è molto autorevole. Gli lancio una provocazione, gli dico che se una persona finisce in carcere in fondo ha quello che si merita, ma lui senza scomporsi replica che spesso le persone non hanno molta scelta ne molte possibilità di costruirsi una vita normale. I motivi sono svariati, la mancanza di istruzione, drammi familiari, il mancato accesso ad un lavoro qualificato solo per citarne alcuni. Mi dice chiaramente che sono pochi i detenuti che scelgono consapevolmente la via della criminalità. Ad ognuna di queste storie viene offerta l’opportunità di cambiare veramente vita, qualcuno la coglie e non torna più indietro, i più fragili invece ricadono nei propri errori e nel migliore dei casi riducono la propria esistenza ad una serie infinita di reclusioni o nel peggiore ci lasciano le penne. Per i giovani la droga è la vera piaga del nuovo millennio ma i costumi sono cambiati La doccia fredda, per chi scrive, arriva quando chiediamo se negli anni si è avvertito un mutamento di tendenza, se il costume ha influenzato in qualche modo anche la criminalità. La risposta è affermativa e sbalorditiva. Ebbene la maggior parte dei comportamenti devianti è creata dal gap tra le aspettative elevate e la capacità di produrre reddito. Le persone che riescono a portare a casa solo salari mediocri ma hanno la necessità di accaparrarsi beni di consumo costosi per essere considerati “fighi” agli occhi della società sentono rodere dentro il senso di inferiorità e trovano, come unica soluzione di guadagno, la criminalità. Ebbene lo spaccio di droga è l’unica via che molti trovano per poter acquistare beni di lusso. L’incredibile salto generazionale è evidente. Negli anni 70 si rubava per comprarsi l’eroina e ci si drogava per evadere, nel 2010 si vende cocaina per comprare cose e “ci si fa” per essere accettati dalla società. Il paradosso mi sconvolge me lo faccio spiegare più volte ma la sostanza non cambia. I ladri di polli sono rari come le mosche bianche, non si commettono reati per la sussistenza ma per avere il superfluo o per pigrizia. Quando ci si accorge che per portare a casa 1000 € bisogna lavorare 160 ore al mese si fanno due conti e si opta il “tutto e subito” con conseguenze devastanti. Specchio dei tempi Dov’è il vero inizio di tutto questo? La crisi economica? Gli errati modelli di comportamento? La scuola che insegna solo didattica? Le famiglie che non sanno trasmettere i valori? Il carcere è solo l’infezione la vera ferita è nel sistema. La società è un organismo malato che partorisce figli fragili. Girardello li raccoglie e cerca di dare loro quello che non trovano altrove: la dignità. Se è vero che molti abitanti del carcere non hanno scelta è anche vero che spesso chi ce l’ha preferisce buttare tutto alle ortiche. Per cosa poi? Un conto è un povero cristo che arriva da un paese straniero figlio della miseria e della disperazione che sbarca in Italia senza documenti ne lavoro senza conoscere una parola della nostra lingua che magari ha figli da sfamare e non trova altra via se non quella dell’illegalità. Altro è essere uno studente a cui non manca nulla con un padre e una madre che lavorano che va a spacciare droga per potersi comprare l’iPhone 4 perché il 3 è superato. Chi ha dato il via a tutto questo? Difficile dirlo ma sta peggiorando, sempre meno è il lavoro, sempre meno professionalità si costruisce nelle scuole e sempre più il consumo è l’imperativo categorico. Il carcere non è solo un luogo di detenzione è anche e soprattutto lo specchio del nostro tempo. Bisogna smettere di guardare con diffidenza le iniziative che promuovono le attività dei detenuti. Se si riesce a riportare sulla retta via una persona che si era persa allora forse c’è speranza che il messaggio venga recepito anche da noi che siamo “liberi” ma pur sempre schiavi di un condizionamento comportamentale che ci costringe ad assumere atteggiamenti devianti. Una vita spesa per la causa. L’alternativa possibile Marco Girardello ha solo 36 anni non è un vecchio che vive lontano dal mondo reale. Ha avuto tanto dalla vita, una famiglia agiata ed un futuro assicurato, ma ha preferito lasciarsi tutto alle spalle per aiutare gli altri. Dai primi anni 90 combatte contro i pregiudizi per salvare gli essere umani che vivono anni rinchiusi come bestie nell’ozio e nell’abbandono e che escono dalla prigione più incattiviti di quando sono entrati. La chiama “la mia malattia”. La sua malattia è quella di dedicare la vita a migliorare l’esistenza dei condannati, questo dimostra che se si hanno le idee chiare e il coraggio di portarle avanti con dedizione non serve altro. Mi cita la favola del piccolo colibrì che cerca di spegnere il fuoco della foresta portando la poca acqua che riesce a trasportare avanti e indietro e mi spiega che lui e quelli come lui sono tanti colibrì che giorno dopo giorno tentano di estinguere le fiamme del nostro tempo malato. Questa è la sua malattia, la nostra è quella di raccontare le storie delle persone straordinarie che ci circondano. Giustizia: Sappe; i tre “pilastri” del Piano Carceri ad oggi si sono rivelati fallimentari Comunicato Sappe, 10 gennaio 2011 Il cronico ed indecoroso fenomeno del sovraffollamento delle carceri italiane ha trovato, nei vari governi che si sono succeduti, quale unico rimedio, il sistematico ricorso a provvedimenti di clemenza più o meno attesi, a cui si è accompagnata l’inevitabile dose di malumore da parte della opinione pubblica, che ha sempre mal digerito provvedimenti di tal fatta, non fosse altro per quella congenita ipocrisia che da sempre connota questo Paese che, se da un verso non ripudia leggi ad personam, condoni fiscali e condoni edilizi, dall’altro si è sempre mostrata insofferente all’idea di rimettere, anticipatamente, in libertà quei delinquenti ritenuti, a torto o a ragione, meritevoli della reclusione o peggio ancora della pena capitale, salvo, poi, invocare, ad ogni piè sospinto, responsabilità di ogni genere. Sulla scorta di ciò, il Ministro della giustizia annunciava, all’inizio dello scorso anno, l’approvazione del piano carceri a cui accompagnava la dichiarazione dello stato di emergenza. Tale piano si articola su tre pilastri; un piano di edilizia penitenziaria che porti la capienza recettiva degli Istituti penitenziari a circa 80.000 posti; un piano normativo che attenui il sistema sanzionatone per chi deve scontare un modesto residuo di pena; ed un piano relativo al Corpo di Polizia Penitenziaria che avrebbe dovuto portare all’assunzione di 2mila nuovi agenti. Ad oggi, tuttavia, tutti e tre i pilastri si sono rivelati fallimentari. Il primo perche non si può pensare di far fronte all’attuale fenomeno del sovraffollamento con la costruzione di nuove carceri che richieda tempi tecnici eccessivi, anche a fronte di strutture già pronte ed inspiegabilmente inutilizzate, senza considerare che con l’attuale trend di crescita della popolazione detenuta, i 20mila posti in più sono destinati ad essere superati rapidamente; il secondo pilastro perché circoscrivere le misure alternative a chi deve scontare un modesto residuo di pena non può avere nessun effetto deflattivo; il terzo pilastro perché l’assunzione di 2mila uomini, a fronte di un turnover di circa 800 unità del decorso 2008 e del 2009, senza considerare quello dell’anno in corso, finisce per essere un arruolamento pressoché inconsistente. Al riguardo, occorre rilevare che la legge di conversione del Decreto Legge 78/2010 ha mantenuto in vigore al 100% il turnover previsto dalla Legge Finanziaria 2010 per il Corpo di Polizia Penitenziaria, consentendo l’integrale arruolamento, in compensazione, delle oltre 700 unità di personale collocate in congedo per il decorso 2009 che vanno ad aggiungersi di 10% (più di 60 unità) sancito in ordine all’anno 2008. Ma vi è di più. Nonostante l’ari 4 della Legge 199/2010, consenta l’assunzione di personale del ruolo degli agenti e assistenti del Corpo di Polizia Penitenziaria, ancora nessuna iniziativa è sitata assunta in merito, nonostante circa 800 unità potrebbero essere avviate immediatamente o comunque a breve presso le Scuole di Formazione, che do più di sei mesi non ospitano nessun corso: personale, quindi, non impegnato a fronte della rilevante carenza di organico. Eppure, nelle carceri continuano i suicidi con una cadenza allarmante, e non solo dei detenuti, ma anche del personale (basti pensare che il Corpo si Polizia Penitenziaria rispetto alle altre Forze di Polizia soffre il più alto tasso di suicidi tra il personale) costretto ad effettuare lumi estenuanti al limite della dignità umana, a subire le molteplici e variegate aggressioni dei ristretti, senza che ciò, nel caso inverso, trovi la stessa risposta punitiva da parte dell’Autorità Giudiziaria. I detenuti sono quanto mai costipati costretti a vivere in 10 in una cella, con letti a castello a tre quattro brande, con servizi igienici a vista, con camere fatiscenti attanagliate dall’umidità e via dicendo. L’elenco delle criticità potrebbe ancora continuare ed impegnare numerose pagine, ma per decenza e dignità ci fermiamo qui. Alla luce di quanto sopra, il Sappe non può fare a meno di sollecitare l’adozione di provvedimenti concreti, risolutivi ed urgenti, che rifuggano da connotazioni demagogiche e che non si; risolvano nelle “rituali” visite presso gli istituii penitenziari, specie nel periodo estivo. Giustizia: Frattini; vogliamo Battisti in carceri italiane, pronti a ricorso Corte dell’Aja Ansa, 10 gennaio 2011 “Noi vogliamo Battisti nelle carceri italiane, ho detto che andrò fino alla Corte Internazionale dell’Aia se necessario”. Lo ribadisce il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a Mattino cinque. “Non possiamo fermarci: innanzitutto - ricorda - è una questione di giustizia fondamentale che tocca vittime innocenti, e, in secondo luogo, è un dovere morale. È necessario procedere per evitare che il caso di Battisti sia solo un esempio. Quando Battisti si sentiva libero di scrivere, scrisse un libro che pubblicò a Parigi in cui rivendicò tutti gli omicidi che aveva compiuto, spiegò le ragioni per cui aveva ucciso, parlò delle rapine che aveva compiuto e l’approvvigionamento di denaro. I suoi ex compagni di delitto, i Proletari Armati per il Comunismo, in questi giorni hanno dichiarato: “Lui è stato il più furbo perché era un rapinatore, era un delinquente e l’ha fatta franca”. Abbiamo ottenuto il rifiuto della scarcerazione immediata da parte del Tribunale supremo del Brasile, ma confido che quest’ultimo non si rimangi la decisione che avevamo ottenuto. Abbiamo assistito a una decisione politica: una pessima fine del mandato di un grande Presidente del Brasile. Ignazio Lula Da Silva ha finito nel peggiore dei modi”. Giustizia: negata la liberazione condizionale a Bruno Contrada perché non ha “collaborato” La Sicilia, 10 gennaio 2011 Il reato per cui è stato condannato, concorso in associazione mafiosa, è “ostativo” alla concessione della “liberazione condizionale” in assenza del “requisito di collaborazione con la giustizia”. Lo afferma il Tribunale di sorveglianza di Palermo nell’ordinanza con cui conferma gli arresti domiciliari, per gravi motivi di salute, a Bruno Contrada, che sta scontando nella sua abitazione di Palermo la pena comminatagli di 10 anni di reclusione. Secondo i giudici, resta ai domiciliari perché “nessuna struttura penitenziaria” può “garantire ad un soggetto anziano e malato come Contrada condizioni di vita e di assistenza medica compatibili con il suo stato di salute pisco - fisica”. Ma la libertà condizionata, sollecitata dal legale dall’ex funzionario del Sisde, l’avvocato Giuseppe Lipera, per il Tribunale di sorveglianza non è concedibile per il tipo di reato per cui è stato condannato, a prescindere dall’età e dallo stato di salute del detenuto, per “l’assenza del prescritto requisito della collaborazione con la giustizia”. Contro questa parte dell’ordinanza Lipera ha presentato un ricorso in Cassazione, chiedendone l’annullamento senza rinvio. “Nel caso di Contrada - spiega il legale - questo presupposto sarà sempre assente perché impossibile: condannato solo per accuse generiche e infamanti di “pentiti” non può collaborare con la giustizia perché è innocente, estraneo alle responsabilità per cui è stato ingiustamente condannato”. Lettere: 2011, odissea nel carcere di Roberto Puglisi www.livesicilia.it, 10 gennaio 2011 Adesso facciamo uno sforzo. Tendiamo l’orecchio e ascoltiamo le voci che provengono dal muro, oltre le sbarre. Sono le voci di puttane e puttanieri, di assassini che ucciderebbero ancora, di innocenti, di ragazzi, di stupratori, di pedofili, di magnacci, di esseri umani. Abbiamo risolto il nostro rapporto con la colpa e con il male, con l’indifferenza. Abbiamo inscatolato la faccia oscura nel cuore di un inferno che stia ben lontano dagli occhi. E non sentiamo pietà, né ragioni. Il carcere è la forca non detta, eseguita nella prassi, negata da una teoria che discetta pomposamente di “rieducazione”. Ma se si può nutrire l’illusione di separare da noi la colpa (e l’innocenza incolpevole), più difficile è un giudizio meditato sulla sorte dei colpevoli (e degli innocenti smarriti). Tremendo è il compito di chi deve pesare la cattiveria degli uomini carnefici e la sofferenza di coloro che sono stati presi al laccio, vittime dei loro stessi errori. Esiste una stradina di mezzo tra la condanna senza requie e il perdonismo, tra il considerare i carcerati tutti reietti da bruciare o tutti fratelli da scusare, con gli evidenti scompensi degli opposti eccessi? Forse sì. Basterebbe ricordarlo: il detenuto è soprattutto un cittadino, con i suoi diritti. Ogni condizione afflittiva andrebbe dosata al centesimo. Nessuna punizione dovrebbe trasformarsi in tortura. Invece è la contraddizione del nostro tempo alla luce delle torce e dei cappi. La chiamiamo giustizia, però sappiamo che è tortura. E questo soddisfa la fame di forca che giorni iniqui hanno seminato in noi. Tuttavia, noi di Livesicilia crediamo nelle persone e nella speranza. Conosciamo il potere delle parole. Alle volte, un avverbio giusto spara più lontano di un cannone. Per noi il 2011 sarà l’anno delle carceri in Sicilia, in collaborazione - se loro vorranno - con i Radicali Italiani, portabandiera di una battaglia che riguarda il nome della nostra dignità. Denunceremo, proporremo, scriveremo tanto sull’argomento. Il carcere di una comunità civile non può avere il volto dell’inferno in terra. Sicilia: viaggio nelle orribili galere, dove i gatti hanno paura dei topi di Jana Cardinale www.livesicilia.it, 10 gennaio 2011 La battaglia di civiltà per garantire condizioni di vita dignitose e di reale recupero all’interno degli istituti di pena è, da sempre, tra le priorità dei Radicali Italiani. Furono Mauro Mellini, Adele Faccio, Emma Bonino e Marco Pannella nel 1976, infatti, ad attivare al Parlamento la facoltà di visita di sindacato ispettivo nelle carceri - che attualmente è prerogativa di deputati, senatori, consiglieri regionali e garanti per i diritti dei detenuti, e per estensione permessa anche ai parlamentari europei - andando a verificare l’attuazione dei programmi di reinserimento ma soprattutto la vivibilità dovuta ai detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria, agli infermieri e a chi all’interno, quotidianamente vi presta servizio. Ne abbiamo parlato con l’onorevole Rita Bernardini, già segretaria di Radicali Italiani, eletta nell’aprile del 2008 alla Camera dei deputati, nelle liste del Partito Democratico, all’interno della delegazione Radicale nel Pd. Rita Bernardini dedica la sua attività principalmente al tema della giustizia (abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la responsabilità civile dei magistrati, la riforma in senso uninominale del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura) e nel febbraio 2010 ha condotto uno sciopero della fame per l’ottenimento di dieci obiettivi politici che riguardano principalmente le carceri e la trasparenza delle istituzioni. “A noi, chiaramente, non interessa soltanto denunciare - dice - ma ci aspettiamo dei risultati che migliorino anche la situazione di chi lavora nelle carceri, ed è per questo che parliamo sempre di comunità penitenziaria, rivolgendoci anche a chi, oltre ai detenuti, è sottoposto ad una brutalità inaccettabile e costante. Grazie alla lotta parlamentare e non violenta eravamo riusciti ad ottenere dei risultati dignitosi e fare approvare nel gennaio 2010 la mozione sulle carceri; in seguito al mio sciopero della fame per la sua attuazione, venne fuori il primo disegno di legge Alfano, poi massacrato in Commissione Giustizia. Sarebbe stato comunque un risultato, perché sarebbero andati ai domiciliari circa 13 - 14 mila detenuti giunti all’ultimo anno di detenzione. Non è così, invece, e i soli 2 mila di adesso non sono numeri che incidono sul problema”. Parliamo di numeri. Com’è la situazione? “Oggi tocchiamo il punto più basso: 69.500 detenuti stipati in posti pari a 43.000, che poi è la capienza ordinaria di legge”. In Sicilia, dove siete stati l’estate scorsa, dove avete riscontrato la situazione più critica? “Senz’altro a Favignana, all’Ucciardone di Palermo, a Gazzi (Messina) e a Piazza Lanza (Catania). Lì la violazione dei diritti umani è sistematica e abbiamo presentato al riguardo anche delle denunce alle Procure della Repubblica di Messina e Catania dopo le visite. La mancanza di igiene è totale, il sovraffollamento anche. In un caso abbiamo trovato dei letti a castello a 4 piani, topi, scarafaggi, sporcizia”. Quante carceri avete visitato in Sicilia complessivamente? In totale, Favignana, per due volte, prima e dopo ferragosto, Piazza Lanza (Catania), nel novembre 2010, Nicosia (Enna), Caltagirone (Catania), Piazza Armerina (Enna), poi Enna, Mistretta (Messina), l’Ucciardone di Palermo e le carceri di Termini Imerese”. Le vostre visite come si svolgono? Avete modo di ascoltare i detenuti? “Assolutamente sì. Per noi è fondamentale. Incontriamo intanto il direttore dell’istituto e il comandante degli agenti che ci accompagnano nella visita anche con i medici, gli infermieri e chi è addetto alla salute dei tossicodipendenti. Visitiamo cella per cella, parliamo con tutti. Ascoltiamo le loro richieste e le loro disperazioni. Non dimenticherò una frase che mi fu detta da un detenuto nel carcere di Messina, che ritengo significativa: “Qui i gatti si impauriscono dei topi”. Ricorda una testimonianza, qualche episodio di denuncia, in particolare? “Tantissimi, ce ne sono a migliaia e sono quasi tutti oggetto delle interrogazioni parlamentari presentate dopo le visite carcerarie. Intanto confermo che l’organico di polizia penitenziaria effettivamente in servizio negli istituti è fortemente carente e dal punto di vista strutturale le condizioni delle carceri, quelle 4 che ho citato prima in particolare, continuano ad essere oltremodo fatiscenti, assolutamente inadeguate ad ospitare esseri umani. A Favignana abbiamo appreso anche che veniva praticato il sistema definito “nudo a cella liscia” in isolamento, cioè completamente nudi e senza materasso. Il trattamento minacciato e in alcuni casi riservato a chi dava in escandescenze”. Quali “successi” avete ottenuto nel tempo? “Nel 1980 grazie all’azione non violenta di Adelaide Aglietta ed Emma Bonino i Radicali riuscirono a conquistare la smilitarizzazione del corpo di polizia penitenziaria e la riforma che permise all’Italia di recepire nell’ordinamento penitenziario le norme che riguardano l’umanizzazione delle carceri intesi come luoghi dove il detenuto possa pagare il suo debito con la giustizia ma anche avviare un percorso per il reintegro nella società”. Cosa è emerso di nuovo nelle visite in Sicilia l’estate scorsa? “A Favignana siamo anche ritornati, viste le richieste e le segnalazioni numerose accolte anche dopo ferragosto. C’è una bella novità. In seguito alla visita fatta alle carceri di Piazza Armerina assieme al sindaco di Enna, Paolo Garofalo, del Pd, abbiamo appreso che i primi cittadini in realtà non hanno questa facoltà di visita ispettiva senza preavviso negli istituti di pena e per questo motivo, su indicazione dello stesso Garofalo, ho presentato un’interrogazione affinché la prerogativa venga estesa anche ai sindaci - che sono la prima autorità sanitaria di un territorio - e ai presidenti di provincia. Stiamo ricevendo sostegni da tutta Italia e per la trasversalità politica di questa proposta riteniamo che l’idea si possa presto concretizzare”. Sicilia: tra suicidi e sovraffollamento, nelle carceri è l’inferno di Miriam Di Peri www.livesicilia.it, 10 gennaio 2011 “Le carceri in Italia sono ormai diventate la panacea di tutti i mali, la situazione è ormai insostenibile” parola di Lino Buscemi, dirigente dell’ufficio del Garante siciliano per la tutela dei diritti dei detenuti. Buscemi, nel corso di una lunga chiacchierata, anticipa a Live Sicilia alcuni punti della rapporto sulla situazione delle carceri nel 2010, che nei prossimi giorni il Garante regionale Salvo Fleres presenterà all’Ars e in conferenza stampa. “L’ho sempre detto e ripetuto - dice Buscemi - il problema del sovraffollamento delle carceri non può più essere ignorato. Sì, la novità di questi giorni è il dato aggiornato al 31 dicembre, ma la situazione è più che nota e i dati confermano la tendenza degli ultimi anni. Il quadro rispetto agli istituti penitenziari nell’Isola è drammatico, su 4500 detenuti che le carceri siciliane potrebbero contenere, ad oggi si contano oltre 8000 persone in regime di reclusione. Tutto questo basandosi sui parametri previsti dalla legge e fino alla capacità regolamentare abbiamo dati oggettivi. Sulla capacità tollerabile, invece, mi piacerebbe sapere chi stabilisce i parametri di tollerabilità. In altre parole, chi stabilisce che in una cella da tre arrivano a convivere anche nove detenuti?”. La denuncia di Buscemi è chiara: “Queste condizioni - dice - sono intollerabili, io credo che lo Stato dovrebbe garantire delle misure sostitutive per i reati minori, come gli arresti domiciliari. Ma anche qui, bisogna fare alcune precisazioni. La legge approvata lo scorso 16 dicembre, la cosiddetta ‘svuota - carcerì, definisce un limite e stabilisce che per le pene inferiori o entro il limite dei 12 mesi, si possa ricorrere ai domiciliari, esclusi ovviamente i reati maggiori. Ma escludendo i reati più gravi, rimangono poche categorie di crimini, per la maggior parte attribuibili a reati spesso commessi da extracomunitari, molti dei quali non posseggono la residenza, quindi il provvedimento non può essere attuato. Alla fine della fiera, le ottimistiche stime che prevedevano lo svuotamento delle carceri, non troveranno riscontro con la realtà”. E ancora, sui numerosi casi di detenuti che sono arrivati a togliersi la vita nell’ultimo anno, Buscemi precisa: “la Sicilia si è guadagnata l’inglorioso primo posto per numeri di suicidi nel 2010, con ben 8 casi, quattro dei quali nel solo carcere di Siracusa. Si parla tanto di piano carceri - solo in Sicilia ne dovrebbero essere costruiti quattro - ma quel che preoccupa sono i tempi”. Sullo stato in cui versano gli istituti di detenzione dell’Isola, Buscemi descrive un panorama desolante: “Basti considerare che per costruire l’istituto penitenziario di Gela sono stati necessari 50 anni e ad oggi non è stato aperto. Stessa cosa dicasi per Favignana, mentre l’istituto di Noto è utilizzato soltanto a metà. E ancora, l’ottava sezione dell’Ucciardone di Palermo è stata ultimata, ma non inaugurata. In tutto questo, alcune carceri, come quelle di Mistretta, Marsala o San Cataldo andrebbero chiuse perché violano i parametri imposti dalla legge, nonché i principi sui diritti universali dell’uomo”. Come risolvere allora la situazione nel breve periodo? Secondo Buscemi “il Parlamento avrebbe dovuto approvare una sorta di depenalizzazione per i reati minori. Attenzione, qui non si parla di amnistia, ma di istituire delle multe, contravvenzioni, pene sostitutive, servizi sociali, soltanto per le effrazioni meno gravi. Un Paese civile - conclude - si organizza per fare pagare il debito con la giustizia anche attraverso modalità sostitutive alla galera che, al contrario, in Italia sembra essere diventata la panacea di tutti i mali”. Puglia: Sappe; sovraffollamento delle carceri, serve un intervento di Napolitano Ansa, 10 gennaio 2011 Il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) chiede che sull’emergenza carceri “intervenga in prima persona il Presidente della Repubblica, sempre così attento e vigile, affinché diritti fondamentali che investono la dignità umana non vengano così pesantemente violati”. Il pianeta carcere - secondo il Sappe - è stato lasciato “in balia di una situazione che degrada ogni giorno di più, tanto che nemmeno più i suicidi in carcere, oltre 60 nel 2010, di cui cinque in Puglia, fanno più notizia”. Nella nota si ricorda che circa un anno fa è stato “pomposamente annunciato un piano straordinario per le carceri da parte del governo per far fronte all’emergenza che si vive nelle carceri italiane con una popolazione di detenuti di circa 68.000 unità a fronte di circa 42.000 posti disponibili”. “Di quel piano - viene sottolineato - si sono perse le tracce, poi a fine novembre è stata emanata un’altra legge che secondo il governo, avrebbe portato ossigeno all’ormai asfittico sistema penitenziario italiano, la legge 199 del 26 novembre scorso che emanava disposizioni relative all’esecuzione presso domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”. “Purtroppo - aggiunge il Sappe - anche questo provvedimento è risultato sterile poiché non ha apportato alcun risultato positivo se non aver fatto crescere le tensioni all’interno dei penitenziari”. Anche per il nuovo anno la regione Puglia - informa inoltre il Sappe - strappa la maglia rosa di regione più affollata in relazione ai posti disponibili con 4.600 presenze a fronte di appena 2.250 posti disponibili. Livorno: Yuri non è stato picchiato in cella, morto probabilmente per avere inalato del gas Il Tirreno, 10 gennaio 2011 Nessun segno di violenza: niente lividi, contusioni o ematomi evidenti. A uccidere Yuri Attinà - il giovane livornese morto lo scorso mercoledì in una cella del carcere delle Sughere - sarebbe stato il gas. A confermarlo (anche se per determinare con precisione le cause della morte serviranno nuovi accertamenti) è l’autopsia eseguita ieri al cimitero dei Lupi. A eseguirla è stato il medico legale Luigi Papi, alla presenza del consulente nominato dalla famiglia della vittima, il dottor Stefano Pierotti di Pistoia. La sorella e la nipote di Yuri Attinà (Donatella e Valentina Marchetti), appena venute a conoscenza della tragica scomparsa, hanno infatti deciso di rivolgersi a un legale, l’avvocato Giovanni Izzi di Pisa. “Yuri era sano - hanno ripetuto all’indomani della scomparsa - non può essere morto di infarto: vogliamo che sia fatta chiarezza”. Ieri in tarda mattinata, dopo l’affidamento degli incarichi in Procura, i medici legali hanno eseguito l’autopsia sul corpo del ragazzo disposta dal sostituto procuratore Massimo Mannucci, dopo l’apertura di un fascicolo (dovuto) contro ignoti. Secondo quanto riferito dal consulente della famiglia, “dopo un esame accurato non sono emersi segni di percosse o violenza”. In altre parole Yuri Attinà non è stato picchiato. Allo stesso tempo, i familiari, hanno invece riferito di aver notato un colore violaceo sul collo e sulla schiena, pur non escludendo che questo possa ricollegarsi alla stasi del sangue. Sempre stando a quanto appreso al termine dell’autopsia (andata avanti fino alle prime ore del pomeriggio) saranno necessari ulteriori esami di carattere istologico e tossicologico per capire cosa ha davvero causato la morte del giovane. Al momento l’ipotesi più accreditata sembra essere quella del gas. Gli inquirenti stanno infatti pensando di sequestrare uno dei fornellini - bomboletta usati dai detenuti all’interno delle celle. Strumenti che servono ovviamente a scaldare il cibo, ma che spesso si trasformano nelle uniche vie di fuga possibili dalla disperazione. Proprio un fornellino, usato come inalatore di gas, potrebbe avere provocato l’infarto. Ma per avere gli esiti degli esami richiesti dal medico legale e dai consulenti di parte - e quindi stabilire se davvero si tratta, come sembra, di morte accidentale o di morte naturale - servirà ancora qualche settimana. Livorno: arci e Idv; troppe morti in carcere, indispensabile fare luce sul decesso di Yuri Attinà Il Tirreno, 10 gennaio 2011 Troppe morti nelle nostre carceri, troppe morti nel penitenziario di Livorno: tanto l’Arci che i dipietristi dell’Idv (per bocca del consigliere comunale Lorenzo Del Lucchese e del coordinatore giovanile Jacopo Bertini) chiedono che sia fatta chiarezza sulla tragica fine di Yuri Attinà e più in generale sulle condizioni di vita all’interno delle celle. Intanto oggi alle 15 davanti alle Sughere il Comitato Verità per Yuri ha organizzato una manifestazione: “Non vogliamo che sia sepolto senza che siano individuati responsabili e omissioni”. Per l’Arci bisogna “individuare, tramite autopsia, non solo il meccanismo del decesso ma anche le sue effettive cause”. Yuri - dice - “è morto nella Casa Circondariale di Livorno, luogo che da alcuni anni vanta un triste record di decessi, in linea del resto con l’alto numero di morti (oltre 1700) che negli ultimi 10 anni si sono verificate nel mondo carcerario italiano”. E aggiunge: “Si è discusso innumerevoli volte sulla criticità e l’inadeguatezza delle nostre strutture carcerarie, soffocate tra sovraffollamento, incuria e carenza di personale, ma finora ciò non è servito ad individuare soluzioni effettivamente efficaci”. Il carcere è “rimosso dal perimetro sociale della città e dalla comunità locale”: è una “realtà comunitaria in cui si riesce sempre meno a garantire la dignità e la qualità della vita di chi lo abita e uno spazio fisico in cui è sempre più difficile dare un senso alla pena”. Ma l’Arci insiste anche su un altro aspetto: la biografia di Yuri “racconta di una persona immersa in una situazione poco adatta a fronteggiare la dura esperienza del carcere, e in particolare del carcere così com’è oggi: una soluzione che lo portasse a scontare la sua pena in una realtà alternativa all’istituto di pena si è rivelata, a posteriori, più urgente di quanto dinamiche giudiziarie e circostanze pratiche abbiano costretto ad attendere”. L’Arci ribadisce che la qualità della vita carceraria “sta diventando uno dei principali metri su cui si misura il grado di civiltà di un paese”: deve essere visto come “un obbligo non solo legislativo ma anche morale, e un impegno che, a seconda delle proprie funzioni, tutti devono assumersi, dai funzionari ministeriali fino ai semplici cittadini”. A nome dell’Italia dei Valori Del Lucchese e Bertini segnalano che “le dinamiche dell’accaduto sono ancora sconosciute ed è forse troppo presto per giungere alle conclusioni”: tuttavia - rilevano - “questo non sia un caso isolato nelle carceri italiane, ma soprattutto in quello di Livorno”. Si pensi ai “troppi decessi avvenuti negli ultimi anni: uno su tutti il caso di Marcello Lonzi che attende ancora oggi una calendarizzazione presso la Corte di Cassazione”. L’Idv non vuol mettere in dubbio “l’utilissimo (e spesso indebitamente supportato) operato delle guardie carcerarie” alle prese con “mancanza di personale e di fondi”. Resta lo “sgomento di fronte a questo ennesimo episodio, perché un uomo in carcere, nelle mani dello Stato, non dovrebbe morire”. Servono indagini “senza interferenze” che “portino ad una risposta serena” e “individuino delle responsabilità ove ci fossero”: lo Stato - afferma l’Idv - “deve dare delle risposte per non mettere in crisi la fiducia dei cittadini nelle istituzioni”. Livorno: fuori dal carcere una grande folla chiede la verità Il Tirreno, 10 gennaio 2011 Un mazzo di rose bianche all’ingresso del carcere, cori contro gli agenti, petardi, fumogeni e tanto sdegno. Sono solo alcune delle immagini della manifestazione organizzata ieri pomeriggio dal comitato “Verità per Yuri” davanti alle Sughere. Il caso Attinà riaccende i riflettori sul carcere livornese: oltre una quindicina tra decessi e suicidi in appena dieci anni. Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi (scomparso tra quelle stesse mura nel 2003) è intervenuta per portare conforto e solidarietà ai familiari: “Quando ho appreso la notizia mi è sembrato di rivivere quei momenti. Mio figlio che stava bene, poi la morte. Un arresto cardiaco, mi dicono. Ma i compagni di cella dormivano, non hanno visto nulla”. Le fa eco Cira Antignano, madre del viareggino Daniele Franceschi, morto in un carcere francese: “Tutto questo è desolante, significa che non è cambiato niente”. È ancora presto - dicono i familiari e gli amici - per fare congetture. Certo è, che la versione del malore non convince Donatella, la sorella del giovane: “Chi lo conosceva sa che Yuri era un ragazzone robusto. Aveva avuto dei problemi di tossicodipendenza, ma non era malato. In carcere, paradossalmente, ci sembrava quasi sicuro, lontano dalla droga. E invece...”. Il corteo si è poi spostato sotto gli alloggi dei detenuti per testimoniare tutta la solidarietà a chi “subisce gli effetti del sovraffollamento carcerario”. “Basta col fatalismo e la retorica - dice Omar Franconi, uno dei promotori dell’iniziativa - c’è una responsabilità morale e politica di tutta la città verso chi muore o si suicida in cella. Continueremo a fare pressione sul garante, Marco Solimano, che può avere accesso agli atti”. Tanta la rabbia e la voglia di risposte per questa ennesima morte. “I livornesi - ironizzano in modo amaro al microfono - sono a loro insaputa un popolo di cardiopatici, ma lo scoprono solo dopo essere entrati alle Sughere”. Il penitenziario è secondo in Italia per tentati suicidi Il carcere delle Sughere è al secondo posto fra le strutture penitenziarie di tutta Italia per numero di tentativi di suicidio: ben 47 nell’arco dei dodici mesi dello scorso anno. A dirlo sono i dati diffusi dal sindacato Uil - Pa Penitenziari: la casa circondariale livornese è superata d’un soffio solo da Lecce (che ne ha fatti registrare 48): ma dei tentativi dei detenuti di farla finita se ne contano più qui da noi che nel carcere di Poggioreale a Napoli (37) o in quello di Rebibbia a Roma (30). Le statistiche diffuse dal sindacato segnalano che nello scorso anno in tutte le carceri italiani 66 detenuti si sono tolti la vita e 1.134 hanno tentato il suicidio, altri 173 sono morti per cause naturali. Negli ultimi dieci anni si sono avuti in carcere 626 suicidi e 8.702 tentativi di suicidio. Secondo la Uil - Pa Penitenziari, al 31 dicembre scorso nel carcere livornese erano presenti 467 detenuti, il 64,4% in più rispetto alla capienza prevista (284). Nei pochissimi giorni dall’inizio dell’anno a oggi si è avuto già il segnale di una annata partita sotto i peggiori auspici all’interno delle mura dei penitenziari: parola del leader nazionale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno: in poco più di una settimana “dobbiamo già registrare tre morti per cause naturali a Lecce, Frosinone e Livorno (ma probabilmente correlate allo stato detentivo), un suicidio all’Opg di Aversa e diversi momenti di violenza con la rissa di Porto Azzurro a fare da capofila”. Aversa (Ce): per suicida all’Opg 14 indagati per omicidio colposo e interrogazioni parlamentari Il Mattino, 10 gennaio 2011 Sono quattordici gli iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo per il suicidio avvenuto nell’ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito di Aversa: il personale in servizio in reparto durante il tragico pomeriggio di cinque giorni fa, medici, psichiatri e i dirigenti della struttura Adolfo Ferraro, direttore sanitario, e Carlotta Giaquinto, direttrice penitenziaria. M.B, trentaduenne originario di Roma, trasferito a luglio presso il Saporito dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino con una misura di sicurezza provvisoria in quanto accusato di maltrattamenti in famiglia, si è tolto la vita alle 16 del 4 gennaio: il primo suicidio in carcere del 2011. Al Saporito in passato dal 2007 al 2008, in 14 mesi, si registrarono cinque suicidi. Tutte le indagini realizzate dalla polizia penitenziaria si conclusero con l’archiviazione. “Rispetto ad eventuali responsabilità siamo molto sereni - ha dichiarato la direttrice Giaquinto - purtroppo si è trattato di un atto imprevedibile, il detenuto non aveva dato alcun segnale in precedenza, né c’è stato un abbassamento della guardia, dal momento che quando il suicidio è avvenuto un agente era in servizio al reparto e uno al cancello, senza contare la presenza anche dell’infermiere di turno, tanto che i soccorsi sono stati immediati”. L’ennesima storia di disperazione dietro le mura del carcere ospedale apre nuovi quesiti sull’identità di un luogo che a dispetto delle norme che prevedono il superamento degli stessi Opg, mantiene un’identità indefinita e ancora troppo lontana da quella di istituto di cura. “Noi stessi abbiamo chiesto più volte all’Asl di intervenire nella struttura, partendo dalle piccole cose, come la fornitura di lettini ospedalieri, ma non ci sono stati interventi a differenza di quanto accaduto all’Opg che dipende dalla Napoli 1 - continua la Giaquinto - è necessario che si investa in questi luoghi ed è giusto che si accenda l’attenzione su questi posti e i loro reclusi troppo spesso dimenticati e costretti a veri e propri ergastoli”. Sul suicidio del giovane romano un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia e a quello della Salute è stata presentata dalla deputata dei radicali, Rita Bernardini per sapere in che modo era seguito il giovane suicida dal punto di vista psico-pedagogico. “È bene che su questi episodi vi sia la massima chiarezza sia per capire quali e se vi siano state responsabilità, sia per evitare che si ripetano - afferma Dario Stefano dell’Aquila dell’Osservatorio dell’associazione Antigone - siamo interessati alle responsabilità istituzionali più che a quelle penali e ribadiamo l’urgenza di chiudere e superare i manicomi giudiziari”. Catania: sulla vicenda di Carmelo Castro il Garante dei detenuti chiederà un’indagine ministeriale di Giovanna Quasimodo La Sicilia, 10 gennaio 2011 Sospetti sulla morte di Carmelo Castro: il giovane detenuto non poteva impiccarsi a un letto più basso di lui. Il mistero sulla morte in carcere del 19enne Carmelo Castro si infittisce sempre più. E ogni particolare nuovo che si aggiunge alla già grave e lunga lista di perplessità finora mai chiarite, non fa altro che alimentare la rabbia dei familiari e il bisogno di Giustizia avvertito dalla società civile e da una serie di associazioni che lottano per i diritti umani. Più si scava insomma, più fango viene fuori. Giusto per sgombrare il campo da ogni equivoco e per dar forza alla recente denuncia espressa dall’Associazione Antigone, sabato mattina Il garante per i diritti dei detenuti siciliani, senatore Salvo Fleres, e il presidente della sezione catanese dell’Associazione nazionale forense, avvocato Vito Pirrone, hanno fatto una visita mirata al carcere di Piazza Lanza, proprio per verificare l’altezza del letto a castello all’apice del quale - è scritto sugli atti giudiziari - alle 12,20 del 28 marzo 2009, il giovane incensurato fu trovato “all’impiedi, penzoloni, impiccato al letto a castello con un lenzuolo stretto al collo”. Anche Fleres e Pirrone hanno potuto constatare coi loro stessi occhi che i letti a castello non sono più alti di un metro e 70 centimetri, mentre il ragazzo morto era alto circa un metro e 75. “Insomma - hanno commentato entrambi - qualcuno ci dovrà spiegare come abbia fatto il ragazzo a impiccarsi a un letto più basso di lui e soprattutto come ciò possa essere successo pur trovandosi il giovane in regime di altissima sorveglianza”. Questa ed altre contraddizioni sono riscontrabili in un’indagine della magistratura “mai approfondita”, ecco perché Pirrone e le associazioni “Antigone” e “A buon diritto”, hanno chiesto la riapertura delle indagini che sono state archiviate nell’agosto scorso. Dal canto suo il senatore Fleres, dopo aver presentato al ministro della Giustizia ben due interpellanze parlamentari sul caso Castro (alle quali, però, Alfano non ha mai dato risposta), si sta preparando a presentare la terza, proprio alla luce dell’ultimo inquietante particolare dell’altezza dei letti a castello del reparto in cui Carmelo è morto. Insomma si mette seriamente in dubbio che il giovane quella mattina fosse animato da volontà suicida: “Qualcosa di strano è successo, - commenta Fleres - non me la sento di dire “cosa”, ma la magistratura avrebbe in mano tutti gli strumenti per chiarirlo e credo che abbia il dovere di farlo. I detenuti non sono cittadini di serie B e la legge vale anche per loro”. “Non si capisce perché non ci abbiano dato i filmati dei corridoi, - ha aggiunto l’avvocato Pirrone, legale di fiducia della famiglia Castro - né ci abbiano detto chi quella mattina portò il cibo al ragazzo; qualcuno forse gli ha mandato un messaggio intimidatorio? E se non c’era niente da nascondere, perché non hanno fatto chiarezza?”. Insomma gli elementi per riaprire il caso ci sono tutti (a partire dal presunto pestaggio subito nella caserma dei carabinieri il giorno dell’arresto, per finire nelle paure che il ragazzo aveva espresso verso possibili ritorsioni che sarebbero potute ricadere su di lui dopo che aveva fatto i nomi dei delinquenti che lo coinvolsero in una rapina) e anche il Garante è deciso di andare fino in fondo, annunciando che chiederà pure un’ispezione ministeriale al Palazzo di Giustizia per esaminare il caso. Senza usare mezzi termini si mette in dubbio il suicidio stesso o quanto meno - se è vero che fu suicidio - si teme che il giovane possa essere stato indotto, se non obbligato, a togliersi la vita. Una storia di una gravità estrema che non può restare così, in sospeso, in una Paese che si dice civile. Nel corso dell’ispezione in carcere, però, non si è mancato di osservare come ancora i detenuti di piazza Lanza vengano tenuti come bestie (“L’inferno è peggio”, ha commentato l’avvocato Pirrone), ma la cosa più vergognosa è la scarsa assistenza sanitaria prestata ai carcerati sofferenti. “È uno scandalo - ha denunciato ancora una volta il senatore Fleres - che a quasi tre anni dall’emanazione del relativo decreto, la Sicilia resti l’unica regione italiana inadempiente e che non ha applicato l’assistenza della sanità pubblica alla popolazione carceraria”. Tutto ciò significa che i malati in cella languiscono, il più delle volte senza assistenza sanitaria o con assistenza inadeguata. Padova: legge svuota-carceri? su 1.000 forse usciranno in 30, esclusa gran parte dei reclusi stranieri Il Gazzettino, 10 gennaio 2011 I detenuti nelle carceri di Padova erano più di mille l’altra mattina. Nella Casa Circondariale c’erano 216 reclusi, 850 nella casa di reclusione. Centocinquanta in più da una parte, più di cento dall’altra. Nei due istituti penitenziari padovane l’altra mattina i detenuti erano più di mille. Quanti potranno uscire grazie alla nuove legge “svuota carceri”? Complessivamente non più di una trentina. “Legge “svuotacarceri”? Ma mi faccia il piacere”, sostengono alla redazione di Ristretti Orizzonti: “La logica, perversa, è sempre la stessa, quella di fare calcoli e vedere automatismi, lì dove invece le cose sono molto più complesse: ma che cosa ha di simile all’indulto, che liberava le persone a tre anni dal fine pena, una misura che fa passare l’ultimo anno di pena chiusi in casa e controllati giorno e notte dalla polizia? E che calcoli si possono fare su quanti usciranno, se si richiede alle persone di avere un domicilio certo e controllabile, e quindi si esclude in partenza la gran parte dei detenuti immigrati e anche tanti italiani, che probabilmente se avessero avuto un posto dove andare sarebbero già stati fuori con qualche misura alternativa? E i calcoli diventano ancora più complessi ora che, a distanza di mesi, questa misura l’hanno ulteriormente svuotata, escludendo molte categorie di reati. Una legge che, oltretutto, va in scadenza, dura fino al 31 dicembre 2013 e poi? Poi pare che saranno disponibili migliaia di nuovi posti in galera e non servirà più mandare a casa in detenzione domiciliare un pò di detenuti”. Padova: Giuristi Democratici; non servono più carceri, meglio applicare le misure alternative Il Gazzettino, 10 gennaio 2011 Come si risolve il sovraffollamento carcerario? I giuristi democratici di Padova sostengono che neppure l’ampliamento delle carceri risolverà il problema: “L’ampliamento dell’edilizia carceraria, a condizione che si reperiscano fondi sufficienti per realizzarla, si configura, in verità, come un fallimento annunciato, sulla base dell’esperienza dell’incarcerazione di massa negli Stati Uniti. Le carceri non sono mai abbastanza: più prigioni si costruiscono, più se ne riempiono”, sostengono. “La prospettiva del contenimento e della neutralizzazione risulta, in questa chiave, la sola risposta che le istituzioni offrono ad una parte della popolazione sempre più marginale e precarizzata, mentre negli istituti penitenziari accrescono le difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria “emergenza umanitaria”, a partire dall’inaccettabile numero dei decessi, anche per suicidio, occorsi nel 2010 dietro le sbarre, in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti. Appare evidente che il governo e la maggioranza, pur comprendendo la drammaticità della attuale situazione di emergenza, non riescano a liberarsi dalla convinzione, smentita inoppugnabilmente dai fatti, per cui le alternative al carcere rappresentano una minaccia, e non una risorsa, per la sicurezza collettiva, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa”. Como: legge “svuota-carceri” inefficace, poche le domande per chiedere i “domiciliari” Corriere di Como, 10 gennaio 2011 Era stata ribattezzata la legge “svuota carceri”. Una iniziativa del ministero guidato da Angelino Alfano che - permettendo gli arresti domiciliari a chi ha ancora da scontare un anno o meno di pena - puntava a far tirare una boccata d’ossigeno agli istituti di pena della Penisola, vittime di una morsa letale tra sovraffollamento di detenuti e penuria di organico degli agenti di polizia penitenziaria. Di quella boccata d’ossigeno, per il carcere del Bassone, tuttavia, non sembra esserci traccia. Sono state infatti circa una trentina le domande presentate che sono ancora in fase di valutazione e che, tra le righe, non è nemmeno detto vengano accolte. Dunque, anche nella migliore delle ipotesi, tra le celle della struttura di Albate non si apriranno certo ampi spazi. Una situazione, quella del Bassone, davvero oltre il limite come ribadito in settimana dalle associazioni sindacali della polizia penitenziaria dopo l’ultima aggressione a due agenti avvenuta nel pomeriggio del 5 gennaio da parte di un detenuto iracheno. “La situazione è al collasso - ha detto al riguardo Massimo Corti, rappresentante della Cisl al Bassone - Noi dovremmo essere in 308 agenti e siamo in 234, quindi ben 74 unità in meno. L’istituto invece, che ha una capienza di 462 detenuti, è addirittura oltre la massima tollerabilità che è stata fissata a 581. Al 31 dicembre, infatti, le presenze erano 604”. Secondo i dati forniti dalla Cisl, sono infatti 142 gli esuberi tra i detenuti, con un indice di affollamento al Bassone del +30,7%. La struttura di Albate, inoltre, è una delle cinque in tutta la Lombardia (le carceri della regione sono 19) ad aver fatto registrare nell’anno solare 2010 più di un episodio di aggressione ai danni delle guardie in servizio. Sempre al Bassone, e sempre da gennaio a dicembre, sono stati 2 i suicidi (6 in tutta la Lombardia) ma le guardie sono riuscite a evitarne, con il loro pronto intervento, altri 21. Numeri che insomma, in tutta la loro drammaticità, testimoniano la situazione oltre il consentito del carcere di Como. “Faccio un esempio - prosegue Corti, l’esponente della Cisl - Una sezione comune conta su 25 celle per un totale mediamente di circa 100 detenuti. Bene, al Bassone abbiamo un solo agente a gestire la situazione, con detenuti che, come abbiamo visto questa settimana, possono anche avere problemi particolari anche molto delicati, come quelli psichiatrici. Non dobbiamo stupirci, dunque, quando avvengono le aggressioni, che quest’anno si sono verificate in più occasioni. L’unica cosa che possiamo fare è chiedere ancora una volta all’amministrazione di intervenire prima che accadano fatti ancora più gravi”. “Lo “svuota carceri”? - conclude Massimo Corti - Non cambierà nulla, le domande arrivate sono pochissime”. A cambiare radicalmente la situazione potrebbero essere, dunque, o la costruzione di nuove strutture - che appare remota - oppure l’assunzione di nuovi agenti di polizia penitenziaria. Intanto però la questione del Bassone di Albate, in queste ore, è destinata ad approdare - ancora una volta, verrebbe da dire - sul tavolo del ministro della Giustizia, Angelino Alfano. L’annuncio arriva da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria che, con una nota inviata ieri in redazione, segnala “l’auspicio che l’organico di agenti del carcere comasco”, dopo la nuova aggressione avvenuta in settimana, “venga adeguatamente incrementato con le nuove assunzioni previste per la Polizia Penitenziaria nel 2011”, cosa che “chiederò espressamente al ministro della Giustizia che incontrerò nei prossimi giorni a Roma”. Gorizia: autolesionismi e scioperi della fame in un carcere decrepito, chiuse 2 sezioni su 3 Messaggero Veneto, 10 gennaio 2011 Le condizioni di detenzione, non sempre adeguate, fanno affiorare nervosismo e insofferenza fra gli ospiti delle carceri italiane. Una situazione di diffusa difficoltà, cui non sfugge neppure la realtà goriziana. Secondo quanto riporta il consueto report annuale redatto dalla Uil pubblica amministrazione penitenziari, nel corso dello scorso anno la Casa Circondariale di via Barzellini è stata teatro di quattro episodi di autolesionismo e ben cinque casi di sciopero della fame, forme di protesta estrema dettate, nella maggior parte dei casi, dalle non facili condizioni di permanenza all’interno delle celle, che si trovano al terzo piano della struttura carceraria. I casi di autolesionismo hanno riguardato prevalentemente detenuti di etnia straniera, rinchiusi in cella per violazione delle norme sull’immigrazione: l’ultimo caso si è verificato lo scorso settembre, quando un giovane maghrebino, ritenuto responsabile di un tentativo di rivolta nel Cie di Gradisca, si era inferto profonde ferite agli avambracci, che avevano reso necessario un trasferimento all’ospedale di via Fatebenefratelli. La Casa Circondariale del capoluogo isontino appare invece in coda alla classifica del sovraffollamento, ma soltanto a causa del mancato aggiornamento dei parametri di capienza del carcere, ancora accreditato dalle tabelle diffuse dal sindacato di una disponibilità di 80 posti. In realtà, a causa della chiusura di due sezioni su tre, nel 2008 la capienza è stata più che dimezzata e portata dunque agli attuali trenta posti letto. Al 31 dicembre risultavano ospitati nello stabile di via Barzellini quaranta detenuti, con un indice di affollamento del 33,3 per cento, che farebbe schizzare Gorizia a metà della graduatoria guidata dal carcere di Lamezia Terme, in Calabria. Classificata come carcere di “media sicurezza”, la casa circondariale del capoluogo isontino non può trattenere ospiti con condanne superiori ai cinque anni: i detenuti sono dunque per larga parte accusati di reati legati allo spaccio di droga, a furti, a violazione della legge Bossi - Fini sull’immigrazione, con permanenze che generalmente non superano i tre anni. Le fatiscenti condizioni della struttura adiacente al palazzo di giustizia avevano spinto il direttore del carcere, Francesco Macrì, a bollare come “inutile” qualsiasi intervento mirato alla ristrutturazione degli spazi di via Barzellini: “Bisogna costruire un nuovo carcere, ristrutturare questo sarebbe illogico: servirebbero non meno di quattro - cinque milioni di euro”, aveva detto Macrì in ottobre. Genova: detenuta tenta il suicidio a aggredisce le agenti intervenute a salvarla Adnkronos, 20 dicembre 2010 Tentato suicidio nel carcere femminile di Genova Pontedecimo. Secondo quanto riferisce il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), nel tardo pomeriggio di ieri, una detenuta italiana tossicodipendente ha dato improvvisamente in escandescenza perché’ avrebbe voluto uscire dalla cella fuori dell’orario previsto e, dopo aver inveito contro i poliziotti in servizio, ha prima tentato il suicidio per impiccagione, poi ha aggredito una sovrintendente e un agente intervenuti per impedirle di uccidersi e una compagna di cella. Cagliari: Caligaris (Sdr); carcere a rischio per carenza agenti e alto numero detenuti Adnkronos, 10 gennaio 2011 “La cronica carenza di Agenti di Polizia Penitenziaria, con un deficit di circa 60 unità, e l’elevato numero di detenuti ricoverati in ospedale per gravi problemi di salute, stanno riducendo drasticamente i livelli di sicurezza della Casa Circondariale cagliaritana di Buoncammino determinando una modifica dei servizi interni che genera tensione e preoccupazione tra i detenuti e i familiari”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme. Caligaris fa riferimento alla lettera-denuncia unitaria delle organizzazioni sindacali di categoria indirizzata al Responsabile regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria oltre che al Direttore dell’Istituto e ai segretari regionali e nazionali di Sappe, Uil Pa Penitenziari, Sinappe, Ugl e Cgil. “La situazione, già di per sé intollerabile, si è ulteriormente aggravata - sottolinea Caligaris - in seguito al massiccio ricorso ai ricoveri ospedalieri. Attualmente sono tre i detenuti piantonati su dodici ricoverati che richiedono nell’arco della giornata 24 Agenti. Lo scarso numero di Agenti sta inoltre rendendo impossibile aprire il Reparto protetto dell’Ospedale Santissima Trinità vanificando il massiccio investimento di denaro pubblico per realizzarlo”. “È assurdo - afferma ancora Caligaris - che una Casa Circondariale sovraffollata con quasi 550 detenuti, anziché 340, un Centro Clinico con una trentina di ricoverati, e dove si è registrato nel 2010 un suicidio e 25 tentativi di suicidio possa andare avanti sovraccaricando di lavoro gli Agenti”. “Risulta paradossale inoltre che la sicurezza tanto decantata dal Ministro Angelino Alfano anziché agli Agenti - ironizza la responsabile di Socialismo Diritti Riforme - sia affidata ai detenuti chiamati a dare lezioni di buon senso e di collaborazione non previsti da alcun regolamento e suggeriti esclusivamente da quella parte della legge Gozzini che garantisce uno sconto di pena a chi si comporta in modo ineccepibile durante il periodo di detenzione”. “Costringere gli Agenti a rinunciare ai riposi e ai congedi, rendere obbligatorio lo straordinario significa - conclude Caligaris - surriscaldare un clima che, per le condizioni strutturali oltre che umane è già esplosivo per proprio conto. Sarebbe quindi opportuno rafforzare il numero di Agenti e ampliare la pianta organica di psicologi ed educatori, oltre che favorire l’inserimento dei detenuti ammalati in strutture alternative al carcere o agli arresti domiciliari. Il sistema infatti rischia davvero il collasso indipendentemente dalla buona volontà della dirigenza dell’Istituto”. Trieste: tensione in carcere, detenuto minaccia e poi colpisce un’infermiera Il Piccolo, 10 gennaio 2011 Qualche parola di troppo. L’insulto che parte. La replica stizzita mentre la tensione è ormai salita alle stelle. Una rissa verbale che finisce per sfociare addirittura in qualche colpo proibito, una gomitata che raggiunge il fianco di lei. Protagonisti dell’episodio, avvenuto nel corso della mattinata dell’altro giorno all’interno del carcere di via Coroneo, un’infermiera e un detenuto, entrambi di nazionalità rumena. L’alterco è scoppiato mentre l’operatrice sanitaria stava effettuando il proprio giro di distribuzione dei medicinali ai detenuti che ne necessitano. L’uomo, invece, si stava recando autonomamente verso l’infermeria. A confermare l’accaduto è stato ieri il direttore del carcere Enrico Sbriglia, che ricopre anche il ruolo di assessore con delega a Polizia e sicurezza locale al Comune di Trieste. Informato del fatto dai propri collaboratori, Sbriglia ha spiegato: “Risulta che l’infermiera e il detenuto, tutti e due originari della Romania, stessero litigando nella loro lingua fino a quando lo scontro verbale non è degenerato e il detenuto ha colpito con una gomitata al fianco la donna. Per quest’ultima, comunque, non c’è alcuna prognosi preoccupante”. L’operatrice è stata medicata al pronto soccorso dell’ospedale di Cattinara. “Il detenuto sostiene di essere stato apostrofato in maniera pesante - prosegue Sbriglia ricostruendo quanto avvenuto a partire dal momento in cui la tensione si è fatta largo fra i due - mentre dal canto suo l’infermiera afferma di essere stata insultata dall’uomo. Il quale, comunque, ha poi ammesso di averla minacciata perché in quel momento in preda all’ira ma ha anche smentito di averla colpita. Si è trattato di un momento di ordinaria tensione carceraria”. Come accennato, il carcerato - al momento dell’incontro con la connazionale - si stava recando da solo in direzione dell’infermeria. “Una situazione, questa, che non dovrebbe sorprendere - aggiunge ancora Sbriglia - e che si collega a un problema già sollevato da tempo, quello della carenza di personale. Se infatti non venisse lasciata autonomia ai detenuti per alcuni servizi, ci ritroveremmo di fronte al blocco totale del funzionamento della struttura. Se per spostare un detenuto dovessimo cioè sempre affiancargli un agente, diventerebbe necessaria una sorta di moltiplicazione del personale”, conclude il direttore del Coroneo. Belluno: per il carcere si è chiuso un anno “difficile”; affollamento, 1 suicidio e 3 tentati suicidi Corriere delle Alpi, 10 gennaio 2011 Cinquantacinque detenuti in più del limite consentito, un suicidio, tre tentati suicidi, 13 atti autolesionistici e quattro scioperi della fame. È stato un anno difficile al carcere bellunese di Baldenich: a sottolinearlo è la Uil Penitenziari che ieri, a livello nazionale, ha diffuso un rapporto choc. L’istituto dolomitico si colloca nelle posizioni alte della classifica: fa peggio di Treviso, Rovigo e Vicenza, ma meglio del Due Palazzi di Padova e del Santa Maria Maggiore di Venezia. Sovraffollamento e gesti estremi sembrano due facce della stessa medaglia, ma il fenomeno resta tremendamente complesso. Sia per i detenuti che per le guardie carcerarie: “Il personale è stanco”, afferma da Roma, il segretario nazionale del comparto della Uil Eugenio Sarno. “C’è gente allo stremo delle proprie energie psico-fisiche”. Sarno ha i dati del carcere bellunese sotto mano e sono numeri tutt’altro che confortanti. Su tutti, c’è il suicidio di un giovane di Cesiomaggiore, ritrovato morto in una domenica d’autunno quando mancava davvero poco alla sua liberazione. Sovraffollamento. Al 31 dicembre erano presenti a Baldenich 139 detenuti quando la capienza regolare - stando ai numeri della Uil - dovrebbe essere di 84 unità. Lo scarto è evidente: 55 persone in più, il che significa un indice di sovraffollamento pari al 65,5 per cento. Il dato è però nella media regionale (che è del 64,5 per cento). Va molto peggio - almeno su questo fronte - a Vicenza dove si è registrato un boom del 146 per cento. Gesti estremi. Belluno si colloca sulla fascia medio - alta per quanto concerne i gesti estremi: oltre al suicidio del giovane feltrino, la Uil ha contato tre tentativi di suicidio. Servendosi della fredda matematica, si capisce che - fatte le dovute proporzioni con le rispettive popolazioni carcerarie - la situazione a Belluno è più problematica che a Rovigo, Treviso e Vicenza. Nel 2010 si sono registrati anche 13 atti di autolesionismo - detenuti che si sono fatti del male per protesta o disperazione - e quattro scioperi della fame. Guardando alla situazione bellunese e veneta in generale, la Uil si dice “preoccupata” e “pronta alla mobilitazione”. Visita in carcere. E proprio da Belluno è cominciato il giro tra le carceri venete del vice - presidente del consiglio regionale veneto Matteo Toscani, che parte da una premessa: “Senza essere polemico, il carcere non è e non può essere un albergo. Detto questo, il fenomeno va monitorato”. Una volta ultimato il giro, il consigliere regionale presenterà una relazione all’assemblea di Palazzo Ferro Fini. Quanto a Belluno, il consigliere vede sia luci che ombre: “Il nostro carcere è nella media. Certo, ci sono sezioni più problematiche di altre. La sezione maschile è decisamente difficile. Lo sono molto meno quelle femminile e transessuali, dove sono stati fatti anche importanti lavori”. Brescia: affollamento al 174%, il carcere di Canton Mombello rischia il collasso Giornale di Brescia, 10 gennaio 2011 Le carceri sono troppo affollate, ma Canton Mombello sta per esplodere. Sì, perché il penitenziario bresciano ha un indice di affollamento del 174,3%, il più alto della Lombardia e il secondo in Italia. Al 31 dicembre 2010 nella nostra regione erano presenti 9.412 detenuti (8.786 uomini, 626 donne), 3.766 in più rispetto alla capacità ricettiva massima. La media dell’indice di sovraffollamento è il 66,5% e la Lombardia si piazza al quarto posto tra regioni con il più alto tasso di affollamento penitenziario. Canton Mombello, come detto, è l’istituto penitenziario, in regione, con il più alto indice di affollamento (174,3%) ed il secondo a livello nazionale. Seguono Busto Arsizio (149,1%) e San Vittore (124,4 %), che ha due reparti chiusi e quindi il dato del sovraffollamento reale è peggiore. Una situazione difficile, in primis per i detenuti costretti a vivere in condizioni inumane. Nel 2010 nei penitenziari della Lombardia si sono verificati sei suicidi (due a Como e San Vittore; uno a Brescia e Opera). I tentati suicidi sono stati 108 (23 i detenuti salvati in extremis dall’intervento della polizia penitenziaria ). Gli atti di autolesionismo 578 (tra cui 140 solo a San Vittore). I detenuti che hanno fatto ricorso a scioperi della fame, infine, sono stati 847. Campobasso: detenuta chiede gli arresti domiciliari per assistere il padre morente Ansa, 10 gennaio 2011 Spera nella concessione degli arresti domiciliari Valeria D.E. la ragazza trentenne detenuta prima nel carcere di Torino, ora in quello di Foggia e che, dopo una lunga serie di interventi da parte dei suoi avvocati, è riuscita ad ottenere un permesso per vedere il padre morente di cancro. L’incontro è avvenuto il 16 dicembre scorso, nella casa di famiglia a San Polo Matese (Campobasso). È durato tre ore, e per l’occasione l’anziano padre, che non si alzava dal letto da tempo, si è messo in piedi per abbracciare la figlia. I due non si vedevano dal maggio scorso. Ora l’uomo è entrato in coma e le sue condizioni potrebbero ulteriormente peggiorare nelle prossime ore, fanno sapere i legali della donna, Anna Orecchioni e Giacinto Canzona. Per poter permettere a Valeria - il cui anno di pena definitiva per furto terminerà a marzo - di passare ancora qualche ora vicino al padre morente, i legali avevano presentato a Foggia istanza per ottenere gli arresti domiciliari. Ma ancora nulla è stato deciso nonostante i legali della giovane donna abbiano sollecitato la pratica. “Spero davvero che mia figlia possa ancora vedere mio marito - ha detto la madre Antonietta - Valeria è una brava ragazza, che ha commesso reati in un momento di debolezza. Ora ha capito e non solo è pentita, ma ha cambiato l’intera visione della sua vita. È molto legata al padre, sarebbe un atto di clemenza farli incontrare ancora”. Piacenza: detenuto extracomunitario tenta di darsi fuoco col gas, per protesta contro trasferimento Piacenza Sera, 10 gennaio 2011 Nel carcere di Piacenza un detenuto extracomunitario ha spruzzato sul proprio corpo il gas delle bombolette in dotazione, di solito usate per la cottura dei cibi, e poi ha minacciato di darsi fuoco, perché non voleva spostarsi dalla sezione in cui si trovava. L’episodio è stato reso noto dal segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. “È solo grazie alla mediazione di un ispettore della polizia penitenziaria che è stato evitato il peggio” ha commentato Durante aggiungendo che, sempre a Piacenza, nei giorni scorsi un detenuto italiano si è barricato in cella e ha minacciato di farsi esplodere con le bombolette del gas. E il 2 gennaio, sempre nello stesso carcere “un altro detenuto extracomunitario si è conficcato due viti nella testa, dopo averle estratte dal calciobalilla situato in una sala ricreativa. Il detenuto è stato poi trasportato in ospedale prima a Piacenza e poi a Parma, in neurochirurgia, da dove è stato dimesso. Secondo il sindacalista, “sarebbe opportuno modificare il regolamento per vietare l’uso delle bombolette, visto che l’amministrazione fornisce il vitto ai detenuti e che questi usano il gas per compiere gesti di auto ed etero-lesionismo” La denuncia del Sappe: non è l’unico caso inquietante Un italiano minacciato di farsi esplodere, uno straniero si è ferito alla testa con due viti”. È stato salvato prima che potesse farsi del male l’extracomunitario detenuto nel carcere di Piacenza che venerdì mattina per protestare contro il trasferimento si è cosparso del gas distribuito per la cottura del cibo minacciando di darsi fuoco. Un episodio non isolato, denuncia il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria: altri due casi dall’inizio del 2011. Giovanni Battista Durante, segretario aggiunto del Sappe, spiega che “solo grazie alla mediazione di un ispettore della Polizia penitenziaria è stato evitato il peggio”. Nei giorni scorsi “un detenuto italiano si è barricato in cella ed ha minacciato di farsi esplodere con le bombolette del gas”, e il 2 gennaio “un altro detenuto extracomunitario si è conficcato due viti nella testa, dopo averle estratte dal calciobalilla, situato in una sala ricreativa”. L’uomo è stato trasportato all’ospedale di Piacenza e poi a Parma nel reparto di Neurochirurgia: è stato dimesso. È “sempre grave la situazione delle carceri italiane - prosegue il sindacato nella nota - anche a causa dei tantissimi eventi critici che si verificano quotidianamente”. Tra suicidi, tentativi di suicidi, aggressioni alle guardie carcerarie, risse ed episodi di danneggiamento, denuncia Durante, “gli eventi critici nelle carcere italiane variano dai 150 ai 250 al giorno”. Ormai, stigmatizza il segretario aggiunto del Sappe, “le carceri sono un campo di battaglia dove può avvenire di tutto” e questo non fa che “aggravare il lavoro della Polizia penitenziaria, il cui organico è già carente”. Se a livello nazionale mancano 6500 agenti di polizia penitenziaria, in Emilia - Romagna sono 650. Como: Sappe, due poliziotti penitenziari aggrediti da detenuto, situazione è oltre limite di tolleranza Il Velino, 10 gennaio 2011 Ancora un episodio di violenza all’interno delle carceri lombarde. Vittime sono, per l’ennesima volta, un Agente ed un Ispettore di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Como. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Ora basta davvero: la misura è colma!”, è il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Vogliamo per prima cosa - continua la nota del Sappe - esprimere la nostra solidarietà ai Colleghi che hanno comunque contenuto l’aggressività del detenuto straniero, un soggetto peraltro con problemi mentali, ed hanno impedito che la situazione degenerasse. L’aggressione è stata improvvisa e proditoria. Ed è l’ennesima aggressione ai danni di appartenenti alla Polizia Penitenziaria di Como. È davvero troppo. Dove sono le istituzioni? Cosa pensano di fare per tutelare gli agenti? Di cos’altro hanno bisogno per intervenire? Per ora ci sembra che le Autorità amministrative ma anche quelle politiche si fanno scudo della drammatica situazione penitenziaria attraverso il senso di responsabilità del Corpo di Polizia Penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia”. Il Sappe domanda ancora: “Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia Penitenziaria che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico si pensa possa sopportare una persona in divisa costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo Mondo, esposta a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare ma spesso anche a subire (come a Como, sovraffollato da oltre 600 detenuti presenti nonostante una capienza regolamentare di 462 posti letto ed in cui mancano più di 80 agenti di Polizia Penitenziaria in organico) violente aggressioni da parte dei detenuti? Perché ad esempio non si mandano i detenuti stranieri (che a Como sono il 50% circa dei presenti) a scontare la pena nelle galere del Paese di provenienza, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il paradosso del consenso delle persone interessate, o si prevedono circuiti penitenziari differenziati per coloro che hanno problemi sanitari e mentali?”. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria auspica poi che il carcere comasco di Bassone venga adeguatamente incrementato con le nuove assunzioni previste per la Polizia Penitenziaria nel 2011, circa 3mila unità. “Lo chiederò espressamente al Ministro della Giustizia Alfano, che incontrerò nei prossimi giorni a Roma”, aggiunge Capece, che sottolinea anche come “affermare, come ha fatto in questi giorni qualche sindacato minoritario della Polizia Penitenziaria, che sul carcere e sul Corpo il ministro della Giustizia Alfano faccia dichiarazioni alle quali poi fa poi seguito “pura immaginazione” vuol dire rincorrere forsennatamente la visibilità mediatica sparandola ogni volta più grossa. E non è un caso se a farlo è una Sigla sindacale che già aveva tentato di escludere la rafferma degli agenti ausiliari di Polizia Penitenziaria qualche anno fa… È invece principalmente solo grazie all’impegno del nostro Ministro Guardasigilli che il Corpo di Polizia Penitenziaria avrà, nell’anno in corso, circa 3mila nuovi Agenti. Non riconoscerlo vuol dire essere ipocriti. Poi, certo, possiamo tutti sostenere a gran voce - come ad esempio fa da tempo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe - che molto c’è da fare per riformare organicamente il sistema penitenziario del Paese, ad esempio favorendo maggiormente il ricorso alle misure alternative per le pene più brevi da scontare. Ma questo non può fare venire meno il riconoscimento e l’apprezzamento per il fondamentale contributo posto in essere dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano finalizzato a chiedere ed ottenere le circa 3mila nuovi assunzioni di Agenti che ci saranno nel 2011, parte delle quali auspichiamo possano essere impiegate per ripianare le carenze organiche dei Reparti di Polizia Penitenziaria della Lombardia e segnatamente di Como. Non riconoscerlo - conclude il Sappe - è strumentale e demagogico”. Libri: “Donne, cancelli, delitti”, di Liliana De Cristoforo (Edizioni Guida) La Sicilia, 10 gennaio 2011 Direttore di carceri per trent’anni, Liliana De Cristoforo indaga - con lucida sensibilità - l’animo di detenute emblematiche: nel suo libro “Donne, cancelli e delitti”, edito da Guida, traccia quadri psicologici che sviscerano l’empatia del lettore. Emergono crimini che tali rimangono, ma che paiono anche conseguenze d’una vita da vittime. Donne diverse, ma simili nei sentimenti. Tra esse anche Sofia Loren per 17 giorni rinchiusa a Caserta nel 1982, per evasione fiscale. Problematiche antiche: delitti d’onore, violenze carnali; altre nuove: immigrazione clandestina, transessualità. I nostri media testimoniano continuamente di donne vittime di violenza. Qual è la sua visione del problema? “Non credo sia solo italiano, ma coinvolge anche Paesi più agiati, sebbene la nostra storia sia diversa da quella del mondo anglosassone - ad esempio - dove il ruolo paritario della donna è radicato da tempo. Forse è un fatto culturale: siamo un popolo storicamente non ben costituito, la donna è ancora una figura comprimaria, non adeguatamente collocata. Negli anni è divenuta più autonoma, s’insinua a ricoprire ruoli per lei inediti e probabilmente questo crea uno squilibrio negli uomini ancora legati a una visione atavica”. Fra i ritratti, colpisce quello di Alfonsina, una campagnola che vedrà l’anelato mare solo dalle sbarre d’una cella. Lei cos’ha trovato indispensabile nel recupero dei carcerati? “Le componenti sono tante, ma fondamentale risulta l’approccio umano. Basta affidarsi alla nostra Costituzione: all’articolo 27 cita l’umanità come requisito insostituibile nei processi rieducativi del detenuto. Personalmente, ho sempre cercato l’equilibrio nel mio lavoro con loro: mai vessatorio, coercitivo o censorio. Il rispetto per la loro dignità d’esseri umani non deve mai mancare”. Si susseguono le storie, fino alla Loren: ci sono le curiosità che sconvolsero la routine del carcere. Tutti davano per scontato che usufruisse di favoritismi, ma così non fu. Uscita, lasciò una lettera all’autrice: “Mi auguro che tutte le infelici in carcere trovino un ambiente come quello che Lei ha instaurato qui”. La De Cristoforo conclude che l’attrice ha scontato con contegno la sua pena, al contrario di tanti italiani ricchi e meno noti che continuano a frodare lo Stato. Oggi la scrittrice è impegnata nel sociale, dove dispiega la sua esperienza sulla condizione femminile. Iran: appello per la libertà di 20 poeti scrittori e giornalisti dell’Azerbaigian, detenuti e torturati www.caserta24ore.it, 10 gennaio 2011 Rischiano sei anni di prigione per aver scritto nella lingua madre. In Iran anche i poeti che che scrivono nella propria lingua madre vengono arrestati e rischiano pesanti condanne nei tribunali islamici. È quello che è accaduto nel mese di aprile 2010 a 20 poeti, scrittori e giornalisti dell’Azerbaigian. Ecco i loro nomi: Akbar Azad, Hamide Fereczade Pinar, Zohre Fereczade, Aydin Xacei, Shukrulla Qehremani, Letif Heseni, Ayet Mehrali Begli, Mahmud Fezli, Yashar Kerimi, Hassan Rehimi Bayat, Hussein Nasiri, Yunis Suleymani, Ali Reza Abdullahi, Shehram Radmehr, Rehim Ehmedi Xiyavi, Mohammad Ali Muradi, Abdullah Saduqi, M. Afiyet, Ali Djabbarli, Ibrahim Rachidi. Alcuni di loro hanno subito durissimi interrogatori, torture e in alcuni casi l’elettrochoc. Presto questi intellettuali pacifisti si troveranno davanti al tribunale di Tabriz, dove saranno giudicati dagli spietati magistrati islamici, noti per la condanna capitale inflitta a Sakineh, ma già responsabili di centinaia di verdetti che hanno condotto sul patibolo o nelle buche per la lapidazione centinaia di innocenti. I poeti dell’Azerbaigian rischiano pene detentive fino a sei anni di carcere o peggio, non per aver inneggiato alla rivoluzione o alla libertà, ma per aver scritto nella loro lingua poesie d’amore e inni alla natura. Il 1° gennaio 2011 ha avuto luogo un processo contro i 20 e nonostante i loro avvocati abbiano dimostrato l’innocenza degli accusati, i magistrati hanno fissato una nuova udienza, in cui gli imputati risponderanno di propaganda contro il regime, istigazione delle masse alla ribellione, spionaggio. Accuse formulate in base ai rapporti della polizia segreta, che per la legge islamica non hanno alcun valore. I 20 poeti e scrittori nel frattempo resteranno in carcere, dove subiranno altri maltrattamenti e sadiche torture, finalizzate a piegare la loro volontà. Come è già avvenuto per tanti condannati al carcere e per le centinaia di vittime del boia di Tabriz, il sistema giudiziario iraniano cerca di estorcere confessioni con ogni mezzo, per eliminare tutti coloro che il regime non gradisce. Ci appelliamo all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Navanethem Pillay; al Commissario europeo per i Diritti Umani Thomas Hammarberg, allo Special Rapporteur Onu sulla Tortura e i trattamenti inumani e degradanti Juan Méndez; al Presidente del Comitato europeo Contro la Tortura Mario Palma; alle Istituzioni democratiche e agli organismi che tutelano i diritti umani e la libertà di espressione nel mondo; ci appelliamo a loro affinché stigmatizzino questa grave violazione di diritti umani e si adoperino con gli strumenti democratici affinché i 20 poeti e scrittori dell’Azerbaigian siano liberati e assolti da imputazioni senza fondamento giuridico né morale. Invitiamo inoltre tutti i cittadini che credono nei valori della civiltà a sottoscrivere insieme a noi l’appello. Firmatari dell’appello: Jeanne Gamonet, Francese, poeta, scrittrice, linguista e membro del Pen - club International (gamonet.jeanne@wanadoo.fr); Suleymanoglu, Azerbaigiano del Sud, poeta, scrittore, turcologo e membro del Pen Club International; Vali Gozeten, Azerbaigiano del Sud, poeta e scrittore esiliato in Germania; Roberto Malini, Italiano, poeta, artista e difensore dei diritti umani, co-presidente del Gruppo EveryOne (roberto.malini@everyonegroup.com); Matteo Pegoraro, Italiano, scrittore e difensore dei diritti umani, o - presidente del Gruppo EveryOne (pegoraro.matteo@gmail.com); Dario Picciau, Italiano, artista e regista, o - presidente del Gruppo EveryOne (dario.picciau@gmail.com); Fabio Patronelli, Italiano, artista e difensore dei diritti umani (fabio.patronelli@gmail.com); Steed Gamero, Peruviano, scrittore, fotografo e difensore dei diritti umani (steed.gamero@live.it); Glenys Robinson, Britannica, scrittrice e attivista per i diritti umani (robinson.glenys@gmail.com); Rebecca Covaciu, Romena, artista e attivista per i diritti umani (info@watchingthesky.org); Alfred Breitman, Italiano, scrittore, artista e difensore dei diritti umani (info@watchingthesky.org). Iran: attivista diritti umani condannata a 4 anni e 74 frustate Adnkronos, 10 gennaio 2011 La giornalista e attivista per i diritti umani iraniana Shiva Nazar Ahari, 26 anni, è stata condannata da una Corte d’appello della Repubblica Islamica a 4 anni di carcere e 74 frustate per le sue attività. Lo riferiscono gruppi d’opposizione su Internet. Lo scorso settembre l’attivista era stata condannata in primo grado a sei anni di carcere. La donna è al momento a piede libero su cauzione. Tra i capi d’accusa, figurano complotto e propaganda contro il regime iraniano. La magistratura iraniana l’accusa inoltre di contatti con i Mujahedin del Popolo, un gruppo di opposizione considerato terroristico da Teheran. La Nazar Ahari ha finora respinto tutti gli addebiti. La donna, autrice anche di un blog, si è particolarmente impegnata per i diritti delle donne, la libertà di stampa e la liberazione dei detenuti politici. Era stata arrestata nel giugno 2009, dopo le controverse elezioni presidenziali seguite da intense dimostrazioni in piazza. Nazar Ahari, liberata dopo tre mesi su cauzione, aveva ripreso parte alle manifestazioni e aveva scritto un articolo su prigionieri politici violentati in carcere. Di qui un nuovo arresto nel dicembre dello scorso anno. Guantanamo: ex detenuto ottiene risarcimento da governo australiano Adnkronos, 10 gennaio 2011 Un ex detenuto di Guantanamo ha accettato di lasciar cadere le accuse di contro il governo australiano in cambio di un risarcimento in denaro. Lo ha confermato il primo ministro di Canberra, Julia Gillard, senza tuttavia specificare l’ammontare della somma. Mamdouh Habib, un cittadino australiano di origine egiziana, fu arrestato nell’ottobre 2001 in Pakistan. Secondo le sue accuse fu poi sottoposto dagli americani a torture durante sessioni d’interrogatorio in Pakistan, Egitto, Afghanistan e nella base americana di Guantanamo, alla presenza di funzionari australiani. Habib afferma di essere stato drogato, torturato con l’elettricità, appeso per i piedi e minacciato di aggressioni sessuali con i cani. Ma contro di lui non è stata provata nessuna accusa di terrorismo, e Habib è stato rilasciato da Guantanamo e condotto in Australia nel 2005. Stati Uniti: appello di Nessuno Tocchi Caino; consentire a detenuto di fare visita a moglie malata Asca, 10 gennaio 2011 “Ci appelliamo al suo senso di umanità per chiederle una moratoria dell’esecuzione della pena a sei anni e mezzo, per la metà già scontata, comminata all’ex Governatore dell’Illinois George Ryan, perché egli possa recarsi al capezzale della moglie Lura in fin di vita”. Con queste parole i dirigenti di Nessuno Tocchi Caino Marco Pannella, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti si rivolgono al Governatore dell’Illinois, Pat Quinn. Lura Lynn Ryan, moglie di George Ryan da cinquanta anni, è da giovedì scorso ricoverata nel reparto di terapia intensiva in un ospedale di Kankakee a causa delle gravi complicazioni intervenute nel ciclo di chemioterapia a cui la donna era sottoposta per un cancro ormai esteso a numerosi organi vitali. “Il Governatore Ryan - ricordano i dirigenti Radicali - , nonostante le sue iniziali convinzioni a favore della pena di morte, dieci anni fa ha avuto l’onestà di riconoscere che il braccio della morte del suo Stato ospitava condannati a morte innocenti a rischio di essere giustiziati, ragione per cui decise coraggiosamente di stabilire una moratoria delle esecuzioni”. “La imploriamo - scrivono i Radicali al Governatore Quinn - di voler concedere all’artefice della moratoria delle esecuzioni in Illinois, da Lei confermata, una seppur breve e individuale moratoria della pena inflitta a George Ryan, perché egli possa stare vicino alla moglie Lura nel momento in cui la sua vita si sta spegnendo. Siamo sicuri che lei voglia condividere con noi il principio di umanità della pena che, se priva di senso di pietà, rischia di divenire crudele, tanto più se come in questo caso le conseguenze ricadono su familiari innocenti”, concludono nel loro appello i dirigenti di Nessuno tocchi Caino. Per la decisione, nel 2000, di introdurre una moratoria delle esecuzioni e, nel 2003, di commutare tutte le 167 condanne a morte in Illinois, George Ryan ricopre la carica di Presidente onorario di Nessuno tocchi Caino. George Ryan ha oggi 77 anni e ha avuto sei figli da Lura Lynn. Nel 2006 è stato condannato per corruzione e dal 7 novembre 2007 sta scontando in un carcere federale una condanna a sei anni e mezzo. Ghana: varati corsi di formazione per i detenuti, con collaborazione Università Agi, 10 gennaio 2011 Le autorità carcerarie ghanesi hanno varato un programma che prevede corsi di formazione per i detenuti, con l’obiettivo di facilitarne il reinserimento sociale. Lo ha reso noto il responsabile amministrativo degli Istituti di pena della regione di Ashanti, Kwame Ackom Gyedu, nel corso di una cerimonia religiosa cattolica svoltasi nel carcere di Kumasi, nel Ghana centro-meridionale. Gyedu ha rilevato che il “problema più difficile per i detenuti, una volta scontata la pena, è il ritorno a una vita sociale e lavorativa normale e perciò occorre aiutarli a evitare di essere penalizzati a vita dall’esperienza del carcere”. Il dirigente ha spiegato che i corsi di formazione si avvarranno del sostegno e della collaborazione dell’Università tecnico-scientifica Kwame Nkrumah e di altre istituzioni nazionali.