Giustizia: Ionta; la legge svuota-carceri ha 2 mesi, solo 1.100 detenuti ne hanno usufruito Ansa, 17 febbraio 2011 “In due mesi 1.100 persone sono uscite dalla detenzione carceraria” beneficiando della legge che consente di scontare ai domiciliari gli ultimi 12 mesi di carcere. “Ci sono zone in cui l’applicazione è modesta, prossima allo zero e sono più le richieste respinte che quelle accolte”. È un primo bilancio della cosiddetta norma svuota-carceri fornito dal capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, che ha specificato come “la platea di riferimento secondo i nostri calcoli è di circa 7.000 detenuti”: sono, infatti, “circa 6.900 i dossier che abbiamo fornito alla magistratura di sorveglianza”. Parlando alla Scuola di perfezionamento della Forze di Polizia Ionta ha ricordato che “in fase di discussione della legge vennero sollevate due obiezioni: sul meccanismo di automatismo delle concessione del beneficio e l’aggravio di lavoro per le altre forze di polizia che dovevano eseguire i controlli. A me - ha osservato - pare che non ci sia né l’uno né l’altro”. È infatti possibile, secondo il capo del Dap, una valutazione rapida e intelligente in base ai dossier che rendono conto del percorso fatto dal detenuto e una verifica di prudenza sull’effettività del domicilio presso cui si chiede di scontare la pena. Quindi di fatto il magistrato deve solo verificare che ci siano i requisiti. Per questo mi sembra strano che ci siano aree in cui l’applicazione del provvedimento è prossimo allo zero. Intendiamo monitorare i provvedimenti di rigetto, che al momento sono più di quelli di accoglimento. Inoltre, ha detto Ionta, “non mi pare che ci sia un sovraccarico di lavoro per le altre forze di polizia, né un aumento del crimine in alcune zone: non c’è secondo quanto mi risulta una sola persona arrestata dopo che gli era stato concesso il beneficio e non si può muovere alcuna critica rispetto all’incremento degli illeciti”. Dato che “solo gli stupidi - ha concluso - non cambiano idea, io cambierò idea se ci saranno dati che supporteranno questa suggestione”. Giustizia: Osapp; sulle carceri questo Governo ha fallito e non ci sono esami di riparazione Comunicato stampa, 17 febbraio 2011 Questo Governo ha fallito e non ci sono esami di riparazione che tengano, almeno per quel che ci riguarda - a gridarlo a gran voce è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp che interviene nel dibattito politico per unirsi al coro di critiche contro il Governo, che anche ultimamente si sono elevate dalla società civile - se è troppo generico e strumentalmente pericoloso parlare in termini prettamente politici, - continua il leader sindacale - i numeri non danno riparo per una critica a tutto campo. In base ai dati in nostro possesso sappiamo per certo che da settembre i detenuti non avranno più assicurato il vitto “gratuito” e, cosa ancora più grave, potranno permettersi solo quello a pagamento. Rispetto ai fondi stanziati nel 2010, infatti - lancia l’allarme Beneduci - c’è un abbattimento del 50% dei capitoli di spesa su questa voce. Come in perdita - fa notare il segretario generale - sono i capitoli destinati alle utenze per luce, acqua, gas e telefoni con le cui aziende di fornitura l’amministrazione penitenziaria ha una esposizione debitoria pregressa di oltre 30 milioni di euro. Anche sul versante delle c.d. missioni, ovvero per quanto riguarda gli spostamenti dei detenuti per motivi di salute o di giustizia, tra cui le udienze per direttissima, le trasferte che impegnano il personale di Polizia Penitenziaria non potranno essere più pagate dal prossimo mese di aprile - assicura Beneduci - visto che il 70% (oltre 6 milioni di euro) di fondi stanziati per l’anno in corso dovranno essere restituiti al personale per servizi resi e non pagati negli anni. In aggiunta a questo - indica ancora l’Osapp - per quanto riguarda il tanto vantato progetto di cui alla legge c.d. “svuota carceri”, dei 9.000 detenuti stimati dall’amministrazione penitenziaria, dopo due mesi, ne sono andati in detenzione domiciliare solo 1.100: per una cifra che non potrà superare nel massimo 2.000 unità a fine 2011; mentre per le 1.600 assunzioni in più promesse dal Guardasigilli ci sono fondi solo per 400 nuovi agenti, mancando all’appello oltre 45 milioni di euro. Se questo non è il fallimento di una politica che ha sempre considerato la soluzione in termini univoci, concependo che soltanto il Piano carceri potesse dare sollievo ad una situazione drammatica - conclude Beneduci - ci troviamo proprio fuori strada. Giustizia: denuncia Coordinamento Usb Penitenziari; le carceri sono in stato di abbandono Ristretti Orizzonti, 17 febbraio 2011 Lettera al Ministro Alfano e al Capo del Dap Franco Ionta. “Questa Organizzazione Sindacale vuole denunciare lo stato di abbandono in cui versa il sistema penitenziario: le cause sono molteplici e tutte per lo più riconducibili alla politica che i responsabili di questa Amministrazione ha fatto e sta facendo, a partire dalle decisioni operate nella scelta dei Loro Collaboratori. A causa di tale politica, che ha visto succedersi al vertice dell’Amministrazione magistrati sicuramente valenti in quanto tali, ma altrettanto incapaci di portare avanti in modo corretto la gestione complessiva del sistema, seguendo le giuste logiche che avrebbero - da una parte - dovuto tendere alla rieducazione, così come recita la Costituzione e dall’altra creare le condizioni strutturali e ambientali perché ciò avvenisse. Invece abbiamo un assalto alla diligenza nei confronti del sistema che ha costituito l’unica vera realtà degli ultimi quindici anni, dove magistrati assolutamente inconsapevoli della realtà carceraria si sono fatti strumentalizzare da questo o quel dirigente che, assetato di potere, ne ha tratto esclusivamente il proprio tornaconto. Va doverosamente detto che qualche magistrato, rispettoso della legge e della legalità si è impegnato nella giusta direzione, ma altri suoi colleghi disfacevano quello che questi costruivano. Non ci risulta che nei tagli che il governo operava si sia tenuto conto della necessità almeno di dare da mangiare ai detenuti. Oggi essi sono arrivati a quota 68.000, e per ciascuno di loro si spende solo 4 € al giorno complessivamente per il pranzo e la cena… e tutte quelle carenze che pure esistevano anche in tempi passati anche se non in modo così eclatante, venivano integrate con gli acquisti fatti dagli stessi detenuti al sopravvitto. Ma ora - a causa della carenza di lavoro - non è più possibile ed il risultato è che i detenuti hanno fame e sete, oltre che stare ammassati come sardine in spazi sempre più angusti, condannati a fare niente dalla mattina alla sera. Di queste scelte scellerate ne stanno facendo le spese finanche i bambini loro malgrado detenuti. Ma lei sa che per i bambini al seguito delle mamme in carcere quest’anno sono stati tagliati ben 300.000 euro al già magro bilancio dell’anno precedente? Vogliamo poi parlare della distribuzione del personale nelle sedi periferiche e al Dap? Signor ministro, l’ultima ristrutturazione, ancora in fieri, vede individuare i servizi per collocare i dirigenti e non muoverli dai posti comodi in cui si trovano, mentre gli istituti della periferia - in particolare al nord - languono senza Dirigenti con il risultato che nei posti centrali di responsabilità l’Amministrazione non chiede loro contributi responsabili perché la maggior parte di loro non conosce assolutamente la realtà del carcere per due ordini di motivi: o vi ha prestato opera per troppo poco tempo, oppure addirittura non vi ha mai prestato servizio. Ci troviamo pertanto per lo più di fronte a persone, che come apprendisti stregoni, pensano di usare un “giocattolo” sensibile come l’Amministrazione Penitenziaria che ha avuto il suo momento di crescita per tutti: operatori e detenuti nel periodo in cui è stata declinata la filosofia della pena e si è cercato in ogni modo di trovare modalità operative detentive che realizzassero il dettato costituzionale, soddisfacendo anche le giuste esigenze del personale. Al momento, nella migliore delle ipotesi, si cerca di mettere “pezze” ad un sistema completamente sfasciato che non dà più i suoi effetti, anzi i cui unici risultati che dà sono messaggi di morte per l’incuria, per l’indifferenza, e la risposta a tutte le direttive che promanano dal centro costituiscono solo repliche burocratiche, vissute come fastidio. La corsa è allo scarico di responsabilità in un gioco al massacro che vede far ricadere sulle categorie di personale più deboli le responsabilità di quanto accade o può accadere. Ad esempio tutti sanno che non serve, a chi è individuato come soggetto a rischio suicidarlo, che si disponga la cosiddetta “grande sorveglianza”, in modo da individuare formalmente chi non ha grandemente sorvegliato - nel malaugurato caso succedesse qualcosa - per poi giustamente assolverlo a causa della carenza di organico… e poi anche dire con indifferente fatalismo, che se uno vuole fermamente suicidarsi prima o poi lo fa. La responsabilità di ogni gesto viene ricondotta in capo all’operatore della periferia, sia esso Poliziotto, Dirigente, Educatore, Assistente Sociale. Purtroppo al centro sono troppo pochi i funzionari sensibili che si prendono carico - comprendendole - delle situazioni della periferia. Ed a fronte delle innumerevoli morti in carcere si risponde con disposizioni dal centro che servono solo a far ricadere sull’anello più debole della catena le responsabilità. E questo vale per tutto: dal servizio Sanitario, al lavoro dei detenuti, alle attività scolastiche e ricreative. Oramai si possono contare sulle dita di una mano le persone che seguono la logica della cultura penitenziaria, la grande assente di questi anni. Sono quasi completamente scomparsi gli stimoli, le teorizzazioni dei vari Tartaglione, Minervini, Di Gennaro e, al momento, non pare esserci, ad eccezione di qualche eletto che però viene inesorabilmente zittito, nessuno che possa quanto meno ispirarsi a loro. La preoccupazione di tutti è quella di apparire più che essere, di dare messaggi - il più delle volte non corretti gestiti da chi - alla ricerca di visibilità - dimentica che il Dap è una struttura alla quale fare riferimento e gestisce il proprio lavoro non al servizio della struttura, ma al servizio di se stesso. In questo modo la ricerca di consensi che non permette una corretta immagine dell’Amministrazione, ma piuttosto dà visibilità a questo o quel funzionario, piuttosto che al servizio che - per fortuna - trascende i singoli operatori. Analogamente da anni oramai l’Ufficio del personale è diventato un collettore di raccomandazioni, con l’unico risultato che il nord continua ad essere sguarnito, e voi sono sacche del sud che non ridono quanto a carenza di personale. Va detto che la logica della gestione del personale risponde più a criteri clientelari, che ad un servizio da rendere all’Amministrazione, ma non può continuare perché il personale in questo modo viene umiliato e non compreso, perché emergono solo le esigenze di pochi, ma non di tutti, perché emerge la logica del più forte e di chi ha più potere politico. E serve solo a mettere l’un contro l’altro i lavoratori. È il divide et impera che si vuole? Ma non è sicuramente questo il modo per gestire correttamente l’amministrazione ed il personale, perché poi lo scontento dei singoli si riversa inevitabilmente sulla qualità del lavoro. Sono anni che si dice che il 30% di chi entra nel giro dell’esecuzione penale ne esce dopo al massimo una settimana, è ora di smettere di usare logiche carcerarie anche per chi in carcere non ci dovrebbe stare, che umiliano chi le subisce, ma soprattutto gli operatori che sono costretti a vivere la loro operatività con impotenza. Ma è proprio impossibile pensare che queste persone - che fino a giudizio definitivo sono innocenti - possano non entrare in carcere? Quali interessi sottende tale non scelta, che invece potrebbe essere la più ovvia, per realizzare una effettiva politica deflattiva. Ci siamo scordati che esistono le misure alternative alla detenzione, perché non potenziarle? Perché umiliare gli operatori degli Uffici dell’Esecuzione penale esterna a soli organi di controllo, senza rispettare la loro peculiarità che parla anche di aiuto? Perché non dare loro i mezzi che servono per una corretta gestione della loro professionalità? Signor ministro, è necessario riconsiderare tutto il sistema penitenziario e ridare vitalità ed efficacia all’azione amministrativa ed alla mission istituzionale e soprattutto creare le condizioni perché il personale sia messo in grado di correttamente operare, ma soprattutto ricreare un clima culturale costruttivo, che permetta di collaborare pur nelle differenti peculiarità. Il Coordinamento Usb Penitenziari Giustizia: ok della Camera; niente giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo Ansa, 17 febbraio 2011 Con 215 voti a favore dei deputati di Pdl, Lega e Idv, 191 contrari da Pd e Udc, e l’astensione dei deputati di Futuro e libertà, la Camera ha approvato la proposta promossa inizialmente dalla Lega che introduce il divieto di ricorso al rito processuale abbreviato nei processi per reati in astratto punibili con l’ergastolo. Il testo della nuova legge passa ora al Senato. Maggioranza e Idv sottolineano l’importanza di una nuova norma all’insegna di una maggiore legalità e deterrenza dal commettere i reati più gravi. Pd e Udc, invece, in nome del garantismo ne contestano la costituzionalità e l’efficacia, definendo “demagogica la nuova legge”. E denunciano come la previsione astratta dell’ergastolo per un certo processo non possa fin dall’inizio limitare la possibilità di ricorso a riti che aiutano la certezza della pena e al contempo la ragionevole durata dei processi. Attraverso la soppressione di parte dell’articolo 442 del codice di procedura penale, il testo mira a rendere inapplicabile il rito abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Ove il testo verrà confermato dal Senato, dunque, decadrà la possibilità per chi è condannato al carcere a vita di far sì, come oggi avviene avvalendosi del giudizio abbreviato, di avere la sostituzione dell’ergastolo con la condanna a trent’anni di carcere. Di Pietro: su reati gravi non votiamo per partito preso Non è che, per fare un dispetto alla maggioranza, io tolgo ai giudici la possibilità di fare il loro dovere. Non faccio dispetto a nessuno. È quanto ha affermato il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, intervenendo in Aula alla Camera. “In questo contesto - ha aggiunto Di Pietro - si vogliono fare modifiche al codice di Procedura penale che vanno oltre Berlusconi ed il contingente. L’Italia dei valori ha sempre mantenuto la linea del rigore anche per la sanzione. Infatti, noi sosteniamo con convinzione, e abbiamo cofirmato il provvedimento presentato dalla leghista Lussana, nel quale è previsto che per i reati di omicidio non si può fare ricorso strumentale al giudizio abbreviato. Con questa scusa, infatti - spiega ancora Di Pietro - prima si commette l’omicidio e poi si può chiedere il rito abbreviato. Insomma, non possiamo permettere che chi è condannato all’ergastolo possa automaticamente ridursi la pena. Se uno ammazza una persona deve andare in galera, non esistono scorciatoie. Ognuno voti per partito preso, ma noi dell’Italia dei valori votiamo secondo coscienza in questo caso in salvaguardia del diritto e del lavoro dei giudici. Sarà il Paese a giudicare se è giusto o non è giusto”. Giustizia: la Camera approva il progetto di legge sulle detenute madri, ora passa al Senato Adnkronos, 17 febbraio 2011 Via libera dell’aula della Camera alla proposta di legge sulle detenute madri. Il provvedimento prevede che le donne madri di bambini fino a sei anni di età non dovranno stare in carcere (attualmente il limite d’età per i bambini è di tre anni). Il testo, approvato all’unanimità, con l’astensione dei Radicali, dovrà essere esaminato dal Senato. Soddisfazione per il voto a Montecitorio da parte del Pd: “L’approvazione della nostra legge sulle detenute madri ci vede molto soddisfatti - dice Donatella Ferranti. Nel merito perché con queste norme si un passo avanti nella tutela dei diritti dei minori che hanno la sfortuna di avere un genitore, in particolare la madre, in carcere. Nel metodo perché il lavoro portato avanti dal Pd ha consentito di trovare un largo consenso a dimostrazione che quando si lavora senza pregiudizi e senza veti ideologici, il parlamento è un luogo in cui si possono affrontare le problematiche della società civile”. Le norme che ora passeranno al Senato prevedono uno specifico finanziamento nell’ambito dei fondi previsti per la realizzazione del piano carceri per la realizzazione di istituti a custodia attenuata in cui le esigenze di sicurezza dovranno contemperare quelle di uno sviluppo equilibrato dei minori. La sostanziale unanimità ci fa ben sperare per l’esame al Senato, conclude Ferranti. Giustizia: le mamme di bambini fino a sei anni di età non dovranno più stare in carcere Ansa, 17 febbraio 2011 Le mamme di bambini fino a sei anni di età non dovranno più stare in carcere, a meno di particolari esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”. E quanto prevede una proposta di legge approvata dall’Aula della Camera che innalza del doppio (attualmente è di tre anni) l’età del figlio perché la donna di non venga detenuta. Il testo, approvato all’unanimità e con l’astensione dei radicali (che pure per primi lo avevano presentato ma ora lo considerano inadeguato per la scarsa copertura finanziaria) ora passa al Senato. Il provvedimento prevede che quando imputati siano una donna incinta o una madre di prole di età inferiore a sei anni che conviva con lei (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole) non ne possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza: in quel caso è possibile disporre la custodia cautelare un istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Sarà un decreto del ministro della Giustizia a definire le caratteristiche tipologiche delle case famiglia (anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza) e l’individuazione delle strutture gestite da enti pubblici o privati idonee ad essere utilizzate come case-famiglia protette. E qui c’è uno dei punti criticati dai radicali: di Icam al momento ce n’è solo uno, a Milano, e non vengono previste risorse per realizzarne di nuovi. Cambiano anche le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente, da parte della madre detenuta o imputata (o del padre, alle condizioni sopra indicate). Il magistrato di sorveglianza - in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore - potrà concedere il permesso, con provvedimento urgente, alla detenuta o all’imputata per visitare il figlio malato, con modalità che, nel caso di ricovero ospedaliero, devono tener conto della durata del ricovero e del decorso della patologia. Nei casi di assoluta urgenza il permesso viene concesso dal direttore dell’istituto. Viene poi stabilito il diritto della detenuta o imputata di essere autorizzata dal giudice ad assistere il figlio durante le visite specialistiche, relative a gravi condizioni di salute. Il provvedimento deve essere rilasciato non oltre le ventiquattro ore precedenti la data della visita. Novità anche per gli arresti domiciliari delle condannate incinte o madri di figli di età non superiore a dieci anni. Potranno espiare condanne fino a quattro anni presso una casa famiglia protetta; se poi non c’è un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e si riscontra la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute madri possono espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo privato o in un luogo di cura dopo aver scontato almeno un terzo della pena o almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo. Alfano: approvata norma di buon senso, mai più bimbi in carcere Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha espresso “grande soddisfazione per il voto bipartisan alla Camera alla proposta di legge che consente alle detenute madri di bambini fino a sei anni di età di non stare in carcere”. “Tutti i bambini sono uguali, indipendentemente dalla loro appartenenza familiare e tutti hanno uguali diritti - ha spiegato il Guardasigilli. “Mai più bimbi in carcere, non importa di chi siano figli, ciò che importa è che siano bimbi”: questa è la frase che ho ribadito in più occasioni per affermare la forte volontà del governo perché venisse data alle madri di bimbi fino a sei anni la possibilità di scontare le pene fuori dal carcere. La Camera consegna al Senato una legge di buon senso, legge che rientra nella più ampia cornice dei diritti dei minori. In quest’ottica, sarà assicurato ai bambini di crescere in strutture adeguate che siano serene ed ospitali, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza”, ha concluso Alfano. Rao (Udc): detenute madri provvedimento qualificante “Quando non si litiga su processi premier c’è spesso unanimità. Quando c’è la possibilità di lavorare in Parlamento con serenità, senza pregiudizi, senza partigianeria, in una parola, quando non ci si divide e non si litiga sui processi di Berlusconi si riescono ad approvare leggi utili nell’interesse del cittadino e della dignità della persona. Questo è il caso del provvedimento sulle detenute madri approvato quasi all’unanimità dall’aula. Il provvedimento bipartisan, prova a dare una soluzione dignitosa al grave fenomeno dei bambini nelle carceri tutelando i diritti dei minori, non è quella famosa riforma della giustizia che molti auspicano ma certamente è un provvedimento qualificante e di primaria importanza per uno Stato che voglia qualificarsi come civile e moderno”. Lo dichiara in una nota Roberto Rao capogruppo Udc in commissione giustizia di Montecitorio. Giustizia: il Garante della privacy; i media non pubblichino i nomi dei violentatori Ansa, 17 febbraio 2011 Non si possono pubblicare dettagli che rendono identificabili le vittime di violenza sessuale. Tanto più quando si tratta di minori. È il forte richiamo del Garante privacy ai media in seguito alla pubblicazione di notizie di alcune agenzie che, nel riferire di un caso di violenza sessuale subita in famiglia da una minore a Caltanissetta, hanno pubblicato nome, cognome, età del padre arrestato oggi. Il Garante ricorda che, anche quando questi dettagli fossero stati forniti da fonti ufficiali, i mezzi di informazione sono tenuti a non diffondere elementi che, anche indirettamente, portino all’individuazione di vittime di violenza sessuale. La pubblicazione di tali dettagli contrasta con i principi fissati dal Codice deontologico dei giornalisti e risulta ancora più grave se si tiene conto che la vittima è una persona minore, alla quale la normativa italiana e le Convenzioni internazionali (Codice privacy, Codice penale, nuovo processo minorile, Carta di Treviso, Convenzione dei diritti del fanciullo) riconoscono una tutela rafforzata. Bologna: convenzione tra Comune e Tribunale per condannati al lavoro di pubblica utilità Dire, 17 febbraio 2011 Il Comune di Bologna recluta una ventina di condannati da affiancare agli assistenti civici nella sorveglianza delle scuole e dei parchi. È l’effetto di una convenzione ad hoc stipulata col Tribunale e che, come spiega il sub commissario Raffaele Ricciardi, “prevede l’utilizzo di persone che sono state condannate al lavoro di pubblica utilità in settori come la scuola e i parchi”. Attività da svolgere “a fianco degli assistenti civici” già impegnati in questo genere di compiti. La delibera è stata licenziata oggi dalla giunta commissariale e prevede “oltre una ventina” di condannati al lavoro. Per il commissario Anna Maria Cancellieri l’iniziativa “va nel senso giusto”. Da un lato “fa sempre comodo” avere personale a disposizione, e “poi c’è un risvolto sociale”. Tra l’altro il commissario ricorda un’analoga esperienza fatta quando era a Parma sempre come commissario: “A Parma facemmo la pulizia del greto del fiume utilizzando i detenuti, con una operazione di grandissimo respiro”. Genova: lavori socialmente utili invece del carcere; condannati pagati con cassa ammende di Stefano Origone La Repubblica, 17 febbraio 2011 L’iniziativa è dell’assessorato alla Città Sicura. “Vogliamo evitare che i detenuti restino soli all’uscita dal carcere”. L’assessore Scidone: “L’inserimento deve iniziare già quando la persona sta scontando la pena”. Detenuti che tagliano rami e ripuliscono il sottobosco per prevenire gli incendi, che dipingono le panchine per abbellire i parchi, che aiutano la Protezione civile, che fanno prevenzione e mettono in guardia i giovani sui pericoli della droga. Lavori socialmente utili per il Comune al posto di una cella. L’iniziativa è dell’assessorato alla Città Sicura. Il progetto è stato presentato ai municipi e verrà discusso con l’amministrazione penitenziaria ligure. “Per evitare che i detenuti quando escono dal carcere rimangano soli rischiando di ricadere nell’errore e compiere reati - sottolinea l’assessore alla sicurezza Francesco Scidone - dobbiamo portare avanti un discorso di inserimento sociale che inizia già quando la persona sta scontando la condanna”. I detenuti avranno un regolare stipendio. “Utilizzeremo la “cassa delle ammende”, cioè quei soldi che i condannati rifondono per pagare le vittime dei loro reati. Dal 2008 sono il Dap ha presentato venti dei progetti in tutta Italia e ha utilizzato i fondi. Una parte consistente del denaro, è andato anche in Sicilia, guarda caso alla regione del ministro Alfano. È tempo che anche Genova possa utilizzarli e questa iniziativa è importante non solo per il Comune, ma soprattutto per i detenuti”. La manodopera, del tutto particolare, per il Comune potrebbe essere garantita da quelli in semilibertà o ammessi al lavoro esterno. Il progetto prevede in primo luogo la sistemazione dei sentieri montani, la pulizia del sottobosco, delle sponde del fiume, la piantumazione delle aree disboscate, il taglio di piante mature o malate. “Ma nulla vieta di utilizzarli per difendere il decoro urbano oppure per fare volontariato. Penso a chi è stato condannato solo a un’ammenda per reati inerenti il codice della strada oppure dal giudice di pace per lesioni, minacce, ingiurie, diffamazione”. Il direttore del carcere Salvatore Mazzeo sposa questo progetto. “È quello che mi aspettavo da tempo, sono totalmente favorevole”. E aggiunge: “Dobbiamo fare una distinzione tra privato e Stato. Nel primo caso chi ha danneggiato una persona, per esempio rubando in casa o facendo una rapina, i soldi che guadagna devono servire per rifondere il danno. Per un reato ambientale, quindi siamo nel secondo caso, il lavoro deve servire per risarcire lo Stato”. Per Mazzeo devono venire coinvolti soggetti che hanno commesso “reati marginali, di piccola gravità”. “In Italia sono diecimila i detenuti con pene fino a un anno - conclude il direttore. Questo aspetto contribuisce a provocare il sovraffollamento e rendere la vita in carcere disumana. Il futuro è questo: il lavoro socialmente utile per svuotare le celle e favorire il reinserimento nel “mondo”. A metà degli anni Novanta, il Comune aveva già portato avanti questa iniziativa. Ci fu una clamorosa evasione e il progetto era naufragato. Catanzaro: minori reclusi, importante tappa formativa per i corsisti di “Le Ali al futuro” Quotidiano di Calabria, 17 febbraio 2011 Incontro con l’associazione italoamericana “Mentoring” della first lady newyorkese Matilda Cuomo Si chiama “Mentoring” ed è l’associazione creata da pochi anni dalla moglie del governatore dello stato di New York Matilda Raffa Cuomo. Si tratta di un ente onlus la cui mission è diretta ad arginare il diffuso e preoccupante fenomeno dispersione scolastica, causa di piaghe sociali quali bullismo, baby gang, violenza negli stadi, microcriminalità, droga, etc. Dopo gli States, i coniugi Cuomo (entrambi meridionali) ed il figlio ne hanno esteso la operatività anche in Italia dove sono sorte sezioni Mentoring in diverse regioni. La V lezione del Progetto interministeriale “Le Ali al Futuro”, in Calabria diretto dall’Istituto comprensivo “Vincenzo Vivaldi” di Catanzaro Lido, ha ospitato la psicologa Francesca Moccia, referente del Progetto Sviluppo della “Mentoring”, sotto la cui egida il progetto “Le Ali al futuro” sta formando dieci tutor che opereranno nelle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio. Presso l’auditorium dell’ Istituto Minorile del capoluogo, la giovane professionista ha parlato ai numerosissimi corsisti spiegando le caratteristiche dell’associazione che prende il nome dal re dei Traci sotto la cui saggia guida crebbe Ulisse. La Moccia ha focalizzato il concetto di autostima la cui mancanza provoca disagio, depressione e disturbi dell’umore; mentre la crescita determina sicurezza e capacità progettuale. “Attenzione però - ha aggiunto la psicologa - alla autostima “insicura”, quella che ostenta l’individuo narcisista, prevaricatore e irascibile”. Nella veste di moderatore il dirigente del “Vivaldi” Vitaliano Rotundo ha insistito sul valore sperimentale del progetto in un settore, come quello della rieducazione, in cui nessuno ha ricette risolutive. “L’équipe di LeAli al futuro è formata da componenti che provengono da diverse estrazioni istituzionali e sociali, ma tutti concentricamente diretti all’obiettivo di un linguaggio comune, soprattutto a dare competenze che orientino i giovani detenuti ad esperienze condivise di occupazione. Ci sono due ministeri che stanno investendo su di noi - ha continuato - a testimonianza che a Roma la scuola “Vivaldi” con i suoi insegnanti è tenuta in grande considerazione”. Al seminario ha preso parte il direttore della casa circondariale catanzarese Angela Paravati la quale ha offerto ai presenti alcune interessanti spunti di riflessione, in particolare le differenze tra la teoria letteraria sulle problematiche carcerarie e la realtà quotidiana della vita dietro le sbarre. Tre le domande-chiave della missione: chi è il delinquente? qual è lo scopo della pena? il carcere raggiunge il suo scopo? “Il nostro mandato - ha concluso la direttrice di Siano - è quello di offrire un percorso di vita nell’ambito delle leggi dello Stato. Non possiamo né abbiamo diritto di cambiare nessuno.” Il dirigente del Centro di Giustizia Minorile Calabria e Basilicata Angelo Meli ha spiegato infine che enti, scuole ed agenzie educative devono fermarsi a capire perché alcuni ragazzi rompono il patto con la società”. La giustizia minorile arriva nel momento successivo al danno; ma l’ambito d’intervento è anche quello preventivo. Non è facile catturare l’attenzione di questi ragazzi - ha concluso - ci vuole un atto di umiltà da parte nostra”. Udine: libri della Biblioteca civica Joppi entrano nella Casa circondariale Messaggero Veneto, 17 febbraio 2011 La giunta comunale, su proposta dell’assessore alla Cultura Luigi Reitani, ha approvato un accordo di programma triennale tra palazzo D’Aronco, la direzione della casa circondariale, il Centro territoriale permanente per l’età adulta e l’associazione di volontariato penitenziario “Icaro”. Scopo dell’accordo, la promozione della lettura all’interno del carcere di via Spalato. “Negli ultimi anni - spiega Reitani - la nostra biblioteca si è sviluppata come un’istituzione sempre più aperta alla città, promotrice dell’integrazione delle popolazioni immigrate e di un articolato programma di iniziative che riguardano la messa a disposizione di materiali bibliografici adatti a nuove fasce di cittadini, ma anche la realizzazione di attività legate alla promozione della lettura. Ecco perché - prosegue Reitani - abbiamo deciso di mettere a disposizione anche dei detenuti della casa circondariale i 150 anni di storia della Joppi e il suo inestimabile patrimonio librario di oltre 500 mila documenti”. Tra l’atro, il Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche riconosce la funzione di queste istituzioni come servizio disponibile a tutti i cittadini, compresa la popolazione carceraria, sottolineando la necessità dell’integrazione dei servizi bibliotecari del territorio e l’importanza che le biblioteche pubbliche hanno nell’istituire servizi specifici per i detenuti. Anche le linee guida dell’International Federation of Library Associations (Ifla) indicano la necessità di promuovere all’interno degli istituti penitenziari un servizio bibliotecario adeguato destinato all’utenza penitenziaria. Forte di questi principi, la Joppi aveva già avviato, nel corso degli ultimi due anni, un rapporto di collaborazione con l’istituto penitenziario di Udine, attivando un primo sperimentale servizio di prestito di libri. Ora, con la firma di questo accordo di programma, la Joppi fornirà la consulenza biblioteconomica e l’assistenza per la gestione dei servizi di biblioteca agli educatori della casa circondariale, oltre all’individuazione del personale volontario con un’adeguata preparazione affinché garantisca la consulenza e l’assistenza al personale interno in materia di biblioteca. Ma anche la messa a disposizione del software per la gestione automatizzata utilizzato per le biblioteche civiche e il prestito di libri ai detenuti. Pistoia: agente condannato; ricatti sessuali a cognata detenuto per evitare il trasferimento Il Tirreno, 17 febbraio 2011 Una storia iniziata con l’invio di sms, alimentata da incontri sessuali, seguita da denunce e finita, ieri pomeriggio, con la lettura della sentenza: Quattro anni e cinque mesi di reclusione e l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici per un agente della polizia penitenziaria condannato per il reato di concussione. È la pena inflitta dal collegio del tribunale - pm Francesco Sottosanti - ad Angelo Filippi, 47 anni, di Pistoia, in servizio nel carcere di Santa Caterina in Brana. Difeso dall’avvocato Elisabetta Vinattieri, il poliziotto era accusato di aver esercitato pressioni sulla cognata di un detenuto, minacciando il trasferimento dell’uomo se lei non avesse assecondato i suoi desideri. Alla donna, una quarantenne pistoiese, assistita dall’avvocato Silvia Dal Pino, la corte ha riconosciuto anche un risarcimento di 10mila euro a carico dell’imputato, che dovrà pagarle pure le spese legali. Stando a quanto rievocato in tribunale, la storia risale all’ottobre 2006. L’agente, addetto al controllo dei documenti di chi entra in carcere, nota la moglie di un detenuto, ma soprattutto la sorella, cognata dell’uomo in cella. Il rapporto con le due donne, di cui ottiene il numero di cellulare, all’inizio è impostato su un livello di amicizia. Ma, secondo l’accusa, l’atteggiamento dell’imputato cambia verso la cognata del detenuto, che in quel momento subisce una sorta di soggezione psicologica nei confronti del poliziotto. Per la Procura, Filippi avrebbe avuto almeno due rapporti sessuali sulla base della minaccia di far trasferire il familiare delle donne. L’imputato, sposato, ha sempre sostenuto la liceità dei suoi comportamenti negando ogni forma di costrizione o di minaccia. La donna decide di interrompere quella che per la corte era una pressione in cambio di favori sessuali. Non vuole più subire quelle attenzioni e, insieme alla sorella, si rivolge alla direzione del carcere. Prima della denuncia vengono sentiti anche alcuni detenuti che confermano il racconto delle donne. E a quel punto scatta la segnalazione del caso alla magistratura, che ieri ha espresso un primo giudizio riconoscendo la colpevolezza del poliziotto condannandolo in primo grado. Palermo: professoressa punì gesto di bullismo, condannata a 1 mesi di carcere Apcom, 17 febbraio 2011 Fece scrivere ad un alunno cento volte sul suo quaderno la frase “sono un deficiente”. Per questo un’insegnante 59enne palermitana di scuola media è stata condannata a un mese di carcere, con pena sospesa e condono, dopo essere stata ritenuta colpevole di abuso dei mezzi di correzione. La vicenda, accaduta alla scuola media statale di Palermo “Silvio Boccone”, risale al 2006, quando l’insegnante, per punire un gesto di bullismo del ragazzo, che all’epoca aveva 11 anni, optò per questa singolare decisione. L’alunno, rimasto traumatizzato dal modus operandi della professoressa, fu accompagnato dal padre all’azienda sanitaria per una seduta con degli psicologi, che dopo aver avvisato la direzione della scuola, si rivolsero alla Procura. Assolta in primo grado, l’insegnante è stata condannata in appello con una pena ben più salata di quella richiesta dall’accusa, che aveva avanzato la pretesa di 14 giorni di prigione. I legali della donna hanno annunciato il ricorso in Cassazione. Teramo: il Sinappe denuncia; agente aggredito e ferito da un detenuto Il Centro, 17 febbraio 2011 Un agente di polizia penitenziaria in servizio all’interno del carcere di Castrogno (Teramo) è stato aggredito e ferito da un detenuto. L’episodio si è verificato ieri ed è stato riferito dal segretario regionale del sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria (Sinappe), Giampiero Cordoni. L’aggressione è avvenuta nella sezione “comuni” al momento dell’apertura dei passeggi e ha visto protagonista un detenuto di etnia rom che si è scagliato contro un assistente di polizia, quando in quella sezione di trovavano in servizio soltanto due agenti per circa un centinaio di detenuti. L’assistente è stato soccorso dai colleghi e accompagnato all’ospedale di Teramo dove è stato giudicato guaribile in otto giorni. “Da tempo - scrive il sindacato - denunciamo i gravi rischi a cui il personale è sottoposto nel totale disinteresse del Provveditorato regionale di Pescara, del direttore e del commissario di Castrogno”. “L’istituto teramano - aggiunge il Sinappe - è al collasso. Andando avanti, torneremo alla terza branda nelle celle e si acuiranno sempre più i problemi dovuti al sovraffollamento e alla carenza di personale”. “A dispetto del vergognoso silenzio delle altre sigle sindacali - prosegue la nota di Cordoni - il Sinappe farà di tutto per denunciare queste devastanti condizioni a cui il personale è sottoposto. Ci chiediamo cosa ancora debba accadere per obbligare questi dirigenti quanto meno a giustificare il loro lavoro”. Bologna: aggressione all’Ipm del Pratello, agente preso a calci da un detenuto Dire, 17 febbraio 2011 Un violento calcio prima di scaraventargli una sedia addosso, il tutto perché ha rifiutato i soldi per una telefonata. Il detenuto già altre volte aveva dato in escandescenze Un agente penitenziario è stato aggredito domenica sera all’interno del carcere minorile del Pratello a Bologna. Ne dà notizia il sindacato Sappe, spiegando che ad aggredire la guardia sarebbe stato un detenuto straniero che voleva telefonare, ma non aveva i soldi. L’agente, scrive in una nota il segretario aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, è stato “prima colpito con un violento calcio”, poi il detenuto straniero “ha tentato di scaraventargli una sedia addosso”. Stando a quanto appreso dal Sappe, l’antefatto dell’aggressione sarebbe questo: “Il detenuto avrebbe chiesto di telefonare, ma non avendo soldi disponibili non era possibile fargli effettuare la telefonata. Al rifiuto opposto dall’agente che gli spiegava i motivi del diniego, si sarebbe scagliato contro” di lui. Tra l’altro non era la prima volta che questo detenuto dava in escandescenza. “Era già stato segnalato con apposite relazioni di servizio- scrive il Sappe- per frequenti aggressioni verbali rivolte al personale”. Anche alla luce dell’accaduto, il sindacato torna alla carica per denunciare i disagi dell’istituto minorile di Bologna, dove “i problemi sono sempre tanti e legati soprattutto alla sicurezza”, afferma il segretario provinciale del Sappe, Rocco Riggio. Tra le recenti criticità c’è il fatto che “l’apertura del Centro servizi sociali nelle adiacenze dell’istituto penale non garantisce la necessaria sicurezza”. Infatti, l’edificio “è separato dalla struttura detentiva esclusivamente da una rete e, quindi, potrebbe favorire il passaggio di oggetti non consentiti”. Al Pratello, ad oggi, sono reclusi circa venti detenuti. Un’altra problematica che il Sappe ci tiene a segnalare è la recente estensione dell’orario di socialità dei detenuti. Si è allungata e ora, per decisione dell dirigente, si svolge dalle 19.30 alle 21. Questo, attacca il Sappe, “crea molti disagi al personale di polizia penitenziaria che non riesce ad effettuare i controlli necessari”. Napoli: a Pozzuoli una cineteca con fondi raccolti dall'associazione "Il carcere possibile" Redattore Sociale, 17 febbraio 2011 Grazie a una cena di beneficenza, acquistati tre televisori, tre lettori dvd e trenta film, che saranno collocati nello spazio comune dei reparti femminili. Presto al via anche un cineforum. Tre televisori, tre lettori dvd e trenta film, primo nucleo della neonata cineteca della casa circondariale di Pozzuoli. È materiale acquistato con i proventi della “Cena galeotta” dello scorso settembre, evento di beneficenza per la raccolta di fondi da destinare all’associazione "Il carcere possibile". Per la cena, organizzata grazie alla manifestazione “archeoenogastronimica” Malazè, furono convolti alcuni dei migliori chef dei Campi flegrei ed alcune detenute. Il materiale sarà consegnato domani, venerdì 18, alle ore 10 alla presenza della direzione del carcere, di esponenti della magistratura, del team di Malazè e dei responsabili dell’associazione "Il carcere possibile", che ha scelto i film della nuova cineteca e sta organizzando un cineforum, per “consentire anche un momento di discussione sui temi trattati dai film”. I televisori saranno collocati nello spazio comune dei reparti che ospitano le detenute. Inoltre chiunque può contribuire ad arricchire la cineteca della casa circondariale di Pozzuoli, scrivendo a info@ilcarcerepossibileonlus.it. “Con questa esperienza – dice Rosario Mattera, ideatore ed organizzatore di Malazè - realizzata con la collaborazione dell’eccellenze enogastronomiche dei Campi flegrei, abbiamo dimostrato che è possibile un’interazione con il carcere, luogo che per molti versi è visto dal territorio con fastidio o indifferenza. Ed è possibile vivere esperienze umane che restano dentro per sempre. La nostra voglia è quella di poter ripetere questo tipo di evento già dalla prossima edizione di Malazè a settembre”. Televisione: su Rai Uno “Cugino e cugino”, le avventure di un educatore penitenziario di Adamo Dagradi Giornale di Vicenza, 17 febbraio 2011 “Di solito, in carcere vengono ambientate vicende angoscianti, drammatiche. Stavolta, invece, anche tra i detenuti si ride”: così il regista Vittorio Sindoni descrive Cugino e cugino, serie in dodici episodi da 50’ l’uno (sei serate), da martedì 22 su Rai Uno. Protagonista Giulio Scarpati, nel ruolo di un educatore carcerario di nome Filippo. “È la persona che mantiene le relazioni fra i detenuti e i loro parenti”, spiega l’attore. Un uomo tranquillo, papà single, la cui vita viene movimentata dall’arrivo di un cugino combina guai interpretato da Nino Frassica, cuoco siciliano in trasferta a Roma; nome: Carmelo Mancuso. “Saremo una strana coppia all’ennesima potenza”, ha dichiarato l’ex fraticello di Scasazza di Quelli della notte, aggiungendo: “è una commedia di buoni sentimenti”. Ma quale sceneggiato italiano non lo è? Assieme ai due cugini ricco cast femminile: la bellissima Euridice Axen, già in Ris: Roma, è un magistrato di sorveglianza che lavora a stretto contatto con l’educatore, finendo per innamorarsene. Danny Mendez è la madre di un compagno di classe del figlio di Filippo e Eddy Angelillo la vicina di casa. Toni Garrani sarà Galasso, il direttore del carcere. Le riprese sono state effettuate nel carcere di Velletri e alcuni detenuti hanno recitato. Dal trailer si desume un tono farsesco: speriamo che gli autori non siano caduti nella tentazione, ormai comune, di sdrammatizzare una situazione fin troppo seria. Viene il sospetto che la tv, mano a mano che la reale situazione socioeconomica peggiora, voglia a tutti i costi indossare la maschera della commedia buonista. Meglio non diffondere il panico. Immigrazione: Maroni; linea del Governo è rimpatriare chi non ha status di rifugiato Il Velino, 17 febbraio 2011 “Rimpatriare chi non ha lo status di rifugiato e sistemare adeguatamente tutti coloro che hanno chiesto e ottenuto” tale titolo. Sarà questa la linea del governo italiano, secondo quanto riferito alla Camera dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni. A Montecitorio per rispondere time, Maroni ha tornato a usare duri toni nei confronti della Ue, definendo “impensabile” che davanti a una crisi politica e sociale, prima che umanitaria, le istituzioni europee “stiano solo a guardare e aspettare quello che succede: è incredibile che nessuno si sia mosso”. A fronte di quest’asprezza polemica nei confronti di Bruxelles, Maroni ha però smorzato la querelle che lo ha opposto nei giorni scorsi al commissario Cecilia Malmstrom. “Nessuna polemica, tanto che l’ho più volte citata come esempio di cooperazione e collaborazione. Ho avuto con lei una telefonata sabato in cui le ho preannunciato una lettera per chiederle di mettere all’ordine del giorno del Consiglio Gai della prossima settimana quello che stava avvenendo. Le ho chiesto di darmi mano a farlo inserire e la Malmstrom ha detto che si sarebbe attivata per farlo”. Quanto all’aiuto economico, ha sottolineato Maroni, il governo si è limitato a ribadire le otto richieste avanzate due anni fa. E fra queste anche “contributo straordinario di almeno 100 milioni di euro per l’emergenza”. Gli altri punti riguardano l’elaborazione, da parte di Frontex, di un rapporto di analisi dei rischi sulla situazione di instabilità nel Nord Africa; il pattugliamento congiunto con altri Stati membri a ridosso coste tunisine per intercettare immigrati e consentire il loro rientro nei porti; il bording sharing, con la suddivisione degli oneri per la gestione dei richiedenti asilo e dei clandestini; l’adozione di un sistema unico di asilo entro il 2012; l’avvio di programmi regionali mirati di assistenza insieme all’Unhcr; l’intensificazione degli sforzi previsti dal memorandum Italia-Libia; il coinvolgimento dell’Europol per specifiche analisi sulle infiltrazioni criminali e terroristiche. “A Napoli il 12 e il 13 aprile si terrà l’ministeriale Esteri del 5+5 - ha concluso - e la copresidenza sarà affidata proprio a Italia e Tunisia. Credo che sarà un momento importante di confronto”. Allo stato attuale, secondo le cifra fornite dal ministro dell’interno, nel centro di prima accoglienza di Lampedusa sono ospitate 1923 persone, tutti maschi adulti, mentre nella struttura messa a disposizione dal comune ci sono “30 donne”. Oltre cinquemila gli immigrati arrivati nel giro di un mese, tremila dei quali solo tra l’11 e il 14 febbraio. Fra questi, ha reso noto il titolare del Viminale, anche qualche decina di evasi dalle carceri tunisine. Maroni ha anche respinto le accuse sul presunto blocco dei rimpatri, al punto che i 49 egiziani arrivati ieri sono stati già stati fatti rientrare nel loro Paese con un volo partito da Catania. Immigrazione: De Corato (Pdl); presidiare Cie e Centri di accoglienza con l’esercito Il Velino, 17 febbraio 2011 “È necessario evitare fughe di massa, in particolare di pregiudicati e soggetti pericolosi, e la reiterazione di episodi come quello dei 118 tunisini fermati sul treno diretto a Milano. Serve pertanto un severo controllo attraverso i militari di tutti i Centri di identificazione ed espulsione e dei Centri di accoglienza sparsi in tutta Italia, soprattutto al Sud. Anche perché Milano è la naturale destinazione dei flussi di irregolari, vista l’attuale presenza di 50 mila clandestini, di cui un terzo africani”. Lo afferma il vice sindaco e assessore alla Sicurezza del Comune di Milano Riccardo De Corato. “Dei 5.300 tunisini circa sbarcati in pochi giorni - spiega De Corato - è presumibile che parecchi immigrati siano clandestini e pericolosi. Non va dimenticato che il 26 gennaio scorso il ministro della Giustizia tunisino aveva lanciato l’allarme su 11 mila detenuti fuggiti dalle carceri e 2.460 rilasciati in seguito alla rivolta avvenuta in quel Paese. Certo tra i migranti ci sono anche dei rifugiati, che vanno accolti. Ma è bene chiarire che lo status di asilo è una decisione che riguarda il singolo caso, da dimostrare, e non è collettiva. Dunque serve tempo ed è presumibile che anche nei centri di accoglienza ci siano personaggi che possano minare la sicurezza. Ecco perché è importante che vengano presidiati dai soldati. È facile intuire - sottolinea De Corato - che man mano che verranno avviati i necessari trasferimenti nei Cie dei clandestini tunisini, visto il sovraffollamento cronico di queste strutture, si possano generare episodi di tensione e rivolte, ben noti in via Corelli. Alla luce anche dello stato emergenziale e di forte instabilità politica nel Nord Africa rimane urgente avviare il potenziamento dei Cie. E torno a ribadire che un nuovo centro a Malpensa sarebbe un’ideale valvola di sfogo”. Immigrazione: sul progetto di un Cie a Venezia la Lega frena, la Caritas attacca Il Gazzettino, 17 febbraio 2011 Dopo avere inseguito per un’intera giornata il ministro dell’Interno Maroni, ieri i deputati Corrado Callegari e Gianluca Forcolin sono riusciti ad avere chiarimenti sul Centro di identificazione ed espulsione che lo stesso Maroni aveva annunciato. “Abbiamo avuto conferma dal ministro che quella di un Cie a Campalto è semplicemente un’ipotesi”, dicono i due parlamentari”, che ricordano come il Governo abbia pensato con il piano carceri preveda che i centri di espulsione debbano sorgere vicino ai nuovi penitenziari. “Ma visto che ancora non c’è nemmeno il carcere, è quantomeno prematuro pensare che la struttura possa essere realizzata a breve”. È pur vero però che la scheda del piano carceri relativa a Venezia prevede che i lavori vengano ultimati a fine 2012. Ciò spiega la celerità dell’iter che, il 27 dicembre, aveva portato alla scelta di Campalto da parte di Governo e Regione. Un sito che lo stesso sindaco Giorgio Orsoni il 17 dicembre aveva indicato in una lettera indirizzata a ministero, Regione, Provincia e Prefettura per dire che “tale intervento è individuato nell’area del Demanio militare sito in via Orlanda, località Campalto”. “In ogni caso - proseguono Callegari e Forcolin - quella del Cie è una iniziativa che deve essere gestita dall’amministrazione comunale, in accordo con la Regione e il Governo centrale”. Un’affermazione che però non trova riscontro nel dettato del piano che, all’articolo 17-ter, spiega che la scelta compete al commissario straordinario, “d’intesa con il presidente della Regione e sentiti i sindaci dei Comuni interessati”. Se dunque l’ipotesi di Campalto, per la Lega, è prematura, dal mondo cattolico arriva un netto “stop”. Il problema non è tanto la localizzazione, quanto la natura della struttura. Così la Caritas veneziana, del resto del Veneto e gli uffici Migrantes delle diocesi regionali si dicono contrarie alla costruzione di un nuovo Cie a Campalto. “Questi complessi - afferma monsignor Dino Pistolato - prevedono una dimensione e un trattamento di tipo carcerario con tutte le conseguenti restrizioni alle libertà personali. Essi non si presentano come luoghi adatti all’identificazione delle persone e cioè di vari soggetti provenienti da esperienze diverse: clandestini, stranieri irregolari, stranieri provenienti dalla criminalità organizzata o semplici persone in cerca di un lavoro. Esercitano una forma di coercizione eccessiva sulle persone”. La Caritas e gli uffici Migrantes riconoscono il diritto-dovere da parte delle istituzioni di capire chi è presente e si muove sul territorio nazionale, ma ritengono che i Cie contrastino con il principio di uguaglianza sancito dal terzo articolo della Costituzione. Caritas e uffici Migrantes del Veneto chiedono di aprire un tavolo di confronto tra i diversi soggetti, istituzionali, del privato sociale ed ecclesiali, per individuare delle alternative ai Cie. Intanto questa sera il Centro Santa Maria delle Grazie ospiterà alle 20.30 un dibattito con personalità politiche, sindacali, sacerdoti e del volontariato per contrastare il progetto. L’appello: no al Cie, né a Campalto né altrove Contro la costruzione del Cie a Venezia, annunciata dal Ministro Maroni lo scorso venerdì, è stato promosso un primo incontro pubblico che si svolgerà giovedì 17 febbraio alle ore 20.30 presso la sala del Centro culturale Santa Maria alle Grazie in via Poerio a Mestre “Venezia solidale, accogliente, cosmopolita: no al Cie, né a Campalto né altrove”. La decisione, comunicata dal ministro Maroni, di realizzare nel compendio destinato al nuovo carcere a Campalto una struttura di detenzione amministrativa per migranti è semplicemente inaccettabile. I cosiddetti “Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie)”, istituiti dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione come ulteriore involuzione dei Cpt, sono strutture crudeli e inefficaci. La natura stessa di queste centri risulta, infatti, in aperto contrasto con i diritti fondamentali della persona umana, riconosciuti da accordi e convenzioni internazionali e con gli stessi principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, in particolare gli articoli 3 e 13. La normativa che istituisce i Cie prevede la possibilità di rinchiudere, per via amministrativa fino a sei mesi e senza alcun intervento del magistrato competente, persone che non hanno commesso alcun delitto e la cui unica colpa è quella di non trovarsi in regola con le assurde norme sull’immigrazione definite dalla legge Bossi-Fini. Organizzazioni umanitarie e organismi dell’Unione Europea hanno negli ultimi anni denunciato, in innumerevoli occasioni, le invivibili condizioni igienico-sanitarie, la mancanza di una reale assistenza, le troppo numerose morti sospette che si sono registrate nei Centri detentivi per migranti gestiti dal Governo italiano. Le pesanti e illegittime sofferenze generate da queste strutture si sono tuttavia rivelate del tutto inutili nella gestione del fenomeno migratorio nel nostro Paese, con un numero irrisorio di espulsioni realmente effettuate, a fronte delle ingenti risorse pubbliche investite in un vero e proprio business della negazione dei diritti. La scelta del ministro Maroni appare, inoltre, per il suo carattere di imposizione autoritaria come un atto carico di violenza antidemocratica nei confronti della nostra Città e della sua tradizione cosmopolita, come un gesto di arroganza centralistica nei confronti della nostra comunità locale, da sempre attivamente impegnata nell’accoglienza del migrante e nella costruzione solidale di un futuro meticcio. Per queste ragioni, promuoviamo e invitiamo tutte le donne e gli uomini che, come noi, intendono in prima persona opporsi alla realizzazione del C.I.E. a Campalto come altrove, a partecipare ad un primo incontro pubblico che si svolgerà il prossimo giovedì 17 febbraio alle ore 20.30 presso la sala del Centro culturale Santa Maria alle Grazie in via Poerio a Mestre. Primi firmatari: Gianfranco Bettin, Beppe Caccia, don Nandino Capovilla, Teresa Dal Borgo, Barbara Del Mercato, don Gianni Fazzini, Leonardo Menegotto, Giorgio Molin, Davide Mozzato, Francesco Penzo, Mara Rumiz, Sandro Sabiucciu, Pino Sartori, Vittoria Scarpa, Alessandra Sciurba, Camilla Seibezzi, Michele Valentini, Franco Vianello Moro, Luca Trevisan Droghe: Gruppo Abele; riflessione su dipendenze e carcere, a 36 anni dalla legge 685 www.centrofrancescanodiascolto.it, 17 febbraio 2011 A 36 anni dalla 685, la prima legge sulla droga, il Gruppo Abele vuole avviare una riflessione sull’evoluzione della stessa e della situazione delle dipendenze. Il primo seminario, di una serie, ha per tema: “Dipendenze e carcere” e si terrà venerdì 18 febbraio presso la struttura Oasi di Cavoretto con la presenza di esperti e operatori istituzionali tra cui: Leopoldo Grosso, Joli Ghibaudi, Pietro Buffa, Alessio Scandurra e Livio Ferrari. Le ragioni di un percorso di riflessione A 36 anni dalla prima legge sul fenomeno delle dipendenze si coglie il bisogno di confrontarsi su quanto in questi anni è stato realizzato, con quale efficacia, valutando gli aspetti positivi e negativi di un progetto di contrasto alla droga sia sul piano dell’offerta che della domanda di sostanze psicoattive. Dalla fine degli anni 60 ad oggi il fenomeno è mutato profondamente e soprattutto si è articolato in molteplici espressioni. Dalla prima “epidemia” di eroina a scavalco tra i 60 ed i 70, al sopraggiungere dell’Aids negli anni 80, all’affacciarsi delle droghe prestazionali nei primi anni 90, fino all’attuale diffusione della cocaina e della prevalenza di modalità di consumo e di poliabuso. La politica dei quattro pilastri, che si è progressivamente imposta in Europa, ma ancora fatica negli altri continenti, si pone l’obiettivo di contenere e gestire il fenomeno, evitando le conseguenze più drammatiche e cercando di proteggere la popolazione, ed in particolare la gioventù, dai rischi di smarrimento e di chiusura in logiche autoreferenziali. Gli strumenti a disposizione sono sufficienti? È possibile pensare una politica di contrasto alla droga avulsa dalle altre politiche? Con che visione, nazionale ed internazionale, è pensabile l’attivazione di una strategia in grado di sottrarre alla produzione ed al consumo di sostanze psicoattive le determinanti economiche e culturali che l’alimentano? Gli obiettivi del percorso Riaffrontare in una prospettiva temporale la storia degli interventi dovrebbe consentire di coglierne meglio il senso e la logica che li ha animati. A distanza di tempo, tenendo conto dei differenti contesti sociali e culturali che, nei vari periodi trascorsi, hanno accompagnato molte vicende di abuso, e ne hanno condizionato in parte i significati, si tratta di capire, per le differenti fasi storiche, il rapporto tra i risultati attesi, i metodi utilizzati, e l’effettivo esito degli interventi prodotti. Anche i paradigmi concettuali utilizzati rispetto alla prevenzione, la cura e la riabilitazione hanno subito progressive ridefinizioni nel tempo, avvalendosi sia dei contributi degli studi epidemiologici che delle prime (e poche) osservazioni catamnestiche. Anche sotto questo profilo, si sente l’esigenza di pervenire ad una sintesi ordinata che fruisca dei diversi approcci epistemologici, in modo da consentire una efficace risposta di sistema pur nella diversità delle situazioni e dei contesti in cui si producono le varie espressione dei fenomeni di consumo, di abuso e dipendenza. L’obiettivo principale del percorso è la ricostruzione storica di quanto avvenuto, con la finalità di riappropriarsi del significato di un percorso ormai quarantennale e valutare con il necessario distacco le politiche, le strategie, gli interventi, ma soprattutto le logiche che le hanno permeate nell’evoluzione del fenomeno dei contesti socioculturali e delle risposte istituzionali. Tunisia: Governo concede libertà vigilata a 3mila detenuti, presto un’amnistia generale Ansa, 17 febbraio 2011 Il governo di transizione tunisino ha già accordato la libertà vigilata a oltre 3mila detenuti, permettendo inoltre ai condannati a morte di beneficiare dei medesimi diritti degli altri prigionieri: lo ha reso noto il Ministero della Giustizia di Tunisi, senza tuttavia precisare se il rilascio interessi detenuti politici o per reati comuni. Il Ministero ha inoltre annunciato che altri detenuti potranno beneficiare dall’amnistia generale che dovrebbe essere proclamata entro breve tempo con un apposito decreto legge. Secondo fonti delle Ong nelle carceri tunisine rimarrebbero ancora fra i 300 e i 500 prigionieri politici. Egitto: Amnesty International all’esercito; basta torture sui detenuti Ansa, 17 febbraio 2011 Amnesty International ha sollecitato le forze armate egiziane ad agire per porre fine alla tortura e ai maltrattamenti nei confronti dei detenuti. L’organizzazione per i diritti umani ha raccolto le testimonianze di persone arrestate dai militari, che hanno denunciato di essere state torturate con vari metodi tra cui le frustate e le scariche elettriche. “Le autorità militari egiziane si sono pubblicamente impegnate a creare un clima di libertà e democrazia dopo tanti anni di repressione di stato. Ora devono tradurre le parole in fatti immediati, intervenendo per porre fine alle torture che sappiamo essere praticate nei confronti di detenuti in loro custodia” - ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. “Le autorità devono immediatamente impartire chiare istruzioni a tutte le forze di sicurezza e ai soldati che la tortura e le violenze sui detenuti non saranno tollerate e che i responsabili saranno chiamati a rispondere del loro operato” - ha proseguito Smart. Il 12 febbraio il Consiglio supremo militare ha annunciato che l’Egitto avrebbe rispettato gli impegni assunti rispetto ai trattati internazionali. L’Egitto è stato parte della Convenzione Onu contro la tortura dal 1987.