Giustizia: il ministro Severino accelera “carceri e processo civile in Cdm entro fine anno” Adnkronos, 8 dicembre 2011 A dare l’annuncio dei primi provvedimenti del governo in materia di giustizia è stata la Guardasigilli al termine di un incontro con l’Associazione nazionale magistrati. I primi provvedimenti del Governo in materia di giustizia, relativi al sovraffollamento delle carceri e all’accelerazione del processo civile, saranno portati in Consiglio dei ministri entro la fine dell’anno. Lo ha annunciato il ministro Paola Severino al termine di un incontro con l’Associazione nazionale magistrati. Tra le misure allo studio del ministro per affrontare l’emergenza carceri il ricorso a misure alternative alla detenzione già ricordate negli incontri con le commissioni Giustizia del Senato e della Camera, come gli arresti domiciliari o l’istituto della messa in prova, ma con la novità di estendere l’istituto della detenzione domiciliare “da alternativa alla carcerazione preventiva a soluzione per la carcerazione post sentenza”. C’è dunque l’ipotesi della detenzione domiciliare “anche per condanne definitive, considerando ovviamente il tipo di reato commesso”. Si tratta di trovare una soluzione, ha sottolineato Severino, al fenomeno delle porte girevoli, per cui si entra e si esce dal carcere in pochi giorni senza che ve ne sia necessità, prima dell’udienza di condanna”. Riguardo all’uso del braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti, il ministro ha ribadito che “sarà preso in considerazione quando si avranno certezze sui costi, che devono essere inferiori a quelli della detenzione, e dell’efficacia tecnica”. Per queste misure più urgenti, ha precisato il ministro, sarà utilizzata “la forma del decreto legge, dove è consentito nel rispetto della Costituzione. Dove non è possibile, si procederà con disegni di legge o decreti ministeriali”. Quanto alle misure che intervengano sull’efficienza del processo civile, il ministro ha ricordato come prima azione deflattiva la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, poi il processo di informatizzazione degli uffici sul territorio nazionale, interventi “che diano sollievo nella trattazione dei processi”. Poi ancora “il miglioramento di alcune misure già assunte ma che hanno avuto intoppi e non hanno funzionato bene”. Il ministro Severino ha comunque affermato di non volere entrare nel merito dei singoli provvedimenti: “Per rispetto delle procedure istituzionali - ha spiegato - non parlo di cose non ancora illustrate in Consiglio dei Ministri”. Giustizia: Onorevoli colleghi… guardate che inferno di Rita Bernardini (deputata radicale eletta nelle liste del Pd) Tempi, 8 dicembre 2011 Il 4 dicembre è stata una giornata speciale a San Vittore: per la prima volta la Messa domenicale ha visto i detenuti presenziare all’interno della “rotonda” centrale - dove si trova l’altare - e prendere la comunione non da dietro le sbarre dei cancelli dei “raggi”, ma direttamente dalle mani del cappellano. Mi è venuta in mente la diversa scena al Gazzi di Messina, reparto “la sosta”: gli infermieri che facevano le iniezioni attraverso le sbarre. Della novità della Messa sono venuta a conoscenza durante la visita ispettiva che ho fatto a San Vittore con Luigi Amicone, direttore di Tempi, e Leonardo Monaco, giovanissimo tesoriere dell’Associazione Enzo Tortora di Milano. “Ci dispiace - ha detto la comandante dottoressa Di Gioia che ci ha ricevuti insieme al magistrato di sorveglianza dottoressa Fadda - che non abbiate potuto assistere a questo nuovo modo di dire Messa qui”. Avevo già visitato San Vittore altre volte, due delle quali da deputata; a seguito di quelle visite (2008 e 2011), avevo anche depositato due dettagliate interrogazioni e inoltrato due esposti-denuncia alla Procura della Repubblica: né il ministro della Giustizia, né la Procura della Repubblica di Milano hanno mai risposto, nemmeno per dire che non ravvisavano elementi per aprire indagini. Silenzio. Ebbene, la situazione è addirittura peggiorata. 1.600 persone sono ristrette nei 600 posti regolamentari. I detenuti stanno chiusi in cella per 20 ore senza poter svolgere nessuna attività, non vengono forniti loro i detergenti né per lavarsi né per pulire la cella; le celle sono luoghi immondi dove circolano scarafaggi; le finestre non si possono aprire perché ostruite dai letti a castello... mancano aria e luce, tanto che devono tenere la lampadina accesa tutto il giorno. Quando entriamo nella prima cella situata al 1° piano del sesto raggio, rimaniamo sgomenti: quattro persone sistemate su due letti a castello sono costrette a vivere in 7,6 metri quadrati. Meno di 2 metri quadrati a testa! Ma la cella successiva, come tutte le altre, è di eguali dimensioni con la differenza che di esseri umani ne stipano 6! Fosse solo il sovraffollamento Ma il dramma non è solo quello del sovraffollamento. Molti non possono vedere mogli e figli; l’avvocato, quasi sempre d’ufficio, l’hanno visto una sola volta e nulla conoscono del processo che li riguarda; il 30 per cento è tossicodipendente, il 64 per cento è straniero senza appoggi in Italia, i casi psichiatrici sono tantissimi, l’assistenza sanitaria è quasi impossibile. Poco più del 10 per cento svolge un lavoro saltuario, pochissimi hanno la possibilità di frequentare le scuole. L’ozio forzato è la regola. Inoltre, solo 100 detenuti su 1.600 hanno una sentenza definitiva, gli altri sono in attesa di giudizio e, secondo le statistiche, la metà sarà riconosciuta innocente. L’illegalità delle condizioni di detenzione si riscontra anche per quelle di lavoro di agenti, psicologi, educatori, infermieri, personale amministrativo e sanitario. Tutta quella che Marco Pannella definisce la “comunità penitenziaria” è dolente, stremata, umiliata. Di agenti ne mancano 300 e i 700 in pianta organica, che si riducono ulteriormente per permessi speciali e malattia, devono anche assicurare i piantonamenti in ospedale dei detenuti e le traduzioni per le udienze. In conclusione, anche questa visita - come le altre che da radicali facciamo a centinaia nelle carceri italiane - mi ha rafforzato nella convinzione che solo l’amnistia (accompagnata da un indulto) può tornare a far vivere legge, Costituzione, diritti umani. Che autorevolezza può avere uno Stato che per primo viola le sue leggi? Che rieducazione può assicurare uno Stato che si comporta da decenni come un delinquente professionale? Che giustizia è quella dei procedimenti penali che muoiono a milioni - due, negli ultimi dieci anni - perché le scrivanie dei magistrati sono soffocate da milioni e milioni di faldoni impolverati? E che cittadini siamo noi tutti se tolleriamo che esseri umani siano trattati peggio degli animali? Riflettiamo tutti e chiediamoci, soprattutto se siamo parlamentari o presidenti della Repubblica o ministri, se qualcosa di irreparabile come i nazismi o i fascismi non sia già accaduto dentro di noi. Giustizia: Uil-Pa; 68mila detenuti e i posti sono 43mila… dati che disonorano l’Italia Adnkronos, 8 dicembre 2011 Le carceri italiani scoppiano, una realtà che “rappresenta vergogna e disonore per un Paese come l’Italia”, denuncia la Uil-Pa Penitenziari. I numeri forniti dal sindacato la dicono lunga. Ieri si è sfondata quota 68mila. Alla vigilia dell’Immacolata, per l’esattezza, nelle strutture penitenziarie italiane erano presenti 68.017 detenuti (65.121 uomini, 2.896 donne) a fronte di una disponibilità reale di 44.385 posti, per un esubero pari a 23.632 detenuti. Per tanto, numeri alla mano, il sovraffollamento medio nazionale si attesta al 53,2%. La Regione con il più alto tasso di sovrappopolamento è la Puglia (84%), seguita da Marche (83,9%), Emilia Romagna (75.6%), Friuli (75,1%) e Lombardia (74%). Nel 12,6% degli istituti il sovraffollamento tocca punte dal 100 a oltre il 183%, nel 42,4% degli istituti penitenziari varia dal 50 al 99%, nel 20% va dal 20 al 50%, nel 10,2% dall’ 1 al 20% . Solo il 13,8% non fa i conti con il problema del sovraffollamento o contiene meno detenuti rispetto alla capienza prevista. Il penitenziario con il maggior tasso di sovraffollamento si conferma Lamezia Terme (183,3%), seguita da Brescia Canton Mombello (177,2%), Busto Arsizio (162,9%), Como (150,9%), Ancona Montaguto (145%). “La prepotente urgenza alla necessità di offrire risposte al dramma penitenziario, cui più volte ha fatto richiamo il Presidente della Repubblica - ricorda Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - trova piena conferma e sostanziale ragione nell’analisi dei numeri. Per questo auspichiamo che il governo Monti collochi nella propria agenda alla voce ‘priorità la questione penitenziaria”. Con il rilevamento trimestrale su alcuni dati penitenziari “abbiamo cercato di aggregare i dati - spiega il sindacalista - per offrire uno spaccato, tanto immediato quanto drammatico, della situazione penitenziaria in Italia. Una situazione che, oggettivamente, rappresenta vergogna e disonore per un Paese come il nostro. E come emerge in modo netto dal rilevamento - aggiunge - non è solo una questione di sovrappopolamento, che pure riveste un ruolo importante nelle criticità del sistema”. Altro nodo cruciale, secondo la Uil-pa, la posizione giuridica di ci coloro che vivono dietro le sbarre. Alla data del 5 dicembre, infatti, i detenuti non ancora condannati in via definitiva erano 28.343, pari al 41,8% del totale. Nello specifico: 15.549 detenuti in attesa di primo giudizio (22,9%), 7.799 appellanti (11,5%) , 5.005 ricorrenti (7,4%). I detenuti chiamati a scontare una pena definitiva erano 37.784 (55,5%), quelli senza una posizione giuridica definita erano 335, gli internati 1.570 (2,3%). “Come da tempo sosteniamo, la lettura delle posizioni giuridiche conferma l’urgenza di una incisiva riforma della giustizia. Abbiamo forti dubbi - sottolinea il segretario generale della Uil Penitenziari - sulla credibilità di un sistema penale che determina la detenzione di circa il 42% di soggetti privi di una condanna definitiva. Non solo. L’eccessivo ricorso alla custodia cautelare alimenta il fenomeno delle sliding doors (porte girevoli) che sovraccarica il sistema di spese e lavoro. Ciò in ragione dei tantissimi detenuti che fanno ingresso in carcere per essere scarcerati solo dopo poche ore”. Tornando ai dati, i detenuti di origine straniera erano 24.638 (il 36,2% del totale), di cui 23.452 uomini e 1.186 donne. La comunità straniera maggiormente presente nelle nostre carceri è quella proveniente dal Marocco (4.983 - 20,2%), segue la Tunisia (3.255 - 13,2%), la Romania (2.809 - 11,5%), la Nigeria (1.204 - 5%), l’Egitto (534 - 2,2%) e la Yugoslavia (464- 1,9%). “La promiscuità di etnie, di percorsi delinquenziali e di età - secondo Sarno - è una delle condizioni che incide direttamente nell’alimentare la spirale di violenza all’interno delle carceri”. “La cronica e grave deficienza numerica degli organici di polizia penitenziaria”, con un deficit di 7.500 uomini, “e degli addetti al trattamento intramoenia (-850) impedisce di operare sia in funzione della sicurezza che del recupero e del reinserimento. Forse non è ben chiaro cosa significhi - sottolinea Sarno - preporre un solo agente alla sorveglianza di centinaia di detenuti, come è ormai è ordinario”. “È del tutto evidente - rimarca il sindacalista - che in queste condizioni non si possono garantire i nobili obiettivi che la Costituzione, all’art. 27, assegna al sistema penitenziario italiano. L’ozio forzato è il peggior antagonista di qualsiasi percorso riabilitativo ed è il miglior complice della deriva depressiva. Purtroppo causa mancanza di fondi e di risorse umane questa prospettiva è divenuta la quotidianità dei 68 mila detenuti”. Per Sarno, “anche in ragione di ciò è determinante rivedere alcune norme che possano sostenere il deflazionamento delle presenze detentive. Ci riferiamo in particolare, ma non solo, alla legge sulla recidiva e alla legge 199/2010, la cosiddetta svuota carceri. Altresì è fondamentale recuperare l’alto senso della legge Gozzini, con una più continua e sistematica erogazione di misure e sanzioni alternative al carcere”. Dall’entrata in vigore delle misure svuota carceri i detenuti ammessi alla detenzione domiciliare per residuo pena non superiore ad un anno sono stati 3.991. “Troppo pochi - rimarca il sindacalista - come avevamo previsto. Non a caso tutti gli addetti ai lavori avevano invocato un accesso automatico al beneficio di legge”. Ma anche sul fronte della concessione di misure alternative alla detenzione la Uil Penitenziari “non può non sottolineare la ristrettezza dei numeri. Dal 1 gennaio al 30 novembre 2011, infatti, sono state erogate a persone detenute 3.591 detenzioni domiciliari, 787 semilibertà e 5.284 affidamenti in prova”. Non va meglio sul fronte delle misure di sicurezza e delle sanzioni alternative al carcere: “dal 1 gennaio al 30 novembre di quest’anno sono state erogate 3.062 libertà vigilate, 115 libertà controllate, 449 lavori di pubblica utilità e 538 ammissioni al lavoro esterno al carcere”. “Credo che i 61 suicidi in cella che noi abbiamo monitorato dal 1 gennaio ad oggi, anche se il Dap ne registra 56, nonché i 924 tentati suicidi - denuncia Sarno - stiano a testimoniare quanto sia necessaria una diversa concezione della detenzione, delle condizioni di detenzione e della prevenzione degli eventi critici. Scorrendo l’elenco di questi ultimi si ha la fotografia di cosa sia la realtà penitenziaria e si può ben comprendere quali siano le difficoltà della polizia penitenziaria a gestire una situazione ai limiti dell’ingestibilità”. Ma “nonostante queste difficoltà i baschi blu in questo 2011 hanno salvato la vita a 387 detenuti. Voglio sperare che il ministro Severino legga, valuti e, dopo aver incontrato i sindacati, metta in piedi un concreto percorso di soluzioni”, conclude il sindacalista. Se i numeri sul sovraffollamento delle carceri italiane sono drammatici, quelli su suicidi e tentati suicidi non lo sono meno. In 42 istituti penitenziari dal 1 gennaio ad oggi si sono verificati i 56 suicidi monitorati dal Dap. Gli istituti maggiormente coinvolti sono quelli di Torino, Padova - Due Palazzi, e l’Opg di Aversa con tre suicidi. In 151 istituti si sono registrati 924 tentati suicidi, di cui 387 persone sono state salvate in extremis dalla polizia penitenziaria. Guida questa infelice classifica Firenze Sollicciano con 38 tentati suicidi, seguita da Lecce (30) e Teramo (27). Sempre dal 1 gennaio alla data di ieri, ben 5.187 atti di autolesionismo sono stati registrati in 182 istituti. La Dozza di Bologna è l’istituto con il numero maggiore di casi (229), seguono Firenze Sollicciano (213), Lecce (170), Genova Marassi (158), Pisa (140). In 28 istituti si sono verificate 40 risse tra detenuti (4 a Perugia, 3 a Livorno, Porto Azzurro e Ancona Montaguto). Gli episodi di aggressione al personale penitenziario ammontano a 291, con un totale di 394 feriti refertati (389 poliziotti penitenziari, 3 medici e due infermieri). I detenuti che hanno operato almeno un giorno di sciopero della fame sono stati 6.121, coloro che hanno rifiutato, per protesta, le terapie sono stati 1.070. Le battiture collettive verificatisi in questo 2011 sono state 59 (di cui 16 a Lecce, 7 a Parma, 5 a Roma Regina Coeli). Giustizia: famigliari dei detenuti a Napolitano; solo l’amnistia può decongestionare carceri Ansa, 8 dicembre 2011 Un appello al capo dello Stato per un provvedimento straordinario di amnistia, come unica “strada percorribile per decongestionare i tribunali, le carceri, le fatiche degli Agenti di Polizia Penitenziaria, e le sofferenze inumane dei cittadini-detenuti” è stato rivolto dal Comitato dei familiari delle persone private della libertà. Solo così politica e istituzioni - è detto nel messaggio affidato all’Associazione radicale “Il detenuto ignoto” - disporranno del “tempo necessario a ricostruire mura e spazi dignitosi e realmente capaci di offrire e assicurare “rieducazione al condannato”. “A Lei ci rivolgiamo perché sa che nelle carceri italiane non si insegna alcun mestiere, non si cura alcuna malattia, non si rispettano i cardini del contratto di legalità astrattamente concordato, oltre che nei principi costituzionali, anche nelle leggi sull’ordinamento penitenziario. - scrivono tra l’altro i familiari dei detenuti A Lei ci rivolgiamo perché sa che nelle carceri italiane si vive ammassati gli uni sugli altri, privi di spazi vitali, gettati 23 ore al giorno all’ interno di celle affollate, sporche e prive delle più elementari strutture di dignità per l’essere umano. A Lei ci rivolgiamo perché nelle carceri si muore tanto, esattamente come nei cantieri insicuri, sulle strade battute dalla ineducazione civica, negli ospedali mal gestiti, nelle vie poco illuminate, nelle case in cui lo Stato non arriva ad assicurare la propria vigilanza”. Giustizia: contro l’emergenza carceri anche la “reclusione in casa” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011 Una piccola, grande rivoluzione: la “detenzione domiciliare” non sarà più soltanto una misura alternativa al carcere in senso classico (di cui il detenuto può beneficiare durante l’esecuzione della condanna, a determinate condizioni), ma diventa una pena autonoma, che il giudice può irrogare all’imputato alla fine del processo, con la sentenza di condanna. È quanto avverrà se andrà in porto il pacchetto sulle carceri allo studio del ministro della Giustizia Paola Severino, destinato non solo a ridurre il sovraffollamento (e quindi a garantire ai detenuti condizioni di vita dignitose nonché maggiori prospettive di un reinserimento sociale) ma anche a far risparmiare allo Stato somme ingenti. In sostanza, la “detenzione domiciliare” (o “reclusione domiciliare”, il nome è ancora da definire) si aggiungerebbe al catalogo delle “pene principali” previste dal Codice penale (ergastolo, reclusione, multa, arresto, ammenda) applicabili dal giudice alla fine del processo. Ciò ridurrebbe l’afflusso dei detenuti nelle patrie galere nonché i costi di permanenza a cominciare da quelli (tra i più elevati) legati alle immatricolazione e alle traduzioni. È stata la stessa Severino ad annunciare questa piccola, grande rivoluzione nelle sue comunicazioni alla Camera di mercoledì scorso, quando ha ribadito la priorità dell’emergenza carcere nell’agenda del governo sulla giustizia e l’intenzione di affrontarla con misure strutturali, tra cui l’introduzione della “messa alla prova”, il ricorso al braccialetto elettronico” (dopo la verifica tecnica in corso per valutarne efficacia e capacità di risparmio), l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione come l’affidamento in prova, la semilibertà e la detenzione domiciliare. Ma non solo. “Si potrebbe introdurre nel sistema delle pene insieme alla detenzione carceraria una forma di detenzione domiciliare - ha spiegato il guardasigilli - che risolverebbe alcuni problemi in chiave di carcerazione dopo la condanna”. Un’idea coraggiosa e assolutamente inedita, già allo studio di via Arenula, che conferma il diverso approccio di questo governo al problema carcere. La prossima settimana, forse già lunedì, il ministro sarà a Cagliari, nel carcere Buoncammino dove tre giorni fa si è suicidata una donna detenuta in custodia cautelare (ultimo suicidio di una serie ormai interminabile), accusata di aver ucciso la madre e di averne bruciato il corpo. Per la Severino sarà la prima presa di contatto con il carcere come ministro, oltre che un gesto di solidarietà, anche nei confronti dei poliziotti, spesso vittime del cosiddetto “effetto ombra”, l’assimilazione dello stress e della sofferenza dei detenuti nonché il disagio psicologico che ne deriva al punto da togliersi la vita. Tra le misure più urgenti per tamponare l’invivibilità del carcere, ci sarà l’ampliamento della detenzione domiciliare, che potrà essere concessa anche a chi deve ancora scontare 18 mesi (la “svuota-carceri” approvata nel 2010 fissa il limite a 12 mesi). Secondo i primi calcoli, l’ampliamento dovrebbe riguardare oltre 3.300 detenuti e, considerato il costo giornaliero di ciascuno di essi, il risparmio dovrebbe aggirarsi sui 375mila euro al giorno. La norma resterebbe comunque in vigore fino a dicembre 2013, in attesa di una riforma più strutturale delle misure alternative al carcere che hanno toccato il minimo storico dopo le leggi ex Cirielli (sui recidivi) e Fini-Giovanardi (sui tossicodipendenti). Gli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) parlano di 18.876 persone in misura alternativa (su 68.022 detenuti), di cui 8.233 scontano la pena al domicilio (invece, i beneficiari della “svuota carceri” sono stati, dal 16 dicembre 2010 al 30 novembre scorso, 3.965). Gli altri Paesi europei sfruttano molto più di noi le misure alternative: nel 2009, in Francia ce ne sono state 123.349, quasi 120mila in Germania, 111.994 in Spagna e ben 197.101 nel Regno unito, mentre in Italia se ne contavano solo 13.383. Con il pacchetto-Severino dovremmo riallinearci all’Europa, ma la vera novità sarà la possibilità, per chi è condannato per certi reati, di non entrare proprio in carcere e di scontare la pena fin dall’inizio nel proprio domicilio. Recluso in casa. Giustizia: Leda Colombini, una vita dedicata alla tutela dei bambini figli di detenute Ristretti Orizzonti, 8 dicembre 2011 È morta, ad 82 anni, Leda Colombini. Figura di primissimo piano del Pci e, negli ultimi anni, strenuo difensore dei diritti delle mamme detenute e dei loro figli costretti a vivere in carcere, la Colombini è deceduta in seguito ad un malore che l’ha colpita nel carcere di Regina Coeli, dove stava svolgendo la sua quotidiana opera di volontariato. Nata nel 1929 a Fabbrico di Reggio Emilia, scoprì fin da giovane, quand’era una bracciante priva di mezzi di istruzione, la dedizione al lavoro e la lotta contro le ingiustizie. A 14 anni entrò nei Gruppi di difesa delle donna per l’assistenza ai partigiani e partecipò alla lotta di Liberazione. Nell’Udi (Unione donne in Italia), conobbe Nilde Iotti e la seguì nella sua attività. Da militante del Partito Comunista, nel 1948, chiese di poter partecipare a un corso di formazione perché i suoi studi arrivavano solo alla quinta elementare. Agli inizi degli anni Cinquanta arrivò ai vertici della Federbraccianti e, quasi contemporaneamente, negli organismi direttivi del Partito dove conobbe il maestro Ruggero Grieco, dirigente storico del Pci, che le farà anche da testimone di nozze. Dalle lotte per l’occupazione agli scioperi e alle manifestazioni sindacali nelle campagne del Nord e del Sud Italia, la Colombini ebbe un percorso folgorante che culminò con la sua elezione in Parlamento per due legislature. Nel corso della sua carriera politica è stata anche più volte Consigliere regionale nonché Assessore alla Regione Lazio. Nel volontariato in carcere, come presidente dell’associazione “A Roma Insieme” ha promosso numerosi progetti a favore delle mamme detenute e, soprattutto, per i bambini (0-3 anni) reclusi nel carcere romano di Rebibbia con le loro madri. Questo straordinario percorso di vita era stato raccontato nella sua biografia, “Storia di Leda”, uscita lo scorso anno. Ad aprile di quest’anno aveva festeggiato i 56 anni di nozze con Angiolo Marroni, cui aveva vissuto la lunga stagione delle lotte sindacali prima e per i diritti delle persone recluse poi. Insieme hanno avuto due figli, Sergio, docente Universitario a Tor Vergata, e Umberto, capogruppo del Pd al Campidoglio. La camera ardente sarà aperta da domani mattina al Policlinico Gemelli di Roma. Napolitano ricorda Leda Colombini: simbolo del riscatto delle donne Impegnata a favore delle madri in carcere e dei loro figli (0-3 anni) con vivono in cella. Il presidente: “Figura esemplare del mondo del lavoro nel suo sforzo di emancipazione” Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, partecipa con animo commosso al dolore dei famigliari e al più ampio cordoglio per la scomparsa di Leda Colombini. “La sua - ha scritto il Capo dello Stato in un messaggio - è stata una figura esemplare del mondo del lavoro nel suo sforzo di emancipazione e di avanzamento sociale e civile nei decenni di faticoso progresso dell’Italia repubblicana. Il suo genuino slancio ideale, la sua inesauribile combattività, il suo assoluto rigore morale sono le qualità che me l’hanno fatta sentire sempre vicina nei tempi del nostro comune impegno politico. L’Italia perde con Leda Colombini un simbolo del riscatto e dell’affermazione delle donne nella società e nel mondo delle istituzioni democratiche”. Storica dirigente e deputata del Pci, negli ultimi anni si era impegnata nella difesa dei diritti delle mamme detenute e dei loro figli. È deceduta ieri in seguito a un malore che l’ha colpita proprio nel carcere di Regina Coeli, dove stava svolgendo la sua quotidiana opera di volontariato. Come presidente dell’associazione “A Roma Insieme” ha promosso numerosi progetti a favore delle madri in carcere e, soprattutto, dei bambini (0-3 anni) con vivono in cella le loro madri. Giustizia: responsabilità civile magistrati; diritto europeo mette in difficoltà quello italiano di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 8 dicembre 2011 Una imprevista sentenza della Corte di giustizia europea rischia di complicare notevolmente la vita dei magistrati, ma anche i programmi del Governo e del Parlamento. Suppongo che molti ricordino con quanta fatica si sia pervenuti all’attuale assetto dell’ordinamento giudiziario per quanto riguarda la responsabilità civile dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. Il giudice che sbaglia risponde solo se l’errore è dovuto a dolo o a colpa grave (cosiddetta negligenza inescusabile) ovvero per diniego di giustizia. In tali casi per evitare che il giudice diventi direttamente parte in causa si è stabilito che il danneggiato debba citare in giudizio lo Stato che potrà poi rivalersi sul responsabile, salvo il diritto di quest’ultimo di intervenire nel giudizio. Tutto sommato il descritto sistema ha retto alla prova, sono scarse le doglianze, e poco numerose le controversie. Senonché la Corte di Giustizia, giudicando l’Italia in un caso di diniego di danni da asserita responsabilità del giudice, ha stabilito che la violazione del diritto comunitario da parte del magistrato va comunque risarcita. L’errore sarebbe di per sé sufficiente a comportare la responsabilità dello Stato, anche in assenza di dolo o di colpa grave da parte del giudice e anche se non ricorre l’ipotesi del diniego di giustizia, cioè il rifiuto o il ritardo ingiustificato del provvedimento. La Corte è stata certamente spinta alla pronuncia dalla constatazione che molti professionisti e anche molti giudici non conoscerebbero a fondo il diritto europeo, ormai un settore fondamentale dell’ordinamento specie in materia economica e tributaria. È certamente vero che ancora oggi il diritto comunitario stenta ad affermarsi nelle università e nella pratica, sebbene esso prevalga sul diritto interno con obbligo indefettibile del giudice di applicarlo anche se in contrasto con la legge nazionale. Ma si può evidentemente sbagliare sia applicando il diritto interno che quello comunitario. Secondo la Corte di Giustizia l’errore in materia di diritto europeo comporta responsabilità dello Stato anche senza colpa grave del giudice, ma il principio desta non poche perplessità, visto che la funzione del giudicante è e resta la stessa indipendentemente dalla materia trattata. E tuttavia se la Corte non recederà dalla sua presa di posizione (nulla lo lascia supporre), occorrerà rivedere la normativa in materia di responsabilità del giudice, e proprio perché appare manifestamente inaccettabile che in un caso si risponda solo per colpa grave e nell’altro (anche se indirettamente) perfino per colpa semplice. Ma chi farà più il giudice in tal caso? E soprattutto non sarebbe peggio per tutti, visto che il giudicante pronunciando la sentenza penserebbe e sarebbe preoccupato soprattutto per le conseguenze personali con rischio di maggiori errori e instaurazione di una giurisprudenza intonata alla difesa dal rischio della responsabilità? Personalmente sono persuaso che garantire la serenità del giudice convenga a tutti, certamente assai di più che esporlo al rischio di pagare danni di entità spesso enorme e non alla portata del magistrato. In ogni caso sarebbe una situazione difficile da affrontare e ancora più difficile da risolvere. Tanto più che anche gli altri professionisti da noi rispondono di norma solo per colpa grave ,e anche per loro si dovrà stabilire fino a che punto sia necessario tenere conto del principio affermato dalla Corte di Giustizia e delle sue conseguenze logiche. Giustizia: nel 2012 il Comitato europeo per prevenzione tortura ispezionerà carceri italiane Ansa, 8 dicembre 2011 Il comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura ha annunciato oggi che l’Italia sarà uno dei 10 Paesi oggetto di una ispezione periodica nel corso del 2012. Questo tipo di missione viene condotta ogni quattro anni e serve a monitorare la situazione in tutti i luoghi in cui vi sono persone private della libertà, carceri, stazioni di polizia, centri psichiatrici, centri di detenzione per immigrati, ma anche luoghi come le case di riposo. Come di consueto il comitato comunicherà le date della visita al governo italiano solo due settimane prima e solo qualche giorno prima una lista di alcuni dei posti che intende visitare. In genere si tratta delle carceri con il maggior numero di detenuti, ma il comitato, la cui visita durerà circa due settimane, può recarsi senza alcun preavviso in qualsiasi luogo. Grazie al suo statuto il comitato ha diritto ad un accesso illimitato a tutti i luoghi di detenzione e a parlare riservatamente con chiunque sia privato della libertà. L’ultima missione del comitato in Italia è stata una visita ad hoc avvenuta nel giugno del 2010, dopo il caso di Stefano Cucchi, il giovane arrestato e poi morto in circostanze controverse per valutare le procedure seguite nelle inchieste sui maltrattamenti subiti da persone in stato d’arresto o detenute, le politiche e le misure prese per ridurre i suicidi e gli atti di auto lesionismo in carcere e infine l’accesso dei detenuti alle cure mediche dopo il passaggio di competenze dall’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale. I risultati di questa visita non sono stati ancora noti perché il comitato per la prevenzione alla tortura non ha ancora ottenuto l’indispensabile via libera dal governo italiano. Giustizia: la “squadretta” di Regina Coeli che si vantava dei pestaggi sui detenuti di Ilaria Sacchettoni Corriere della Sera, 8 dicembre 2011 Sevizie ai detenuti: sulla “squadretta” di Regina Coeli è in corso un’altra inchiesta. Anche in questo caso si ipotizzano abuso e violenza privata e gli indagati sarebbero gli stessi agenti di polizia penitenziaria. E se per i maltrattamenti a Julien Monnet, il pm Francesco Scavo ha appena chiesto il rinvio a giudizio di Rolando Degli Angioli e Luigi di Paolo, medico e infermiere della 7° sezione, in questo caso è il pm Corrado Fasanelli a indagare. Episodi denunciati da fonti riservate sui quali è in corso da tempo una verifica (complicata dalla tradizionale omertà e dal fatto che molte vittime delle sevizie sono state trasferite in altre strutture penitenziarie). Nel 2009 fu la stessa polizia penitenziaria ad aprire un’inchiesta interna sulle violenze a Regina Coeli. Nel timore, forse, che le scorribande della “squadretta” potessero uscire dai confini carcerari. Solo in seguito si sono mossi i magistrati, ricostruendo, per intero, una singola vicenda. Il trattamento riservato a Julien Monnet, l’informatico francese accusato di tentato omicidio nel confronti della figlia e che a Regina Coeli fu picchiato e seviziato: “Gli venne inserito un catetere senza anestesia tanto da farlo urlare di dolore più volte”, confermano i suoi difensori Alessandro e Michele Gentiloni Silverj. “In data 16 marzo 2009 - si legge nella prima relazione dell’ispettore della penitenziaria - si è appreso da fonte confidenziale e di sicura attendibilità” di alcuni episodi “avvenuti all’interno della Casa Circondariale di Regina Coeli. In particolare la fonte ha riferito dell’esistenza, all’interno della predetta Casa Circondariale, di una “squadretta” che porrebbe in essere gesti di violenza fisica e psicologica di inaudita crudeltà e senza alcun motivo nei confronti di alcuni detenuti ristretti presso la 7° sezione”. Dalla relazione si apprende anche che la “squadretta” si vantava delle sue imprese. Uno dei testimoni riferisce di aver ascoltato i protagonisti “vantarsi pubblicamente” delle proprie azioni e di aver sentito in prima persona il medico indagato nell’episodio Monnet “dare consigli al personale di polizia penitenziaria su come picchiare i detenuti. Ovvero quali erano le parti del corpo da colpire per evitare danni irreversibili e lasciare segni troppo evidenti”. Tra le vittime, soprattutto detenuti accusati di reati sessuali, gay e molti extracomunitari. Ieri sulla questione è intervenuto Donato Capece, segretario del Sappe (il sindacato autonomo): “La polizia penitenziaria è una istituzione sana, composta da uomini e donne che con alto senso del dovere, spirito di sacrificio e grande professionalità sono quotidianamente impegnati nella prima linea della difficile realtà penitenziaria”. Carcere Possibile Onlus: valga presunzione innocenza, ma carcere deve essere “trasparente” Come commentare una notizia del genere? Siamo certamente indignati per quanto abbiamo letto, ma il principio costituzionale della “presunzione d’innocenza” fino a sentenza passata in giudicato, in cui crediamo e spesso invochiamo, ci impedisce di valutare le personali responsabilità. Ma episodi del genere sono già accaduti e ci si chiede: è possibile che altre persone all’interno dell’Amministrazione Penitenziaria non ne siano a conoscenza? È possibile che i vertici di questa Amministrazione non paghino le conseguenze di quanto avviene? Perché la stessa Polizia Penitenziaria - che vanta diverse sigle sindacali - non denuncia il comportamento criminale di pochi, salvando così la dignità e l’abnegazione di molti? Si dovrebbe finalmente capire, all’interno del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che un carcere “trasparente” gioverebbe a tutti, non solo ai detenuti. L’emergenza-carcere è anche questo, non solo sovraffollamento. Ci auguriamo che il nuovo Ministro della Giustizia, che ha definito prioritari i problemi legati alla detenzione, voglia dare direttive anche in questo senso. Avv. Riccardo Polidoro Presidente “Il Carcere Possibile Onlus” Giustizia: Cassazione; no all’acquisto di fumetti pornografici tramite “sopravvitto” Ansa, 8 dicembre 2011 I fumetti vietati ai minori di 18 anni non costituiscono “oggetto di indispensabile utilizzo” e per questo i detenuti non possono lamentarsi se questo tipo di fornitura non viene effettuata dalla ditta che ha in appalto la fornitura di beni destinati a chi è recluso. Lo sottolinea la Cassazione. In particolare la Suprema Corte, con la sentenza 45410, ha respinto il ricorso con cui un detenuto dell’istituto penitenziario di Parma protestava contro il diniego della direzione del carcere alla sua richiesta di acquisto di un fumetto vietato ai minori di 18 anni. I supremi giudici hanno spiegato al detenuto che se vuole quel genere di pubblicazioni se lo deve far spedire o dai suoi familiari o ricevendolo in abbonamento. Non costituisce infatti “violazione di un diritto soggettivo” - rileva la Cassazione - il “mancato inserimento di una specifica rivista o di determinata stampa periodica nell’elenco dei beni che l’impresa appaltatrice può acquistare nel libero mercato su richiesta dei detenuti”. Alessio A., se vuole, conclude la Suprema Corte “ben potrà farsi inviare la rivista acquistandola direttamente dalla casa editrice o facendosela spedire per posta dai familiari o da altri soggetti che l’acquisteranno per lui all’esterno”. Invece la Procura della Cassazione aveva chiesto l’accoglimento del reclamo del detenuto contro l’ordinanza emessa il 30 ottobre 2010 dal magistrato di sorveglianza. Abruzzo: il carcere di Teramo è il più affollato, quello de L’Aquila invece è sotto utilizzato www.ilcapoluogo.com, 8 dicembre 2011 Il carcere dell’Aquila è il meno affollato d’Abruzzo. È quanto si evince dai dati, resi noti dal segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, che fotografano la situazione penitenziari dall’inizio 2011 ad oggi. Ultimo in graduatoria, il carcere del capoluogo, che ospita i reclusi con il 41 bis, ha un dato di sovraffollamento negativo a -33,7%: infatti per 205 posti ci sono 136 detenuti e 36 sono quelli disponibili. Due sono stati i tentati suicidi e 3 le aggressioni agli agenti penitenziari, mentre 69 sono stati gli scioperi della fame. Il penitenziario di Teramo è invece il più affollato, con un indice attestato all’80,5%, con una capienza di 231 posti ci sono 417 detenuti e un esubero di 186 unità. Nel carcere di Teramo è stato registrato un suicidio, mentre quelli tentati sono stati 27 e 98 atti di autolesionismo, 5 le aggressioni agli agenti e 59 gli scioperi della fame intentati dai detenuti. Il penitenziario di Avezzano risulta essere secondo nella graduatoria del sovraffollamento attestato all’69,2%, con una capienza di 52 posti sono presenti 88 detenuti e un esubero di 36 unità. Nello stesso carcere sono stati registrati 2 tentati suicidi e 6 atti di autolesionismo con 16 scioperi della fame. Segue il carcere di Chieti con un indice di sovraffollamento al 68,7% e a fronte di una capienza pari a 83 posti ci sono 140 detenuti e un esubero di 57 unità. Un detenuto ha tentato il suicidio e 5 si sono procurati lesioni, un agente penitenziario è stato aggredito e 8 sono stati gli scioperi della fame. Lanciano è quarto nella scala del sovraffollamento, con un indice al 52,8% e per una capienza di 193 posti ci sono 295 detenuti con un esubero di 102 unità. Sono 3 i detenuti che hanno tentato il suicidio e 14 quelli che hanno posto in essere atti di autolesionismo, un agente è stato vittima di aggressione e 43 sono stati gli scioperi della fame. Il super carcere di Sulmona ha registrato un sovraffollamento pari al 40,2% e per un capienza regolamentare di 301 detenuti ne sono presenti 422, dato che porta a 121 le unità in esubero. In questo penitenziario c’è stato un suicidio, mentre quelli tentati sono stati 6 con 27 atti autolesionistici e 80 sono stati gli scioperi della fame. L’istituto di Vasto è sesto nella graduatoria del sovraffollamento, con un indice al 33,3% e per una capienza di 198 detenuti ne sono ospitati 264, con un esubero di 66 unità. I tentati suicidi sono stati 4 con 50 detenuti che si sono prodotti lesioni volontarie, 3 gli agenti aggrediti e 59 scioperi della fame. Il carcere di Pescara è settimo per l’indice di sovraffollamento che si attesta al 4,9%, con una capienza regolamentare di 185 posti ci sono 194 detenuti e un esubero di 9 unità. In questo carcere è stato registrato un suicidio, mentre 4 sono stati gli atti di autolesionismo e 59 gli scioperi della fame. “La prepotente urgenza alla necessità di offrire risposte al dramma penitenziario - spiega Eugenio Sarno - cui più volte ha fatto richiamo il Presidente della Repubblica, trova piena conferma e sostanziale ragione nell’analisi dei numeri. Per questo auspichiamo che il governo Monti collochi nella propria agenda alla voce priorità la questione penitenziaria. È fondamentale l’urgenza di una incisiva riforma della giustizia”. “Abbiamo forti dubbi - sottolinea il segretario generale della Uil Penitenziari - sulla credibilità di un sistema penale che determina la detenzione di circa il 42% di soggetti privi di una condanna definitiva. Non solo. L’eccessivo ricorso alla custodia cautelare alimenta il fenomeno delle sliding doors (porte girevoli) che sovraccarica il sistema di spese e lavoro. Ciò in ragione dei tantissimi detenuti che fanno ingresso in carcere per essere scarcerati solo dopo poche ore”. “Per quanto riguarda i suicidi in carcere Sarno ha affermato: “Credo che i 61 suicidi in cella che noi abbiamo monitorato dal primo gennaio ad oggi, anche se il Dap ne registra 56, ed i 924 tentati suicidi, stiano a testimoniare quanto sia necessaria una diversa concezione della detenzione, delle condizioni di detenzione e della prevenzione degli eventi critici. Scorrendo l’elenco di questi ultimi si ha la fotografia di cosa sia la realtà penitenziaria e si può ben comprendere quali siano le difficoltà della polizia penitenziaria - conclude il leader della Uil Penitenziari - a gestire una situazione ai limiti dell’ingestibilità. Nonostante queste difficoltà i baschi blu in questo 2011 hanno salvato la vita a 387 detenuti. Voglio sperare che il ministro Severino legga, valuti e, dopo aver incontrato i sindacati, metta in piedi un concreto percorso di soluzioni”. Liguria: Consiglio regionale approva Odg su riorganizzazione sistema sanitario carcerario www.riviera24.it, 8 dicembre 2011 Lorenzo Pellerano, consigliere regionale della Lista Biasotti, è primo firmatario di un ordine del giorno, approvato all’unanimità, che impegna la Giunta a disporre che le Asl effettuino ispezioni semestrali all’interno delle carceri liguri rilevando patologie dei detenuti, in particolare quelle gravi e al limite della compatibilità con il regime carcerario. L’iniziativa, portata avanti assieme al consigliere dell’Idv Nicolò Scialfa, prende spunto da un ordine del giorno già approvato in Regione Lombardia e ha come obiettivo quello di controllare che vengano rispettati i parametri igienico sanitari all’interno delle carceri, ma anche quello di monitorare con maggiore attenzione le condizioni di salute dei detenuti. “Da un rapporto sullo stato della sanità all’interno degli istituti penitenziari predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato - ricorda Pellerano - emerge che appena il 20% dei detenuti risulta sano, mentre il 38% di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37% in condizioni scadenti e il 4% in condizioni gravi e con alto indice di co-morbosità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27% dei detenuti è tossicodipendente, il 15% ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13% soffre di malattie osteo-articolari ed il 10% di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad Aids (circa il 2% dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali. Si tratta di dati nazionali che però possono essere tranquillamente rapportati alla situazione che si registra all’interno delle carceri liguri”. A fronte di una situazione così critica l’ordine del giorno approvato all’unanimità dal Consiglio Regionale sollecita la Giunta Burlando, e in particolare l’assessore alla Salute Montaldo, ad attuare completamente quanto stabilito dal decreto del 2008 con cui sono state trasferite alla Regione le competenze in materia di sanità penitenziaria e a procedere, finalmente, a una seria riorganizzazione dell’assistenza sanitaria all’interno delle carceri. “Il fatto che l’ordine del giorno - conclude Pellerano - sia stato approvato all’unanimità dimostra che entrambi gli schieramenti chiedono che il problema della sanità penitenziaria venga affrontato con provvedimenti efficaci. Mi auguro che l’assessore Montaldo e le Asl liguri diano seguito a quanto approvato dal Consiglio Regionale e dimostrino maggiore sensibilità a questo problema rispetto a quanto avvenuto fino a oggi”. Roma: il Garante dei detenuti; carceri a rischio epidemie, sono sovraffollate e sporche Ansa, 8 dicembre 2011 “Ci sono il doppio delle persone che dovrebbero esserci. In celle da 5 persone ce ne sono fino ad 11 e la situazione dei camerotti è impressionante: fa freddissimo di inverno e caldissimo d’estate. In queste condizioni il rischio tbc è altissimo”: è quanto ha evidenziato Filippo Pegorari nell’analizzare la situazione delle carceri di Rebibbia e Regina Coeli. “In tutte le carceri romane c’è un sovraffollamento terribile, carenza di igiene, questo, insieme alla mancanza di personale, crea una situazione esplosiva”. Lo afferma il garante dei detenuti di Roma, Filippo Pegorari, a margine della consegna di dieci pecore da latte alla casa circondariale di Rebibbia femminile. “Qui - spiega Pegorari - ci sono il doppio delle persone che dovrebbero esserci, una situazione analoga anche al carcere minorile e al nuovo complesso dove ci sono 1.780 detenuti e dovrebbero essere 500 in meno. In celle in cui non dovrebbero esserci più di 5 persone ce ne sono fino ad 11 e la situazione dei camerotti è impressionante: fa freddissimo di inverno e caldissimo d’estate. All’interno di Rebibbia femminile manca anche il bidet e per un carcere femminile è riprovevole. Bisognerebbe renderli vivibili almeno a livello igienico. Interpellato sulla possibilità che si sviluppino epidemie in carcere, date queste condizioni di partenza, il garante risponde: “i presupposti ci sono. Spero che non succeda, ma se entra un detenuto con la tbc è possibile che si diffonda”. Pegorari sottolinea anche “la carenza di personale di polizia penitenziaria che aggrava la situazione. Ci sono agenti sottoposti a turni impressionanti, 9-24, così non si può andare avanti”. Quindi lancia un appello alle “istituzioni, al Parlamento, al Dipartimento di amministrazione penitenziaria e al Tribunale di sorveglianza per migliorare le condizioni delle carceri romane. Almeno sotto Natale - conclude - si potrebbero aumentare le ore di colloquio, e, dove possibile, prevedere qualche permesso in più”. Brescia: nel carcere di Canton Mombello sovraffollamento del 177%, è il secondo in Italia Qui Brescia, 8 dicembre 2011 Nuovo record per la popolazione carceraria che, dato rilevato mercoledì, ha sfondato quota 68.000 a fronte di una disponibilità di 44.385 posti. A segnalare i numeri drammatici del sovraffollamento è la Uil Penitenziari che chiede perciò al governo Monti di affrontare come “priorità” la questione delle carceri. I detenuti sono diventati esattamente 68.017 (65.121 gli uomini, 2896 le donne), il che vuol dire che c’è un esubero di 23.632 reclusi rispetto alla reale capienza delle carceri e che il sovraffollamento medio nazionale ha raggiunto il 53,2%. La Regione con il più alto tasso di sovrappopolamento è la Puglia (84%), seguita da Marche (83,9%), Emilia Romagna (75.6%), Friuli (75,1%) e Lombardia (74%). Nel 12,6% degli istituti il sovraffollamento tocca punte dal 100 ad oltre il 183%, nel 42,4% degli istituti penitenziari il sovraffollamento varia dal 50 al 99%, nel 20% va dal 20 al 50%, nel 10,2% dall’ 1 al 20%. Solo il 13,8% non presenta sovraffollamento o contiene meno detenuti rispetto alla capienza prevista. Il penitenziario con il maggior tasso di sovraffollamento si conferma Lamezia Terme (183,3%), seguito da Brescia Canton Mombello (177,2%), Busto Arsizio (162,9 5), Como (150,9%), Ancona Montaguto (145%). Circa il 42% dei detenuti è in attesa di una condanna definitiva. E resta ancora molto limitato il ricorso alle misure alternative alla detenzione. I detenuti non ancora condannati in via definitiva sono 28.343: 15.549 detenuti in attesa di primo giudizio (22,9%), 7.799 appellanti (11,5%), 5005 ricorrenti (7,4%). I detenuti chiamati a scontare una pena definitiva sono invece 37.784 (55,5%); i soggetti senza posizione giuridica definita sono 335, gli internati 1570 (2,3%) . Una buona fetta di reclusi (il 36,2% del totale) è rappresentata da stranieri: sono 24.638, di cui 23.452 uomini e 1186 donne. La comunità straniera maggiormente presente è quella proveniente dal Marocco (4983 - 20,2%), segue la Tunisia (3255 - 13,2%), la Romania (2809 - 11,5%), la Nigeria (1204 - 5%), l’Egitto (534 - 2,2%) e la Jugoslavia (464- 1,9%). “La promiscuità di etnie, di percorsi delinquenziali e di età è una delle condizioni che incide direttamente nell’alimentare la spirale di violenza all’interno delle carceri. La cronica e grave deficienza numerica degli organici di polizia penitenziaria (- 7.500) e degli addetti al trattamento intramoenia (-850) impedisce di operare sia in funzione della sicurezza che del recupero e del reinserimento”, ha osservato il segretario generale della Uil Penitenziari Eugenio Sarno. “È del tutto evidente che in queste condizioni non si possono garantire i nobili obiettivi che la Costituzione, all’art. 27, assegna al sistema penitenziario italiano”. Per questo “è determinante” rivedere alcune norme per deflazionare le presenze detentive. Dall’entrata in vigore della cosiddetta svuota-carceri i detenuti ammessi alla detenzione domiciliare per residuo pena non superiore ad un anno sono stati 3.991, “ troppo pochi, come avevamo previsto”. Ma anche sul fronte della concessione di misure alternative alla detenzione “la Uil Penitenziari non può non sottolineare la ristrettezza dei numeri”. Dal 1 gennaio al 30 novembre 2011 sono state erogate a persone detenute 3.591 detenzioni domiciliari, 787 semilibertà e 5.284 affidamenti in prova. Non va meglio sul fronte delle misure di sicurezza e delle sanzioni alternative al carcere. Dal 1 gennaio al 30 novembre di quest’anno sono state erogate 3.062 libertà vigilate, 115 libertà controllate, 449 lavori di pubblica utilità e 538 ammissioni al lavoro esterno al carcere. Treviso: mancano carta igienica e sapone, il Cappellano del carcere chiede aiuto a Caritas www.oggitreviso.it, 8 dicembre 2011 Non hanno più nemmeno la carta igienica. Come non hanno abbastanza sapone e dentifricio. Che per la verità faticherebbero anche ad usare, visto che non possono contare nemmeno sugli spazzolini. Loro sono i detenuti del carcere di Treviso. È vero, meglio dirlo subito, che sono stati condannati a scontare una pena in galera, ma è altrettanto vero che non sono stati condannati a scontare una pena in galera in condizioni igienico-sanitarie devastanti. Eppure, complici i tagli ai fondi della casa circondariale, non hanno a disposizione nemmeno il minimo indispensabile per lavarsi. Tanto che adesso la stessa direzione, con il cappellano del carcere, don Pietro Zardo, ha chiesto aiuto alla Caritas. E questa ha risposto chiedendo alle parrocchie del trevigiano di mettere in piedi una colletta nel periodo prenatalizio per far avare ai detenuti almeno i beni di prima necessità. “Cerchiamo di raccogliere materiale igienico-sanitario, ma anche scarpe e biancheria, possibilmente non usate, e vestiti di ogni tipo che poi riadatteremo - spiega don Pietro Zardo - i tagli, a cui si aggiunge il sovraffollamento cronico, non garantiscono più una condizione minima di sopravvivenza, anche perché i detenuti sono in una condizione generale di povertà e le famiglie non riescono a sopperire da sole a tutto quello che manca”. Il problema, ovviamente, diventa ancora più complesso quando si ha a che fare con persone extracomunitarie che una famiglia alle spalle non ce l’hanno nemmeno. “La direzione del carcere ha fatto appello a noi per cercare di tamponare una situazione di emergenza causata da fondi sempre più limitati - rivela don Davide Schiavon, direttore della Caritas tarvisina - così, oltre al sostegno che già diamo ai detenuti, abbiamo deciso di estendere l’invito alle parrocchie chiedendo di raccogliere delle donazioni”. Perché della carta igienica o uno spazzolino non si nega davvero a nessuno. Sulmona (Aq): pubblicato bando per il nuovo padiglione del carcere, costerà 13 milioni € Ansa, 8 dicembre 2011 Pubblicata la gara d’appalto per la realizzazione del nuovo padiglione del carcere di Sulmona. Lo ha reso noto il deputato del Pdl Paola Pelino. La nuova struttura, che andrà a potenziare quella già esistente di via Lamaccio, prevede 200 nuovi posti, per un importo d’asta di 12.828.644,77 euro. Secondo il programma del ministero della Giustizia il nuovo padiglione dovrebbe ospitare la più grande casa lavoro d’Italia. Il che dovrebbe far alzare i livelli di sicurezza presenti sul territorio visto che nella nuova sezione saranno ospitati circa 400 internati. Si tratta infatti di detenuti ritenuti socialmente pericolosi, che dopo aver finito di scontare la pena sono destinatari di provvedimenti cautelari supplementari. Mazara del Vallo (Tp): reinserimento di dieci ex detenuti, con il progetto “La.b.or” La Sicilia, 8 dicembre 2011 Reinserire gli ex detenuti nel tessuto sociale ed economico è l’obiettivo del progetto “La.b.or.”, che per 4 mesi permetterà l’impiego di massimo 10 unità lavorative. Per la realizzazione del progetto l’amministrazione comunale ha sottoscritto una convenzione con la cooperativa sociale onlus “Oltre il muro” che è stata approvata tramite una delibera che reca la data di lunedì scorso. Gli ex detenuti che saranno utilizzati svolgeranno attività di manutenzione del verde urbano, si occuperanno della pulizia dell’ambiente, della tutela e della vigilanza dei siti museali, archeologici, di interesse paesaggistico e culturale, e si prenderanno cura della manutenzione di spiagge e litorali. Venezia: niente mensa per agenti che terminano il servizio alle 14; la replica del direttore La Nuova Venezia, 8 dicembre 2011 Gli agenti della Polizia penitenziaria non sono certo trattati come dovrebbero dall’amministrazione da cui dipendono, quasi peggio dei detenuti ed è proprio dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, cioè da Roma, che è arrivata la disposizione che chi di loro termina il turno alle 14 non può mangiare nella mensa della caserma. Non si tratta, come invece avevamo riportato alcuni giorni fa erroneamente, di una disposizione della comandante di Santa Maria Maggiore. Il nuovo direttore del carcere lagunare, Salvatore Pirruccio, spiega che chi svolge servizio per più di sei ore può naturalmente usufruire della mensa, anche coloro che lavorano per sei ore, ma cominciano il turno dalle 14,40 possono mangiare in mensa. Gli unici esclusi sono coloro che iniziano alle 8 e terminano alle 14. A lamentarsi della disposizione erano stati soprattutto gli agenti che trasferiscono i detenuti dal carcere alle aule dei Tribunali, spiegando che anche se terminano il servizio alle 14, la maggior parte di loro abitano nei paese della Provincia, dove arrivano un’ora anche due ore dopo essere partiti. Il direttore di Santa Maria Maggiore precisa che i componenti del Nucleo traduzioni potranno usufruire sempre della mensa, indipendentemente dalle ore di servizio, quando sono in servizio esterno, mentre non potranno usufruirne se restano in servizio interno fino alle 14 per sei ore. Nel convegno organizzato dalla Cgil il 2 dicembre scorso a dar voce al notevole disagio degli agenti penitenziari veneziani era stato Gaetano Panebianco, a lungo in servizio a Santa Maria Maggiore e ora in pensione. Aveva spiegato che per rendere più umane e civili le carceri italiane è necessario migliorare le condizioni di lavoro e il trattamento degli agenti. Bologna: detenuti e volontari puliscono il piazzale davanti alla Dozza Redattore Sociale, 8 dicembre 2011 Il 10 dicembre iniziativa di Legambiente e Piazza Grande per pulire il piazzale antistante al carcere, ora pieno di rifiuti. Coinvolti anche tre detenuti, mentre altri quattro hanno rimosso i graffiti davanti alle scuole bolognesi Ripulire il piazzale davanti al carcere della Dozza. È l’obiettivo che si dà sabato 10 dicembre un gruppo di 30-40 volontari, compresi tre detenuti che per l’occasione potranno lasciare la loro cella. All’iniziativa parteciperanno i circoli di Legambiente, l’associazione Piazza grande e volontari individuali che hanno raccolto l’invito di Roberto Morgantini. “Sul piazzale c’è di tutto: dalle bottiglie di plastica alle biciclette”, spiega Morgantini. “Il carcere sia dentro che fuori appartiene alla città. Vogliamo ripulirlo e renderlo più ordinato per il grande numero di persone che lo usano ogni giorno”. Così sabato mattina le auto parcheggiate sul piazzale verranno rimosse per non ostacolare la pulizia. Dopo verranno installati i cassonetti della raccolta differenziata. “Investiamo per il futuro”, continua Morgantini, “l’iniziativa è nata perché adesso stiamo lavorando anche dentro il carcere per rimbiancarlo. Lo faremmo entro il mese di gennaio”. Ma quella del piazzale non è l’unica “pulizia” a cui collaboreranno i detenuti della Dozza. A fine novembre si è concluso infatti il progetto “Graffi o graffiti?”, finanziato dalla provincia di Bologna e organizzato da Cefal (Consorzio europeo per la formazione e l’addestramento dei lavoratori) e Iiple (Istituto istruzione professionale lavoratori edili di Bologna e Provincia). Otto detenuti hanno seguito un corso sulle linee guida per la rimozione dei graffiti. Quattro di loro, tutti ragazzi tra i 25 e i 26 anni, hanno poi ottenuto il permesso di uscire dal carcere per andare in centro città, accompagnati dal tutor e dai tecnici del corso, per rimuovere i graffiti dai muri del liceo Copernico di via Garavaglia e dell’Istituto Aldrovandi-Rubbiani di viale Vicini. Degli altri quattro corsisti, due sono stati scarcerati e due non hanno ottenuto il permesso dal tribunale di sorveglianza necessario per l’uscita dal carcere. “La nostra prima preoccupazione”, spiega Massimo Ziccone, direttore dell’Area educativa della casa circondariale di Bologna, “sarà quella di far proseguire questi ragazzi nel loro percorso di inclusione sociale. Stiamo parlando con gli enti locali e con le associazioni, in modo da trovare le modalità più giuste. E inoltre stiamo cercando di rendere questo progetto attivo in pianta stabile, componendo una squadra di intervento cui possano partecipare anche altri detenuti”. Torino: progetto “CasAmici” dell’Enpa; 300 gatti per favorire reinserimento detenuti Dire, 8 dicembre 2011 A Torino i 300 gatti della colonia felina della casa circondariale Lorusso e Cutugno contribuiranno al reinserimento sociale dei detenuti. Il progetto CasAmici - che nasce per volontà del direttore dell’istituto Pietro Buffa, dall’assessore all’Ambiente della città di Torino, Enzo La Volta, e dalla sezione Enpa di Torino - sarà presentato venerdì 16 dicembre nel capoluogo piemontese presso l’istituto (via Pianezza 300). “Alla base del progetto - si legge in un comunicato - due necessità: da un lato quella delle persone, impegnate in un difficile percorso di riabilitazione psicologica e sociale; dall’altro a quella dei gatti che, non avendo una famiglia che si occupi di loro, hanno bisogno di cure e affetto”. A occuparsi dei mici, infatti, sarà proprio un gruppo di detenuti del Lorusso e Cutugno, coadiuvati dagli educatori della Protezione animali, i quali insegneranno loro a gestire la colonia. “Da quanto ho potuto riscontrare- commenta il presidente dell’Enpa di Torino, Giovanni Pallotti- le prime risposte al progetto CasAmici sono assolutamente entusiaste. Ad esempio, i detenuti della cooperativa Puntoacapo, che lavorano nella falegnameria, si sono già messi all’opera e hanno costruito gratuitamente una ventina di cucce destinate a far parte del villaggio dei gatti che sorgerà all’interno della casa circondariale”. Pallotti si dice “grato alle autorità e alle istituzioni che hanno permesso a questo progetto di diventare realtà. Personalmente sono convinto che CasAmici dimostrerà quanto siano benefiche la cooperazione e la convivenza tra animali e uomini, per gli uni come per gli altri”. Roma: il Comune regala dieci pecore sarde alle detenute di Rebibbia Dire, 8 dicembre 2011 Dieci pecore sarde hanno trovato casa nell’azienda agricola che si trova all’interno della casa circondariale femminile di Rebibbia. Il piccolo gregge è stato consegnato questa mattina alle ospiti del carcere dall’assessore all’Ambiente, Marco Visconti, dal garante dei detenuti di Roma, Filippo Pegorari, e dal delegato del sindaco alla salute degli animali, Federico Coccia. “Il progetto fa parte di un più ampio programma di agricoltura sociale promosso dalle aziende agricole capitoline - ha detto Visconti - che si propone di migliorare le condizioni di vita delle detenute e di favorire il processo di integrazione di persone svantaggiate. Il latte prodotto dalle pecore sarà utilizzato per la produzione di una linea di formaggi e, se la sperimentazione funzionerà’, porteremo altri esemplari nella fattoria del carcere”. L’azienda agricola di Rebibbia, due ettari di territorio interno alla struttura di detenzione, ospita galline ovaiole, conigli, polli e tacchini mentre negli orti, rigorosamente biologici, si trovano le produzioni stagionali ed ogni genere di pianta aromatica. “Si tratta di un progetto importante- ha aggiunto Filippo Pegorari- perché non solo aumenta le competenze professionali delle ospiti della struttura carceraria ma, soprattutto, favorisce il recupero del gap affettivo che aggrava ulteriormente le condizioni di vita delle detenute: abbiamo verificato, infatti, che alla presenza di animali corrisponde una forte diminuzione degli atti di autolesionismo”. “Alcune delle pecore che abbiamo consegnato - ha detto Federico Coccia - sono in stato di gravidanza e i piccoli nasceranno in primavera. Gli animali sono tutti in salute, le condizioni igienico-sanitarie delle strutture agricole sono più che perfette, a testimonianza del grande lavoro eseguito dalle lavoranti e dell’attenzione rigorosa prestata del personale ministeriale”. L’assessore Visconti, infine, ha ricordato pubblicamente Leda Colombini per l’impegno a favore delle detenute di Rebibbia, rendendole omaggio con un lungo applauso. Genova: Sappe; detenuto da in escandescenza e tenta la fuga dal tribunale Comunicato stampa, 8 dicembre 2011 “Resta alta la tensione nelle carceri liguri: la Polizia Penitenziaria di Genova ha infatti sventato questa mattina l’ennesima criticità durante un servizio di trasferimento di un detenuto. È accaduto pochi minuti fa al VII piano del Palazzo di Giustizia di Genova, dove una scorta del Nucleo Traduzioni di Marassi stava accompagnando alle celle interne un detenuto al rientro da una udienza presso la III Sezione Appello. Una volta a bordo dell’ascensore, il detenuto - un marocchino di circa 30 anni, detenuto per reati connessi allo spaccio di droga - ha dato improvvisamente in escandescenza e, strattonando gli Agenti, ha tentando la fuga. I colleghi sono però riusciti immediatamente, con grande professionalità e prontezza, a sventarne la fuga e lo hanno immediatamente accompagnato nella cella e, quindi, al carcere di Marassi”. È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando quanto avvenuto questa mattina a Marassi. “Ai colleghi interessati, e al Nucleo Traduzioni di Polizia penitenziaria di Genova Marassi, esprimo la vicinanza e l’apprezzamento del primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo, il Sappe, per avere sventato la fuga del detenuto. Questo ennesimo grave episodio va certamente contestualizzato nel clima di tensione che si registra nelle sovraffollate carceri italiane, in cui l’esplosiva combinazione tra il grave sovraffollamento pari ad oltre 68mila detenuti - e una carenza di 7.500 unità negli organici della Polizia penitenziaria - 140 agenti in meno a Marassi - determina di fatto livelli di sicurezza assolutamente insufficienti per i nostri Agenti, specie per coloro che lavorano ogni giorno, ogni ora, nella prima linea delle sezioni detentive, delle traduzioni e dei piantonamenti. Mi auguro che le Istituzioni deputate - Governo, Ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ognuno per quanto di propria competenza - adottino al più presto i provvedimenti di urgenza che la gravissima situazione penitenziaria impone di adottare senza ulteriore indugio”. Caltanissetta: detenuto tenta il suicidio per quattro volte, ora è sorvegliato a vista La Sicilia, 8 dicembre 2011 Dopo la condanna in primo grado a 17 anni, emessa dal Tribunale nell’aprile di quest’anno, per presunti abusi sessuali sulla figlia, l’operaio nisseno G.D.B. ha tentato il suicidio in carcere per quattro volte e viene sorvegliato a vista dagli uomini della Polizia Penitenziaria. Ieri mattina gli avvocati difensori Massimiliano Bellini e Vincenzo Ferrigno hanno chiesto alla prima sezione penale della Corte d’Appello la scarcerazione del loro cliente sulla base degli accertamenti svolti dal medico legale Vito Milisenna, il quale ha svolto una consulenza sulle condizioni di G.D.B., arrivando alla conclusione che sarebbe opportuno svolgere una perizia psichiatrica sull’operaio. Due volte G.D.B. avrebbe assunto dosi eccessive di farmaci, una volta avrebbe provato ad impiccarsi con una corda, e in un’occasione avrebbe rotto gli occhiali e ingoiato i vetri. Adesso la decisione toccherà alla prima sezione penale della Corte d’Appello (presidente Letterio Aloisi, consiglieri Andreina Occhipinti e Cesare Zucchetto) il prossimo 20 dicembre, data a cui è stata rinviata l’udienza per la discussione dell’istanza di scarcerazione. Sempre quel giorno, inoltre, è fissato il processo d’appello per G.D.B., che chiederà ai giudici di secondo grado l’annullamento della condanna a 17 anni per violenza sessuale sulla figlia minorenne. Una vicenda drammatica quella che venne a galla nel marzo 2010 all’esito di un’indagine portata avanti dai sostituto procuratori Maria Pia Ticino ed Edoardo De Santis assieme agli uomini della Squadra Mobile di Caltanissetta. G.D.B. venne arrestato e da allora si trova detenuto nel carcere “Malaspina” di Caltanissetta. L’inchiesta partì dalla denuncia della figlia minorenne dell’operaio, la quale accusò il padre di averla sottoposta ad abusi sessuali fin da quando era bambina. La ragazza, oggi sedicenne, ha raccontato numerosi episodi di violenza. Accuse che G.D.B. ha sempre respinto, affermando che la figlia avrebbe voluto vendicarsi perché lui non approvava la relazione che la giovane aveva iniziato con un ragazzo. Palermo: neonato in overdose cocaina; la madre resta in cella, manca posto per domiciliari Agi, 8 dicembre 2011 Nonostante il Gip abbia deciso di concederle gli arresti domiciliari nell’abitazione di sua madre, a Bagheria, in provincia di Palermo, la mamma del piccolo Samuele, il neonato ricoverato per overdose di cocaina a Palermo, per ora dovrà restare nel carcere palermitano di Pagliarelli. La madre dell’indagata, infatti, ha rifiutato di ospitarla e la Procura non è riuscita a trovare un’alternativa, una struttura che accettasse di offrire alloggio alla donna. Il Gip Sergio Ziino potrebbe dunque modificare l’ordinanza emessa ieri in tarda serata e stabilire la custodia cautelare in carcere. Oggi, inoltre, il pm Ennio Petrigni, che coordina l’inchiesta, ha chiesto agli esperti della polizia di sentire e visitare anche il figlio più grande della donna, che ha sei anni e mezzo ed è attualmente affidato al padre naturale. Non sarebbero stati riscontrati segni di maltrattamenti (ma questo non esclude che il piccolo abbia potuto subirne in passato), ma evidenti segni di ritardo cognitivo. Il bambino non sarebbe in grado di leggere. Sono stati sentiti nuovamente anche i medici del pronto soccorso che hanno preso in cura il piccolo Samuele e che hanno scoperto, oltre ai lividi e ai segni di bruciatura sul suo corpo, anche la presenza di cocaina nel suo sangue. Bolzano: arrestato Max Leitner dopo 37 giorni di latitanza, era la sua quinta evasione di Luisa Righi Ansa, 8 dicembre 2011 Aveva detto che non si sarebbe più fatto prendere vivo. Non è andata così e poco dopo l’alba Max Leitner, il re delle evasioni, è stato arrestato e si trova ora nel carcere di Trento. Il rapinatore di banche, altoatesino di 52 anni, era evaso dal carcere di Asti 37 giorni fa. Era la sua quinta evasione. È stato bloccato dai militari del comando provinciale dei carabinieri di Bolzano e dai reparti speciali dell’Arma in una villetta di Vandoies, un comune di 3 mila abitanti in val Pusteria. Ad avere condotto i militari sulle tracce di Leitner anche alcuni elementi emersi da un filmato postato di recente su Youtube nel quale l’uomo aveva tra l’altro chiesto la grazia al presidente Napolitano Max Leitner stava dormendo su un divano, i carabinieri hanno fatto irruzione nella casa dove si era rifugiato. “Appariva molto frastornato”, ha detto uno degli uomini dell’Arma che hanno preso parte all’irruzione. “Gli abbiamo chiesto se era Max - racconta il militare - ha detto di sì, allora abbiamo chiesto se era Max Leitner e ci ha risposto sempre di sì”. Il noto rapinatore non era armato e non ha opposto resistenza. I Reparti speciali, che avevano da tempo individuato la villetta a schiera nella quale il malvivente si era nascosto, hanno atteso che il padrone di casa, un vecchio conoscente di Leitner, Erwin Heinrich Purer, di 61 anni, si allontanasse dall’abitazione. L’uomo era uscito per far passeggiare il suo cane. I carabinieri lo hanno fermato e dovrà ora rispondere del favoreggiamento dell’evasione. Sono stati una cinquantina gli uomini dell’Arma che hanno preso parte all’operazione. “L’arresto - ha detto il comandante provinciale dell’Arma Andrea Rispoli - è avvenuto dopo ore ed ore di osservazione del territorio e degli ambienti vicini a Max Leitner”. Venuti a conoscenza dell’arresto hanno espresso grande soddisfazione per l’operazione dei carabinieri il procuratore di Bolzano Guido Rispoli, il procuratore generale di Brescia Guido Papalia, che coordinava le indagini dopo la fuga di Max Leitner durante un permesso premio, e il procuratore generale di Trento Giovanni Pescarzoli. Trovato materiale film You tube Un grande telo mimetico ed un parka per condizioni estreme: è stata trovata anche l’attrezzatura per girare il film postato su You tube nell’abitazione dove stamani poco dopo l’alba i carabinieri del Gis hanno catturato Max Leitner, il rapinatore altoatesino di 52 anni evaso dal carcere di Asti 37 giorni fa. L’attrezzatura, trovata nel corso di una perquisizione, era stata usata per realizzare il film nel quale l’evaso chiedeva la grazia al presidente Napolitano. Il filmato sembrava girato all’interno di una grotta ma in realtà si trattava di una messa in scena. Il rapinatore è stato trovato in casa di un vecchio conoscente, Erwin Heinrich Purer, 61 anni, del posto. I carabinieri hanno individuato il luogo dove l’evaso si teneva nascosto e stamattina è scattata l’operazione che ha portato all’arresto di Leitner. Cagliari: lunedì il ministro Severino e il capo del Dap Ionta faranno visita al carcere Apcom, 8 dicembre 2011 La prima visita del ministro della Giustizia Paola Severino nelle sovraffollate carceri italiane sarà lunedì prossimo, 12 dicembre, presso la casa circondariale Buoncammino di Cagliari. È quanto riferisce una nota del ministero. “È in questo istituto - si sottolinea nel comunicato - che nei giorni scorsi Monica Bellafiore, detenuta in attesa di giudizio, si è tolta la vita, così allungando la dolorosa lista di 56 persone che dall’inizio dell’anno si sono suicidate in cella. Accompagnata dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, il ministro Severino porterà la sua vicinanza a coloro che soffrono in carcere e agli operatori penitenziari che quotidianamente lavorano in una situazione di emergenza”. Mondo: cresce numero giornalisti in carcere, la maggior parte per aver criticato governo Asca, 8 dicembre 2011 È aumentato di oltre il 20% il numero di giornalisti arrestati nel mondo, toccando il livello più alto dalla metà degli anni 90 (nel 1996 erano 185). Lo denuncia il Comitato per la protezione dei giornalisti, che ha sede a New York e che nell’ultimo rapporto vede un incremento considerevole di arresti di reporter soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa. Alla data del primo dicembre 2011 sono state censite in carcere 179 persone, tra redattori, direttori e fotoreporter, 34 in più rispetto al 2010. L’Iran è in cima alla lista nera con 42 giornalisti dietro le sbarre. Segue l’Eritrea con 28, la Cina con 27, il Myanmar con 12 e il Vietnam con 9. Il rapporto ha inoltre registrato un allarmante aumento del numero di giornalisti detenuti senza alcuna accusa ufficiale, né procedura regolare: si tratta di oltre un terzo del totale. Circa la metà degli arrestati sono giornalisti online, mentre il 45% sono giornalisti freelance. Questi ultimi “possono essere vulnerabili perché spesso non dispongono dell’appoggio giuridico e finanziario che gli organi di stampa possono fornire ai dipendenti” dice il Comitato. Nel mondo, la maggior parte dei giornalisti in prigione ha subito l’arresto per mano del proprio governo per aver formulato critiche allo stato o per aver violato le regole della censura. Gran Bretagna: la realtà penitenziaria italiana e quella inglese sono molto simili… di Simona Carandente (Avvocato) Il Mediano, 8 dicembre 2011 Sovraffollamento, popolazione carceraria, esigenze di tutela della collettività: terminologie iper-diffuse, a tratti abusate da mass media ed organi di stampa, utili ad evidenziare problematiche onnipresenti e per le quali, a prescindere dalle forze politiche schierate in campo, sembra sempre più improbabile e lontana una soluzione in via definitiva. Eppure, al di là dei discorsi fatti e rifatti, sempre uguali a se stessi, l’opinione pubblica non immagina che in altri paesi europei, quali ad esempio la civilissima Inghilterra, la situazione penitenziaria non sia tanto lontana dalla realtà italiana, pur con alcuni aspetti peculiari e fortemente caratterizzanti. Secondo pacifica ammissione del ministro della Giustizia inglese, pigra e noiosa è l’esistenza di buona parte della popolazione carceraria, posto che sono ben pochi coloro che riescono a svolgere nell’istituto di pena qualsivoglia attività lavorativa. Addirittura, in un comunicato del sindacato delle guardie penitenziarie dell’aprile 2008, si lamenta l’eccessivo permissivismo e lo scarso rigore in cui i detenuti espiano la pena detentiva, potendo accedere liberamente a televisione, tavoli da biliardo, stereo ed addirittura playstation. Libertà estrema, inoltre, sarebbe garantita ai detenuti in regime di “Open Prison” (una sorta di nostrana semilibertà), dove il detenuto passa l’intera giornata al di fuori dell’istituto, in piena libertà, con il solo obbligo di trascorrere la notte all’interno del penitenziario. Secondo l’opinione comune, tale permissivismo carcerario sarebbe figlio del sovraffollamento carcerario, posto che in pochi anni il numero di detenuti accolto nelle carceri di Inghilterra e Galles sarebbe addirittura raddoppiato. Responsabile in tal senso l’intero sistema detentivo anglosassone, dove le misure alternative alla detenzione sono rare e qualunque tipo di reato, anche il meno grave, viene sanzionato facendo ricorso al carcere, con eccezionale incremento dei costi di gestione dell’intero sistema. Negli ultimi anni, una triste piaga affligge il sistema carcerario inglese: il terrorismo che, dopo i numerosi attacchi (in particolare quello alla metropolitana del luglio 2005) è presente in misura massiccia nella realtà detentiva nazionale. Si conta che, allo stato, più del 10 per cento della popolazione carceraria sia di derivazione islamica, con numerose cellule estremiste ed in assoluto crescendo. Curioso, poi, è il fenomeno del costante aumento della comunità dei fedeli di Allah all’interno dei penitenziari. Le conversioni in tal senso sarebbero, secondo le stime, di natura utilitaristica e finalizzate a godere della protezione della comunità stessa, oltre che della fruizione di pasti diversi e di migliore qualità, nonché del venerdì libero dagli orari del penitenziario per consentire le preghiere di rito. Stati Uniti: la “pantera nera” morirà in cella, niente boia per Mumia Abu Jamal di Vittorio Zucconi La Repubblica, 8 dicembre 2011 Morirà in gabbia, non per le mani del boia, la vecchia Pantera divenuta un simbolo internazionale della battaglia infinita contro la pena capitale. Quando nel 1981 uccise, secondo l’accusa, un poliziotto nelle mean street di Philadelphia sparandogli a freddo in mezzo agli occhi, Mumia Abu-Jamal, allora chiamato Wesley Cook, divenne quasi immediatamente l’incarnazione dell’incubo dell’afro americano violento, ribelle, sovversivo, che la giustizia bianca voleva uccidere per annientare in lui quello che lui incarnava. Ieri, dopo trent’anni di carcere duro, dei quali gli ultimi sedici trascorsi nel braccio della morte in cella d’isolamento, Mumia ha saputo che la sua vita sarà risparmiata dal pubblico ministero che ha rinunciato all’ennesimo ricorso per ottenere l’esecuzione. La ex “Pantera Nera” ingabbiata vivrà, se quella è vita. Anche lui, come tutti gli ospiti delle galere e specialmente coloro che trascorrono ogni minuto aspettando di sapere se e quando gli introdurranno l’ago nel braccio, non era più il ragazzo sicuramente violento e ideologicamente motivato di quanto entrò dietro le sbarre. I suoi compagni di sventura lo avevano soprannominato “Pops”, papà, guardando i suoi lunghi “dreadlocks”, le treccine, ingrigirsi e la sua carica ribelle non esaurirsi, ma incanalarsi nei libri e nelle memorie che scrivere, come la famosa “In diretta dal braccio della morte” che divenne un libro di culto dove gruppi di pressioni erano nati per chiedere gli salvargli almeno la vita. Si era adattato, senza mai addomesticarsi, Mumia, a un’esistenza che lo costringeva per 23 ore al giorno nella gabbia di tre metri per due, senza rinunciare a sostenere la propria innocenza e la ingiustizia razzista perpetrata contro di lui, per colpire tutta la comunità afro di una città come Philadelphia che aveva visto rivolte, sommesse, giornate di guerriglia e massacri in bianco e nero. Ora sa che morirà in carcere, senza nessuno di quei piccoli privilegi e di quelle avare concessioni che i direttori delle carceri, e gli agenti di custodia fanno agli anziani e ai detenuti di lungo corso. “Mi accerterò con ogni mezzo - ha promesso il “Ditstrict Attorney “, il procuratore distrettuale Seth Williams, un afroamericano, nella sua rabbiosa arringa di resa finale - che la sua vita, quello che ne rimane, sia tanto dura quanto i regolamenti consentono”. Nel braccio della morte del carcere statale di Greene, in Pennsylvania, Mumia aveva visto passare tre compagni di pena avviati sul sentiero del morto che cammina, perché la Pennsylvania è, dal 1976 quando il supplizio finale fu autorizzato negli Usa, uno degli Stati più moderati nell’applicarlo, rispetto ai macellai texani, che ne hanno uccisi 477 o della Virginia, con 109. Anche lui, come i più fortunati dei suoi compagni, era scampato per tre decenni al boia grazie al labirinto di ricorsi, appelli e petizioni. Nel suo caso, che la giustizia aveva voluto rendere simbolico, lo stesso simbolismo si è rivoltato contro i suoi persecutori e lo ha reso oggetto di una mobilitazione internazionale. Ma neppure i cortei, i sit-in, i libri, le interviste alla radio, quella radio dalla quale lui, negli anni ‘70, lanciava come direttore della “Black Network” i messaggi politici di rivolta, lo avrebbero risparmiato se non avesse trovato un giudice di origine coreana, William Yon, e poi soprattutto la Terza Corte d’Appello, notoriamente e scandalosamente progressista per i conservatori, che avrebbero formato il muro di gomma sul quale tutti gli assalti si sarebbero esauriti. La sua colpevolezza nell’assassinio del poliziotto Daniel Faulkner, un giovane agente di 25 anni, rimane accertata, per la giustizia. Il rapporto ufficiale della polizia racconta che nella notte del 9 dicembre di trent’anni or sono l’agente Faulkner di pattuglia nella zona nera della città fermò un taxi per controlli. Al volante c’era il fratello dell’allora Wesley, oggi Mumia convertito all’Islam nero. Dalla notte, sbucò un’altra auto, pilotata dall’imputato che si fermò accanto al taxi. Ne scese Mumia che avvicinò il poliziotto, gli sparò e quando lo vide a terra lo finì con un colpo fra gli occhi. Né Mumia, né il fratello, testimoniarono mai. Soltanto nel 2001 il fratello, il tassista, consegnò all’avvocata che rappresentava l’ex Pantera Nera un “affidavit”, una deposizione giurata nella quale spiegava che non il fratello, ma un terzo uomo, aveva ucciso l’agente Faulkner. Bastò questo per riaprire il sentiero dei ricorsi e degli appelli. E ieri, con il capo della polizia, la vedova della vittima e il figlio orfano accanto, il procuratore ha annunciato la propria resa, dopo che il giudice Yon gli aveva messo davanti un aut-aut: o continui a chiedere l’esecuzione, e trascorreranno anni facendo spendere fortune ai contribuenti o ti arrendi e rinunci, in cambio della certezza che il condannato non uscirà mai vivo dal penitenziario di Greene. Schiumando, battendo i pugni sul leggio, il procuratore si è piegato. La condanna a rinunciare alla sua vita è rimasta, per la Pantera che ormai ha 57 anni, ma sarà il tempo, non gli uomini, a eseguirla. Israele: 164 i minori palestinesi nelle carceri, 35 di loro hanno meno di 14 anni www.nena-news.it, 8 dicembre 2011 A settembre 2009, Israele ha istituito la Corte Minorile Militare. Due anni dopo, Israele ha adempiuto agli obblighi previsti dal diritto internazionale e ha innalzato la maggiore età nelle corti militari da 16 a 18 anni. Il cambiamento non ha portato a miglioramenti nella pratica e gli abusi contro i bambini palestinesi detenuti continuano. Fin dall’inizio della Seconda Intifada nel settembre 2000, le autorità di occupazione hanno iniziato ad utilizzare gli ordini di detenzione amministrativa contro i bambini. Secondo la legge internazionale, questo tipo di fermo è permesso solo su scala molto limitata, specialmente nei confronti di minori. Ogni anno sono circa 700 i bambini dei Territori occupati arrestati dall’esercito israeliano e perseguiti in tribunale. Al momento, 164 minori palestinesi sono prigionieri in Israele, la maggior parte di loro per aver tirato delle pietre. Sebbene sia proibito dalla legge israeliana detenere qualsiasi essere umano sotto i 14 anni, 35 dei bambini prigionieri hanno tra i 12 e i 13 anni. È allarmante che minori vengano arrestati sia in violazione della legge israeliana che quella internazionale. E quello che è ancora più preoccupante è il modo in cui i bambini vengono trattati durante l’arresto, l’interrogatorio e la detenzione. Da tempo le Ong che monitorano il trattamento dei minori nelle carceri israeliane pubblicano rapporti sugli abusi mentali e fisici. In molti casi, i ragazzi palestinesi vengono arrestati nelle loro case durante la notte e portati via dai soldati senza poter essere accompagnati dai genitori. Allo stesso modo, gli interrogatori hanno luogo senza la famiglia né l’avvocato. Spesso trascorrono ore e giorni prima che vengano interrogati. Mentre aspettano l’interrogatorio, ai minori spesso sono negati bisogni primari come dormire, mangiare, bere o andare in bagno. Fonti palestinesi e internazionali denunciano che durante tutte le fasi dell’arresto, la violenza è comune: pugni, calci, schiaffi e tirate di capelli. A ciò si aggiungono, affermano le stesse foni, anche molestie di carattere sessuali Un altro serio problema è dato dal fatto che non c’è alternativa alla custodia cautelare fino al termine delle procedure, secondo la legge militare applicata ai minori palestinesi detenuti. Di conseguenza, molti bambini confessano il crimine di cui sono accusati solo per evitare tempi più lunghi di detenzione. Le confessioni, che i minori sono costretti a firmare, sono spesso redatte in ebraico, una lingua che la maggior parte dei palestinesi non sa leggere. Circa il 93% dei minori coinvolti nel lancio di pietre tra il 2005 e il 2010 è stato condannato alla prigione, elemento che dimostra che difficilmente vengono applicate punizioni alternative al carcere. La durata della detenzione varia, passando da pochi giorni fino ad oltre venti mesi. Una simile esperienza nuoce seriamente alla crescita di questi bambini: una volta rilasciati, la maggioranza degli ex prigionieri soffre di svariati problemi, sociali, finanziari ed emozionali. Il maltrattamento dei bambini palestinesi nelle corti e nelle prigioni israeliane è costantemente ignorato. Manca anche la mera attenzione alle condizioni dei minori durante la prigionia, anche nell’attualità più ovvia: quando, ad ottobre di quest’anno, Gilad Shalit è stato liberato in cambio di 1.027 prigionieri palestinesi, nessuno ha parlato dei minori detenuti; né le autorità israeliane, né la comunità internazionale, né Hamas. Nena News Russia: Consiglio d’Europa preoccupato per arresto di manifestanti anti-Putin Agi, 8 dicembre 2011 L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) ha espresso “preoccupazione” per gli eventi post-elettorali in Russia e ha chiesto la liberazione dei manifestanti arrestati nei quattro giorni di proteste contro i risultati delle legislative di domenica. Due membri della delegazione di osservatori Apce al voto del 4 dicembre, Andi Gross e Gyorgy Fronda, hanno denunciato “la mancanza di giustificazioni da parte delle autorità russe per arrestare e detenere centinaia di persone, radunatesi per protestare pacificamente”. In un comunicato stampa si fa notare che, al contrario, i manifestanti “hanno il diritto di essere protetti dalla polizia, come coloro che invece esprimono il loro supporto al partito vincitore”. Da quattro giorni a Mosca l’opposizione scende in piazza per chiedere l’annullamento delle legislative, inficiate da brogli su vasta scala, denunciati anche dall’Osce. Le autorità hanno risposto con fermi e arresti arrivati a quasi mille tra Mosca e San Pietroburgo. Gli osservatori della missione Apce hanno chiesto alla Russia il rilascio “immediato” di tutti i detenuti e la fine degli arresti. Ieri anche Francia e Stati Uniti hanno espresso “preoccupazione” per la repressione delle proteste di piazza, seguite al voto che ha incoronato di nuovo partito di maggioranza, il putiniano Russia Unita. Tibet: monaco in carcere in gravi condizioni di salute a causa delle torture subite Ansa, 8 dicembre 2011 Thapkay Gyatso, un monaco tibetano del monastero di Labrang che è in carcere con una condanna a 15 anni nella provincia di Gansu, potrebbe essere in gravi condizioni di salute “a causa di anni di torture”. Lo ha reso noto oggi il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia (Tchrd) di Dharamsala, in India. Sulla base di informazioni ricevute dallo stesso Tchrd, “un amico che ha visitato Thapkay Gyatso in luglio ha riferito che è in carcere in un luogo denominato Dianxin, a 100 chilometri da Lanzhou, nella provincia cinese di Gansu”. Lo stesso amico ha sostenuto che Thapkey “è semiparalizzato ed ha disturbi visivi”. Il monaco tibetano, che ha 34 anni, è stato arrestato il 18 marzo 2008 dalla polizia e dai servizi di sicurezza nel monastero di Labrang e per “circa un anno è stato come un desaparecido”. Il 19 maggio 2009 il tribunale del popolo della prefettura di Kanlho lo ha riconosciuto colpevole di aver !pregiudicato la sicurezza nazionale”, condannandolo a 15 anni di carcere. Francia: Osservatorio internazionale prigioni (Oip); carceri sporche e con servizi scadenti Ansa, 8 dicembre 2011 Sporche, sovraffollate e con servizi scadenti: è la situazione critica delle carceri francesi secondo uno studio dell’Osservatorio internazionale delle prigioni (Oip). In Francia ci sono attualmente 64.000 detenuti, un numero record, che vivono in celle spesso insalubri e troppo piccole: i malati di tubercolosi in carcere sono dieci volte superiori alla media nazionale. L’accesso alle cure è scadente (per avere una visita medica si può attendere oltre un anno), spesso i diritti umani non sono rispettati e solo il 24% dei prigionieri lavorava nel 2010 per uno stipendio medio di 318 euro al mese. Tra gennaio e ottobre di quest’anno 97 detenuti si sono suicidati, un aumento dell’8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Germania: Tribunale Sassonia; ergastolani devono avere cella 20mq, con bagno e cucina Agi, 8 dicembre 2011 I carcerati tedeschi condannati a lunghe pene detentive a tempo indeterminato, teoricamente all’ergastolo, vanno alloggiati in celle di lusso, con una superficie di 20mq, dotate di bagno e cucina separati. Lo ha deciso la Corte d’Appello di Naumburg per 24 detenuti della Sassonia, della Sassonia-Anhalt e della Turingia, sottoposti alla “Sicherungsverwahrung”, la detenzione di sicurezza, che dopo il fine pena può essere decisa da un giudice a tempo indeterminato nei riguardi di condannati per gravissimi reati, come quelli di omicidio per stupro, considerati potenzialmente recidivi. Poiché nelle prigioni tedesche sono oltre 500 i detenuti che rientrano in questa categoria, la Bild parla oggi di “Luxus-Zellen”, celle di lusso, che costeranno milioni di euro alla collettività. Il tribunale di Naumburg ha infatti sentenziato che ad ogni detenuto in “Sicherungsverwahrung” spetta “una cella di almeno 20mq, con servizi igienici dotati di doccia e di un cucinino con frigorifero”. Secondo il portavoce della Spd per le questioni giudiziarie, Burkhard Lischka, “anche gli altri detenuti in altri Laender che rientrano in questa categoria presenteranno le stesse richieste”, con il risultato che i tribunali restii ad accettarle “dovranno motivare alla Corte costituzionale il mancato rispetto della sentenza di Naumburg”. Romania: scoperta a Bucarest “prigione segreta” della Cia Nova, 8 dicembre 2011 La collocazione esatta della “prigione segreta” della Cia sul territorio romeno, di cui da tempo era nota l’esistenza e che venne usata nel periodo successivo agli attentati dell’11 settembre 2001, stata rivelata in un servizio dell’emittente televisiva tedesca “Ard”. Secondo le rivelazioni, non confermate, la prigione si troverebbe in un edificio a pochi minuti dal centro di Bucarest, in una zona residenziale molto popolata. Ufficialmente, vi ospitato il Registro nazionale romeno delle informazioni classificate, in cui sono custoditi documenti riservati della Nato e dell’Ue. Il servizio di “Ard” afferma che nel corso dell’operazione con nome in codice Bright Light (“luce splendente”), la Cia ha usato l’edificio per custodirvi temporaneamente noti terroristi catturati in missioni speciali. Fra i detenuti, vi sarebbe stato anche Khalid Sheikh Mohammed, uno degli organizzatori degli attentati dell’11 settembre. Tailandia: oltraggio al re, 2 anni e mezzo carcere ad americano Agi, 8 dicembre 2011 Un cittadino americano, nato in Thailandia ma ormai residente da anni in Colorado, è stato condannato a due anni e mezzo di carcere dal Tribunale Penale di Bangkok per oltraggio alla Corona: era stato arrestato lo scorso maggio, mentre si trovava in vacanza nel Paese d’origine, per aver violato la legge locale sulla lesa maestà, una delle più rigide al mondo. La sua ‘colpà sarebbe stata quella di aver postato sul proprio blog commenti e informazioni giudicati lesivi della dignità dell’84enne re Bhumibol Adulyadej. Soprattutto, ha tradotto in lingua thai e inserito on-line una biografia del sovrano scritta da un autore statunitense, che nello Stato asiatico è però al bando perchè avrebbe osato scalfirne lo status semi-divino. È andata ancora bene: l’uomo, Lerpong Wichhaikhammat, che nella sua nuova patria ha adottato il nome di Joe Commart Gordon, 55 anni, di professione venditore di auto, rischiava infatti fino a quindici anni di prigione. Gliene erano in effetti stati inflitti cinque, che però i giudici hanno poi deciso di dimezzare giacché durante il processo, in ottobre, si era dichiarato colpevole. Joe-Wichai non intende nemmeno presentare appello: conta infatti di ricevere la grazia dal Re. Prima della lettura del verdetto ha tenuto però a fare una precisazione: “Io non sono thailandese, sono americano”, ha rivendicato. “In Thailandia ci sono semplicemente nato. Ho un passaporto americano. Qui ci sono molte leggi che non ti consentono di manifestare la tua opinione, ma in America non abbiamo nulla del genere!”, ha protestato. La sentenza è stata giudicata troppo “severa” dalla console generale Usa, Elizabeth Pratt: “Continuiamo a rispettare la monarchia thailandese, ma sosteniamo al contempo la libertà di espressione che”, ha ricordato, “è internazionalmente riconosciuta come un diritto dell’uomo”. Il caso è tutt’altro che isolato: un mese fa il 61enne Ampon Tangnoppakul era stato condannato a ben vent’anni di reclusione per aver inviato con il suo cellulare messaggini che sarebbero stati offensivi nei confronti della Casa Reale.