Giustizia: Ministero e Regione Trentino A.A. collaborano per gestire i tribunali e le carceri Agi, 1 febbraio 2011 Garantire agli Uffici giudiziari del Trentino - Alto Adige mezzi per una corretta gestione amministrativa, per offrire ai cittadini un servizio giustizia efficiente e facilmente accessibile. È questa la principale finalità dell’accordo di programma fra il Ministero della Giustizia e la Regione Trentino-Alto Adige, firmato ieri a Trento dal Ministro Angelino Alfano e dal Vicepresidente della Regione Lorenzo Dellai. Si tratta della prosecuzione di una collaborazione già in essere da alcuni anni, un accordo analogo era stato sottoscritto nel 2007 ed in precedenza, nel 2003, venne firmato un protocollo d’intesa fra la Regione e la Corte d’Appello di Trento che prevedeva forme di cooperazione per la fornitura di attrezzature e per il distacco di personale regionale presso gli Uffici giudiziari. Il nuovo accordo, firmato oggi dal Ministro Alfano e dal Vicepresidente Dellai, prevede che la Regione, al fine di garantire la funzionalità degli Uffici giudiziari del distretto di Trento, provveda a distaccare fino a 25 unità di personale regionale presso gli stessi Uffici giudiziari, 5 in più rispetto al precedente accordo. La Regione, inoltre, si impegna a fornire le risorse materiali necessarie al funzionamento degli Uffici giudiziari, come il materiale di cancelleria, stampati speciali, carta, materiale di consumo informatico, attrezzature tecniche ed informatiche e relativi servizi di manutenzione, software e strumenti di studio e documentazione. Gli oneri relativi al personale ed ai mezzi forniti agli Uffici giudiziari, così come le spese sostenute dalla Regione per il funzionamento dei 22 Uffici del giudice di pace presenti in Trentino - Alto Adige, sono totalmente a carico della Regione. Nel commentare la firma dell’accordo, avvenuta a Spini di Gardolo nell’ambito dell’inaugurazione del nuovo carcere di Trento, il Vicepresidente Dellai ha sottolineato che tale intesa rappresenta una comune assunzione di responsabilità, finalizzata a garantire un servizio giustizia più efficiente, mentre il Ministro Alfano si è detto convinto che l’accordo firmato oggi a Trento rappresenti un modello di leale collaborazione fra istituzioni da esportare a livello nazionale. La Segreteria tecnica, che gestirà i contenuti dell’accordo, composta da funzionari del Ministero e della Regione, nonché dal Dirigente del Progetto grandi opere della Provincia di Trento, sarà inoltre sede di confronto sugli aspetti relativi alla popolazione carceraria detenuta nella Casa Circondariale di Trento al fine del rispetto della normativa vigente sull’assetto degli istituti penitenziari ed in modo da consentire idonee condizioni di detenzione. Giustizia: Uil-Pa; Alfano non tagli solo nastri, molti istituti di pena sono sudici e degradati Ansa, 1 febbraio 2011 Vogliamo augurarci che l’attività e l’attenzione del ministro Angelino Alfano verso il disastrato universo penitenziario non si limiti solo a qualche comparsata per il taglio di nastrini”. Così il segretario generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, commenta la presenza del Guardasigilli a Trento per l’inaugurazione del nuovo carcere ‘L’universo carcere - prosegue il sindacalista in una nota - ha bisogno di un ministro della Giustizia e di un Esecutivo che mettano nell’agenda dei lavori le soluzioni alle emergenze e un piano di rilancio del sistema penitenziario. Se per Trento non possiamo non apprezzare l’impegno degli enti locali per la realizzazione di un nuovo carcere, tanto da indicarlo come modello di sinergia risolutiva alla decadenza strutturale delle nostre prigioni, è pur vero che rappresenta un’altra occasione persa dall’Amministrazione penitenziaria per affermare una politica gestionale efficiente ed efficace. È davvero singolare - prosegue Sarno - che un nuovo istituto, tecnologicamente avanzato, debba funzionare a scartamento ridotto per la mancanza di personale mentre a pochi chilometri, Rovereto e Gorizia, si mantengono in vita istituti degradati, sudici e inadatti”. Giustizia: progetto “In & Out”; inserimento lavorativo per 2.800 minori in circuito penale Dire, 1 febbraio 2011 È stato assegnato a tre aziende siciliane che hanno avviato l’iter per l’assunzione definitiva di giovani ex detenuti il premio Network Etico delle imprese “Ambra Agnello”. Ed è stato presentato il progetto “Percorsi di Legalità” per 2.800 giovani che si inserisce nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno d’Italia”. Tutto questo si è svolto a Palermo nell’ambito dell’incontro conclusivo del progetto “In & Out, Percorsi di Legalità” che ha coinvolto autorità, esperti di giustizia minorile e rappresentati di associazioni di categoria, stamani presso il complesso “Malaspina”. Le aziende premiate sono state la Fincantieri Palermo, l’Ente scuola edile di Catania e il Real Costruzioni di Catania. Al progetto hanno aderito 27 aziende. Il progetto “In & Out, Percorsi di Legalità”, in particolare, è stato l’unico in Europa a prevedere oltre ad interventi strutturali e ad azioni di miglioramento degli istituti penali minorili (campi sportivi, una cucina didattica, la costruzione di un’aula polifunzionale, il rifacimento integrale di un teatro e la valorizzazione del giardino storico di Villa Palagonia) un’attività di orientamento formativo professionale. In particolare sono state attivate 200 borse lavoro in favore dei reclusi all’interno e all’esterno delle strutture penitenziarie, laboratori artistici e culturali. Il progetto “Percorsi di Legalità” che ha preso avvio nel maggio 2010 e ha la durata di ben 36 mesi, attua percorsi di inserimento socio - lavorativo rivolti a minori e giovani italiani e stranieri presi in carico dai servizi minorili della giustizia situati nelle regioni Sicilia, Calabria, Campania e Puglia. Il progetto prevede la realizzazione di un insieme di azioni integrate, connesse e complementari, come attività di ricerca e di verifica dei soggetti e dei bisogni tramite la mappatura degli attori territoriali, l’analisi del contesto territoriale, l’analisi delle strategie utilizzate per l’inserimento del mondo del lavoro dei minori/giovani presi in carico dai servizi della giustizia minorile, la selezione e formazione dei tutor. I destinatari diretti dell’azione di orientamento/formazione saranno 2.800 minori del circuito penale, in media 700 per ciascuna delle quattro regioni interessate. “Nell’impresa privata ci può essere una prospettiva di lavoro e dunque di un futuro sano e solido - afferma il presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese. È giusto che questo orizzonte si apra ai minorenni detenuti, perché occorre dare una chance in più a questi ragazzi. Ed è giusto che siano le imprese a farlo”. “Nel nostro Ipm attualmente abbiamo 59 ragazzi - sottolinea Maria Randazzo, direttore dell’Ipm di Catania - , di questi 11 sono stati inseriti nelle borse lavoro e per due giovani è avvenuta pure l’assunzione a tempo indeterminato. In questo caso possiamo dire che i ragazzi, se accolti e accompagnati adeguatamente in tutte le loro fasi del delicato cammino, sono in grado perfettamente di vincere la scommessa con la società”. “Abbiamo 30 mila ragazzi in Italia che hanno bisogno di essere seguiti attraverso l’impegno forte di squadre multidisciplinari vincenti - sottolinea con forza Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari - . Non è vero che i soldi non ci sono ma questi devono essere orientati sempre più verso progetti che possano essere reali punti di sintesi capaci di creare processi culturali significativi per i giovani”. “I percorsi di legalità devono prevedere l’assunzione di responsabilità non solo del minore ma anche della sua famiglia oltre che delle istituzioni competenti secondo un approccio multi professionale. Per il futuro pensiamo proprio a dei progetti innovativi - afferma Nicola Testone, consulente del ministero della Giustizia per le tematiche sociali - che per un approccio globale del minore possano puntare ad un maggiore coinvolgimento del nucleo familiare del giovane”. Marche: relazione dell’Ombudsman; detenuti oltre capienza regolamentare, 150% in più Redattore Sociale, 1 febbraio 2011 La relazione dell’ombudsman mette in luce le criticità: carenza di personale di polizia penitenziaria, due istituti che andrebbero chiusi (Fermo e Camerino), locali malsani e difficoltà a garantire visite specialistiche e farmaci per i tossicodipendenti. Sono il 150,5% in più. Si tratta dei detenuti presenti nei sette istituti della regione Marche che, alla data del 31 dicembre 2010, erano 1.166 rispetto ai 762 previsti dalla capienza regolamentare (1.067 è quella tollerabile). È il sovraffollamento delle carceri il primo tema toccato dall’Ombudsman della regione Marche, il professor Italo Tanoni, questa mattina, nella conferenza stampa di presentazione della sua relazione sulla salute degli istituti di pena marchigiani. Insieme al presidente dell’Assemblea legislativa, Vittoriano Solazzi, il Garante dei diritti dei detenuti ha evidenziato varie criticità delle carceri marchigiane, come la carenza di personale di polizia penitenziaria o la mancanza di manutenzione delle strutture. In alcuni istituti, infatti, come Montacuto o Pesaro, la percentuale di personale di polizia presente rispetto alla popolazione detenuta è inferiore al 40%. Se si tiene conto delle strutture e degli spazi, inoltre, secondo l’ombudsman due istituti sarebbero da chiudere: Fermo e Camerino. In questo senso, secondo il Garante, potrebbero essere positivi interventi di ampliamento e completamento di alcuni istituti, ad esempio Barcaglione. O come il progetto del governo di costruire in due anni un carcere di 800 posti a Camerino, sebbene si preveda “una grande spesa”, come ha detto in conferenza stampa Tanoni. Per quanto riguarda l’edilizia carceraria, però, “è il Ministero che si muove” ha ricordato l’ombudsman. Un campo, invece, su cui la Regione ha competenza e su cui potrà e dovrà fare di più è quello sanitario. Altro punto debole del sistema penitenziario marchigiano è infatti la sanità, tanto da fare pensare che “la situazione pregressa (cioè quando il servizio era erogato dallo stato centrale, ndr) garantiva un servizio migliore” ha detto Tanoni. Nelle Marche ci sono 5 malati di Aids, 106 di Epatite c, tubercolosi e 137 pazienti affetti da patologie psichiatriche. Davanti a questo quadro, il garante ha riscontrato locali malsani nelle carceri e alcune difficoltà a garantire visite specialistiche o la somministrazione di farmaci per tossicodipendenti. Nonostante la regione abbia aumentato il monte ore a disposizione degli Uffici di servizio sociale per minorenni (Ussm) da 40 a 60 ore, secondo Tanoni questo non basta. Ecco perché, su questo fronte, è intervenuto il presidente Solazzi che ha detto che il report dell’ombudsman verrà mandato alla I e alla V commissione per un’analisi di competenza, affinché il Consiglio arrivi a “risolvere le problematiche degli aspetti sanitari e socio - sanitari”. Inoltre, dall’ombudsman verranno visitati gli ospedali che hanno spazi di degenza riservati ai detenuti e saranno convocati i sert e quelle comunità per tossicodipendenti che accettano detenuti. Un altro obiettivo è un incontro tra Commissione e direttori delle carceri. Lombardia: con l’Aiab progetti di agricoltura biologica per il reinserimento dei detenuti Il Velino, 1 febbraio 2011 Per qualificarsi come biologica, l’agricoltura deve rispondere ad un serie di requisiti tecnici, come l’assenza dell’utilizzo di sostanze di sintesi chimica e la certificazione rilasciata dagli organismi di controllo preposti. Ma l’agricoltura biologica che vogliamo è improntata anche ad una serie di criteri etici, quali la valorizzare del ruolo dell’agricoltore nella gestione e nella tutela del territorio e del suolo, il rispetto della natura e del benessere animale, il rispetto della salute e dei diritti di chi consuma, il rispetto dei diritti di chi lavora e la solidarietà. Un caso paradigmatico di come l’agricoltura biologica possa farsi interprete di finalità ed esigenze solidaristiche e sociali è rappresentato dal progetto “Modello di impresa agricola biologica finalizzato alla promozione di filiere corte e all’inserimento di soggetti svantaggiati” che si svolge presso la Cooperativa Sociale Aretè di Bergamo ed è promosso da: Aiab e Associazione Amici di Aretè, con il sostegno del Ministero dell’Agricoltura, dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Lombardia e del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Questo progetto ha come fine istituzionale l’integrazione nel mondo del lavoro di persone svantaggiate che presentano disagi o sono a rischio di esclusione come disabili, detenuti ed ex detenuti, e la promozione di metodi di produzione ambientalmente sostenibili. Il progetto propone, infatti, opportunità di reinserimento sociale e lavorativo per soggetti svantaggiati - nella fattispecie, grazie ad una collaborazione con la Casa circondariale di Bergamo, ben 9 detenuti stanno seguendo un corso di formazione lavoro con 150 ore di formazione in aula e 150 di formazione sul campo presso la Coop. sociale Aretè con la prospettiva di avere uno sbocco occupazionale a conclusione del progetto presso la stessa Coop. sociale Aretè o presso aziende biologiche circostanti, sostiene la formazione di reti di commercializzazione di alimenti biologici prodotti dalla cooperativa Aretè e dalle aziende e cooperative biologiche e sociali limitrofe, nonché l’inserimento dei prodotti biosociali nei canali di commercializzazione improntati alla filiera corta. Dal progetto arriva un’importante conferma dell’efficacia dell’attività agricola nell’inclusione di persone “svantaggiate”. Il lavoro nei campi, infatti, ha dimostrato ancora una volta di avere forti potenzialità sul piano “trattamentale” ai fini rieducativi e di inclusione sociale dei detenuti. Un’evidenza che Aiab aveva già messo a fuoco con il progetto “ Agricoltura sociale e detenzione. Un percorso di futuro” sul lavoro agricolo dei detenuti all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari. Proprio alle tematiche dell’agricoltura sociale e ad una riflessione conclusiva sul progetto dell’Associazione Amici di Aretè sarà dedicato il convegno “Agricoltura biologica tra sostenibilità e welfare locale”. Organizzato da Regione Lombardia e Associazione Amici di Aretè, il convegno si svolgerà il 3 febbraio 2011, presso la Sala Convegni 1 della Regione Lombardia, in via Pola 12, Milano. Sicilia: la Uil scrive al ministro Alfano; il sistema penitenziario in situazione allarmante Ansa, 1 febbraio 2011 “È allarmante la situazione del sistema penitenziario in Sicilia”. Lo afferma Eugenio Sarno segretario generale Uil penitenziari a Palermo che ha inviato una nota al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. “L’ammasso di persone detenute in angusti spazi, la mancanza di personale, - scrive - le incivili e infamanti condizioni di detenzione e di lavoro sono alla base di una mobilitazione che è anche azione di informazione. L’esiguità dei contingenti di polizia penitenziaria coniugati all’insostenibile sovraffollamento sono il magma che agita il vulcano penitenziario in Sicilia oramai pronto ad eruttare con tutta la sua portata violenta”. Per questo afferma Sarno: “facciamo appello ai politici regionali e nazionali di sostenere la nostra battaglia per un sistema penitenziario davvero capace di garantire dignità, civiltà e diritti a chi vive e lavora nelle degradate carceri siciliane”. Secondo le cifre fornite dalla Uil in Sicilia al 31 dicembre erano rinchiusi 7.782 detenuti (7.597 uomini, 205 donne), con una media dell’indice di sovraffollamento del 44,7%. Il carcere di Piazza Armerina (151,1%) è la struttura più affollata della regione ( la terza in ordine nazionale) , seguono Castelvetrano (108,5 %) e Termini Imerese (102,7%). “Nel 2010 nei penitenziari siciliani - prosegue Sarno - vi sono stati otto suicidi (4 a Siracusa, 2 a Catania Bicocca, 1 a Caltanissetta e Giarre). I tentati suicidi sono stati 124 (21 i detenuti salvati in extremis dalla polizia penitenziaria)”. Gli atti episodi di aggressione contro i poliziotti penitenziari, sono stati in totale 36 (8 al Pagliarelli; 4 all’Ucciardone e Barcellona; 3 a Messina; 2 a Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani; 1 a Agrigento, Augusta, Castelvetrano, Catania, Favignana, Giarre, Modica, San Cataldo, Sciacca). “In questo quadro allarmante - conclude - la mancanza di circa 500 agenti di polizia penitenziaria assume una valenza devastante e preoccupante sul versante dei diritti e, ancor più, sul versante della sicurezza e dell’ordine pubblico”. Sicilia: detenuti-restauratori, come a Parigi; la proposta dell’assessore ai Beni culturali Redattore Sociale, 1 febbraio 2011 La proposta dell’assessore ai Beni culturali, Sebastiano Missineo, dopo l’esperienza francese del Louvre che recentemente ha coinvolto i reclusi di Poissy. Inviata una lettera al penitenziario per avviare una collaborazione. Reinserire i detenuti nel mondo del lavoro restaurando le opere d’arte siciliane custodite nei magazzini e non mostrate al pubblico. L’intenzione dell’assessore ai Beni culturali, Sebastiano Missineo è quella di provare a realizzare in Sicilia quanto è avvenuto, a Parigi con il Louvre che, recentemente, ha coinvolto gli ospiti di un penitenziario francese per rivalorizzare alcune opere d’arte. Naturalmente restauratori non si nasce ma si diventa attraverso un’apposita formazione con docenti specializzati che in questo caso dovrebbero dare la loro disponibilità. L’idea, sul modello francese, dell’assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, Sebastiano Missineo, è quella di sfruttare l’iniziativa sperimentata dal museo parigino con i responsabili del carcere di Poissy adattandola in questo caso alla realtà isolana. Per questo ha inviato una lettera ai responsabili del carcere di Poissy per avviare un confronto ed una collaborazione, al fine di realizzare un analogo progetto. “In questi giorni - ha affermato Missineo - dalla Francia arriva una notizia che sta incuriosendo tutto il mondo. A Poissy, in un carcere vicino a Parigi, hanno esposto nel cortile delle riproduzioni dei quadri di Mantegna e Gericault e altri dipinti del Louvre. Una partnership tra il celebre museo e questa prigione dove sono rinchiuse 230 persone che hanno lunghe pene da scontare (l’80% addirittura ha condanne che vanno oltre i venti anni)”. “Questa interessante iniziativa - aggiunge - mi ha convinto e mi ha spinto a cercare di fare di più in un paese dove solo in pochi si ricordano che esiste un problema di carceri e reinserimento nella società di chi ha espiato la sua condanna. Per questo ho deciso di inviare un lettera ai responsabili del carcere di Poissy per avviare una proficua collaborazione, allo scopo di realizzare anche in Sicilia un analogo progetto”. La proposta dell’assessore Missineo giunge dopo le critiche rivolte alla regione, agli inizi di gennaio, da El Pais, con un articolo dal titolo “Ieri assassini, oggi guardie al museo”. Nel testo si condannava l’integrazione di un gruppo di custodi del museo di Palazzo Abatellis con sei ex detenuti con un passato nella criminalità. “Allora come oggi - conclude Missineo - difesi quella scelta, bollando quelle critiche come uno strumentale caso di snobismo culturale”. L’iniziativa in Sicilia ha avuto soltanto un precedente con il progetto Arcobaleno che nel settembre scorso ha coinvolto la casa circondariale di Enna. In quel caso decine di mobili antichi, appartenenti ad enti ed uffici pubblici, sono ritornati al loro splendore grazie al lavoro di alcuni detenuti ex tossicodipendenti dell’istituto penitenziario di Enna. Il progetto in questione era stato promosso dall’Asp di Enna in collaborazione con la Casa Circondariale di Enna e finanziato dall’Assessorato alla Famiglia, alle Politiche Sociali e alle Autonomie Locali della Regione Sicilia con fondi per la lotta alla droga. Savona: delegazione radicale visita il carcere… “una conigliera senza luce” Savona News, 1 febbraio 2011 “A Savona i carcerati sgomitano compressi in una struttura che riporta al Medioevo, vivono le loro giornate senza luce, sotto i neon”. Questa la prima impressione di Gian Piero Buscaglia del Comitato Nazionale Radicali Italiani, reduce da una visita al Sant’Agostino insieme con Rita Bernardini, deputata e componente della Commissione Giustizia. Dopo il sopralluogo dello scorso ferragosto, la delegazione radicale è tornata a visitare gli spazi dell’istituto penitenziario savonese. Ambienti angusti, celle malandate, stanze comuni spesso molto umide ricavate nell’antico edificio convenutale in parte interrato. “La comunità carceraria si arrangia e si adatta di fronte ai difetti strutturali clamorosi di questo carcere - commenta Buscaglia - Lo spreco economico per le continue ristrutturazioni di cui necessita è ingiustificato, bisognerebbe costruire subito quello nuovo”. “Il sovraffollamento tipico delle case circondariali - prosegue Buscaglia - si ripete anche a Savona, con qualcosa di peggio: la struttura è fatiscente, con le finestre dell’antico convento murate o cementate. I detenuti non ricevono un raggio di sole, passando le loro giornate sotto le luci al neon. Topi, bagni alla turca, celle malsane con letti a castello di due o tre livelli… Praticamente è una conigliera”. Durante la mattinata i radicali della delegazione hanno visitato il carcere di Sanremo, mentre nel pomeriggio, sino a sera, sono rimasti nella città della torretta. “Tra i due quello di Savona è almeno, sotto un certo punto di vista, più umano - dice Gian Piero Buscaglia. Il penitenziario di Sanremo per le sue dimensioni risulta più alienante. Il fatto evidente è che entrambi non hanno un regolamento interno, anche perché se dovessero stilarlo evidenzierebbe tutti gli aspetti non a norma delle strutture”. Il sovraffollamento del Sant’Agostino è in linea con l’allarmante media nazionale (l’eccesso di presenze è del 53,3% rispetto alla capienza prevista). “Al Sant’Agostino di Savona ci sono quasi 80 detenuti a fronte dei 40 previsti dalla capienza - osserva la deputata Rita Bernardini - Il sindaco della città non è nemmeno autorizzato a visitarlo, in quanto appunto non è tra le autorità ammesse per effettuare sopralluoghi nella casa circondariale, alla quale possono accedere solo parlamentari italiani, parlamentari europei e consiglieri regionali. Bisogna intervenire su questa limitazione perché è incredibile che l’amministratore di una città non possa valutare di persona le condizioni dell’istituto penitenziario”. L’Assessore Rambaudi: il Governo non è un interlocutore serio “La situazione del carcere di Savona non si riesce a risolvere perché il Governo non è un interlocutore con il quale potersi confrontare seriamente”. Commenta così l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Lorena Rambaudi, integra le affermazioni di Gian Piero Buscaglia del Comitato Nazionale Radicali Italiani che, dopo una visita al Sant’Agostino, aveva definito la struttura circondariale savonese “una conigliera senza luce”. L’assessore regionale Rambaudi, insieme ad una delegazione di parlamentari e consiglieri, aveva visitato il carcere Sant’Agostino nei mesi scorsi nell’ambito dell’iniziativa “Ferragosto in Carcere”, promossa dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e già allora aveva sottolineato come il 2011 fosse per la comunità penitenziaria un anno difficile. Già allora la Rambaudi aveva denunciato il sovraffollamento della struttura (75 detenuti ospitati contro una capienza di 45 e un massimo di 59): “Detenuti di cui molti sono in attesa di giudizio, alcuni dei quali con capi di imputazione che spesso non giustificano lunghi tempi di detenzioni come quelli attuali”. “Ho chiesto un incontro al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, o con i suoi uffici ma ad oggi, nonostante i ripetuti solleciti, non ho ancora avuto risposte positive in merito” conclude Lorena Rambaudi. Venezia: Centenaro scrive al sindaco per sollecitare l’area alternativa per il nuovo carcere Il Gazzettino, 1 febbraio 2011 “Sulla localizzazione del nuovo carcere va data subito una risposta al Ministero”. L’invito rivolto al sindaco Giorgio Orsoni è del vice presidente del consiglio comunale Saverio Centenaro. “Considerato che tale comunicazione risulta determinante sulle scelte future e che la tempestività di inoltro permette di intervenire ancora nell’iter in corso, chiedo al sindaco - ha scritto il consigliere del Pdl - di dare seguito a quanto approvato all’unanimità dal Consiglio comunale lunedì della settimana scorsa”. Orsoni ha ancora pochi giorni di tempo per comunicare il nome di un sito demaniale alternativo a Campalto e idoneo ad ospitare la nuova struttura carceraria se vuole riaprire la partita virtualmente chiusa il 27 dicembre scorso con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa fra Stato e Regione Veneto. In questi giorni, peraltro, circolano alcune voci che parlano di una trattativa da parte del Ministero per acquisire un’area privata a Tessera in cui costruire il nuovo penitenziario, anche se in Comune dicono di non saperne niente. “Non ho alcun dato in mano e non sono a conoscenza che si stia cercando un’area privata da destinare a questo scopo” ha tagliato corto l’assessore all’urbanistica Ezio Micelli. Intanto il Partito Democratico torna nuovamente a contestare la scelta di Campalto. “Il nostro no alla realizzazione del carcere a Campalto - è scritto in un comunicato a firma del coordinatore del Circolo Carmine Liguori - ha una duplice motivazione: da un lato la questione urbanistica - ambientale, l’utilizzo cioè del territorio in una direzione che non condividiamo (45 milioni di euro per un Alcatraz di cinque e più piani), dall’altra una visione della giustizia e dell’applicazione delle pene, sostenuta dal Governo, che risponde con l’uso del cemento anziché modificare una legislazione che è responsabile dell’ingolfamento della macchina della giustizia. Siamo contrari ad una gestione degli istituti di pena - continua la nota - che pensa unicamente a realizzare altre opere edilizie senza pensare a migliorare l’efficienza delle strutture a disposizione e la qualità del vivere in carcere. La contraddizione è ancora più forte a Venezia dove gli stessi operatori di sorveglianza hanno dato una prima risposta per affrontare l’emergenza di Santa Maria Maggiore, ovvero riadattare e riutilizzare i posti immediatamente disponibili nella casa di lavoro della Giudecca che può ospitare circa 100 detenuti”. Reggio Calabria: Tribunale di sorveglianza; aumentati del 70% i procedimenti pendenti Gazzetta del Sud, 1 febbraio 2011 Confermato il dato tendenziale dell’aumento degli affari trattati dal Tribunale di sorveglianza, presieduto da Ferdinando Licata. Rispetto all’anno precedente la percentuale di incremento è ancora più alta. Nel periodo 1 luglio 2009 - 30 giugno 2010 sono sopravvenuti 2017 procedimenti (erano 1236 nel periodo precedente, con un aumento di circa il 70%), ai quali bisogna aggiungere i 731 procedimenti pendenti al 30 giugno 2009, per un totale di 2748 (erano 1879 nel periodo precedente). Sottraendo dal totale i procedimenti definiti, ovvero 1704 , si verifica che la pendenza, che al 30 giugno 2009 era di 731 affari è aumentata a 1044, con un incremento del 45%. Nel periodo preso in considerazione sono sopravvenuti 4190 (a fronte dei 3266 del periodo precedente) procedimenti, più 53 per misure di sicurezza. Sono stati definiti 4582 (a fronte dei 2860 pendenti) più 26 per misure di sicurezza, con una pendenza finale che da 392, esistente al 30 giugno 2009, è passata a 741, con un aumento pari a circa il 90%, mentre per le misure di sicurezza la pendenza è passata da 65 a 92. A fronte dell’impegno dei magistrati che hanno incrementato le definizioni, tuttavia si è verificato un aumento straordinario della pendenza dovuta alla crescita esponenziale degli affari. Il Tribunale di sorveglianza non sfugge al problema principale degli uffici giudiziari del distretto: le carenze negli organici. In servizio ci sono un presidente e due giudici, decisamente pochi per fronteggiare una mole di lavoro consistente. Un dato preoccupante che emerge nel settore di sorveglianza è relativo all’aumento di presenze negli istituti di pena che produce uno straordinario e pericoloso sovraffollamento. Al 30 giugno 2010 nella casa circondariale di Reggio erano presenti 341 contro i 284 dell’anno precedente a fronte di una capienza tollerabile di 264. Nella casa circondariale di Palmi a fronte di una capienza tollerabile di 142 detenuti erano presenti 184. Alla situazione considerata intollerabile fa eccezione la casa di reclusione di Laureana di Borrello, istituto pilota per l’esecuzione delle condanne definitive, dove sono presenti 46 detenuti. Desta preoccupazione anche la situazione delle presenze del personale di Polizia penitenziaria e dei dipendenti civili. Le piante organiche non sono state aggiornate, non sono adeguate ai nuovi compiti d’istituto. Teramo: detenuto tenta il suicidio, probabilmente si tratta di un atto dimostrativo Agi, 1 febbraio 2011 Non voleva suicidarsi davvero ma con estrema probabilità ha finto di togliersi la vita un detenuto del carcere di Castrogno (Teramo) che questa mattina ha creato subbuglio all’interno della casa circondariale, probabilmente per attirare l’attenzione. L’uomo, G.C., 45 anni, di origini napoletane e in cella per condanne relative a reati contro il patrimonio, al passaggio di un agente di custodia, ha finto di stringere attorno al collo un maglione messo a mò di cappio, per assicurarlo alle sbarre della finestrella. La guardia si è accorta di quanto stava accadendo ed è entrata chiedendo il supporto dei colleghi, che hanno liberato il detenuto e lo hanno accompagnato in infermeria per essere assistito da uno psichiatra. Sul posto è intervenuta anche un’ambulanza del 118, il cui personale è però tornato in ospedale una volta acclarato il falso allarme. Modena: Sappe; carica batterie per cellulari ritrovati dietro frigo in uso ai detenuti Agi, 1 febbraio 2011 Due carica batterie, nascosti dietro ad un frigorifero di uso comune nel quale i detenuti tengono i generi alimentari che acquistano attraverso l’impresa che lavora nel carcere, sono stati rinvenuti sabato mattina nel carcere Sant’Anna di Modena, nel corso di una perquisizione straordinaria della polizia penitenziaria. Ciò lascia presumere - secondo il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria - che qualche detenuto possa anche essere in possesso di telefoni cellulari. Nella stessa giornata, attraverso l’impiego di due unità cinofile, sono stati perquisiti i familiari dei detenuti che si accingevano ad effettuare i colloqui. Si è così scoperto che uno di questi nascondeva, tra i vestiti, un involucro di eroina; un altro invece aveva in macchina del metadone. Entrambi sono stati denunciati e le sostanze sequestrate. I due episodi, secondo il sindacato, mettono in luce la necessità di controlli mirati. Nel carcere di Modena ci sono 468 detenuti, a fronte - denuncia il Sappe - di una capienza di 230 posti letto: il 70% sono stranieri, 284 sono tossicodipendenti. Gli agenti in servizio sono 130, per un organico previsto di circa cento unità in più. Milano: musical dei detenuti nel reparto di Alta Sicurezza del carcere di Opera Redattore Sociale, 1 febbraio 2011 Progetto patrocinato dal Consiglio regionale e promosso dal consorzio di cooperative sociali Ex.it. La regista, Isabella Biffi: “Alcuni grazie all’arte si trasformano, vivono una vera rivoluzione umana”. Recitano, cantano e ballano. Sono i detenuti del circuito di Alta sicurezza del carcere di Opera (Mi), che sabato 5 febbraio si esibiranno nel musical “La luna sulla capitale”, un progetto patrocinato dal Consiglio regionale e promosso dal consorzio di cooperative sociali Ex.it. “Il teatro è un modo di farsi ascoltare anche all’esterno: qualcosa di cui nei penitenziari si sente molto bisogno” spiega Isabella Biffi, in arte IsaBeau, regista dello spettacolo. “Alcuni grazie all’arte si trasformano, vivono una vera rivoluzione umana”, anche per le modalità di ideazione dello spettacolo, che li ha coinvolti in prima persona. “Possono fare proposte, osservazioni. Cose a cui non sono per niente abituati! Invece è importante che qualche volta siano messi nella condizione di poter dialogare e anche discutere con qualcuno” commenta la regista. È d’accordo anche Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Opera: “Attraverso il teatro conoscono meglio sé stessi, capiscono che possono fare cose diverse da quelle che hanno sempre fatto. Inoltre è un’occasione per aprire il carcere a visitatori esterni”. Isabella Biffi ha cominciato a frequentare il carcere nel 2007 per tenere un semplice corso di canto. Raccogliendo la voglia dei detenuti di affrontare un progetto più impegnativo, ha deciso di proporre a Ex.it e alla direzione del carcere l’idea di un musical: così nel 2008 è stato realizzato “I dieci mondi”, e a gennaio 2010 è partita la lavorazione di “La luna sulla capitale” che ha debuttato il 15 dicembre scorso. Lo spettacolo è stato preparato fra gennaio e dicembre, con tre incontri settimanali di tre ore ciascuno, e ha coinvolto 18 detenuti appartenenti alla sezione maschile del circuito di Alta sicurezza, indicati come idonei dall’equipe di trattamento. A loro, per i ruoli femminili, si sono aggiunte sul palco la regista, le due insegnanti di ballo e recitazione, e tre volontarie. Il costo del biglietto è di 20 euro e l’incasso sarà devoluto all’asilo nido interno al carcere, ancora in fase di progettazione, mentre per gli spettacoli precedenti i beneficiari erano stati i terremotati d’Abruzzo e di Haiti. “Anche questo ha un buon effetto sui detenuti: sentono una responsabilità, e capiscono di poter essere utili a qualcuno” spiega la regista. Per ora l’unica data stabilita è quella del 5 febbraio, ma i promotori non escludono altre esibizioni nelle carceri italiane, se non addirittura, come sogna Isabella Biffi, in un vero teatro. Per assistere allo spettacolo è necessario prenotare su http://www.eventidivalore.it/, i posti sono limitati. Immigrazione: Bossi-Fini in contrasto con direttive Ue; procure divise su arresto irregolari di Giacomo Gambassi Avvenire, 1 febbraio 2011 Per gli immigrati irregolari che finiscono nella rete dei controlli di polizia il destino può essere diverso secondo i giudici che incontrano sul proprio cammino: frutto di confusione normativa. A inizio gennaio Rossella La Gatta della quinta sezione penale di Torino ha assolto B.T., un nigeriano clandestino finito in manette per non aver rispettato l’ordine di lasciare l’Italia firmato dal questore di Alessandria ad agosto. Invece, a Verona, dopo qualche giorno, il giudice Giorgio Piziali ha condannato a dieci mesi di carcere A.S., chiamato a rispondere dello stesso reato. Possibile che due casi identici portino a sentenze opposte? Sì, almeno da un mese a questa parte. Di mezzo c’è la legge Bossi - Fini che punisce con pene fino a cinque anni di reclusione l’irregolare rimasto nella Penisola. Una normativa che dal 24 dicembre si scontra con la direttiva europea sui rimpatri del 2008 che non prevede il carcere per i clandestini espulsi ma il “trattenimento” per “un periodo limitato” (al massimo 18 mesi) e che, secondo una parte dei magistrati, va applicata in Italia proprio dalla vigilia di Natale. Infatti quel giorno scadeva il termine per recepire la norma comunitaria a cui il Parlamento italiano doveva uniformare il testo unico sull’immigrazione. Invece l’adeguamento non c’è stato. Ed è scoppiato il caos nei tribunali per il contrasto fra le due discipline. Di fatto i giudici sono diventati battitori liberi ogni volta che viene fermato un immigrato col foglio di via in tasca. C’è chi ha scelto di far prevalere la normativa Ue, più favorevole all’imputato; e chi ritiene che la direttiva non abbia efficacia diretta e quindi scrive le sentenze ispirandosi sempre alla Bossi - Fini. Di fronte alla babele interpretativa, i capi delle Procure hanno provato a metterci una pezza, almeno nel territorio di loro competenza. Col risultato, però, che basta spostarsi da un distretto giudiziario all’altro per imbattersi in decisioni del tutto divergenti. Così accade che a Firenze il procuratore Giuseppe Quattrocchi abbia diramato un documento in cui sostiene la “non applicazione della norma incriminatrice (della Bossi - Fini, ndr) che comprime la libertà dello straniero” e che l’arresto del clandestino è “da considerarsi eseguito fuori dai casi previsti dalla legge”. Diverso l’orientamento che il procuratore generale di Torino, Marcello Maddalena, ha dettato in una circolare per “uniformare l’esercizio dell’azione penale” nel suo distretto. La comunicazione spiega che l’efficacia automatica della norma Ue “è stata da molti di voi (procuratori, ndr) e anche dal sottoscritto messa fortemente in dubbio” e che “non si è comunque verificata nessuna ‘abolitio criminis’”. Di conseguenza occorre provvedere alla “richiesta di convalida” degli arresti. Rientra nella “linea” fiorentina il procuratore di Pinerolo, Giuseppe Amato, che ha chiesto l’archiviazione dopo l’arresto di un clandestino espulso perché “il fatto non costituisce reato”. A Cagliari il giudice Carlo Renoldi ha assolto un senegalese puntando sulla “disapplicazione amministrativa” del decreto di espulsione del prefetto. Anche a Brescia gli irregolari non finiscono più in tribunale. “In questo momento siamo di fronte a un vuoto normativo”, ha dichiarato il procuratore capo Nicola Maria Pace. I nodi saranno sciolti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dalla Cassazione. Ai giudici di Lussemburgo si sono rivolti sia i magistrati della prima sezione penale di Milano, sia un giudice di Rovereto che, sospendendo il processo a un clandestino, ha espresso “fondati dubbi di compatibilità” della Bossi - Fini con i “principi generali posti dal diritto comunitario in questa materia”. Invece a Torino la Procura ha scelto di impugnare in Cassazione le sentenze di proscioglimento scaturite dalla “ritenuta immediata applicabilità della direttiva”. La Cassazione dovrebbe pronunciarsi entro marzo, ma l’ultima parola sarà quella della Corte Ue che, però, affronterà il caso non prima di un anno. Nel frattempo la questione potrebbe finire anche di fronte alla Corte costituzionale se un magistrato ravvisasse l’incompatibilità della Bossi - Fini con i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” indicati nell’articolo 117 della Costituzione. Il giurista: deve prevalere il diritto comunitario Lo aveva annunciato da settimane che i magistrati italiani si sarebbero divisi di fronte a un possibile contrasto fra le norme sull’arresto dei clandestini della legge Bossi - Fini e la direttiva europea sui rimpatri. Perché, sostiene Francesco Viganò, docente di diritto penale alla Statale di Milano e componente del Consiglio giudiziario per il distretto di Corte d’Appello di Milano, “la normativa italiana elude le garanzie della libertà personale dello straniero stabilite dalla direttiva”. Professore, da cosa deriva questa elusione? La legge Bossi-Fini punisce con una pena fino a cinque anni di reclusione l’immigrato che non ottemperi entro cinque giorni all’ordine di allontanamento emanato dal questore nell’ambito di una procedura amministrativa di espulsione. Se lo straniero non lascia l’Italia, scatta l’arresto obbligatorio. Invece la direttiva europea del 2008 si preoccupa di affermare che l’immigrato non finisca in carcere qualora non cooperi. Al massimo può essere trattenuto in un Centro di permanenza temporanea. Non solo. Il trattenimento indicato dall’articolo 15 è concepito come ultima ratio e, anche quando si prevede la sistemazione in un istituto penitenziario perché non è possibile ospitare lo straniero negli appositi Centri, deve essere tenuto separato dai detenuti ordinari. Una parte dei magistrati ritiene fondata la divergenza fra le due discipline. La misura del trattenimento è cosa ben diversa dalla detenzione. Inoltre la direttiva stabilisce che la libertà personale possa essere limitata solo a tassative condizioni: per 18 mesi al massimo, con continue revisioni della sua effettiva necessità e comunque assicurando che il soggetto non finisca in carcere con i detenuti comuni. C’è chi sostiene, però, che le disposizioni comunitarie non siano dotate di effetto diretto in Italia. La direttiva il cui termine di attuazione è scaduto il 24 dicembre individua in modo chiaro e dettagliato un’area di diretto soggettivo non comprimibile dallo Stato. A queste condizioni la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riconosce che la direttiva abbia un effetto diretto nell’ordinamento interno: così il giudice è tenuto a dare applicazione alle norme più favorevoli stabilite dall’Ue e a disapplicare quelle interne contrastanti. Tutto ciò in virtù del principio del primato del diritto comunitario su quello nazionale. Ma non tutti i magistrati concordano. Infatti una parte ritiene che la direttiva nulla disponga sulla potestà dello Stato di prevedere una sanzione penale per la mancata cooperazione dell’irregolare, mentre altri asseriscono che la direttiva non abbia un effetto diretto. Intanto sono partiti i ricorsi. In questo quadro di incertezza interpretativa penso sia fondamentale ricorrere al giudice naturale che, quando si parla di diritto comunitario, non è né la Cassazione, né la Corte costituzionale. L’ultima parola spetta alla Corta di giustizia di Lussemburgo. In particolare occorrerà stabilire se l’articolo 15 consenta di punire lo straniero che non abbia cooperato alla procedura di espulsione con le pene stabilite dal testo unico sull’immigrazione. Il giudice: l’Europa non è competente Corre anche su Internet il dibattito fra docenti e magistrati sul contrasto fra la direttiva Ue sui rimpatri e le norme sull’arresto dei clandestini previsto della legge Bossi - Fini. Un confronto a più voci di cui sono un esempio i contributi che si susseguono nel sito www.penalecontemporaneo.it. Fra i sostenitori della non disapplicazione della Bossi-Fini c’è Tomaso Epidendio, giudice di Milano, che nel suo intervento spiega come, secondo l’assetto anteriore al trattato di Lisbona entrato in vigore nel 2009, “le istituzioni comunitarie non abbiano competenza ad emanare atti dotati di diretta efficacia penale nell’ordinamento dello Stato membro (quali regolamenti o direttive auto applicative)”. E la direttiva sui rimpatri è del 2008. Altro punto controverso è quello dell’efficacia diretta dopo la scadenza del termine di attuazione della direttiva, fissato per lo scorso 24 dicembre. Secondo il magistrato milanese, la direttiva “non può ritenersi affatto incondizionata e precisa per gli spazi che lascia alla discrezionalità del legislatore nazionale” e quindi non avrà un’immediata applicazione, come invece sostengono i giudici che hanno assolto gli irregolari arrestati. Non solo. “Deve rivelarsi - scrive Epidendio come possa addirittura dubitarsi di un effettivo contrasto delle specifiche previsioni penali” della Bossi - Fini “con quelle della direttiva rimpatri”. E anche questa è una questione aperta: il carcere per l’immigrato arrestato si scontra con quanto indicato l’Ue? No, lascia intendere il magistrato. Il meccanismo del testo unico italiano sull’immigrazione è “fondato proprio sulla partenza volontaria, come espressamente stabilito dalla direttiva, e lo spazio lasciato allo Stato per l’adozione di tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio dopo l’omesso allontanamento volontario deve ritenersi in ogni caso tale da legittimare pienamente la previsione di un delitto”. Reato - come quello contemplato nella Bossi - Fini - che, secondo il giudice, “favorisce indubbiamente l’allontanamento volontario” dell’irregolare. Svizzera: sentenza del Tribunale Federale; intervistare un detenuto deve essere possibile Associated Press, 1 febbraio 2011 Secondo il Tribunale Federale vietare un reportage in prigione va contro il diritto di accesso all’informazione. L’Alta corte di Losanna ha annullato il veto posto dalle autorità zurighesi a un giornalista della televisione svizzero - tedesca SF che desiderava intervistare e filmare un detenuto nel penitenziario di Pöschwies. Secondo i giudici federali, tale veto è contrario al diritto di accesso all’informazione. La Corte suprema ha quindi rinviato il caso al Tribunale amministrativo cantonale. Per esercitare la loro funzione di informazione e sensibilizzazione, i media devono poter contare su diverse fonti, come prevede il diritto alla libertà della stampa. Ciò non significa tuttavia che devono beneficiare di un accesso illimitato: secondo la Corte suprema resta indispensabile confrontare e soppesare gli interessi in gioco. Il Tribunale Federale ha rinviato il caso a quello amministrativo zurighese, invitandolo a prendere una decisione dopo aver soppesato in particolare l’interesse del penitenziario a preservare la sicurezza del carcere con quello del giornalista a realizzarvi il proprio progetto, ossia il ritratto di un prigioniero nella sua vita carceraria. Egitto: il racconto dei turisti italiani; abbiamo visto agenti che sparavano sui detenuti evasi Ansa, 1 febbraio 2011 “Abbiamo vissuto momenti di paura: mentre tornavamo, sull’autostrada da Alessandria, abbiamo visto sparare, non sappiamo se fosse l’esercito o la polizia, contro i detenuti evasi, che giravano da tutte le parti. Abbiamo visto dei feriti”. È un’altra delle testimonianze di turisti italiani, tornati dall’Egitto, raccolte in serata all’aeroporto di Fiumicino. Tra le 19 e le 19.30, infatti, altri circa 500 connazionali, per lo più turisti, hanno fatto rientro da Il Cairo a bordo di tre voli di linea. “L’aeroporto de Il Cairo è un inferno - hanno raccontato altri viaggiatori - è stato terribile vedere questa folla in attesa di poter partire, una fatica enorme spostarsi ed avere informazioni. Ci hanno detto, non sappiamo se sia vero, che ieri c’è stato un morto nella ressa. Stanotte abbiamo dormito in aeroporto ed avevamo paura di non riuscire a partire neanche oggi”. Tra i connazionali rimpatriati, anche un gruppo di una ventina di dipendenti, con familiari al seguito, delle Ferrovie dello Stato, da due anni in Egitto, rientrati per motivi precauzionali, hanno riferito all’arrivo. Tunisia: la Croce Rossa visita i detenuti arrestati durante la rivolta Ansa, 1 febbraio 2011 Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha ripreso oggi le visite nei luoghi di detenzione in Tunisia. I delegati dell’organizzazione umanitaria vogliono visitare “tutte le persone arrestate durante i recenti eventi ed ancora in detenzione”, afferma una nota della Croce rossa internazionale pubblicata a Ginevra. Dopo la “rivoluzione dei gelsomini” che ha deposto il regime del presidente Ben Ali e quindici giorni di trattative con le autorità, i delegati hanno potuto incontrare privatamente i detenuti nelle due carceri recentemente teatro di scontri, uno a Tunisi e l’altro a Bizerte, nonché un centro a Tunisi. Il Cicr vuole ora estendere l’accesso alle altre prigioni e visitare tutte le persone arrestate durante i recenti avvenimenti e che sono ancora in stato di detenzione. Una stima del loro numero non è disponibile, ha precisato un portavoce. Gli eventi che hanno scosso la Tunisia dal 17 dicembre 2010 hanno causato numerosi morti e feriti nelle carceri del paese. Il Cicr visita i detenuti in Tunisia dal 2005. Nel 2010, ha compiuto 48 visite in 31 luoghi di detenzione dove si trovano circa 27.000 detenuti, tra i quali 670 detenuti di sicurezza. Cina: condannato a morte perché coinvolto in un caso di demolizione illegale Ansa, 1 febbraio 2011 Un uomo è stato condannato a morte nella provincia settentrionale dello Shanxi per il suo coinvolgimento in un caso di demolizione illegale che ha provocato anche la morte di una persona e il ferimento di un’altra. Lo riferisce l’Agenzia Nuova Cina. Gao Haidong è stato condannato a morte dal Tribunale del Popolo della città di Taiyuan, dopo essere stato imprigionato per lesioni volontarie e danneggiamento della proprietà. Altre due persone coinvolte nel caso, Wu Ruijun (che è titolare di una società che opera proprio nell’ambito del business delle demolizioni) e Li Yanzhong, sono state condannate a morte insieme con lui ma le loro pene sono state commutate poi in due anni di pena sospesa per il primo e in ergastolo per il secondo. Wu e Li, secondo l’accusa, hanno pianificato la demolizione forzata di due case nel villaggio di Guzhai nel distretto di Jinyuan, lo scorso 30 ottobre. Gao Haidong durante la demolizione ha ucciso, colpendolo più volte con un bastone, uno dei due proprietari delle case che si opponeva alla demolizione e ha ferito gravemente il secondo. Oltre a Gao e ai suoi due complici, nel caso sono stati coinvolte altre 14 persone, condannate a pene dai 2 ai 16 anni di carcere. Iran: detenuto impiccato per apostasia, aveva detto “sono come Dio” Liberazione, 1 febbraio 2011 Un iraniano, condannato a morte per apostasia, è stato impiccato nella provincia del Khuzestan, nel sud della Repubblica Islamica. È quanto ha riferito l’agenzia “Fars”, precisando che l’esecuzione dell’uomo, Abdolreza Gharabat, risale a mercoledì. Gharabat sosteneva di essere Dio e aveva attratto a sé numerosi seguaci, “soprattutto giovani”. L’apostasia è uno dei reati punibili con la pena di morte in Iran, insieme al traffico di droga, lo stupro e l’adulterio. L’International Campaign for Human Rights in Iran, organizzazione per la difesa dei diritti umani, ha calcolato che dall’inizio dell’anno, è stata impiccata una persona ogni otto ore. India: italiani sotto processo per omicidio, Console in tribunale a Varanasi Ansa, 1 febbraio 2011 Il console italiano Laura Carpini raggiungerà presto Varanasi da Nuova Delhi per partecipare ad una delle prossime udienze a carico di Tomaso Bruno, il giovane di Albenga accusato con l’amica Elisabetta Boncompagni di aver ucciso nel febbraio dell’anno scorso il compagno di viaggio Francesco Montis. La visita del console Carpini è voluta per dare un sostegno morale ai due ragazzi ma anche per avere garanzie sulla regolarità del processo. I genitori di Tomaso, Marina Maurizio e Euro Bruno attendono risposte concrete in questo senso. “I nostri ragazzi sono chiusi da quasi un anno in un penitenziario straniero e lontano da casa - hanno detto i genitori di Tomaso. Auspichiamo davvero che lo Stato italiano faccia sentire la propria presenza in un momento delicato come questo che Tom e Eli stanno attraversando. È importante che il giudice, il pm e tutti siano consapevoli che la questione è seguita dal nostro console”. Brasile: difesa Battisti chiede che Supremo Tribunale Federale riconsideri scarcerazione Ansa, 1 febbraio 2011 La difesa di Cesare Battisti ha chiesto al Supremo Tribunale Federale (Stf) che riconsideri la sua decisione di mantenere l’ex terrorista in carcere. Lo hanno annunciato questa sera fonti della Corte. La richiesta risale a venerdì scorso, 28 gennaio, ma la petizione è stata distribuita oggi ai membri del Stf dal presidente dello stesso, Cezar Peluso, che decide su questioni urgenti durante le ferie estive del tribunale. Il 6 gennaio Peluso ha già negato una richiesta della difesa di Battisti che richiedeva la sua scarcerazione immediata. Il portale brasiliano di notizie on line Uol, scrive che domani il documento deve essere incamminato al relatore del caso, Gilmar Mendes, al momento della ripresa dei lavori normali del Stf. La seduta plenaria del Supremo Tribunale Federale dovrà esaminare fra breve se la decisione dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva sia o no d’accordo con il trattato bilaterale di estradizione Brasile - Italia. Ma la Uol aggiunge che finora “l’argomento non è in agenda nei giudizi di questa settimana”. Brasile: manifestazione davanti all’Ambasciata italiana per chiedere scarcerazione Battisti Ansa, 1 febbraio 2011 In una pacifica manifestazione a favore di Cesare Battisti davanti all’ambasciata d’Italia a Brasilia, un centinaio di brasiliani che appoggiano l’ex terrorista italiano hanno scandito oggi allegramente uno slogan a tempo di tarantella per la sua immediata scarcerazione: “Solta o homem, solta o homem, Berlusconi, solta ja” (“Slega l’uomo, slega l’uomo, Berlusconi, slegalo già”). I manifestanti, provenienti dallo stato del Cearà, sono arrivati davanti all’ambasciata a bordo di due torpedoni mostrando cartelloni con scritto sopra “Libertà per Cesare” e si sono rivolti anche alla presidente Dilma Rousseff: “Dilma, dove sei? Fa prevalere la decisione di Lula” e “Dilma, vai oltre. Libera Battisti, tu sei stata arrestata come lui”, ricordando il passato della “presidenta” sotto la dittatura militare. La manifestazione è durata circa 30 minuti e tutto si è svolto in perfetto ordine, controllato a distanza dalla polizia militare brasiliana. I pullman si sono poi diretti verso il penitenziario della Papuda, dove Battisti è detenuto dal 2007. Lì si sono uniti alla manifestazione diversi parlamentari del congresso di Brasilia. La coordinatrice del gruppo, Rosa Fonseca, ha detto all’Ansa che il centinaio di persone che hanno preso parte alla manifestazione “sono venute qui a Brasilia perché vogliono esprimere la loro aspettativa che il Supremo Tribunale Federale non conceda l’estradizione verso l’Italia di Battisti”. Ha aggiunto poi riferendosi alla presidente Rousseff di sperare “che la sua esperienza come prigioniera torturata la persuada a dare asilo a Battisti”. La polizia di guardia alla Papuda non ha permesso che i manifestanti raggiungessero il carcere, fermandoli al primo posto di controllo situato ad oltre un chilometro dal penitenziario.