Giustizia: gli edifici della tortura; ore d’aria dimezzate, spazi ridotti, mancanza di personale di Luigi Manconi L’Unità, 19 febbraio 2011 “Uno l’hanno preso ieri sera, giovane giovane,/ è figlio di buona donna./ Figlio di buona donna, pure ladro, /con un sorriso tutto denti di cane,/ si nascondeva dietro una serie di “Che ne so?”. Francesco De Gregori, L’Impiccato, 1978. Quando Dritam Ademi, albanese detenuto nel carcere di Bollate, racconta che significato abbia il calcio nella sua vita reclusa, quanta ansia nella notte che precede la partita e quale gioia rappresenti per lui un gol, si avverte come una sensazione di sollievo. Per la prima volta la fatale dimensione claustrofobica, che domina qualunque immagine e qualunque parola sul sistema penitenziario, sembra dileguarsi. Sarà perché la ripresa televisiva avviene all’aperto; sarà perché il football è per sua natura gioco arioso e talvolta aereo; sarà perché, infine, le parole di Ademi risultano liberatorie: è proprio allora che sembra possibile evadere dalla prigione e da quella sua dimensione oppressiva, coercitiva e, appunto, claustro-fobica (“Le mie prigioni” di Riccardo Iacona, Presa Diretta, Rai3, 13 febbraio). Quelle scene mostrano come, nonostante tutto, si possa parlare di carcere con una qualche leggerezza, capace di sospendere il clima pesante che il tema evoca, pressoché inevitabilmente. Se è vero com’è vero che la radice più profonda di quella rovina cui è ridotto il nostro sistema penitenziario consiste nella sua irreparabile separatezza dalla vita sociale, la fatica di parlarne è, insieme, causa ed effetto di quella incolmabile distanza. Ovvero, non conosciamo il carcere e non possiamo “salvarlo” perché non riusciamo a pensarlo e a farne materia di discorso privato e pubblico. L’ha fatto, per una volta e in maniera eccellente, la puntata di Presa Diretta di domenica scorsa, proponendo un ragionamento che ha tenuto insieme dimensioni in apparenza assai diverse. Si parte da dati, noti agli addetti ai lavori, ma che restano sconosciuti all’opinione pubblica: come il numero abnorme dei detenuti presenti rispetto alla capienza “regolamentare” (quasi 70 mila contro i 44 mila posti disponibili); e, di conseguenza, il numero di detenuti costretti nella stessa cella, in uno spazio di meno di due metri quadrati a testa, contro i sette indicati dalle convenzioni internazionali. Ancora: il numero dei suicidi (66 solo nel 2010), con una frequenza che è di 17-18 volte superiore a quella dei suicidi nel complesso della società italiana. Un esempio significativo, tra i tanti possibili, è offerto dalle immagini girate nel carcere di Poggioreale: una struttura di 1300 posti nella quale si trovano a vivere oltre 2.600 persone. Lo spazio destinato al passeggio è talmente angusto da imporre turni per l’accesso: il risultato è che, delle previste 4 ore all’aria, vengono concesse solo due. Ne consegue che i detenuti trascorrono 22 ore chiusi dentro una cella, affollata fino all’inverosimile. Questa condizione non rappresenta più uno stato di emergenza, se con un simile termine si intende un periodo breve ed eccezionale, ma è diventata in tutto e per tutto lo stato ordinario delle nostre prigioni. Le figure professionali che operano nel carcere (polizia penitenziaria, educatori, medici, psicologi...) si trovano tutte sotto organico, impossibilitate a svolgere anche le mansioni di routine. Esemplare di una simile situazione è la storia di Graziano Iorio, suicidatosi poche settimane dopo l’arresto, nonostante il suo fragile stato psichico fosse noto a tutti, compresi i compagni di cella. Ma c’è un altro punto importante evidenziato dall’inchiesta di Iacona: il piano di edilizia penitenziaria, progettato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, appare totalmente inadeguato e - a tratti - fin ridicolo. Tanto più se si tiene conto che sul territorio italiano si trovano una quarantina di strutture carcerarie, completate e rimaste inutilizzate. È l’immagine più cruda del ruolo simbolico dell’istituzione penitenziaria. Per un verso, la principale agenzia di stratificazione sociale e di produzione di diseguaglianze di classe; per altro verso, la manifestazione estrema della crisi della giustizia tutta e di quella patologia dell’apparato politico amministrativo che è il sistema della corruzione. In conclusione, il paesaggio disegnato da Presa Diretta appare disseminato di rovine: le vite distrutte e mortificate, gli ambienti degradati delle carceri non utilizzate come di quelle utilizzate, le mura senza spiragli e senza orizzonte. In quel deserto, un carcere, quello di Bollate, che sembra adempiere - caso unico? - alla funzione costituzionalmente prevista (“la rieducazione del condannato”). Secondo la direttrice Lucia Castellano, in realtà “si tratta solo di applicare il regolamento penitenziario”. Solo. Giustizia: Consulta penitenziaria Roma; detenute madri, l’ennesima occasione mancata Comunicato stampa, 19 febbraio 2011 Alla Camera dei deputati è stata approvata una legge che non risolve il problema della detenzione dei bambini da 0 a 3 anni. Sono state audite associazioni, le istituzioni penitenziarie, esperti, addetti ai lavori, sono stati unificati vari testi di proposte di legge per partorire un topolino La consulta penitenziaria del comune di Roma, tra i promotori della proposta di legge “perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere” è in disaccordo con la Legge sulla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori approvata dalla Camera dei Deputati mercoledì scorso perché è una legge che non risolve assolutamente il problema dei bambini in carcere in maggioranza figli di nomadi in attesa di giudizio e recidive per le quali esisterà sempre l’esigenza cautelare di eccezionale rilevanza o il pericolo di reiterazione di reati che non consentirà loro di scontare la pena presso un istituto a custodia attenuata o presso una casa famiglia A nulla sono valse le ripetute audizioni in Commissione Giustizia e le sollecitazioni ai Commissari perché sottoponessero alla Camera un testo che risolvesse definitivamente il problema io stesso chiesi durante l’audizione di soprassedere, di lasciare le cose come stavano piuttosto che approvare l’ennesima inutile legge. Riprendiamo un passaggio della onorevole Bernardini a conferma di quanto dichiarato: “Le Associazioni che abbiamo audito in Commissione Giustizia ci avevano ammonito soprattutto sull’aspetto della recidiva di nomadi e tossicodipendenti e su quanto fosse importante seguire percorsi individualizzati (e meno costosi per le casse dello Stato e delle istituzioni locali) di reinserimento sociale per queste madri e i loro bambini, ma un’impostazione securitaria che nulla ha a che fare con la vera sicurezza dei cittadini, ha impedito di ascoltare quelle parole di saggezza”. Siamo addolorati per l’ennesima occasione mancata. Opereremo con le altre associazioni “A Roma insieme” e Comunità di Sant’Egidio promotrici della proposta di legge “ perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere” affinché il testo approvato alla camera possa essere modificato al Senato altrimenti continueremo a batterci per raggiungere l’obiettivo di non vedere più in carcere bambini da 0 a 3 anni. Consulta permanente cittadina del comune di Roma per i problemi penitenziari Il Presidente, Lillo Di Mauro Giustizia: il Sappe chiede a Berlusconi ed Alfano un’assemblea nazionale sul carcere Agi, 19 febbraio 2011 “La volontà espressa oggi dal Consiglio dei ministri di riformare per via costituzionale il settore della giustizia mi induce a rinnovare l’invito al Governo di farsi promotore di una assemblea nazionale interamente dedicata alla Giustizia, da tenersi entro il mese di marzo 2011”. È l’appello che lancia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed al ministro della Giustizia Angelino Alfano, Donato Capece, segretario generale del Sappe, spiegando che a tale assemblea dovrebbero “partecipare esperti ed operatori del settore” per “trarre utili spunti per una quanto più condivisa riforma del processo penale e quella, urgente e non più rinviabile, del sistema penitenziario nazionale”. Per Capece, “costituire un tavolo di approfondimento che esamini realtà e prossimi interventi per il sistema della giustizia e per il pianeta carcere in particolare dovrebbe essere prioritario nell’agenda del ministero della Giustizia: a tutt’oggi le classi politiche e governative che si sono avvicendate nella guida del Paese non hanno messo in campo i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso, a cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria”. Il Sappe ribadisce la “necessità di individuare provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e di potenziamento degli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale”, nonché di un “maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori di pubblica utilità” e “di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Approvato l’indulto - conclude Capece - era davvero necessario ripensare il carcere. Questa è l’occasione utile, a nostro avviso, per farlo”. Giustizia: intervista ad Armando Punzo (Compagnia Fortezza); ho paura di questa Italia di Katia Ippaso Gli Altri, 19 febbraio 2011 “Io ho paura”. Armando Punzo non ha paura a dirlo. Proprio alla vigilia di un grande evento che indaga il tema della vulnerabilità: il 23 febbraio all’Hangar Bicocca di Milano, il suo “Hamlice”, saggio sulla fine della civiltà si muoverà come un’onda sismica, con le sue interne, fragorose rivoluzioni di parola e corpo, dentro quell’invenzione spaziale che porta il nome di “Terre vulnerabili, a growing exibition” (quattro mostre in otto mesi di tempo, in quattro fasi come quelle lunari). I detenuti-attori della Compagnia della Fortezza irromperanno con i loro costumi translucidi, le loro parole esplosive catapultate dal mondo di Shakespeare e Lewis Carroll (Hamlet più Alice), in uno spazio già abitato da altre strane presenze, comprese le torri di Hanselm Kiefer, “I sette palazzi celesti”, imponenti “trapassatoi” che spingono in una linea verticalità l’idea del “trasporto merci”. In mezzo a queste opere materiche, le vite disossate e reinventate dei carcerati dovrebbero suonare come un allarme rosso, un punto di sutura. Vulnerabili, certo, e molto di più. In pericolo. Cornee in pericolo il lavoro creativo che Armando Punzo ha fatto nel tempo, violando i cancelli di un carcere di massima sicurezza, 23 anni fa, e che oggi rischia di scomparire, come i segni di quella civiltà che si eclissa pezzo per pezzo, nell’assuefazione generale. Armando, il tema dell’esibizione è la vulnerabilità, che attraversi coscientemente da oltre 20 anni, lavorando con i detenuti di Volterra. Ma è una condizione che riguarda tutti: le persone cosiddette “vulnerabili” (poveri assoluti, poveri relativi, precari, flessibili, abbandonati, emarginati, artisti, ricercatori) sono in Italia circa diciannove milioni.... Sì, siamo tutti in pericolo. Per quello che mi riguarda, io sento fortemente la vulnerabilità di questa cosa pensata come inutile, che è l’arte, la cultura in Italia. In un certo senso, la cultura è contro natura, nel senso che combatte il nostro stato animale. Se si abbatte la cultura, c’è un rischio fortissimo di ritorno allo stato barbarico. Abbiamo creduto nell’idea di una cultura diffusa, e non a livello di élite. Ed è proprio quell’idea che è a rischio. “Hamlice” porta nel suo ventre allucinatorio, tattile, una potente riflessione sul potere, e al tempo stesso la capacità di frapporre dei corpi reali, dei corpi vivi, tra una visione carceraria del mondo e una possibilità altra di esistenza. Io credo ancora che quella possibilità altra esista, l’ho sperimentato in tutti questi anni lavorando dentro un carcere. La domanda è: quanto la cultura può cambiare la vita reale delle persone? Ecco, la riposta è: tantissimo. Grazie a “questa cosa inutile”, il carcere di Volterra è adesso un luogo diverso dal passato, molto lontano dall’idea di un luogo dove si punisce qualcuno. Sono cambiati gli agenti. Oggi nessuno di loro pensa che il carcere debba essere un posto di punizione in cui vengono sbattute dentro le persone. Sono cambiati i detenuti. Siamo cambiati noi. Sono cambiati quelli che sono entrati in contatto con loro. C’è una domanda che voglio farti da tanti anni: come ti senti la sera, quando esci dal carcere e vai a dormire nella tua casa? Ma io non sono mai più uscito dal carcere. Fisicamente, vado a dormire da un’altra parte, ma potrei anche dormire lì dentro. In un certo senso, dormo dentro il carcere di Volterra da 23 anni. Questo accade quando capisci che stai facendo qualcosa di importante, una ricerca profonda sugli esseri umani. Per quella che è la tua esperienza, il carcere può essere considerato un moderno sistema di tortura? Del carcere o non si parla o se ne parla in maniera scandalistica, repulsiva. Ho visto l’altra sera una puntata di Presa diretta dove si mettevano a confronto gli orrori di Poggio Reale e l’esempio civile del carcere di Bollate. Il tono della trasmissione era talmente sbagliato, angosciante, che poi capisci perché la gente vuole cambiare canale. Non è così che si deve raccontare il carcere, che resterà sempre il grande rimosso. Si, è un sistema di tortura, ma per farlo capire bisogna lavorare su altre corde, su altre possibilità narrative. Cosa bisogna evitare? La rappresentazione esclusivamente documentaristica di certi luoghi. Io avrei potuto fare video, spettacoli, documentari, avrei potuto speculare sulla vita di queste persone, e forse avrei potuto acquistare un po’ più di notorietà. Ma, vedi, Hamlice è Hamlice, e non mette in scena il carcere. E un’invenzione, una creazione artistica di cui i detenuti sono i protagonisti, mostra una possibilità di vita diversa. Tutte le volte che entro in carcere, io non vedo i cancelli. Rimuovo idealmente il carcere dalla vita dei detenuti. Questa è la nostra forza, credo. Ladri di biciclette è un film bellissimo ma tutte le volte che lo vedo non posso fare a meno di pensare che è un film che ti fa piangere ma non aiuta a cambiare le cose. Non voglio dipingere la realtà. Per trasformarla, ho bisogno di negarla. A proposito di sovvertimenti, “Hamlice” innesta sullo stereotipo del carcere maschile, a dominante virile e guerriera, un segno “transgender”: tacchi alti, vestiti attillati e colorati, accecanti fantasmagorie che escono dal labirinto metamorfico di Alice e dal regno fosco di Amleto. Come sei riuscito a realizzare questa rivoluzione semiotica che passa attraverso i travestimenti dei tuoi attori, tutti uomini (tranne Alice)? È successo questo: ho raccontato la storia di Amleto come un testo-fortezza da cui è impossibile uscire, dove alla fine muoiono tutti (è terribile, l’Amleto). Questa storia, loro l’hanno capita. L’hanno capita perché la conoscono fisicamente, conoscono la storia dell’essere racchiusi dentro un ruolo, impossibilitati a muoversi. Poi ho detto che sarebbe stato bello smontare lo stereotipo del detenuto palestrato, virile, e lavorare sulla fragilità. Anche questo, lo l’hanno capito benissimo. Tutto il lavoro su Hamlice, che è durato due anni, è partito da quattro stivaletti con il tacco comprati via internet. Un giorno ho portato questi stivaletti dentro il carcere di Volterra e i detenuti-attori hanno cominciato a giocarci. Qual è invece, Armando, il tuo tallone d’Achille, il tuo tratto più vulnerabile? Avere la consapevolezza che in fondo, tutto quello che ho fatto, è considerato niente. Quale è stato il momento più difficile in tutti questi anni? Il momento più difficile è adesso. Ho dovuto affrontare situazioni dure - persone che ti vanno contro, detenuti che tradiscono la tua fiducia, istituzioni che ti cacciano via - ma mai mi sono sentito fragile come in questo momento. Che cosa rischia la Compagnia della Fortezza? Di sparire. Se non si va avanti, se il progetto di una compagnia stabile non si realizza, rischiamo di chiudere. Rispetto a tutto questo, io mi sento una responsabilità enorme. I soldi a disposizione per continuare quest’esperienza sono sempre di meno. E mi angoscia sapere che senza di me, dopo di me, potrebbe non esserci niente. Però “Hamlice” non ci racconta la fine, ma l’inizio. E noi abbiamo bisogno di credere a questa storia... Sì, Hamlice racconta una storia di trasformazione. La trasformazione è la possibilità di sottrarsi al proprio ruolo definito per sempre. L’origine è nella realtà di questa compagnia che come un doppio sotterraneo offre una riflessione quotidiana su questo tema. E come se lo spirito dei personaggi di Shakespeare potesse sottrarsi alla propria funzione sociale. Come spiriti pensanti, in perenne trasformazione, attraversano libri di altri autori, allontanandosi da quello che li conteneva come una prigione di ruoli immutabili. Quello che per altri è teatro per noi, per questi spiriti liberi, è vita negata. Cercano altre parole, altre azioni, un’altra possibilità, forse ancora non prevista, nemmeno ancora immaginata. “L’Essere inerme”, il non ancora nato, il non ancora definito... Nel finale, gli spettatori sono invitati a buttare all’aria delle lettere di polistirolo bianco. È un momento catartico, liberatorio. Credi sinceramente che le parole possano aiutarci a guarire e a cambiare il mondo in cui viviamo? Credo di sì. Bisogna immaginare sempre un’altra possibilità, altrimenti siamo morti. Da questo punto di vista, Alice nel paese delle meraviglie è un testo straordinario, che apre strade impensabili. Cosa ti fa più paura dell’Italia di oggi? Io ho paura dì quest’Italia che fa morire le esperienze e, una volta che sono morte, ne decanta le qualità. Ho paura di questa rassegnazione, dell’assuefazione dominante. Ti abitui a pensare che niente ha valore, che tutto è inutile. Leggevo un bellissimo articolo su Repubblica (ma non ricordo l’autore) a proposito dell’uragano Katrina a New Orleans e delle sue conseguenze disumane. Si parlava del fatto che “era saltata quella sottile crosta di civiltà”, di come fosse stato facile. Basta poco, in effetti. Se ti riducono al collasso, se ti mettono nelle condizioni di essere debole fisicamente, come fai a mantenere alta la capacità di riflessione, come fai a difendere la tua umanità? Ci vuole poco per passare dalla civiltà allo stato animale. C’è qualcosa che alla fine non mi hai detto: la tua personale vulnerabilità. Non è facile, sai, da dirsi. Non lo so, ci devo pensare. Te lo dico la prossima volta. Lettere: da Rebibbia cinque casi (tra i tanti) di malattia in carcere di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) www.linkontro.info, 19 febbraio 2011 Siamo a Rebibbia, a Roma. Il carcere è uno dei meglio diretti nel Paese. Con Luigi Nieri e Giancarlo Torricelli incontriamo un bel po’ di detenuti. Caso 1: giovane, affetto da Aids conclamata. Una pancreatite acuta gli impedisce l’assunzione della terapia anti-retrovirale. I valori stanno andando pericolosamente verso il basso. Sta molto male. Fa fatica ad alzarsi dal letto. Caso 2: giovane, ha un tumore all’apparato intestinale, gli viene asportato lo stomaco. Molto magro. Non riesce a mangiare. Iniziano a ritirarsi le gengive. I valori del ferro sono bassissimi. Caso 3: giovanissimo, soffre di una grave forma di epilessia. Gli stessi compagni di cella sono preoccupatissimi ogniqualvolta (praticamente tutti i giorni) ha un attacco epilettico che lo porta a cadere violentemente per terra. L’epilessia gli determina episodi di cefalea dolorosissimi tanto da costringerlo ad assumere anche sei anti-infiammattori al giorno con gravi danni collaterali. Caso 4: di media età, una cisti gli ha oramai deturpato il viso. Aspetta da tempo (lui dice due anni circa) l’intervento chirurgico. Nel frattempo la cisti cresce di dimensioni e effettivamente fa una grande impressione. Caso 5: anche lui di media età, una forma grave di psoriasi gli ha completamente seccato la pelle che cade a strati. Non è facile capire che fare in casi di questo genere. Viene naturale chiedersi se la loro condizione di salute sia compatibile con il carcere. Il punto, probabilmente, non è il tipo di cura ma il tipo di ambiente. Quello carcerario, patogeno per una persona sana, diventa tragico, e in alcuni casi crudele, per una persona gravemente malata. È vero che ognuno di quei cinque casi può astrattamente ricevere utili o inutili terapie anche in galera, ma è altrettanto vero che il carcere - con la sua durezza di vita, con le sue regole, con i suoi inevitabili tempi lenti, con il suo condizionamento psicologico - accelera e rende più dolorosi i processi patologici fino a renderli mortali. Inoltre un luogo di vita salubre e una terapia azzeccata può cambiare in meglio la vita delle persone. Salute e sicurezza entrano, per la magistratura, in conflitto (artificioso, visto che è ben difficile che un malato allettato si trasformi in un efferato criminale). La vita - che non è solo quella biologica ma è più correttamente quella biografica (come afferma Eligio Resta) - è un bene, un valore, un diritto che vorremmo stesse sempre al di sopra di tutto. Emilia Romagna: il Sappe proclama lo stato di agitazione in tutte le carcere della regione Ansa, 19 febbraio 2011 A causa della “situazione detentiva al carcere della Dozza, a Bologna, ormai insostenibile”, il sindacato della polizia penitenziaria Sappe ha deciso di proclamare lo stato di agitazione regionale. In una nota a firma del segretario nazionale Durante, si sottolinea tra l’altro che “gli undici detenuti ricoverati e piantonati dalla polizia penitenziaria in 3 ospedali diversi (Maggiore, S. Orsola e Malpighi) non consentono più di organizzare il servizio all’interno del carcere. Infatti, nelle 24 ore vengono sottratti 36 agenti al reparto di polizia penitenziaria di Bologna, già carente di circa 200 unità”. Dei 550 agenti previsti dalle piante organiche - sottolinea ancora il Sappe - attualmente ce ne sono circa 350. Inoltre ci sono 140 agenti distaccati a prestare servizio in altre sedi. I detenuti presenti sono 1200: 439 italiani, 695 stranieri e 66 donne . La situazione non è migliore nel resto della regione. In base ai dati rilevati oggi, a Ferrara ci sono 497 detenuti: 250 italiani, 247 stranieri e nessuna donna; a Forlì 204: 87 italiani, 98 stranieri e 19 donne; a Modena 475: 128 italiani, 326 stranieri e 21 donne; a Parma 528: 337 italiani, 190 stranieri, 1 donna; a Piacenza 430: 188 italiani, 222 stranieri e 20 donne; a Ravenna 115: 45 italiani, 70 stranieri e nessuna donna; a Reggio Emilia casa circondariale 317: 103 italiani, 207 stranieri e 7 donne; a Reggio Emilia ospedale psichiatrico giudiziario 281: 226 italiani, 55 stranieri; a Rimini 216: 77 italiani e 139 stranieri. “Siamo stanchi di questa situazione - dice il Sappe - per cui siamo costretti ad indire lo stato di agitazione regionale. Se non ci sarà una svolta immediata non è escluso che metteremo in atto forme di protesta eclatanti, come una grande manifestazione che coinvolgerà tutto il personale della Regione. Chiediamo ai vertici dell’Amministrazione regionale un immediato intervento sulla situazione di Bologna, per la gestione degli undici piantonamenti nei reparti degli ospedali cittadini”. Puglia: Friolo (Pdl): Vendola onori gli impegni presi… nomini il Garante dei detenuti Giornale di Puglia, 19 febbraio 2011 “Finanche in carcere ora sanno che Vendola è incapace di onorare gli impegni. Gli piace troppo andare in giro per l’Italia a chiedere voti per il proprio partito e non si accorge quanto sia urgente trovare soluzione ai tanti problemi di una Puglia sempre più indebitata e inquinata”. Lo ha detto il consigliere regionale del Pdl, Maurizio Friolo, vice presidente della Commissione regionale Assistenza Sanitaria e Servizi Sociali. “Sono trascorsi ben cinque anni - prosegue Friolo - dall’approvazione di una legge regionale che doveva offrire certezze per l’istituzione della figura del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Una battaglia di civiltà che lo scorso anno ha fatto accorrere a Brindisi anche il leader dei radicali Marco Pannella per lanciare un grido di allarme assieme al sindaco Domenico Mennitti. Voci non ascoltate come pure le mie numerose sollecitazioni in difesa del riconoscimento di questo importante diritto nelle carceri pugliesi”. “Qualcosa sembrava muoversi per il verso giusto - spiega il consigliere del Pdl - quando il 30 novembre la giunta regionale, con apposita delibera, si era decisa finalmente di fornire indirizzi attuativi alla legge regionale n. 19 del luglio 2006. È stata pia illusione perché ad oggi la Giunta Vendola non ha ancora provveduto, come invece previsto da quella delibera, ad inviare alla III Commissione consiliare (Assistenza Sanitaria e Servizi Sociali) i curricula e la rosa dei nominativi di possibili candidati alla carica di Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Insomma, sono stati necessari cinque anni per passare dalla legge del 2006 alla delibera di giunta. Ci vorrà forse un altro quinquennio per fare in modo che quella deliberazione giunga alla III commissione di cui faccio parte?”. “I tempi di Vendola sono questi ma la Puglia non può più continuare a viaggiare così. Questo comportamento - conclude - è un insulto ai detenuti ma pure a tutti coloro che credono nei diritti dell’uomo e si battono per garantirne attuazione”. Sicilia: sono 8.017 le persone detenute, a fronte di una capienza normale di 4.500 posti La Sicilia, 19 febbraio 2011 “La Sicilia contribuisce alla popolazione carceraria per circa il 10 per cento. Nell’isola la situazione è drammatica ma quello del sovraffollamento non è l’unico problema delle carceri siciliane”. Il quadro è stato fornito dal garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale sen. Salvo Fleres, presentando stamane a Catania la relazione sull’attività svolta nel 2010. Tra i dati evidenziati gli 8.017 detenuti a fronte di una capienza normale di 4.500 posti e di quella cosiddetta tollerabile di 5.393. “Il numero di agenti di polizia penitenziaria - ha proseguito Fleres - è molto più basso di quello previsto e i detenuti patiscono disagi incredibili come se fossero cittadini di serie B perché l’assistenza sanitaria non è ancora transitata dal Dap alla Regione. Fleres ha anche definito la situazione legata al lavoro in carcere “assolutamente precaria e insufficiente rispetto a quelle che sono le esigenze”. Il garante per la tutela dei diritti dei detenuti ha anche avanzato alcune proposte per migliorare la situazione: “Avviare o completare strutture penitenziarie perché quelle esistenti non sono adeguate, completare l’organico di polizia penitenziaria e intervenire sull’aspetto del codice di procedura penale”. “La recente legge che consente la detenzione domiciliare per l’ultimo anno - ha spiegato Fleres - si sta rivelando poco efficace, non ha svuotato per niente le carceri e sono pochi i detenuti che ne stanno usufruendo. È necessario intervenire nelle sedi di giudizio evitando che per pene poco significative si finisca in carcere, che non è l’unico modo in cui contrastare il crimine”. Sicilia: Osapp; suicidi e autolesionismi avvengono più nelle carceri nuove che nelle vecchie La Sicilia, 19 febbraio 2011 Ancora una volta i dati sulle carceri smentiscono coloro i quali hanno sostenuto che i suicidi sono aumentati anche a causa delle condizioni delle strutture penitenziarie. stamani alla conferenza tenuta dal Garante dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres sono stati pubblicati i dati in merito agli atti di autolesionismo avvenuti nelle carceri siciliane nell’anno 2010. A darne notizia è Mimmo Nicotra Vice Segretario Generale del sindacato Osapp - “Secondo la statistica del Dap dall’1.1.2010 al 9.8.2010, negli istituti di pena della Sicilia sottoelencati si sono avuti complessivamente ben 321 casi di autolesionismo così suddivisi: C.C. Siracusa n. 58; C.C. Pa Ucciardone n. 43; C.C. Pa Pagliarelli n. 39; C.C. Agrigento n. 22; C.C. Termini Imerese n. 21; C.C. Messina n. 21; C.C. Ragusa n. 20; C.R. Noto n.19; C.C. Caltagirone n.14; C.C. Caltanissetta n.11; C.C. Sciacca n.11; C.C. Trapani n.10;C.R. Favignana n. 9; C.R. S. Cataldo n. 7; C.C. Modica n. 5; C.C. Catania Bicocca n. 4; O.P. Barcellona n. 2; C.C. Piazza Armerina n.2; C.R. Augusta n.1; C.C. Nicosia n.1; C.C. Giarre n.1.” Continua Nicotra - “la Casa circondariale di Siracusa, che tiene il triste primato, è ancora molto giovane anzi è uno degli istituti più nuovi della Sicilia e a seguire la Casa Circondariale di Palermo Pagliarelli, Agrigento, tutti istituti che non superano i 15 anni di vita”. Precisa Nicotra - “la Casa Circondariale di Catania Piazza Lanza non ha avuto nel 2010 nemmeno un atto di autolesionismo, eppure tutti ne chiedono la chiusura, in quanto a loro dire sarebbe un inferno. Mentre nella consorella di Catania Bicocca ci sono stati ben 2 suicidi. Ecco perché sosteniamo noi della Polizia Penitenziaria che necessita urgente il Poliziotto Penitenziario “educatore” - finiamola con proposte non necessarie per le carceri e per i carcerati”. Bologna: i Sindacati della Polizia penitenziaria; alla Dozza un’emergenza insostenibile Dire, 19 febbraio 2011 La situazione di emergenza del carcere della Dozza, a Bologna, è ormai “insostenibile e insopportabile”. Al punto tale da diventare “esplosiva”. Lo denunciano i sindacati della Polizia penitenziaria che oggi hanno deciso di dichiarare lo stato d’agitazione per chiedere rinforzi di personale. “Il sovraffollamento dei detenuti (sono 1.200 a fronte di una capienza di circa 500 posti) e la gravissima carenza d’organico della Polizia penitenziaria, raggiungono picchi altissimi”, scrivono i sindacati in una lettera indirizzata ai vertici del Dipartimento centrale dell’amministrazione penitenziaria, al provveditore regionale Nello Cesari, alla direttrice della Dozza Ione Toccafondi ma anche al prefetto di Bologna e ai numeri uno di Regione, Provincia e Comune (Vasco Errani, Beatrice Draghetti e Anna Maria Cancellieri) affinché aiutino a trovare una soluzione. “Su una pianta organica di 567 unità previste - incalzano i sindacati di Osapp, Uil, Sinappe, Cisl, Cnpp, Ugl, Cgil - sono presenti 290 poliziotti”. Altre 150 unità di personale mancano poi all’appello per assenze e distaccamenti. “La situazione è diventata ormai esplosiva soprattutto per la mole di lavoro quotidiano che il Nucleo traduzioni e piantonamenti è costretto a svolgere”. Questo carico “mette a repentaglio la sicurezza non solo del personale operante ma di tutto il carcere e soprattutto dell’intera cittadinanza bolognese”. Gli agenti penitenziari sono ormai abituati a revoche dei riposi settimanali, cambi di turni di servizio e taglio ferie. Ma sono talmente pochi che si fa fatica a gestire il carcere, anche perché i piantonamenti esterni richiedono troppe energie (30-35 unità al giorno). In questo momento, ad esempio spiegano i sindacati, ci sono otto piantonati tra camere di sicurezza e ospedali (tre diversi). Il personale è stanco, sfiduciato ed è al limite della sopportazione” avvertono i sindacati. Informano quindi tutte le autorità del loro stato di agitazione e chiedono a Cesari e ai vertici del Dipartimento centrale “l’immediato adeguamento del personale, a partire dal rientro in sede di tutti i distaccati per esigenze dell’amministrazione”. Se a Errani, Draghetti e Cancellieri i sindacati chiedono di intercedere, dal prefetto Angelo Tranfaglia vorrebbero un “incontro urgente per evidenziare come le criticità descritte rischiano di compromettere l’ordine e la sicurezza pubblica”. Anche il sindacato del Sappe, che pure non firma la lettera insieme agli altri, indice lo stato di agitazione. “La situazione detentiva al carcere della Dozza, a Bologna, è ormai insostenibile”, scrive in una nota il segretario aggiunto Giovanni Battista Durante. Anche il Sappe sottolinea la problematica dei piantonamenti, che toglie 36 unità al giorno e “non consente più di organizzare il servizio all’interno del carcere”. Senza contare la carenza di organico (“dei 550 agenti previsti dalle piante organiche attualmente ce ne sono circa 350” più altri 140 distaccati) e il sovraffollamento (con 1.200 detenuti). Il Sappe sottolinea anche la criticità del resto dell’Emilia-Romagna: a Ferrara ci sono 497 detenuti; a Forlì 204; a Modena 475; a Parma 528; a Piacenza 430; a Ravenna 115; a Reggio Emilia 317 in carcere e 281 all’ospedale psichiatrico giudiziario; a Rimini 216. “Siamo stanchi di questa situazione- conclude Durante- per cui siamo costretti ad indire lo stato di agitazione regionale”. Se non ci sarà una “svolta immediata”, avverte il Sappe, potrebbero arrivare “forme di protesta eclatanti, come una grande manifestazione che coinvolgerà tutto il personale della regione”. Messina: Uil; nel carcere di Gazzi c’è un concreto rischio di carattere sanitario La Sicilia, 19 febbraio 2011 Carcere di Gazzi: condizioni di promiscuità tra detenuti e condizioni di scarsa sicurezza. La Uil lancia l’allarme. Il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari Sarno: “Grave emergenza sovraffollamento, operativa e sanitaria”. “La situazione che ho potuto riscontrare a Messina va ben oltre gli allarmi che nel tempo sono stati lanciati dal personale. Al Gazzi, infatti, vi sono emergenze in atto che riguardano la carenza di personale, il grave sovraffollamento e per il concreto rischio di carattere sanitario”. Così il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, commenta dopo la sua visita presso la Casa Circondariale di Messina. “Voglio sperare che prima che accada l’irreparabile l’Amministrazione Penitenziaria metta nell’agenda la necessità, urgente e non rinviabile, di procedere a finanziare opere di ristrutturazione e, ancor più, ad assegnare personale. Non è eretico affermare che allo stato attuale Messina rappresenti la situazione più allarmante per il sistema penitenziario, già traballante, siciliano”. Ad allarmare la Uil-Pa Penitenziari non è solo il degrado strutturale ma anche le condizioni di promiscuità tra detenuti e le condizioni di scarsa sicurezza. “È inimmaginabile che degenti ricoverati in qualsiasi struttura sanitaria possano subire le condizioni che ho potuto constatare oggi a Messina. Non solo ambienti scarsamente puliti, ai limiti nell’inigenicità, per carenza di fondi quanto perché i degenti del centro clinico di Messina sono allocati in celle anguste con letti a castello fino a 4 piani. Non solo. I degenti sono ristretti insieme a detenuti comuni che sono allocati negli ambienti di ospedalizzazione per mancanza di posti. Questa mattina - prosegue il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari - a Messina a fronte di una disponibilità reale di 162 posti detentivi erano presenti 393 detenuti (343 uomini e 50 donne). I detenuti in attesa di primo giudizio assommano a 141, 60 gli appellanti, 14 i ricorrenti e 128 i condannati in via definitiva”. Nel corso della visita la delegazione Uil ha potuto prendere atto della legittimità delle proteste indette dai sindacati locali per denunciare la grave carenza d’organico. “A Messina attualmente operano 198 unità di Polizia Penitenziaria (147 ai servizi interni e 51 addetti alle traduzioni anche per l’Opg di Barcellona) a fronte di un organico previsto in 293 unità. È chiaro - conclude Eugenio Sarno - che il sovrappopolamento determina gravi vulnus per la sicurezza e incide sui carichi di lavoro del personale. Basti pensare che nel 2010 il nucleo traduzioni di Messina ha svolto 3651 traduzioni per un totale di 6588 detenuti tradotti con l’impiego di 15.102 unità. Molto potrebbe migliorare in termini operativi ed organizzativi se si riattivasse la sala operatoria (costruita ex novo nel 2009 e chiusa nel 2010), momentaneamente inattiva per il mancato rinnovo della convenzione con il Policlinico di Messina. Pertanto il prossimo 2 marzo, quando il Capo del Dap incontrerà i sindacati, non solo dovrà tenere nella debita considerazione le criticità di Messina che rappresentano un grave problema di ordine pubblico, sanitario, sociale, umanitario, ma dovrà anche farsi carico di risposte concrete per l’intera Sicilia: finanziare gli straordinari e le missioni, razionalizzare i servizi, implementare gli organici e garantire corrette relazioni sindacali. Solo così la sua volontà di incontrare i sindacati e la nostra decisione di sospendere la manifestazione regionale avranno avuto un senso concreto”. Cagliari: il carcere di Buoncammino destinato alla chiusura, entro l’anno aprirà Uta Redattore Sociale, 19 febbraio 2011 La conferma della notizia è arrivata durante l’ultima seduta del Consiglio comunale, dopo una raffica di segnalazioni che avevano interessato il vecchio carcere di Buoncammino ormai sovraffollato. Il carcere di cagliaritano Buoncammino verrà chiuso entro l’anno, forse addirittura già entro l’estate. I detenuti saranno trasferiti nel nuovo penitenziario in costruzione a Uta, centro che si trova ad una ventina di chilometri dal capoluogo. La notizia, filtrata in Consiglio comunale, arriva dopo l’ultimo sconcertante episodio registrato all’interno della casa circondariale di Cagliari, sovraffollata e sempre più al centro di polemiche sia da parte delle associazioni dei familiari dei detenuti che dei sindacati che rappresentano le guardie penitenziarie. Il cappellano avrebbe deciso di abbandonare il suo incarico a causa di minacce subite, mentre un mese fa gli agenti e i medici hanno salvato un marocchino di 38 anni che, per disperazione, aveva ingoiato sette pile e altri oggetti di metallo. Sono gli episodi riferiti dall’associazione Socialismo, diritti e riforme, una delle sigle più attive che operano all’interno delle spesse mura carcerarie. “La disperazione espressa drammaticamente dal detenuto marocchino - sottolinea Maria Grazia Caligaris, ex consigliere regionale e presidente dell’associazione - nasce da una somma di incongruenze di un sistema penitenziario che non solo non rieduca ma allontanando le persone dalle poche relazioni umane e sociali costruite arrivando in Italia, ne annulla ogni possibilità di reinserimento sociale. La territorialità della pena è un principio che deve essere rispettato anche per gli extracomunitari radicati in aree territoriali della nazione”. Nel caso del detenuto nordafricano, arrestato in Lombardia, è finito in carcere perché non aveva una casa né una persona che potesse ospitarlo, così da permettere al giudice la misura più lieve che avrebbe potuto beneficiare vista la lieve entità del reato. “Non solo gli è in pratica preclusa la possibilità di lavorare - spiega la presidente di SdR - perché ha necessità da un anno di un intervento chirurgico a un ginocchio ma la sua richiesta giace in una cartella di ospedale in attesa che si liberi qualche posto per un ricovero. L’uso delle stampelle condiziona fortemente la sua possibilità di movimento, costringendolo a non uscire mai dalla cella, senza contare le fistole che lo torturano costantemente. In queste condizioni e senza alcuna prospettiva la depressione diviene uno stato cronico e la tendenza ad atti autolesionistici una prassi al punto che non c’è parte del suo corpo senza segni evidenti di lacerazioni”. Una situazione limite, che si somma alle tante denunciate sistematicamente anche dai sindacati della polizia penitenziaria, costretta a lavorare in condizioni difficilissime causate dal sovraffollamento. Ora la notizia, confermata anche dalla Giunta comunale di Cagliari, sul fatto che i lavori al carcere di Uta potrebbero chiudersi rapidamente così da consentire il definitivo pensionamento del penitenziario di massima sicurezza che svetta dal colle di del castello sulla città. Genova: Sel e Fds; a Marassi situazione è peggiorata, presto un’audizione in Regione Secolo XIX, 19 febbraio 2011 A distanza di circa sei mesi, il malessere fra i detenuti è cresciuto ulteriormente così come sono cresciute le difficoltà dei lavoratori penitenziari. È quanto riscontrato nel secondo giro conoscitivo all’interno delle carceri liguri, effettuato da Matteo Rossi, consigliere regionale Sel, Simone Leoncini, coordinatore regionale Sel, Alessandro Benzi, consigliere regionale della Federazione della Sinistra e l’avvocato Alessandra Ballerini che oggi hanno visitato la Casa circondariale di Marassi. Permangono i gravi problemi di sovrappopolazione (750 detenuti contro 450 di capienza) e le carenze di organico (300 guardie penitenziarie,160 in meno del previsto), rendendo così impossibile agli operatori carcerari svolgere quel ruolo di recupero e reinserimento sociale previsto dalla Costituzione. Gli atti di autolesionismo anche gravi sono quotidiani. Più di 300 detenuti hanno problemi di tossicodipendenza ma essendoci solo 2 medici e 2 infermieri del Sert è evidente che non possano essere seguiti adeguatamente anche dal punto di vista psicologico. Di notevole interesse la diminuzione degli arresti nelle ultime settimane, circa 50 in meno, passando da 8 a 4 arresti al giorno. “Questo è un effetto della disapplicazione, a seguito della direttiva Ce 115/2008, dell’art 4, comma 5 ter della legge sull’immigrazione - spiega Rossi - che prevedeva l’arresto ed il carcere da 1 a 4 anni per gli stranieri privi di permesso di soggiorno inottemperanti all’ordine di espulsione. Oggi, in carcere a Marassi, per questo solo articolo, senza nessun altro reato, sono detenute 31 persone. A inizio legislatura siamo assunti l’impegno di presentare la legge sul Garante delle carceri, ora è giunto il momento di accelerare. Non basta però solo l’ approvazione, la legge va anche finanziata per essere veramente efficace”. “Sel - sottolinea Simone Leoncini - intende fare della difesa dei più deboli una costante della propria azione e crede che la Liguria possa sempre di più farsi regione dei diritti”. “Abbiamo riscontrato anche vistose carenze - aggiunge Alessandro Benzi nell’assistenza sanitaria dei detenuti: serve un maggior sforzo, da parte dell’Asl 3, per garantire, attraverso medici internisti e specialisti con esperienza e capacità (anche in relazione alla peculiarità dell’utente detenuto), una pronta risposta alle esigenze sanitarie della popolazione carceraria. Le principali prestazioni relative alle branchie della infettivologia, cardiologia, dermatologia, radiologia, oculistica, ortopedia e chirurgia dovrebbero trovare risposta nel centro clinico del carcere, senza dover necessariamente ricorrere ad interventi esterni con aggravio di spese per l’amministrazione penitenziaria e per la stessa Asl 3”. “La recente sostituzione integrale dei medici penitenziari dell’Istituto di Genova Marassi con personale medico e paramedico dipendente, o convenzionato, della Asl 3 - conclude Rossi - sta portando notevoli problemi, non solo organizzativi, che devono trovare soluzione al più presto: a tal fine io e il consigliere Benzi proporremo a breve un’audizione, nella competente commissione regionale Sanità, della Asl 3, del Direttore della Casa circondariale di Marassi, dr. Mazzeo, dei medici interessati e dell’Assessore alla Salute, Claudio Montaldo”. Brescia: nomina del nuovo Garante dei detenuti, tre nomi per un posto Brescia Oggi, 19 febbraio 2011 Il consiglio comunale dovrà scegliere tra Fappani, Zucchelli e Quaranta. Carlo Alberto Romano avverte: “È una figura di grande importanza Deve essere un tramite tra il carcere, il territorio e le istituzioni”. Potrebbe essere nominato a breve il nuovo garante dei diritti delle persone private della libertà personale a Brescia: Mario Fappani, in carica dal 2006, dopo cinque anni esatti è ufficialmente scaduto il 10 gennaio. La nomina del nuovo garante dovrà essere fatta dal consiglio comunale sulla base di una rosa di proposte depositate in Segreteria generale. Tre sono i candidati papabili: lo stesso garante uscente Mario Fappani, su richiesta delle associazioni Carcere & Territorio e Vol.ca. (Volontari carcere); Alessandro Zucchelli, psicopedagogista già giudice onorario presso il tribunale per i minori della Corte d’appello di Brescia la cui candidatura è stata fatta dal consigliere del Pdl Roberto Toffoli; Emilio Quaranta, 43 anni di impegno dalla Pretura di Salò al vertice della Procura per i minori e andato in pensione proprio lo scorso anno. “La candidatura l’ho presentata io ma Zucchelli è il candidato di tutto il Pdl”, sottolinea Roberto Toffoli a margine della presentazione del libro “Sbarre” di Carlo Alberto Romano che si è tenuta ieri all’Euroscuola di via Bronzetti. “Quaranta è una candidatura di altissimo livello - aggiunge il consigliere Pdl -, ma proprio per questo lo ritengo più adatto ad altri ruoli. Fappani ha lavorato bene ma sono convinto che ci sia bisogno di innovazione”. Dal canto suo il garante uscente dà la disponibilità a farsi da parte. Più importante, per Fappani, è che una figura così goda del massimo consenso. “Sono stato ricandidato dalle uniche due associazioni attive sui temi del carcere - osserva -, ma c’è il rischio che si vada a una nomina a maggioranza e per cui sono pronto a ritirarmi. L’importante è che si scelga una persona del mondo del volontariato”. Una cosa è certa: per il garante sono più gli oneri che gli onori. “Non è previsto alcun compenso a disposizione c’è un ufficio, una segreteria e un piccolo fondo di 1500 euro ogni sei mesi - osserva Fappani. per il resto ci sono tanti problemi da affrontare, tanto stress”. Fappani ricorda che negli anni sono stati fatti una trentina di ricorsi promossi dai detenuti, primo passo per un ricorso al Tribunale Europeo dei Diritti dell’Uomo, che proprio lo scorso anno ha condannato l’Italia per lo stato delle carceri. “Brescia è una città in grado di eccellere in tutti i campi - osserva Toffoli: non si può pensare a uno stadio nuovo senza lavorare per un nuovo carcere. Quello che c’è non ci fa onore: certo, non dipende solo da noi, ci vogliono anche i fondi dallo Stato”. Una battuta anche sulla candidatura condivisa per il garante: “Sarebbe meglio - osserva Toffoli, ma se non si riesce alla fine bisogna arrivare alla nomina”. “Il territorio deve riappropriarsi dell’istituzione carceraria - dice Carlo Alberto Romano, docente di Antropologia Criminale a Giurisprudenza, intervenuto sia al dibattito serale che alla conferenza stampa del mattino di Corsini e Ferrari -. la figura del garante è di estrema importanza: superando le rigidità burocratiche può essere un buon tramite nel contatto tra carcere, territorio e istituzioni”. Ferrara: duecento detenuti in più, personale all’osso e costretto a straordinari non pagati di Nicola Bianchi Il Resto del Carlino, 19 febbraio 2011 L’ennesimo allarme parte ufficialmente alle 11.03 di venerdì 18 febbraio. La perlustrazione dentro l’Arginone è appena terminata. Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, riaccende i riflettori sul problema carceri. “L’Emilia Romagna è la regione messa peggio dal punto di vista del sovraffollamento e della carenza di personale. La situazione non è certamente bella. Contiamo, ad oggi, duemila detenuti in più rispetto al limite consentito e 650 agenti in meno. Negli ultimi 20 anni l’immigrazione, spesso incontrollata, ha portato all’aumento esponenziale dei detenuti. E la situazione non migliora”. Dai dati nazionali si passa a quelli strettamente ferraresi, a dir poco drammatici. Ieri il numero dei rinchiusi ha toccato quota 492 quando la capienza ottimale è addirittura la metà, 250. “Gli stranieri - riprende Durante - sono 247. Dei 492, 180 sono ancora in attesa di giudizio. La pianta organica del personale, prevista per i 250 detenuti, prevede 239 agenti. Oggi sono 170”. Come e dove intervenire per tamponare l’emorragia allora? Primo intervento: “Utilizzare il filtro dei servizi sociali e quello dei domiciliari: in questi casi la recidiva è bassa, 19%. Le misure alternative sono un bene”. Piaga tossicodipendenti. “Questi soggetti - riprende Durante - non dovrebbero stare in carcere bensì essere curati in strutture esterne. Se costoro scontassero la pena altrove, così come gli stranieri nei penitenziari dei loro paesi, non avremmo problemi di sovraffollamento”. Al di là dei numeri agghiaccianti, una carezza Durante la rivolge al nostro penitenziario. “Mi ha fatto un’ottima impressione dal punto di vista organizzativo e questo grazie al lavoro del direttore Cacciola e del comandante Durante. Ho trovato un clima disteso tra personale e detenuti”. Poi il volto si fa di nuovo buio. “Uno dei tanti drammi delle carceri è che non c’è la possibilità di fare lavorare i detenuti. A Ferrara il 10% lavorano e spesso con retribuzioni misere. Permettere a un detenuto di imparare un mestiere vuol dire riuscire a dargli una possibilità di recupero”. Tornando ai numeri, secondo il segretario Sappe all’Arginone servirebbe 50 poliziotti in più. “Sono in arrivo in tutta Italia 2300 persone ma si tenga conto che 1100 ogni anno vanno in pensione”. L’età media del personale varia da nord (40-45 anni) a sud (50-55). “Il contratto di lavoro - prosegue - prevede 36 ore alla settimana, 6 per ogni servizio. I turni, però, vengono programmati sulle 8 ore con accumuli di straordinari di 30-40 ore. Mediamente ne vengono pagate 10”. Nonostante le difficoltà, l’Arginone non si sente solo. “Abbiamo associazioni di volontariato - spiega il direttore Francesco Cacciola - che ci supportano anche se quello che bisogna fare è tanto. Il lavoro della polizia penitenziaria è molto pesante”. Come incentivarlo, chiede un cronista, visti tutti i disagi? Secca la replica di Roberto Tronca, segretario provinciale del Sappe: “Perché questo mestiere ci piace e cerchiamo sempre di dare il meglio di noi stessi”. Il gruppo è il fiore all’occhiello di un’istituzione che, numeri alla mano, rischia di esplodere. “Serve un intervento urgente”, chiude Durante. L’ennesimo allarme è lanciato. Chissà se questa volta qualcuno, dall’alto, lo ascolterà... Il Comandante: tra agenti e detenuti non ci sono conflitti Ieri la lettera di un gruppo di detenuti che lamentava il non rispetto del decreto cosiddetto “svuota carceri”. Oggi la replica dell’Arginone. “Su 100 richieste - spiega Giuseppe Battaglia, comandante della polizia penitenziaria -, 75 sono state presentate da detenuti stranieri i quali fuori non sanno dove andare. Spesso la lentezza delle decisioni del tribunale di sorveglianza dipende dalla disponibilità di trovare una sistemazione adeguata per costoro. E altrettanto spesso è molto difficile”. Lo stesso comandante ha sottolineato l’ottimo rapporto tra personale e detenuti. “Io lo definisco cordiale. Ci si saluta, ci si parla. Non c’è conflitto”. E ciò grazie ad una serie di idee e progetti messi in pratica da chi vi lavora, come ad esempio quello del “call center” per gli appuntamenti. “Non si creano file per i parenti in visita. Chi vuole chiama e chiede se il giorno e l’ora x è possibile incontrare il proprio caro”. Infine le sezioni. Per ognuna, continua Battaglia, ci sono 26 celle, 76 detenuti e due docce. Un agente bada ad una sezione ma in alcuni momenti è costretto a seguirne addirittura due contemporaneamente. Le celle sono poco meno di 10 metri quadrati, ognuna con quasi tre carcerati. Lecce: emergenza sovraffollamento, invece dei 500 detenuti previsti ce ne sono circa 1.400 Corriere del Mezzogiorno, 19 febbraio 2011 Il carcere di Lecce dovrebbe contenere circa 550 detenuti e tollerare la presenza di 1.100, ma oggi ne ospita invece circa 1400: sono questi i dati che, secondo il segretario nazionale della Cisl Fns (Federazione nazionale sicurezza), Raimondo Inganni, descrivono “un sovraffollamento fuori dalla norma che supera ogni altra realtà carceraria” pur “in una situazione negativa comune a tutti gli istituti penitenziari d’Italia”. Raimondo ne ha parlato a conclusione di una visita compiuta nell’istituto leccese con una delegazione del sindacato. La situazione di sovraffollamento - è detto in una nota della Cisl diffusa a conclusione della visita comporta che “il poliziotto penitenziario è costretto a sorvegliare una utenza tripla (un agente per oltre 70 detenuti) rispetto all’ordinario, in uno spazio ridotto, che ha conseguenze di tipo igienico e sulla salubrità degli ambienti”. Per fare fronte ai turni gli agenti hanno accumulato per gli anni 2009-2010-2011 un numero di 54.743 giorni di congedo ordinario e 415 giorni di riposo non concessi. La Cisl Fns evidenzia anche carenze strutturali con infiltrazioni di acqua in diversi reparti. Esiste inoltre, secondo il sindacato, un alto rischio di malattie infettive perché‚ “quando un arrestato viene aggregato presso l’istituto penitenziario pochi sono gli accertamenti che vengono svolti”. Per il sindacato “si dovrebbero aggiungere obbligatoriamente a quelli già esistenti, come screening di routine, i test per rilevare la presenza di Tbc a tutela della salute dei lavoratori, delle loro famiglie e della comunità esterna in cui svolgono la vita quotidiana”. La Cisl Fns chiede quindi l’intervento di tutte le autorità competenti “perché - spiega nella nota - la realtà dell’istituto penitenziario leccese non riguarda solo gli operatori penitenziari di tutti i livelli, ma è di tutta la comunità della provincia di Lecce”. Verona: Uepe e Provincia lanciano un progetto di accoglienza residenziale per i detenuti Redattore Sociale, 19 febbraio 2011 Uepe e provincia hanno siglato un protocollo per promuovere il reinserimento sociale. Salvan (Uepe): “Nel 2010 in provincia transitate 1.556 persone attraverso il percorso delle pene alternative”. Provincia di Verona e Uepe insieme per promuovere il reinserimento sociale dei detenuti. È questo il senso del protocollo d’intesa, siglato oggi, per l’accoglienza residenziale di persone che beneficiano di pene alternative. L’intesa, siglata con l’associazione “Don Giuseppe Girelli” prevede l’ospitalità di detenuti soggetti al regime di esecuzione penale esterna, nella Casa San Giuseppe “Sesta Opera” di Ronco all’Adige, in provincia di Verona. “Nel 2010 sono transitate 1.556 persone attraverso il percorso delle pene alternative, sul solo territorio veronese - spiega la referente Uepe per il progetto Antonella Salvan -. Per questo il progetto rappresenta un grosso supporto per i detenuti e per la realtà delle carceri. Le statistiche parlano chiaro”. Salvan infatti riferisce che nel 2009 le revoche delle misure alternative di restrizione sono state soltanto il 7%: “Il costo/persona/giorno di questa tipologia di assistenza è decisamente inferiore a quello del carcere: i soggetti infatti lavorano, contribuiscono alle spese e agli obblighi familiari”. Per l’assessore ai Servizi sociali Fausto Sachetto “oggi il carcere è un problema assai rilevante, in quanto l’affollamento all’interno delle strutture carcerarie crea disagio e innesca una serie di problemi di non facile soluzione. Questo nuovo protocollo d’intesa cerca di dare accoglienza, recupero e aiuto a persone più sfortunate di noi”. E aggiunge: “Per i detenuti nelle carceri vi è un’alta incidenza di problemi di salute, in particolare psichiatrici, trovare un domicilio protetto, una realtà territoriale ospitante e un’accoglienza sociale può sicuramente essere una soluzione”. Venezia: il Sindaco in visita alle carceri di Santa Maria Maggiore e della Giudecca Adnkronos, 19 febbraio 2011 Ieri mattina il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, insieme al vicesindaco e assessore alle Politiche sociali Sandro Simionato, ha visitato l’istituto di pena di Santa Maria Maggiore e la casa di reclusione femminile della Giudecca. Accompagnato dalle rispettive direttrici dei due istituti penitenziari veneziani, Irene Iannucci e Gabriella Straffi, il sindaco ha voluto constatare di persona le condizioni dei detenuti, le attività rivolte al lavoro e al reinserimento, e le iniziative che le cooperative sociali svolgono nelle strutture. Nuoro: lunedì un convegno sul carcere e il 41-bis organizzato dalla Fp-Cgil La Nuova Sardegna, 19 febbraio 2011 La Cgil Funzione pubblica di Nuoro organizza un convegno per analizzare le problematiche tra detenuti nei diversi regimi carcerari. Proprio in regime di 41 bis, a Badu ‘e Carros, è ospite da alcuni mesi Antonio Iovine. Il titolo del convegno è “Politiche Penitenziarie: territorio e sicurezza. La difficile convivenza con il 41 bis a Nuoro”. Si terrà il 21 febbraio dalle 9,30 nell’Hotel Sandalia. È previsto l’intervento della direttrice del penitenziario di Nuoro. I lavori saranno introdotti dal segretario Fp Cgil Nuoro; seguiranno contributi degli operatori carcerari. La prima parte della mattinata si conclude con la proiezione di video e letture dei magistrati uccisi dalla mafia Falcone e Borsellino. Alle 11.40 avrà inizio una tavola rotonda sul tema del convegno. Partecipano il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, Guido Melis, deputato Pd e componente della commissione Giustizia alla Camera, Andrea Garau procuratore della Repubblica di Nuoro, e Giuseppe Conti vice presidente della Unione camere penali. Sono stati invitati a partecipare gli amministratori degli enti locali del territorio della provincia, i consiglieri regionali e i parlamentari, il presidente della Camera di commercio, le segreterie dei partiti politici, tutti gli operatori del settore e i rappresentanti di Cisl e Uil. Libia: a Tripoli quattro detenuti uccisi in tentativo evasione, rivolta nel carcere di Bengasi Ansa, 19 febbraio 2011 Sono almeno quattro i detenuti uccisi dalle forze dell’ordine libiche mentre cercavano di evadere dalla prigione di El-Jedaida, nei pressi di Tripoli, in Libia: il nuovo bilancio delle vittime è stato fornito dalla sicurezza libica, che in precedenza aveva parlato di tre prigionieri morti. “Alcuni detenuti hanno cercato di evadere dalla prigione; la polizia è intervenuta ed è stata costretta a sparare, visto che i fuggitivi si sono opposti con violenza” ha dichiarato una fonte, precisando che la situazione è “sotto controllo” e gli agenti circondano il carcere. Numerosi detenuti sarebbero invece evasi da un carcere di Bengasi, la seconda città più importante della Libia, teatro di violenti scontri tra manifestanti anti-regime e forze di sicurezza. Lo ha reso noto un giornalista locale. “C’è stata una rivolta nella prigione di al-Kuifiya e un gran numero di prigionieri è scappato” ha dichiarato Ramadhan Briki, a capo del giornale ‘Qurynà, vicino a Seif Al-Islam, figlio del colonnello Gheddafi. I detenuti avrebbero poi incendiato l’ufficio del procuratore generale, una banca e un commissariato della città. A fuggire, secondo il giornalista, sarebbero stati “più di mille detenuti”. Ma le forze dell’ordine, secondo la fonte, ne avrebbero poi arrestati circa centocinquanta. Tunisia: approvata amnistia generale per detenuti politici Ansa, 19 febbraio 2011 Il governo di transizione tunisino ha approvato l’amnistia generale per i detenuti politici. Lo ha dichiarato il portavoce dell’esecutivo, Taieb Baccouch, al termine di una riunione, precisando che “nei prossimi giorni sarà adottato un decreto legge”. Il 20 gennaio scorso, sei giorni dopo la caduta del regime del presidente Ben Ali, il primo governo di transizione aveva già approvato un progetto di legge di amnistia generale. La settimana scorsa, l’Assemblea nazionale e il senato tunisino (camera dei consiglieri) avevano adottato una legge che autorizza il presidente provvisorio, Foued Mebazaa, a governare per decreti legge, superando così il parlamento bicamerale ereditato dall’ex regime. Mercoledì scorso, il ministro della Giustizia, Lazhar Karoui Shebbi, ha sottolineato che la liberazione condizionale era stata già accordata a 3.000 prigionieri, senza precisare se si trattava di reati comuni o di politici. Sempre mercoledì, circa 200 persone hanno manifestato davanti al dicastero della Giustizia per chiedere la liberazione dei loro figli detenuti e un’amnistia generale. Secondo l’avvocato Samir Ben Amor ci sarebbero ancora tra 300 e 500 prigionieri politici nelle prigioni tunisine. Serbia: italiano in carcere inizia sciopero della fame, moglie si appella alle autorità italiane Ansa, 19 febbraio 2011 Un italiano in carcere a Belgrado da 16 mesi con l’accusa di turbativa d’asta ha cominciato uno sciopero della fame totale e la moglie, preoccupata, ha lanciato un appello alle autorità italiane a fare qualcosa per risolvere il caso del marito, a suo avviso detenuto ingiustamente. “Vorrei fare un appello affinché le autorità italiane si interessino alla vicenda di mio marito. Non è possibile che per una turbativa d’asta sia in un carcere duro, alla pari di trafficanti di droga o autori di altri gravi crimini”, ha detto all’Ansa la signora Milena, serba, moglie di Giovanni Accroglianò, l’italiano 41enne, rappresentante di una ditta farmaceutica, in carcere a Belgrado dal 21 ottobre 2009. “Mio marito è accusato di aver fatto parte di un’organizzazione criminale che avrebbe mirato a falsare un’asta allo scopo di lucrare 150 mila euro”, ha affermato la signora. All’epoca dei fatti Accroglianò, spiega, era vicepresidente della Camera di commercio italo-serba, e fu coinvolto in un’asta di mobili per ospedale. A lui infatti, si era rivolta la ditta Vernipol, produttrice dei mobili. Con l’italiano erano finiti in carcere altri 5 cittadini serbi che tuttavia, ha detto la signora Milena, sono usciti dopo pochi mesi. “L’unico rimasto in prigione è stato mio marito. Secondo la legge serba infatti, essendo lui straniero vi è il pericolo di fuga. Anche se non ha più il passaporto”. Il processo si è aperto nel giugno 2010, e da allora vi sono state cinque sedute. “Sono molto preoccupata, io con i miei tre figli. Mio marito in carcere ha perso molto peso ed è passato da 101 a 65 chili. Ora da mercoledì, avendo visto che per lui nessuno si interessa, ha cominciato uno sciopero totale della fame”, ha detto la signora, che ha criticato il sistema giudiziario serbo. “Il sistema italiano è mille volte migliore. Qui è difficile far valere i propri diritti, non esistono organi di garanzia per gli imputati e di controllo sui giudici”. Iran: pena morte; 6 impiccati per droga, 77 persone messe a morte dall’inizio dell’anno Ansa, 19 febbraio 2011 Sei uomini sono stati impiccati in Iran dall’inizio della settimana per traffico di stupefacenti. Esecuzioni che portano ad almeno 77, secondo notizie ufficiali, le persone messe a morte nella Repubblica islamica dall’inizio dell’anno, mentre alcune organizzazioni per i diritti umani affermano che la cifra è anche superiore. Nel 2010 sono state 179, sempre secondo notizie ufficiali, le esecuzioni capitali in Iran. Ma Human Rights Watch le ha stimate in non meno di 388.