Giustizia: ospedali psichiatrici giudiziari; presto linee guida e 10 mln euro per migliorarli Adnkronos, 15 febbraio 2011 Linee guida sugli ospedali psichiatrici giudiziari e 10 milioni di euro dedicati a queste strutture. È l’impegno assunto dai ministri della Salute Ferruccio Fazio e della Giustizia Angelino Alfano, al termine dell’ufficio di presidenza allargato voluto dal senatore Pd Ignazio Marino, presidente della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn. Nel corso dell’appuntamento a Palazzo Madama, è stato mostrato un video shock sulle condizioni in cui versano le 6 strutture finite nel mirino della Commissione capitanata da Marino. Negli Opg vivono circa “1.500 persone - spiega Marino - di cui 350 potrebbero tranquillamente lasciare le strutture. Stanno scontando un ergastolo bianco, sono detenuti anziché presi in cura”. “Il video desta emozioni - riconosce Fazio lasciando il Senato - d’altra parte che gli Opg fossero un problema è cosa nota, tant’è che c’è stata una legge nel 2008, forse troppo lenta nella realizzazione”, riconosce. “Credo che la cosa che desta più emozione e fa riflettere maggiormente - aggiunge - è la differenza di trattamento in Opg di diverse Regioni, ma anche all’interno della stessa, come ad esempio in Campania. Da questo punto di vista, come già fatto per altre iniziative come il tema dei punti parto, occorre un’iniziativa rapida”. Per questo, il ministro ha in mente delle “linee guida da sottoporre in Stato - Regioni, dove devono esserci requisiti minimi, ad esempio sugli spazi per metro quadro e altri criteri” che consentano di disegnare gli Opg della Penisola. Si tratta di “un’ipotesi concreta - assicura Fazio - e mi auguro possa accelerare l’iter già in corso della regionalizzazione dell’assistenza penitenziaria”. “Oltre ai finanziamenti di legge - aggiunge il ministro - il Governo ha dal 2009 previsto un fondo ad hoc nell’ambito degli obiettivi di piano, quindi fondi vincolati”. Risorse “presenti anche per il 2010. Il Governo c’è e intende continuare la propria azione”, assicura. Si tratta nello specifico di 10 milioni di euro, spiega Marino riportando l’impegno assunto dal ministro Alfano nel corso del confronto. Soldi destinati ad aiutare l’assistenza, in particolare di quel 30% di ricoverati che non devono scontare una pena ma sono assistiti per ragioni di “pericolo sociale”. “La notizia delle linee guida - sottolinea Marino al termine della proiezione del documentario - è importante, perché consentirebbe anche la chiusura di quei centri che non rispettano i requisiti previsti”. E che versano, stando ai blitz effettuati dalla stessa Commissione, in condizioni “degne di un lager. A luglio nell’Opg di Aversa - spiega Marino riportando uno dei tanti esempi disponibili - per rinfrescare le bottiglie d’acque gli internati le lasciavano scivolare negli scarichi dei bagni alla turca. È una situazione agghiacciante che deve essere fermata”. Giustizia: due detenuti suicidi e due morti per “cause naturali” in un solo giorno Ansa, 15 febbraio 2011 Due suicidi in un solo giorno - uno nel carcere laziale di Velletri e l’altro in quello calabrese di Castrovillari - fanno salire a nove il drammatico bilancio dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio del 2011. Senza contare - fanno notare in coro i sindacati penitenziari Sappe, Osapp e Uil - Pa - il centinaio di tentati suicidi sventati dagli agenti dei “baschi azzurri”. Ma la giornata nelle sovraffollate carceri italiane (circa 67.500 detenuti per 43mila posti regolamentari) è stata nera anche sul fronte dei decessi per cause naturali, con un morto per infarto a Chieti e un collaboratore di giustizia colto da malore mentre faceva attività fisica nel penitenziario di Sanremo. Il trend dei suicidi al momento resta in linea con quello del 2010, quando a togliersi la vita furono 66 detenuti. A deciderla di farla finita, oggi, è stato un 37enne romano, arrestato per ricettazione, in attesa di giudizio a Velletri: si è impiccato alle sbarre della cella con lenzuola annodate. Ha invece usato i lacci delle scarpe l’altro detenuto suicida, un romeno in carcere a Castrovillari. In entrambi i casi gli operatori del settore puntano il dito contro il sovraffollamento: nel penitenziario calabrese - fa notare il Sappe - i detenuti hanno raggiunto punte di 300, a fronte di una capienza di circa 150 posti, mentre un solo psicologo può prestare loro assistenza. A Velletri, invece, il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni denuncia uno sforamento della capienza regolamentare (208 detenuti) di altre 166 unità, seppure un nuovo padiglione da 200 posti sia pronto ma rimanga chiuso per gravi carenze di organico di polizia penitenziaria. Fallimentare, secondo i sindacati, la legge svuota-carceri in vigore dalla fine del 2010 per consentire ai condannati con una pena residua non superiore ad un anno di andare in detenzione domiciliare: sono meno di mille i detenuti che ad oggi sono andati ai domiciliari - sottolinea Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe - un numero molto esiguo se paragonato ai mille in più che ogni mese entrano nelle carceri. Anche Leo Beneduci, segretario dell’Osapp, rileva che nonostante gli effetti della svuota-carceri la capienza delle carceri ha sforato qualsiasi tetto consentito in molte regioni: si passa da un +7,5% dei detenuti oltre il limite tollerabile in Emilia Romagna, a un +8,6% in Lombardia e a un 9% in Calabria, per arrivare alla percentuale più alta del 14.6% in Puglia, mentre la nuova emergenza umanitaria della Tunisia rischia di devastare completamente l’assai scarsa funzionalità penitenziaria. Nonostante questo quadro desolante di sovraffollamento e morti in carcere, chi è preposto a gestire il sistema penitenziario italiano - conclude Eugenio Sarno della Uil-Pa - si contraddistingue per indifferenza, distanza e insensibilità. Giustizia: un altro detenuto suicida in cella? e che notizia è? di Liana Milella La Repubblica, 15 febbraio 2011 E chissenefrega dei suicidi in carcere. Sessantasei l’anno scorso, e mille tentati. Già nove quest’anno, di cui tre nello stesso giorno, lunedì 14 febbraio, giorno di San Valentino. Gianluca Corsi, 37 anni, impiccato con le lenzuola alle sbarre della sua cella a Velletri. Arrestato a luglio 2010, era in attesa di giudizio. Raffaele Busiello muore a Chieti. Ha “solo” 27 anni ma dicono che è stato un infarto. A Castrovillari crepa un romeno. Si è impiccato con dei lacci. Non se ne sa neppure il nome. E giù indietro, al 9 febbraio quando un altro romeno, Ciprian Florin Gheorghita, 25 anni, viene scoperto a Marassi con un sacco di plastica in testa. S’è ucciso col gas del fornelletto per cucinare. L’avevano arrestato perché aveva addosso alcuni grammi di hascisc e per resistenza. Il 21 gennaio, tre suicidi in un giorno. Muore a Prato Antonino Montalto, 22 anni. Muore a Caltagirone Salvatore Camelia di 39. Muore a Sulmona Mahmoud Tawfic, un egiziano di 66 anni. Ci fosse un commento politico di qualcuno per dire “faremo qualcosa”. Chi conta i grani di questo triste rosario è sempre la stessa gente, i garanti regionali dei detenuti, i sindacati della polizia penitenziaria, le associazioni che lavorano in carcere, i radicali, qualche magistrato che ha a cuore il destino della gente senza nome. Ma il governo dov’è? Sicilia: arriva Ionta, sospesa la protesta dei Sindacati di Polizia penitenziaria Agi, 15 febbraio 2011 Le segreterie regionali dei sindacati di polizia penitenziaria hanno deciso di sospendere la manifestazione di protesta indetta in Sicilia per venerdì, dopo che dal capo del Dap, Franco Ionta, è venuta la disponibilità a un incontro in occasione della sua visita in Sicilia prevista per il 2 marzo. “Credo - dice Armando Algozzino, segretario nazionale della Uil-Pa Penitenziari - che il capo del Dipartimento e il ministro Alfano siano a conoscenza del grave sovraffollamento e, di contro, dell’esiguo contingente di cui dispone il Corpo di polizia penitenziaria per garantire la sicurezza all’interno degli istituti”. I sindacati lamentano anche il taglio di fondi per le missioni e lo straordinario, l’inadeguatezza degli automezzi di servizio, la cattiva qualità delle mense. “In Sicilia - rileva ancora Algozzino - l’età media del personale è tra le più alte di Italia e la tipologia dei detenuti ristretti è molto diversa da quella di altre Regioni. Occorrono sinergie , impegni e soluzioni straordinarie per consentire al sistema penitenziario siciliano di reggere e sopravvivere. Perché è di questo che parliamo: di sopravvivenza nel mare dell’inefficienza alimentata dalla mancanza di personale e dalla penuria di investimenti e finanziamenti”. Sicilia: Cisl; carceri al collasso, con oltre 8mila detenuti stipati in 5.400 posti Adnkronos, 15 febbraio 2011 Le carceri siciliane scoppiano e sono al collasso. “A fronte di una capienza programmata per 5.470 posti - letto, i detenuti ospitati negli istituti penitenziari dell’Isola superano le 8.000 unità”. Per di più, “all’appello delle dotazioni organiche, mancano 550 persone: un vuoto scandaloso”. La denuncia è della Fns Cisl Sicilia, che rende noto lo stato di agitazione della categoria. Il 2 marzo dovrebbe tenersi un incontro tra sindacati e Franco Ionta, capodipartimento del ministero della Giustizia, in occasione di una visita in Sicilia dell’alto funzionario. Ma “se non sarà dato ascolto al malessere dei lavoratori - annunciano Giovanni Saccone e Domenico Ballotta, segretario generale e segretario aggiunto della Fns Cisl Sicilia - tutte le sigle sindacali organizzeranno lo sciopero nelle strutture carcerarie della regione”. Tanto più che nell’Isola sono solo 159 (693 su 68 mila in Italia) i detenuti che, al 31 gennaio, hanno beneficiato della cosiddetta “legge svuota-carceri” varata alla fine del 2010, scontando, così, agli arresti domiciliari, la pena. Ora “i nodi sono al pettine”, afferma la Fns Cisl. Anche perché, a causa della carenza di personale, maschile e soprattutto femminile, e per il sovraffollamento delle carceri, in Sicilia la polizia penitenziaria è costretta a turni che superano persino le dodici ore contro le sei dell’orario regolare. Ma al personale, protesta il sindacato, il lavoro straordinario non è pagato nè vengono saldate le missioni svolte. Sicilia: il Garante dei detenuti si costituisce parte civile nei processi per sospetti suicidi Adnkronos, 15 febbraio 2011 Il garant£e dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres, si costituisce parte civile nei procedimenti riguardanti i sospetti suicidi di alcuni reclusi. Fleres, con l’assistenza dell’Associazione nazionale Forense di Catania, con la quale è stato stipulato un protocollo d’intesa, ha chiesto di partecipare, quale parte offesa, alle attuali fasi giudiziarie riguardanti tali episodi. “Ho già presentato le istanze presso le Procure della Repubblica competenti - spiega - affinché, qualora si accerti che le cause dei decessi possano essere attribuite ad una lesione dei diritti dei reclusi, il mio Ufficio possa intraprendere le successive azioni nei confronti di chi potrebbe avere posto in essere comportamenti contrari alle norme in vigore”. “Le difficoltà di assistenza più volte segnalate nelle carceri siciliane e la endemica insufficienza nelle prestazioni sanitarie - spiega il garante - costituiscono il presupposto per le centinaia di casi di autolesionismo, per i suicidi e per talune morti ‘naturalì. Non è possibile, per evitare il continuo espandersi di tale situazione, che si confidi esclusivamente nella buona volontà e nel senso del dovere del personale penitenziario. Bisogna, invece, creare le condizioni strutturali ed organizzative - conclude - utili a consentire una detenzione rispettosa dei diritti di ciascun cittadino, al di là delle colpe che può aver commesso”. Campania: il Segretario Generale Sappe visita le strutture di pena Comunicato stampa, 15 febbraio 2011 “La Campania è la Regione d’Italia nella quale sono detenute complessivamente quasi 7.800 persone mentre la capienza regolamentare nei 17 penitenziari regionali non raggiunge i 5.800 posti. Questo pesante sovraffollamento fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. La mia presenza qui vuole essere testimonianza di vicinanza del Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai disagi dei colleghi della Campania”. Duro atto d’accusa sulla situazione delle carceri campane di Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria, che in questi giorni è in Campania in visita gli agenti di Polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Avellino e Napoli Poggioreale nonché alla Scuola di Formazione del Corpo di Aversa. “L’emergenza sovraffollamento in Campania ha raggiunto cifre allarmanti. Fino ad oggi la drammatica situazione è stata contenuta principalmente grazie al senso di responsabilità, allo spirito di sacrificio ed alla grande professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi e continueranno a pesare sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio negli Istituti di Pena della Campania per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia. Quanto si pensa possano resistere gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che sono costrette a trascurare le proprie famiglie per garantire turni massacranti con straordinari talvolta nemmeno pagati, salvando la vita ai detenuti che tentano ogni giorno di suicidarsi in carcere o che reagiscono con l’aggressività nei confronti dei Baschi Azzurri del Corpo al crescente sovraffollamento?” Sardegna: direttori delle carceri a confronto per favorire una rete di collaborazione Ansa, 15 febbraio 2011 “Lavorare per obiettivi. Il programma promosso dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria rappresenta una prima significativa occasione per ridisegnare la gestione degli Istituti della Sardegna. Un’opportunità particolarmente significativa in un momento di grave difficoltà come quello che stanno vivendo in questo momento detenuti, familiari, agenti di polizia penitenziaria, medici ed educatori”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla prima riunione operativa, voluta dal Provveditore Felice Bocchino e sostenuta con forza dal dott. Giampaolo Cassitta responsabile regionale dell’area Detenuti e Trattamento, che mercoledì mattina a Monastir vedrà riuniti i Direttori dei 12 Istituti Penitenziari e i relativi responsabili delle aree sanitaria, educativa, amministrativa e della sicurezza. “Questa nuova impostazione nella gestione delle carceri - sottolinea Caligaris - favorirà la costruzione di una rete di collaborazione della quale potranno giovarsi i detenuti e gli operatori. Saranno infatti delineate le linee programmatiche per il 2011 e definito il piano di intervento nei diversi ambiti. Si partirà comunque facendo tesoro delle esperienze positive in atto nei diversi Istituti. Verrà così promossa una attività di monitoraggio dei progetti d’istituto in corso evitando la dispersione di energie”. “Progettare per obiettivi comporta infatti - conclude la presidente di Sdr - una più razionale organizzazione del lavoro” Emilia Romagna: entro il 2011 la Regione avrà il Garante dei diritti dei detenuti Dire, 15 febbraio 2011 Il 2011 sarà l’anno dei Garanti per l’infanzia e per i detenuti. Lo assicura il presidente dell’Assemblea legislativa regionale, Matteo Richetti, che stamane ha preso parte alla presentazione della relazione dell’attività del difensore civico regionale, Daniele Lugli, nel 2011. Nel 2010, spiega Lugli nella relazione, sono state 26 le istanze relative a minori, a cui si devono aggiungere altri 8 casi relativi ad anni precedenti e chiusi in quello passato, e una dozzina di contatti telefonici che non hanno dato luogo a procedere. Tra questi, quattro casi erano relativi a genitori che lamentavano episodi di bullismo a scuola a danno dei loro figli. “Questi incontri - recita la relazione - hanno messo in luce la scarsità di riferimenti istituzionali sul territorio regionale per una presa in carico competente di queste situazioni”. Secondo Richetti l’azione di tutela dei cittadini portata avanti dal difensore civico va rafforzata con organismi ad hoc: “Il 2011 - promette - sarà l’anno dei Garanti per i detenuti e per l’infanzia”. Questo, insiste, “deve essere l’anno in cui si arriva a compimento”, dopo i progetti di legge presentati in materia in viale Aldo Moro. “In particolare il tema dei minori - conclude - merita un colpo di reni”. Castrovillari (Cs): s’impicca detenuto romeno di 48 anni, 9 suicidi in carcere da inizio anno Ristretti Orizzonti, 15 febbraio 2011 Da inizio anno salgono così a 9 i detenuti suicidi a 17 il totale delle morti in carcere. Nel carcere di Castrovillari nel mese di settembre 2009 due detenuti si suicidarono a distanza di pochi giorni, mentre i precedenti casi risalgono al 2003 (2 suicidi) e al 2002 (1 suicidio). Si chiamava Vasile Gavrilas, aveva 48 anni ed era in attesa di giudizio con l’accusa di “concorso in omicidio”: ieri mattina poco prima delle 10 si è impiccato alle sbarre con i lacci delle scarpe, nel carcere di Castrovillari, in provincia di Cosenza. Vasile era in carcere dallo scorso 25 ottobre, quando fu arrestato assieme ai fratelli Costel e Cristinel Habliuc, di 28 e 29 anni, anch’essi romeni, con l’accusa di avere ucciso il bracciante agricolo bulgaro Angelov Krasimir, di 33 anni. I fratelli Habliuc, durante l’udienza di convalida tenutasi nel carcere di Castrovillari, avevano risposto alle domande, fornendo la loro versione dei fatti e confermando l’avvenuto pestaggio scoppiato per delle “avances” fatte dalla vittima a una sedicenne romena, fidanzata di uno dei tre fermati. Vasile Gravilas, invece, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Il corpo senza vita di Angelov Krasimir, originario di Vidin (Bulgaria) e residente a Cassano Ionio (Cs), era stato rinvenuto da alcuni addetti alla vigilanza del villaggio turistico di Marina di Sibari sotto un eucalipto in un’area di parcheggio adiacente alla carreggiata e posta all’entrata del villaggio turistico. Sanremo: detenuto italiano di 53 anni muore d’infarto durante una partita di calcio Ristretti Orizzonti, 15 febbraio 2011 L’uomo è spirato dopo un sforzo eccessivo. In passato dal suo quadro clinico non aveva mostrato segni di altre crisi cardiache. Un detenuto di 53 anni è mancato oggi nel primissimo pomeriggio nel carcere di Valle Armea a Sanremo. L’uomo, che non aveva mai sofferto di problemi cardiaci è stato colto da un infarto. Il detenuto era intento come era sua abitudine a giocare ad una partitella di calcio con gli altri ospiti della casa circondariale, quando non ha retto lo sforzo eccessivo e si è accasciato al suolo. Sul posto il personale di sicurezza ha subito chiamato il 118, che è intervenuto con una squadra medica ed una di volontari della Croce Verde di Arma. A nulla sono valsi i tentativi di rianimazione. Chieti: oggi l’autopsia sul giovane detenuto morto ieri mattina in carcere Ansa, 15 febbraio 2011 Sarà l’autopsia, in programma per oggi, ad accertare le cause esatte del decesso di Raffaele Busiello, 27 anni, di Napoli, detenuto a Madonna del Freddo, morto domenica mattina per arresto cardiocircolatorio. Il giovane, nelle carceri teatine da quattro mesi per reati legati alla droga, aveva una serie di problemi fisici. Era in una delle celle che si trovano al piano superiore, una di quelle abbastanza grandi con altri sette o otto compagni. Busiello a quanto si è appreso aveva seri problemi di salute; sul caso è stata comunque aperta una inchiesta. L’episodio è stato reso noto dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere: si tratta del 15esimo decesso registrato quest’anno negli istituti penitenziari italiani. La casa circondariale di Chieti è piuttosto tranquillo, pur ospitando dai 130 ai 150 detenuti, numeri superiori alla capienza della struttura. Chieti: Petrilli (Pd); nelle carceri tale il degrado che un 27enne può morire d’infarto Ansa, 15 febbraio 2011 “Un altro detenuto è morto nelle carceri abruzzesi: Raffaele Busiello è deceduto la notte di domenica nel carcere di Chieti. Si presume sia stato un infarto, ma a ventisette anni morire d’infarto è un po’ un’anomalia, ma nelle carceri è possibile, dentro quei luoghi invivibili e medievali gli individui si lasciano andare dentro una sofferenza indicibile che può portare al suicidio o a morti premature per infarti e ictus”. A parlare è Giulio Petrilli, responsabile provinciale del Pd dell’Aquila del dipartimento diritti e garanzie. “In Abruzzo come in tutta Italia - aggiunge - le carceri sono non solo sovraffollate, ma senza assistenza sanitaria e si trovano in un degrado unico. L’emergenza carceri non viene assolutamente affrontata dal governo e anche la regione che pure ha delle competenze, per esempio nel campo sanitario è inadempiente. Inoltre l’Abruzzo, nonostante la complessità delle strutture carcerarie - osserva l’esponente del Pd - è una delle poche regioni che ancora non ha istituito il garante dei detenuti. Tutte le forze democratiche si mobilitino per ripristinare la legalità dentro le carceri e imponiamo alla Regione un intervento serio per rafforzare la sanità penitenziaria. Anche nelle carceri - conclude Petrilli - vivono esseri umani”. Sclocco (Pd): istituire garante detenuti “Il mondo penitenziario, in Abruzzo, andrebbe costantemente monitorato, magari attraverso l’istituzione della figura del Garante dei detenuti, che altre Regioni già hanno”. Questa la proposta della consigliera regionale del Partito democratico, Marinella Sclocco, dopo la morte di Raffaele Busiello, il ventisettenne detenuto nel carcere la notte di domenica presumibilmente a causa di un infarto. Per la Sclocco “il problema è anche socio - sanitario e nella nostra regione si sono già registrati casi di morti anomale. Troppo spesso i detenuti, non seguiti nel loro percorso di reinserimento nella società, cedono psicologicamente, si ammalano e muoiono per la totale assenza di personale specializzato che possa seguire costantemente la loro riabilitazione al fine del reinserimento nella società”. “Non si possono affidare casi delicati come quelli dei detenuti - spiega - a personale che opera in spazi ristretti, in condizioni davvero difficili e sotto costante stress. Personale che viene assunto a tempo determinato e che quindi ruota in continuazione, senza garantire così una continuità terapeutica tale da consentire il recupero psicologico dei detenuti”. “In Italia, per fortuna - conclude la Sclocco - non vige la pena di morte, i detenuti vanno seguiti, istruiti, riabilitati, curati. Solo così potranno reinserirsi nella società da uomini fisicamente e psicologicamente sani. Catania: detenuto morì dopo un intervento chirurgico, rinvio a giudizio per il medico La Sicilia, 15 febbraio 2011 Il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Catania, dott.ssa Francesca Cercone, all’esito dell’udienza celebrata il 10 febbraio scorso, ha disposto il rinvio a giudizio del dott. Alessandro Carbonaro, in qualità di medico di guardia dell’Utic (reparto di terapia intensiva dell’ospedale Ferrarotto di Catania) per omicidio colposo, avendo il medico una responsabilità per colpa dovuta a negligenza e consistita nell’omettere un tempestivo e costante monitoraggio del paziente, nella fase post operatoria. Il processo inizierà il prossimo 15 giugno presso la Terza Sezione del Tribunale di Catania, in composizione collegiale. I fatti si riferiscono al decesso del 57enne giarrese Vincenzo Chiappazzo Del Popolo, avvenuto il 6 ottobre del 2007. L’uomo che si trovava rinchiuso nel carcere di Bicocca, a Catania, in attesa di giudizio, ha accusato un improvviso malore. Nell’immediatezza dei fatti l’uomo veniva condotto d’urgenza dalla polizia penitenziaria presso l’Ospedale Ferrarotto di Catania per un sospetto infarto in corso. Giunto presso tale struttura, intorno alle 11, veniva prima stabilizzato e quindi sottoposto ad un intervento di angioplastica; attorno alle 18, Chiappazzo Del Popolo, è deceduto in seguito ad arresto cardiaco. Nella fattispecie cosi come documentato dalle risultanze medico legali il decesso del detenuto giarrese è avvenuto per “adinemia cardiaca progressiva derivata da shock emorragico per lesione iatrogena dell’aorta addominale”. Gli avvocati Salvo Sorbello e Giuseppe Trombetta, difensori di fiducia dei familiari del defunto costituitisi parte civile, si dichiarano mediamente soddisfatti per il provvedimento di rinvio a giudizio del dott. Carbonaro, “rappresentando il primo passo perché si faccia chiarezza su un caso di malasanità particolarmente grave”. Dall’autunno del 2009, quando ha avuto inizio la fase preliminare, con un provvedimento di imputazione coatta per il dott. Carbonaro, solo in questi giorni si è conosciuta la data in cui inizierà il processo. Roma: Nieri (Sel); a Rebibbia grave sovraffollamento e scarsa assistenza sanitaria Dire, 15 febbraio 2011 Questa mattina Luigi Nieri, capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio, Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, Giancarlo Torricelli, coordinatore Sel Area Metropolitana di Roma, si sono recati in visita alla Casa circondariale di Rebibbia nuovo complesso, per completare la visita dell’istituto iniziata la scorsa settimana. “Permane una condizione generale di preoccupante sovraffollamento. Sono circa 1.680 i detenuti per 1.180 posti letto - dichiara Gonnella - Le scarcerazioni avvenute grazie alla recente legge sulla detenzione domiciliare sono state pochissime, circa 40. Ciò significa che nel carcere di Rebibbia c’è ancora un tasso di sovraffollamento che rende durissime le condizioni di vita dei detenuti e degli operatori”. “Nel reparto riservato ai detenuti in attesa di giudizio si vive in condizioni inaccettabili, che violano palesemente gli standard europei. Le persone dispongono di meno di 3mq a testa - afferma Torricelli. È un trattamento inumano e degradante”. “In queste due visite abbiamo incontrato persone con problematiche di salute gravissime, che da mesi non ricevono un adeguato trattamento medico. Ricordiamo che la Regione e la Asl competente non hanno ancora nominato il responsabile del servizio sanitario. Si tratta di responsabilità regionali, è infatti pronta la nostra interrogazione a riguardo alla Presidente Polverini, le chiederemo di affrettare i tempi di risposta - dichiara Nieri. È a rischio la vita delle persone, non si può più esitare. Abbiamo rilevato un deciso aumento di persone che soffrono di patologie gravissime, c’è un detenuto con un tumore allo stomaco in fase terminale, molti detenuti con l’Hiv un altro che soffre di pancreatite. Queste persone vanno curate adeguatamente”. Cagliari: cappellano minacciati, appello dei detenuti perché non lasci il carcere Redattore Sociale, 15 febbraio 2011 Il cappellano del carcere di Buoncammino potrebbe abbandonare l’incarico perché bersaglio di telefonate minatorie. I detenuti lanciano un appello all’arcivescovo Giuseppe Mani per cercare di convincerlo a restare. “Padre Massimiliano deve abbandonarci”. Così un gruppo di detenuti di Buoncammino ha preso carta e penna, lanciando un appello per chiedere al cappellano del penitenziario cagliaritano di restare al suo posto. “Invitiamo padre Massimiliano Sira a restare al suo posto, a non abbandonarci. Abbiamo bisogno della sua presenza in questo carcere, non possiamo accettare che qualche disperato comprometta il lavoro del nostro cappellano”. La missiva è stata fatta filtrare dalle sbarre dall’associazione Socialismo diritti e riforme, che da anni lavora all’interno della casa circondariale più affollata dell’Isola, facendo sentire la voce di un gruppo di carcerati che sostiene l’operato del sacerdote. Il cappellano, si è saputo, sarebbe intenzionato ad abbandonare il suo incarico dopo una serie di minacce con sms e telefonate intimidatorie. “Per noi è un punto di riferimento insostituibile - proseguono i detenuti - Non possiamo accettare che qualche disperato comprometta il lavoro del nostro cappellano. Ci rivolgiamo quindi all'arcivescovo Mani affinché dissuada padre Massimiliano”. L’appello al capo della diocesi di Cagliari è dunque affinché intervenga sul sacerdote per convincerlo a restare. Ma non sarà facile. In queste ore, dietro le possenti mura del penitenziario, la tensione è molto alta perché in tanti sono legati a padre Massimiliano. “Le detenute, i detenuti e i volontari hanno manifestato preoccupazione, sconcerto, incredulità - dice Maria Grazia Caligaris, portavoce di Socialismo diritti e riforme - Dalle loro parole emerge la difficoltà ad accettare l'idea che il frate venga sostituito da un altro incaricato. Lo sconcerto accomuna tutti i lavoratori dell'Istituto”. C’è poi la questione del sovraffollamento che sta rapidamente superando la soglia di sicurezza. “La questione della sanità penitenziaria - prosegue - è ferma al palo per la mancata approvazione da parte del Consiglio dei ministri della norma statutaria per il passaggio alle Asl delle competenze. L'istituto sta vivendo un momento di difficoltà anche perché sono ormai improcrastinabili alcuni interventi di ristrutturazione per migliorare le condizioni di vivibilità ma non ci sono i fondi necessari per realizzarli e soprattutto non ci sono gli spazi per trasferire i detenuti durante i lavori”. Saluzzo (Cn): Sappe; ferito un agente intervenuto per sedare rissa tra 4 detenuti ubriachi Ansa, 15 febbraio 2011 Un agente di polizia penitenziaria è rimasto ferito ad un braccio durante un intervento per sedare una rissa tra detenuti scoppiata nel carcere di Saluzzo (Cuneo). L’agente ferito, l’assistente capo Davide Santoliquido, guarirà in 15 giorni. L’episodio è avvenuto domenica sera ed è stato reso noto oggi dal Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) secondo il quale ‘sono stati coinvolti 10 - 15 reclusi di varie etnie e un’intera sezione è stata in preda ai fumi dell’ alcol’. In una lettera al direttore del carcere, Giorgio Leggieri, il segretario del Sappe, Antonio Amodeo, ha sostenuto che è necessario sospendere immediatamente la somministrazione di bevande alcoliche come già in atto negli istituti della provincia, e informare la magistratura di Sorveglianza che per motivi di sicurezza deve essere vietata tassativamente. Leggieri ha riferito che la rissa ha riguardato quattro detenuti, ubriachi, e la situazione è tornata rapidamente sotto controllo grazie al tempestivo intervento degli agenti. Per quanto riguarda il divieto di bere vino, infine, ha affermato che verrà imposto come provvedimento disciplinare ai quattro detenuti protagonisti della rissa, ma non è prevista un’estensione generalizzata. Torino: detenute inventano un profumo, firmato da Laura Tonatto Agi, 15 febbraio 2011 Si chiamerà “Profumo di fumne” (termine piemontese per donne), la nuova fragranza firmata da Laura Tonatto, che sarà lanciata sul mercato in occasione della prossima Festa della Donna. Rispetto però agli altri profumi creati dal famoso “naso” torinese, che ha realizzato, tra l’altro, una collezione su misura per la Regina Elisabetta II, “Profumo di fumne”, nasce grazie ad una particolare collaborazione: quella di un gruppo di detenute della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino con Laura Tonatto. Collaborazione resa possibile grazie all’Associazione culturale “La casa di Pinocchio”, che dal 2008 opera all’interno del carcere torinese promuovendo un laboratorio creativo con circa 15 donne detenute, di età compresa tra i 25 ed i 55 anni, di nazionalità diverse. E “fumne”, appunto, è il logo delle produzioni del Laboratorio. “L’iniziativa - ha raccontato, oggi, la nota creatrice di fragranze - mi è stata proposta intorno a Natale con una semplice mail, a cui istintivamente ho detto di sì. Ho conosciuto in questo periodo persone molto in gamba, molto particolari che hanno deciso di dedicare la propria vita ad un modo che sa molto bene che cosa è il dolore”. Laura Tonatto ha così avviato con le donne del carcere torinese un laboratorio, con una parte teorica ed una pratica. “Lezioni in tutto simili a quelle che faccio da anni - ha spiegato ancora Laura Tonatto - e da domani ci dedicheremo a produrre questo profumo creato con componenti totalmente scelti da loro. Per fare questo lavoro - ha detto ancora - ho chiesto di non conoscere le storie di queste persone, so solo che sono in carcere per reati gravi e che devono scontare pene molto lunghe. Tutte tranne una, che è uscita e che oggi è qui con noi. Sono donne come noi, semplicemente meno fortunate di noi”. “Il Profumo di Fumne” sarà messo in vendita dal 4 marzo prossimo, dopo il debutto del giorno precedente a Palazzo Bertazzone, in alcuni importanti punti vendita del centro di Torino. Sanremo (Im): il Sappe invita i presentatori del Festival a visitare il carcere 9Colonne, 15 febbraio 2011 “Credo che sarebbe un bel segno di attenzione e vicinanza, proprio ora che l’attenzione mediatica italiana e internazionale si concentra nella Città dei Fiori, che Gianni Morandi, con Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis e le Iene Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu scendessero dal palco dell’Ariston per fare una visita al carcere di Sanremo Valle Armea”. È quanto propone Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Che aggiunge: “Il coinvolgimento di personalità del mondo dello spettacolo in visita al carcere aiuterebbe molto a far conoscere il mondo penitenziario all’esterno, alla società civile che spesso purtroppo lo considera ancora un corpo estraneo al tessuto cittadino”. Il Sappe sottolinea infine le criticità del penitenziario sanremese: “Mancano ben 85 agenti di Polizia Penitenziaria mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 370/380 i presenti (il 60% dei quali stranieri) a fronte di 209 posti letto”. Isili (Nu): se i libri spezzano le catene, una serata di lettura nella Casa di lavoro La Nuova Sardegna, 15 febbraio 2011 Vivono di libri nel quadrilatero verde fra Isili e Santa Sofia di Laconi, nella “Casa di reclusione” circondata da lecci e biancospini. Nel 1870, l’anno della Presa di Roma e dell’avvio della seconda rivoluzione industriale, l’avevano più umanamente battezzata “Casa di lavoro all’aperto”. Perché gli ospiti dovevano e devono governare un territorio di 650 ettari, badare a seicento pecore, duecento maiali, duecentocinquanta capre, quattrocento galline. E anche ottanta ettari seminata fra trifogli ed erbe da pascolo. Il fatturato è destinato a crescere con innovazioni produttive e gestionali prossime a venire. “I detenuti sono 194, di trentuno nazionalità diverse, il settantaquattro per cento è del Magreb, ci sono anche sudamericani e asiatici. È un piccolo mondo moderno”, dice il direttore Mario Porcu, 43 anni, di Isili, esperienze a Badu ‘e Carros e in altre carceri. “Scontano pene medie fra i tre e i cinque anni, il più delle volte per reati collegati agli stupefacenti”. Evasioni? “Zero o quasi. Negli anni ottanta si superava anche quota venti”. Condizioni di vita? “Si crea comunità, i detenuti - considerata la condizione - stanno bene. Hanno il vantaggio di lavorare all’aperto, senza l’incubo e la fobia di una cella. Dalla stalla o dai campi il dopolavoro è la biblioteca. L’ambiente più amato”. Lavorano otto ore al giorno. E poi? Leggono molto e di tutto. In italiano e in inglese. Anche in arabo. Una biblioteca piena di luce, cinquemila titoli. Se devono discutere di un libro col suo autore sanno di che parlare. Con passione e con profondità di analisi. Per chi è uso alle presentazioni di volumi - dalla “Sebastiano Satta” di Nuoro agli “Amici del libro” di Cagliari, dall’aula magna di Sassari alla biblioteca comunale di Carbonia, eccetera eccetera - qui assiste a un miracolo, a straordinarie lezioni di serietà e interesse per la lettura. Come se un medico o uno psicologo avessero prescritto la biblioterapia collettiva. Per essere più chiari. Salvo rare eccezioni, nelle biblioteche o nelle sale dove si cerca di promuovere un testo, dopo i relatori che illustrano un’opera, sentite dire: “Premetto che il libro io non l’ho letto, però devo dire che....”. Sì, è la regola. Poco gratificante. Non in questo carcere di Isili. C’è l’autore - scelto con metodo - e ha davanti un pubblico entusiasta di oltre cento persone. Sommerso da domande pertinenti. E se non ci fossero regolamenti e orari da rispettare si continuerebbe fino a tarda notte. Mercoledì scorso la riprova lampante. C’era da inaugurare una nuova sezione dei “Presìdi del libro” in Sardegna, la ventiduesima, prima in Italia dentro una casa di reclusione. Terreno fertile, questo. In sala manifesti con frasi di Virginia Woolf (“Immergetevi nel testo, acquistatene dimestichezza”), di un cardinale vissuto nel 1400 (“I libri sono pieni delle parole dei saggi”). E poi Fabrizio de André con coloratissimi quadri su Bocca di rosa e la corda d’oro di Geordie. Papiri con frasi del Corano, la Sura LXXXI “In nome di Allah il Signore dei mondi”. Due musicisti rendono più piacevole la serata: Alberto e Carlo Cadibbu, cagliaritani, autori del cd Fortun de Sarau, suonano la chitarra e percuotono la kalimba, strumento dell’Africa subsahariana. De André di Nuvole barocche, parole e musica della canzone dell’amore perduto. Risultati che arrivano da lontano. Negli anni scorsi - lo ha ricordato il direttore Porcu nelle brevi parole di presentazione dell’evento - è stata creata la “Maratona di lettura” e la rassegna “A ottobre piovono libri”. Aggiungendo: “Perché qui allo schermo della tivù si preferiscono le pagine di un romanzo o un testo di poesie”. C’è il lavoro della psicologa, Valeria Putzolu, responsabile dell’area educativa e che sa far capire quanto un libro tonifichi la mente. “Merito di tutti i collaboratori”, sottolinea Porcu. Aggiungeteci poi il valore aggiunto di due infaticabili sacerdotesse laiche dei “Presìdi”, Mattea Lissia ed Emilia Pulli, cagliaritane. Che dal 2005 - con gli stimoli del presidente dei Presìdi, Giorgio Todde, medico e scrittore di successo - hanno organizzato i Forum della lettura alla Manifattura Tabacchi di Cagliari, aperto la Scuola di scrittura presso il Dipartimento di salute mentale, hanno promosso e promuovono libri nei reparti di pediatria degli ospedali. È la loro mission. Ci rientra anche il carcere. Dove fanno parlare un autore che ha le stesse sensibilità dei detenuti. Per la “prima” a Isili c’è l’iraniano Hamid Ziarati, 45 anni, padre di due figli, da 21 anni a Torino dove fa l’ingegnere. Aveva scritto per Einaudi “Il meccanico delle cose”. Adesso sta promuovendo “Salam, maman”, Ciao mamma. “Un libro - osserva Mattea Lissia - con un itinerario umano e poetico, politico e sociale intenso, la storia di una famiglia persiana prima e dopo la Rivoluzione, gli occhi allegri di un bambino che cresce insieme alla storia che racconta”. “È il libro di un migrante - aggiunge Emilia Pulli - vicino alla maggior parte dei detenuti perché racconta temi vissuti sulla pelle: lo sradicamento dalla terra, dal proprio tessuto sociale e affettivo, la lontananza, la nostalgia, il germogliare di un’identità, l’essere sopraffatti da eventi storici violenti”. Un libro che si apre con “Imagine all the people” di John Lennon. Un guppetto canticchia “Living life in peace”. Ascoltano i detenuti, ascoltano le guardie col capo commissario Giuseppe Atzeni di Nurallao, laurea in Scienze giuridiche. C’è don Aldo Carcangiu, di Nureci, parroco della chiesetta di San Basilide, patrono degli agenti di custodia. Hamid Ziarati è sommerso di domande. Politica estera e storia delle religioni, la rivoluzione dei gelsomini in Tunisia e il despota Mubarak in Egitto, la guerra in Irak e le balle di Bush, il concetto di democrazia. Il matriarcato e le bombe nucleari. La storia atroce di Sakinè. “Nel Corano non c’è una sola frase che parla di lapidazione. Nel Corano ci sono versetti stupendi e altri terribili. L’interpretazione dipende dall’uomo che ha un cervello, è cellula di un corpo più grande”. Giorgio Todde ascolta soddisfatto. Tanta curiosità e chiede: “Perché hai dedicato il libro a tua madre?”. “Per far sapere a mia figlia chi era la nonna, morta di leucemia, analfabeta, ma che con mio padre ha fatto laureare tre figli. Mio padre viveva nel deserto e andava a caccia di serpenti”. Sei tornato in Iran? “Sì, per cinque mesi tra il ‘90 e il ‘91. Ma sono scappato. Potevo risultare disertore ed essere arrestato”. Ti manca il tuo Paese? “Siamo un miscuglio di dodici etnie. In Iran ho il cuore, in Italia il cervello”. Karim di domande ne fa cinque. E Hamid: “Sono musulmano sciita non praticante, anche l’ateo deve gareggiare nel fare del bene, spesso la fede è manipolata da pochi”. E la democrazia? “Bella domanda. È democrazia quella italiana con cinque persone che scelgono mille deputati e senatori. Dov’è la volontà del popolo?”. I personaggi del libro. Alessandro Magno e Ciro, Reza Pahlavi e Farha Diba. Si parla di affetti. Maryam e il primo bacio “che mi ha acceso il fuoco dentro”. I libri bruciati. “L’oscurità ha avvolto tutto l’Iran e dopo c’è stato, semplicemente, l’assordante silenzio”. Applausi, foto di gruppo con Hamid. Giorgio Todde si tiene dentro la gioia di una serata utile: “Diamoci un programma, facciamo vivere questo presidio”. Mattea è raggiante. Marina Meini è giunta da Lodè, lei si occupa della libreria di Mamone. C’è Sandro Ghiani bibliotecario di Isili. Tutti a fare i complimenti ai detenuti - lettori. Un brasiliano dice: “Potete venire ogni sera. Dopo il lavoro, leggiamo. Ci salvano i libri”. Libri: “Gli uomini ombra e altri racconti”, di Carmelo Musumeci www.pisanotizie.it, 15 febbraio 2011 Presso la Biblioteca comunale la presentazione organizzata da Zone del Silenzio e la Libreria Tra Le Righe. Ospiti Giovanni Russo Spena e l’avvocato Ezio Menzione. L’ergastolo ostativo come “pena di morte viva”, la detenzione come problema politico. Se la pena non finisce mai, a chi è utile la pena? La domanda che aleggia nell’aria appare semplice, di facile soluzione: “Se la pena ha come fine il reinserimento sociale del detenuto dopo un periodo detentivo finalizzato alla sua riabilitazione, come può essere definito l’ergastolo ostativo, per il quale il detenuto non rivedrà mai la luce del sole?” Nella serata di ieri (giovedì 10 febbraio) presso la biblioteca comunale di Pisa è stata ospitata la presentazione del libro di Carmelo Musumeci dal titolo “Gli uomini ombra e altri racconti”. Al tavolo degli interventi, coordinati da Adriano Ascoli di Zone del Silenzio, Giovanni Russo Spena ex parlamentare di Prc, e l’avvocato Ezio Menzione. È proprio quest’ultimo a formulare la domanda posta in apertura. Ma prima di tentare una risposta, un passo indietro. Chi è Carmelo Musumeci? È un detenuto siciliano di 54 anni che assieme ad altri 1.400 condannati all’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio (regolati dall’art. 4 bis della legge n. 354/75 norme dell’Ordinamento Penitenziario ndr), è costretto a vivere da più di vent’anni e ancora per tutta la sua esistenza dentro le patrie galere del nostro Paese, ristretto in circa 12 metri di cella. Il suo libro “Gli uomini ombra” (Il Segno dei Gabrielli editori, settembre 2010) è diventato un piccolo caso letterario, non solo per le condizioni di vita del suo autore. Sono racconti “social noir” (la definizione è dello stesso Musumeci) che parlano della vita dietro le sbarre, della morte spesso prima spirituale che fisica, della percezione della fine come unica condizione possibile. Un documento che riesce a essere autentico pur nella finzione narrativa. “Dal 1992, anno dell’inserimento dell’ergastolo ostativo, al 2010 - ricorda l’avvocato Menzione - c’è stato un aumento esponenziale dei condannati definitivi. Da 242 a 1.491, cioè il 5,29% della popolazione carceraria. Non è necessario scomodare Beccaria per capire come la deterrenza di una simile introduzione sia pressoché nulla”. “Certo, l’ergastolo - spiega Menzione - è un tema spinoso tanto dal punto di vista giuridico quanto per la coscienza di ognuno. Ma al di là delle interpretazioni, il problema è prima di tutto politico. È necessario cominciare a rivedere le pratiche relative allo svolgimento della pena, soprattutto nel caso di ergastolo perché lo Stato non cada in pericolose contraddizioni, come troppo spesso accade”. “Un modello punitivo come l’ergastolo ostativo - afferma Menzione - non può essere una risposta ai problemi detentivi del Paese, e questo lo denunciano i numeri che ho citato. D’altra parte, l’aspetto umanitario deve continuare ad avere una rilevanza politica: detenzioni come quelle raccontate da Musumeci sono assimilabili, per taluni aspetti, alla pena di morte, una pena di morte viva”. “Quello italiano è un caso di bulimia carceraria”, così spiega a sua volta Russo Spena. “La pena detentiva - ribadisce - quando diventa spersonalizzante, come nel caso dell’ergastolo ostativo, smarrisce ogni ragion d’essere, a meno che non si ammetta che essa è una forma di tortura legalizzata”. Il racconto della vita di un ergastolano, secondo Russo Spena, mette in luce le profonde contraddizioni insite nell’idea stessa di “carcere assoluto”: “Il mancato reinserimento sociale, l’interruzione di un dialogo produttivo con il mondo fuori dal carcere, l’impossibilità di assolvere bisogni che vadano oltre la soglia minima delle mere esigenze fisiche”. “Si deve risalire dal baratro dell’ergastolo ostativo come soluzione - propone Russo Spena. “Al contrario, lo stato deve imboccare la via della depenalizzazione, rinunciare all’idea del ‘grande internamentò, a quel modello carcerario mutuato dal mondo statunitense. Bisogna superare la mentalità del carcere come prima e ultima forma di detenzione. La cosa più brutta per un ergastolano è l’avvicendarsi dei giorni, e questo è umanamente inaccettabile”. Perché la risposta alla domanda in apertura sta proprio in questa contraddizione. E, alla fine, a una domanda è forse lecito rispondere con un’altra domanda: “Se la pena non finisce mai, a chi è utile la pena?”. Carmelo Musumeci nasce il 27 luglio 1955 ad Aci Sant’Antonio in provincia di Catania. Condannato all’ergastolo senza benefici, si trova nel carcere di Spoleto. Entrato con licenza elementare, mentre è all’Asinara in regime di 41 bis riprende gli studi e da autodidatta termina le scuole superiori. Nel 2005 si laurea in giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”. Attualmente è iscritto all’Università di Perugia al Corso di Laurea specialistica, ha terminato gli esami e attualmente sta preparando la Tesi con il Prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale. Nel 2007 conosce don Oreste Benzi e da tre anni condivide il progetto “Oltre le sbarre”, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII. Autore di molti racconti e del romanzo “Zanna Blu” di prossima pubblicazione presso Gabrielli editori, è promotore della Campagna “Mai Dire Mai” per l’abolizione della pena senza fine. Collabora con diverse testate e blog su internet come: urladalsilenzio.wordpress.com; www.linkontro.info (collegata all’associazione Antigone), tiene un diario su www.informacarcere.it Libri: “Liberi reclusi. Storie di minori detenuti”, di Carlo Silvano Il Gazzettino, 15 febbraio 2011 Paggiarino, direttore dell’Istituto penale dei minori di Treviso presenta stasera alle 20.30, alla libreria Zanetti di Montebelluna, il libro “Liberi reclusi. Storie di minori detenuti” di Carlo Silvano (edizioni del noce 2011). Paggiarino ha curato e firmato la prefazione. Silvano ha scritto il volume per far conoscere le storie di minori detenuti e riflettere sugli stili di vita e comportamentali dei giovani di oggi. Nel libro riporta i colloqui che ha avuto con gli adolescenti rinchiusi nell’Istituto penale per i minorenni del Triveneto e le interviste e le riflessioni di alcuni specialisti che operano fuori e dentro la struttura. Silvano sostiene che se per un certo periodo di tempo contenere in un istituto un giovane che non ha regole, o che le ha comunque infrante, può rivelarsi fondamentale per la sua crescita, non è il ragazzo detenuto “il male” della nostra società, ma ne rappresenta piuttosto la sconfitta. Nel corso della serata prenderà la parola anche Daniele Corbetta (direttore del Ceis di Treviso), che si soffermerà sull’uso e sull’abuso di droghe da parte dei minori. Immigrazione: il Governatore del Veneto; su Cie in provincia di Venezia nulla di deciso Ansa, 15 febbraio 2011 Non c’è ancora “nulla di deciso” per quanto riguarda il Centro di identificazione ed espulsione che dovrebbe sorgere in provincia di Venezia a fianco della nuova struttura carceraria. Lo ha sottolineato il presidente del Veneto, Luca Zaia a margine di una conferenza stampa a Venezia tornando sulla polemica si è sollevata dopo l’annuncio del ministro dell’Interno, Roberto Maroni nel corso della sua visita di venerdì scorso. “Il ministro Maroni ha avuto il merito di avere posto una questione nuova a livello nazionale - ha spiegato Zaia - di dire che a fianco alle nuove carceri che si andranno a realizzare, ci potrebbe essere anche l’opzione di pensare a delle strutture ai Cie. Questa è la proposta da analizzare, a livello veneto - ha precisato il governatore leghista - non abbiamo ancora identificato neanche l’area per il nuovo carcere, il sindaco Orsoni è stato interpellato dalla Regione e avrà una ventina di giorni per identificare la sede per il nuovo carcere. Di Cie se ne parlerà in futuro - ha concluso - ad oggi non c’è assolutamente nulla di deciso”. Immigrazione: il Comune di Venezia boccia la scelta di Maroni sulla costruzione del Cie Ansa, 15 febbraio 2011 Il consiglio comunale di Venezia a larghissima maggioranza ha bocciato questa sera la scelta di realizzare un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) a Campalto (Venezia), come ipotizzato dal ministro degli Interni, Roberto Maroni. La mozione, presentata da Beppe Caccia (Lista in Comune) e dal capogruppo del Pd Claudio Borghello, è stata firmata da 28 dei 29 consiglieri presenti. Si è astenuta la Lega Nord, ha firmato invece il Pdl. La mozione sottolinea l’indisponibilità - ha spiegato Caccia - ora e nel futuro di realizzare un Cie nel comune di Venezia e impegna il sindaco a valersi di ogni procedimento amministrativo e giuridizionale per mantenere tale scelta. Nel testo, ha osservato Caccia, non solo si contesta la scelta di Campalto, nell’area destinata alla realizzazione di un nuovo carcere, ma in generale i tipi di strutture come il Cie. Si ricorda inoltre - ha concluso - che Venezia è anticamente una città solidale e di accoglienza e per tanto non può mai accostarsi a scelte come quella del Cie. Immigrazione: storia di Wahid, evaso dal carcere in rivolta in Tunisia e sbarcato in Italia Corriere della Sera, 15 febbraio 2011 Un 42enne tunisino: “Ho visto morire almeno venti detenuti. Io sono stato ferito da tre pallottole alla gamba sinistra ma sono riuscito ad evadere”. E aggiunge: “Se mi fanno tornare mi uccido, voglio andare dalla mia famiglia in Belgio”. “Sono scappato dal carcere durante la rivolta, la Polizia ha bruciato tutto e le guardie penitenziarie si sono messe a sparare all’impazzata. Ho visto morire almeno venti detenuti. Io sono stato ferito da tre pallottole alla gamba sinistra. Ma sono riuscito ad evadere insieme a tanti altri detenuti e dopo alcuni giorni sono scappato dalla Tunisia e sono arrivato a Lampedusa”. Wahid, 42 anni, tunisino, porta ancora i segni della sparatoria. Alza il pantalone, un jeans all’ultima moda, e mostra i fori delle pallottole. “Vedi? Mi fa ancora tanto male. Ma io sono vivo e tante persone sono invece morte. Pum pum. Tutti ammazzati. Siamo scappati in più di 1.400 dal carcere che ora non esiste più. È stato bruciato ed è imploso”. Wahid è uno degli oltre 4.500 immigrati arrivati a Lampedusa dalla Tunisia. Scarpe Nike, cappellino di lana e maglioncino bianco, è seduto al bar di Lampedusa con un suo connazionale. Ha un solo desiderio: lasciare al più presto Lampedusa “per raggiungere il Belgio”. “Devo andare da mia moglie e da mio figlio che ha undici anni”. Parla l’italiano, Wahid, anche se con qualche strafalcione. “Per forza - dice sorridendo - mia moglie è italiana, di Palermo. Una bellissima donna”. E chiede alla giornalista se gli può prestare “per un minuto” il telefono cellulare. “Per favore, solo un attimo, posso fare sapere che sto bene? Io sono una brava persona”. Una storia complicata alla spalle, ma tanta voglia di vivere , soprattutto, di rifarsi una vita. Lontano dalla Tunisia. “Tu non puoi capire - dice mentre gli occhi si incupiscono - quanto sia bello ricevere una parola gentile, mi fa sentire un uomo libero. In Tunisia è bruttissimo. Non si poteva più vivere lì. Voglio una vita normale, ma in Tunisia non te lo permettono. Lì finisci in carcere per niente, non sei libero di fare o di dire niente”. Wahid ha vissuto per anni nei pressi di Bruxelles, e per dimostrarlo, fa vedere la tessera sanitaria della Sanità belga. “Lo vedi? Io non dico bugie. Sono sincero”. Da giovane Wahid era finito in carcere in Tunisia per furto. “Ho fatto dodici anni di carcere e dopo ho lasciato la Tunisia e sono arrivato in Belgio. Qui mi sono rifatto una vita. Mi sono sposato, ho avuto un figlio, lì ci sono i miei parenti. Insomma, la mia vita”. Poi, nel 2010 cambia tutto. Wahid torna in Tunisia “per una breve vacanza”, ma non riesce più a tornare in Belgio. Sette mesi fa viene coinvolto in una rissa in una discoteca a Tunisi. “Volevo difendere una ragazza e ho fatto a botte”, si schermisce. Ed ecco che finisce nuovamente in galera. “Mi hanno condannato a 8 mesi di carcere per una piccola rissa, mi restava ancora da scontare un mese. La galera tunisina è un inferno. Ti tengono tutto il giorno con le catene ai piedi, in una cella ci sono 100 persone e in un letto dormono in tre. C’è gente che dorme anche sul pavimento e altri sotto il letto”. Due settimane fa i disordini in Tunisia. “Non potete neppure immaginare quello che è accaduto nel mio paese. Era una vera e propria guerra. Poliziotti ed esercito sparavano all’impazzata. Hanno ucciso tante, tantissime persone. In tv si è visto solo una parte di quello che è realmente accaduto”, racconta. Durante la rivolta viene preso di mira anche il carcere di una piccola città della Tunisia. “Per favore non scrivere il nome la città - implora Wa hid - altrimenti mi riconoscono e poi rischio grosso…”. Secondo il suo racconto, la struttura carceraria sarebbe stata incendiata e le fiamme hanno raso al suolo il carcere. “È stata la Polizia a bruciare il carcere e le guardie carcerarie hanno iniziato a sparare come i matti - dice con un filo di voce - ho visto morire tanti detenuti, io sono stato ferito alla gamba ma per fortuna sono riuscito a scappare”. Wahid riesce ad evadere dal carcere e a nascondersi per alcuni giorni “da amici”. Poi contatta alcuni degli organizzatori dei viaggi ‘della speranzà e raggiunge un piccolo porto della Tunisia da dove è partito su un barcone con altri quaranta tunisini. Quando gli chiedi se anche lui ha pagato duemila dinari, come hanno detto in tanti, nega con decisione. “Assolutamente no! Non ho pagato neppure un dinaro”. E spiega che “ai detenuti evasi dalle carceri nei giorni dei disordini viene data una mano, quindi io non ho dovuto pagare nulla a differenza di tanti altri tunisini”. Il viaggio in mare è durato due giorni. “È stata una traversata bruttissima - dice - con mare agitato e poi eravamo tanti su quel barcone”. Ieri l’arrivo a Lampedusa. Ma Wahid non vuole mettere piede nel Centro d’accoglienza. “Non ci penso proprio - dice agitandosi - non voglio restare chiuso lì. Io resto fuori, appena avrò la possibilità andrò via da Lampedusa. Chiederò asilo politico. Io sono un rifugiato politico. Voglio tornare al più presto in Belgio, dalla mia famiglia”. Poi, guardandosi alza le braccia e dice: “Che schifo, sono due giorni che non mi lavo. Vorrei tanto farmi una doccia”. In tasca aveva cinquanta euro, ma li ha già finiti. Per il cibo, le sigarette. E adesso? “Non lo so, so soltanto che voglio tornare al più presto dalla mia famiglia. Se torno in Tunisia mi uccido…”. Poi guarda implorante e dice: “Mi compri qualcosa da mangiare, per favore?”. Haiti: l’Ong “Aumohd” offre assistenza legate gratuita per i detenuti “vulnerabili” Redattore Sociale, 15 febbraio 2011 Sono 350 le persone arrestate in quartieri poveri e senza mezzi per pagare un avvocato, strappate dall’inferno del più grande penitenziario di Haiti nel 2010 grazie al programma Aldev dell’Ong Aumohd. “Il sovraffollamento delle carceri è impressionante. Nel penitenziario nazionale della capitale haitiana Port-au-Prince, pensato per ospitare 800 detenuti, vi sono stipati oltre 4mila persone compresse come animali. Alle condizioni igieniche a dir poco degradanti, si aggiungono promiscuità e cibo scadente; l’ottobre scorso è arrivato il colera. Da questo inferno, dopo il sisma dal gennaio al giugno 2010, di 400 detenuti vulnerabili, arrestati in quartieri poveri ed impossibilitati a pagare un avvocato, siamo riusciti a strapparne via 350. Persone innocenti o ex detenuti che avevano già scontato la loro pena, arrestati indiscriminatamente dalla polizia locale dopo il crollo dell’istituto di pena seguito alla scossa tellurica, che scatenò una vera e propria caccia all’uomo per catturare i numerosi evasi, portando a clamorosi errori giudiziari”. Evel Fanfan, presidente di Aumohd - Action des Unitès Motivèes pour une Haïti de Droit, organizzazione di legali che si occupa della difesa dei diritti umani e civili della popolazione, ha raccontato nel corso del dibattito “Roma incontra Haiti a un anno dal terremoto”, svoltosi nei giorni scorsi presso “Officine Fotografiche”, una delle tante battaglie che la sua Ong porta avanti da dopo il sisma del 12 gennaio 2010. Creata nel 2002, attiva in Centri di detenzione, prigioni, commissariati e sotto commissariati, l’organizzazione haitiana grazie ad un team di avvocati fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti vulnerabili, attraverso un programma chiamato Aldev. Dal 2002 al 2010 su 2mila persone assistite legalmente, il 40% è stato liberato, per un totale di 800 persone. “Abbiamo lavorato molto per la libertà di chi era stato incarcerato ingiustamente, focalizzandoci sul rilascio da parte delle stazioni di polizia di veri e propri certificati indispensabili per dimostrare che l’ex detenuto aveva già scontato la propria pena, evitando così che, se incontrato di nuovo per la strada, potesse essere riportato dentro per il solo fatto di essere considerato un soggetto potenzialmente pericoloso”. Iran: 1.500 manifestanti anti-governativi arrestati, familiari in protesta davanti al carcere Aki, 15 febbraio 2011 Sono circa 1.500 le persone arrestate nel corso della manifestazione antigovernativa svoltasi ieri a Teheran. Lo riferisce il sito di opposizione Iran Press News, spiegando che le autorità giudiziarie hanno diffuso una lista con i nomi di tutte le persone finite in manette e in parte già trasferite nel famigerato carcere di Evin. Stando al sito, i familiari degli arrestati da ieri sera protestano di fronte alle stazioni di polizia della capitale per chiedere la scarcerazione dei loro cari e si registrerebbero anche alcuni scontri. Familiari prigionieri politici manifestano davanti carcere Evin I familiari di alcuni prigionieri politici iraniani hanno manifestato oggi pomeriggio di fronte al carcere di Evin, a Teheran, chiedendone la liberazione. Lo riferisce il sito d’informazione attivo nell’ambito dei diritti umani Herana, spiegando che un centinaio di iraniani hanno protestato di fronte al carcere, lanciando slogan contro il governo e chiedendo la scarcerazione dei detenuti politici. Stando al sito, i manifestanti hanno intonato slogan contro il presidente Mahmoud Ahmadinejad. Usa: giro di vite contro uso cellulari nelle carceri, sistema anti-Gps per bloccare segnale Ansa, 15 febbraio 2011 La California vuole bloccare l’utilizzo di cellulari nei suoi penitenziari. Eludendo i controlli, migliaia di detenuti continuano a mantenersi in contatto col mondo esterno: chi per organizzare rapine ed estorsioni, chi semplicemente per ricevere notizie da amici e parenti. Per capire la gravità del problema basta questa cifra: l’anno scorso le autorità’ dello Stato hanno sequestrato nelle carceri più’ di 11.000 cellulari. Altre al rafforzare i controlli, i legislatori californiani propongono altre strade. Per esempio, quella già’ seguita dal Mississippi: installare un sistema che interferisce con il segnale Gps, bloccando di fatto le comunicazione dei cellulari. Il sistema costa 1 milione di dollari a prigione. Per l’indebitatissima California, che dispone di 33 prigioni, sarebbe una spesa notevole. Potrebbero adottare questo sistema anche Maryland, South Carolina e Texas. Anche il serial killer Charles Manson, condannato per l’omicidio di sette persone, e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza della California, è stato scoperto mentre chiamava e mandava messaggi in tutto il Nord America con un telefono cellulare.