Giustizia: mio figlio ha passato 4 anni in Opg… dove sono strutture alternative? Redattore Sociale, 25 febbraio 2011 La storia di V. Ritenuto “socialmente pericoloso”, è stato portato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto. Il padre: “Il nostro è un calvario che può avvenire a tutti coloro che hanno un figlio con una malattia mentale”. A spingerlo a parlare della storia del figlio sono stati gli altri genitori indignati ed arrabbiati per quello che potenzialmente potrebbe accadere anche ai loro figli. “Mio figlio nel 2007, trovandosi all’interno di una banca, dove spesso andava (sempre accolto dai dipendenti che lo conoscevano come non aggressivo) un giorno ha rubato una somma di denaro ad una signora - racconta il padre - . Da quel momento è seguito un iter, per noi molto doloroso, che si è concluso dopo una perizia psichiatrica giudiziaria di soli 10 minuti, con l’ingresso per lui all’interno dell’Opg di Barcellona P.G.”. “Ai giudici ha riferito che aveva sottratto il denaro perché voleva difendere la banca da quella signora che non gli piaceva - continua con un filo di voce il padre. È un ragazzo che come molti che soffrono delle sue patologie ha molte fantasie ma non da essere bollato come socialmente pericoloso”. “Prima del furto, che si può considerare isolato, non era mai successo niente di pericoloso per la società. Mio figlio, si dedicava alle piante del vivaio di una cooperativa. Il nostro è un calvario che può avvenire a tutti coloro che hanno un figlio con una malattia mentale. Ogni settimana, quando andiamo a trovarlo all’interno dell’Opg, lo stesso personale penitenziario mi conferma che lui in questo luogo non ci sarebbe mai dovuto entrare. Eppure è successo, dopo 20 anni che lo curavamo a casa, anche se non sappiamo darcene ancora una spiegazione reale”. “Forse fra un mese, speriamo di farlo finalmente uscire definitivamente dall’Opg - racconta ancora. Ma dove sono le strutture alternative? Adesso, dopo quello che abbiamo passato ci aspettiamo di non essere lasciati soli ma di essere aiutati nell’inserimento del ragazzo all’interno di una realtà lavorativa”. “Allo Stato e a tutte le istituzioni siciliane - conclude - vorrei ricordare che la salute mentale non è un ginocchio rotto ma è un peso che ti porti per tutta la vita”. Giustizia: il caso di Giovanni Mercadante e la responsabilità dei magistrati di Annalisa Chirico (Membro Giunta Associazione Luca Coscioni) Notizie Radicali, 25 febbraio 2011 Se il giudice sbaglia, chi paga? Questa la domanda che s’impone con forza dopo aver appreso la storia di Giovanni Mercadante. Quasi cinque anni di vita persi per un errore giudiziario. Detenuto innocente. Nell’intervista su “Il Giornale” Mercadante racconta la sua vicenda. Dalla condanna di primo grado a dieci anni e otto mesi ai giorni bui nel “canile” dell’Ucciardone. E così il deputato siciliano, medico stimato e padre di famiglia, si ritrova dietro le sbarre. Ad inchiodarlo, secondo i giudici, le accuse de relato di tre pentiti e alcune intercettazioni, che lo dipingevano come una persona pronta a collaborare con la mafia. Più che la vita in carcere Mercadante definisce “tremendi” gli spostamenti dal carcere di Vibo Valentia al tribunale per le udienze. Almeno dieci ore costretto in un gabbiotto 60 per 60. L’umiliazione asfissiante delle manette ai polsi, l’aria che ti manca. Una famiglia segnata per sempre, una carriera bruscamente interrotta e la salute compromessa. “Sono invecchiato in maniera mostruosa”. Quegli anni non torneranno indietro. La vicenda di Mercadante è l’ennesimo caso di giustizia ingiusta. Ieri sera “La7” ha dedicato uno speciale alla storia di un altro perseguitato giudiziario, Enzo Tortora. Il conduttore televisivo, accusato dalla procura napoletana di essere un camorrista, divenne leader nazionale della campagna radicale per una giustizia giusta, equilibrata, responsabilizzata. Dove, come dice Mercadante, non può accadere che lo stesso pm che ti accusa sia poi chiamato a giudicarti. Dove chi sbaglia paga, anche se si tratta di un magistrato. La battaglia di Tortora durò 1.185 giorni. Da europarlamentare radicale rinunciò all’immunità per farsi giudicare. Di nuovo agli arresti domiciliari fino all’assoluzione definitiva della Cassazione nel 1988. L’anno prima i cittadini italiani votarono per oltre l’80 per cento a favore dei referendum radicali per l’estensione della responsabilità civile dei magistrati. La volontà popolare rimase lettera morta grazie all’opposizione anti riformatrice della classe politica e alle resistenze corporative. Ad oggi i magistrati puniti per colpa grave sono stati zero; molti di loro hanno addirittura fatto carriera. Ogni tentativo di riforma nel campo della giustizia viene contrastato come un attentato all’indipendenza e all’autonomia del terzo potere, che invece risultano sempre più compromessi proprio dallo scudo corporativo. Il 20 febbraio 1987, di nuovo sugli schermi televisivi, Tortora esordisce con un sarcastico “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Con quella domanda nelle orecchie oggi la vicenda del deputato siciliano ci ricorda che per la giustizia italiana le vite scorrono, ma il tempo resta fermo. Giustizia: Silvio Scaglia è libero, ma un anno di carcere preventivo si poteva evitare di Filippo Benedetti Valentini L’Occidentale, 25 febbraio 2011 Le accuse di frode fiscale e associazione per delinquere gli sono costate un anno di carcere preventivo. Ma ora è libero e attraverso un comunicato dice che non avrebbe mai immaginato un “percorso così travagliato, lungo e drammatico”. Silvio Scaglia, ex amministratore delegato di Fastweb indagato per frode fiscale e associazione per delinquere, conta sul processo in corso per dimostrare la sua innocenza e sottolinea il profondo rispetto per la giustizia. Ora, ciò che rimane da chiedersi è il perché sia stato sottoposto agli arresti per tutto questo tempo. “Devono ritenersi scemate le esigenze cautelari poste alla base dell’ordinanza di arresto”. È quanto scrivono i giudici della I sezione penale di Roma nelle motivazioni con le quali revocano lo stato di fermo all’ex ad di Fastweb. In breve, sono stati esclusi categoricamente il pericolo di reiterazione del reato, d’inquinamento delle prove e quello di fuga. Ovvero, i tre fattori che possono mettere un pm nelle condizioni di richiedere al giudice la custodia cautelare. Silvio Scaglia, lo ricordiamo, era agli arresti domiciliari in Valle d’Aosta dallo scorso 17 maggio dopo aver trascorso anche un periodo in carcere. La carcerazione cautelare prevede che una persona, pur in assenza di una condanna definitiva, possa essere privata della libertà in quanto sussistono il pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. È, insomma, una misura molto dura che viene adottata in casi particolarmente gravi, come quelli di mafia ma che nel caso specifico hanno riguardato anche il manager. Così, il caso Fastweb fa riemerge il problema del funzionamento della giustizia ed è la moglie dell’ex ad a sottolinearlo quando commenta: “Quella che abbiamo vissuto è una situazione kafkiana, completamente irreale”. Così ha descritto gli ultimi dodici mesi che sono trascorsi per la sua famiglia in attesa che l’indagine facesse emergere qualche prova a carico del marito. “Mio marito è rientrato dall’estero per farsi giudicare ed è stato recluso per un anno, tra carcere e arresti domiciliari. Solo in Italia capitano queste cose”. Ma a stretto giro è arrivato anche il commento del senatore pidiellino Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia a Palazzo Madama, che più volte ha sollevato il problema di un corto circuito nel sistema giudiziario. “È una cosa vergognosa: in Italia abbiamo un principio costituzionale sulla cosiddetta presunzione di non colpevolezza e, invece, qui siamo di fronte ad un caso di vera e propria presunzione di colpevolezza”. “Se noi mettessimo in carcere solo quelli che si presume abbiano commesso reati gravissimi - continua - e sono colpiti da elementi di prova consistenti non ci sarebbero problemi. Ma gli altri potrebbero essere tranquillamente messi agli arresti domiciliari”. E le carceri scoppiano: nel nostro Paese, spiega il senatore, ci sono molti detenuti in attesa di giudizio, altri condannati in primo grado e non ancora in appello e, ancora, condannati in appello e non ancora in Cassazione. Il sistema, insomma, non funziona. Come è successo nel caso di Scaglia, le persone finiscono in galera per una sorta di anticipazione della pena. Il ragionamento di Berselli è questo: dato che le condanne in via definitiva sono difficili da infliggere perché la lentezza della giustizia fa cadere la maggior parte dei reati in prescrizione, intanto l’imputato viene tenuto in stato di fermo. Un sistema degno di un paese civile? La risposta di Berselli non lascia spazio a fraintendimenti: “No”. A questo punto c’è da porsi un’ulteriore domanda. Qualora il processo a carico di Silvio Scaglia dovesse risolversi con un’assoluzione dell’imputato (nel caso di condanna, dalla pena stabilita verrebbe “detratto” il periodo già scontato con la carcerazione preventiva) chi pagherà per l’errore commesso? Il magistrato che sbaglia verrà punito o continuerà a fare la sua carriera indisturbato? Ad oggi, purtroppo, gli errori della magistratura li pagano solo i cittadini. Giustizia: Cassazione; navigare su internet non viola arresti domiciliari, Facebook sì Agi, 25 febbraio 2011 Navigare su internet non costituisce una violazione degli arresti domiciliari, ma lo è connettersi a Facebook. Lo ha stabilito la Cassazione, che si è pronunciata sul caso di due giovani siciliani agli arresti domiciliari presso le rispettive abitazioni di Caltagirone (Catania) e che avevano rischiato di rientrare in carcere perché erano stati sorpresi a comunicare attraverso il social network. A seguito di un ricorso della Procura Generale contro l’ordinanza del Gip di Caltagirone che aveva deciso di non applicare la detenzione in carcere, la Suprema Corte ha statuito che viola gli arresti domiciliari l’utilizzo di Facebook perché si tratta di un mezzo idoneo a comunicare con terze persone (al pari, hanno scritto i giudici, dei “pizzini”). Tuttavia, secondo la Cassazione, l’uso di internet non è vietato tout - court se abbia soltanto una funzione conoscitiva e di ricerca. E così P.R., che stava seguendo un corso on line di tecnica della pittura ad olio prima dell’arresto, ha deciso, a mezzo dei propri avvocati Lorenzo Amore ed Anna Orecchioni, di chiedere al Tribunale di Caltagirone, investito dalla Cassazione, la possibilità di utilizzare internet, escludendo Facebook e della posta elettronica. Lettere: chi si occupa dei detenuti che escono dal carcere? di Redazione www.imgpress.it, 25 febbraio 2011 I deputati sono spesso in visita alle carceri: un lodevole l’impegno se fosse sincero, ispirato da sani principi di etica e moralità. E noi vogliamo crederlo anche perché non si può assolutamente cercare la celebrità con inconsapevole sadismo tra persone che soffrono. Non a caso e non è pubblicità al nostro libro Il picciotto e il brigatista - Fazi editore - in cella si svolge una parte di esistenza drammatica, forse più dura del dolore che ha provocato quella vita sbagliata. Tante volte, mentre ci recavamo in qualche carcere, per visitare, un gruppo di detenuti anonimi e per nulla eccellenti, detenuti comuni, così si dice, abbiamo osato immaginare i loro pensieri, le loro reali esigenze. E nel libro si narra di questo e non delle favole di cui si gloria purtroppo certa politica indegna di rappresentare questo Paese. In cella, credeteci sulla parola, non c’è nulla di cui vantarsi, ovviamente, e dovrebbe essere la visita, tra i principali doveri di un parlamentare per provare, uscendo da quel luogo, a risolvere emergenze, carenze, assurdità. Detenuti anonimi, tossicodipendenti ed extracomunitari, ladri, assassini, corruttori... c’è da pensare e da riflettere. Che faremo di loro una volta usciti dalle celle dopo aver scontato la loro giusta pena? Troviamo infamante che nessuno si preoccupi di loro, di noi, della sicurezza dei cittadini. Non trovando soluzioni ai tanti problemi della vita carceraria si mette in pericolo la vita di tutti, innocenti compresi. Forse da queste prime riflessioni si dovrebbe ripartire per provare a risolvere le quotidiane emergenze. Non sarebbe meglio, prima delle grandi discussioni sul sesso sicuro del Premier che sembra appassionare salotti televisivi e opinionisti di rango, finire un ragionamento (serio) sulla vita tra gli istituti di pena? Per aiutare i tantissimi detenuti in attesa di uscire dal carcere, vi assicuriamo - basta avere due mani e un po’ di cervello. Se poi, oltre a un cuore generoso, la politica avesse pure un po’ di decenza appunto, ancora meglio. Coraggio Italia! Veneto: la Regione ha azzerato le risorse per le attività trattamentali rivolte ai detenuti di Paolo Coltro La Nuova Venezia, 25 febbraio 2011 Sparito. Nell’agosto 2010 il bando regionale per finanziare progetti educativi nelle carceri è semplicemente sparito. Con lui sono spariti anche i 400 mila euro che fino all’anno prima l’assessorato alle Politiche sociali stanziava. L’ultimo stanziamento porta la firma dell’assessore Stefano Valdegamberi. Poi il cambio di giunta e di assessore: ora alle politiche sociali c’è Remo Sernagiotto. L’assessore c’è, ma il bando no. Una mazzata per tutto un mondo che cerca preparare i detenuti al reinserimento sociale. Scriveva Valdegamberi: “Il sostegno alle iniziative educative, destinate alle persone in esecuzione penale, conferma l’impegno costante della Regione Veneto nel perseguimento dell’obiettivo rieducativo che deve caratterizzare il tempo della pena”. L’impegno costante s’è dissolto nel nulla, e per di più senza troppa informazione. Quando le varie associazioni hanno preparato i loro progetti, hanno trovato il vuoto. Per dire, a Padova, la onlus Granello di Senape (che dà vita a Ristretti Orizzonti), il Tam Teatromusica, Altracittà che si occupa della biblioteca del carcere e altre cooperative non hanno più avuto un interlocutore. Idem per gli operatori veneziani della Gabbianella, della Novamedia, di Rio Terà dei Pensieri, nonché la Caritas Diocesana. A Treviso sono rimasti in mutande l’Uisp provinciale, le cooperative Alternativa Ambiente e Servire. A Verona, destinataria del contributo più consistente, altre sette associazioni. Per tutti solo una certezza: i 400 mila euro per i 30 progetti regionali non ci sono più. Al loro posto vaghe indicazioni: passeremo la competenza ai comuni, vediamo se resta qualcosa.... Tagli, insomma, tanto per cambiare: forse obbligati, di sicuro decisi senza ascoltare nessuno. “Ma non può finire così un’esperienza che è in piedi dal 1992”, dice Maria Cinzia Zanellato, una delle anime del teatro - carcere messo in piedi a Padova da Tamteatromusica. Anche perché va capito come lavora questa gente, non si tratta di approfittare della greppia regionale. A fronte di un contributo di 11.656,64 euro, ci sono due persone impegnate (Maria Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi) che lavorano più o meno come fosse un anno scolastico, da settembre a luglio. Due giorni la settimana in carcere, con i laboratori, gli incontri con personaggi della cultura (quest’anno per esempio, tra gli altri, Giuliana Musso, Vasco Mirandola, Tiziano Scarpa), la preparazione di uno spettacolo, che poi gira anche fuori per le repliche. Un’attività costante, che coinvolge ogni volta 35 - 40 detenuti, con un nucleo fisso di 20 - 25 (si sa, qualcuno esce, qualcuno arriva), per un coinvolgimento complessivo di circa 150 detenuti. A Padova, è il 15 per cento della popolazione carceraria. Detto chiaro, 11 mila euro servono a pagare una persona per sei mesi, con i contributi, per avere uno stipendio sui 1.200 euro. Il resto ce li mette il Tam, almeno per arrivare a 20 mila euro. È bene conoscere il dettaglio: la Regione paga solo le ore a diretto contatto con i detenuti, dentro il carcere, 31 euro lordi l’ora, circa 15 netti, un 5% del budget complessivo per l’organizzazione, e il 20% delle spese per il materiale. Ne consegue che molte voci inerenti all’attività non sono coperte, ma chi lavora lo stesso. Scrive Claudia Fabris, anche lei coinvolta nel progetto: “Sono “solo” undicimila euro, ma ben amministrati da una compagnia radicata nel territorio, e si trasformano in un laboratorio interno al Due Palazzi che dura un anno, un laboratorio parallelo con giovani fuori e dentro il carcere, la realizzazione di un evento finale, la realizzazione di uno spettacolo di livello professionale, la partecipazione alle attività del coordinamento nazionale Teatro carcere, e ancora altro”. E chiude: “Si possono fare piccoli miracoli con un po’ di soldi ben amministrati da chi è abituato a non sprecarli”. Insomma, la Regione non è la vacca da mungere, ma un aiuto importante. Stesso discorso per le altre associazioni, a Padova come a Venezia. Il Granello di Senape ha dato vita a Ristretti Orizzonti, che è una rivista e soprattutto un sito attivissimo e completo su tutte le problematiche legate al carcere ma non solo. Un lavoro enorme. E infatti Ornella Favero, che lo tiene in piedi, fino a metà pomeriggio è sempre al Due Palazzi, non puoi nemmeno telefonarle. Il suo lavoro, la rivista, il sito, le iniziative valgono per la Regione 16.161,70 euro l’anno, fino a ieri. E, tanto per completezza, c’è anche da dire che i pagamenti sono in ritardo di un anno, un anno e mezzo... L’impressione è che nessuno ci mangi sopra, anzi c’è una buona componente di volontariato: è gente che ci crede. Non solo quelli direttamente coinvolti. Che queste attività culturali siano “pilastri del trattamento rieducativo” lo dicono in tanti, per esempio il direttore del dipartimento amministrativo dei penitenziari, a Roma, Massimo De Pascalis. E pieno sostegno arriva da Lorena Orazi, responsabile a Padova del settore pedagogico. Senza contare i direttori delle carceri, a Venezia come a Padova, e i magistrati di sorveglianza. Tam e gli altri sono delusi ma per nulla sconfitti: “Basterebbe anche una cifra simbolica, e la luce resterebbe accesa”, dice Maria Cinzia Zanellato. Una luce da tenere accesa, ma intanto si vagola nel buio delle competenze. La Regione ha passato la palla (sgonfia) ai Comuni, ma esattamente a chi? All’assessorato ai Servizi Sociali di Padova il responsabile Fabio Verlato allarga le braccia: “Sui tagli alle attività culturali in carcere non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dalla Regione”. E poi, ci chiediamo, che delega ci può essere sul nulla, cioè sull’assenza di finanziamenti? Vero è che da Venezia, per il carcere, sono arrivati 24 mila euro, ma vincolati all’accoglienza, cioè al programma Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), cioè i detenuti in semilibertà. Altra voce, altro capitolo di intervento, i progetti educativi non c’entrano nulla. Ma l’assessorato padovano s’è dato da fare, e ha trovato denaro proprio: così a Ristretti Orizzonti arriveranno 14 mila euro, e altri seimila sono destinati alla biblioteca del carcere circondariale. Decisioni ufficiose, ma prese. E gli altri? Per ora a bocca asciutta, e senza alcuna indicazione di competenze. Per non sbagliare, Tam ha presentato a Fabio Verlato i progetti per il 2011, magari qualcosa salta fuori. Prima l’iter era preciso e funzionava: come prescriveva il bando regionale, le richieste con allegati i progetti venivano presentati e sottoposti ad un controllo vero, e solo dopo i finanziamenti disposti. Oggi che non c’è bando, sono saltate le regole: per esempio chi e come farà i controlli, sia dei progetti che delle effettive attività? Mistero. Mistero anche su quella speranza che dovrebbe tenere la luce accesa: a Cà Balbi si sussurra che forse dai resti di bilancio salteranno fuori centomila euro (per tutta la Regione), insomma, almeno un 25 per cento di quanto c’era prima. Ma non c’è un documento, una riga, solo voci che viaggiano nel vento. E il vento, dalle parti dell’assessore Sernagiotto, è di quelli che spazza via molti finanziamenti al sociale, nonostante le belle parole. Eppure la Regione potrebbe guardare un po’ meglio nei suoi forzieri sempre più vuoti: è vero che i trasferimenti complessivi da Roma sono diminuiti, per il 2011, di quasi 400 milioni, ma è anche vero che c’è un mare di briciole senza troppo senso. E se fa una brutta impressione sapere che il governatore Luca Zaia ha aumentato il budget per le spese di rappresentanza (intendi: convegni, fiere, festività: 490 mila euro in più, articolo del 27 ottobre 2010 di questo giornale), creano qualche curiosa perplessità altri finanziamenti. Come quello alla società trevigiana Marcaoggi, che si impegna, per 9 mila euro l’anno, a far uscire due pagine a numero con notizie della Regione sul bimestrale della Uniteis, cioè l’Unione dei gelatieri italiani in Germania. Fondamentale, a un costo di 750 euro a pagina. Ma ancora meglio viene trattata l’associazione Oriundi Veneti, con sede a Padova, che edita la pubblicazione InfoVeneto: esce quattro volte l’anno, e in ogni numero sei pagine sono dedicate alle attività della Regione: che paga 24 pagine con 24 mila euro, mille euro a pagina. Decisamente fuori mercato. Ma tant’è, votano anche i veneti all’estero e gli oriundi tornati a casa. Liguria: Cassinelli (Pdl); nelle carceri situazione sempre più critica e preoccupante Ansa, 25 febbraio 2011 “La situazione delle carceri liguri sta diventando sempre più grave e pericolosa sia per i detenuti, che per la polizia penitenziaria: si deve trovare velocemente una soluzione che riporti le normali condizioni di vivibilità e sicurezza”. Così L’On. Roberto Cassinelli (Pdl) ha commentato l’ennesimo tentativo di suicidio nel carcere genovese di Marassi, sventato in extremis dal tempestivo e provvidenziale intervento dell’agente di sorveglianza. “Il sovraffollamento delle carceri - continua il deputato del Pdl - raggiunge numeri esagerati e preoccupanti: Marassi ospita circa 730 detenuti a fronte di una capienza regolamentare prevista in 450, mentre a Chiavari, per esempio, i detenuti dovrebbero essere 70 a fronte di 95. I dati non sono migliori se analizziamo il personale impiegato: il numero di agenti di Polizia penitenziaria impiegati nelle strutture liguri è pari al 67% del numero previsto e necessario, decisamente inferiore alla media nazionale, pur critica, dell’84%”. “Attendo con fiducia - conclude Cassinelli - una risposta alle interrogazioni presentate al Ministro della Giustizia in merito alle iniziative che il Governo intende assumere per far si che la situazione delle carceri della nostra regione, da tempo palesemente critica, venga ripristinata ai livelli di tollerabilità e sicurezza, anche nell’interesse di coloro che vivono nelle zone limitrofe alle strutture” Ferrara: il carcere raddoppierà; il Governo ha deciso e il Comune non può mettere bocca di Marcello Pradarelli La Nuova Ferrara, 25 febbraio 2011 Il governo ha deciso che il carcere dell’Arginone deve raddoppiare e ha informato il Comune, che a questo punto dovrebbe inviare un parere pressoché ininfluente. A Tagliani questa idea del “prendere o prendere comunque” a scatola chiusa non sembra molto corretta. Franco Ionta, il commissario delegato dal dl governo, informa che il piano carceri messo a punto un anno fa dal governo per contrastare l’affollamento delle carceri prevede la realizzazione di undici carceri e di una ventina di padiglioni dislocati in 10 Regioni e che un intervento riguarda il Comune di Ferrara dove sarà costruito un nuovo padiglione da 200 posti all’interno dell’area della Casa circondariale. Poiché non sussistono vincoli urbanistici (come ha già appurato il ministero di Grazia e Giustizia consultando gli uffici comunali), e l’area è già di proprietà demaniale, il commissario chiede al Comune di esprimere d’intesa con la Regione un “parere favorevole”. La richiesta del parere non è confortata da nient’altro: non c’è un progetto, non c’è un disegno di come sarà questa ala aggiuntiva. “Ci chiedono di dare un parere nel giro di 7 giorni come se fosse una mera formalità, mentre la questione è sostanziale - dice Tagliani, un intervento come quello prospettato ha un sicuro impatto sulla città. Sarebbe opportuno ragionare con il commissario, avere un confronto”. Tagliani ha già contatttato la presidenza della Regione affinché concordi un incontro tra il commissario Ionta e i sindaci dei Comuni emiliano romagnoli coinvolti nel piano carceri. Il confronto con il commissariom, secondo Tagliani, sarebbe utile anche per comprendere quali concreti effetti avrebbe l’allargamento del carcere sulla popolazione carceraria e sul personale di servizio. Attualmente i detenuti sono troppi e il personale pericolosamente al di sotto delle necessità. “Tra amministrazione della Casa circondariale e amministrazione comunale i rapporti sono buoni - afferma Tagliani - e conosciamo bene le problematiche del nostro carcere, il quasi raddoppio potrebbe essere l’occasione anche per risolvere le attuali carenze, per affrontare al meglio le questioni di carattere educativo e del reinserimento dei detenuti nella società”. A Tagliani, con tutti i grattacapi che ha, del raddoppio dell’Arginone avrebbe fatto volentieri a meno, ma se deve proprio essere almeno che in qualche modo il Comune ci possa mettere bocca. “Non sappiamo nemmeno tempi e modi dell’appalto”. Nel carcere attuale (dati del garante dei detenuti Federica Berti) i posti regolamentari sono 235 con una tolleranza di 446; ma l’effettiva capienza è di 383. I detenuti alla data del 5 gennaio erano 501 (243 stranieri e 258 italiani): 118 in più del tollerabile, 266 in più della regola. Roma: Colosimo (Pdl); investire su lavoro e formazione per detenuti di Regina Coeli Il Velino, 25 febbraio 2011 “Questa mattina, accompagnata da due volontari del “Gruppo Idee”, sono tornata a far visita al carcere Regina Coeli, per verificare la situazione attuale dopo il disagio di qualche mese fa, creato dall’assenza di acqua calda nella struttura a causa di una disfunzione della caldaia centralizzata, motivo per il quale ho presentato una mozione in Consiglio Regionale. Naturalmente ne ho approfittato per far visita a tutta la struttura, e devo amaramente affermare che il problema principale rimane sempre lo stesso, cioè quello del sovraffollamento”. Lo afferma in una nota il consigliere regionale del Lazio del Pdl Chiara Colosimo, che ricopre anche l’incarico di presidente di Giovane Italia Lazio, che aggiunge “La popolazione carceraria, composta per il 75 per cento da stranieri, oggi raggiunge 1.125 unità, a fronte di una capienza regolamenta di 950 detenuti, creando delle enormi situazioni di disagio rispetto alle condizioni umane basilari per sopravvivere. Ho colto inoltre l’occasione per visitare specifici reparti, in particolare quello dei tossicodipendenti, che è il quarto reparto ed è composto da 112 detenuti, e quello dei lavoranti, istituito nel settembre 2004 e composto da sole 130 persone, che svolgono i lavori più diversi, dal cuoco all’artigiano, passando per lo spesino. Ritengo che quest’ultimo dato sia il più preoccupante, solo il 10 per cento dei detenuti lavora e avrà quindi possibilità, una volta finita la detenzione, di un reinserimento sociale. La situazione così grave, mi convince sempre di più che spetti alla politica il compito di risolvere questi problemi e sono convinta che, seguendo il solco tracciato dalle iniziative del presidente Polverini e dell’assessore Cangemi, ci sia la possibilità di aprire in Consiglio regionale un serio dibattito per elaborare delle risposte concrete alle gravi condizioni sociali e umane che vivono quotidianamente i detenuti del Lazio”, Conclude Colosimo. Venezia: progetto del nuovo carcere a Campalto, il Comune è d’accordo Il Gazzettino, 25 febbraio 2011 “La maggioranza di Cà Farsetti è favorevole alla realizzazione del carcere a Campalto”. L’affermazione è del vicepresidente del consiglio comunale Saverio Centenaro che ieri, sull’argomento, ha emesso una nota che non mancherà di sollevare polemiche. “Stanno per scadere i termini di tempo di tre settimane concessi dalla Regione Veneto al Comune Venezia perché l’amministrazione potesse proporre una sede alternativa a Campalto per la realizzazione del nuovo carcere” ha scritto Centenaro. “Il silenzio istituzionale frapposto dal Comune alla disponibilità della Regione di rivedere la scelta fatta - ha proseguito - conferma che, oltre alla proteste di facciata, il sindaco e la sua maggioranza sono d’accordo con l’ubicazione del carcere a Campalto”. Nei primi giorni di febbraio il vicepresidente della Regione Marino Zorzato ha inviato all’amministrazione veneziana una lettera con la quale concedeva un ulteriore lasso di tempo per individuare un sito alternativo in cui realizzare il nuovo istituto penitenziario in sostituzione della casa circondariale di Santa Maria Maggiore. Da quel dì non si è saputo più nulla, né il sindaco Orsoni ha finora comunicato il nome di una possibile area alternativa all’ex deposito militare di Via Orlanda a Campalto. “Se la maggioranza ha deciso di realizzare il carcere a Campalto, benissimo, nessuno scandalo, basta, però, che lo dica - continua nella nota il vice presidente del consiglio comunale. Noi del Pdl continuiamo ad insistere che si tratta di una scelta inopportuna e senza una precisa strategia con il territorio e confermiamo che sarebbe più appropriato, per ragioni sociologiche ed urbanistiche, che tale struttura fosse dirottata fuori dal centro abitato, possibilmente nell’area demaniale di Forte Tron a Cà Noghera. Se però questa è la volontà del sindaco Orsoni - conclude Centenaro - è bene prenderne atto e cominciare a preoccuparsi della ricadute sul territorio”. Firenze: al via laboratori didattici ambientali per i detenuti di Solliccianino In Toscana, 25 febbraio 2011 È stata inaugurata presso la Casa Circondariale di Solliccianino, l’attivazione dei corsi e laboratori didattici di educazione ambientale coordinati dall’Assessorato all’Ambiente e alla Difesa del suolo della Provincia di Firenze. Un’esperienza formativa, partita già nel 2004 grazie alla collaborazione del Laboratorio Didattico Ambientale di Villa Demidoff, che avvicina i giovani detenuti a custodia attenuata alle tematiche legate alla difesa e tutela dell’ambiente. L’obiettivo del progetto commenta l’Assessore all’Ambiente della Provincia di Firenze, Renzo Crescioli è sia educativo che professionalizzante. Cerca di creare, cioè, una consapevolezza ambientale e di cittadinanza attiva e, allo stesso tempo, sviluppa competenze operative di cui potersi valere al momento del reinserimento sociale. Per esempio nell’ambito di attività connesse alla difesa del territorio. I corsi di educazione ambientale si integreranno con i programmi formativi e didattici già attivi nella Casa Circondariale. L’obiettivo quest’anno è per la prima volta nell’ambito della collaborazione con Solliccianino, consiste nel tentare di andare oltre le lezioni teoriche, prevedendo anche laboratori ed esperienze lavorative svolti all’esterno dell’istituto. L’idea è quella di attività educative collegate a buone pratiche di natura ambientale, con operazioni al di fuori della Casa Circondariale soprattutto di ripulitura e recupero di aree demaniali affidate alla gestione della Provincia di Firenze, a fronte di conferimenti impropri ed a scarichi abusivi di rifiuti. L’attivazione dei corsi parte dall’importanza che le esperienze formative rivestono nella riflessione sul rapporto uomo - ambiente, per la trasformazione dei modelli culturali e dei comportamenti individuali, nonché dell’assunzione di responsabilità verso l’ambiente e verso se stessi. Quest’anno inoltre l’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Firenze ha scelto di dedicare l’edizione 2011 del consueto calendario del Laboratorio Didattico Ambientale alla collaborazione con la Casa Circondariale, con un’immagine che raffigura l’istituto di Solliccianino. Taranto: Casellati; la situazione del carcere è soddisfacente, 200 posti in più entro il 2012 Ansa, 25 febbraio 2011 “Ho trovato una buona situazione. Mi pare ci siano buone condizioni di vivibilità nella struttura che non risente molto del sovraffollamento”. È il commento del sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati dopo aver visitato la casa circondariale di Taranto insieme con una delegazione del Pdl e accompagnata dal direttore del carcere, Luciano Mellone. “È una situazione buona - ha spiegato - anche in rapporto al percorso di riabilitazione dei detenuti che ritengo fondamentale”. Il sottosegretario ha fatto riferimento in proposito alle attività creative e di studio svolte in carcere dai detenuti e alla presenza nella struttura di una sezione del liceo artistico statale Lisippo riservata alle attività di laboratorio dei detenuti. “I punti critici - ha aggiunto Casellati - sono invece rappresentati dal 40% di detenuti tossicodipendenti, mentre la media nazionale è del 30%. È invece buono il rapporto tra agenti di polizia penitenziaria e detenuti, che è di 1 a 2, mentre al nord è di 1 a 4”. 200 nuovi posti entro 2012 Entro il 2012 nel carcere di Taranto verrà realizzata una struttura per ospitare altri 200 detenuti. Lo ha riferito il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati al termine di una visita compiuta nel carcere di Taranto insieme con una delegazione del Pdl. Entro la stessa data - ha aggiunto il sottosegretario - verranno realizzati altri 200 posti per detenuti nel carcere di Lecce e 200 in quello di Trani. Le opere sono già finanziate e costeranno 11 milioni di euro per ciascuna struttura. Attualmente il carcere di Taranto, realizzato nel 1986, ospita 601 detenuti su una capienza ottimale di 250 e al massimo tollerabile di 550. Di recente sono state eseguite 63 scarcerazioni su 90 complessive in Puglia, in base al decreto Alfano. La popolazione detenuta è composta, tra l’altro, da 25 semiliberi, 5 donne e una cinquantina di extracomunitari. Michele Misseri sta bene, Sabrina provata “Ho visto Michele Misseri. Mi ha detto che sta bene, è persino ingrassato ed è meno confuso rispetto a quando è entrato in carcere. Sabrina invece l’ho solo salutata per un attimo, mi ha detto che è molto provata e si è messa a piangere”. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, che oggi ha compiuto una visita nel carcere di Taranto, insieme ad una delegazione del Pdl, per verificare le condizioni della struttura. Casellati ha spiegato che la serenità riscontrata in Michele Misseri probabilmente è frutto anche del lavoro degli psicologi del carcere. Sabrina invece avrebbe manifestato già prima della visita preoccupazione per l’impatto mediatico della stessa “anche se - ha aggiunto il sottosegretario - il mio obiettivo era ed è unicamente quello di verificare le condizioni del carcere di Taranto così come quelle delle altre carceri italiane in cui sono statàa”. Palermo: Cisl; lunedì sit-in di protesta davanti all’Ipm di Malaspina Il Velino, 25 febbraio 2011 Il 28 febbraio 2011 dalle ore 11.00 alle 14.00, si svolgerà un sit-in di protesta a livello regionale dinanzi al “Malaspina” di Palermo. Le motivazioni di tale gesto, dichiara il Segretario Generale Giovanni Saccone, Cisl Fns Sicilia, sono che le denunce fatte già da qualche tempo sono cadute nel vuoto. Oggi si registra presso gli Istituti Penali Minorili e Centri di Prima Accoglienza, presenti nella Regione Sicilia, la mancanza di personale di Polizia Penitenziaria del 50% circa e con punte che rimarcano una mancanza del 70% degli addetti (ci riferiamo al Personale di Polizia Penitenziaria Femminile), la qualcosa comporta turni di servizio che superano abbondantemente le dodici ore di lavoro. Il Personale è costretto a lavorare senza percepire le indennità pari al 50% dello stipendio, precisamente non è corrisposto il lavoro straordinario degli anni precedenti pari a 2500 ore e il saldo delle missioni espletate; ad eseguire le traduzioni sempre e continuamente sottoscorta con orari di servizio che non osiamo nemmeno definirli e con grave nocumento della sicurezza collettiva e della propria incolumità. A tutto questo dichiara il Segretario Generale Giovanni Saccone Cisl Fns Sicilia la preoccupante mancanza di personale, oltre a venir meno la sicurezza, l’azione di recupero sociale che possa restituire alla società giovani recuperati dal crimine, togliendo nuova manovalanza alla criminalità comune ed alla criminalità organizzata di tipo mafiosa. Per questi motivi, la Cisl Fns Sicilia protesta, affinché il Governo, le Istituzioni e l’Amministrazione della Giustizia Minorile, prendano provvedimenti per ritrovare un’immediata soluzione alle tematiche denunciate e il personale che quotidianamente con grande spirito di abnegazione al servizio a rischio della propria vita, garantisce l’ordine e la sicurezza ai cittadini, possa lavorare con maggiore serenità. Treviso: amministratori locali in visita alla “bottega artigiana” dei detenuti Il Gazzettino, 25 febbraio 2011 Il lavoro come strumento per la riabilitazione ed il reinserimento sociale. Ieri mattina una folta delegazione di sindaci ed amministratori locali ha visitato il polo occupazionale del penitenziario Santa Bona, nel quale oggi lavorano 25 detenuti. La visita alla “bottega artigiana” è stata condotta da Antonio Zamberlan, presidente di Alternativa, la cooperativa sociale di Carbonera che da 22 anni coordina il progetto occupazionale del carcere. “La fase riabilitativa, alla fine di un percorso di pena - ha detto Zamberlan - ha senso solo in funzione di un reinserimento lavorativo e sociale dell’ex detenuto. Qui dentro gli occupati lavorano 5 giorni a settimana, 7 ore al giorno, in modo che possiamo misurarne la costanza, la tenuta rispetto agli impegni, ma anche valorizzarne le potenzialità”. I laboratori vanno dalla falegnameria, assemblaggi industriali, web design e riparazione hardware, ma anche incisione artistica su vetro e cristallo. I clienti sono grosse aziende del territorio, come la Aton di Villorba o il Consorzio Priula, così come privati cittadini, che da pochi mesi possono acquistare i prodotti direttamente dal sito internet www.carceretv.it. Maria Letizia Troianelli, coordinatrice dell’area educativa del carcere, ha aggiunto: “Lavoriamo in modo particolare sul senso di responsabilità degli individui, perché è questa l’unica molla che può far davvero cambiare le persone”. Firenze: Sappe; detenuto di 25 anni tenta il suicidio, salvato dagli agenti Ansa, 25 febbraio 2011 Un detenuto italiano di 25 anni, recluso nel carcere fiorentino di Sollicciano, ha tentato di impiccarsi. Lo rende noto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe della Toscana, spiegando che il giovane è stato ‘salvato in extremis’ grazie al tempestivo intervento degli agenti di guardia e del personale sanitario. Per il Sappe, che in una nota esprime apprezzamento per l’operato dei poliziotti penitenziari, l’episodio è la dimostrazione dei drammi umani che quotidianamente si compiono nei sovraffollati penitenziari toscani, che nel solo anno 2010 ha visto la polizia penitenziaria sventare ben 141 tentativi di suicidio. Il sindacato parla di ‘4.500 detenuti presenti in carceri costruite per ospitarne a malapena 3.200. Il sistema penitenziario della Toscana purtroppo è allo sfascio e teso ad aggravarsi ulteriormente nel corso dei prossimi mesi, nonostante il Sappe - prosegue la nota, continui a denunciare le gravi carenze di personale di polizia penitenziaria, l’assenza di direttori titolari in molti istituti della regione e le condizioni strutturali fatiscenti di diversi istituti (Volterra, Livorno, Sollicciano e altri), che in taluni casi (Pistoia) danno asilo persino a dei roditori. Ascoli: madre 74enne cerca di portare droga al figlio detenuto Il Resto del Carlino, 25 febbraio 2011 Sarno, il segretario della Uil Pa penitenziari si complimenta con le guardie carcerarie, che “pur in gravi carenze organiche”, hanno sorpreso madre e figlio scambiarsi involucri nel supercarcere di Marino del Tronto. “Mi complimento con la polizia penitenziaria di Ascoli Piceno che ha portato a termine positivamente un’operazione di polizia giudiziaria atta a sventare un tentativo di introduzione di sostanze stupefacenti all’interno del carcere ascolano”. È quanto afferma Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, che fornisce ulteriori particolari su quanto accaduto alcuni giorni fa al supercarcere di Marino del Tronto. “Una signora 74enne - spiega Sarno - mamma di un detenuto marchigiano ristretto ad Ascoli Piceno, è stata colta in flagranza nella sala colloqui nell’atto di passare al figlio una siringa (tipo monouso per insulinici) e due involucri di carta argentata, che si presume contengano sostanza stupefacente”. “La polizia penitenziaria, in sinergia con la Procura della Repubblica di Ascoli - rimarca Sarno - avevano da tempo sotto controllo madre e figlio (al detenuto erano già state sequestrate decine di pillole psico-farmaci) ed è per questo che la siringa e gli involucri non stati sequestrati ai primi controlli in carcere”. “All’atto dell’irruzione dei poliziotti penitenziari il detenuto - spiega Sarno - ha ingerito la siringa e gli involucri. Fermato e portato in infermeria ha espulso la sola siringa ed ora è in osservazione in attesa che espella per vie naturali anche gli involucri. La signora, reo - confessa, è stata denunciata a piede libero”. “Nell’evidenziare la professionalità dei nostri colleghi - aggiunge Sarno - mi pare giusto evidenziare come per contrastare il fenomeno dell’introduzione in carcere di sostanze proibite il comandante ed i poliziotti penitenziari di Ascoli Piceno si siano sobbarcati di un surplus di lavoro, pur in presenza di gravi carenze organiche”. La Uil-Pa Penitenziari ha da tempo lanciato l’allarme sull’impossibilità da parte del personale di polizia penitenziaria di controllare e frenare i traffici di sostanze stupefacenti e di psico - farmaci. Bollate (Mi): per l’8 marzo invito a cena…in carcere Ansa, 25 febbraio 2011 Iniziativa della casa circondariale di Bollate (Milano) insieme all’associazione Soroptimist Italia. Dietro ai fornelli una decina di detenute, che da novembre seguono il corso “Ciaocucina”. Il ricavato verrà reinvestito in altre attività. Un invito a cena al carcere di Bollate per l’otto marzo: dietro ai fornelli una decina di detenute, che da novembre seguono il corso “Ciaocucina”, organizzato da Mariangela Doglio Mazzocchi, presidente dell’associazione Soroptimist Italia su invito della direttrice del carcere Lucia Castellano e tenuto da Lucia Donizetti, giornalista esperta di cucina. Che racconta: “Dopo una resistenza iniziale, si sono tutte appassionate. Cucinare è un’attività che dà benessere psicologico, tanto più quando ci sono degli obiettivi”. Come la cena dell’8 marzo, o la preparazione di cioccolatini destinati alla vendita nella stessa serata. Durante ogni incontro settimanale, Lucia Donizetti ha preparato con le detenute un intero menu. “Soprattutto cucina mediterranea. Ma ho voluto inserire anche elementi di altri paesi, perché le partecipanti erano quasi tutte straniere” spiega la giornalista. Alla fine di ogni lezione, una cena con i cibi preparati, per fare delle considerazioni sui risultati. La cena dell’otto marzo prevede un menu basato soprattutto su verdure di stagione, e si concluderà con “Dolci in libertà”, un ricco buffet di dessert, il settore per cui le detenute hanno mostrato più interesse. Durante la serata verrà presentato il libro “Ciaocucina”, in cui Lucia Donizetti ha raccolto le ricette insegnate durante il corso, che il pubblico potrà portarsi a casa con un contributo. Ciascuna partecipante ha poi inserito una ricetta che vorrebbe realizzare una volta uscita dal carcere, “dove molti utensili e ingredienti sono difficili da reperire” spiega Donizetti. Le spese per gli strumenti, le stoviglie e le materie prime del corso e della cena sono a carico di Soroptimist, mentre i vini saranno offerti da Cantine Lunae Bosoni (Sp), e le divise delle detenute da Nazionale manifatture. Per iscriversi, bisogna comunicare entro il 4 marzo i propri dati anagrafici a lucia.castellano@giustizia.it. Il costo della cena è di 40 euro. Il ricavato verrà reinvestito in altre attività dedicate alle detenute. Firenze: a Sollicciano 200 detenuti per il concerto di Simone Cristicchi Redattore Sociale, 25 febbraio 2011 Il cantautore ha intrattenuto i reclusi dell’istituto fiorentino per circa un’ora. “Sono onorato di portare qualcosa che possa far evadere i detenuti”, ma “nelle carceri italiane non ci sono abbastanza iniziative di questo genere”. Circa 200 detenuti, oggi pomeriggio, hanno assistito allo spettacolo del cantautore Simone Cristicchi nell’area cinema del carcere fiorentino di Sollicciano. Durante il concerto, organizzato dall’Arci Firenze, i reclusi hanno interagito animatamente con Cristicchi, battendo le mani, scherzando e cantando ritmicamente. Lo spettacolo musicale, introdotto da Gianfranco Politi, educatore all’interno del carcere, è durato circa un’ora. “Sono onorato e orgoglioso - ha detto il cantante romano - di portare qualcosa che possa far evadere i detenuti con la mente, mi considero un cantante di evasione. Il teatro, la musica e lo spettacolo sono ottime forme di risveglio per spingere oltre l’immaginazione dei detenuti”. Secondo Cristicchi, però, “non ci sono abbastanza iniziative di questo genere” nelle carceri italiane. Allo spettacolo erano presenti anche l’assessore alle politiche sociali della provincia di Firenze Antonella Coniglio e la presidente della Commissione Pace di Palazzo Vecchio Susanna Agostini. Fossano (Cn): mostra sull’arte dal carcere, domani incontro con Ermete Realacci Adnkronos, 25 febbraio 2011 “In carcere c’è spazio anche per l’arte”. Parola di Enrico Borello operatore Ferro & Fuoco Jail Design del Carcere di Fossano, in provincia di Cuneo, che organizza nel locale più Fancy di Roma ‘Se l’arte fa l’identità che dà liberta”, un incontro sulla creatività negli istituti penitenziari, che si terrà domani sera, in Via Milano 6, con Ermete Realacci, Responsabile green economy del Pd; Angiolo Marroni, Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio; Luca Iaia, Responsabile Nazionale Cna Artistico e Tradizionale; Marco Girardello, della Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Onlus; Pietro Felici, Psicologo; imprenditori, critici e designer selezionati da Next Exit. L’evento nasce dall’incontro con Pino Di Maula, il giornalista ideatore dell’inusuale laboratorio di idee sorto all’interno di un locale bio che a sua volta fa da cornice a una galleria d’arte. “Ho più volte denunciato - spiega Di Maula - lo stato di illegalità dello Stato che costringe decine di migliaia di persone a sopravvivere, e purtroppo spesso a morire, in quelli che di fatto sembrano essere diventati, come dimostra anche l’ultimo servizio di Riccardo Iacona su Rai 3, i nuovi manicomi dove rinchiudere impunemente persone malate, disagiate o, semplicemente, sfortunate: migranti, poveri o semplicemente illusi da qualche grammo di droga”. Non si tratta di un esercizio filosofico, ma di investimento per il Paese che scavalca l’idea di punizione con il concetto di produzione di qualità. Ecco la ragione dell’interesse per l’iniziativa di Ermete Realacci, che oltre ad essere responsabile green economy del Pd è presidente di Symbola, Fondazione per le Qualità Italiane nata con l’obiettivo di promuovere un nuovo modello di sviluppo orientato alla qualità in cui si fondono tradizione, territorio, ma anche innovazione tecnologica, ricerca, design. In una sola parola, la soft economy: un’economia della qualità in grado di coniugare competitività e valorizzazione del capitale umano, crescita economica e rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, produttività e coesione sociale. Immigrazione: contro il lavoro nero e lo sfruttamento… basta applicare la legge di Valentina Ascione Gli Altri, 25 febbraio 2011 “Il 31 marzo chiedo il mio salario arretrato, il padrone mi prende a pugni negli occhi. Ora ho problemi alla vista. Ma non lo denuncio. Ho paura di non trovare più lavoro o essere espulso”, racconta Sam, meccanico di 30 anni. Josh, 35 anni, ha lasciato il suo posto da giardiniere: “Mi comandavano i lavori in dialetto - ricorda - io non capivo. E quando sbagliavo, i proprietari, padre e figlio, mi stringevano il collo o mi picchiavano”. Ibra, anch’egli trentenne, lavorava 14 ore al giorno come muratore e guardiano: “Mi hanno cacciato dopo che uno scoppio di gas mi ha completamente ustionato”, spiega. Tre uomini come tanti. Tre storie, come troppe, di sfruttamento. Tre esempi di nuova schiavitù, che introducono l’appello a Governo e Parlamento, affinché si impegnino a risolvere la tragedia del lavoro dei clandestini e la loro esclusione dalla cittadinanza. “Basta applicare la legge”, affermano - tra gli altri - Emma Bonino, il regista Daniele Segre, Khalid Chaouki, responsabile Seconde generazioni del PD, Marcello Pesarini della Rete migranti “Diritti ora!” di Ancona, Gaoussou Ouattarà, segretario dell’associazione Africani in Italia. In Italia sono 700mila gli immigrati costretti a lavorare in nero, di questi almeno 500mila, non avendo il permesso di soggiorno, sono sotto ricatto e senza alcun diritto. L’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione prevede il rilascio del permesso di soggiorno provvisorio per motivi umanitari e di protezione sociale, ovvero per quegli stranieri che si trovino in “una situazione di violenza o di grave sfruttamento”. Una procedura che può essere messa in atto non solo nei casi di contrasto dello sfruttamento della prostituzione, ma anche in ambito lavorativo. Eppure, spiegano i promotori dell’iniziativa, “l’articolo 18 è disapplicato se non addirittura violato dalle Questure, poiché il permesso di soggiorno provvisorio non viene quasi mai concesso in questi casi. Ciò impedisce a migliaia di persone sfruttate e spinte verso la clandestinità di emanciparsi da una criminalità senza scrupoli. L’Italia per altro sta già violando gli obblighi derivanti dall’Unione europea per non aver attuato la direttiva rimpatri del 2008 che doveva essere recepita entro il 24 dicembre 2010”. Con questo appello si chiede dunque al Ministero dell’Interno di provvedere a una corretta applicazione dell’articolo 18 del T.U. sull’immigrazione; di promuovere in tempi brevi l’introduzione di una normativa che permetta a quegli stranieri truffati in occasione della procedura di regolarizzazione di sporgere denuncia, senza il pericolo di essere espulsi. Si invita inoltre il Parlamento a recepire con urgenza la direttiva europea del 2009 che prevede, tra l’altro, un intervento del Governo affinché venga rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo ai lavoratori extracomunitari che denuncino la loro posizione irregolare alle autorità, oltre alla non applicazione di sanzioni ai datori di lavoro che, autodenunciandosi, provvedano alla regolarizzazione dei dipendenti clandestini; e a recepire anche la direttiva del 2008 sui rimpatri che ha creato un vuoto normativo, colmato in parte da alcune procure che hanno impedito l’arresto degli immigrati irregolari. L’ultimo invito è rivolto ai movimenti antirazzisti presenti nel nostro Paese affinché “si uniscano in una comune campagna nonviolenta che possa mobilitare le coscienze di molti italiani e degli individui che nelle istituzioni sono delegate a prendere i provvedimenti in questi giorni alla portata di Governo e Parlamento”. Immigrazione: nel Cie di Bologna tunisino di 30 anni si cuce la bocca per protesta Dire, 25 febbraio 2011 Un tunisino di 30 anni rinchiuso all’interno del Cie di Bologna questa mattina si è cucito le labbra per protesta. Lo straniero, che è arrivato al Cie di via Mattei all’inizio di febbraio da un carcere della Sardegna, avrebbe compiuto questo gesto per ribellarsi a una terapia medica che gli viene somministrata dal personale sanitario del Cie e che è differente da quella che riceveva in Sardegna. Lo riferisce la Questura di Bologna, spiegando che i motivi della protesta del 30enne non avrebbero nulla a che vedere con i movimenti di ribellione e la tempesta politica di questi giorni in Tunisia. Si tratterebbe dunque di una forma di protesta personale, tutt’altro che politica. Lo straniero, che ha precedenti per spaccio di droga, parla abbastanza bene l’italiano. Al momento è tenuto monitorato e curato dai sanitari del Cie, ma non pare avere intenzione di recedere nella protesta. La situazione al Cie è tranquilla, spiegano dalla Questura; questo gesto per il momento non ha ingenerato proteste di altri detenuti o scompiglio. Immigrazione: incendio nel Cie di Gradisca, la polizia arresta 5 clandestini Agi, 25 febbraio 2011 La polizia ha arrestato cinque immigrati tunisini dopo averli individuati tra i responsabili dell’incendio divampato questa mattina in sette camerate del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Le fiamme hanno danneggiato suppellettili e materassi. I tunisini fanno parte del gruppo di extracomunitari sbarcati a Lampedusa e poi trasferiti in Friuli il 12 febbraio scorso. L’ipotesi di reato per gli extracomunitari, che sono stati rinchiusi nel carcere di Gorizia, è di danneggiamento aggravato. I cinque nordafricani sono stati rinchiusi nel carcere di Gorizia. Attualmente la struttura accoglie 136 immigrati, numero questo che viene definito di emergenza. Mondo: Rapporto Unicef; 150 milioni di bambini lavorano, un milione sono in carcere Ansa, 25 febbraio 2011 Nel mondo ci sono 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni impegnati nel lavoro minorile, e l’incidenza di questo fenomeno risulta maggiore nell’Africa sub - sahariana. È quanto stima l’Unicef nel suo Rapporto 2011 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza. A fronte di bambini che lavorano precocemente, i giovani fronteggiano invece la grande crisi occupazionale. Secondo dati del 2008 contenuti nel rapporto, i giovani hanno probabilità quasi tre volte maggiori di essere disoccupati rispetto agli adulti. E quando hanno un lavoro, in molti casi non è decoroso, rivelandosi un’esperienza di talento sprecato, di sottoccupazione e di povertà. L’organizzazione delle Nazioni Unite ritiene poi che più di un milione di bambini siano detenuti dalle forze dell’ordine. Libia: lo storico Angelo Del Boca; sulle “fosse comuni” ho molti dubbi di Emanuela Citterio Vita, 25 febbraio 2011 “Su quelle tombe ho molti dubbi”. Angelo Del Boca, massimo storico del colonialismo italiano ed esperto di Libia, è scettico sulle immagini pubblicate da molti quotidiani di tombe con la didascalia “fosse comuni a Tripoli”, tratte dal video pubblicato su One day on earth. “Innanzitutto è evidente anche dalle immagini che non si tratta di fosse comuni. Il luogo poi non è la spiaggia ma il cimitero di Tripoli perché si vedono un minareto e varie case che sono le ultime abitazioni della città, proprio dove comincia il cimitero”. Secondo del Boca sono gonfiate anche le cifre sulle vittime: “Non si può parlare di 10mila morti e 50mila feriti. Ma scherziamo? 50mila feriti non ci stanno in tutti gli ospedali del Medioriente. Sono cifre false e tendenziose”. Ma chi ha interesse a gonfiare le cifre? “Chi le ha riferite, cioè questo Sayed al Shanuka, componente libico della Corte penale internazionale, mi sembra una persona per bene” risponde Del Boca a Vita.it. “Ma al Shanuka non sta in Libia, se ne sta tranquillamente negli Stati Uniti”. Secondo alcuni esperti, ci sarebbero alcuni libici della diaspora dietro questa valutazione esagerata del numero delle vittime, anche se resta il fatto che sono state massacrate a sangue freddo centinaia di persone in questi giorni”. Ci sono tre gruppi forti di emigrati dalla Libia, a Ginevra a Londra e negli Stati Uniti, sono i tre gruppi più importanti” afferma Del Boca. “Il problema però non sono i libici della diaspora ma i tanti giornali che prendono queste cifre per buone, sparandole una dopo l’altra senza nessun riscontro”. Del Boca riceve telefonate quotidiane dalla Libia, dove è stato molte volte, anche per intervistare Gheddafi. “Stamattina un caro amico da Tripoli me l’ha confermato: i morti sono tanti, probabilmente un migliaio. Non i 10mila che i giornali hanno scritto. Ciò non toglie che sia in corso un massacro”. E i mercenari? Lo stesso Gheddafi ha parlato di 30mila soldati. “Saranno due-tremila”. Lo storico italiano racconta a Vita.it una notizia che ha ricevuto per telefono oggi da un testimone oculare: “Questa mattina a Zavia, che è una città di circa centomila abitanti a una quarantina di chilometri da Tripoli c’era una piccola folla di persone, tutti civili, riunita a discutere sul da farsi. Il mio contatto lì mi ha raccontato che all’improvviso sono arrivati una trentina di camionette di libici favorevoli a Gheddafi, molto probabilmente mercenari, e si sono messi a sparare senza dire una parola sulla popolazione facendo 60 morti. Nel giro di poco tempo la popolazione è riuscita a riorganizzarsi e a cacciare i mercenari e anche a fare alcuni prigionieri. Questo è quello che è accaduto stamattina a Zavia, circa alle ore 9.30 - 10”. Del Boca non crede alle tesi complottiste secondo le quali ci sarebbe la Cia dietro la rivolta in Libia. “So che un ruolo importante l’ha avuto la borghesia libica, che è stata bistrattata da Gheddafi”. Il dittatore libico, prevede, ha i giorni contatti: “Fra tre - quattro giorni non ci sarà più”. Secondo le informazioni a disposizione dello storico le “tribù della montagna”, ovvero quelle di Rogeban, Zintan, Warfalla e Tahruna, stanziate nella catena montuosa 150 chilometri a sud di Tripoli si starebbero preparando per l’attacco finale all’ultima roccaforte di Gheddafi nella caserma di Bab al Aziziya, in un sobborgo meridionale della capitale libica. Serbia: scarcerato dopo 16 mesi l’italiano che aveva iniziato uno sciopero della fame Ansa, 25 febbraio 2011 È tornato libero Giovanni Accroglianò, l’italiano detenuto da 16 mesi in carcerazione preventiva presso il carcere speciale di Belgrado. Lo ha confermato a Tmnews la moglie, Milena Matic, con cui Accroglianò vive da oltre 15 anni a Belgrado, insieme ai tre figli minorenni. L’uomo aveva iniziato lo sciopero della fame il 16 febbraio scorso, poiché un intoppo burocratico lo tratteneva ancora dietro le sbarre. “Sta bene anche se è molto dimagrito e non riesce ancora a rendersi conto di quanto accade: è una gioia immensa tornare a casa dopo 16 mesi, ma anche un forte shock”, ha spiegato la signora. Accroglianò è stato arrestato in ottobre 2009 con l’accusa di abuso d’ufficio e associazione criminale confini di truffa alla città di Belgrado, per delle presunte gare d’appalto truccate legate a forniture ospedaliere: l’importo contestato è di circa 150.000 euro. Alla fine di gennaio scorso il Tribunale speciale di Belgrado, ha definitivamente accolto l’ipoteca accesa dalla moglie sui loro beni immobili, come garanzia del pericolo di fuga. Ma l’italiano - attualmente sotto processo in Serbia per i reati contestatigli - è stato rilasciato solo oggi, a causa di una serie di intoppi burocratici, superati anche grazie all’intervento dell’Ambasciata d’Italia in Serbia.