Giustizia: piano carceri; l'Anci al ministro Alfano di istituire un "tavolo di confronto" Ansa, 3 febbraio 2010 E’ stato approvato all’unanimità dal Consiglio nazionale dell’Anci, riunitosi oggi a Roma, l’ordine del giorno proposto dal vicepresidente Roberto Reggi, sindaco di Piacenza, nel quale l’associazione dei Comuni chiede al Ministro della Giustizia Angelino Alfano di istituire il Tavolo di confronto sul “Piano carceri”, impegnando nel contempo il presidente Sergio Chiamparino a porre l’argomento all’attenzione del Governo nella prima riunione utile della Conferenza unificata. “Siamo convinti – recita la nota ufficiale dei primi cittadini italiani – che sia auspicabile il coinvolgimento dei sindaci delle città in cui si ritiene realizzare nuove carceri, nonché dove sono in atto progetti di ampliamento e realizzazione di nuovi padiglioni”. Sottolineando la necessità di un confronto con tutti i soggetti istituzionali del territorio, Anci ribadisce che “le previsioni progettuali di ampliamento e costruzione di nuove strutture devono tenere conto delle azioni precedentemente intraprese e dei provvedimenti adottati dagli altri livelli di Governo, come le Regioni e i Comuni”. “In ogni caso – prosegue il testo approvato oggi dal Consiglio nazionale – i soli interventi di ampliamento con nuovi padiglioni, senza un’azione decisa in termini di manutenzione ordinaria e straordinaria dei padiglioni oggi esistenti, non risolve l’attuale situazione e rischia addirittura di essere controproducente”. Il carattere prioritario della questione, come spiega il sindaco Reggi richiamando le premesse del documento, nasce dalla consapevolezza delle condizioni di grave insufficienza in cui versano oggi le strutture penitenziarie, imponendo “di individuare con assoluta urgenza una soluzione tecnico-manutentiva idonea a garantire un ambiente decoroso e vivibile per tutte le persone che, a qualsiasi titolo, si trovano in carcere. A ciò si aggiunge una carenza di personale di vigilanza che vive, parimenti, i disagi del fenomeno del sovraffollamento”. In merito al cosiddetto “Piano carceri”, approvato il 29 giugno scorso dal Governo, e al relativo programma di interventi di edilizia penitenziaria previsto dalla legge 26/2010, sono numerose le richieste di chiarimenti indirizzate ad Anci da parte delle Amministrazioni comunali. A riguardo, già il 5 maggio dell’anno scorso il presidente Chiamparino e il vicepresidente Reggi avevano incontrato il Ministro Alfano ricevendo, da parte sua, rassicurazioni sul coinvolgimento di Anci in un Tavolo dedicato alle città individuate per ospitare nuove infrastrutture penitenziarie, nonché all’ampliamento – con nuovi capannoni – delle case circondariali esistenti. “Di qui – precisa Reggi – anche alla luce del tempo già trascorso e di una situazione sempre più insostenibile nelle carceri italiane, la nostra richiesta che il Governo assolva gli impegni assunti nei confronti dei sindaci, primi referenti delle proprie comunità anche per quanto riguarda il rispetto di condizioni dignitose e salubri nei penitenziari. Proprio ieri, a Piacenza, il garante per i diritti dei detenuti ha denunciato la fatiscenza della casa circondariale cittadina, con i gravi rischi connessi per la salute e la sicurezza delle persone. Non possiamo accettare il protrarsi di simili problemi, né l’imposizione di decisioni calate dall’alto e non concertate con i territori: il Ministero della Giustizia deve assumersi le proprie responsabilità e condividere le possibili soluzioni con gli enti locali”. Giustizia: dai Radicali interrogazione su interventi straordinari per l’edilizia penitenziaria Ristretti Orizzonti, 3 febbraio 2011 Interrogazione a risposta scritta al Ministro della Giustizia, al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, al Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione. Di Rita Bernardini, per sapere, premesso che: In relazione alla grave situazione di sovraffollamento delle carceri, il Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2010 ha deliberato un piano straordinario penitenziario dichiarando lo stato di emergenza nazionale fino al 31 dicembre 2010 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 gennaio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29 gennaio 2010); termine poi prorogato con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 12 gennaio 2011; Il 19 marzo 2010 è stata emanata l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri che ha dettato nuove disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare la situazione di emergenza conseguente al sovraffollamento penitenziario. Il provvedimento prevede, in particolare, che il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nominato commissario delegato per “l’emergenza carceri”, debba predisporre entro 30 giorni un apposito piano di interventi, indicandone i tempi e le modalità di attuazione. L’ordinanza istituisce un comitato di indirizzo e controllo presieduto dal Ministro della giustizia, cui spetta l’approvazione del piano nonché la vigilanza sull’azione del commissario delegato; La citata ordinanza prevede: a) all’art. 1, comma 3, che per la realizzazione degli interventi di sua diretta competenza, il Commissario delegato si avvale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e richiede ogni necessaria collaborazione alle Amministrazioni periferiche dello Stato ed agli enti pubblici locali territoriali e non territoriali; b) all’art. 1, comma 4, che il Commissario delegato nomina uno o più soggetti attuatori per essere coadiuvato nell’attuazione delle disposizioni dirette alla realizzazione del piano straordinario penitenziario, affidando ai medesimi specifici settori di intervento; c) all’art. 1, comma 5, che il Commissario delegato, sentito il Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, determina con proprio provvedimento il compenso da riconoscere ai soggetti attuatori di cui al comma 4, con oneri a carico delle risorse di cui al successivo articolo 3 dell’ordinanza, ci in relazione al profilo professionale ed alle mansioni che gli vengono attribuite; d) all’art. 1, comma 6, che la vigilanza sull’azione del Commissario delegato spetta ad un Comitato di indirizzo e controllo presieduto dal Ministro della Giustizia (o da un suo delegato) e composto dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (o da un suo delegato) e dal Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri (o da un suo delegato); e) all’art. 1, comma 7, che il Commissario delegato, per il necessario supporto nelle attività di sua diretta competenza, è autorizzato a stipulare fino ad un massimo di venti contratti a tempo determinato ovvero a collaborazione a progetto, sulla base di criteri di scelta di carattere fiduciario; f) all’art. 1, comma 8, che il Commissario delegato determina, con provvedimento, i compensi da riconoscere ai soggetti di cui all’art. 1, comma 7; L’art. 21, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile “, ha previsto l’obbligo delle amministrazioni di pubblicare sui propri siti Internet, in attuazione dei principi di trasparenza e di buona amministrazione, i curricula vitae, i dati relativi alle retribuzioni e i recapiti istituzionali dei dirigenti (nonché le informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio dirigenziale): - chi siano i soggetti attuatori nominati dal Commissario delegato per l’emergenza carceri sulla base dell’art. 1, comma 4, ordinanza 19 marzo 2010 del Presidente del Consiglio dei Ministri; - a quanto ammonti il compenso dei soggetti attuatori nominati dal Commissario delegato per l’emergenza carceri sulla base del citato articolo 1, comma 4, e quali siano i profili professionali e le mansioni svolte da ciascuno di essi; - quanti contratti a tempo determinato e/o a progetto abbia stipulato il Commissario delegato per l’emergenza carceri sulla base dell’articolo 1, comma 7, della citata ordinanza; - a quanto ammonti, con riferimento ai predetti contratti a tempo determinato e/o a progetto, il compenso determinato per ciascun soggetto dal Commissario delegato per l’emergenza carceri sulla base dell’articolo 1, comma 8, della citata ordinanza; - se non intenda inserire sul sito ufficiale del Ministero della Giustizia, sulla base dei principi di trasparenza e di buona amministrazione di cui alla legge n. 69/2009, i dati curriculari e quelli relativi alla retribuzione dei soggetti attuatori nominati dal Commissario delegato per l’emergenza carceri sulla base dell’art. 1, comma 4, di cui all’ordinanza 19 marzo 2010 del Presidente del Consiglio dei Ministri; - se non intenda inserire sul sito ufficiale del Ministero della Giustizia, sulla base dei principi di trasparenza e di buona amministrazione sanciti dalla legge n. 69/2009, i dati curriculari e quelli relativi alla retribuzione dei soggetti con i quali il Commissario delegato per l’emergenza carceri ha stipulato contratti a tempo determinato ovvero di collaborazione a progetto (ex art. 1, comma 7, di cui all’ordinanza 19 marzo 2010 del Presidente del Consiglio dei Ministri). Giustizia: Pannella; con Berlusconi non ci sono trattative, discutiamo solo della riforma Ansa, 3 febbraio 2011 Rimbalza in questi giorni la notizia di un dialogo tra il Pdl e il Partito Radicale. Ma quanto saranno reali queste voci? “La questione - dice il leader Radicale Marco Pannella - non può essere quella di discutere con noi un posto di sottosegretario o di ministro: non ci sono trattative, ma c’è dialogo della ragionevolezza. In Italia - continua Pannella - abbiamo bisogno da una parte di una riforma di civiltà e dall’altra di renderci conto che la situazione della giustizia e delle carceri del nostro Paese non è diversa da quella degli anni in cui si stava preparando la Shoà. Questa - conclude Pannella - è la situazione in Italia e ciò che ci interessa e di cui discutiamo è la riforma della giustizia, niente altro”. Giustizia: Alfano; Pannella al mio posto? non ci vedrei nulla di male Adnkronos, 3 febbraio 2011 Marco Pannella ministro della Giustizia al posto di Angelino Alfano? “Personalmente non sono affezionato alla poltrona che occupo quindi non ci vedrei nulla di male sul piano personale”. Lo ha detto lo stesso Guardasigilli Alfano rispondendo a una domanda in collegamento con “Mattino Cinque”. Nell’incontro di ieri con i Radicali, ha spiegato Alfano, “non si è parlato di governo e poi Pannella non ha mai posto il problema delle poltrone, in nessuna circostanza, neanche prima della fiducia del 14 dicembre”. “Quello che mi preme rilevare - ha aggiunto - è che il discorso ha riguardato temi della riforma della giustizia perché in parlamento, durante la mia relazione sullo stato della giustizia, il governo ha dato parere favorevole ad alcune tesi su cui noi avevamo espresso consenso e che erano state formulate dai Radicali anche negli anni precedenti. Anche sul tema delle carceri loro sono molto sensibili e hanno posto delle questioni ieri durante l’incontro”. Giustizia: un reportage dal carcere di Sulmona “ecco le nostre vite senza speranza” di Elio Scribani La Repubblica, 3 febbraio 2011 Uomini in una prigione. Sulle spalle il macigno di un passato di follie, negli occhi il vuoto di un futuro oscurato da sbarre e spioncini. Criminali per scelta, per caso, per disperazione. Un filo sottilissimo li tiene legati al mondo di fuori: una lettera, un colloquio, una preghiera. Sei detenuti, sei testimoni, sei storie. Vite maledette. Tre scontano l’ergastolo. Fine pena mai. Un’altra pazzia, un concetto incompatibile con l’idea della vita e della morte. Tutti napoletani. Carcere di Sulmona. Niente sovraffollamento, lavoro e socialità per tutti, un lugubre record di impiccati. Sei nomi. Si chiamano Salvatore Mercurio, Vincenzo Brasiello, Giovanni Iannone, Francesco Fiore, Ciro Minichino e Antonio Acunzo. La loro tragedia è scolpita in un titolo di cronaca che abbiamo già dimenticato. Uno a uno si raccontano. Mente fredda, emozioni spente da anni di cella. Medaglioni del dolore. Salvatore Mercurio ha 39 anni. Ne aveva solo 25 quando sparò a scopo di rapina in un pub di Lettere. Cadde ucciso un innocente. Si disse che la vittima aveva osato guardare negli occhi il rapinatore e che questi, non reggendo lo sguardo, premette il grilletto di un fucile a canne mozze. Ergastolo. Mercurio nega. “Quel colpo - dice - partì mentre ricaricavo l’arma”. “E perché - si chiede poi - avrei dovuto sparare proprio a lui, mentre nel locale c’erano 177 persone e tutte mi guardavano?”. Mercurio ora si dice un altro uomo. Appare sereno, riflessivo, maturo. “La mia - spiega - è una calma disperazione”. E fa un’analisi lucida. “Inseguivamo - racconta - i miti di allora, e allora in tv non vedevi il grande fratello, ma Cutolo e Vallanzasca, un furto ti faceva sentire importante, desideravi l’integrale e l’Africa Twin”. Cos’è il carcere a vita? “Una cosa che ti stravolge, ma non siamo ancora morti, anche se a volte lo siamo dentro e ci viene voglia di addormentarci per sempre. Bisogna trovare la forza di riprendere in mano la propria vita, si può fare se la famiglia non ti ha abbandonato e se una nipotina di sette anni ti scrive in carcere e ti chiede di aiutarla a fare i compiti”. Vincenzo Brasiello, scippatore senior dei Quartieri Spagnoli, ha 62 anni e un record assoluto: ha commesso l’ultimo colpo alla veneranda età di 60 anni. Era già cardiopatico. Lo presero a Milano e lo condannarono a tre anni, ma, mentre scontava la pena ai domiciliari, lo riportarono in cella con una misura di sicurezza della casa lavoro per due anni. Socialmente pericoloso. Se ne meraviglia, Brasiello. Pericoloso? Lui guidava soltanto la moto, mentre il complice strappava la borsa. E lui soffriva, per giunta, guardando da lontano la vittima soffrire. “L’ho fatto per bisogno - spiega ora Brasiello - non c’era lavoro e avevo una famiglia da mantenere”. Eppure aveva sognato per sé tutt’altra vita il più anziano scippatore napoletano. “Ero un bravo tappezziere - racconta Brasiello - e avrei potuto fare senza problemi anche il pilota da corsa o il cantante chitarrista, se solo avessi avuto le conoscenze giuste”. Ecco, soprattutto cantare è la sua passione. Repertorio classico napoletano. Piange se ascolta “Io te vurria vasà”. Ha un solo desiderio, ormai: esibirsi con una grande orchestra. E una sola paura: sognare. Ne ha fatto uno orribile. Lo racconta. Lui pregava al cimitero, quando la sua mamma, perduta da bambino, è uscita dalla tomba e si è messa a parlare con lui. Era bella. Bellissima. Dalla tomba accanto, però, si è sollevato un altro cadavere. Brutto, bruttissimo, la faccia mangiata dai vermi. E gli ha detto: “Guagliò, ma nemmeno qua possiamo stare tranquilli?”. Giovanni Iannone non ha ancora compiuto 30 anni. E sconta il carcere a vita. Si protesta innocente. Era l’anno 2001, il 3 marzo. Una storia che fece scalpore: omicidio a scopo di rapina in un supermercato di Acerra. Rimase ucciso il titolare del negozio. Un testimone accusa Iannone. La sentenza: 26 anni in primo grado, ergastolo in appello. “Quando ho sentito quella parola - racconta Iannone - mi si è fermato il cuore”. Aveva un bambino nato da pochi giorni e si sarebbe sposato quello stesso anno 2001. Tutto perduto. Già dieci anni di carcere. Che ti succede dentro, se sai che non uscirai mai più? “Ti ritrovi a sperare che aboliscano l’ergastolo, ma ormai ne parlano inutilmente da 40 anni”, dice. È orribile la sera, quando chiudono la cella e senti girare la chiave nella toppa. Non ti rassegni mai. Si può avere un progetto? Iannone ce l’ha: “Se mi danno un permesso - sussurra - a maggio mi sposerò con la madre di mio figlio. Sono dieci anni che aspettiamo questo momento”. Francesco Fiore, 55 anni, è finito in galera con una condanna pesantissima per una stupida lite in strada. Omicidio. Ventidue anni di carcere. Tappezziere con bottega a Somma Vesuviana, Fiore racconta una storia di follia metropolitana. Era uscito per consegnare un divano. Un giorno qualunque. Un tizio a bordo di un’altra auto lo affiancò e lo minacciò. Poi lo costrinse a fermarsi. Chi era, costui? Mai visto. Quel tale lo aggredì. Il tappezziere tornò alla propria auto e afferrò uno scalpello con il quale colpì a morte il suo aggressore. Tutto in un attimo. “Mi è capitata una disgrazia - commenta Fiore - ma ho comunque ammazzato un uomo ed è giusto che paghi. Era il mio destino”. Lo aiuta la fede, ma il carcere ha già fatto di lui un’altra persona. Avrà un permesso premio, forse. Quattro ore di libertà nella città di Sulmona, ma ormai ha paura di uscire. “Fuori - dice Fiore - la vita è cambiata, uscirò solo se mi accompagnerà il cappellano”. E come farà quando tornerà finalmente libero? “Per allora - spiega Fiore - il mio progetto è quello di rifugiarmi su una montagna e allevare animali, per esempio degli asinelli. Mi capiranno certo più degli uomini”. Ciro Minichino, 48 anni e un passato da rapinatore a Barra, è in galera per strage in concorso con due suoi fratelli. Ergastolo per tutti e tre. Era il 1986, un bar del suo quartiere. Una lite, una sparatoria, tre morti sul terreno. Minichino si dice innocente. È tornato dentro da un anno e mezzo dopo tre anni di semilibertà. Non fa colloqui, non scende al passeggio, non lavora e non frequenta la saletta della socialità. Rimane a letto 24 ore su 24. “Oggi la mia vita non ha valore - dice - non ci possono essere speranze per un ergastolano tranne quella di buttare una corda e impiccarsi”. Non lui, però. Ne ha viste troppe. “Sono già stato all’inferno - racconta - e ho parlato con il diavolo”. Quando? Nel carcere di Pianosa, dove, a detta di Minichino, i detenuti subivano ogni genere di soprusi. Racconta: “Entrai che pesavo 120 chili e uscii che ne avevo solo 86. Nemmeno mio fratello mi riconobbe”. Antonio Acunzo, 45 anni, nato a Secondigliano, si era trasferito a Milano dove aveva messo su un’azienda per la manutenzione degli ascensori. Molti affari, buoni guadagni. Ora è in galera e ci resterà per molti anni ancora. Sconta una condanna per tentato omicidio e rapina. Fine pena 2022. I suoi reati sono stati commessi tutti a Milano nell’arco di sei mesi. Che cosa è successo? “Avevo un lavoro e una famiglia - racconta Acunzo - ma mi sono invaghito di un’altra donna: e questa è stata la mia rovina”. Un giro pericoloso, i debiti, una serie di errori. Ora, il tempo del dolore. Due figli, ma non li vede da molti anni. E nemmeno gli scrivono. “La vita non ha prezzo - dice Acunzo - ma chi non riesce ad affrontarla in queste condizioni, la fa finita”. Appunto, perché ci si uccide in prigione? “Lo so - risponde - perché mi è capitato di vederlo”. È successo a San Vittore, dove la mattina Acunzo portava il latte agli altri detenuti. “Entrai in una cella - racconta - e trovai un uomo appeso con la corda al collo”. Sul tavolo, una lettera. Era la moglie dell’impiccato. Gli scriveva: non verrò più al colloquio e non ti farò vedere mai più i nostri figli. Sipario. Giustizia: bambini in carcere, crescere con la mamma… ma reclusi www.vitadamamma.com, 3 febbraio 2011 Sono 55 i bambini, al di sotto dei tre anni, che vivono nelle carceri italiane con le loro mamme detenute. Numero probabilmente destinato ad aumentare perché sono 14 le mamme detenute in stato di gravidanza. L’art. 11 della Legge n. 354 del 26 luglio 1975 “Ordinamento penitenziario” consente alle madri detenute, che non possono usufruire di percorsi alternativi alla detenzione (così come previsto dalla Legge 8 marzo 2001 n. 40), di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Un diritto per la madre a crescere i propri figli accanto a sé ed un diritto per i figli a stare accanto alla propria madre e a non subire nessuna restrizione delle relazioni affettive. Ma a che prezzo avviene tutto questo? “Il carcere è un’istituzione totale”. Si chiama così un’organizzazione i cui membri vivono in isolamento dal resto della società e sono sottoposti alla sorveglianza di guardiani la cui autorità si estende ad una vasta gamma di comportamenti che vanno dal sostentamento, all’alloggio, alla cura personale dei sorvegliati. Il carcere sottrae all’individuo la cura di se stesso e lo priva della sua autonomia e della sua libertà; il carcere separa violentemente l’individuo dal proprio mondo, dalla propria realtà sociale, dai propri affetti, dai propri ruoli, ed esercita su di lui un’azione totale e spersonalizzante. Le madri detenute sentono il peso di tutto ciò, ma la loro condizione è spesso aggravata dalla responsabilità, carica di sofferenza, paure, sensi di colpa e solitudine, di scegliere se tenere accanto a sé o meno i propri bambini (al di sotto dei tre anni). È una scelta devastante, carica di dolore e di sensi di colpa: stare lontano dalla propria creatura per un tempo che, qualunque esso sia, sembra sempre e comunque interminabile oppure tenerlo accanto a sé, assicurandogli il diritto di crescere accanto alla propria madre, ma privandolo di una vita normale, anzi condannandolo ad una condizione di “recluso innocente”? Qualunque sia la decisione della madre detenuta ci troviamo comunque di fronte ad un caso di genitorialità negata. Le madri detenute che decidono di vivere la maternità in carcere hanno, sì, la possibilità di prendersi cura del proprio bambino, ma con i modi e con i tempi che il carcere impone loro: non si può andare a passeggio al parco in una giornata di sole, non si può accompagnare il proprio bambino alle feste dei compagnetti d’asilo, non si può andare a comprare la sua cameretta, non lo si può portare alla visita pediatrica di controllo. Il carcere comporta quindi una limitazione alla possibilità di esprimere pienamente la propria maternità ed una limitazione allo svolgimento del proprio ruolo genitoriale. Le madri detenute che invece decidono di vivere la maternità a distanza devono subire una dolorosa separazione dal figlio ed accettare di vederlo e sentirlo in modo sporadico e in tempi e spazi assolutamente ristretti. Ma per quanto riguarda i bambini reclusi si può allora parlare di infanzia negata? La risposta non può che essere affermativa. Questi bambini soffrono un doppio trauma: quello della vita reclusa fino a tre anni e quello della separazione traumatica dalla madre poi. Vivono in un ambiente, il carcere, molto difficile e chiaramente non adatto ad un bambino (finestre con le sbarre, l’arredo essenziale ed anonimo, le liti tra detenute alle quali il bambino può assistere come inerme spettatore). Soffrono di disturbi legati al sovraffollamento e alla mancanza di spazio, soffrono di inappetenza, di apatia. Sebbene, quindi, la possibilità di stare con la propria madre sia preferibile al provvedimento del completo allontanamento da essa, l’infanzia in carcere si sviluppa in un contesto innaturale. La vita dei bambini vi scorre in modo anomalo, tra rigidi orari del pasto, del sonno, dell’uscita all’aria della madre, segnalati da una fredda campanella che suona sempre allo stesso modo e alla stessa ora. Per questi bambini, reclusi innocenti, è tutto sempre, ogni giorno che passa, tristemente uguale. Giustizia: Cassazione; ha ucciso passando col rosso, il suo è un omicidio volontario di Giulio De Santis Il Messaggero, 3 febbraio 2011 Aveva ucciso un ventenne dopo essere passato con il rosso, andando ad oltre 100 all’ora. E per quell’incidente, Vasile Ignatiuc dovrà ora rispondere davanti ai giudici, dell’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Così ha stabilito la prima sezione penale della Corte di Cassazione imponendo un nuovo processo in appello a suo carico. Vasile è stato condannato in secondo grado a 8 anni e 4 mesi per omicidio colposo, per aver ucciso Rocco Trevignano il 18 luglio 2008. Lo aveva travolto con un furgone lanciato a folle velocità a un incrocio sulla Nomentana. Già i giudici di primo grado avevano stabilito che l’uomo era responsabile di omicidio volontario e che andava condannato a 16 anni di reclusione. Ma l’Appello l’aveva pensata diversamente. La stessa valutazione è stata fatta ora dagli ermellini che hanno annullato il processo di secondo grado con rinvio per la qualificazione giuridica del reato, affinché il fatto venga valutato come doloso. Anche se Vasile aspetterà il nuovo verdetto in libertà. La sentenza è rivoluzionaria, mai in passato la suprema Corte aveva considerato che il responsabile di un incidente stradale fosse imputabile di omicidio volontario con dolo eventuale. Fino a martedì scorso la storia del processo e dell’incidente provocato da Vasile sembravano avviati a una conclusione identica ad altre vicende, come quella che ha avuto protagonisti Stefano Lucidi e le due giovani vittime, Alessio e Flaminia. Luogo dell’incidente e iter processuale sembravano correre sullo stesso binario, finché non è arrivata la decisione di ieri della Cassazione. Vasile viene fermato dalla polizia a bordo di un furgone rubato. Terrorizzato comincia a scappare, si mette a correre alla guida dell’automezzo e attraversa senza guardare i semafori rossi. La sua fuga si ferma all’incrocio “maledetto” tra viale Regina Margherita e via Nomentana. Lo stesso dove la sera del 22 maggio del 2008 Lucidi aveva ucciso Alessio e Flaminia superando anche lui l’incrocio con il rosso, a 100 all’ora. Stavolta a varcare il bivio è la Citroen nera con a bordo Rocco Trevignano, 20 anni, e altri tre suoi amici. L’impatto è tremendo. Rocco muore mentre gli altri tre ragazzi si salvano per miracolo. La condotta degli imputati dei due casi viene valutata nello stesso modo in primo grado, quando la condanna arriva per omicidio volontario. In appello le pene vengono dimezzate, dopo la decisione dei giudici di derubricare l’accusa in omicidio colposo. Nel caso di Lucidi viene confermata la sentenza a 5 anni per omicidio colposo. Mentre per Vasile, gli ermellini scelgono un’altra strada annullando la sentenza e rinviandola ai giudici di secondo grado per valutarla più severamente. Entro 30 giorni arriveranno le motivazioni. “È probabile che la Suprema corte - è il commento del difensore di parte civile, professor Adelmo Manna - abbia fatto una distinzione sul tipo di incidenti, che non possono essere tutti uguali”. Con quella guida spericolata sapeva di poter uccidere “È un passo di civiltà”, esclama l’avvocato Gianmarco Cesari. L’avvocato Cesari è il legale “storico” dell’Associazione familiari vittime della strada e in tale veste ha seguito tutti i grandi processi degli ultimi dieci anni. “Io ci speravo, in questa sentenza della Cassazione - commenta - Dopo il giudizio di secondo grado che derubricò il delitto di Vasile in colposo mi sentii indignato. Ora la Cassazione ha ristabilito l’equilibrio, dando una lettura diversa del crimine stradale. Ora il dolo eventuale potrà finalmente essere applicato all’incidentalità stradale. Abbiamo vinto una battaglia contro l’indifferenza dei magistrati rispetto al problema”. Cesari è un torrente in piena e continua: “Nel 2002 si davano pene risibili ai pirati della strada, sei mesi, un anno al massimo. La sentenza di oggi è il frutto di un lavoro nelle aule di giustizia che dura da anni”. L’andamento del processo Vasile, fino al gradino prima della rivoluzionaria sentenza della Cassazione, aveva ripercorso le tappe dell’altro grande processo per incidentalità stradale, quello contro Stefano Lucidi, il trentacinquenne che investì e uccise i due fidanzati Alessio Giuliani e Flaminia Giordani. Tutti e due gli incidenti nel 2008, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro; tutti e due a Roma e quasi nello stesso posto, l’incrocio tra via Nomentana e Viale Regina Margherita; per tutti e due i processi lo stesso andamento: una prima condanna elevata (dieci anni a Lucidi, sedici a Vasile), poi un dimezzamento della pena nel successivo grado di giudizio (cinque anni a Lucidi, otto a Vasile). Prima il riconoscimento di omicidio volontario, poi il derubricamento in omicidio colposo: è quasi un classico. Per anni ci si è interrogati sulla riconoscibilità della linea d’ombra tra dolo eventuale e colpa cosciente. È il confine sdruccioloso tra volontarietà e involontarietà del crimine. “Il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento”, dice la legge. E per la legge, secondo l’avvocato Cesari, “Vasile conduceva ad alta velocità un furgone di grandi dimensioni, che lo convinceva della sua incolumità”. Perfettamente cosciente dunque di poter ferire e di uscirne indenne. Chi plaude alla pronuncia della Corte di Cassazione è anche la Fondazione Ania, che negli ultimi anni è stata sempre in prima fila nelle battaglie per innalzare il livello della sicurezza stradale. Dice il presidente Sandro Salvati: “Certe condotte di guida causano alcuni tra i più gravi delitti che avvengono oggi. Penso che sia giusto che, in taluni casi, si configuri l’ipotesi di dolo eventuale vista la gravità sociale, umana ed etica degli incidenti stradali”. Giustizia: Provenzano chiede scarcerazione per motivi di salute, ha 78 anni e morbo di Parkinson Italpress, 3 febbraio 2011 Dice di stare male e chiede di uscire dal carcere il superboss Bernardo Provenzano, finito dietro le sbarre nell’aprile del 2006 dopo 43 anni di latitanza. Ha appena compiuto 78 anni ed ha chiesto e ottenuto l’esecuzione di una perizia medica per accertare la compatibilità delle sue condizioni di salute con la permanenza in carcere. Il boss è affetto da “sindrome parkinsoniana” e nelle scorse settimane è stato colpito anche da un’ischemia. I medici che lo hanno già visitato hanno sostenuto che può stare in cella, ma dovrebbe stare in un centro carcerario adeguatamente attrezzato. In ogni caso, i periti hanno ritenuto necessario un ulteriore approfondimento, affidato ieri dalla Corte d’appello di Palermo a Oscar Alabiso, primario di Oncologia dell’azienda ospedaliera Maggiore della Carità di Novara, la città nel cui supercarcere il boss è detenuto. Il medico avrà un mese di tempo per valutare la recidiva del tumore alla prostata, operata nel 2003 a Marsiglia, quando Provenzano era latitante. Giustizia: Cuffaro si iscrive a Giurisprudenza, presto avrà una cella singola di Emanuele Lauria La Repubblica, 3 febbraio 2011 L’ex governatore che sta scontando a Rebibbia sette anni di reclusione, ha deciso di ricominciare a studiare per laurearsi in Legge. Il Senato, intanto, ha accolto la richiesta di dimissioni di Cuffaro con 230 sì, 25 no e 17 astenuti. Una laurea in legge. Eccolo, l’ultimo obiettivo di Salvatore Cuffaro, già governatore della Sicilia e senatore, in carcere dal 22 gennaio dopo la condanna a sette anni resa definitiva dalla Cassazione. Cuffaro si è iscritto a un corso speciale della facoltà di Giurisprudenza: potrà sostenere gli esami all’interno del penitenziario di Rebibbia, dove è recluso. “Un modo per tenermi impegnato”, ha confidato l’ex presidente della Regione a Saverio Romano, segretario nazionale del Pid, negli ultimi dieci anni il suo compagno di partito più vicino. Cuffaro ha già una laurea in medicina, con specializzazione in radiologia, ma dall’inizio degli anni ‘90 in poi, successivamente all’elezione all’Ars e all’avvio della sua carriera politica nelle istituzioni regionali, non ha mai esercitato la professione. L’ex governatore, condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia e per rivelazione di segreto istruttorio, la scorsa settimana ha lasciato la cella singola del reparto G12 riservato ai “nuovi giunti”, dove ha trascorso i primi giorni di detenzione, ed è stato trasferito nella sezione G8, sempre al piano terra di Rebibbia, tra i reclusi in cosiddetta “media sicurezza”. Si tratta, in sostanza, di detenuti comuni, che devono scontare una condanna definitiva. Ogni cella ospita quattro persone. Fra i compagni di cella di Cuffaro un uomo ritenuto colpevole di duplice omicidio e un altro finito in carcere per truffa. Per l’ex governatore l’attuale sistemazione potrebbe essere temporanea, in attesa dell’assegnazione a una nuova cella singola, sempre a Rebibbia. A Romano, uno dei numerosi parlamentari che sono andati a fargli visita, Cuffaro ha raccontato anche di aver fatto istanza per svolgere un’attività lavorativa all’interno del grande penitenziario (ospita 1.700 reclusi): difficilmente potrà occuparsi della cura dell’orto del pentitenziario romano, come richiesto in un primo momento. Più probabile che l’ex governatore venga impiegato in biblioteca o in infermeria. “Mi ha detto che passa il tempo leggendo i libri portatigli in dono e le decine di lettere ricevute”, dice ancora Romano. Fra le lettere che più hanno colpito Cuffaro, quella scritta da Enzo Trantino, avvocato catanese e deputato per otto legislature. Trantino riassume così la sua missiva: “Io i miei avversari politici voglio vederli in piedi”, afferma al telefono l’ex esponente di An. “Ho cominciato a fare politica durante le guerre puniche - aggiunge scherzando - e sono stato a lungo all’opposizione dei democristiani. Ma all’uomo Cuffaro ho voluto testimoniare vicinanza, in un momento così difficile: immagino quanto sia dura la legge del carcere e quanto sia doloroso il distacco dagli affetti più cari”. Cuffaro, nei prossimi giorni, perderà la qualifica di dipendente regionale. L’ex governatore è iscritto nei ruoli dell’ispettorato sanitario dal 1989, pur essendo in aspettativa dal 1991. La condanna definitiva per un reato di mafia, infatti, determina per legge il licenziamento. Ma negli uffici regionali la vicenda determina qualche imbarazzo, specie nei dirigenti che sono stati nominati da Cuffaro o che comunque hanno lavorato al suo fianco negli otto anni di amministrazione. La pratica Cuffaro, fra mille cautele, è stata aperta in questi giorni, con una richiesta inviata alla Corte di appello di Palermo: quella di avere il dispositivo dell’ultima sentenza e gli atti relativi al procedimento. Una condizione necessaria per giungere all’inevitabile licenziamento. Anche se, fino all’ultimo, nelle stanze del dipartimento Personale e ai vertici di Palazzo d’Orleans viene espressa la speranza di una mossa “autonoma” da parte di Cuffaro: quella di una lettera di dimissioni simile a quella presentata al Senato. Un atto auspicato da dirigenti e funzionari per eliminare alla radice un problema non di poco conto: quello di mettere la firma sotto il provvedimento che metterà alla porta della Regione l’ex grande potente, l’uomo che ha dettato l’agenda della politica siciliana per almeno un paio di lustri. E che nell’amministrazione regionale ha dettato legge sino all’inchiesta per mafia. E a una forzata uscita di scena. Il Senato, intanto, ha accolto la richiesta di dimissioni di Cuffaro con 230 sì, 25 no e 17 astenuti. Tutti i gruppi hanno dichiarato di votare a favore delle dimissioni. Soltanto il sottosegretario Carlo Giovanardi è intervenuto in dissenso dal suo gruppo spiegando che “sono pieno di dubbi e qui siamo in un caso al di qua di ogni ragionevole dubbio. Personalmente non ritengo che Cuffaro abbia favorito la mafia”. Lettere: droga & carcere, lo sbaglio di uno rischiano di pagarlo tutti di Don Franco Tassone La Provincia Pavese, 3 febbraio 2011 Sono rimasto colpito dalla cronaca che ha dato rilievo al sequestro di droga a un dipendente della cooperativa Convoglio che cura il reinserimento dal carcere. Vorrei esprimere solidarietà e amicizia ai volontari perché lo sbaglio di uno potrebbe sminuire l’opera educativa e di recupero di tanti fratelli ristretti in 11 anni di lavoro nel sociale. Cosa sappiamo del pianeta carcere? Sappiamo che a Torre del Gallo il carcere era nato per 150 persone e nel giro di qualche anno sono arrivati a 400 con la saldatura di letti a castello raddoppiando la capienza, senza aumentare i bagni e il personale di riferimento educativo. La “sorpresa” che si conosce da mesi è che sul campo da pallone sorgerà una palazzina con altri 400 detenuti per un totale di 800. Solo il gesto profetico di don Penna e dei primi volontari che hanno reso credibile il vangelo dell’”ero in carcere e sei venuto a visitarmi” ha portato speranza a tanti reclusi. Sarà ancora vera l’espressione che la responsabilità penale è personale e quindi sosterremo ancora l’opera di rinascita di questi fratelli? Nel mio piccolo vorrei dire di sì, invitando il presidente della cooperativa a parlare ai giovani in parrocchia e porterò i miei studenti in carcere per far loro toccare con mano come l’art. 27 della Costituzione viene tradito quando prescrive: “La pena deve essere rieducativa”. Sosteniamo il Convoglio, per non far deragliare la solidarietà nella nostra città. Sardegna: istituito il Garante delle persone detenute, una “battaglia vinta” dalle associazioni Redattore Sociale, 3 febbraio 2011 Dopo anni di battaglia delle associazioni per i diritti dei detenuti, una legge regionale istituisce la figura. Avrà il compito di effettuare un costante monitoraggio così da migliorare le drammatiche condizioni. A far paura è il sovraffollamento. Istituito in Sardegna il garante delle persone detenute. Il Consiglio regionale ha approvato nell’ultima seduta la legge istitutiva, dopo una lunga battaglia promossa dalla consigliera Claudia Zuncheddu (Rosso Mori) e dall’Associazione 5 Novembre per i diritti civili che già da anni sono mobilitate per migliorare le condizioni di vita carceraria e dei parenti dei detenuti. Una legge che arriva proprio nel momento di massima emergenza, con gli istituti di pena tornati oltre la soglia massima di capienza e gli agenti di sorveglianza costretti quasi ovunque a turni massacranti per garantire la sicurezza all’interno delle carceri. Ad avere il via libera del Consiglio regionale è stato un testo unificato che unisce la proposta della consigliere Zuncheddu con quella della Commissione per i diritti civili. “Il Garante sarà un organo autonomo, esterno e indipendente con il compito di garantire l’effettivo rispetto dei diritti sociali e civili alle persone detenute nelle carceri - spiega Roberto Loddo, dell’associazione 5 novembre - questa figura deve essere scelta fra personalità di alto profilo morale con esperienza nel settore del diritto penitenziario. Al fine di consentirgli un buon operato al Garante devono essere attribuite diverse funzioni, tra le quali la collaborazione con le istituzioni giudiziarie e penitenziarie, con le associazioni e con gli operatori del trattamento intramurale ed extramurale, con le direzioni degli istituti e con gli agenti e ufficiali della polizia penitenziaria, così come la promozione e il sostegno di iniziative culturali promosse a favore e dai detenuti”. La nuova figura si occuperà anche di tenere informate le istituzioni, prime fra tutte la regione, sulle condizioni di vita dei detenuti, avendo anche la possibilità di avanzare delle proposte d’intervento. Un passo importante - hanno commentato le associazioni che si occupano di detenuti e familiari - rispetto al “disastro di legalità e giustizia all’interno delle mura che porta inevitabilmente alla violazione dei Diritti dell’Uomo contemplati dal Diritto Internazionale”. “La proposta di istituire il Garante - prosegue Loddo - nasce dalla drammatica situazione carceraria sarda. Un’emergenza, denunciata non solo dalle associazioni di volontariato, dalle famiglie dei detenuti e dalla stampa, ma da diversi consiglieri regionali che nel corso delle visite agli istituti carcerari della Sardegna hanno potuto rilevare in prima persona. Le carceri sarde vivono un vero e proprio disastro di legalità e giustizia: il sovraffollamento, con esubero di detenuti e carenze di personale, le precarie condizioni igieniche, lo stato di abbandono generale, porta inevitabilmente alla violazione dei diritti dei detenuti. Dobbiamo pensare a una Riforma Carceraria seria e adeguata ai tempi, quindi alle profonde trasformazioni sociali e alle nuove esigenze relative alla necessità di depenalizzare i reati comuni come quelli legati alle tossicodipendenze. Dei dodici istituti in Sardegna, tre sono colonie penali, il cui isolamento geografico e la distanza dai centri urbani dotati di strutture sanitarie pone nuovi problemi legati al fatto che attualmente i detenuti, in alta percentuale tossicodipendenti affetti da patologie infettive gravi, nonché psichiatriche, necessitano di assistenza medica costante e di centri per le emergenze, facilmente raggiungibili”. Comunicato stampa Claudia Zuncheddu - Consigliera Regionale Rossomori Roberto Loddo - Associazione 5 Novembre Siamo di fronte ad un passo importante, che permetterà di dotare la Sardegna di una figura di tutela fondamentale, sempre più necessaria in un momento come questo che vede la questione carceri trasformarsi in vera e propria emergenza sociale. La proposta di Legge che istituisce la figura del “Garante regionale per i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”, nasce dalla drammatica situazione carceraria sarda. Un’emergenza, denunciata non solo dalle associazioni di volontariato, dalle famiglie dei detenuti e dalla stampa, ma da diversi consiglieri regionali che nel corso delle visite agli istituti carcerari della Sardegna hanno potuto rilevare in prima persona. La necessità e l’importanza di istituire la figura del “Garante per i diritti delle persone private della libertà personale” nasce dall’esigenza di creare un collegamento tra i detenuti, le famiglie, le associazioni, le cooperative sociali e le istituzioni. Una figura di mediazione che vigili sul rispetto e l’attuazione dell’Articolo 27 della costituzione, che afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Infatti, il detenuto, conserva integro il diritto alla salute, alla dignità personale, e deve poter accedere, se vuole a trattamenti di recupero e reintegro, anche con lo studio, la formazione, il lavoro in carcere, l’uso del tempo anche in attività di gioco e di socialità con altri detenuti o con operatori volontari laici o religiosi. Il disastro e l’emergenza nelle carceri sarde Le carceri sarde vivono un vero e proprio disastro di legalità e giustizia. il sovraffollamento, con esubero di detenuti e carenze di personale, le precarie condizioni igieniche, lo stato di abbandono generale, porta inevitabilmente alla violazione dei Diritti dell’Uomo contemplati dal Diritto Internazionale. Ma di certo la soluzione non è da ricercarsi in “nuovi” istituti carcerari. Dobbiamo pensare a una Riforma Carceraria seria e adeguata ai tempi, quindi alle profonde trasformazioni sociali e alle nuove esigenze relative alla necessità di depenalizzare i reati comuni come quelli legati alle tossicodipendenze. Dei dodici istituti in Sardegna, tre sono colonie penali, il cui isolamento geografico e la distanza dai centri urbani dotati di strutture sanitarie pone nuovi problemi legati al fatto che attualmente i detenuti, in alta percentuale tossicodipendenti affetti da patologie infettive gravi, nonché psichiatriche, necessitano di assistenza medica costante e di centri per le emergenze, facilmente raggiungibili. Le funzioni del garante dei detenuti Dalla Sardegna, dove gli operatori stanno facendo l’impossibile per evitare situazioni estreme, arriva finalmente un segnale di civiltà giuridica. Nella giornata di oggi, il consiglio regionale approva il testo unificato delle proposte di legge della commissione diritti civili e della consigliera regionale Claudia Zuncheddu. Il Garante sarà un organo autonomo, esterno e indipendente con il compito di garantire l’effettivo rispetto dei diritti sociali e civili alle persone detenute nelle carceri. La figura del Garante deve essere scelta fra personalità di alto profilo morale con esperienza nel settore del diritto penitenziario. Al fine di consentirgli un buon operato al Garante devono essere attribuite diverse funzioni, tra le quali la “collaborazione con le istituzioni giudiziarie e penitenziarie”, con le “associazioni e con gli operatori del trattamento intramurale ed extramurale”, con le “direzioni degli istituti” e con gli “agenti e ufficiali della Polizia penitenziaria”, la promozione e il sostegno di iniziative culturali promosse a favore e dai detenuti. Il Garante dovrà favorire l’attuazione dei punti di programma indicati nei vari protocolli di intesa tra il Ministero della giustizia e la Regione autonoma della Sardegna, fra i quali ricordiamo: la territorialità della pena: problema ricorrente nei nostri dibattiti e a tutt’oggi irrisolto per i sardi, visto che esiste una Legge italiana che non viene applicata in Sardegna; la promozione ed educazione alla salute dei ristretti negli istituti penitenziari della Sardegna; il trattamento di tossico e alcool dipendenti; l’istruzione; il reinserimento lavorativo e sociale. Toscana: necessario un tavolo nazionale sull’emergenza carceri Ansa, 3 febbraio 2011 L’assessore al welfare Salvatore Allocca ha risposto ad un’interrogazione presentata da Idv e Pd sulle gravi condizioni di sicurezza delle strutture penitenziarie. “Abbiamo ripetutamente chiesto al ministero della Giustizia un tavolo sull’emergenza carceri. La conferenza delle Regioni, anche con la spinta propulsiva della Toscana, ha prodotto atti formali in questo senso”. Così l’assessore regionale al Welfare Salvatore Allocca ha risposto ad un’interrogazione presentata dai consiglieri Maria Luisa Chincarini (Idv), Ivan Ferrucci (Pd) e Pier Paolo Tognocchi (Pd) in merito alle “gravi condizioni di sicurezza nelle strutture penitenziarie toscane ed in particolare all’evasione di due detenuti nel carcere di Pisa”. L’assessore, pur condividendo le preoccupazioni sollevate nell’interrogazione, ha specificato compiti e responsabilità della Regione: “A noi e agli enti locali compete, tra l’altro, monitorare e favorire la migliore integrazione possibile con le comunità locali competenti attivando forme di sostegno, mettendo a disposizione risorse, coordinando progetti e garantendo sinergie sostenibili. Sinergie definite peraltro nei cinque protocolli d’intesa firmati con l’amministrazione penitenziaria a gennaio 2010”. Allocca ha quindi fatto presente che “sono costanti le relazioni inter istituzionali con il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e con il centro di giustizia minorile, monitorate tramite un apposito osservatorio permanente, che prevede la partecipazione attiva anche di rappresentanti Anci, Uncem e Upi”. La consigliera Chincarini (Idv) si è dichiarata soddisfatta della risposta. Marche: l’Osservatorio sulle carceri per la retroattività dei risarcimenti per l’ingiusta detenzione di Marcello Pesarini (Osservatorio Permanente sulle carceri) Ristretti Orizzonti, 3 febbraio 2011 L’Osservatorio permanente sulle carceri, associazione di volontariato che agisce nel mondo della giustizia dentro e fuori dai penitenziari delle Marche, condivide le preoccupazioni manifestate dal presidente della Corte d’Appello Paolo Angeli in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario ad Ancona. L’affermazione, che i cittadini sono demotivati ed esitano a sporgere denuncia civile, è supportata dalle cifre che vedono le cause civili passare dalle 84.491 nel 2009 alle 81.220 nel 2010. La giustizia, sostiene l’Osservatorio, soffre dalla diminuzione di strumenti disponibili, e da una serie di impedimenti al dispiegarsi delle sue regole, come per vari processi civili legati alla ricongiunzione delle carriere, ai pensionamenti per cause di servizio, a vari altri procedimenti di indubbio significato sociale nei quali il gratuito patrocinio viene a mancare. Nelle Marche molti esponenti della cultura, della politica, del diritto, hanno firmato e sostenuto un appello per la messa in discussione in Parlamento di una proposta di legge per l’estensione della riparazione alla ingiusta detenzione, provvedimento i cui benefici sono limitati alle cause depositate dopo il 1989. Su 4.500.000 casi accertati di ingiusta detenzione dalla fine della II Guerra mondiale sono solo 100.000 le persone che hanno potuto beneficiare della legge, anche perché essa non è retroattiva. Di fronte al rischio che la proposta di legge del governo Berlusconi sulle intercettazioni telefoniche indebite venga approvata, con cinque anni di retroattività. I firmatari della proposta Bernardini (ce ne sono altre analoghe depositate in Parlamento) delle Marche Antonio Distasi, Andrea Ricci, Stefano Azzarà, Paolo Sospiro, Gabriele Sospiro, Sergio Sinigaglia, Roberto mancini, Giuliano Brandoni, massimo Rossi, Maria Lenti, Samuele Animali, Associazione Universitaria Acu Gulliver, Marino Severini (Gang) e Loris Calcina sostengono che anche attraverso l’approvazione di questo testo si porti maggiore giustizia e di conseguenza maggiore credibilità per la stessa. Monza: detenuto di 35 anni muore dopo tre ricoveri in ospedale, si sospetta un’encefalite Asca, 3 febbraio 2011 Aveva trentacinque anni il detenuto di nazionalità marocchina deceduto due settimane fa all’ospedale “San Gerardo” in circostanze ancora tutte da chiarire. Da circa sette mesi recluso nella casa circondariale di Monza, il giovane era stato ricoverato d’urgenza per tre volte in ospedale nell’ultimo mese, l’ultima solo due settimane fa. In tutti e tre i casi la diagnosi, stando a quanto riferito dal direttore del carcere cittadino Massimo Parisi, sarebbe stata encefalite. “I medici mi hanno assicurato che non si tratta di una patologia contagiosa, che possa mettere a repentaglio la salute della popolazione carceraria entrata in contatto con il detenuto deceduto”, ha precisato il direttore. Riscontri diagnostici - Per spiegare le ragioni ancora poco chiare del decesso, il nosocomio cittadino ha predisposto un riscontro diagnostico approfondito. “Sarà necessario attendere almeno quaranta giorni per avere i risultati delle indagini - ha confermato Laura Radice, direttore sanitario del presidio ospedaliero “San Gerardo”. Una pratica voluta dall’ospedale proprio per fare chiarezza”. Il ragazzo, a quanto riferisce la direzione sanitaria, è stato ricoverato al “San Gerardo” il 20 gennaio ed è morto due giorni dopo. “Non c’è stato quasi il tempo necessario per poter procedere con delle indagini più approfondite - spiega ancora il direttore sanitario -. Il quadro clinico del paziente è peggiorato rapidamente fino al decesso avvenuto solo due giorni dopo l’arrivo in pronto soccorso e il ricovero in terapia intensiva”. Versioni divergenti - Una situazione, quindi, ancora da chiarire. La direzione sanitaria dell’ospedale cittadino infatti conferma un solo ricovero del detenuto marocchino. “Da noi è arrivato il 20 gennaio. Non ci risultano altri ricoveri”, afferma Radice. Tre, invece, sarebbero i trasporti in ospedale di cui parla il direttore del carcere Parisi, che conferma: “L’intervento dei sanitari del “San Gerardo” che operano all’interno del carcere è stato tempestivo tutte le volte, e il fatto che il detenuto sia stato condotto in pronto soccorso per ben tre volte in un mese evidenzia l’accuratezza del servizio. Ogni volta poi il ragazzo veniva dimesso perché i parametri rientravano nella norma”. Incongruenze si riscontrano comunque anche per quanto riguarda l’età del paziente: 35 anni secondo quanto riferito dalla direzione del carcere, 30 per i sanitari del “San Gerardo”. Bisognerà quindi attendere almeno un mese per poter davvero far chiarezza sull’intera vicenda, capire cosa sia successo al detenuto e scoprire cosa lo abbia condotto alla morte. Piacenza: il Garante dei detenuti; in carcere un alto “rischio sanitario” e manca il lavoro Libertà, 3 febbraio 2011 Più che difficile la situazione delle Novate che sta emergendo dalla relazione di Alberto Gromi durante la Commissione affari sociali del comune, in corso in questi minuti a Palazzo Mercanti. Il Garante dei diritti dei detenuti, non si è solo limitato a mettere in evidenza le criticità strutturali di cui soffre il carcere cittadino, ma ha messo nero su bianco alcune proposte che potrebbero alleviare la condizione nella quale sono costretti a vivere i carcerati. Una di queste riguarda il lavoro, per il quale Alberto Gromi, ha voluto lanciare un vero e proprio appello ai settori produttivi di Piacenza. Carcere a rischio legionella Il carcere delle Novate a rischio legionellosi. A lanciare l’allarme è il garante dei diritti dei detenuti, Alberto Gromi, sentito oggi nella commissione servizi sociali del Comune di Piacenza. Il garante sta illustrando ai consiglieri le condizioni della casa circondariale delle Novate. Il quadro che emerge è sconfortante dall’audizione: celle in cui i detenuti sono costretti a trascorrere 20 ore su 24, con arredi non sufficienti, sala doccia con incrostazioni tali da far temere “il rischio legionellosi”, per non parlare del sovraffollamento che porta a far sostanzialmente coabitare detenuti con patologie infettive con altri in perfetta salute. Gromi ha invece grandi lodi per il personale della polizia penitenziaria e per gli educatori. Favignana: Osapp; di notte 2 poliziotti penitenziari per 150 detenuti Ansa, 3 febbraio 2011 Al carcere di Favignana sono reclusi circa 150 detenuti: di notte l’intera struttura è affidata alla vigilanza di due sole unità di polizia penitenziaria. Che fanno di tutto per evitare problemi. Ma non si capisce di chi sia la responsabilità. “Se del Dap, del Provveditore della Regione Sicilia o del Direttore della Casa di Reclusione di Favignana”, dice il vicesegretario generale del sindacato di categoria Osapp, Mimmo Nicotra. “Purtroppo - continua Nicotra - a farne le spese sono la sicurezza ed i cittadini che potrebbero correre seri rischi”. Non si comprende, in particolare, per quale motivo il direttore disponga “del contingente addetto alla navale, che oggi conta 20 unità, di cui 4 nel ruolo degli ispettore, e nessuna di queste non venga impiegata presso la struttura”. Inoltre, delle 2 motovedette in dotazione solo una è operativa. Quindi il personale “navale” non ha momentaneamente impiego completo. “Ecco perché facciamo appello al capo del Dap e al Provveditorato della Regione - conclude il vice segretario generale dell’Osapp: non possiamo permetterci, soprattutto in Sicilia, di non impiegare al meglio il personale della polizia penitenziaria.” Reggio Calabria: l’allarme dei Sindaci, Casa circondariale di Locri nell’emergenza Gazzetta del Sud, 3 febbraio 2011 La grave situazione in cui versa il carcere di Locri, a causa del sovraffollamento di detenuti e di altre problematiche che coinvolgono anche il personale della Polizia penitenziaria, non preoccupare le istituzioni locali. Ne è convinto il presidente del Comitato dei sindaci Salvatore Galluzzo, il quale preannuncia che, alla prima riunione utile, proporrà ai colleghi di concordare ed approvare un documento da inviare al ministro della Giustizia ed al direttore generale del Dap perché si occupino con urgenza del caso Locri. “Sono rimasto colpito - dice Galluzzo al nostro giornale - dal grido d’allarme lanciato dal Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) nella conferenza stampa tenuta insieme col consigliere regionale Giovanni Nucera. Vi sono dei particolari che impongono che anche i sindaci facciano fronte comune e rivendichino che la struttura carceraria locrese sia riportata alle giuste condizioni di vivibilità”. Il presidente del Comitato dei sindaci si dice “fortemente preoccupato perché i rappresentanti del Sappe hanno chiaramente affermato che, allo stato attuale, la Casa circondariale di Locri non garantisce i requisiti minimi di sicurezza per tutto il territorio”. E c’è dell’altro: “La situazione appare lesiva della dignità sia dei detenuti che del personale di Polizia penitenziaria che vi opera, e questo non può certamente essere taciuto”. Il primo cittadino di Gerace, non senza commozione, evidenzia come “il compianto Paolino Quattrone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, si sia sempre battuto, nella maggior parte dei casi per l’affermazione della pena finalizzata al recupero ed al reinserimento sociale di chi aveva pagato il conto con la giustizia e con la società. Battaglie vinte da Quattrone - ricorda Galluzzo - passando prima per un dignitoso adeguamento strutturale degli istituti di pena (cosa fatta qualche anno fa anche a Locri), e poi per una serie di iniziative i cui risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti”. Quell’impegno, quelle fatiche, però, secondo Galluzzo “rischiano di essere vanificati da problemi come il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, di sistemi di sicurezza e, per il personale penitenziario, il superlavoro ed il mancato riconoscimento di molti diritti”. Una situazione che potrebbe esplodere da un momento all’altro e di cui “noi sindaci non possiamo non farci carico; almeno nei limiti delle nostre competenze”. Da qui l’idea di proporre al Comitato un intervento ufficiale. Come si ricorderà, dopo un primo grido d’allarme lanciato il 20 agosto 2010 da Marco Marchese, segretario dell’associazione “Calabria Radicale”, e dal consigliere regionale Demetrio Battaglia (Pd) nell’ambito di “Ferragosto in carcere”, iniziativa adottata su scala nazionale dai Radicali italiani unitamente al Pd, il 25 gennaio scorso, durante una conferenza stampa il Sappe parlò, a proposito della casa circondariale di Locri, di una situazione talmente allarmante che “consiglierebbe di far chiudere immediatamente la struttura per pensare con serietà alla costruzione, sempre a Locri, di un istituto penitenziario di massima sicurezza”. Qualche dato: il carcere di Locri può ospitare 83 detenuti: attualmente ve ne sono 215 di cui il 30% extracomunitari. Il personale ufficialmente in servizio conta 89 unità ma, in realtà, ne sono realmente operative solo 55 che quotidianamente si sottopongono a turni stressanti, e non percepiscono straordinari, avendo un contratto di lavoro “bloccato”. Inoltre manca un servizio di guardia medica servizi di videosorveglianza e tanto altro. Insomma, un allarme giustificato. Fossombrone: stanziati 300mila euro per ripristinare il tetto e l’ala di ponente del carcere Corriere Adriatico, 3 febbraio 2011 Manutenzione straordinaria del carcere. Qualcosa si muove. Il senatore Francesco Casoli, che aveva accompagnato il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati in vista ufficiale all’istituto di pena, ha assicurato alla delegazione territoriale della Fns, Federazione nazionale sicurezza della Cisl, che non ci sono problemi in ordine agli stanziamenti necessari alla realizzazione dei lavori necessari. Le emergenze sono diverse: il tetto pericolante del braccio di ponente, la vecchia chiesa inutilizzata dal cornicione pericolante con la conseguente chiusura di un passeggio, la nuova cucina per rendere funzionale la caserma interna degli agenti di polizia penitenziaria. Manca un direttore stabile poiché non è agibile l’appartamento a lui riservato. Più concreto l’intervento dell’on. Massimo Vannucci. In risposta alla sua interrogazione al Ministro ha reso noto che è stata espletata la gara d’appalto per i lavori di rifacimento del tetto dell’ala di ponente, per una spesa di circa 300 mila euro. Il provveditore regionale agli istituti di pena Raffaele Iannace ha confermato uno stanziamento di 200 mila euro per i lavori di ammodernamento della cucina interna. Il sottosegretario assicura che è stato predisposto un progetto per la realizzazione di due alloggi di servizio, uno per il direttore ed un altro per il comandante di reparto, da realizzare presso l’ex casa Conti adiacente al carcere. Per il muro di cinta il ministero attende la quantificazione, da parte del servizio tecnico del provveditorato regionale per le Marche, degli oneri finanziari per effettuare l’intervento che sarà comunque subordinato alla disponibilità delle risorse economiche stanziate sul pertinente capitolo di bilancio. Le notizie circa il rischio chiusura dello stesso istituto di pena vengono definitive prive di fondamento. La Fns Cisl si dice impegnata su tutto il fronte, evitando qualsiasi strumentalizzazione perché la manutenzione straordinaria dello stabile possa essere avviata concretamente. San Cataldo: carcere sovraffollato, interviene il Garante dei diritti dei detenuti La Sicilia, 3 febbraio 2011 Sulla situazione del carcere di San Cataldo, dove si registra un sovraffollamento di detenuti, è intervenuto anche il garante dei diritti dei detenuti Salvo Fleres, che ha chiesto al direttore della casa circondariale sancataldese “di voler fornire con urgenza le dovute controdeduzioni”. “I detenuti - ha spiegato Fleres - lamentano che il sovraffollamento riduce gli spazi dentro le celle in violazioni dei parametri fissati dalla legge e conseguentemente rende difficile qualsiasi percorso rieducativo e formativo. Inoltre, lo stato di fatiscenza della struttura è causa di infiltrazioni d’acqua durante i temporali e di distacco dei calcinacci che mettono in pericolo l’incolumità dei ristretti. Si lamenta, inoltre, scarsa collaborazione custodiale e di medicina penitenziaria”. Più volte, in passato, i detenuti ospitati nel carcere di San Cataldo hanno lamentato problemi di sovraffollamento, riferendosi pure all’elevata presenza di extracomunitari. Attualmente sono circa 120 le persone detenute nel carcere, e si tratta di un numero che supera la reale “capacità” della struttura carceraria. Il dott. Salvo Fleres ha annunciato che a breve si recherà a San Cataldo per visitare il carcere e ha aggiunto: “Auspico che le autorità penitenziarie intervengano per rendere più vivibile la detenzione alle persone limitate nella libertà personale, nel rispetto dei diritti normativamente previsti”. Parma: Sappe; la denuncia di Condello è inverosimile, nessuna violenza degli agenti Ansa, 3 febbraio 2011 “L’articolo apparso oggi su alcuni quotidiani sul conto del detenuto Pasquale Condello ci lascia molto perplessi per il contenuto e per le non troppo velate accuse che sembrano rivolte alla gestione del carcere di Parma”. Lo afferma, in una nota, Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Nell’articolo - aggiunge - s’ipotizza che il detenuto Pasquale Condello sarebbe vittima di un sistema di torture posto in essere all’interno del carcere di Parma, torture fatte con “piccole scariche elettriche sul suo corpo. Sebbene a basso potenziale, comunque in grado di alterarne lo stato di coscienza e la volontà di determinazione”. Le affermazioni contenute negli articoli, frutto, sembrerebbe, di una denuncia fatta dall’avvocato, ci inducono, come sindacato, a dover dire che nel carcere di Parma, così come in tutti gli altri istituti di pena italiani, c’è il massimo rispetto della legalità e della dignità dei reclusi. Non ci risulta che nell’istituto penitenziario di Parma ci siano mai stati episodi di violenza, posti in essere dal personale di polizia penitenziaria o da chiunque altro vi presti servizio, nei confronti dei detenuti”. Secondo Durante, “non si può continuare a gettare fango gratuitamente su un’istituzione senza avere prove concrete di ciò che si dice o si scrive. Se qualcuno ha elementi precisi è opportuno che si rivolga all’autorità giudiziaria. Siamo noi i primi a chiedere verifiche immediate rispetto ad ipotesi che appaiono inverosimili, oltre che assurde, come l’uso di scariche elettriche contro i detenuti”. Brindisi: detenuto tenta suicidio, salvato da agente Polizia penitenziaria Ansa, 3 febbraio 2011 Un detenuto di 58 anni del carcere di Brindisi, in attesa di giudizio per rapina, ha tentato il suicidio la scorsa notte impiccandosi nella propria cella con un lenzuolo legato alle sbarre della finestra. Lo rende noto il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, secondo cui l’uomo è stato salvato grazie all’intervento di un agente di polizia penitenziaria. “Ormai nella regione Puglia - sottolinea ancora un volta il Sappe - non si contano più i tentativi di suicidio di detenuti che vivono in condizioni igienico-sanitarie drammatiche a causa del sovraffollamento delle celle in cui sono rinchiusi: oltre 4.600 detenuti per non più di 2.300 posti disponibili”. Pisa: il professor Ceraudo va in pensione, ma i detenuti del carcere lo rivogliono al lavoro Il Tirreno, 3 febbraio 2011 Giornata strana, ieri, per il professore Francesco Ceraudo e per chi era abituato a vederlo, ad ascoltare la sua voce e le sue raccomandazioni. Dopo 42 anni di servizio, per il direttore del centro clinico del carcere Don Bosco è giunto il giorno della pensione. “Ho lavorato sempre nel massimo della correttezza e del silenzio ed ho onorato una professione difficile e delicata”, dice Ceraudo. Tanto che alcuni detenuti sarebbero pronti ad uno sciopero della fame pur di riaverlo al centro. “Sinceramente non so niente”, dice il professore, mentre Franco Corleone, garante dei detenuti, commenta: “Non sarebbe certamente una protesta, ma un segno di apprezzamento e stima verso il lavoro e la professione di Ceraudo. Quando si trova una persona sensibile i detenuti danno una risposta di attestato”. Tuttavia, Francesco Ceraudo resterà ancora per un anno direttore del Centro regionale per la salute in carcere. Un incarico importante che lo mantiene ancora nell’esercizio della sua funzione e non è escluso che al professore gli possa venire concessa una proroga anche per continuare a lavorare al centro clinico pisano. In tutti questi lunghi anni, al centro pisano sono transitati pezzi da novanta. “Sono andato a vedere il film su Vallanzasca - dice Francesco Ceraudo - e mi sono ricordato quando il “Bel René” arrivò a Pisa e con lui c’era anche Turatello. Quando ho visto il film, in cui si narra una storia violenta, mi è preso un nodo alla gola. Ci sono tanti ricordi in una vita passata dalla parte dei diseredati”. Volterra (Si): il 18 febbraio “cena galeotta” in favore del movimento dei Focolari Il Tirreno, 3 febbraio 2011 Il carcere di Volterra torna ad aprire le porte al pubblico con le Cene Galeotte, il ciclo di appuntamenti che vedrà i detenuti impegnati nella preparazione di cene d’autore realizzate ogni mese fino a giugno. Il prossimo appuntamento è quello di venerdì 18 febbraio, cena in favore del movimento dei Focolari, chef Laura Lorenzini del ristorante Mocajo di Guardistallo. seguirà l’appuntamento del 18 marzo in favore delle Suore Francescane di S. Elisabetta - India. Chef: Vito Mollica Ristorante Il Palagio, Hotel Four Seasons - Firenze. Poi si replica il 15 aprile, cena in favore di Movimento Shalom - Burkina Faso con Riccardo Monco della Enoteca Pinchiorri e Francesco Lagi - Ristorante Luci della Città, Hotel Hilton. Il 20 maggio, cena in favore di Centri Missionari della Toscana Diocesi di Fiesole - Palestina. Egitto: più di 60 profughi arrestati nel deserto… poi l’assalto dei beduini al carcere egiziano La Repubblica, 3 febbraio 2011 Il tentativo dei beduini di “rubare” i profughi, trattati come “merce” preziosa. Nella sparatoria con la polizia, uno dei trafficanti sarebbe stato ucciso. Tentativo di fuga in massa da parte dei migranti, che però sono stati subito catturati dagli agenti egiziani e di nuovo rinchiusi in cella. Hanno tentato di “rubare” i profughi che avevano tenuto in ostaggio e che la polizia aveva arrestato, come fosse merce preziosa. C’è stato un tentativo di assalto di un gruppo di trafficanti di esseri umani che nel deserto del Sinai egiziano tengono in ostaggio da due mesi centinaia di profughi provenienti da Eritrea, Somalia, Etiopia e Sudan. Durante una sparatoria uno dei trafficanti sarebbe rimasto ucciso, mentre un gruppo di profughi, approfittando del caos, hanno tentato di fuggire, ma subito dopo sono stati ripresi dalla polizia egiziana e di nuovo rinchiusi in carcere “per immigrazione clandestina”. L’odissea infinita. Prosegue così l’infinita odissea dei migranti che da oltre due mesi vivono in un incubo che sembra non finire mai. In seguito alle politiche dei respingimenti attuate in Italia e in Europa, con il blocco delle rotte, che da anni permettevano alle persone che dall’Africa fuggivano da guerre, regimi sanguinari, da fame e soprusi di ogni sorta, di arrivare in Europa, è maturata questa ennesima tragedia umanitaria lungo la linea di confine fra l’Egitto e Israele. Peraltro in un momento in cui al Cairo i pubblici poteri vengono sottoposti alle forti tensioni sociali che tentano di cacciare il regime di Mubarak. I controlli intensificati. Secondo la televisione egiziana, sarebbero stati arrestati anche quattro trafficanti beduini armati e un numero imprecisato di eritrei ed etiopi complici dei predoni. Si presume che i controlli intensificatisi al confine fra i due stati, grazie ad una deroga agli accordi di Camp David concessa da Israele alle autorità egiziane in questo periodo di conflitti interni e di caos nel Sinai, stiano costringendo alcune bande di trafficanti a liberarsi dei migranti detenuti nei campi di prigionia a Rafah, al-Gorah, al-Arish, Sheikh Zuweid e altre località del Sinai egiziano. Rimangono ancora prigionieri gli oltre 100 profughi, che comunque restano in contatto con padre Moses Zerai, direttore dell’Agenzia Habeshia e con Roberto Malini del Gruppo EveryOne. La fiaccolata in Campidoglio. Alcune centinaia di persone hanno partecipto sulla scalinata del Campidoglio, a Roma, ad una fiaccolata per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica italiana e internazionale sugli oltre 200 immigrati, in gran parte eritrei, sequestrati da più di due mesi nel Sinai egiziano. Uno striscione con su scritto “Per la liberazione dei profughi sequestrati nel Sinai” campeggiava ai piedi della scalinata del Campidoglio. La manifestazione era stata promossa, tra gli altri, dal Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir), dall’Agenzia Habeshia, dall’Associazione “A Buon Diritto” e dal Centro Astalli. Numerosi i cittadini romani che hanno voluto così testimoniare la loro solidarietà alle persone tenute in ostaggio dai predoni nel deserto. Nel corso della manifestazione, il sindaco Gianni Alemanno, che indossava la fascia tricolore, è sceso a dare un saluto ai manifestanti, intrattenendosi con alcuni degli organizzatori della manifestazione, con Luigi Manconi di “A Buon Diritto”, con Savino Pezzotta e Christopher Hein, rispettivamente presidente e direttore del Cir, e con padre Giovanni Lamanna, del Centro Astalli. Il capo della Giunta capitolina ha affrontato con tutti loro l’altra annosa questione dei somali che occupano la loro ex sede diplomatica di via dei Villini. L’incontro alla Farnesina. Nella mattinata, i promotori erano stati ricevuti al Ministero degli Esteri da tre sottosegretari, Stefania Craxi, Alfredo Mantica ed Enzo Scotti. “Abbiamo chiesto di individuare con precisione i luoghi dove gli immigrati vengono tenuti in ostaggio dalle bande di predoni - ha detto il presidente di ‘A Buon Dirittò Luigi Manconi - Vista la situazione caotica che c’è in questo momento in Egitto possiamo solo cercare di evitare che le condizioni dei sequestrati peggiorino ancora”. A tenere i contatti telefonici con i profughi è sempre il direttore dell’Agenzia Habeshia, don Mussie Zerai, un sacerdote di nazionalità eritrea. I sequestratori infatti permettono ai prigionieri di effettuare chiamate con il cellulare per convincere i familiari a pagare un riscatto di circa 7 mila euro per ognuno di loro. Don Zerai ha riferito ancora una volta di violenze di ogni tipo che gli immigrati dicono di subire, in particolare le 15 donne e ragazze. La Farnesina si è impegnata a intervenire, attraverso i canali diplomatici possibili, nella vicenda del Sinai egiziano. Le altre adesioni. Fra i manifestanti, c’era anche Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “L’Egitto - ha detto la funzionaria dell’Onu - in questo momento sta affrontando una grave prova, ma questo non deve far passare in secondo piano la sorte di queste persone tenute in ostaggio nel suo territorio”. Le Acli e il Cisp-Sviluppo dei popoli erano presenti alla fiaccolata sulla scalinata del Campidoglio. Antonio Russo, responsabile dell’immigrazione per le Acli: “Il silenzio della comunità internazionale e dell’Europa in particolare - ha detto - desta angoscia e preoccupazione. Questa drammatica situazione è una delle conseguenze della politica europea di chiusura delle frontiere che sempre più, attraverso la costruzione di muri fisici o legali e amministrativi, allontana le persone che cercano protezione dal nostro continente”. Francia: caso Franceschi; la madre incontra l’ambasciatore francese Il Tirreno, 3 febbraio 2011 La morte di Daniele Franceschi approda sul tavolo dell’ambasciatore di Francia a Roma. Oggi, infatti, la madre Cira Antignano sarà ricevuta a Palazzo Farnese dal capo della diplomazia transalpina in Italia. Accompagnata dal presidente del consiglio provinciale di Lucca, Giovanni Gemignani, Cira Antignano racconterà all’ambasciatore francese la morte del figlio Daniele nella sua cella del carcere francese di Grasse dove era detenuto ed esporrà tutti i suoi dubbi su un decesso catalogato come “infarto” ma dietro il quale si nascondono ancora oggi troppi interrogativi irrisolti. E che non tutto sia andato come doveva andare sembra finalmente convincersene anche la magistratura francese. Dal Tribunale di Grasse - come fanno sapere gli avvocati Aldo Lasagna e Maria Grazia Menozzi, legali della famiglia - il giudice che si occupa del caso Franceschi ha infatti incaricato due medici - il professor Telmon (medico legale) e il professor Meyer (cardiologo) - perché esaminino l’intero fascicolo riguardante la sua morte, con particolare riferimento all’autopsia, alla perizia sul defibrillatore, alla perizia tossicologica e a quella anatomopatologica per indicare precisamente le cause della morte dell’operaio viareggino di 36 anni. Nel suo incarico, il giudice chiede inoltre ai due periti di descrivere gli atti e gli interventi praticati su Daniele Franceschi dal servizio medico del penitenziario sia il mattino che il pomeriggio del 25 agosto (giorno della morte) in modo da precisare se questi interventi sono stati adeguati. Infine, il giudice ha chiesto ai periti di esprimere un parere sui risultati del prelievo di sangue effettuato la mattina della morte (risultati di cui i medici hanno preso conoscenza solo dopo la scomparsa di Daniele), di evidenziare le eventuali carenze e di stabilire quali sono eventualmente le persone responsabili. Egitto: detenuti di Hezbollah evadono, leader già in Libano Aki, 3 febbraio 2011 Tra i detenuti che sono riusciti ad evadere dalle prigioni egiziane nei giorni scorsi ci sarebbe anche il libanese Sami Shehab, arrestato nel 2009 dalle autorità egiziane per aver fondato una cellula di Hezbollah nel paese e pianificato una serie di attentati nella zona del canale di Suez. Lo riferisce la tv araba al-Jazeera, secondo la quale Shehab sarebbe evaso insieme agli altri 21 detenuti condannati nel processo contro la cellula egiziana di Hezbollah. Fonti della tv al-Arabiya sostengono che Shehab sia arrivato da alcune ore in Libano. Alcuni palestinesi del gruppo, invece, sarebbero già a Gaza. In un discorso di circa due anni fa, il capo del partito sciita libanese, Hassan Nasrallah, affermò che Shehab si trovava in Egitto “per aiutare la resistenza palestinese”. Messico: trattamento al botulino in carcere per la regina dei narcos, sospeso funzionario Ansa, 3 febbraio 2011 Sandra Avila Beltran era una importante leader dei narcotrafficanti. Meglio conosciuta come la “Regina del Pacifico” non ha rinunciato alla sua “bellezza” in carcere facendosi un “ritocchino” al botulino. Scandalo in Messico, sospesa una dirigente della prigione. Il carcere è un’esperienza devastante per gli innocenti e per le persone oneste, ma può diventare un luogo ameno e spensierato per i “cattivi” che, anche dietro le sbarre, grazie al potere che avevano (e hanno?) al di fuori, godono di qualsiasi privilegio e possono fare qualsiasi cosa. Come esempio emblematico di questo “trend” si potrà certamente citare una notizia che sta facendo il giro del mondo: una “bella” carcerata narcotrafficante messicana si è fatta un “ritocchino” al “botox” nelle patrie galere. Sembra uno scherzo ma pare che la famosa Sandra Avila Beltran meglio conosciuta come la “Regina del Pacifico” (La Reina Del Pacífico in spagnolo e Queen of the Pacific in inglese, era conosciuta internazionalmente) si sia sottoposta all’intervento “anti age” grazie alla complicità di una funzionaria del carcere femminile in cui è rinchiusa e di quattro chirurghi plastici. Per questo il funzionario (una donna) che sembra aver autorizzato l’operazione è stata rimossa dall’incarico. Bei tempi quando in galera entravano solamente lime e seghetti. Ma allora la libertà era più importante dell’apparenza.