Giustizia: carceri abbandonate e dimenticate… Totò Cuffaro, pensaci tu! di Valentina Ascione Gli Altri, 11 febbraio 2011 A volte bisogna passarci. Toccare con mano o sbatterci la testa. Viverlo sulla propria pelle, forse, per capire davvero come si sta in un carcere. Come si sta dalla parte dei detenuti, in cella, venti o ventidue ore al giorno. In tanti non si erano mai posti il problema, prima. Mai avevano spinto la propria immaginazione fino ai cancelli di un penitenziario e oltre. Ma anche a coloro che si considerano intoccabili, a chi se ne ritiene immune, la vita riserva sorprese. Ex manager di grandi aziende, politici, imprenditori. Chi, ha avuto l’occasione di far visita ai cosiddetti “detenuti eccellenti” li descrive come attoniti, sconcertati dalla realtà che li circonda. “Mai avrei creduto che il carcere fosse così”, confessano una volta costretti nei limiti di una quotidianità scarna, che nulla ha a che vedere con la loro precedente esistenza. Certo, dai benefit, dal lusso e i privilegi all’ora d’aria il passo è più che lungo. È una caduta, che cattura l’attenzione della stampa e desta curiosità. Come tutto ciò che soddisfa quel senso, spesso strisciante, di nemesi sociale che è cosa ben diversa dalla giustizia. Accade quindi che poche decine di detenuti noti, privati dei propri “vizi”, facciano più notizia di migliaia e migliaia di reclusi comuni. Tossicodipendenti e immigrati. Malati e psicologicamente instabili. Detenuti ignoti che sui giornali ci finiscono solo - ma non sempre - quando suicidi o protagonisti di tragedie. Che la tragedia son costretti a simularla, a volte. Come il 45enne napoletano che qualche giorno fa ha finto di impiccarsi nel carcere teramano di Castrogno, per attirare l’attenzione su di sé e la sua condizione. Mentre della detenzione di Salvatore Cuffaro, si conosce tutto o quasi. Dell’immagine della Madonna di Santa Rosalia ad esempio; del vangelo secondo Matteo e degli altri libri che ha portato con sé nel carcere di Rebibbia. Tuttavia non gioverebbe a nessuno immaginare una sorta di competizione tra detenuti celebri e sconosciuti. I primi potrebbero invece fare qualcosa di utile. rendere un servizio ai loro compagni senza blasone. L’ex presidente della Regione Sicilia - che ha fatto sapere di voler conseguire in carcere una seconda laurea in Giurisprudenza e di aver già avanzato richiesta per svolgere un’attività lavorativa all’interno dell’istituto - potrebbe infatti farsi promotore di iniziative di sensibilizzazione sullo stato di illegalità nel quale versano le carceri italiane. Affinché diritti quali lo studio e il lavoro siano accessibili a tutti. A lui come al suo compagno di cella, detenuto ignoto. Giustizia: Vendola (Sel); 70mila detenuti in condizioni drammatiche, questo vero scandalo Il Velino, 11 febbraio 2011 “Lo scandalo non sono i processi a Berlusconi ma 70 mila detenuti in condizioni drammatiche”. È il commento rilasciato alla trasmissione Annozero dal governatore della Regione Puglia e leader di Sinistra, ecologia e libertà Nichi Vendola. Giustizia: Cgil; la “svuota-carceri” è fallita, disattese anche aspettative su assunzioni agenti Dire, 11 febbraio 2011 “La legge 199/2010, la cosiddetta svuota-carceri, presentata al Paese dal ministro Angelino Alfano per mitigare le criticità del sistema penitenziario, si è tradotta, come sostenuto in tempi non sospetti dalla Fp Cgil, in una fuoriuscita molto limitata di detenuti dalle strutture detentive, circa 1.000 a dispetto degli 8/9.000 più volte annunciati. Un risultato magro, che si aggiunge alla beffa delle mancate 2.000 assunzioni, più volte promesse ai poliziotti penitenziari, già oggi ridimensionate e ridotte a non più di 1.610 e sulla cui copertura finanziaria continuiamo ad avanzare dubbi molto seri”. È quanto si legge in una nota della Cgil. “Oggi - continua la Cgil - siamo sempre più vicini alla terrificante soglia psicologica dei 70.000 detenuti, e nel frattempo nessun provvedimento incisivo è stato assunto sul fronte del personale e dei provvedimenti legislativi per migliorare la vita e il lavoro in carcere, a partire dal famoso piano carcere e dai tre pilastri su cui questo avrebbe dovuto poggiare. Fin qui, tutte le soluzioni indicate e proposte dal ministro Alfano si sono tradotte in un nulla di fatto. Un vero fallimento”. Per concludere, la Cgil evidenzia che “se il ministro vuole davvero sgombrare il campo da ogni dubbio, lo faccia cominciando a garantire che i contenuti della legge 199/2010 siano quanto prima osservati e coerentemente praticati. Poi, convochi i sindacati e apra un dibattito serio su come affrontare realmente l’emergenza, metta da parte i toni trionfalistici e la propaganda e si rimbocchi le maniche insieme a noi per risolvere i problemi, senza semplificazioni e senza promettere miracoli”. Giustizia: progetto “Sicomoro”; vittime di reato e detenuti si incontrano Redattore Sociale, 11 febbraio 2011 Questo l’obiettivo del progetto “Sicomoro”, promosso dall’associazione Prison Fellowship Italia. Marcella Reni: “Abbiamo coinvolto 7 detenuti del carcere di Opera e altrettante vittime di gravi reati. Riproporremo questo modello a Rieti, Napoli e Palermo” Far incontrare vittime di reato e detenuti che hanno commesso gravi reati, gruppi di persone che dialogano e si confrontano all’interno del carcere per capire la vita, le azioni e le motivazioni degli uni e degli altri. Questo l’obiettivo del progetto di giustizia riparativa “Sicomoro”, promosso nel nostro Paese dall’associazione Prison Fellowship Italia che, per nove settimane, ha permesso a sette detenuti del carcere milanese di Opera di confrontarsi con altrettante vittime: padri e madri cui è stato ucciso un figlio, donne che hanno perso un marito o un fratello. I risultati del progetto verranno presentati domani, sabato 12 febbraio, durante una conferenza stampa presso il teatro del carcere di Opera. “Il progetto permette di avviare un percorso di riumanizzazione per i detenuti a dà alle vittime la possibilità di raggiungere una pacificazione interiore - spiega Marcella Reni, di Prison fellowship Italia - . Ma il percorso non è affatto semplice”. Nel corso degli incontri, infatti, non sono mancati casi in cui le vittime “hanno lanciano il loro dolore in faccia ai detenuti - racconta Marcella Reni - . Ma questi hanno reagito con una grande presa di coscienza, con la voglia di risarcire, in qualche modo, il male provocato”. Il progetto verrà riproposto a breve nei penitenziari di Rieti e Napoli, dove sono già stati selezionati i gruppi di detenuti e familiari che si incontreranno. Mentre a Palermo si sta avviando il percorso di formazione per i volontari. “In tutta Italia abbiamo formato più di cento volontari - conclude Marcella Reni. Un percorso cui può accedere chiunque voglia portare un po’ di speranza nel mondo del carcere”. Lettere: morire in carcere, morire di carcere di Gemma Brandi (Psichiatra) Lettera alla Redazione, 11 febbraio 2011 Il carattere del tutto occasionale della epidemiologia penitenziaria, che più volte ho denunciato nell’ultimo decennio, anche per il tramite di note inviate a codesta redazione, emerge con lapalissiana evidenza nel fatto che qualcuno possa decidere se, ad esempio, l’ultima morte di un recluso nella casa circondariale di Marassi sia o no una morte per auto soppressione, perché questo il suicidio è. Esistono poi suicidi dismetrici, che forse ignora chi pensa a un decesso per sballo, come se le morti per overdose di cittadini liberi non fossero considerati suicidi! Potremmo serenamente affermare - al di là del ricorso al sacchetto di plastica, notorio moltiplicatore dello sballo - che, se anche l’obiettivo di ottenere un effetto stupefacente fosse il solo scopo di tale pratica, detto fine è alla base delle morti violente così avvenute nelle carceri italiane, tutte o quasi riguardanti soggetti tenacemente tossicodipendenti. Queste persone non intendevano morire, anche se l’abuso è per antonomasia una scelta di vita autolesiva, e dunque si tratta di suicidi preterintenzionali, nondimeno di suicidi. Suicidi certo facilitati dalla possibilità di accedere a strumenti esiziali, a disposizione di chi va in carcere, così come fuori le morti per overdose sono largamente facilitate, tra l’altro, da partite di droga tagliata male. Abbandoniamo dunque tergiversazioni insostenibili - questo è suicidio, questo non è suicidio - e affrettiamoci a sposare pratiche urgenti di prevenzione, come la eliminazione dei fornelli a gas nelle carceri italiane, con la istituzione di aree in sezione per la cottura di cibi con fornelli elettrici, un modo peraltro per favorire una socializzazione interna. E non nascondiamoci dietro costi energetici impraticabili, continuando ad alimentare i riscaldamenti interni con il ‘buon’ vecchio gasolio, contribuendo all’inquinamento pubblico di città già soffocate.. Pensiamo piuttosto che carceri indiane e ora il nuovo carcere femminile di Hong Kong, come da queste pagine insegnate, sono in grado di produrre energia per alimentare i propri consumi e per venderne alla città libera. Pensiamo a questo come a un progetto a breve, sostenuto dagli enti che finanziano i privati, e avremo carceri più fresche d’estate, più calde d’inverno, con acqua calda sempre disponibile anche in cella e con fornelli elettrici fruibili senza rischio. Rinunciamo invece al mito strumentale della “tazzulella ‘e cafè”. La popolazione penitenziaria è cambiata dai tempi che rendevano permissivamente romantica tale posizione e frattanto il commercio interno, anche di bombolette di gas (non ne aveva addirittura due il giovane deceduto a Marassi, che per le sue condizioni non ne avrebbe dovuta avere neppure una?), è semmai aumentato. Lettere: Dap; falsa la notizia del “baciamano” al boss, agenti Secondigliano professionali Comunicato stampa, 11 febbraio 2011 Il capo del Dap Franco Ionta ha dichiarato l’assoluta infondatezza della notizia riportata nell’articolo pubblicato dal Mattino di Napoli il 28 gennaio scorso, in merito ai presunti onori tributati nel carcere di Secondigliano al detenuto Zagaria jr da parte di alcuni detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria. Il capo del Dap ribadisce la fiducia e l’apprezzamento per il personale di Polizia Penitenziaria in servizio al carcere di Secondigliano che ha agito, anche in quella circostanza, con professionalità e rispetto della deontologia e respinge le illazione lesive dell’immagine e della professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria riportate nell’articolo. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rende noto che la notizia riportata su “Il Mattino” di Napoli il 28 gennaio scorso nell’articolo “Zagaria jr in carcere, baciamano al boss” è destituita di ogni fondamento. L’articolo, a firma di Rosaria Capacchione riferiva di presunti onori, tributati nel carcere di Secondigliano al detenuto Zagaria jr da parte di alcuni detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria. La mattina del 27 gennaio il detenuto è stato accompagnato in carcere, sotto scorta di agenti della Polizia di Stato, le operazioni di accettazione sono state svolte dall’ufficio matricola quando il detenuto era ancora sotto scorta, nell’auto della Polizia di Stato, di seguito è stato preso in consegna dalla Polizia Penitenziaria che lo ha condotto nella camera detentiva, senza che nulla di anomalo si sia verificato. Gli agenti della Polizia di Stato che hanno condotto in carcere il detenuto, come da prassi, non hanno ovviamente avuto accesso alla parte detentiva dell’istituto. Nell’articolo citato veniva invece riferito che essi avrebbero assistito al tributo di onori resi al detenuto. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha chiesto chiarimenti in merito alla Squadra Mobile di Napoli che ha confermato che il comportamento del personale di Polizia Penitenziaria è stato corretto e professionale e che non è stata rilevata alcuna anomalia sul piano deontologico. Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Ufficio Stampa e Relazioni Esterne Sardegna: Caligaris (Sdr); urgente nomina provveditore alle carceri, manca da sei mesi Ansa, 11 febbraio 2011 “La nomina del Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria è diventata improcrastinabile. Da sei mesi, infatti, il Dap della Sardegna, registra l’assenza di un titolare esclusivo per l’isola”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti riforme, che riferisce di un diffuso malcontento tra gli operatori per l’assenza di risposte ai pressanti problemi nella gestione delle carceri. “Il ministro - spiega Caligaris - ha assegnato temporaneamente la responsabilità della Sardegna al Provveditore del Triveneto, Felice Bocchino, ma è evidente che una realtà complessa come quella dell’isola con 12 Istituti penitenziari e uno per minori necessita di un responsabile a pieno regime. È tempo quindi di definire gli incarichi altrimenti il disagio nelle carceri sarde è destinato a moltiplicarsi. È assurdo pensare di assegnare un incarico “temporaneo” a scavalco per un ruolo di particolare rilievo nella gestione di un settore delicato che peraltro sta attraversando un periodo eccezionalmente difficile e complesso. Si tratta di una grave debolezza che si aggiunge ai doppi e tripli incarichi assegnati, a varie riprese, anche ai direttori degli istituti penitenziari”. “I problemi dei detenuti, reclusi in istituti per la maggior parte ottocenteschi, sono accentuati dall’inadeguato numero di agenti di Polizia penitenziaria, come nel caso di Buoncammino dove - ricorda la presidente di Sdr - mancano all’appello oltre 60 unità. Senza dimenticare che non è ancora avvenuto il passaggio della sanità penitenziaria dallo Stato alla Regione in quanto il Consiglio dei ministri non ha ancora preso in esame la norma statutaria elaborata dalla Commissione Paritetica approvata dal Consiglio regionale della Sardegna. Questo blocco totale a livello ministeriale - conclude Caligaris - sta esasperando gli animi e gettando nello sconforto l’intero sistema penitenziario isolano”. Savona: sul carcere interrogazione di Rita Bernardini (Radicali) al ministro Alfano Savona News, 11 febbraio 2011 Una struttura “vecchia, umida, male illuminata e fatiscente”, con 80 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 38 posti e con gli agenti di polizia penitenziaria sotto organico di almeno il 30 per cento. È solo parte della descrizione che Rita Bernardini, deputata radicale e membro della Commissione Giustizia di Montecitorio, ha affidato ad una interrogazione destinata al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al quale viene chiesto di intervenire per porre rimedio alla situazione di disagio in cui versano i detenuti. “Chiedo in che modo il Ministro intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento che si aggiungono a quelli, drammatici, di fatiscenza dell’edificio, delle celle e dei luoghi destinati alla socialità, di insalubrità di tutti gli ambienti della totale mancanza di applicazione delle più elementari norme igienico - sanitarie - si legge nell’interrogazione - in che modo intenda ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un’estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un attività, peraltro poco qualificante, all’interno dell’istituto; in che tempi verrà ripristinato l’organico degli agenti di polizia penitenziaria la cui carenza si ripercuote sulle attività trattamentali dei detenuti oltre che a creare enorme stress sul personale penitenziario che non può seguire normali turni di lavoro, di riposi settimanali e di ferie; quando verrà abbattuto il muretto divisorio nella sala colloqui e allestita un’area verde per gli incontri dei detenuti con i loro figli minori; cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti e, urgentemente, per far sì che venga assicurato un presidio sanitario h 24, oltre che la messa in sicurezza degli ambienti, a partire dalle celle e da tutti gli altri ambienti frequentati da detenuti, agenti e personale tutto; in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l’inesistenza di un regolamento interno all’istituto”. Palermo: polizia penitenziaria, il 28 febbraio protesta con manifestazione La Sicilia, 11 febbraio 2011 Il personale di polizia penitenziaria di Caltanissetta e San Cataldo aderisce all’azione di protesta promossa in campo regionale dai sindacati delle sigle Sappe, Osapp, Cisl Fns, Uilpa Pen, Ugl P.P., Cgil F.P., Fsa - Cnpp e Sinappe che hanno proclamato lo stato di agitazione della categoria “per rimarcare e denunciare la grave situazione” nella quale operano i lavoratori delle strutture carcerarie. Ha pure assicurato che una delegazione parteciperà alla manifestazione regionale che si terrà a Palermo il 28 febbraio. “Più volte - hanno sottolineato i sindacati - abbiamo invitato il Governo e l’Amministrazione centrale ad adoperarsi per affrontare la difficile situazione del personale di polizia penitenziaria, ma il grido di allarme in questi lunghi anni è rimasto purtroppo inascoltato”. In particolare i sindacati lamentano la carenza degli organici quantificata di circa il 50 per cento, la mancanza di fondi che non consente di pagare il lavoro straordinario e il saldo delle missioni espletate, la costrizione “ad eseguire le traduzioni sempre e continuamente sotto scorta con orari di servizio che non osiamo nemmeno definire e con grave nocumento della sicurezza collettiva e della propria incolumità”. Sostengono anche che “l’esiguo personale presente negli istituti e servizi della giustizia minorile, oltre a fare venire meno la sicurezza, rende difficile realizzare le attività sociali e pedagogiche vanificando di fatto l’azione di recupero sociale che possa restituire alla società giovani recuperati dal crimine”. Pesaro: tradotto al Tribunale di Ferrara per il processo… ma è l’imputato sbagliato Ansa, 11 febbraio 2011 È un banalissimo processo per droga che rischia di entrare nel Guinnes dei primati come processo più pazzo dell’anno, perché i giudici stavano per processare l’imputato sbagliato. Tutta colpa di una omonimia tra due detenuti: stesso nome (Radouane Houdini), stessa data e luogo di nascita di nascita (Tunisia 1980), stesso domicilio (Ravenna). Ieri mattina, però, quando l’avvocato Gianluca Filippone si è trovato davanti il proprio assistito accusato di spaccio di cocaina ad una minorenne, lo ha guardato in faccia e gli ha detto: “Ma tu non sei quello che ho difeso mesi fa”. E lui gli ha risposto: “Io non so nemmeno chi lei sia”. E dire che il Radouane Houdini che ieri mattina, per sbaglio, era in tribunale a Ferrara, era stato trasferito dal carcere di Pesaro, e ritorno: una spesa non indifferente, se si pensa al furgone cellulare e agli agenti di scorta. Quando l’avvocato Filipone e la collega Denise Mondin hanno fatto presente lo scambio di imputato, il tribunale non ha potuto che accertarne la veridicità. Hanno urgentemente chiamato il carcere di Pesaro, si sono fatti inviare impronte digitali, foto segnaletiche e verbali di identificazione e li hanno messi a confronto con quelli del Radouane Houdhini che si trovava in carcere a Ferrara mesi fa ed ora libero. Morale, l’imputato era sbagliato. Il processo al vero Radouane si farà il 19 maggio, mentre quello sbagliato, dopo la gita forzata a Ferrara, è tornato in carcere a Pesaro. Livorno: detenuto tunisino in carcere aggredisce due poliziotte della scientifica Il Tirreno, 11 febbraio 2011 Due poliziotte aggredite alle Sughere da un detenuto tunisino. È successo martedì mattina all’interno dell’istituto detentivo. Le due agenti della polizia scientifica si recano in carcere per svolgere un lavoro per conto della autorità giudiziaria. La guardia di finanza ha richiesto il foto segnalamento di un detenuto nordafricano che è alle Sughere per reati legati alla droga. Così la squadra della scientifica, dopo aver ottenuto l’autorizzazione del pm, va in carcere per eseguire il lavoro: foto e impronte digitali. Solo che il detenuto, 40 anni, reagisce decisamente male. Appena vede le due donne, come appurato dalla polizia, il tunisino comincia ad agitarsi e a dare segni di insofferenza. Gli agenti della penitenziaria cercano di tranquillizzare il quarantenne e di spingerlo a collaborare. Ma lui non ne vuole sapere. E più passa il tempo e più la sua rabbia cresce finché afferra una sedia e cerca di scagliarla contro le due donne. Ma per fortuna viene bloccato in tempo. Le poliziotte, da parte loro, provano a mettergli l’inchiostro sulle dita per prendere le impronte, ma il tunisino è sempre più infiammato. Il momento clou viene raggiunto quando il quarantenne si scaglia scontro le due: ad una storce il polso, all’altra mette le mani intorno al collo. A stento la penitenziaria riesce a placarlo. Le due agenti vanno in pronto soccorso, dove i medici riscontrano a entrambe lesioni per almeno sette giorni. Il tunisino viene invece denunciato per resistenza, violenza e lesioni verso pubblico ufficiale. La conclusione è che la polizia scientifica non ha potuto portare a termine il lavoro. Libri: “L’Islam in carcere”; intervista all’autore Mohammed Khalid Rhazzali di Davide Pelanda Ristretti Orizzonti, 11 febbraio 2011 Al 31 gennaio 2009, secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i detenuti musulmani presenti nelle carceri italiane erano 9.006 contro gli 8.382 degli appartenenti ad altra religione e sul totale di 21.891 detenuti stranieri. Le carceri dunque sono piene di detenuti islamici. Su questo argomento abbiamo sentito Mohammed Khalid Rhazzali, dottore di ricerca in Sociologia dei processi comunicativi e interculturali presso l’Università di Padova nonché professore a contratto di Sociologia dei diritti umani presso la stessa università e docteur de recherche en Sociologie presso l’Ecole de Hautes Etudes en Science Sociale di Parigi. Rhazzali ha appena concluso una ricerca diventata un libro (Franco Angeli editore) dal significativo titolo “L’Islam in carcere”. Quali sono le problematiche generali che sentono di più i musulmani nel carcere? È proprio solo la religione, la preghiera, la moschea oppure il permesso di soggiorno, il procurarsi il cibo o trovare lavoro quando usciranno da quella struttura? “Bisogna distinguere. Ci sono i musulmani italiani, incluse anche le seconde generazioni che non si trovano ad avere i problemi legati al permesso di soggiorno. Poi c’è l’islam migrante che deve fare in conti con le dinamiche migratorie, le leggi e la condizione giuridica in cui si trovano. I musulmani, da questo punto di vista, hanno gli stessi problemi di un altro straniero: l’espulsione o la clandestinità dopo la conclusione della pena. Altra cosa è invece l’istituto penitenziario, che ha una sfida da affrontare legata al futuro della società italiana e quindi anche alla pluralità culturale e religiosa presente in tutte le sfere pubbliche di questa società. Quindi non bisogna lasciare da soli gli istituti di pena a gestire la complessità da un punto di vista discrezionale. Questa sfida è un tema di grande attualità sempre all’ordine del giorno dove le istituzioni hanno sempre bisogno di modelli operativi e di una legislazione chiara. Faccio l’esempio del dare o meno da mangiare la carne halal (dove cioè l’animale è stato macellato secondo le norme della legge islamica): la carne halal non viene data o viene data a seconda delle diete ed a seconda delle risorse che si hanno all’interno della singola struttura penitenziaria. È ovvio che gli istituti sono interessati in linea di principio a queste tematiche perché sono interessati a mantenere l’ordine dentro il carcere e non. Ma questi dibattiti devono essere svolti altrove, non ci può essere una negoziazione a livello locale, anche se in realtà ogni carcere rispetta le leggi e i regolamenti e tutti risultano essere in linea con i principi costituzionali. Ci sono delle buonissime pratiche nelle carceri ma il problema è: la politica cosa sta facendo per i problemi del carcere? Non si può demandare tutto alla sensibilità o meno del singolo direttore. Diciamo che non c’è chiarezza e non ci sono modelli operativi. Dal punto di vista del rispetto della religione nel carcere la maggior parte dei musulmani praticanti dicono che ci sono delle buone pratiche e c’è il rispetto, anche da parte delle guardie”. Non tutte le carceri accettano l’imam all’interno della struttura, alcuni direttori hanno difficoltà a vedere quale, dal punto di vista formale e giuridico, dei tanti imam delle tante correnti islamiche dovrebbero fare entrare. Lei ha notato questa prima difficoltà? “C’è un vuoto regolamentare, che però non è un vero vuoto perché il principio dell’assistenza religiosa e spirituale c’è e vale per tutti. Il problema va rinviato al rapporto tra tutte le comunità islamiche e l’amministrazione pubblica: per dirla in breve, sono vent’anni che i musulmani aspettano l’intesa tra lo Stato e le organizzazioni islamiche d’Italia. Anche se da una parte c’è una certa maturità, dall’altra parte tutto viene lasciato alle sensibilità dei singoli attori che operano in un territorio nazionale caratterizzato ormai da una certa differenziazione del welfare, dei diritti sociali, che però potrebbe risultare alla lunga rischiosa. Dunque se siamo ad esempio in Emilia Romagna, in Piemonte o anche in alcune parti della mia Regione, il Veneto, può darsi che si verifichino spontaneamente e in coerenza con certe tradizioni welfaristiche locali sensibilità e collaborazioni tra gli istituti penitenziari e il territorio circostante al di là dei formalismi” Dipende allora da direttore e direttore? “Esattamente, e dipende anche dalla collaborazione dei musulmani che sono in quella determinata struttura carceraria. Dipende anche dall’esistenza di un’associazione islamica o moschea in prossimità del carcere o nella città più vicina. Dipende dalla risorsa umana e materiale che tale associazione ha a disposizione da destinare al tema carcere. Trattandosi comunque di associazioni no profit, di volontari: bisogna vedere dunque se hanno le forze per occuparsi anche dei detenuti. Dipende dalla rete di relazioni che hanno sviluppato con le istituzioni e le associazioni laiche e religiose che lavorano all’interno del carcere”. In carcere c’è il cappellano cattolico che opera nella piena ufficialità. Come viene visto dal musulmano? “Dipende dalla sensibilità del singolo cappellano. Però in linea generale il cappellano è ritenuto come uno degli operatori del carcere e quindi come una risorsa ulteriore anche per i musulmani. La cappella per alcuni (pochi), è un luogo di preghiera interconfessionale. Altri potrebbero meno sinceri e la frequentano per avere in cambio qualche aiuto”. Trova che anche nel carcere sia cambiato l’atteggiamento che c’era prima dell’undici settembre 2001 (cioè dell’attentato alle Torri Gemelle a New York) e quello di adesso? “A questo proposito mi sono fatto raccontare dagli operatori carcerari: ebbene tutti quanti sono consapevoli che è successo qualche cosa dopo quella data, qualche cosa che ha cancellato anni di dialogo, ad esempio, interreligioso tra cristiani e musulmani, è come se si fossero azzerati tutti i rapporti positivi che c’erano tra istituti penitenziari e associazioni islamiche. I linguaggi sono cambiati rispetto a prima e non c’erano le categorie del post - undici settembre 2001 che hanno influenzato negativamente qualsiasi politica che miri a valorizzare il dato religioso musulmano. Era quindi più facile che i musulmani e gli altri si confrontassero sull’opportunità dell’assistenza spirituale o religiosa in carcere, vista anche in tutta la sua efficacia riabilitativa. Ho interpellato anche degli imam circa la loro attività nelle carceri. È emersa però una figura di imam specifica del contesto europeo che si configura su di versi campi del sociale. L’assistenza religiosa, anche in altre istituzioni (ospedale, caserme,..), e altre funzioni tipiche del sociale (mediazione istituzionale e di prossimità) risultano essere sempre di più campi in cui l’imam si trova coinvolto, ma non si potrebbero collocare in qualche tradizione teologica islamica. Tuttavia, e il caso ce lo dimostra, la tradizione teologica islamica si trova in coerenza con i propri principi che le permettono, mediante il concetto di al - Ijtihad al - ’Aqli (lo sforzo intellettuale), di rivedere in continuazione il suo rapporto con il presente e il futuro. Da questo punto di vista l’islam è molto flessibile ed è capace di “inventarsi” degli istituti legati ai tempi ed ai territori in quei i fedeli si trovano”. Che siano musulmani o meno, può essere che i detenuti siano depressi e che magari possano esserci dei suicidi. C’è una richiesta verso l’esterno di aiuto e di ricerca di spiritualità per, in qualche modo, redimersi e riscattarsi? “Sì, il tema dei suicidi ha dimostrato che tale fenomeno non risparmia nessuno. Gli ultimi dati presentano uno scenario in cui si muore interculturamente di carcere: ricorrono al suicidio musulmani e cristiani, tunisini e romeni, nigeriani e italiani. Vi è già un’ampia letteratura che insiste su un intreccio di fattori (sovraffollamento, maltrattamento) esterni e la correlazione tra questi e l’aumento del tasso di suicidio. In questa prospettiva, risulta arduo parlare per ragioni legate alla nostra storia politica laica di spiritualità o di religione come soluzione o strumento che possa attenuare tale fenomeno. Questa in parte è stata la mia premessa nel mio studio, cioè rimettere in discussione la rilevanza o irrilevanza del religioso nel contesto carcerario e nella contemporaneità in generale. I carcerati esprimono con forza questo bisogno (religioso) e se questo per alcuni può risultare regredivo, ciò va analizzato e preso sul serio. Immigrazione: è “emergenza sbarchi”; Maroni convoca Comitato ordine e sicurezza Adnkronos, 11 febbraio 2011 Da ieri mattina 1.114 migranti, partiti apparentemente dalla Tunisia, sono sbarcati a Lampedusa, e il governo italiano ha chiesto all’Unione europea di affrontare al più presto la nuova emergenza immigrazione dai paesi del Nord Africa investiti da crisi politiche. A fronte dell’ondata di sbarchi di immigrati provenienti dal Nord Africa, in particolare dalla Tunisia, le forze dell’ordine italiane hanno elevato l’attenzione nei controlli sulle identità dei clandestini. Nei giorni scorsi lo stesso ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aveva sottolineato il “rischio che gli ultimi sbarchi sulle coste italiane in questi giorni abbiamo portato molti evasi dalle carceri, e che vi possano essere degli infiltrati di Al Qaeda del Maghreb”, evidenziando anche la difficoltà di attuare procedure di rimpatrio verso alcune nazioni dell’area in quanto “ora tutti si dichiarano rifugiati politici e chiedono asilo”. Analisi che Maroni ha ribadito oggi, affermando: “Temevo questa emergenza dopo la crisi della Tunisia. Lì è crollato lo Stato, sono venute meno le istituzioni e lo stesso sta avvenendo in Egitto. A Lampedusa si stanno moltiplicando gli sbarchi in particolare dalla Tunisia si sta determinando una fuga di massa. L’attenzione è massima e l’abbiamo alzata”. Maroni ha affermato anche: “c’è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria”, posto che “in fuga da quei paesi stanno arrivando centinaia di persone sulle coste italiane. Stiamo mettendo in campo tutte le iniziative per fronteggiare questa crisi umanitaria”. Maroni ha quindi annunciato la convocazione per giovedì prossimo del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza “cui ho invitato anche il ministro degli Esteri, per decidere le misure più idonee, gli ho chiesto naturalmente il coinvolgimento della Comunità europea, perché gli strumenti necessari per porre rimedio a questa situazione non possono essere messi in campo solo dall’Italia”. Proprio per fare pressing sulla Ue oggi Maroni ha inviato una lettera alla Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea, per far inserire tra gli argomenti all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Giustizia Affari Interni appunto il tema della crisi nei paesi del Nord Africa e i riflessi sull’immigrazione e sulla sicurezza interna in Europa. Sullo stesso fronte il ministro degli Esteri, Franco Frattini, afferma che oltre mille immigrati sbarcati in tre giorni a Lampedusa rappresentano “un allarme vero e noi l’avevamo previsto. È per questo - ha aggiunto - che già la settimana prossima sarà in Italia il nuovo ministro degli Esteri della Tunisia”. Il ministro tunisino arriverà, ha spiegato Frattini, “proprio per riconfermare gli accordi di collaborazione”. “C’è una vera e propria emergenza migratoria - ha ribadito il titolare della Farnesina - e noi non possiamo immaginare che l’Italia sia come sempre il luogo dove tutti arrivano e tutti restano. Con la Tunisia avevamo una eccellente collaborazione, la dobbiamo confermare. La confermeremo con il ministro che verrà da me nei primi giorni della settimana”, ha concluso Frattini. Frattini ha poi nuovamente parlato di un piano Marshall contro gli sbarchi. La proposta significa, ha spiegato “avere un po’ più di visione a medio termine, vuole dire non limitarsi all’emergenza. Pensare - ha proseguito - che questi paesi, Tunisia, Algeria, Egitto, ma anche altri, richiedono una strategia in cui l’Europa metta a disposizione fondi assai più sostanziosi per lo sviluppo economico, per i giovani, per gli studenti, per le università“. In altre parole, ha ribadito il ministro, serve “un piano Marshall per evitare che la disperazione innesti flussi di immigrazione. Questo - ha concluso - è il pericolo”. La meta privilegiata del flusso di clandestini è tornata ad essere l’isola di Lampedusa, con oltre 800 arrivi tra ieri e l’alba di oggi, quando ne sono arrivati 181, anche in questo caso in gran parte apparentemente provenienti dalla Tunisia. Altri due barconi con a bordo 100 clandestini ciascuno sono stati segnalati nel primo pomeriggio, e ancora altre due imbarcazioni con a bordo complessivamente 95 extracomunitari, per un totale di 295 immigrati che entro questa sera arriveranno al porto di Lampedusa. “Stiamo monitorando la situazione attenatamente”, affermano dalla prefettura di Agrigento, competente per territorio. “Per il momento il centro di accoglienza di Lampedusa non sarà aperto. Vedremo se l’ondata di nuovi sbarchi prosegue e se il fenomeno dovesse degenerare allora decideremo sul da farsi”. Lo ha detto la senatrice Angela Maraventano, Lega Nord, la pasionaria di Lampedusa che da sempre si è occupata del fenomeno immigrati. “Certo i numeri stanno aumentando - ha ammesso la senatrice - però per il momento il centro di accoglienza resta chiuso”. A chiedere la riapertura del centro di accoglienza sono state due deputate del Pd, Rosa Calipari e Alessandra Siragusa. Iacolino (Pdl): Commissione Ue subito a lavoro “Il numero impressionante di sbarchi in Sicilia di clandestini provenienti dalla Tunisia è la prima conseguenza delle tensione e dei disordini che investono l’intero Maghreb. Questa successione costante di flussi migratori clandestini va fronteggiata insieme all’Unione Europea che innanzitutto con l’Agenzia Frontex deve contribuire efficacemente alla tutela delle frontiere del sud Europa”. Lo afferma il vicepresidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, Salvatore Iacolino a proposito dell’ondata di sbarchi dalla Tunisia verso le coste siciliane. “Sono già intervenuto sul punto sia nei confronti dell’agenzia Frontex e depositerò lunedì a Strasburgo un’interrogazione al commissario signora Malmstrom perché intervenga sulle autorità tunisine per bloccare i flussi migratori clandestini che stanno portando in Italia diverse centinaia di migranti fra i quali potrebbero annidarsi reclusi sfuggiti alle patrie galere della Tunisia. Confido che la Commissione possa applicare nei confronti di chi sfrutta illecitamente la tratta degli esseri umani le sanzioni severe previste dalla relativa Direttiva recentemente approvata dal Parlamento europeo”. Immigrazione: Maroni; realizzeremo un Cie in provincia di Venezia Ansa, 11 febbraio 2011 Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha annunciato che sorgerà un centro di identificazione e espulsione in Veneto che verrà realizzato “nel compendio del nuovo carcere previsto in Veneto. L’area individuata è in provincia di Venezia”. Lo ha spiegato lo stesso titolare del Viminale nel corso della conferenza stampa per la firma del protocollo per la legalità siglato con Confindustria Veneto e le Prefetture delle sette Province. “Realizzeremo il Cie - ha spiegato Maroni - vicino alla nuova struttura carceraria, saranno due strutture separate ma unificate nei sistemi di controllo e sicurezza in linea con il nuovo piano delle carceri approvato dal governo”. Immigrazione: Caritas; ripresa dei flussi si sta manifestando in tutta la sua gravità Redattore Sociale, 11 febbraio 2011 “Non bastano singoli accordi, non bastano i pattugliamenti, bisogna fare i conti con delle contingenze che vanno al di là della volontà dei singoli paesi”. Così Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione della Caritas italiana, commenta i numerosi sbarchi di immigrati sulle coste italiane di questi ultimi giorni. Per Forti, quello che sta accadendo ricalca le prospettive inquadrate dalla stessa Caritas lo scorso anno nel corso di un Forum internazionale tenutosi a Trapani con le Caritas del mediterraneo. “Ho sentito il parroco di Lampedusa - spiega Forti - , mi ha descritto una notte molto intensa con sbarchi continui sull’isola e il trasferimento di queste persone a dimostrazione del fatto che nella sostanza si sta verificando quello che avevamo paventato l’estate scorsa e che aveva in qualche modo turbato il governo di fronte alla nostra prospettiva di una ripresa di questi flussi. Dopo le vicende note del Magreb, si sta manifestando in tutta la sua gravità“. E la rivolta di piazza Tahrir non migliora le previsioni future. “L’Egitto è ancora in bilico e vedremo cosa accadrà. In Tunisia è avvenuto un cambiamento e le autorità non sembrano in grado di bloccare quelli che sono i tradizionali flussi che in una situazione di incertezza riprendono con vigore”. Flussi, spiega Forti, che interessano tutta l’area mediterranea e che “percorreranno vecchie rotte o ne faranno di nuove. La propensione all’immigrazione è sempre molto alta. Appena si apre un canale questo viene percorso”. Di fronte a questo scenario, conclude Forti, “ci auspichiamo che a brevissimo si metta in piedi un gruppo che possa non solo a livello istituzionale, ma anche per quanto riguarda il terzo settore, in grado di poter affrontare dignitosamente l’accoglienza e la tutela di queste persone che poi è quello che a noi interessa maggiormente”. Immigrazione: Acli; riaprire Centro accoglienza Lampedusa Ansa, 11 febbraio 2011 Per fronteggiare l’emergenza dell’ondata di immigrati che fuggono dai paesi del Maghreb in rivolta, Le Acli chiedono al ministro dell’Interno Roberto Maroni che sia riaperto il Centro di accoglienza di Lampedusa. Gli sbarchi di immigrati a Lampedusa sembrano infatti inarrestabili, oltre mille in sette giorni, e quasi tutti dalla Tunisia. E le Acli lanciano l’appello: “Sia fatto ogni sforzo da parte del governo e delle autorità locali per garantire l’assistenza umanitaria”, in attesa di un intervento dell’Ue. “L’acuirsi della crisi politica dei Paesi del Maghreb - afferma Antonio Russo, responsabile dell’immigrazione per le Acli - richiede un intervento urgente dell’Unione Europea e una strategia adeguata di accoglienza degli stranieri che fuggono e potrebbero ancora fuggire dai Paesi in rivolta”. Ma “nel frattempo - aggiunge - occorre garantire la doverosa accoglienza umanitaria alle persone che sbarcano sulle coste siciliane, ma appare per questo preoccupante l’indisponibilità finora mostrata dal Ministro Maroni a riaprire nell’emergenza il Centro di accoglienza di Lampedusa”. “Non vorremmo rivivere - continua Russo - una nuova stagione di chiusura nei confronti dei migranti, senza che neppure sia offerta loro la possibilità di una prima accoglienza, delle cure necessarie e di esercitare il diritto di proporre domanda d’asilo”. E “affinché siano rispettati i diritti umani di circa mille persone giunte sulle coste siciliane negli scorsi giorni, auspichiamo - concludono le Acli - che il governo fornisca attraverso le autorità locali la necessaria accoglienza e assecondi le richieste dei cittadini di Lampedusa di riapertura del Centro”. Gran Bretagna: Parlamento contrario a concedere il diritto voto ai detenuti Ansa, 11 febbraio 2011 I deputati britannici hanno respinto questa notte con 234 voti contro 22 la richiesta della Corte europea per i diritti dell’uomo di autorizzare i prigionieri ad esercitare il diritto di voto. Al termine di un dibattito di sei ore condotto dal conservatore David Davis e dal laburista Jack Straw, ex ministro della Giustizia, i deputati hanno respinto la decisione del novembre scorso della Corte che dava un termine di sei mesi al Regno Unito per adottare una normativa che accordasse il diritto di voto ai detenuti. “La palla è adesso nel campo del governo che dovrà vedersela con la Corte e spiegarle che non può sostituire il Parlamento”, ha affermato Davis. Molti deputati si sono espressi vigorosamente contro le prerogative della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Per il laburista Chris Bryant, non spetta alla Corte “legiferare su chi detiene il diritto di voto nel Regno Unito”. Il braccio di ferro risale al 2005, quando la Corte aveva sostenuto che la normativa britannica (risalente al 1870) che privava i prigionieri del diritto di voto era contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Il premier britannico David Cameron ha preso personalmente posizione contro il diritto di voto per i detenuti indicando persino che l’idea “lo fa star male”. La decisione dei deputati britannici non ha valore giuridico contro il giudizio della Corte europea, ma dà al governo di Londra nuovi argomenti per negoziare al meglio con la Corte. L’intenzione di Cameron sarebbe quella di autorizzare il voto solo per i detenuti condannati a meno di 4 anni di carcere. Libia: governo teme manifestazioni di piazza, pronto a liberare militanti islamici detenuti Ansa, 11 febbraio 2011 Le autorità libiche si apprestano a liberare all’inizio della settimana prossima un numero imprecisato di militanti islamici detenuti da anni nelle carceri di Tripoli, a pochi giorni dalle manifestazione anti - regime convocate via Internet dalle opposizioni libiche sulla scia dei disordini in Tunisia e in Egitto. Lo scrive il quotidiano panarabo al Hayat. Al Hayat cita Abu Suhayb al Libiy, uno dei leader della Jumaa Islamiya combattente, sigla di spicco del fronte islamico radicale libico, che dalla sua abitazione londinese conferma che i servizi di sicurezza di Tripoli hanno comunicato ai suoi compagni in prigione che saranno rilasciati tra lunedì e martedì prossimi, in corrispondenza con il Natale musulmano. Non vi sono attualmente conferme di un eventuale legame tra questa decisione e il tentativo del regime del colonnello Muammar Gheddafi di impedire o sabotare le manifestazioni delle opposizioni convocate per giovedì prossimo 17 febbraio, in corrispondenza dell’anniversario dei sanguinosi disordini avvenuti a Bengasi nel 2006. Il giornale ricorda che nelle carceri libiche dagli anni ‘90 sono detenuti 345 miliziani islamici, tra cui figurano membri della Jumaa Islamiya combattente. A partire dal 2009, i leader del gruppo in carcere e all’estero si erano impegnati per iscritto con lo stesso Gheddafi a non seguire più la strada della violenza, prendendo esplicitamente le distanze dal terrorismo di matrice qaedista. Iran: Human Rights; 546 i condannati messi a morte nel 2010, tra cui 2 minori Ansa, 11 febbraio 2011 Nel 2010, almeno 546 persone sono state giustiziate in Iran. Tra questi, due minori e almeno 8 donne. A rivelarlo è il rapporto annuale stilato dalla Ong internazionale Iran Human Rights (Ihr) e presentato oggi in una conferenza stampa ad Oslo in Norvegia. Secondo il documento, si tratta del numero più alto di esecuzioni dal 2000 ad oggi. Un numero che, per il portavoce della Ong, Mahmood Amiry - Moghaddam, “è destinato a crescere nel 2011, superando di gran lunga il livello di allarme. Diversi prigionieri politici e non politici sono in imminente pericolo di esecuzione”. Delle 546 esecuzioni riportate nel rapporto, solo il 57% è stato confermato da fonti ufficiali mentre i restanti casi sono stati riferiti da fonti interne all’Iran, tra cui diverse organizzazioni per i diritti umani, ha precisato Ihr. Gran parte delle esecuzioni non confermate ufficialmente ha avuto luogo nella provincia del Razavi Khorasan - nell’Iran nordorientale - in particolare nel penitenziario della città di Mashhad. Lì, secondo fonti interne al carcere, nel solo periodo di febbraio - aprile sono stati giustiziati 50 prigionieri. Mentre, in tutto il Paese, il mese con il più alto numero di casi è stato quello di agosto, quando circa 200 persone sono stare messe a morte. Il 66% dei giustiziati era stato accusato di traffico di droga, mentre il 13% era stato arrestato con l’accusa di essere ‘nemico di Dio, ovvero coinvolto in scontri armati contro le autorità”. Ma, soprattutto, l’Ong ha evidenziato che solo nel 32% dei casi le autorità hanno fornito nome e cognome di chi è stato messo a morte. Rispetto al 2009, sono state giustiziate quasi 150 persone in più e - è l’allarme di Ihr - nel 2011 potrebbe andare ancora peggio visto che nel mese di gennaio già 85 prigionieri sono stati messi a morte. Iran: Marcenaro (Pd); arresto leader opposizione Karroubi è contro convenzioni Onu 9Colonne, 11 febbraio 2011 “L’arresto preventivo da parte delle autorità iraniane di Mehdi Karroubi, uno dei principali esponenti dell’opposizione iraniana, costituisce l’ennesima violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti politici e civili che l’Iran ha sottoscritto e ratificato. Allo stesso tempo è un fatto che testimonia che nonostante la dura repressione l’opposizione è viva e temuta dal governo”. Lo dice il senatore del Pd Pietro Marcenaro, presidente della commissione per i diritti umani. “L’apparato repressivo - prosegue Marcenaro - che viene dispiegato per impedire la manifestazione convocata dall’Onda Verde il prossimo lunedì 14 febbraio, in solidarietà con le dimostrazioni in Tunisia e Egitto, dice che il regime sa che quelle mobilitazioni popolari hanno gli stessi obbiettivi di libertà di quelle che, dopo le elezioni del giugno 2009, hanno portato milioni di cittadini nelle strade di Teheran e delle altre città iraniane e teme il pericolo del contagio democratico. Vedremo - conclude Marcenaro - se anche nei confronti di Teheran prevarrà, nel comportamento del governo italiano, quel malinteso realismo politico che ha impedito di dire una parola chiara e tempestiva sugli avvenimenti di Tunisia e Egitto o se ci si ricorderà in questa circostanza di chiedere la fine della repressione, la liberazione delle persone detenute per le loro opinioni, la sospensione delle condanne a morte e delle esecuzioni capitali”. Bielorussia: appello a Medvedev da mogli oppositori politici detenuti Ansa, 11 febbraio 2011 Hanno chiesto l’intervento del leader del Cremlino Dimitri Medvedev le mogli degli oppositori bielorussi ancora detenuti a Minsk in seguito alla repressione poliziesca delle proteste per la rielezione del presidente Aleksandr Lukashenko, lo scorso dicembre. La donne, in questi ultimi giorni, hanno consegnato all’ambasciata russa a Minsk un appello al presidente russo perché favorisca la liberazione dei loro mariti. Lo riferisce l’agenzia La Ue ha già deciso una serie di sanzioni contro Minsk. Mosca ha criticato gli arresti ma ha definito controproducenti le sanzioni europee.