Giustizia: un deserto chiamato carcere di Franco Corleone (Garante dei detenuti di Firenze e coordinatore nazionale dei Garanti) Terra, 27 febbraio 2011 La trasmissione di Iacona Presa diretta ha mostrato lo stato indecente delle carceri, il non rispetto delle norme previste dall'Ordinamento penitenziario e dal Regolamento di attuazione, la violazione dei principi della Costituzione sul senso della pena. Purtroppo non solo non scatta l'indignazione, ma addirittura un silenzio atroce copre la tragedia che si perpetua in una Istituzione totale e separata. La rimozione da parte del ceto politico e della cosiddetta società civile non è catalogabile sotto il segno della distrazione ma si rivela come responsabilità colpevole del fiume di sangue che scorre per le migliaia di atti di autolesionismo, le troppe morti "naturali" e il numero abnorme di suicidi, il sequestro di ventimila tossicodipendenti e stranieri che non dovrebbero stare in carcere. Ora si sta consumando l'ennesima beffa, cioè il fallimento della legge sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena inferiore ai 12 mesi. A Sollicciano, carcere di Firenze con quasi mille detenuti, ne hanno usufruito in dieci. ? E pensare che qualche giornalista in veste di imprenditore della paura l'aveva definita una legge "svuota carceri"! Il Coordinamento nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti ha deciso di lanciare una piattaforma per la riforma del carcere e di rispondere alla omertà diffusa. Sono stato eletto Coordinatore e il mio impegno sarà assoluto e senza limiti per porre nell'agenda della politica i temi che possono fare la differenza. "Se non ora quando" potrebbe essere anche la parola d'ordine di questa campagna controcorrente: un nuovo Codice penale che sostituisca il codice Rocco degli anni trenta, il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, il diritto alla salute dei detenuti, la liberazione dei bambini dalla costrizione delle sbarre, lo sviluppo delle misure alternative per favorire il reinserimento. Sono alcuni degli obiettivi che indichiamo per la riforma della giustizia a partire dal carcere. Non le finte riforme per alimentare i privilegi di classe ma partendo dalla situazione degli ultimi realizzare la giustizia giusta. Sappiamo che occorrerà cancellare le leggi criminogene come quella sulle droghe che è responsabile del sovraffollamento. Si tratta di una piattaforma su cui vogliamo costituire una grande unità di avvocati e magistrati e un'azione comune con il Terzo settore per un rilancio del sistema dei diritti e del welfare. La presenza dei Garanti in molte città ha costituito l'unico elemento di novità e di speranza in quello che è stato definito come una discarica sociale. Non ci aspettiamo nulla dal Governo, dal ministro della Giustizia, dall'Amministrazione Penitenziaria. Oggi come oggi neppure dall'opposizione vediamo segni di differenza. Le macerie securitarie e giustizialiste hanno colpito a 360 gradi e la ricostruzione della cultura garantista e civile sarà necessariamente di lunga durata. Le Regioni che hanno oggi la responsabilità di gestire la sanità pubblica in carcere potrebbero avere l'ambizione di governare anche il tema delle pene alternative legandole al territorio. In particolare regioni come Toscana, Emilia - Romagna, Umbria e Puglia dovrebbero nominare i Garanti regionali dei diritti delle persone private della libertà personale con un segno politico preciso, superando un ritardo intollerabile. Costruire una rete alternativa al potere centrale e alla politica inesistente di chi pensa solo a costruire nuove carceri è possibile. Vendola, Marini, Errani e Rossi potrebbero battere un colpo con una sintonia eloquente. E l'ora della politica e dell'iniziativa dal basso. Giustizia: del sistema carcerario… ovvero produrre sofferenza per creare profitto di Italo Di Sabato www.imgpress.it, 27 febbraio 2011 A volte bisogna passarci. Toccare con mano o sbatterci la testa. Viverlo sulla propria pelle, forse, per capire davvero coma si sta in un carcere. Come si sta dalla parte dei detenuti, in cella, venti o ventidue ore al giorno. In tanti non si erano mai posti il problema, prima. Mai avevano spinto la propria immaginazione fino ai cancelli di un penitenziario e oltre. Innanzi tutto, le carceri italiane non sono senz'altro un ambiente sano e vivibile. Mancano spesso i servizi di base (l'acqua, la doccia). Manca lo spazio: le permanenze (intorno alle 70.000) sono quasi il doppio della capienza regolamentare. Un direttore di carcere racconta che gli è capitato di far dormire gli arrestati sul pavimento della palestra, senza brande, materassi e nemmeno una coperta. Le cucine, va da sé, non a norma. Insomma, i luoghi dove sono ristretti quanti hanno violato (o si presume abbiano violato) la legge sono… fuorilegge. In Italia l'ipertrofia dell'area penale fra detenzioni, misure alternative e pratiche pendenti presso i tribunali di sorveglianza è arrivata a coinvolgere 190mila persone. Se a queste aggiungiamo l'indotto costituito dalle famiglie dei detenuti e di tutti coloro che a vario titolo intorno a quell'area lavorano, pur in assenza di dati certi e ufficiali, possiamo immaginare che buona parte della popolazione del Paese è coinvolta. Nel corso di questi ultimi anni, abbiamo indicato le ragioni che a nostro giudizio hanno portato a questi drammatici risultati per alcuni, ed esaltanti per altri, e le soluzioni da noi indicate. Quindi per non ripeterci e per non annoiarvi ne ripercorriamo qui brevemente i capitoli principali per poi dedicarci ad alcune specifiche considerazioni che riguardano la cosiddetta "emergenza carceri". Il passaggio dallo Stato sociale allo Stato penale ha comportato una modifica in profondità della Costituzione materiale aprendo così la strada a uno stravolgimento in senso autoritario ed essenzialmente repressivo dell'intero quadro giuridico con una proliferazione abnorme di leggi che hanno ormai saturato il Codice Penale di nuove fattispecie di reato e aggravamento delle pene. Così oggi ogni persona che non appartiene a una casta, a un'oligarchia o a una potente corporazione può vantare un reato penale e una pena ritagliati sulla misura della propria specificità sociale: si va dal disoccupato, all'immigrato, al disturbato mentale, al senza casa, al tossicodipendente, alla prostituta e così via. Insomma tutti coloro che esclusi per varie ragioni dal mercato del lavoro, per campare, alle volte, praticano comportamenti che la legge indica come devianti e/o criminali. Costoro finiscono così in carcere e costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione lì residente. Il carcere dunque come contenitore del conflitto, come discarica sociale, come non - luogo ormai deputato solo all'incapacitazione di donne e uomini relegati a classi sociali diseredate e per questo ritenute pericolose. Questi i risultati drammatici. Chi invece li considera esaltanti sono gli "imprenditori della paura", ottenuto attraverso devastanti campagne dei media a loro afferenti, si sono costruiti brillanti carriere politiche e occupato prestigiose poltrone lautamente retribuite ai danni di chi paga le tasse. E che magari si ritrova con un figlio in galera colpevole solo di aver condiviso una canna con un paio di suoi amici. La formula è a dir poco geniale: più spaventi i cittadini con emergenze inesistenti, più alta sarà la loro richiesta di legge, ordine e carcere, più si ottiene potere, prestigio e ricchezza soddisfacendoli. La diretta conseguenza di questa scelleratezza si evidenzia nell'aumento delle guerre fra poveri, in quote di popolazione che scivolano verso il razzismo e la xenofobia, nella coesione sociale sempre più compromessa, in larghe fasce di cittadinanza dove si fa largo l'idea che ponendo tutto il potere nelle mani di un solo uomo per trovare sollievo alle proprie ansie, anche a costo della propria libertà, è uno scambio conveniente. La dura lezione subita dal Paese conclusasi solo 65 anni fa evidentemente non è servita a nulla. Ora si scopre "l'emergenza carcere": i detenuti sono 68.527 per soli 44.612 posti letto. Praticamente non ci sono più nemmeno i posti in piedi. I semiliberi sono appena 877. Alla faccia del carcere che mette fuori facilmente. L'area penale esterna, cioè quelli che scontano misure alternative per condanne, inferiori o residuali, sotto i due - tre anni, sono 12.492. Tra questi quelli che hanno commesso reati sono appena lo 0,23%. Nel paese dove si racconta che l'ergastolo non esiste più, i "fine pena mai" sono 1.491. I detenuti con meno di 25 anni sono invece 7.311, i bambini sotto i tre anni 57. Quelli che hanno commesso violazioni della legge Fini - Giovanardi sulle droghe 28.154, il doppio della media europea. 113 i morti in carcere, di cui 72 suicidi e 18 ancora da accertare. Nel 2010 i suicidi sono stati 66, oltre 40 casi di morti che con un pietoso eufemismo sono definite "sospette". In questi primi 2 mesi del 2011 registriamo 9 suicidi su un totale di 17 morti nelle carceri. Ad avere solo un anno da scontare sono 11.601, a riprova del fatto che in carcere è più facile entrare che uscire. 43,7% i reclusi (record europeo) ancora giudicabili, tra questi 15.233 in attesa del primo giudizio. Siamo il paese del carcere preventivo, della pena anticipata, della sanzione senza processo dove finiscono solo poveri, immigrati, tossicodipendenti, infermi di mente con una mancanza di educatori e psicologi; agenti della Penitenziaria massacrati di turni di lavoro con straordinari non pagati; dignità e diritti calpestati per tutti. Della narrazione di questo disastro sociale e umanitario però vorremmo sottolineare un aspetto al quale si pone poca attenzione e di cui i cittadini dal pensiero libero, a nostro avviso, dovrebbero preoccuparsi: il sovraffollamento è maltrattamento, è negazione dei diritti umani basilari e della dignità personale. Questo induce il detenuto a considerarsi una vittima e a rimuovere di conseguenza il reato commesso o ad autoassolversi in nome della vita disumana che gli è imposta e di cui non riesce a capirne il senso se non come una punizione ottusa e ingiusta. Quindi invece di essere portato a imboccare la strada della riflessione critica sul proprio passato e iniziare un percorso di responsabilizzazione, egli occupa i suoi pensieri e il suo tempo nel difendersi e a sopravvivere, percependo le Istituzioni come un nemico da combattere nella misura in cui le stesse tentano di distruggere la sua identità psicofisica. Il maltrattamento, questo meccanismo violento e perverso, oltre a ledere pesantemente l'articolo 27 della Costituzione, oltre a far meritare all'Italia continue condanne da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e della Corte di Strasburgo, nonché di altre importanti associazioni umanitarie internazionali come Medici Senza Frontiere e Amnesty International, crea un'alta percentuale di recidiva. Dal carcere, dalle condizioni di non - vita, non potrà che uscire un individuo peggiore, il quale motiverà a sé stesso la commissione di nuovi reati anche come esercizio di rancore e vendetta per le condizioni di carcerazione subite. Alle Istituzioni di questo Paese, che hanno fatto dell'assenza di memoria storica un interessato metodo, vorremmo ricordare che addirittura Giovanni Giolitti, in un suo discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 12 luglio 1898, parlò di un alto numero di recidivi a causa del "pessimo ordinamento delle nostre carceri, la maggior parte delle quali, per il modo come sono costruite e tenute, sono scuole di delitti, anziché luoghi di riabilitazione". Il fallimento dell'applicazione penale in carcere, e non da ora come si è visto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l'onestà di voler vedere. Il carcere stesso perciò non ha alcun senso e va superato. Ma si continua a far finta di niente. Così, reiterando il loro deprecabile e pericoloso comportamento, gli "imprenditori della paura" hanno pensato un'altra geniale idea: laddove ogni persona di buon senso indica la soluzione del sovraffollamento nella massima estensione delle pene e delle misure alternative; nell'abolizione di tutte le leggi che provocano carcerazione inutile e su base ideologica; nella riforma del codice penale, di procedura penale e del regolamento penitenziario; nella depenalizzazione dei reati minori e nella radicale diminuzione della custodia cautelare, costoro hanno deciso l'esatto contrario nel dare il via ad un piano faraonico che prevede la costruzione di nuovi istituti. Il Piano per l'edilizia penitenziaria affidato al neo nominato Commissario straordinario Ionta, prevede la realizzazione in tre anni di oltre 21mila nuovi posti distribuiti in 47 padiglioni e in 18 nuovi istituti, di cui 10 "flessibili" (di prima accoglienza o destinati a detenuti con pene lievi), per un totale di 1,5miliardi di euro, di cui 600milioni già stanziati in Finanziaria. Lo strumento sarà la Protezione Civile di Bertolaso, il quale è già molto impegnato nel districarsi dagli avvisi di garanzia ricevuti e a sostituire tutti gli uomini che gli hanno messo in galera per lo scandalo "Maddalena G8". Il modello sarà il "Maddalena G8", appunto. Quindi, ordinanze a pioggia in deroga a ogni legge esistente in tema di appalti e individuazione dei terreni da cementificare con divieto ai rispettivi sindaci di ricorrere agli organi competenti; secretazione di ogni atto; militarizzazione dei cantieri e ogni altra inquietante disposizione che troverete nella legge 26 febbraio 2010 n. 26. Anche qui, per ragioni di spazio, una estrema sintesi delle nostre considerazioni: 1) In assenza delle riforme che più sopra abbiamo indicato ogni mese entrano in carcere mediamente 1.000 persone. Un banale calcolo aritmetico ci chiarisce che il ritmo di entrata dei cosiddetti nuovi giunti è immensamente più veloce di quello occorrente per la costruzione dei nuovi istituti. Il risultato è che essi sono sovraffollati e insufficienti già ora sulla carta poiché fra 3 anni il numero complessivo dei detenuti supererà abbondantemente i 100.000. Il Piano carceri di Ionta è già fallito ancora prima di avere inizio. 2) Fincantieri ha presentato al Ministero della Giustizia il progetto finito dei barconi - carcere con tanto di modellino in scala. Se non fosse per il solito problema di spazio avremmo un ragionamento piuttosto articolato da fare in proposito, proviamo perciò a condensare il tutto in una sola parola: barbarie. Alcuni sindacati di Polizia Penitenziaria hanno dichiarato che l'idea non è niente male. Noi rimaniamo in attesa di vedere quanti dei loro aderenti saranno disposti a prestare servizio su quelle disumane trappole galleggianti. 3) Sarebbe il caso di recuperare un minimo di onestà e ammettere senza reticenze davanti agli italiani che il Piano carceri è: un fallimento sul piano tecnico; pura propaganda sul piano politico; un grande business elargito ai soliti noti, e probabilmente altro superlavoro per la Procure di mezz'Italia. 4) Si dimostra così che nell'era del totalitarismo del mercato dove etica e moralità pubbliche sembrano inesorabilmente avviarsi verso l'estinzione, dove tutto è ridotto a merce, dove la politica non è più null'altro che la prosecuzione degli affari con altri mezzi, anche la produzione di sofferenza umana crea profitto economico. Per quanto ci riguarda, ribadiamo ancora una volta che il problema non è costruire nuove carceri, ma diminuire drasticamente il numero di detenuti. Giustizia: impedire il rito abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo… una buona legge di Bruno Tinti (Procuratore del Tribunale di Torino) Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2011 B&C hanno fatto una legge che impedisce il rito abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. Questa volta non si può dire che vogliano salvare il loro capo: non pare che B. abbia commesso delitti di questo tipo: corruzione, falsi in bilancio e frodi fiscali sì; forse concussione e prostituzione minorile pure; ma assassinii pare di no. Quindi la legge dovrebbe avere un suo perché. E, in effetti, ce l'ha. I cultori del luogo comune si riempiono la bocca con la "ferocia" delle pene detentive: Tizio è stato condannato a 10, 15, 20 anni di prigione: orrore! E, per l'ergastolo: "Fine pena mai!", cosa indegna di uomini civili! Stupidaggini. Le pene detentive, in Italia, non sono mai quelle che sembrano. 30 anni di prigione, in concreto, sono circa 8 anni e 7 mesi. Capisco che pensate sia una balla, ma vi giuro che è proprio così. Nel nostro ordinamento vi sono 4 straordinari istituti: la legge Gozzini, i permessi premio, la semilibertà e l'affidamento in prova al servizio sociale. Secondo la legge Gozzini, ogni anno di prigione vale 9 mesi perché, ogni anno, 3 mesi vengono abbuonati. Non è proprio automatico; bisogna che il detenuto non abbia fatto casino. Avete capito bene: non deve aver tenuto una buona condotta, aver fatto opere di bene, essersi adoperato nell'interesse della comunità carceraria o cose del genere. No, basta che non abbia piantato grane. Se non rompe, gli regalano 3 mesi ogni anno. I permessi premio si possono dare nella misura massima di 1 mese e mezzo all'anno; e di fatto così avviene. Quindi ogni anno di prigione in realtà sono 7 mesi e mezzo. Dopo 15 anni il condannato può avere la semilibertà: di giorno va a lavorare e la notte torna in carcere. Solo che questi 15 anni, in concreto, sono 11 anni e 7 mesi per via di Gozzini e permessi premio. Sicché, dopo 11 anni e 7 mesi, un condannato a 30 anni di galera in prigione ci torna per dormire! Ma non basta: quando gli mancano 3 anni per finire la pena, anche la semilibertà viene eliminata e il nostro galeotto viene affidato in prova al servizio sociale. Insomma, e fidatevi dei calcoli, uno che è condannato a 30 anni di galera, in realtà fa 8 anni e 7 mesi circa. Ora, succede che, se un imputato di omicidio o di qualche altro delitto che prevede l'ergastolo chiede il giudizio abbreviato, per una serie di motivi che non sto a spiegare, può essere condannato, al massimo, a 30 anni di galera. Che, come si è visto, sono in realtà 8 anni e 7 mesi. Mentre, se fosse processato con il giudizio ordinario e si beccasse l'ergastolo, farebbe almeno 15 anni e 4 mesi circa. Eh, proprio così: perché anche per l'ergastolo valgono tutti quei benefici che ho elencato più sopra; solo che i calcoli sono un po' diversi. Insomma, con la legge voluta da B&C , i peggiori delinquenti almeno un po' di galera (un po', altro che "fine pena mai") se la fanno. Il che mi pare cosa buona e giusta. Chi ha votato con B&C? Idv. E ha fatto bene perché una proposta buona, ovviamente, non diventa cattiva perché la fa uno cattivo. E chi ha votato contro? Il Pd. E ha fatto male, perché non è così che si fa opposizione. Soprattutto quando, mentre era al governo, si è "dimenticato" di abrogare la legge sul falso in bilancio e di farne una sul conflitto di interessi. Giustizia: bambini (e mamme) dietro le sbarre di Luisa Betti Il Manifesto, 27 febbraio 2011 "Mi viene da piangere, non ci posso pensare. Sono 18 anni che portiamo questi bambini all'asilo tutti i giorni, speravo che non saremmo più andati a prenderli in carcere e invece eccoci qua, adesso sarà peggio di prima". È con tono deluso e amareggiato che risponde al telefono Leda Colombini, presidente dell'Associazione Roma, Insieme che da sempre si occupa dei piccoli in carcere con le mamme. "La modifica per cui una mamma con un bambino fino a 6 anni non entra in carcere è ottima – continua Colombini parlando del testo passato alla Camera la scorsa settimana e ora al vaglio del Senato - ma bisogna vedere come si sviluppa il resto, perché l'aver tralasciato il problema delle donne che la legge Finocchiaro non aveva risolto, è gravissimo: il problema riguarda le recidive e le senza fissa dimora, e quindi rom, straniere e tossicodipendenti che entrano e escono dal carcere con i bimbi e che non possono usufruire delle misure alternative". Per l'attuale legge italiana una donna incinta, o con un bambino fino a 3 anni, che debba scontare una pena detentiva o che sia in attesa di giudizio, può usufruire di norme eccezionali: il giudice può concedere la detenzione domiciliare o far scontare la pena in casa famiglia, affinché la crescita del piccolo non sia turbata. A patto però che la donna abbia alcuni requisiti, ad esempio una dimora fissa, e che non sussista il pericolo di reiterazione dei delitti o di fuga. Altrimenti la donna sconta la pena in una struttura carceraria con la facoltà di portare con sé il bambino il quale, al compimento del terzo anno di età, uscirà e, nel caso non abbia parenti o tutori, verrà affidato a un istituto o sarà dato in adozione. Nella video-inchiesta "Il carcere sotto i tre anni di vita", realizzata da chi scrive qualche tempo fa e andata in onda lo scorso anno su Rainews24, Lucia Zainaghi, direttrice del Carcere femminile di Rebibbia a Roma, sottolineava situazioni di grave depressione delle detenute madri, piegate dal forte senso di colpa non solo verso i bambini che avevano in carcere, ma anche verso quei figli, ancora piccoli, che avevano lasciato a casa. "Lo stato psicofisico delle madri – diceva Zainaghi - spesso si rispecchia nel disorientamento dei figli, e il grande senso di umiliazione e vergogna nei confronti di questi bambini è alternato al forte desiderio di ricominciare una vita nuova proprio per evitare di riportare i piccoli in carcere e di dover abbandonare il resto del nucleo familiare". Il dato evidente era che queste detenute erano nella quasi totalità rom o straniere, in carcere prevalentemente per furto o rapina, consumo e spaccio di stupefacenti, o per prostituzione. "Qui è da tempo che non vediamo più donne italiane con i loro bimbi, il problema era già stato risolto con la Legge Finocchiaro", spiega oggi Eugenia Fiorillo, educatrice nel Carcere femminile di Rebibbia, confermando che la situazione non è cambiata. "Quello che bisognava risolvere – continua - era appunto la massiccia presenza di senza fissa dimora e di recidive, ovvero nomadi e straniere che, in quanto tali, non possono accedere alla detenzione domiciliare e che quindi vengono in carcere portando con sé bambini anche piccolissimi". Il nuovo testo di legge, qualora passi al Senato, alza il tetto dell'età del bambino, per cui per una donna con prole fino a 6 anni "non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere", ma ribadisce "salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza" senza specificare quali. "Questo testo lascia nel vago alcuni punti cruciali - dice Maria Cristina Cerrato, avvocato penalista di Differenza Donna - come la clausola esigenze cautelari che ovviamente si riferisce a un problema di sicurezza, ma che alla fine lascia la decisione alla discrezionalità dei giudici i quali, se vogliono, possono decidere di non concedere la norma eccezionale anche se c'è un bambino molto piccolo". Infine il testo licenziato alla Camera recita che, ove la donna non possa usufruire della detenzione domiciliare, "se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano". Ovvero non solo ribadisce la discrezionalità del giudice con quel può (e non deve) e con le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ma mette in campo le Icam, appunto gli Istituti di custodia attenuata per mamme, gestite sempre dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) in cui le guardie carcerarie sono in borghese e le detenute hanno spazi più agevoli. Anche se esiste un problema: di questi istituti in Italia ne esiste solo uno a Milano, per il resto bisogna aspettare il 2014 perché devono ancora essere costruiti, e quindi "le disposizioni introdotte dal presente articolo si applicano nei limiti dei posti disponibili". E nel frattempo queste donne con i figli piccoli dove vanno? Probabilmente in carcere come adesso o, dove la norma lo permetta, in case famiglia protette che dovranno comunque essere valutate in termini di "sistemi di sorveglianza e di sicurezza" dallo stesso Ministro della Giustizia il quale dovrà fare un decreto con una lista di riferimento ove risultino idonee a ospitare le detenute; e tutto ciò sempre che non sussista "un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga". Pericolo che riguarda appunto le recidive, per lo più rom che per furto entrano e escono dal carcere, e che ancora oggi costituiscono la gran parte delle mamme in cella con bambini piccoli. Ma allora perché quel che doveva servire a tirare fuori definitivamente tutti i bambini dal carcere, senza distinzioni perché i bambini sono tutti uguali, è stato tolto dal testo? "La Lega ha insistito tantissimo – spiega Rita Bernardini, deputato radicale promotrice di questa legge fin dall'inizio – e non c'è stato niente da fare, è un accordo bipartisan e solo noi ci siamo astenuti. Quando mi sono infuriata con una deputata del Pd, lei mi ha risposto che questo era il massimo che potevamo ottenere dalla Lega. Alla fine, le ragioni della sicurezza collettiva hanno prevalso sul diritto del bambino". Un compromesso tra forze politiche inciso sulla pelle dei bambini che sposta poco rispetto alla normativa attuale e che in alcuni casi può anche aggravarla. La proposta fatta con le associazioni che da anni si occupano di questo problema chiedeva di valutare caso per caso e di mandare nelle Icam solo le condannate per reati gravissimi, mentre le altre mamme detenute dovevano essere fuori da ogni struttura carceraria, sempre e comunque: o con la detenzione domiciliare o seguite individualmente in case famiglia con i loro bambini e reintegrate nella società attraverso un percorso di recupero con i piccoli. "Il problema – spiega Bernardini - è che una detenuta impossibilitata a usufruire di queste norme entrerà e uscirà sempre dal carcere portandosi dietro i figli, perché una volta scontata la pena tornerà nell'ambiente che l'ha indotta a delinquere. Per non parlare del trauma del bambino che, una volta uscito, va dritto alla baraccopoli o per strada. La triste verità è che questi bambini continueranno a stare in carcere e potrebbero anche aumentare, perché se passa questa legge una mamma può chiedere di tenere il bambino con sé non più fino a tre ma fino a sei anni. Se si fosse seguita la strada del recupero individuale attraverso le associazioni esistenti non solo si sarebbe fatto un favore al piccolo, ma si sarebbero anche risparmiati molti soldi, quelli che lo Stato dovrà spendere per costruire le Icam. Nelle carceri tra 5 o 6 mesi non ci saranno più soldi per il vitto, che costa 4 euro al giorno per detenuto: dove si prenderanno i fondi per le Icam? Vuol dire che non è vero quando si dice che non ci sono soldi?". Oggi il rischio è che questa legge, passata alla Camera all'unanimità e con la sola astensione dei radicali, passi al Senato e che qui la commissione la liquidi in una o due settimane, per questo Roma, Insieme propone domenica 27 febbraio un'assemblea alle 17.30 nella sede di Roma, in via Sant'Angelo in Pescheria 35, per valutare la situazione e dare battaglia affinché i punti dolenti vengano modificati al Senato. Giustizia: legge ingiusta detenzione; impegno parlamentari, Petrilli sospende sciopero fame Ansa, 27 febbraio 2011 Il responsabile del dipartimento Garanzie e Diritti del Pd per la provincia dell'Aquila, Giulio Petrilli, ha sospeso lo sciopero della fame cominciato otto giorni fa per denunciare la mancanza di una legge che renda retroattiva la norma che sancisce la riparazione per ingiusta detenzione. Una legge in tal senso, approvata con il nuovo codice di procedura penale nell'ottobre 1989, determinò che prima di quella data le persone detenute e poi assolte non hanno potuto beneficiare di alcun risarcimento. Tra questi, lo stesso Petrilli, che ha scontato cinque anni e otto mesi di carcere prima di essere assolto. La protesta di Petrilli mirava a sensibilizzare anche i suoi compagni di partito a livello nazionale. Come spiega l'esponente del Pd, in una nota, lo sciopero della fame è stato interrotto perché sulla questione si è mosso il Parlamento, con la presentazione di un emendamento. "Ho interrotto lo sciopero della fame, iniziato per ottenere la calendarizzazione dei disegni di legge per introdurre la retroattività nella legge sulla riparazione dell'ingiusta detenzione - spiega Petrilli, dopo le forti pressioni del senatore Pd Luigi Lusi il quale, oltre ad aver presentato un emendamento al Senato, si è impegnato a sollecitare la questione al presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama, Filippo Berselli. Stesso impegno mi è stato assicurato dall'onorevole aquilano del Pd Giovanni Lolli, che interverrà presso il presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Buongiorno". Petrilli dichiara infine: "La battaglia di democrazia da me intrapresa affinché, come dice la Costituzione, l'errore giudiziario venga risarcito a tutti, è interna a una più ampia iniziativa in difesa dei diritti". Firenze: muore detenuto 48enne, era costretto in sedia a rotelle per problemi respiratori La Nazione, 27 febbraio 2011 Venerdì scorso alle 14 Simone Cristicchi aveva cantato per i detenuti di Sollicciano; appena due ore più tardi uno di loro, un marocchino di 48 anni condannato in primo grado per traffico di stupefacenti, moriva per cause naturali. "Si fa qualcosa affinché il carcere non sia solo luogo di pena, poi dopo poco ecco un'altra vicenda che lascia sgomenti", commenta Franco Corleone, fresco di nomina a Coordinatore dei Garanti territoriali per i diritti dei detenuti, amareggiato anche da un altro episodio, di pochi gironi prima: un tentato suicidio, sventato per fortuna. "La Toscana - rivela Corleone - detiene il record di tentati suicidi, 155 nel 2009. Nello stesso anno i cosiddetti "eventi critici" sono stati 2318, con 8 suicidi, 974 atti di autolesionismo e 480 scioperi della fame. E i dati statistici del 2010 non sono molto dissimili". Tornando al decesso di venerdì, ieri mattina i carabinieri hanno sequestrato in carcere la cartella clinica dell'uomo. Nel pomeriggio il dottor Marco Conti dell'Istituto di Medicina legale, ha eseguito l'autopsia disposta dal sostituto procuratore Giuseppina Mione: oltre alle cause del decesso, dovrà stabilire un eventuale nesso causa - effetto tra l'aggravamento delle condizioni di salute e il decesso. c'è il sospetto che infarto e arresto cardiaco che hanno stroncato il nordafricano siano ricollegabili alle sua brutte condizioni di salute (il detenuto soffriva di insufficienza respiratoria) forse non curate al meglio, o nei modi più appropriati. Nelle settimane scorse il 48enne era stato ricoverato a Careggi per motivi polmonari e - rivela il suo avvocato Michele Passione - "i medici avevano segnalato che un polmone non funzionava più. Venerdì mattina - continua il legale - l'ho trovato su una sedia a rotelle. Non riusciva a parlare, respirava a fatica, da giorni non parlava coi familiari in Marocco. Venerdì i soccorsi sono stati tempestivi, purtroppo però non ce l'ha fatta". Qualcosa, insomma, non avrebbe funzionato nel sistema - cure. E secondo Corleone "bisogna che i medici segnalino tempestivamente l'eventuale incompatibilità tra la salute di un detenuto e lo stato di detenzione. L'assistenza a tossicodipendenti e malati è il grande problema del carcere. Speriamo che con il passaggio dell'assistenza sanitaria dietro le sbarre al servizio nazionale la situazione migliori. I tempi d'attesa non possono essere lunghi perché in carcere le condizioni sono profondamente diverse rispetto a fuori. Qui parliamo di persone che stanno in un luogo sovraffollato, con l'acqua fredda. Per dirne un'altra: a Sollicciano le celle sono al buio perché le lampadine a incandescenza sono bruciate e le vecchie sono fuori commercio. Lo Stato deve far uscire queste persone da sane, non da malate. Perché c'è anche il rischio che si diffondano alcune patologie". Il problema di fondo, per Corleone è che "si dovrebbe decidere di far scontare la pena ai tossicodipendenti in luoghi idonei, comunità, facendoli lavorare. Ma per questo occorrono fondi. Penso che il 90% della popolazione sia d'accordo su questo". Genova: ricatti sessuali a detenute; ex direttore del carcere condannato a 2 anni e 6 mesi di Erika Dellacasa Corriere della Sera, 27 febbraio 2011 Quando Zakia El Idrissi entra nel carcere femminile di Genova Pontedecimo nel dicembre del 2007 pochi la notano, è depressa, sciatta, "non si curava della propria persona" dirà il medico del carcere "mangiava poco e perdeva peso". Zakia è in isolamento perché il reato per il quale è stata condannata a tre anni e due mesi, aver maltrattato una bimba che le era affidata, "è di quelli invisi alle altre detenute - continua il medico -, infatti veniva insultata quando passava davanti alle celle e forse è anche stata picchiata". Ma la vita di Zakia cambia l'8 marzo, il giorno della festa della donna, quando esce dall'isolamento e assiste a uno spettacolino teatrale messo su dalle detenute: quel giorno il sessantenne direttore Giuseppe Comparane la nota. Perché Zakia è molto bella. E la sceglie per partecipare a una sfilata di moda. Inizia così la storia destinata a scoppiare come lo "scandalo del carcere a luci rosse" sulle colonne del Secolo XIX. Nelle 105 pagine delle motivazioni della condanna a due anni e sei mesi per corruzione a sfondo sessuale e falso dell'ormai ex direttore Comparane (è in pensione) si ricostruiscono relazioni, emozioni, ricatti sentimentali, invidie, dicerie e verità che legano le detenute, il direttore e agenti di polizia penitenziaria. Al direttore - diranno poi i testimoni al giudice Silvia Carpanini - piacevano le ragazze e le "detenute giovani e belle" ottenevano con facilità permessi. È quello che succede alla marocchina Zakia che presto esce dal carcere per lavorare in una piccola ditta anche se non ne avrebbe proprio i requisiti. E lei cambia, non è più la reietta: "Si mette i tacchi a spillo - accusa una detenuta - è arrogante". "Ha una storia con il direttore". Lei alla fine denuncia Comparane: mi ha costretta ad avere rapporti sessuali con la minaccia, altrimenti mi avrebbe fatto fare un carcere molto duro, mi avrebbe fatto passare l'inferno, accusa. E quando si alza questa pietra - e Zakia racconta di quegli assalti sul divano nelle stanze del direttore, descrive i boxer neri a stelline rosse, e quelli grigi, e la canottiera di lui e i giocattoli dei nipotini sul pavimento - viene fuori un verminaio. Perché Zakia piaceva al direttore ma - dicono testimoni - non era la sola, gli piaceva anche Anna Merleholme, condannata per aver ucciso a coltellate il commesso di un sexy-shop "e la fa lavorare in cucina con il coltelli". E non basta. Un'assistente dichiara di aver sentito parlare di "aborti di detenute. E su una che ho accompagnato io stessa all'ospedale Evangelico e lavorava all'esterno, girava voce che fosse stata messa incinta da un mio collega". E la voce viene riferita da un'altra poliziotta: "Girava voce che la detenuta era rimasta incinta dalla relazione con un agente penitenziario e il direttore la coprì". Anche Zakia si sfoga con una poliziotta: "Mi ha fatto abortire". Poi, davanti al giudice, smentisce. Che la marocchina racconti molte bugie lo sottolinea anche il giudice ma, alla fine, è giudicata credibile". "Non potevo sottrarmi, lui aveva il potere. Io sono una detenuta" dice Zakia. E un giorno - questo episodio è alla base della condanna per falso - il direttore non trova Zakia all'uscita della fabbrica dove va a prenderla e gira per mezza città in auto insieme con due detenuti alla ricerca della donna. Ma non fa alcun rapporto. Gli avvocati difensori di Comparane, Savi e Iavicoli, annunciano appello e puntano il dito contro l'attendibilità dei testi. In attesa del giudizio definitivo rimangono queste pagine che raccontano non solo del sesso fra Zakia e il direttore ma di un ambiente irrespirabile e di odiosi soprusi: il pizzicotto, gli apprezzamenti pesanti, le domande alla prostituta sulla sua abilità, lo scherno per il poco seno della tossicodipendente (lei risponde "Me lo sarò fumato"), quegli aborti che forse ci sono stati e forse no, perché nessuno ha indagato oltre. E nessuno, mai, che si accorgesse di niente. Forlì: un'ordinanza del Comune contro il degrado igienico della Casa Circondariale Dire, 27 febbraio 2011 L'amministrazione comunale di Forlì "ordina" al carcere di ripristinare "condizioni di salubrità", visto lo stato di degrado igienico e sanitario in cui versa. Oggi il Comune (con atto del Dirigente del Servizio Ambiente e Opere di urbanizzazione) ha infatti emesso un'ordinanza ai responsabili dei competenti Uffici del ministero della Giustizia perché si provveda, per la Casa Circondariale di Forlì, "al ripristino delle condizioni igienico - sanitarie alla luce della perdurante situazione di profondo degrado e di violazione di quanto disposto dal regolamento comunale di igiene e sanità pubblica". Il provvedimento, si legge in una nota, ordina in particolare di "procedere alla pulizia degli spazi esterni e interni, all'adozione di misure contro la penetrazione dei ratti e volatili, alla regimentazione delle acque meteoriche, all'adeguamento dei vani docce, all'efficientamento dell'impianto termico e dell'impianto idrico". L'ordinanza dispone anche "interventi di lotta contro insetti infestanti (mosche, blatte, zanzare) e di igiene dei locali, delle attrezzature, del personale e della conduzione degli esercizi di produzione, deposito, vendita e somministrazione di alimenti e bevande". Palmi (Rc): un carcere sull'orlo del collasso; troppi detenuti, allarme per la sicurezza Gazzetta del Sud, 27 febbraio 2011 Oltre 270 reclusi che corrispondano ad un indice si sovraffollamento di oltre il 90% della capienza effettiva della struttura carceraria. Sono solo alcuni dei numeri limite che, ancora una volta, sono oggetto dell'allarme lanciato dal Sappe, il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, circa la insostenibile situazione che si vive da tempo presso la Casa Circondariale di Palmi. "La situazione di criticità - si legge in una missiva a firma del segretario generale Massimo Capece ed indirizzata ai massimi responsabili nazionali e regionali delle amministrazioni e direzioni carcerarie - che è da tempo costretto ad affrontare il personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Palmi è stata più volta segnalata da questa organizzazione sindacale. Purtroppo - evidenzia il Sappe - le condizioni lavorative del Corpo non hanno però registrato alcun miglioramento, anzi, si sono aggravate a seguito della continua riduzione delle risorse umane disponibili, dell'aumento della presenza di detenuti, dell'intensa attività del nucleo traduzioni e piantonamenti costretto a fronteggiare, oltre i trasferimenti dei reclusi presso le aule dei Tribunali e negli altri istituti anche numerosi piantonamenti e visite ambulatoriali presso i nosocomi dislocati nella zona". Uno sforzo immane che rischia di creare non poche problematiche: come i ritardi nella fruizione del congedo ordinario, dei riposi infrasettimanali e delle altre assenze previste dalla normativa vigente. "L'organico complessivo per la struttura di Palmi - si legge - stabilito per decreto di 121 unità, è assolutamente insufficiente per la gestione della struttura. Il personale effettivamente impiegabile ammonta a 100 unità per la gestione di tutti i servizi ed uffici, nucleo traduzioni compreso. Sono oltre 40 le unità amministrate presso la Casa circondariale di Palmi ma distaccate in altre sedi o in altri servizi dell'amministrazione". La denuncia che giunge dal Sappe viene sostenuta anche da altre cifre allarmanti: "Per quanto concerne il Nucleo trasferimenti e piantonamenti una direttiva del 1997 fissava un'aliquota di 57 unità, oggi il personale ammonta a sole 20 unità disponibili". Ed ancora: "A fronte di una capienza massima di 140 ristretti, si registra la presenza di 270 reclusi, con un indice si sovraffollamento di oltre il 90%, tra l'altro molti dei reclusi appartengono al circuito della massima sicurezza perché accusati di gravi reati". Non è la prima volta che il sindacato sottolinea la situazione insostenibile del carcere di Palmi. Come si ricorderà recentemente si è verificato un clamoroso tentativo di evasione bloccato grazie alla professionalità e al coraggio degli agenti che svolgevano il servizio di scorta. Da tempo si attendono segnali istituzionali per tamponare l'emergenza. Ma fino ad oggi gli appelli sono caduti nel vuoto. Catania: indagini sulla morte di Carmelo Castro; rilievi in cella e sequestro documenti La Sicilia, 27 febbraio 2011 Primi atti formali disposti dalla Procura dopo la riapertura delle indagini (che erano stato già archiviate) sull'oscura morte del detenuto incensurato diciannovenne Carmelo Castro, avvenuta nel carcere di piazza Lanza il 28 marzo del 2009 ufficialmente per impiccagione. I pubblici ministeri Assunta Musella e Miriam Cantone hanno disposto un'ispezione nella cella n. 9 del reparto "Nicito" dove gli agenti di custodia penitenziaria dichiararono di avere trovato il corpo di Carmelo "penzoloni, in piedi, con un lenzuolo annodato al collo" e appeso al perno sommitale dei letti a castello: versione apparentemente credibile ma che fa a pugni con la "matematica". Infatti, se il ragazzo era alto un metro e 75, come poteva mai "penzolare all'impiedi" da un'altezza che supera di poco il metro e sessanta? Ad accorgersi del paradosso erano stati i volontari dell'associazione "Antigone" e "A buon diritto" (cui la famiglia del giovane si è rivolta), nonché il Garante dei diritti fondamentali dei detenuti senatore Salvo Fleres e il legale della famiglia di Carmelo, avvocato Vito Pirrone, nel corso di alcune visite in piazza Lanza. Il particolare, di non scarsa portata, non era stato preso in considerazione nella prima indagine - quella che il gip Alfredo Gari aveva archiviato - ma adesso la Procura ha deciso di approfondire, tant'è che negli scorsi giorni ha dato incarico alla polizia giudiziaria di effettuare e dunque "cristalizzare" le misurazioni in cella e di sequestrare alcuni atti in amministrazione; non sappiamo ancora se il pm abbia chiesto, o abbia intenzione di chiedere, la videoregistrazione di quanto è accaduto nel corridoio del reparto nelle ore a cui si fa risalire la presunta impiccagione. Altre risposte immediate da dare sono di natura medico legale, dal momento che sul cadavere del giovane sono state rilevate, nel corso dell'autopsia, tracce ematiche poco compatibili con un decesso per impiccagione e c'è anche da capire perché un detenuto in regime di "grandissima sorveglianza" siano stato perso di vista dal personale del carcere per circa tre ore. La parte offesa non vuole insinuare nulla, né accusare nessuno, ma solo sapere la verità, dopo di che se qualcuno dovrà pagare, che paghi. Inoltre sul caso hanno presentato interrogazioni parlamentari bipartisan al ministro della Giustizia i parlamentari Rita Bernardini, Felice Casson e Salvo Fleres (che ne ha proposte tre). Il ministro Alfano però non ha mai risposto. Taranto: ma siamo sicuri che l'on. Elisabetta Casellati ha visitato proprio questo carcere? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 27 febbraio 2011 L'on. Casellati appena uscita dal carcere di Taranto: "È un buon carcere. Dal punto di vista del sovraffollamento mi pare ci sia una buona tollerabilità". Al di là del mistero su cosa abbia visto l'on. Casellati, la realtà del carcere di Taranto è ben diversa. Si tratta di un carcere, dove il sovraffollamento determina condizioni di vita disumane e degradanti. La struttura potrebbe infatti contenere solo 315 persone, ma oggi "ospita" 597 detenuti. Un tasso di sovraffollamento che ha una conseguenza drammatica: in piccole celle ci vivono 5 o 6 detenuti costretti a sopravvivere chiusi in quel poco spazio per 22 ore al giorno. Persone che dormono su letti a castello alti tre piani. Ma c'è di peggio. Nei cubicoli, ovvero nelle celle singole del carcere di Taranto, ci vivono ammassate 3 persone detenute. Il tutto tra sporcizia e infiltrazioni d'acqua che allagano quelle celle sovraffollate. Ed ancora. Due reparti sono chiusi per ristrutturazione, ma i lavori sono fermi perché mancano i fondi. Tutto il carcere di Taranto, comprese le mura di cinta, versano in condizioni a dir poco pietose. "Un buon carcere?" come dice la Casellati. "Un sovraffollamento con una buona tollerabilità"? Non sembra affatto. La verità del carcere di Taranto è un'altra. Ma questo la Casellati non lo dice. L'Osapp ad Alberti Casellati: il carcere di Taranto è sovraffollato Ansa, 27 febbraio 2011 Restano gravi situazioni di criticità strutturali e di sovraffollamento intollerabile del penitenziario tarantino a cui non sembra il viceministro aver fornito chiarimenti. Lo afferma in una nota il vicesegretario nazionale del sindacato degli agenti di custodia Osapp, Domenico Mastrulli, in relazione alla visita fatta nel carcere di Taranto dal sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati. Taranto - rileva Mastrulli - con la sua capienza regolamentare di 315 posti letto, oggi ospita circa 600 detenuti. Molti settori attendono la ristrutturazione interna sospesi per carenza di stanziamenti, tra cui alcuni reparti detentivi e cortili passeggio. Il sindacalista, infine, ricorda che nel penitenziario mancherebbero circa 60 agenti di custodia. Palermo: detenuti senza docce in reparto, disposto il trasferimento in un altro padiglione di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 27 febbraio 2011 Dopo la segnalazione di Radiocarcere, sembra che tutto sia pronto per il trasferimento dei detenuti della sesta sezione del carcere dell'Ucciardone. Ovviamente continueremo a verificare se tale trasloco ci sarà o meno. Ma val la pena di precisare che il nuovo padiglione, costruito all'interno del carcere dell'Ucciardone, è costato 2 milioni e 500 mila euro e può ospitare solo un'ottantina di persone detenute. Un padiglione nuovo, pronto da mesi ma inutilizzato e costoso. Una nuova struttura che è destinata ad essere subito sovraffollata, visto che, come ha detto il direttore dell'Ucciardone Maurizio Veneziano, saranno 130 i detenuti trasferiti lì a fronte di 80 posti. Ma attenzione. Questa vicenda dell'Ucciardone ci offre anche l'esempio di quello che accadrà una volta realizzato il Piano Carceri. Avremo carceri nuove, a spese dei contribuenti, che, senza una riforma organica del processo penale e del sistema delle pene, saranno subito sovraffollate. Il direttore dell'Ucciardone replica a Radiocarcere "In questi giorni abbiamo avuto guasti alle docce nella sesta sezione. Per questo tutti i 130 detenuti di quel reparto saranno trasferiti nei locali dell'ottava sezione che pochi giorni fa sono stati completamente rimessi a nuovo". Così Maurizio Veneziano, direttore del carcere Ucciardone di Palermo, risponde rispetto a quanto pubblicato da Radiocarcere. Ne da notizia il sito www.livesicilia.it Piacenza: domani partono lavori per nuovo padiglione detentivo, presenti Alfano e Ionta Adnkronos, 27 febbraio 2011 Partono i lavori per il nuovo padiglione detentivo del carcere di Piacenza. All' inaugurazione del cantiere, lunedì alle 11, saranno presenti il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e il commissario delegato per il Piano carceri, Franco Ionta che inaugureranno i lavori per la realizzazione del nuovo padiglione detentivo. In particolare, come spiega una nota del Dap, i lavori saranno relativi all'avvio del primo cantiere di una delle strutture di edilizia penitenziaria previste dal Piano carceri. Il nuovo padiglione ospiterà 200 detenuti e sarà ultimato entro il 31 agosto 2012. L'opera di ampliamento costerà circa 9,5 milioni di euro e sarà realizzata dalla Ibeco Spa di Roma. Dal punto di vista architettonico, il progetto prevede, per migliorare le condizioni di vita dei detenuti, spazi trattamentali per le attività riabilitative, una cucina autonoma e cortili di passeggio. Impianti di sorveglianza automatizzata garantiranno un elevato livello di sicurezza, ottimizzando il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. Contemporaneamente all'ampliamento, saranno realizzati lavori di manutenzione dell'edificio esistente. Il Piano carceri, elaborato dal Governo per risolvere l'emergenza dovuta al sovraffollamento prevede la realizzazione di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni che garantiranno 9.150 nuovi posti detentivi, per un costo complessivo stimato di 675 milioni di euro. Il Piano stabilisce altre due linee d'intervento per stabilizzare il sistema penitenziario: misure giuridiche deflattive e l'implementazione dell'organico di Polizia Penitenziaria. Siracusa: lettera detenuti; 10 persone in celle di 25 mq e acqua calda solo 1 ora al giorno La Sicilia, 27 febbraio 2011 Un accorato appello è stato lanciato dai detenuti della casa circondariale di Cavadonna per convincere la direttrice del carcere a modificare la disposizione con la quale ha stabilito di circoscrivere ad una sola ora giornaliera l'erogazione dell'acqua calda. La lettera, sottoscritta da ben 117 detenuti, tutti rinchiusi nella Sezione "Blocco 50" del carcere, è stata inviata, per conoscenza, al prefetto, al Magistrato di Sorveglianza, alla Direzione sanitaria e al Tribunale del Malato. Con il loro appello, i detenuti chiedono alla direttrice dell'istituto di ampliare le ore di erogazione dell'acqua calda in modo che tutti gli ospiti della casa circondariale non siano costretti a farsi la doccia con acqua gelida e prendersi dei malanni. I detenuti ritengono che la disposizione emanata dalla direzione della casa circondariale sia manifestamente illegittima perché viola la normativa vigente, e, conseguentemente, pensano che sia un inutile accanimento il perpetrarsi di tale situazione che, peraltro, è ulteriormente peggiorata a causa delle attuali condizioni atmosferiche. I firmatari della lettera - appello hanno inteso mettere a conoscenza il prefetto, il Magistrato di Sorveglianza, la Direzione Sanitaria e il Tribunale per i diritti del malato affinché "ogni soggetto giuridico chiamato in causa si assuma le proprie responsabilità. La Costituzione dice che il detenuto deve essere recuperato, ma vieta espressamente che vengano calpestati i suoi diritti e la sua persona". Alla direzione del carcere i detenuti riconoscono il merito di gestire con abilità il sovraffollamento che si è venuto a determinare, ma gli attribuiscono la responsabilità di aver penalizzato i reclusi facendo ricadere su di loro le difficoltà causate dalle esigue risorse finanziarie messe a disposizione delle carceri e riducendo lo spazio di soli 25 metri quadrati entro il quale debbono muoversi e vivere dieci persone, mobilia compresa. Reggio Calabria: dopo protesta Camera penale nuova sala colloqui tra avvocati e detenuti Gazzetta del Sud, 27 febbraio 2011 Nel carcere di via San Pietro sarà realizzata la nuova sala destinata ai colloqui tra avvocati e detenuti. I lavori inizieranno il prossimo 17 marzo. La soluzione è stata trovata nel corso di un incontro nell'istituto di pena tra la direttrice Maria Carmela Longo, il dirigente dell'Amministrazione penitenziaria regionale Giuseppe Pannuti e il presidente della Camera penale "G. Sardiello", avvocato Carlo Morace. La direzione del carcere ha avuto il via libera dal dirigente Pannuti per l'utilizzazione dei fondi stanziati nell'ambito del progetto, istituito d'iniziativa dell'indimenticato provveditore dell'Amministrazione penitenziaria calabrese Paolo Quattrone. Il progetto prevede la realizzazione di opere attraverso l'utilizzazione degli operai detenuti. Nel corso dell'incontro si è subito concordato sulla necessità di ovviare a una situazione non sostenibile e di definire brevemente la pratica amministrativa per dare attuazione al progetto preliminare. Un progetto che è stato da tempo redatto ad opera della Casa circondariale e che sarà definito entro la data del 7 marzo con la consegna dell'elaborato tecnico definitivo. Dopo il 7 marzo la procedura amministrativa sarà rapidissima. Questo l'impegno assunto dalla direttrice del carcere e dal dirigente regionale dell'Amministrazione penitenziaria nei confronti degli avvocati penalisti. Questo impegno, dunque, porterà alla consegna dei lavori per la creazione di una nuova e più spaziosa sala avvocati con un numero di postazioni doppio rispetto a quelle attuali. Per l'inizio dei lavori bisognerà attendere una ventina di giorni. Il problema dell'esiguità del numero di postazioni per i colloqui tra avvocati e detenuti era stato risollevato nei giorni scorsi dal presidente della Camera penale "G. Sardiello". La riunione che si è svolta nella casa circondariale cittadina è servita a trovare una soluzione rapida e condivisa. "Un ringraziamento particolare - dice l'avvocato Morace - va alla direttrice Carmela Longo che da sempre opera per migliorare, con risultati visibili e concreti e non con le parole, i servizi offerti da una struttura purtroppo vetusta e inadeguata. Un ringraziamento anche al dirigente Giuseppe Pannuti, da poco tempo insediatosi a Catanzaro, per la solerzia e il senso di responsabilità con il quale ha risposto all'ultima denuncia della Camera penale presentata una settimana fa". "Morace conclude: "La Camera penale ha proseguito la doverosa attività già iniziata sotto la presidenza dell'avvocato Umberto Abate e oggi finalmente si è raggiunta una soluzione a un problema che non vi è dubbio che sia causa di notevoli disagi agli avvocati calabresi e ai loro assistiti nell'esercizio dell'attività difensiva". San Cataldo (Cl): condizioni di lavoro disagiate, agenti penitenziari in stato di agitazione La Sicilia, 27 febbraio 2011 Il "forte disagio e il profondo malessere" degli agenti di polizia penitenziaria della locale casa di reclusione sono stati espressi dalla segretaria provinciale della Cgil funzione pubblica Luisa Lunetta nella richiesta di "urgentissimo incontro" fatta al direttore della casa circondariale "per discutere le tante problematiche inerenti le condizioni di lavoro del personale dipendente al quale crea forte disagio e profondo malessere e per evitare "iniziative di lotta e forte mobilitazione sindacale che potrebbero avere influenze negative sul delicato servizio da erogare". In particolare gli agenti di polizia penitenziaria lamentano la pesante carenza di organico che li costringe ad effettuare turni massacranti di lavoro senza, peraltro, sapere quando finisce la giornata lavorativa perché chiamati spesso "a fronteggiare situazioni eccezionali". Lamentano anche le carenze igienico - sanitarie di tutti i locali peraltro totalmente fatiscenti e per certi versi inidonei a causa della mancanza di convenzione per la loro pulizia, nonché dei servizi essenziali come le docce che sono al limite dell'agibilità. Contestano, infine, la decisione della istituzione di un nuovo posto di "addetto sorveglianza detenuti cortile di passeggio" senza avere informato preventivamente i sindacati. Si tratta - ha detto la sindacalista Luisa Lunetta - di un comportamento al limite dell'attività antisindacale che necessita di un immediato chiarimento. Civitavecchia (Rm): parte uno screening per la Tbc nella popolazione carceraria Ansa, 27 febbraio 2011 Una nuova importante iniziativa della Asl Roma F in tema di prevenzione. Parte domani un'indagine epidemiologica a largo spettro sugli ospiti dei due Istituti Carcerari ubicati a Civitavecchia. Il Dipartimento di Prevenzione della Asl Roma F condurrà uno screening sulla popolazione carcerario maschile e femminile, circa 700 detenuti, volta ad accertare l'incidenza della patologia tubercolare. Il test, che consiste nell'assunzione di un particolare reagente e nell'eventuale successiva indagine radiografica, consentirà di accertare i casi attivi e predisporre le necessarie terapie farmacologiche, oltreché prevenire la diffusione della malattia tra i reclusi. Livorno: sospesa la linea 15 dell'Atl, senza autobus il carcere è ancora più isolato Il Tirreno, 27 febbraio 2011 La linea 15 dell'Atl è stata soppressa e i detenuti delle Sughere protestano, per sottolineare che quella era l'unica possibilità per loro e per i loro parenti di raggiungere il carcere con i mezzi pubblici. I detenuti chiariscono che "la casa circondariale era servita nei soli giorni feriali da cinque corse della linea 15 Atl, con partenza da piazza Grande di Livorno, breve stazionamento alle Sughere e ripartenza (8.50, 11, 13.50, 16, 18). Tale servizio era l'unico che consentiva di raggiungere il carcere negli orari utili alle necessità di tutta la popolazione detenuta, circa 2000 persone, a quelle dei vari familiari che vengono a farci visita e anche al personale che lavora all'interno del carcere". I detenuti fanno inoltre notare come arrivare a piedi alle Sughere dalla stazione ferroviaria, primo luogo dove si trovano mezzi pubblici, è piuttosto impegnativo e che usare un taxi è molto costoso. "inoltre - dicono - i familiari, portano con sé borse varie, spesso accompagnati da bambini e dai loro acciacchi dovuti all'età, non possono sottoporsi ad una tale camminata". Insomma i carcerati fanno notare come la soppressione della linea 15 Atl "tagli ulteriormente i rapporti con il mondo esterno con un aggravio alla privazione della libertà, incidendo notevolmente sullo stato della popolazione detenuta". In definitiva i detenuti chiedono che la linea 7 Atl con partenza dalla stazione e diretta al centro commerciale Fonti del Corallo con lo stesso numero di cinque corse, compatibilmente agli stessi orari, effettui il collegamento con le Sughere. Caserta: una giornata dedicata ai figli minori dei detenuti del carcere di Arienzo Il Mattino, 27 febbraio 2011 È l'iniziativa organizzata per oggi dalla direzione dell'istituto affidato a Gianfranco Marcello. Un evento che rientra in una serie di attività poste in essere dalla stessa direzione dell'istituto affinché "possano essere - afferma Marcello - da stimolo per il superamento di stili di vita e di comportamenti devianti. Ed un percorso per rinsaldare il rapporto tra genitori e figli, in cui i piccoli pagano colpe non loro". Il programma della giornata, durante la quale saranno distribuiti agli ospiti doni offerti dai fedeli della parrocchia Maria Santissima del Carmine della vicina Santa Maria a Vico, prevede l'animazione affidata ad alcuni volontari che hanno preparato giochi e scherzi tipici del carnevale. Al termine, la celebrazione della santa messa a cura del cappellano del carcere, don Sergio Cristo. "La direzione, quando i regolamenti lo permettono, rende possibili tali iniziative in diversi momenti nel corso dell'anno. Questo giorno sarà diverso per tutti i detenuti investiti del ruolo di genitori e per fare in modo che i loro figli trascorrano una giornata speciale, un incontro con i padri meno formale rispetto al solito. Domani il detenuto sarà investito del suo ruolo effettivo di "papà". Voglio ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l'organizzazione dell'evento: don Sergio ed i volontari, senza dimenticare il personale della polizia penitenziaria e gli educatori", conclude Marcello. Padova: teatro in carcere, tagliati i fondi; un appello a nome dei detenuti Il Gazzettino, 27 febbraio 2011 Il progetto Tam Teatrocarcere, attivo dal 1992 al Due Palazzi di Padova, è a rischio di interruzione a causa della sospensione del bando regionale per le iniziative socio educative a favore di persone detenute. Le attività culturali e artistiche in carcere sono considerate, dall'Istituto Superiore di Studi Penitenziari, uno dei pilastri del trattamento rieducativo in Italia. Lo scorso dicembre si è tenuto un incontro all'interno del Due Palazzi e le persone detenute hanno lanciato un appello perché il teatro in carcere prosegua. Per accogliere questo appello e per dare voce a chi non ne ha, ieri al Teatro delle Maddalene, in via San Giovanni da Verdara, si è tenuta l'iniziativa "r-Esistere: liberi esercizi di resistenza creativa a sostegno del teatro in carcere". La giornata è iniziata alle 15.30 con la presentazione dello spettacolo di Tam Teatrocarcere "Annibale non l'ha mai fatto", con un detenuto attore. A seguire, ad ingresso libero, un turnover di testimonianze artistiche ed interventi civili di operatori culturali e sociali, artisti e personalità della cultura. Tra gli interventi, una video intervista di solidarietà di Alessandro Gassman, la lettura di un messaggio di vicinanza inviato da Marco Paolini, videomessaggi di Giuliano Scabia e Andrea Zanzotto. Tra coloro che hanno manifestato sostegno all'iniziativa: Carlo Mazzacurati, Ascanio Celestini, Davide Ferrario. Il progetto Tam Teatrocarcere, che si pone come un percorso di accompagnamento per favorire il reinserimento sociale e culturale delle persone detenute, vuole avere una valenza sia rieducativa e che di sensibilizzazione sociale. Nel corso di questi anni sono stati raggiunti importanti obiettivi. Livorno: l'ottava commissione consiliare del Comune ascolta il Garante dei detenuti Il Tirreno, 27 febbraio 2011 La situazione del carcere territoriale livornese è stata affrontata venerdì pomeriggio dall'ottava commissione consiliare del Comune. La riunione è stata convocata dalla presidente Arianna Terreni (Pd) alle 17 nella sala postconsiliare del Municipio ed è stata incentrata sull'audizione del garante dei detenuti Marco Solimano: all'ordine del giorno c'era infatti l'incontro con il garante dei diritti delle persone private della libertà personale a sei mesi dalla sua nomina. "Sono convinta che lo stato di salute di una società si può rilevare a partire dalle condizioni in cui vivono i ceti meno abbienti - scrive Arianna Terreni - le persone collocate un po' più ai margini della società. La democrazia si misura dal rispetto dei diritti di tutti. Di ogni uomo, di ogni donna a prescindere dal livello di estrazione sociale, età, sesso, provenienza. Il livello del rispetto dei diritti dell'uomo e della donna misura il senso di civiltà di una nazione; cresce il valore di una comunità, pone basi solide per il mantenimento o la costruzione della pace". "È fondamentale - prosegue Terreni - che il rispetto della dignità della persona sia al massimo in ogni luogo, in ogni momento. E questo si costruisce attraverso il rispetto delle regole e dei doveri da parte di tutti, la decenza delle infrastrutture, degli spazi di vita, della gestione ed utilizzo del tempo, che se ben utilizzato può portare vantaggi per la crescita della persona o inversamente, può sviluppare originare emarginazione o violenza. Il carcere non è il problema di "pochi" ma un problema sociale e come tale deve essere percepito dalla società. Se si vuole aumentare la possibilità di reinserimento di quella parte di popolazione che ci finisce dentro, non si può pretendere di "chiudere il carcere lontano dal mondo civile", ma lo si può fare solo aprendo il dialogo fra istituzioni, volontari, detenuti e società". "Credo non sia giusto parlare di carcere solo in occasioni drammatiche come la vittoria della disperazione e della solitudine sulla vita alla quale abbiamo assistito poco più di un mese fa - sottolinea l'esponente del Pd - Yari è stato un altro giovane vittima della disperazione, della solitudine. Di una detenzione che secondo i canoni internazionali non è più considerabile pena riabilitativa ma "tortura". Il sovraffollamento, le dimensioni delle celle sono fuori dalle regole internazionali. Purtroppo il triste primato che le "Sughere" ha in Italia è quello di avere il maggior numero di suicidi rispetto al numero di carcerati, ed i tentativi di suicidi che grazie ad operatori e guardie penitenziarie hanno numeri ben più alti. Un paradosso per quello che dovrebbe essere il concetto di detenzione, che, come stabilito dalla nostra Costituzione, ha lo scopo di rieducare per il reinserimento nella società. Napoli: mostra fotografica "Intra/Vedere", immagini scattate da detenuti di Poggioreale Ansa, 27 febbraio 2011 Il talento dei detenuti di Poggioreale diventa una mostra. Sabato 5 marzo alle 19, la galleria Giù Box di via Bonito ospiterà il vernissage della collettiva "Intra/Vedere", un'esposizione che presenta quattordici fotografie realizzate nel carcere napoletano da dieci reclusi - Antonio Coppola, Andrea Di Somma, Gennaro Lanza, Ciro Pollicino, Giuseppe Vigna, Angelo Di Luca, Massimo Forino, Guglielmo Tare, Domenico Sannino e Ciro Perna - che hanno sostenuto il laboratorio "Identità sensibili" diretto dalla fotografa Antonella Padulano in collaborazione con l'educatrice Patrizia Giordano. La mostra sarà visitabile il lunedì, il mercoledì e il venerdì dalle 17 alle 19 o in altri orari da concordare. Si potrebbero definire le "foto di dentro": tredici immagini, realizzate da dieci corsisti del laboratorio di fotografia tenutosi nel carcere di Poggioreale lo scorso autunno, saranno in mostra alla Galleria "GiùBox", in via Bonito 21, da sabato 5 marzo per due settimane; il vernissage è alle 19. Nei giorni seguenti la mostra è visitabile lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17 alle 19, o contattando il responsabile, Michele Del Vecchio, al 339 20 29 153. L'iniziativa, realizzata nell'ambito del progetto "Identità sensibili", è ideata da Antonella Padulano e da Patrizia Giordano a margine di un laboratorio condotto all'interno del carcere in questi ultimi mesi. L'idea ha avuto grande riscontro tra i partecipanti: i dieci si sono cimentati con passione e originalità, sia nelle scelte dei soggetti da fotografare che nelle tecniche da adoperare. Dimostrando di avere bene assorbito gli insegnamenti e realizzando una personale "evasione" artistica e umana. Immigrazione: Corte costituzionale contro Governo; anche "irregolari" hanno pieni diritti Avvenire, 27 febbraio 2011 Lo straniero è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona", e quindi "l'intervento pubblico concernente gli stranieri non può limitarsi al mero controllo dell'ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, ma deve necessariamente considerare altri ambiti - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla salute all'abitazione - che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni". E questo "qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l'ingresso ed il soggiorno nello Stato". Dunque anche gli immigrati clandestini o irregolari. Lo afferma la Corte costituzionale che nella sentenza n. 61 (redattore il giudice Paolo Grossi) depositata ieri, boccia, definendolo in parte inammissibile e in parte infondato, il ricorso del Governo contro la legge della Regione Campania 8 febbraio 2010, n. 6 (Norme per l'inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania). Come sottolinea la Consulta, il Governo ritiene che nella norma campana gli interventi di sostegno, assistenza e integrazione siano applicabili "anche ai cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno", i quali "non solo non avrebbero titolo a soggiornare, ma, una volta sul territorio nazionale, dovrebbero essere perseguiti penalmente". Ma su questo la Corte non ci sta e afferma come "esse hanno di mira esclusivamente la tutela di diritti fondamentali, senza minimamente incidere sulla politica di regolamentazione della immigrazione ovvero sulla posizione giuridica dello straniero presente nel territorio nazionale o regionale o sullo status dei beneficiari". E questo è corretto. Infatti, spiegano i giudici costituzionali trattando in particolare l'articolo sull'assistenza sanitaria, le norme che il Governo vorrebbe abrogare "si inseriscono in un contesto normativo caratterizzato dal riconoscimento in favore dello straniero, anche privo di un valido titolo di soggiorno, di un nucleo irriducibile di tutela del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana". Questo vale per la salute, ma anche per il diritto allo studio, l'assistenza sociale, la casa, la formazione professionale. Bari: due tunisini tentano la fuga dal Cie aggredendo un poliziotto, arrestati La Repubblica, 27 febbraio 2011 Avevano paura di essere rimpatriati in Tunisia. Ma tra i disordini e le violenze del loro Paese non volevano proprio tornare. Per questo hanno tentato la fuga. Due cittadini tunisini, detenuti nel centro di identificazione ed espulsione di Bari, sono stati arrestati per i reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Moez Maroufi, 31 anni, e Adel Ben Salah Hellali, 30 anni, hanno provato a fuggire dal Cie del quartiere San Paolo e, per farlo, hanno aggredito un sovrintendente capo della polizia. Tra i tre c'è stata una breve colluttazione poi, a fermare i tunisini, sono intervenuti i militari del Battaglione San Marco in servizio nella struttura. È accaduto nel pomeriggio alle 15.10. Maroufi e Hellali così sono finiti in manette e dovranno rispondere dell' aggressione nei confronti del poliziotto. Il sovrintendente è stato soccorso e portato in ospedale, ha riportato un trauma contusivo al ginocchio e al gomito sinistro, lievi lesioni che guariranno in sette giorni. Per i due tunisini dunque si sono aperte le porte del carcere, per altri cento loro connazionali invece si apriranno oggi i cancelli del centro di accoglienza per i richiedenti asilo. Nella struttura di Bari Palese infatti verranno alloggiati gli altri profughi magrebini in arrivo nel capoluogo pugliese da Lampedusa. È durata dunque solo un giorno la tregua per i trasferimenti dei migranti fuggiti dalla Tunisia. Ventiquattro ore in cui il maltempo ha bloccato gli sbarchi e i voli. Ma da oggi al Cara di Bari riprendono gli arrivi. Sarà riattivato il ponte aereo con l' isola al largo della Sicilia. Cento i tunisini che dovrebbero arrivare nelle prossime ore. Mercoledì notte erano stati sistemati nei moduli prefabbricati della struttura di accoglienza barese altri 250 magrebini. Lunedì scorso invece su 230 arrivi solo cento erano rimasti nel Cara di Bari, gli altri 130 invece erano stati smistati nei centri di accoglienza di Brindisi e di Foggia. Intanto i deputati del Pd Teresa Bellanova, Cinzia Capano, Dario Ginefra, Giusy Servodio e Ludovico Vico hanno sottoscritto una interrogazione parlamentare indirizzata al ministro dell' Interno Maroni per chiedere immediati stanziamenti straordinari per i centri di accoglienza pugliesi. "Si teme - scrivono i parlamentari - una reale difficoltà di riuscire a mantenere l' ordine pubblico qualora si verificasse un esodo massiccio, tenendo conto che le strutture di accoglienza pugliesi risultano essere a oggi già al limite massimo di capienza". Immigrazione: il progetto di un CIE a Venezia, tra avidità e ipocrisie www.pane-rose.it, 27 febbraio 2011 In Veneto tutti lo vogliono, ma non a casa propria. Nemmeno i leghisti. Parliamo del Cie che Maroni vuole aprire in Veneto. Il ministero indica un ex deposito militare a Campalto, la giunta veneziana, che pure aveva indicato lo stesso sito per una nuova galera, dice no. Intanto la Caritas si candida alla gestione di nuovi Cie dal volto umano. Secondo quanto assicurato dal ministro Maroni la tante volte annunciata apertura di un Cie in Veneto doveva essere avviata entro la fine dell'anno scorso; ma a tutt'oggi, per fortuna, resta ancora tra i desiderata del razzismo istituzionale. Da molti anni, almeno dal 2000 durante il governo D'Alema, era stata ventilata la costruzione di un Cpt in regione e da allora non si contano le ipotesi di locazione riguardanti tutte le province venete che sono saltate fuori, prendendo via via in considerazione ex - strutture militari, una struttura manicomiale, capannoni industriali, isole lagunari, caserme alpine, etc.; ma puntualmente, oltre alle manifeste opposizioni degli antirazzisti, tale progetto ha dovuto fare i conti con la contrarietà delle amministrazioni locali, indipendentemente dalla loro collocazione politica, comprese quelle leghiste sempre pronte ad aizzare la persecuzione degli immigrati "clandestini" ma non disposte ad ospitare un lager vicino a casa loro. L'ultima "trovata" riguarda l'area di Campalto, una frazione veneziana, come possibile luogo per il Cie. Tale area di quasi 20 ettari è un deposito militare dismesso, situato in via Orlanda, che secondo il piano - carceri del ministero della giustizia doveva essere ristrutturato come galera per 450 detenuti. Questo sito, indicato per il carcere nel dicembre scorso dal sindaco di Venezia Orsoni (di centro - sinistra), nei perversi disegni del ministero dell'interno dovrebbe vedere anche l'abbinamento di un Cie con 300 posti per i "clandestini". Il comune di Venezia ha approvato a larghissima maggioranza (con la furbetta astensione leghista) una mozione (presentata dal consigliere verde - disobbediente Caccia assieme al capogruppo del Pd Borghello) di rigetto del Cie a Campalto. Persino il governatore della regione, il leghista Zaia, è stato costretto ad uno slalom di prese di posizione. Analoga contrarietà era stata espressa dai sindacati di polizia (Sap, Coisp, Siulp…) per le note carenze d'organico, nonché dall'associazionismo democratico, dall'area disobbediente e dalla Caritas, per bocca del suo noto direttore, monsignor Pistolato, tutti pronti a formare comitati unitari. Peccato che la Caritas sia la stessa associazione che ha cogestito come "ente terzo" il Cie di via Corelli a Milano e che monsignor Pistolato sia lo stesso che nel 2008 sollecitò e appoggiò l'ordinanza del comune di Venezia contro i mendicanti, soprattutto rom e sinti. Ed è pure lo stesso che, appena un mese fa, si era dichiarato contrario ai 10 - 12mila lavoratori immigrati previsti per Veneto dall'ultimo decreto flussi, ritenendoli come possibile causa di conflitti etnici. Come se qualcuno - davvero - non sapesse che quei diecimila lavoratori sono già qui e lavorano in nero. Come se qualcuno potesse far finta di ignorare che il decreto flussi è solo una sanatoria mascherata, decisa dal governo dopo il bollente autunno degli immigrati truffati dalla sanatoria colf e badanti. Non è forse che la contrarietà della Caritas diocesana nasconde altre preoccupazioni? Il dubbio è legittimo, dato la Caritas sembra aver soltanto adesso scoperto che "il Cie, come strutturato, si colloca al di fuori dello spirito e della lettera della Carta Costituzionale (cfr. art. 3 comma 1), per la forma di eccessiva coercizione che viene esercitata nei confronti di persone e questo senza alcuna distinzione", dopo aver beninteso riconosciuto "il diritto - dovere da parte delle istituzioni statuali di identificare in modo adeguato le persone presenti nel territorio nazionale". La Caritas è più che disponibile ad impegnarsi nella - lucrosissima - gestione dei Cie, purché si cambi "modello". Un pizzico di umanità in più e sono disposti ad imbarcarsi anche loro. Nel suo comunicato la Caritas propone "di aprire un tavolo di confronto tra i diversi soggetti istituzionali, del privato sociale ed ecclesiali che operano nell'ambito dell'immigrazione per poter individuare dei percorsi condivisi. Le Caritas con Migrantes, su un modello diverso, potranno partecipare in questi Centri di Identificazione attraverso l'animazione, proponendo delle attività culturali o ricreative, avere la presenza di mediatori culturali e attivare segni di prossimità con le comunità adiacenti ai centri".