Giustizia: in dirittura d’arrivo alla Camera la proposta di legge su detenute madri e figli minori 9Colonne, 8 febbraio 2011 Dopo un lungo esame in commissione giustizia, l’aula di Montecitorio ha iniziato oggi la discussione generale della proposta di legge a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. Il provvedimento si compone di 5 articoli e intende eliminare quegli ostacoli che ancora non permettono alle madri e ai loro figli, quelli di età compresa tra zero e tre anni, di scontare la pena detentiva in un luogo diverso dal carcere. “La proposta di legge al nostro esame ha come finalità principale quella di attenuare il disagio che i bambini si trovano a subire con le proprie madri in relazione alla condizione detentiva, che non appartiene loro e a tutelare in via principale l’interesse dell’armonico sviluppo psicofisico del minore” ha dichiarato in aula la relatrice al provvedimento Marilena Samperi (Pd) che sottolinea come il provvedimento cerca inoltre di “attribuire dignità giuridica e retributiva alle misure alternative alla detenzione”. “Si tratta di un tema delicatissimo - ha spiegato Samperi. Il testo unificato in esame cerca di dare la risposta a due esigenze che finiscono quasi irrimediabilmente per contrapporsi: la prima - che per il gruppo al quale appartengo non può essere minimizzata - è quella di non far crescere i bambini dietro le sbarre; la seconda - che comunque dev’essere tenuta sempre in debita considerazione - è quella di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti di quelle madri di figli minori, le quali abbiano commesso delitti”. Secondo uno studio recente di Terre des Hommes sono 58 i bambini che ad oggi in Italia si trovano ancora in carcere insieme alle loro mamme detenute. Giustizia: Fini; garantire l’effettività della pena, ma anche la rieducazione dei condannati Adnkronos, 8 febbraio 2011 Garantire l’effettività della pena ma anche la rieducazione del condannato, devono essere i capisaldi di un moderno sistema penale, ma il raggiungimento di questi obiettivi in Italia è reso difficile dalle carenze che si registrano nell’attuale situazione carceraria. Lo ha affermato il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo a Montecitorio al convegno per l’inaugurazione della mostra “Cesare Beccaria - La civiltà dei diritti”. “Il grande giurista - ha affermato il presidente della Camera - attribuiva centralità, accanto all’umanità e congruità, anche alla certezza della pena. Questo significa che un moderno sistema penale, giudiziario e penitenziale raggiunge il suo scopo fondamentale di assicurare la giustizia e tutelare la sicurezza dei cittadini quando vengono contemporaneamente garantite la effettività della pena e l’efficace rieducazione del condannato”. “E qui dobbiamo purtroppo rilevare le difficoltà incontrate dal nostro Paese nell’attuare questi due fondamentali principi. Dove l’odierna realtà italiana stride in modo particolare con i principi sostenuti da Beccaria è nella condizione carceraria”. “I mali del settore - denunciati in primo luogo dai rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria - sono principalmente - ha ricordato Fini - il sovraffollamento e la vetustà degli edifici. La coabitazione forzata di numerose persone in ambienti spesso degradati non può certo favorire un processo di recupero dei detenuti alla vita civile, in adempimento dell’istanza rieducativa fissata dalla Costituzione all’articolo 27”. “Appartenere alla Patria di Beccaria ci deve quindi spingere - ha concluso il presidente della Camera - a non perdere mai la consapevolezza che il livello di civiltà di un Paese si misura anche dalla sua capacità di recuperare alla vita sociale chi, commettendo un reato, ha violato le regole fondamentali della convivenza civile”. Fini conclude: “Il patrimonio etico e culturale che viene dall’illuminismo giuridico, deve impegnare il nostro Paese a continuare con determinazione e convinzione la sua azione di sostegno dei diritti umani e di promozione della dignità della persona. Attorno a quei principi si può edificare qual mondo nuovo, più giusto e più umano, che uomini come Beccaria seppero indicare, oltre due secoli fa, come uno degli ideali più alti della civiltà europea”. Giustizia: Fini; pena di morte è contro dignità uomo, continuare battaglia per l’abolizione Dire, 8 febbraio 2011 “La battaglia per estendere in tutto il mondo il divieto al ricorso della pena di morte sarà ancora lunga e impegnativa”. È quanto dice Gianfranco Fini intervenendo all’inaugurazione, a Montecitorio, della mostra “Cesare Beccaria - La civiltà dei diritti”, che presenta documenti (mai esposti in una rassegna pubblica) di rilevante valore storico e culturale sull’opera dell’illuminista, nonno materno di Alessandro Manzoni. Il presidente della Camera sottolinea che l’Italia è storicamente “all’avanguardia nella campagna internazionale contro la pena di morte e contro le discriminazioni, le ingiuste detenzioni, le torture ancora perpetrate ai danni di uomini e donne in molte parti della Terra”. E ricorda che il primo Stato al mondo ad abolire la pena capitale, come scrisse Beccaria nel libro “Dei delitti e delle pene”, “fu uno Stato italiano nel 1786: il Granducato di Toscana”. La terza carica dello Stato sottolinea che l’Italia “ha ottenuto un alto e lusinghiero risultato con la moratoria universale delle esecuzioni capitali approvata dall’Assemblea generale dell’Onu nel dicembre del 2007. Quella storica dichiarazione - osserva - è venuta grazie a una decisa iniziativa delle Istituzioni italiane e da una vasta campagna internazionale promossa con convinzione dal nostro Paese”. Per Fini, “approvando la moratoria, l’organismo più rappresentativo delle Nazioni unite ha anche indicato la prospettiva della completa abolizione della pena capitale, sottolineando espressamente che il ricorso allo strumento della pena di morte mina, in radice, la dignità umana”. Questo e “altri incoraggianti risultati”, dice, “devono essere da sprone per accrescere l’opera di sensibilizzazione verso quei Paesi che ancora prevedono e applicano la pena capitale. Il numero complessivo delle esecuzioni rimane drammaticamente alto e dobbiamo purtroppo, con senso di realismo, riconoscere che la battaglia per estendere in tutto il mondo il divieto al ricorso della pena di morte sarà una battaglia ancora lunga e impegnativa”. Ma l’Italia, conclude, “deve continuare a sostenerla con determinazione nella consapevolezza che non c’è impresa più nobile e più bella che costruire un mondo in cui ovunque siano banditi istituti che mortificano la dignità della persona”. Giustizia: Sappe; Fini ha ragione, ma risposte all’emergenza carceri devono arrivare dalla politica Comunicato stampa, 8 febbraio 2011 “È vero, come ha detto oggi il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini intervenendo a Montecitorio al convegno per l’inaugurazione della mostra su Cesare Beccaria, che i capisaldi di un moderno sistema penale passano attraverso la garanzia dell’effettività della pena e le rieducazione del condannato. Ma, soprattutto in questo caso, la teoria mal si concilia con la pratica. L’attuale situazione carceraria nazionale viola la Costituzione e in particolare l’articolo 27: è un dato di fatto. Quale trattamento penitenziario si può fare quando, come oggi, quelle celle in cui potrebbero starci 43mila persone ne ospitano 68mila, per di più controllate da donne e uomini della Polizia Penitenziaria che sono ben 6mila in meno di quelli previsti? Non è possibile, come succede oggi, avere nella stessa cella condannati ed imputati o soggetti in attesa di giudizio. Ma è proprio dal mondo della politica - distratta invece da tutt’altro - che dovrebbe arrivare quella risposta al costante sovraffollamento carcerario che invece non arriva. Il Sappe, il primo e più rappresentativo Sindacato della Polizia Penitenziaria, rinnova l’auspicio di una svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, anche alla luce della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto. Serve insomma una nuova politica della pena, in Italia. Ed auspichiamo che sia proprio il Presidente della Camera dei Deputati a favorire questo percorso”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Una prima soluzione al pesante sovraffollamento penitenziario potrebbe essere la concreta definizione dei circuiti penitenziari differenziati e, in questo contesto, la costruzione di carceri per così dire leggere per i detenuti in attesa di giudizio destinando le carceri tradizionali a quelli definitivi. Una soluzione alternativa per l’edilizia penitenziaria, molto in uso negli Stati Uniti, riguarda un “sistema modulare”, vale a dire un edificio con grandi capacità di resistenza agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici o ad altri processi deteriorativi, che può essere sopraelevato senza particolari misure strutturali e con costi competitivi e tempi di esecuzione estremamente rapidi. Si tratta di edifici con 600 posti letto costruibili in quattro mesi, con un costo inferiore ai 20 milioni di euro e posti in opera in soli 7 mesi. Questa potrebbe essere una prima rapida soluzione per deflazionare le affollate carceri italiane. Il Sappe, il primo Sindacato del Corpo di Polizia, sostiene l’esigenza di definire i circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità, specifici circuiti di custodia attenuata e potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Ma altrettanto necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia e contestualmente una nuova legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione, delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale”. Giustizia: Osapp; promuoviamo Pannella ministro, per una vera riforma del sistema penitenziario Ansa, 8 febbraio 2011 “Quale sindacato autorevole di una forza di polizia come la nostra impegnata com’è e continuamente alle prese con il disagio dell’uomo, promuoviamo Marco Pannella quale prossimo Ministro della Giustizia”. Lo afferma, in una nota, Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. “Probabilmente a differenza che in altri corpi, il nostro Responsabile politico si è impegnato poco negli anni - fa notare l’Osapp - e stiamo parlando di blocco dei fondi, o di tutti quei piccoli rimedi capaci di migliorare le condizioni di lavoro dei nostri colleghi impegnati sul campo. Una riforma strutturale della giustizia compresi i provvedimenti sulle carceri una nuova impostazione del trattamento del detenuto, leggi e decreti che rivedano la vita del carcerato dentro e fuori la cella di detenzione, una spinta per il lavoro all’interno e all’esterno dei penitenziari e autonomia dei baschi azzurri dall’appartato burocratico dell’Amministrazione Penitenziaria: sono queste - conclude Beneduci - le Riforme che chiediamo al Governo e che, a parer nostro, un Ministro più attento al dialogo, e meno distratto dalle dinamiche del proprio partito di riferimento, potrebbe favorire”. Giustizia: Bernardini; io sottosegretario con delega alle carceri? stiamo parlando di fantascienza Ansa, 8 febbraio 2011 “Solamente un inizio di dialogo”. Così la deputata radicale Rita Bernardini definisce i contatti del suo partito con il governo Berlusconi. Pannella ministro? “In questo momento non è nelle cose”. “Non è che le cose siano andate avanti - aggiunge. Anzi, se la riforma della Giustizia è il processo breve, come appare in queste ore, siamo ben lontani dalle nostre proposte (contenute in due mozioni e una risoluzione approvate in Aula) sulle carceri e su una riforma organica della Giustizia che manca almeno dal referendum Tortora del 1987, mentre continua l’amnistia strisciante dei due milioni di processi non celebrati negli ultimi dieci anni”. Bernardini, che ha incontrato con Marco Pannella il ministro della Giustizia Angelino Alfano (“ma non Berlusconi, con lui parla solo Pannella”), sottolinea che “non è una questione di poltrone, come dimostra la storia personale di Pannella, uno che di certo con la politica non si è arricchito”. Il leader radicale ministro della Giustizia del governo Berlusconi? “Certo, lo vedrei benissimo. Ma in questo momento non è nelle cose”. E Bernardini sottosegretario con delega alle carceri? “Evidentemente stiamo parlando di fantascienza”, taglia corto la diretta interessata. Infine, una stoccata all’opposizione: “Noi radicali finora siamo stati coerenti nel voto in Aula, a differenza dei tanti chiacchieroni che poi perdono pezzi”. I radicali, sottolinea Bernardini, “stanno cercando di richiamare all’ordine le istituzioni italiane” e hanno aperto “un dialogo con tutti”. “Ma al momento - conclude - dal centrosinistra non abbiamo trovato disponibilità all’ascolto”. Giustizia: Bernardini (Radicali): il dialogo col Governo è aperto, ecco le nostre condizioni di Daniele Riosa Affari Italiani, 8 febbraio 2011 “Al momento c’è un dialogo che si è aperto: vediamo come va avanti. Tre giorni fa io e Pannella siamo stati ricevuti da Alfano, il colloquio è stato cordiale ma bisogna vedere se presentano questa riforma: sia sulle carceri, sia sulla giustizia”. Rita Bernardini, parlamentare e responsabile giustizia dei Radicali, sceglie Affaritaliani.it per rilanciare il dialogo col governo in vista di una possibile entrata nella maggioranza. Pannella ministro della Giustizia? “Lo vedrei bene”. A quali condizioni potreste entrare nel governo? “Premetto una cosa: il governo ha ammesso che le carceri italiane sono incostituzionali, ma alla presa d’atto non sono seguiti i fatti. I Radicali nel frattempo sono stati molto addosso al governo e abbiamo fatto approvare delle mozioni. Alfano, dopo il mio sciopero della fame, ha depositato un disegno di legge che prevedeva l’ultimo anno di carcere ai domiciliari. Un decreto che nemmeno il governo ha difeso, visto che l’hanno completamente stravolto e dalle carceri sono uscite solamente 900 persone in tutta Italia”. Quindi? “C’è tutto questo aspetto sul quale vorremmo risposte precise. Per ora la situazione delle carceri è un disastro. Poi c’è il fronte della giustizia...”. Parliamone... “Dal 1994 Berlusconi dice che bisogna fare la riforma della giustizia. Nel 2000 noi avevamo dato un’opportunità seria per farla, ma il premier invitò tutti ad andare al mare promettendo di fare lui le riforme”. Com’è andata? “Nonostante il suo invito, dieci milioni di persone hanno votato sì al nostro referendum. Nel 2001 Berlusconi è tornato al governo ma non ha fatto la riforma promessa. Siamo tornati alla carica e in un mio recente intervento alla Camera ho elencato le volte in cui negli anni Berlusconi ha preannunciato il deposito della riforma della giustizia: ma al momento non vediamo niente. Vorrei però aggiungere una cosa...”. Faccia pure... “Pur essendo all’opposizione siamo riusciti a far approvare sia sulle carceri, sia sulla riforma della giustizia tre documenti parlamentari che impegnano il governo a fare la riforma della giustizia, inclusa la responsabilità civile dei magistrati e l’obbligatorietà dell’azione penale e tante altre cose”. Tornando alle trattative col governo? “Al momento c’è un dialogo che si è aperto: vediamo come va avanti. Tre giorni fa io e Pannella siamo stati ricevuti da Alfano, il colloquio è stato cordiale ma bisogna vedere se presentano questa riforma: sia sulle carceri, sia sulla giustizia”. Si parla di un Alfano dirottato dal premier all’organizzazione del Pdl o del partito che nascerà dalle sue ceneri. Pannella potrebbe essere un buon ministro della giustizia? “Secondo me sì, non so se rientri nelle sue ambizioni. Marco, come dimostrano i suoi successi sui diritti civili, è uno che vuole arrivare ai risultati. Alfano voleva fare le riforme, ma da quanto abbiamo visto non c’è riuscito a causa dei veti incrociati della maggioranza”. Giustizia: Sappe; con il taglio dei fondi al Gom il Governo sta dismettendo di fatto il 41-bis Ansa, 8 febbraio 2011 “Al di là delle dichiarazioni pubbliche e di facciata di contrasto alla criminalità organizzata, è un dato di fatto oggettivo che poi non seguano fatti concreti da parte del Governo. È il caso dei fondi destinati al Gruppo Operativo Mobile (G.O.M.) della Polizia Penitenziaria, il cui Personale è impiegato nelle sezioni detentive dei 41bis nelle carceri italiane, che si è visto drasticamente ridotto gli stanziamenti a disposizione per le finalità istituzionali”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri. “Per le sue finalità istituzionali e per gestire le circa 600 unità in servizio presso il G.O.M., erano stabilmente stanziate 3milioni e 200mila euro, che quest’anno sono stati drasticamente ridotti a 1milione e 400mila euro, con gravi ripercussioni sul servizio nelle sezioni detentive 41bis. Anche per la manutenzione dei circa 100 automezzi in uso al G.O.M. si sono ridotti i fondi: sono infatti stati stanziati solamente 40mila euro. Considerato che la Legge 94 del luglio 2009 ha inasprito il regime di cui all’art. 41 bis e ne ha affidato la gestione a personale appartenente ai reparti specializzati della Polizia Penitenziaria, quali appunto il Gruppo Operativo Mobile, che però con questi gravi tagli vede compromessa la sua operatività, è palese come sembri che il Governo stia dismettendo l’efficacia del 41bis dell’Ordinamento penitenziario, che è invece un punto cardine per combattere la criminalità. Auspico che la riconosciuta ed apprezzata sensibilità istituzionale del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi ponga rimedio a questi gravi tagli, che pongono in serio pericolo l’esistenza stessa e la funzionalità del Gruppo Operativo Mobile del Corpo di Polizia Penitenziaria”. Giustizia: suicidio sindaco Roccaraso; Codacons assolto da accusa diffamazione verso i giudici Agi, 8 febbraio 2011 Svolta nella vicenda giudiziaria legata alla morte in carcere del Sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini. La VI sezione della Corte di Cassazione (Giudice Ippolito Francesco) ha infatti confermato la sentenza del Gup di Campobasso Libera Maria Rosaria Rinaldi, prosciogliendo il Codacons, nella figura dei suoi presidenti Carlo Rienzi e Giuseppe Ursini, dall’accusa di diffamazione nei confronti dei giudici Giovanni Melogli, Maria Teresa Leacche, Aura Scarsella e Luigi D’Orazio, nonché Michele Ramundo, Elena Celidonio e l’Ispettore dello Sco dell’Aquila Massimiliano Mancini. Il una nota il codacons ribadisce che le persone in questione “hanno avuto un ruolo nell’ingiusto arresto del sindaco Valentini morto suicida in carcere, e che ora sono stati condannati dalla Cassazione a risarcire le spese legali e processuali” per aver “avviato un procedimento contro il Codacons privo di qualsiasi fondamento”. Intanto, informa sempre il Codacons, domani davanti al Tribunale di Campobasso “comparirà e sarà interrogato il poliziotto dello Sco dell’Aquila, Massimiliano Mancini (che condusse le indagini e portò in carcere Valentini) accusato di abuso aggravato di atti d’ufficio proprio per quella inchiesta sballata”. “Con la sentenza della Cassazione - afferma ancora il Codacons - dopo 6 anni il sindaco Camillo Valentini esce definitivamente assolto da tutte le accuse mosse a suo carico”. A riguardo il Codacons poi cita un passo della sentenza della sentenza del Gup di Campobasso secondo il quale: “...l’omesso interrogatorio dell’indagato da parte del Pm, l’autosospensione dalla carica di Sindaco del Valentini non valutata ai fini dell’esigenze cautelari dal Gip, la circostanza che nei capi di imputazione non fossero delineate le minacce dirette od indirette a Tironesi, le lacune e le omissioni dell’ordinanza cautelare, argomentazioni da altri sostenute in tempi anteriori con indicazioni di circostanze precise e dettagliate, ripetute in seguito dagli odierni imputati, e denunciate dalla famiglia Valentini convinti che il Pm Leacche avrebbe dovuto astenersi dal procedimento riguardante Camillo Valentini, atteso che alcuni suoi congiunti erano stati danneggiati dall’inagibilità del complesso condominiale Paradiso Aremogna, dichiarata dal sindaco di Roccaraso”. Giustizia: Diritti Civili; concedere domiciliari a giovane detenuto calabrese malato di tumore Apcom, 8 febbraio 2011 “Un giovane calabrese, G.A., attualmente detenuto in un carcere della Lombardia, malato di tumore, si sta lentamente spegnendo in cella perché gli vengono negati gli arresti domiciliari e non somministrate le cure adeguate”. È quanto afferma, in una nota, Franco Corbelli leader del movimento Diritti civili che parla di “dramma e ingiustizia”. Nella nota Corbelli precisa di avere ricevuto “una disperata richiesta di aiuto da parte della moglie di questo detenuto, in carcere da oltre due anni, in attesa del processo di appello, che in primo grado è stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione. Si tratta di un fatto gravissimo - sostiene il leader di Diritti civili - indegno di uno Stato di diritto di un Paese civile, dell’altra faccia della giustizia che mostra il suo volto feroce, disumano nei confronti di un povero cristo, un giovane in attesa di processo e in fin di vita per un tumore, che viene lasciato morire in carcere, e permette poi invece l’impunità ad personam alla nota casta dei potenti e degli intoccabili”. Giustizia: Vallanzasca; tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto l’istanza di semilibertà Ansa, 8 febbraio 2011 Il tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto l’istanza con cui Renato Vallanzasca chiedeva la semilibertà. Nel motivare il no alla richiesta del “bel Rene”, che oggi ha perso l’anziana madre, il tribunale ha fatto riferimento anche ad una recente denuncia a suo carico per oltraggio a pubblico ufficiale. A fine dicembre scorso, Vallanzasca, ex capo della mala milanese negli anni 70 e condannato a quattro ergastoli, era stato denunciato dai carabinieri per essersi rivolto con offese e insulti ai militari che erano andati a controllarlo in albergo. Da alcuni mesi, Vallanzasca gode del permesso al lavoro esterno e può uscire per andare a lavorare in una pelletteria, per poi fare ritorno nel carcere di Bollate. Emilia Romagna: Sappe; in tutta la Regione solo 4 detenuti usciti con la legge “svuota-carceri” Dire, 8 febbraio 2011 Calano di poco i detenuti ospitati nelle carceri dell’Emilia Romagna: al 18 gennaio 2011 le presenze erano pari a 4.346, 67 in meno rispetto al 30 novembre 2010, quando i detenuti presenti negli istituti della regione erano 4.413. La capienza regolamentare sarebbe di 2.394 posti, con un sovraffollamento calcolato al 30 novembre del 184%. Sempre a novembre (quindi sul dato di 4.413 detenuti) 2.319 erano stranieri, per una percentuale del 52,54%. Lo rende noto un comunicato diffuso da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria. La flessione, precisa ancora il Sappe, è in linea con quanto avvenuto a livello nazionale, dove i detenuti sono diminuiti di 1.264 unità, passando dai 69.225 del 30 novembre 2010 ai 67.961 del 30 dicembre 2010. Le presenze maggiori sono state registrate come di consueto nell’istituto del capoluogo emiliano. Infatti, nel carcere bolognese della “Dozza” c’erano 1.165 detenuti, per una percentuale del 234%. Gli stranieri erano 726. Per quanto riguarda il sovraffollamento, l’istituto bolognese era seguito da quello di Piacenza, che ospitava 412 detenuti, per una percentuale del 231%. Seguiva a ruota quello di Ravenna, con una percentuale di sovraffollamento del 218% e poi quello di Modena, la cui percentuale era del 214%. Per il segretario generale aggiunto del Sappe comunque la flessione dei detenuti in Emilia Romagna è “fisiologica a fine anno”, e dunque destinata a rientrare. “Tra l’altro bisogna dire che tale flessione è stata determinata solo in minima parte dalla legge 199, la cosiddetta legge svuota carceri, che prevede la possibilità di scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena. Infatti, in Emilia Romagna, al 25 gennaio 2011 erano solo 4 i detenuti che avevano usufruito degli arresti domiciliari, a seguito dell’approvazione della legge Alfano, mentre a livello nazionale erano poco più di 600”. Lazio: Rauti (Consiglio regionale); effetti positivi dalle attività trattamentali in carcere Dire, 8 febbraio 2011 La consigliera Isabella Rauti, membro dell’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio, ha partecipato oggi in rappresentanza dell’assessore alle Attività produttive della Regione Lazio, Pietro di Paolo, alla conferenza stampa di presentazione del progetto “Donna fuori, donna dentro”, realizzato dall’associazione Gruppo Idee e dall’azienda Ld-Luxury in collaborazione con la Regione. Il progetto, spiega Rauti nella nota, “prevede la realizzazione di una sfilata di moda all’interno del carcere di Civitavecchia con le detenute protagoniste sia nel ruolo di indossatrici sia in quello di realizzatrici di alcuni accessori di pelletteria, borse e cinte che verranno indossate durante la sfilata”. A questo “faranno seguito due ulteriori step, un’asta benefica che avrà per oggetto il materiale indossato durante la sfilata ed una fase di collocamento professionale con l’assunzione di alcune detenute nell’azienda promotrice a fine pena. Quello di Civitavecchia è un progetto che risponde pienamente all’obiettivo del recupero e del reinserimento dei detenuti”. Rauti sottolinea in conclusione di aver effettuato negli ultimi mesi “numerose visite conoscitive presso istituti carcerari, e ho potuto verificare gli effetti positivi delle attività trattamentali di recupero, buone prassi che l’amministrazione regionale sta portando avanti con grande impegno sia da parte dell’assessore di riferimento e della Giunta sia da parte del Consiglio”. Milano: dopo 9 anni senza processo torna libero un ex detenuto di Guantanamo Adnkronos, 8 febbraio 2011 Torna libero l’ex detenuto di Guantanamo Adel Ben Mabrouk, il tunisino accusato di terrorismo. Dopo nove anni in cella nell’enclave Usa nell’isola di Cuba prima e in Italia poi senza la possibilità di avere un processo, l’uomo è uscito, ma con una condanna virtuale a due anni di reclusione. Lo ha deciso la giustizia milanese dopo lo smantellamento della struttura cubana e gli accordi siglati da Obama. Durante il processo in udienza preliminare davanti al giudice per l’udienza preliminare Maria Vicidomini, il pm Armando Spataro ha chiesto le attenuanti generiche affinché si giungesse alla sospensione condizionale della pena. Secondo il capo del pool antiterrorismo, «quest’uomo ha subito una detenzione del tutto illegale, secondo trattamenti contrari a ogni regola di democrazia». Spataro ha fatto inoltre notare che per i reati di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale come fiancheggiatore Mabrouk, se fosse stato condannato al massimo della pena, avrebbe dovuto scontare 7 anni e mezzo di reclusione. Nel suo passato però c’è una simpatia per i filo curdi di Ansar Al Islam, la partenza per l’Afghanistan e un campo di addestramento al confine col Pakistan. Dopo il 2011 fuggì e alla fine venne catturato dagli americani e portato a Guantanamo. Nuoro: Caligaris (Sdr); il Dap ignora l’ordinanza del magistrato per detenuto invalido Adnkronos, 8 febbraio 2011 Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria da dieci mesi non adempie ad un’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Nuoro che ha dichiarato “l’illegittimità dell’assegnazione del detenuto Michele Ascone, 32 anni di Gioia Tauro, alla Casa Circondariale di Badu e Carros costringendo così il giovane, sofferente per la parziale amputazione del braccio sinistro, a subire la lesione del diritto alla territorialità della pena e della salute”. Lo comunica Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme che ha ricevuto una lettera di Michele Ascone, in cui il detenuto lamenta “di essere stato assegnato a Nuoro per punizione e di esservi rimasto nonostante la disapplicazione del decreto di imposizione del regime di sorveglianza particolare disposta con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Potenza; di essere stato allontanato dalla famiglia e di avere dovuto interrompere il corso alberghiero trattamentale che frequentava nella Casa Circondariale di Melfi”. Ascone denuncia inoltre - afferma la Caligaris - che, nonostante i forti dolori e la scarsa mobilità della mano per la parziale amputazione dell’avambraccio sinistro non gli vengono somministrate le cure prescritte dall’area sanitaria. Mentre nel dicembre scorso si trovava per una udienza a Vibo Valentia il dirigente sanitario aveva infatti richiesto che il paziente venisse sottoposto ad un ciclo di chinesi ed elettrostimolazione”. Nonostante la richiesta dell’area sanitaria, il detenuto è stato riportato a Nuoro dove peraltro, il 16 novembre 2010, il sanitario incaricato aveva richiesto “visita fisiatrica e terapia da eseguirsi presso il Cdt dell’amministrazione”. Al 30 gennaio scorso il detenuto era ancora in attesa delle decisioni del Dap in merito al trasferimento a Melfi o in un Istituto vicino alla famiglia dove potersi curare. “In attesa delle decisioni della Procura della Repubblica a cui il detenuto si è rivolto, è evidente - sottolinea Caligaris - che il Dap ha assunto un atteggiamento, non solo di non rispetto, senza specifiche motivazioni, di un provvedimento della Magistratura di sorveglianza, ma che ignora i principi costituzionali della rieducazione e della umanizzazione della pena”. Michele Ascone, che deve scontare ancora 4 anni della condanna definitiva a 16 anni, ha “infatti il diritto ad essere sottoposto alle cure mediche prescrittegli. Per quanto concerne la richiesta di trasferimento - afferma la Caligaris - non accolta è un caso paradossale che potrebbe trovare parziale giustificazione esclusivamente in un clamoroso errore degli uffici provocato dall’emergenza sovraffollamento. È tuttavia necessario - conclude la presidente di Sdr - che il Ministro Alfano sia investito della vicenda per chiarire i diversi lati oscuri che presenta”. Como: convenzione tra Comune e Tribunale; lavori socialmente utili per gli ubriachi al volante La Provincia di Como, 8 febbraio 2011 Una convenzione tra Palazzo Cernezzi e il tribunale di Como per far sì che anche nel capoluogo si possano utilizzare i cosiddetti lavoratori socialmente utili. A chiederlo, come lettera inviata al sindaco Stefano Bruni, al capo di gabinetto Tullio Saccenti e al direttore generale Nunzio Fabiano è il consigliere del Pdl Marco Butti (ha portato la proposta in gruppo ed è stata approvata). “Sono diversi i casi che prevedono l’eventualità del lavoro di pubblica utilità - spiega il consigliere - e inoltre, alla luce delle recenti modifiche introdotte a luglio con la riforma del codice della strada, è possibile che prestazione di lavori di pubblica utilità possa essere comminata a chi è sorpreso con un tasso alcolemico superiore a 1.5 l/g. Questa eventualità diventa ancora più attuale per la nostra città, in virtù dei dati ufficiali relativi all’attività della polizia locale che, nel corso del 2010, ha provveduto al ritiro di ben 130 patenti per guida in stato di ebbrezza, con un aumento dell’11% rispetto al 2009”. Questo significa che i numeri potrebbero essere tutt’altro che marginali. In base alla normativa è ammesso che il giudice possa applicare, su esplicita richiesta dell’imputato, in presenza di una specifica convenzione, la pena alternativa consistente nel lavoro di pubblica utilità. Qualora Palazzo Cernezzi decidesse di stipulare la convenzione con il tribunale, questa possibilità (che oggi viene utilizzata da altri Enti e Comuni) ci sia anche per il capoluogo. Secondo Marco Butti due potrebbero essere i settori di intervento dei lavoratori socialmente utili: l’ordinaria manutenzione, la pulizia del patrimonio stradale e del verde pubblico. “Si ritiene importante ipotizzare - scrive al sindaco Bruni - anche per il Comune di Como il ricorso a queste prestazioni momentanee per lavori di manutenzione che possono essere eseguiti manualmente (pulizia canalette, manutenzione segnaletica stradale nei pressi di nodi strategici sia per la mobilità stradale che pedonale come nei pressi degli ingressi delle scuole, pulizia strada, taglio siepi in prossimità di incroci, ecc.). L’operazione per le casse comunali avrebbe un costo ridotto: “Da una ricerca condotta e dall’analisi di quanto predisposto da altre amministrazioni - precisa Butti - emerge che l’assicurazione del soggetto individuato contro infortuni e malattie professionali, oltre alla responsabilità civile verso terzi, ammonta intero a 50 euro per tutto il periodo di attività del singolo lavoratore”. Il consigliere, a nome del gruppo Pdl, chiede che si arrivi a una decisione della giunta prima dell’approvazione del bilancio e, quindi, in tempi brevissimi. Il passo successivo sarà capire quanti comaschi decideranno di trasformare la pena in lavori utili per la città. Verona: riaperta la palestra del carcere ristrutturata, ai lavori hanno partecipato anche i detenuti L’Arena, 8 febbraio 2011 La palestra, chiusa da circa 4 anni, è stata recuperata dal degrado e rimessa a norma; sono stati inoltre sostituiti gli impianti elettrici e di sicurezza. Avere un nuovo spazio in cui socializzare e procedere nel fondamentale percorso di reintegrazione nella società. Questa è la motivazione con cui si è deciso di creare una palestra nel carcere di Montorio, struttura inaugurata alla presenza dell’assessore allo Sport, Federico Sboarina, del prefetto Perla Stancari, di Marco Valdinoci, vicedirettore della Fondazione Cariverona, di Massimo Valsecchi direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 20 e dal presidente della Commissione consiliare Servizi sociali, Antonia Pavesi; 700 metri quadri con reti per giocare a calcetto, canestri per il basket, attrezzi e pesi, tutto ottenuto ristrutturando uno spazio che era chiuso ed inutilizzato da quattro anni, grazie agli oltre 70mila euro finanziati dalla Fondazione Cariverona. “I detenuti avrebbero diritto a quattro ore d’aria al giorno”, spiega Margherita Forestan, garante dei diritti delle persone private della libertà personale, “ma a causa del sovraffollamento, in questo carcere ci sono 900 persone, nonostante la capacità sia di 500, riescono a farne solo due ed in una zona completamente circondata dal cemento, in cui non possono far altro che guardare il cielo. È una situazione che porta all’alienazione, non certo al recupero”. La nuova palestra è stata realizzata con la collaborazione di alcuni detenuti, che hanno partecipato volontariamente ai lavori, ottenendo per questo anche un encomio da parte del direttore, Antonio Fullo - ne. “Questo è un luogo di fondamentale importanza per chi vive in una situazione di inattività forzata e che invece ha diritto a conservare la propria dignità di essere umano. La Fondazione Cariverona ed il Comune stanno investendo molto e questo ci responsabilizza, auspichiamo che la palestra possa essere un luogo utile anche alla città”. I detenuti vivono in quattro in celle di 12 metri quadri, con nessuno spazio per potersi muovere. “Invece l’attività motoria si accompagna al benessere psicofisico”, afferma il prefetto Perla Stancari, “è fondamentale aiutare lo sviluppo di capacità che potranno essere messe a frutto una volta fuori, fornendo modelli positivi”. L’attività fisica come momento sociale, è questa la convinzione dell’assessore Sboarina: “Lo sport è uno strumento di prevenzione e in questo caso un metodo di recupero delle persone; il Comune è disponibile a fornire attrezzature, se necessario, e a creare qualche evento per far vivere questi spazi anche dall’esterno”. Lo stato delle carceri è indice della civiltà di un paese, come sostiene Massimo Valsecchi, e Verona si conferma in controtendenza positiva rispetto al resto d’Italia “Vivere qualche ora di sport per i detenuti può essere un modo di sentirsi normali”, afferma Antonia Pavesi. Ed i detenuti sono stati entusiasti di partecipare ai lavori, ridipingendo le pareti ed aiutando nella ristrutturazione. “Ci siamo resi utili, facendo qualcosa per noi e per gli altri. Ci siamo sentiti liberi” Rovereto (Tn); il carcere deve chiudere, la Cgil chiede tutela dei diritti del personale Ansa, 8 febbraio 2011 La Cgil del Trentino chiede di tutelare i diritti del personale del carcere di Rovereto, dopo l’annuncio della sua chiusura. “A nessuno va giù di essere stati tenuti all’oscuro dei piani dell’amministrazione penitenziaria fino all’annuncio ad effetto del ministro Alfano che per la prima volta ed in forma più che ufficiale ha annunciato la chiusura del carcere di Rovereto”, si legge in una nota in cui si sottolinea come “il personale si sente tradito dalla stessa amministrazione che nulla ha opposto alla chiusura dell’istituto”. La Cgil del Trentino fa quindi appello alle istituzioni nazionali e provinciali di “riconsiderare la chiusura del carcere di Rovereto creando comunque un tavolo di confronto sindacale finalizzato a garantire i diritti derivanti dalle norme vigenti per il personale del settore”. Civitavecchia: cineforum e dibattito sul film “La bella Società” Ristretti Orizzonti, 8 febbraio 2011 Sabato 5 febbraio, presso la casa di reclusione di via Tarquinia, a Civitavecchia, si è tenuto il dibattito sul film “La bella Società”. Film proiettato mercoledì 2 febbraio all'interno di un progetto di Cineforum che prevede una proiezione ogni 15 giorni per una durata annuale. Alla discussione hanno partecipato i reclusi, il regista Gianpaolo Cugno, l’attore David Coco e il Dott. Luciano Bellucci esperto di censura e consulenza cinematografica. “Quante volte hai visto il film?” Ha domandato David Coco ad uno dei reclusi che ripeteva a memoria le battute del suo protagonista. “Una sola” è stata la risposta. Grande interesse dei presenti, quindi, sulle tematiche del cinema e sulla famiglia, filo conduttore nel film. I reclusi hanno dimostrato capacità di immedesimarsi nei personaggi, di interagire con ospiti insoliti e di proporre idee originali per eventuali nuove sceneggiature. Alla fine del dibattito lo scambio di saluti e di apprezzamenti ha dato l’opportunità di rivolgere ringraziamenti alla Direttrice del carcere, Dottoressa Patrizia Bravetti, alla segreteria del carcere per la costruttiva collaborazione, agli agenti presenti durante le proiezioni, agli Psicologi e agli educatori. Non è mancata, infine, la tiratina d’orecchie al regista Cugno per aver fatto morire nel film Maria Grazia Cucinotta troppo velocemente. Immigrazione: Consiglio d'Europa; stop a detenzione dei minori "irregolari" Ansa, 8 febbraio 2011 Il commissario per i Diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, ha pubblicato oggi a Strasburgo una presa di posizione molto dura contro la "pratica corrente" in molti paesi europei di rinchiudere in centri di detenzione gli immigrati irregolari minorenni. Una pratica che viene attuata, secondo il commissario, "nonostante le raccomandazioni del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea". "Ogni anno, in Europa, migliaia di bambini sono posti in detenzione. In alcuni paesi, sono condotti a forza in centri di detenzione, generalmente in attesa di espulsione. Vi sono detenuti in condizioni quasi carcerarie pur non avendo commesso alcun reato", ha dichiarato Hammarberg, riconoscendo che non è nemmeno possibile quantificare e monitorare con precisione il fenomeno, perché non sono a disposizione statistiche precise. "Certi bambini - aggiunge il commissario ai Diritti umani del Consiglio d'Europa - sono arrivati in compagnia dei propri genitori, altri sono isolati", cioè non accompagnati e per questo "particolarmente vulnerabili". Ma, osserva Hammarberg, "in entrambi i casi la detenzione è per loro un periodo di paura e di incertezza. Quasi sempre, per tutto il periodo di detenzione sono privati d'istruzione, e talvolta sono esposti ad abusi e violenza". Dopo aver sottolineato che "la detenzione e la restrizione della libertà di movimento hanno sui minori effetti particolarmente nefasti, che si aggravano col tempo", il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa afferma che "i governi dei paesi d'accoglienza devono cambiare il loro approccio", perché la politica che applicano attualmente ai minori migranti irregolari o richiedenti asilo "non è umana", ed è anche "contraria alla Convenzione Onu su diritti dei bambini". Hammarberg, il cui ufficio sostiene di non disporre di cifre per l'Italia, cita i dati di due soli paesi: in negativo la Francia, in cui la situazione va peggiorando, con il numero di migranti minori in detenzione che è aumentato a 368 nel 2009 (erano 165 nel 2004); e in positivo la Gran Bretagna, dove il nuovo governo Cameron ha deciso di mettere fine a questa pratica. Negli anni scorsi, la situazione più grave era proprio quella britannica, con circa 2.000 bambini detenuti ogni anno. Benché ancora parzialmente occupata, questa decisione ha già fatto "diminuire sensibilmente" il numero dei minori ni centri di detenzione, constata il commissario ai Diritti umani. Da Bruxelles, intanto, il portavoce del commissario Ue Affari interni, Cecilia Malmstrom, ha ricordato che la detenzione dei minori nell'ambito delle misure per arginare l'immigrazione irregolare "non è in linea con la legislazione comunitaria", e che questi bambini "hanno diritto alla tutela giuridica, al rispetto prioritario dei loro interessi e vedere le loro pratiche concluse rapidamente, entro sei mesi dopo che sono stati individuati dalle autorità competenti". Tutto questo è previsto, ha ricordato il portavoce, Michele Cercone, da un "piano d'azione per i minori non accompagnati" adottato dall'Ue qualche mese fa, dopo che l'allarme era cresciuto per via della "presenza sempre più consistente e preoccupante di bambini isolati" nei gruppi di migranti illegali. Egitto: capo della polizia Manganelli; preoccupati ma vigili dopo evasioni di massa dalle carceri Ansa, 8 febbraio 2011 In Italia esistono procedure rigorose per evitare che arrivino sul territorio nazionale criminali e terroristi fuggiti dalle carceri egiziane. Lo ha detto il capo della polizia Antonio Manganelli parlando a margine della conferenza euro - africana in corso a Napoli. “Quando in un paese è in atto una rivolta, e questa comporta evasioni e tra gli evasi ci sono esponenti del terrorismo internazionale - ha detto Manganelli - non possiamo che essere preoccupati. Siamo vigili e stiamo applicando tutte le procedure che in Italia sono estremamente rigorose e compiute con particolare professionalità. Quando avviene uno sbarco - ha concluso Manganelli - accertiamo immediatamente dalla impronte digitali che non si tratti di criminali o di terroristi”. Emirati Arabi: poliziotto italiano in carcere da 60 giorni, è accusato di molestie sessuali Ansa, 8 febbraio 2011 Arriva dopo 60 giorni la verità sulla reclusione del poliziotto leccese, ma residente a Roma, nel carcere di Dubai. A chiarire perché l’uomo, dal 6 dicembre scorso, si trova dietro le sbarre negli Emirati Arabi è il sottosegretario Alfredo Mantica nella risposta all’interrogazione rivolta al ministro Frattini dal deputato dell’Italia dei Valori Pierfelice Zazzera. Alla Farnesina risulta che l’uomo sarebbe detenuto per aver molestato sessualmente una passeggera indonesiana a bordo di un volo della compagnia Emirates. Cade così per il salentino l’imputazione, trapelata in un primo momento, che aveva destato non poche perplessità. Le prime indiscrezioni, infatti, parlavano di un arresto avvenuto in aeroporto prima del ritorno a casa, per detenzione di psicofarmaci, pillole che l’agente conservava in valigia, prescrittegli in Italia per curare crisi depressive, ma che negli Emirati sono assimilate agli stupefacenti. Ben più pesante, quindi, la pena che il 48enne rischia di pagare. Se per la detenzione di droghe, la rigorosissima legge araba prevede la reclusione a partire da 4 anni per il possesso anche di una piccola quantità di qualsiasi sostanza ritenuta illecita, per “offesa al pudore e condotta sconveniente” gli anni di carcere da scontare sono 30. Intanto dalla Commissione affari esteri della Camera dei deputati fanno sapere che il giudice di Dubai deciderà per il rinvio a giudizio o per l’espulsione del poliziotto in base alle valutazioni del perito medico sulle sue condizioni di stabilità psichica, in particolare sulla capacità di intendere e di volere al momento dei fatti addebitati. Iraq: Amnesty denuncia; detenuti torturati in carceri segrete gestite direttamente dal governo Agi, 8 febbraio 2011 Amnesty punta il dito contro le forze di sicurezza irachene, accusate di torturare i loro prigionieri per estorcere confessioni con cui incriminarli. In un rapporto dal significativo titolo, “Broken Bodies, Broken Minds” (Corpi Spezzati, Menti Spezzate), l’organizzazione per i diritti umani ha affermato che sono almeno 30 mila le donne e gli uomini detenuti nel Paese, alcuni rinchiusi in strutture segrete gestite direttamente dal governo. “Le forze di sicurezza irachene utilizzano la tortura e altri maltrattamenti per estorcere confessioni ai detenuti che si trovano in stato di segregazione, specialmente nelle strutture di detenzione - alcune delle quali segrete - gestite dai ministeri della Difesa e dell’Interno”, si legge nel rapporto. Stupri, elettroshock, buchi nel corpo praticati con il trapano, soffocamento con buste di plastica, fratture degli arti, unghie dei piedi strappati con le pinze: queste alcune delle torture più praticate negli ultimi anni secondo Amnesty, la quale ha fatto notare che il Ministero dei Diritti Umani iracheno nel suo rapporto relativo al 2009 ha riscontrato 509 casi di accuse di torture rivolte alle forze di sicurezza. Un numero che, secondo l’organizzazione londinese, rappresenta una forte sottostima delle reali dimensioni del fenomeno. Amnesty ha sottolineato infine che i militari Usa hanno consegnato decine di migliaia di prigionieri agli iracheni tra il 2009 e il luglio 2010 senza pretendere alcuna garanzia sulle modalità della loro detenzione. Alcuni giorni fa anche Human Rights Watch aveva denunciato l’esistenza in Iraq di carceri lager, direttamente alle dipendenze del premier, in cui avvenivano torture. Un’accusa respinta al mittente da Nouri Al-Maliki, il quale ha negato recisamente che nel Paese esistano strutture di detenzione segrete. Egitto: evaso Ayman Nufal comandante braccio armato di Hamas; accolto come un eroe a Gaza Asca, 8 febbraio 2011 Ha ricevuto un’accoglienza trionfale, la scorsa notte al suo rientro a Gaza, Ayman Nufal, uno dei comandanti del braccio armato di Hamas (Brigate Ezzedin al-Qassam) che nei giorni scorsi è riuscito da evadere da una prigione egiziana dopo oltre tre anni di detenzione. Nufal è stato accolto nel campo profughi di el-Bureij dai familiari e da esponenti del movimento Hamas, al potere a Gaza. La sua cattura da parte dei servizi di sicurezza egiziani era avvenuta all’interno del Sinai, dove Nufal era entrato in seguito all’abbattimento di un tratto dei recinti di demarcazione del confine fra Gaza ed Egitto. La settimana scorsa era rientrato a Gaza un altro miliziano di Hamas, specializzato nella realizzazione di tunnel di contrabbando, che pure era riuscito ad evadere da un carcere egiziano. Hamas che intanto ha fatto sapere di essere del tutto estraneo all’esplosione che sabato ha severamente danneggiato una stazione del gasdotto egiziano ad El Arish, nel Sinai settentrionale, a breve distanza dalla Striscia di Gaza. Lo ha garantito a Gaza Hassan abu Hashish, il capo dell’Ufficio stampa della Striscia. Hong Kong: carcere femminile punta sull’efficienza energetica, è costato 200 milioni di euro 9Colonne, 8 febbraio 2011 Si chiama Lo Wu Correctional Institution, sorge ad Hong Kong ed è stato presentato come il carcere del futuro. Un istituto di media sicurezza costato circa 200 milioni di euro e costruito su un progetto sostenibile con elevate caratteristiche “verdi” e su basi di alta efficienza energetica. L’istituto femminile è in grado di ospitare 1.400 detenute. Nello specifico la struttura può vantare un tetto ricoperto da pannelli solari, un sistema di illuminazione naturale e un sistema di ventilazione potenziato. Il tetto verde contribuisce ad abbassare la temperatura interna e le aree che normalmente generano maggior calore, come la cucina e la lavanderia, sono state ricollocate al piano superiore per sfruttare pozzi di ventilazione naturale. L’acqua calda viene generata grazie ai pannelli fotovoltaici mentre il sistema di ventilazione utilizza degli aeratori posti nel sottosuolo che aspirano aria fresca dal tappeto erboso verde per immetterla nei corridoi dell’istituto. La sopraintendente Sylvia Chung ha dichiarato che il progetto ecologista è stato ampiamente apprezzato perché ha contribuito al miglioramento delle condizioni carcerarie. Al contempo è stato però criticato perché rappresenterebbe un’isola confortevole nella caotica Hong Kong dove la maggior parte della popolazione vive in bui e poco arieggiati appartamenti nei grossi agglomerati e dove lo spazio basta appena per un materasso. L’ Hong Kong Architectural Service Department, che ha curato la costruzione del carcere, ha difeso il progetto affermando che potrebbe contribuire a dare il buon esempio.