È morta Leda Colombini Fino a ieri era sempre la stessa, la persona che ognuno di noi, che da anni ci occupiamo di galere, vorrebbe continuare a essere in tutte le età della vita: infaticabile, combattiva, una miniera di idee inesauribile. Ci hanno detto ieri che si è sentita male improvvisamente, e oggi è arrivata la notizia della sua morte. Vogliamo parlare di lei, di quello che ci ha dato, della passione che ci ha trasmesso, sappiamo che arriveranno le parole di Angiolo Marroni, suo marito, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, della Consulta penitenziaria del Comune di Roma, del Forum per la Salute delle persone private della libertà personale, dell’associazione A Roma Insieme, di tutte quelle realtà di cui Leda è stata testa e cuore. Ma sappiamo anche che in questo momento Leda era, come tutti noi, arrabbiata per la desolazione delle carceri, per l’assenza di prospettive, per un sovraffollamento che uccide qualsiasi speranza di un futuro diverso. E quindi continueremo a batterci per quello per cui lei non ha mai smesso di battersi, un futuro con meno carceri, carceri più umane e più nessun bambino che debba trascorrerci dentro la sua infanzia. Grazie Leda, davvero, con tutto il cuore. La Redazione di Ristretti Orizzonti Giustizia: troppi detenuti, disagi e malasanità… “malattie” che contagiano gli agenti Corriere della Sera, 6 dicembre 2011 Sovraffollamento e suicidi nelle carceri vanno di pari passo. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, a fine 2010, il numero totale dei detenuti presenti nelle “patrie galere” era pari a 67.961 soggetti. La capienza regolamentare complessiva sarebbe pari a 45.022 condannati, ma si calcola che, al momento dell’ultima rilevazione effettuata, le presenze siano 22.939 in più rispetto a quelle stimate. Il picco massimo dei suicidi, poi, si è raggiunto nel 2009 quando, su un totale di 177 detenuti deceduti, 72 persone hanno volontariamente deciso di togliersi la vita. E non solo. La promiscuità favorisce la diffusione di infezioni e malattie. Così, accanto a patologie da sempre predominanti - sessualmente trasmesse, epatite B e C, Aids - stanno riaffiorando patologie che sembravano ormai superate come la tubercolosi. La Polizia Penitenziaria svolge il suo compito in una situazione di grande tensione e difficoltà la cui causa principale è il sovraffollamento delle carceri e un numero di agenti inferiore a quanto previsto dalla pianta organica. Gli agenti pagano un caro prezzo, come dimostrano gli ultimi due drammatici eventi di cronaca: il suicidio dell’ispettore capo Sergio C. di 47anni avvenuto il 19 ottobre 2011 e la morte dell’assistente capo Salvatore Corrias schiacciato dal cancello del reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini avvenuto il 20 ottobre 2011. Per questo lo spettacolo teatrale a Regina Coeli dal titolo “24 gennaio 1944, la fuga da Regina Coeli di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat” andato in scena il 5 dicembre, è stato dedicato a loro. L’iniziativa è un riconoscimento dell’azione svolta dagli agenti all’interno del carcere. L’investimento sulla formazione e sulla professionalità degli agenti di Polizia Penitenziaria contribuisce a rendere effettivo il dettato costituzionale. Lunedì 5 dicembre presso la Rotonda della Casa Circondariale di Regina Coeli a Via della Lungara 29 è andato in scena lo spettacolo teatrale “24 gennaio 1944, la fuga da Regina Coeli di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat” con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale prodotto dal Centro Studi Cappella Orsini a cura di Gioia Costa e la direzione Artistica di Roberto Lucifero. Allo spettacolo hanno partecipato: Francesca Ciocchetti nella parte di Marcella Monaco, Francesco Colella nella parte di Sandro Pertini, Gianluigi Fogacci nella parte di Giuseppe Saragat, Blas Roca Rey nella parte di Giuliano Vassalli e Roberto Latini nella parte di Ugo Gala . Il testo racconta la fuga da Regina Coeli, organizzata dal futuro Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli, di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, entrambi poi futuri presidenti della nostra Repubblica. Erano stati arrestati durante l’occupazione nazi-fascista di Roma e Giuliano Vassalli ideò il piano, che riuscì grazie alla collaborazione del medico di Regina Coeli Alfredo Monaco, di sua moglie Marcella Monaco e dell’agente di Polizia Penitenziaria Ugo Gala. Lo spettacolo rievoca un evento importante per la Repubblica futura ma vuole anche, attraverso il ruolo dell’agente Ugo Gala, far riflettere sulla funzione della Polizia Penitenziaria nell’attuazione dell’art. 27 della Carta Costituzionale (dove si dice che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) quanto far riflettere sul contributo che questa ebbe nella rinascita dello Stato democratico all’indomani della sconfitta del nazi-fascismo da parte dei partigiani del Comitato di Liberazione Nazionale. Il progetto fa seguito al convegno che il Centro Studi Cappella Orsini ha tenuto a Roma nella rotonda della Casa Circondariale di Regina Coeli nel novembre 2010 dal titolo: “L’emergenza sanitaria nei penitenziari italiani a 18 mesi dall’entrata in vigore della legge” . In quell’occasione cittadini, detenuti, medici, personale penitenziario e associazioni del terzo settore si sono riuniti per confrontarsi sulle problematiche della sanità in ambiente penitenziario e per trattare l’applicazione della legge approvata già nel 2002. Nel convegno del 5 aprile 2011 presso la Biblioteca del Senato è stato presentato il volume “Garantire la Speranza è il nostro compito: La tutela della salute del detenuto e il ruolo della Polizia Penitenziaria” realizzato dal Centro Studi Cappella Orsini. Il volume offre numerose informazioni rivolte agli agenti di Polizia Penitenziaria nella gestione delle malattie infettive: dalla semplice pediculosi alla scabbia, dall’epatite alla tubercolosi. Cinquanta opere, realizzate da altrettanti artisti contemporanei, costituiscono l’apparato iconografico del manuale. Giustizia: il piano carceri in project financing; le concessioni dureranno almeno 50 anni Italia Oggi, 6 dicembre 2011 Piano carceri in project financing, opere realizzate da privati e “affittate” alle amministrazioni con un canone di disponibilità, per concessioni da un miliardo durata almeno di 50 anni, gestione allargata anche alle opere funzionali alla concessione. Sono queste alcune delle misure per implementare il Partenariato pubblico privato (Ppp) nel settore delle opere pubbliche contenute nel decreto legge Monti. Per gli interventi in materia di concessioni (di costruzione e gestione), si propone di estendere l’ambito gestionale anche alle opere (o a parti di esse) direttamente connesse a quelle oggetto della concessione (che saranno ricomprese nella concessione stessa) e si ammette una maggiore flessibilità nell’utilizzo, a titolo di prezzo, della cessione di beni immobili connessi all’opera da realizzare, già nella disponibilità del committente pubblico o espropriati a tale scopo. Viene inoltre previsto per le concessioni di importo superiore a un miliardo, che la durata della concessione non possa essere inferiore ai 50 anni. Viene inoltre dettata una disciplina d hoc per la realizzazione del piano carceri: sarà prioritario utilizzare la finanza di progetto con concessione non oltre 20 anni e tariffa comprensiva dei costi di gestione del carcere (oltre che della realizzazione); per queste opere le fondazioni bancarie potranno contribuire per almeno il 20 per cento dell’investimento. Viene chiarito che in caso di concessione di sola gestione di una strada o autostrada si seguono le procedure di gara previste per le concessioni di costruzione e gestione. Si semplifica la procedura di approvazione degli aggiornamenti delle convenzioni relative alle concessioni autostradali, con una disciplina transitoria per gli schemi aggiuntivi già sottoposti al parere del Cipe; l’effetto dovrebbe essere quello di ridurre di un anno i tempi di avvio degli investimenti, stimati in tre miliardi. Si propone anche la rivisitazione della disciplina in materia di emissione delle obbligazioni da parte delle società di progetto che, costituite a valle dell’affidamento di una concessione, realizzano l’opera pubblica; in particolare si prevede che le obbligazioni emesse dalla società di progetto abbiano lo stesso regime fiscale previsto per i titoli del debito pubblico e possano essere garantire dai fondi privati e dal sistema finanziario nella fase precedente la gestione. Viene introdotta la disciplina del contratto di disponibilità, forma di Ppp che avrebbe ad oggetto un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio pubblico: in sostanza l’aggiudicatario del contratto realizza e mette a disposizione dell’ente pubblico un’opera ricevendo un canone di disponibilità pluriennale, un eventuale contributo in corso d’opera e, se alla fine del contratto l’opera dovesse passare in mano pubblica, un prezzo di trasferimento. L’affidatario assume su di sé il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell’opera assicurando al soggetto aggiudicatore la disponibilità; rimangono in carico al soggetto aggiudicatore (aumentando quindi il corrispettivo) gli eventi derivanti dal sopravvenire di nuove norme o da provvedimenti cogenti di pubbliche autorità, che incidono sul progetto, sulla realizzazione e sulla gestione tecnica. Le procedure di affidamento sono quelle dell’articolo 153 e la stazione appaltante pone a base di gara almeno un capitolato prestazionale con le caratteristiche tecniche e funzionali dell’opera e con le modalità per determinare la riduzione del canone di disponibilità. Il soggetto che si aggiudica il contratto redige il definitivo, l’esecutivo e le eventuali varianti in corso d’opera, approvando sia i progetti sia le sue varianti (per maggiore economicità, nel rispetto del capitolato) Saranno poi l’Alta sorveglianza e il collaudo a verificare il puntuale rispetto del capitolato. Confermata anche la norma che consentirebbe di coprire le proprie “riserve tecniche” delle compagnie di assicurazioni con azioni, obbligazioni o fondi che investono nel settore delle infrastrutture pubbliche. Giustizia: Sbriglia (Sidipe); la disperazione nelle carceri continua a mietere vittime di Chiara Sirianni Tempi, 6 dicembre 2011 Viaggio nel “profondo baratro penitenziario” con l’intervista al direttore del carcere Coroneo di Trieste Enrico Sbriglia: “Chi pensa che con misure blande si possa evitare il peggio non ha capito a quale inferno ci troviamo davanti. L’amnistia è necessaria”. È addolorato, Enrico Sbriglia, direttore del carcere Coroneo di Trieste. Pochi giorni fa un detenuto, Michele Misculin, 33 anni, è stato trovato morto dai suoi compagni di cella sulla branda più alta del letto a castello. “Stiamo aspettando l’autopsia, ma non credo si sia trattato di suicidio” racconta. “Ci avevo parlato poche ore prima del decesso, perché avevo appena firmato una serie di documenti che certificavano che il carcere non fosse il posto adatto in cui fargli scontare la pena”. Michele era un tossicodipendente, in cella con altri tossicodipendenti “purtroppo abbandonati a loro stessi. È una morte cosiddetta “di carcere”: le persone malate non devono stare rinchiuse in una casa circondariale, ma nei luoghi deputati alla salute”. Sbriglia è anche il segretario nazionale del Sidipe, il sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari, e parla di una situazione tanto problematica da non poter essere ulteriormente rimandata: sprechi, disfunzioni croniche, malasanità e fortissima demotivazione del personale penitenziario, stritolato da un sistema “che non guarda le persone e ne annulla i diritti umani”. Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha detto che non ricorrerà all’indulto per affrontare il dramma del sovraffollamento delle carceri. Dal punto di vista pratico, l’amnistia non potrebbe essere una soluzione? “Credo fermamente che l’animo compassionevole e la mitezza della giustizia costituiscano punti di forza di uno Stato e non di debolezza. Premesso questo, dal punto di vista strettamente amministrativo-contabile ritengo che si debba necessariamente pensare a risposte statali straordinarie. L’emergenza è sotto gli occhi di tutti e richiede soluzioni. L’amnistia è una di queste. Rimango basito quando sento di soluzioni che richiederebbero tempi lunghi e che avrebbero effetti modesti, a meno che non si voglia stravolgere il catalogo dei reati e delle pene. Non è credibile e serio pensare che possa realizzarsi nell’arco di pochi mesi, e pochi mesi sono già tanti, perché la nave della disperazione penitenziaria continuerà a bruciare e mietere vittime tra i detenuti. E non solo tra loro, visti i gesti disperati di molti operatori penitenziari”. Secondo un’obiezione comune l’amnistia rappresenterebbe il fallimento di uno Stato, meglio sarebbe un intervento legislativo che limiti l’ingresso in carcere. Cosa risponde? “Chi pensa che con misure blande si possa evitare il peggio non ha capito a che inferno e a quale urgenza siamo davanti. È esattamente il contrario: solo con un’amnistia potremmo salvare l’onore dello Stato, uno Stato che davanti all’oggettiva difficoltà di fare giustizia - i processi penali pendenti sono milioni - ha il dovere di fare una scelta, forse impopolare, ma necessaria. Oggi sappiamo solo irrogare torture prolungate ed apparentemente invisibili ai detenuti, raggiriamo le vittime dei reati, che aspetteranno inutilmente la celebrazione dei processi, i servitori dello Stato e gli onesti, che vedono sfuggire i peggiori criminali attraverso lo stratagemma della prescrizione”. I braccialetti elettronici sono inutilizzati da anni, dopo un investimento di oltre 100 milioni di euro. Usarli potrebbe cambiare qualcosa? “Non sono contrario in linea di principio, ma credo che in questo momento sia prioritario stipulare il primo contratto di lavoro dei dirigenti penitenziari, che lo stanno aspettando da oltre sei anni. E sfruttare le ingenti risorse che rimarrebbero per l’assunzione di nuovi direttori, nuovi educatori, nuovi assistenti sociali, ingegneri ed architetti, psicologi e personale di polizia penitenziaria. Sono le risorse umane a garantire la pace dentro le carceri, non certo l’apparato di controllo: non siamo neanche in grado di assicurarne la manutenzione ordinaria”. A quali difficoltà va incontro ogni giorno? “Le mie difficoltà sono quelle di tutta una categoria. Ogni giorno è sempre più difficile: ti senti un bugiardo, costretto a recitare promesse solenni di un carcere rieducativo, mentre sai bene che non hai i mezzi per farlo. Bugiardo perché esorti le persone detenute a responsabilizzarsi di fronte a se stesse e al mondo, mentre tu ti ritrovi nella sostanza a non rispettare le leggi. Bugiardo perché osservi con i tuoi occhi una giustizia cieca o di classe, che stana senza pietà l’immigrato irregolare e il tossicodipendente, ma concede misure alternative al carcere al colletto bianco. Vedo gli agenti di polizia penitenziaria invecchiare prima del tempo, vedo perdersi quei valori fondamentali di equità, giustizia, serenità che dovrebbero contraddistinguere l’azione penitenziaria. Far dormire i detenuti su materassi poggiati direttamente a terra, vederli sbattuti lontani centinaia di chilometri dalle loro famiglie, non consentire alle persone di poter avere cure appropriate, ogni giorno combattere per riuscire ad acquistare delle misere lampadine o per riparare i bagni e le docce. Passare per i corridoi detentivi e vedere le braccia di gente che implorano attenzione e aiuto da celle sovraffollate e sporche. Tutto questo non rappresenta quell’idea di carcere e di risposta statuale che ritenevo dovessimo dare anche a quanti avessero, con intenzione, con cattiveria, con disumanità, violato la legge. Vogliamo tornare ad essere servitori dello Stato, non complici di illegalità”. Lei è anche segretario nazionale del Sidipe. Come sindacato avete avviato qualche colloquio con il governo Monti? Quali sono le vostre richieste? “Nei prossimi giorni formalizzeremo una richiesta d’incontro, per fornire con precisione tutte le informazioni sullo stato in cui si trova il sistema dell’esecuzione penale, disegnando possibili scenari strategici in relazione ai diversi rimedi che potrebbero delinearsi. E per ciascuno, indicando le risorse economiche, umane e di tempo necessarie. Altrimenti, si fingerà di fare alta amministrazione, mentre di fatto ci si limita ad aspettare. Senza capire che l’emergenza rischia di diventare catastrofica, e forse davvero violenta. Il sovraffollamento non è uno scherzo. Provi a mettere dentro un ascensore per 10 persone un numero di 20, l’ascensore non partirebbe e suonerebbe un allarme. L’ascensore delle carceri, invece, con circa 69 mila corpi di persone detenute accatastate dove potrebbero forse starcene 41 mila, continua a funzionare. Diretto nel profondo baratro penitenziario”. Giustizia: Giuristi democratici; troppi detenuti in custodia cautelare, amnistia poi riforma Ansa, 6 dicembre 2011 “Siamo preoccupati, il rischio è che sulle carceri si passi dalla consapevolezza dell’opinione pubblica all’assuefazione”. A dirlo sono i Giuristi Democratici, che appoggiano la campagna promossa dal leader Radicale, Marco Pannella: “Siamo per l’amnistia, perché la percentuale sproporzionata di detenuti in custodia cautelare è la cartina di tornasole del fatto che ormai il carcere non ha più funzione rieducativa”. “Qualunque aspetto che abbia rilievo penale - ha detto Leonardo Arnau dell’associazione Giuristi Democratici in una conferenza stampa alla Camera - è punito con il carcere. Questo ha comportato uno stravolgimento in senso autoritario e repressivo del quadro giuridico nazionale”. Le cause del sovraffollamento “sono state analizzate e vanno ricondotte a una legislazione che ha portato a carcerizzazioni crescenti, come la Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza del 2009, e la legge in materia di stupefacenti, la legge Cirielli”. “Dobbiamo impegnarci per ottenere questo strumento - è l’obiettivo - pur nella consapevolezza che non è sufficiente a evitare che si torni nella situazione attuale. Per quello occorre una riforma complessiva”. Sulle carceri, ha ricordato Rita Bernardini, del Partito Radicale, “abbiamo depositato un disegno di legge, sul quale c’è ampia convergenza da parte di deputati singoli”, anche se per i gruppi parlamentari l’amnistia oggi è una parola impronunciabile. È la condizione affinché si possa partire con riforme strutturali, nella consapevolezza che nessuna riforma si può costruire su un corpo malato”. “È una battaglia che dobbiamo continuare - ha detto Bernardini - nonostante la presa di posizione del governo. Il ministro della Giustizia Severino ha detto che il primo problema della giustizia sono le carceri, ma parlare di braccialetto e di altre futili misure non vuol dire affrontare il problema di petto”. In più per ora la sperimentazione è costata 110 milioni di euro, ne sono stati fatti 400, utilizzati solo una decina. Giustizia: Osapp; c’è uno scollamento tra l’amministrazione penitenziaria teorica e quella reale Comunicato stampa, 6 dicembre 2011 “Dopo quasi 4 mesi i detenuti presenti nelle carceri italiane hanno nuovamente superato la quota 68mila (68.022) per 45.641 posti disponibili, ma i problemi del sistema penitenziario italiano non sono più solo quelli del sovraffollamento.” è l’allarme lanciato da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una nota all’indirizzo del Ministro della Giustizia Paola Severino e dei Gruppi Parlamentari della Camera e del Senato della Repubblica. “Oltre al sovraffollamento, alle carenze di 7.000 poliziotti penitenziari su 45.000 in organico e di 2.300 tecnici amministrativi su un organico di 8.500 - prosegue il sindacalista - sono peggiorati di molto il collegamento e l’attinenza tra l’amministrazione penitenziaria reale del personale, dei detenuti e degli istituti penitenziari e l’amministrazione penitenziaria teorica delle disposizioni che dal livello centrale del Dap raggiungono e si impongono alla periferia.”. “Significativa, in tal senso, una recente disposizione che quasi raddoppia (da 520 a 800 euro mensili) le somme spendibili dai detenuti per l’acquisto di viveri e corrispondenze - aggiunge ancora il leader dell’Osapp - e in cui, per probabili valutazioni di carattere umanitario, non si considera affatto che, a parte pochi privilegiati, la disponibilità di somme ingenti in carcere è soprattutto prerogativa degli affiliati alle associazioni criminali, in grado di ricevere sostegni consistenti per loro e per i familiari, mentre basterebbe rilevare gli importi dei versamenti in denaro che pervengono ogni giorno agli uffici conti correnti di istituti, quali quelli di Poggioreale o dell’Ucciardone, per rendersi conto di quanto poco in crisi sia la malavita organizzata.”. “Non a caso, i detenuti che lavorano negli istituti di pena sono spesso indigenti e di massima stranieri e, oggi più di ieri, potrebbero essere indotti a ricercare il favore di chi per vivere bene in carcere non ha bisogno di lavorarci”. “Come anche avvenuto per un’altra disposizione impropriamente definita carceri aperte, di cui abbiamo appreso dalla stampa prima che dal Dap, in vigore dal gennaio 2012 e che appare applicabile in pochissimi luoghi e circostanze e non agli arrestati né al 43% dei detenuti in attesa di giudizio e che di fatto potrebbe aggravare per macchinosità e non agevolare il lavoro dei poliziotti penitenziari - conclude Beneduci - le errate valutazioni in ambito penitenziario, sono spesso conseguenza del mancato dialogo con i sindacati che rappresentano il personale , anche riguardo a possibili soluzioni organizzative e tecniche per le carceri, per cui l’auspicio, nel comune interesse, è che la Guardasigilli Paola Severino e il Capo del Dap Franco Ionta aprano presto nuovi e più approfonditi spazi di rapporto tra le parti”. Giustizia: squadra di “giustizieri” nel carcere di Regina Coeli picchiavano e umiliavano i detenuti di Ilaria Sacchettoni Corriere della Sera, 6 dicembre 2011 Richiesta di rinvio a giudizio per la “squadretta” che seviziava i detenuti. Tra i 6 coinvolti anche un medico. Nel mirino soprattutto stranieri. La denuncia del padre francese che picchiò la figlia. La “squadretta”, la chiamavano a Regina Coeli: in sei tra guardie carcerarie e personale sanitario (tra loro un medico). Da anni, secondo le indagini della Procura di Roma, seviziavano detenuti accusati di delitti sessuali o reati particolarmente allarmanti sul piano sociale. Umiliazioni, percosse, violenza, sevizie: nella “squadretta”, come la chiamavano a Regina Coeli, militavano almeno in sei. Non solo guardie carcerarie ma anche personale sanitario. Fra cui il medico del reparto della settima sezione, Rolando Degli Angioli, per il quale il pm Francesco Scavo ha chiesto il rinvio a giudizio per abuso, falso e violenza privata. E infermieri come Luigi Di Paolo, ora accusato di violenza privata. Contro di loro, militanti di una sorta di “codice rosso” in vigore dietro le sbarre, ci sono le testimonianze delle stesse vittime. “Mi tenevano in piedi per non farmi dormire - racconta ai magistrati Oltean Gavrila, uno dei romeni accusati dello stupro di gruppo della Caffarella, il 14 febbraio del 2009 e finito nel carcere di Regina Coeli e vittima della “squadretta”. Arrivavano da me alle undici di sera e mi dicevano di stare in piedi, non dormire, poi dopo un po’ mi dicevano “puoi dormire venti minuti” e in venti minuti non ce la facevo”. Per sottrarsi a un supplizio durato giorni, Gavrila si attacca a ima bottiglia di detersivo e il 19 febbraio viene trasferito in infermeria. Da qui chiede di parlare con un magistrato al quale racconta tutto. Si tratta di Vincenzo Barba, uno dei pm del caso Cucchi. Anche in quell’occasione, Degli Angioli, medico con una predilezione per la professione di agente carcerario (nel suo armadietto era custodita una giacca della divisa penitenziaria) era presente. Ma allora, sarebbe intervenuto solo per consigliare il ricovero in ospedale di Cucchi, già con lividi e fisicamente compromesso. Sono serviti due anni di indagini per rompere l’involucro omertoso del penitenziario e ricostruire, almeno in parte, quello che accadeva da anni. La “squadretta” entrava in gioco con detenuti accusati di delitti sessuali o reati particolarmente allarmanti sul piano sociale. Spesso contro immigrati o comunque stranieri. Meglio ancora se con patologie invalidanti che rendevano ancora meno credibile la loro (già improbabile) denuncia. Sarà Julien Monnet la vittima “illustre” che farà scattare le indagini. L’ingegnere francese di 37 anni, accusato di tentato omicidio nei confronti della figlia (le avrebbe sbattuto la testa sui gradini dell’Altare della Patria: era l’agosto 2008) subì il “trattamento”. Ma Monnet non è un extracomunitario qualunque. Il suo caso fu seguito, giorno per giorno, dall’ambasciata di palazzo Farnese. Dunque l’uomo denuncia e in procura, spiega il suo difensore Michele Gentiloni Silveri, viene aperto un fascicolo. Legato a un letto di contenzione (ce n’è uno nella settima sezione, utilizzato in caso di crisi suicide o raptus omicida del detenuto) “con della stoffa marrone” Monnet racconta: “A un certo punto, la persona con il camice bianco che mi stava schiaffeggiando in viso... si è spostato alla mia destra...”. Nel frattempo una seconda persona “continuava a picchiarmi sui piedi” con un grosso bastone. Monnet spiega che, a un tratto, uno dei due prende un tubo: “E approfittando che ero legato ha cominciato a inserirmi un catetere. Questa operazione si è conclusa dopo almeno quattro tentativi, durante i quali io urlavo per il dolore a ogni tentativo fallito. Ricordo perfettamente che tutti e due erano incuranti del dolore che mi stavano provocando, il primo per il modo in cui tentava di inserirmi il tubo, l’altro perché ad ogni grido riprendeva a picchiarmi sui piedi”. Monnet denuncerà la tortura subita, mentre della “sonda vescicale” che gli venne applicata è scomparsa ogni traccia dal registro degli interventi effettuati quel giorno. Resta la domanda: qualcuno controlla quei registri? È in seguito alla denuncia di Monnet che si apre anche l’inchiesta interna della polizia penitenziaria, al termine della quale vengono presi provvedimenti disciplinari nei confronti di Degli Angioli. Il medico viene allontanato. Ma il francese non è solo. La squadra punitiva prende di mira anche un giovane filippino B. R., arrestato con in corpo tanto shaboo (allucinogeno) da dover richiedere l’intervento di una decina di agenti per placarlo. Su di lui si sbizzarriscono fino a incaprettarlo e a spegnergli sigarette accese sul corpo. E A.R., omosessuale, con patologie psichiatriche gravemente invalidanti, arrestato per violenza sessuale, racconta: “Per farmi desistere dal desiderio di avere rapporti mi facevano camminare lungo il corridoio della sezione in maniera da essere veduto da tutti mentre ripetevo ad alta voce “sono scemo, sono scemo”. Per intimidirlo si svolgevano anche “rappresentazioni di pericolo” nei confronti della sua famiglia, racconta A.R.. Una sorta di perverso gioco dei mimi nel quale si allude a ritorsioni a donne “della mia famiglia, mia madre, mia zia, mia cognata”. Minacce che si sarebbero realizzate in caso di denuncia. Giustizia: Anastasia; a Regina Coeli caso limite, ma il carcere è ancora troppo “opaco” Peace Reporter, 6 dicembre 2011 Una squadretta che applica il codice rosso a categorie precise di detenuti. L’ultimo caso sollevato da una inchiesta del 2009 su Regina Coeli torna a parlare della violenza nei penitenziari. Il caso specifico, se le ipotesi accusatorie saranno confermate, parla di un associazione a delinquere che si era prefissa un ruolo da “vendicatore”. Ma i casi che hanno costellato le cronache degli ultimi anni, perlomeno quello che sono venuti alla luce, pongono precisi interrogativi. Stefano Anastasia, già presidente di Antigone e studioso del carcere, è autore con Franco Corleone e Luca Zevi. De “Il corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie”. Stefano Anastasia, siamo di fronte a un caso molto particolare. Che cosa dice della violenza che è insita nei penitenziari? Questa storia rappresenta la spia di una incomprensione della funzione istituzionale del carcere. La cosa impressionante di questa ipotesi accusatoria è che saremmo di fonte a una associazione a delinquere e lo fa non per una ragione legata alla contingenza e alla gestione del penitenziario. Intendiamoci, in carcere di violenza ce n’è tanta, perché la coazione in un struttura penitenziaria porta con sé violenza. Siamo di fronte a un gruppo di persone che pensa di essere un gruppo dio angeli vendicatori. La storia di cui abbiamo avuto notizia assomiglia a quella della Uno bianca. Ci sarebbe stato un gruppo di persone che pensava di dover far giustizia dentro il carcere, selezionando le persone in base alle ipotesi di reato e sottoponendole a forma di tortura. Non è una cosa che può essere giustificata, per quanto si possa fare con le tensioni che si producono nel penitenziario. Qui siamo di fronte a un travisamento assoluto del penitenziario. Il carcere è quel luogo che ci ha spiegato, questo caso è specifico, ma sappiamo che casi simili o diversi si ripetono. C’è un problema di trasparenza in questo spazio speciale? È il problema principale del penitenziario, quello della sua opacità e quello dell’impunità. Anche quando accadono fatti gravi o gravissimi, difficilmente si riesce ad accertare in sede giudiziaria ad arrivare a un colpevole. L’unica contromisura è renderla il più trasparente possibile, quindi con soggetti che rispondano ad altre catene di comando. Voglio dire una cosa sul medico e l’infermiere coinvolti. Mi pare che la riforma di alcuni anni fa sia molto importante: quella che prevede l’entrata delle Asl in carcere. Purtroppo forse questo è il caso, nella fase transitoria c’è molto personale che viene da altre storie, di dipendenti della struttura penitenziaria e questo potrebbe spiegare la compromissione che viene denunciata in questo caso. Ma medici e infermieri devono venire da fuori per denunciare quello che vedono. Giustizia: Sappe; “squadretta” a Regina Coeli? la Polizia penitenziaria è una istituzione sana Comunicato stampa, 6 dicembre 2011 “La Polizia penitenziaria è una istituzione sana: non si possono condannare le persone sulla stampa prima che la giustizia faccia il suo corso”. A dichiararlo è Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, commentando l’articolo apparso oggi sul Corriere della Sera: “La squadretta delle punizioni che seviziava i detenuti” - a firma Ilaria Sacchettoni. “Non possiamo accettare” prosegue “una (tendenziosa e falsa) rappresentazione del carcere come luogo in cui - quotidianamente e sistematicamente - avvengono violenze in danno dei detenuti in una sorta di pressoché diffusa omertà. Non accettiamo che le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria che lavorano ogni giorno, a Roma Regina Coeli e nelle oltre 200 strutture detentive del Paese, con professionalità, zelo e abnegazione, vengano rappresentati con corrispondenze di stampa che, più o meno velatamente, associano al nostro lavoro i sinonimi inaccettabili di violenza, indifferenza e cinismo. Non è questo il momento delle opinioni o dei giudizi. È il momento che la Magistratura accerti - come sempre con serenità, equilibrio e pieno rispetto dei valori costituzionali - gli elementi di cui è in possesso. È il momento che la Magistratura serena ed indipendente accerti responsabilità e verità. La presunzione di innocenza è una tutela prevista dalla Costituzione e vale per tutti i cittadini. Ma è chiaro che rispetto a quello che riportano certi articoli di stampa ben altro è il vero operato del Corpo. Perché la Polizia Penitenziaria è una istituzione sana, composta da uomini e donne che con alto senso del dovere, spirito di sacrificio e grande professionalità sono quotidianamente impegnati nella prima linea della difficile realtà penitenziaria, nelle sezioni detentive e nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti in primis. I poliziotti e le poliziotte penitenziarie nel solo 2010 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ai 1.137 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 5.703 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. A Roma Regina Coeli, nel corso dello scorso anno, ci sono stati 13 tentativi di suicidio, 48 atti di autolesionismo, 60 detenuti hanno posto in essere ferimenti e 71 sono stati gli episodi di danneggiamento di beni dell’Amministrazione. Ad intervenire, come sempre, sono stati i poliziotti che hanno impedito più gravi conseguenze: e questi interventi ben poco spazio trovano nelle cronache giornalistiche. I poliziotti penitenziari sono persone che nelle carceri italiane subiscono con drammatica sistematicità - nell’indifferenza dell’opinione pubblica, della classe politica ed istituzionale - continue aggressioni da una parte di popolazione detenuta aggressiva e violenta (ed anche questo, spessissimo, non trova gli onori delle cronache giornalistiche). Questo avviene nelle carceri. Per questo non accettiamo la rappresentazione falsa del carcere e di chi in esso vi lavora quale luogo di sistematiche violenze, non la accettiamo perché non rispecchia affatto la quotidiana e reale attività lavorativa dei poliziotti penitenziari. Attendiamo dunque che la Magistratura valuti tutti gli elementi di cui è in possesso ed accerti come sono andate davvero le cose. Ma respingiamo con fermezza ogni accusa gratuita e inaccettabile alla professionalità del Corpo di Polizia penitenziaria e dei suoi appartenenti.” Amara la conclusione del Segretario Generale del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe: “Dispiace constatare quale e quanta approssimazione hanno i “non addetti ai lavori” quando affrontano i problemi penitenziari. Nell’articolo del Corriere della Sera si parla di “guardie carcerarie”: grave che una giornalista non sappia che a Regina Coeli e nelle carceri italiane non lavorano “guardie carcerarie”, bensì donne e uomini appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Guardia carceraria (ma anche secondino) è un appello vetusto ed anacronistico: la legge 395 del 15 dicembre 1990 (oltre 20 anni fa...) ha sciolto il Corpo degli Agenti di Custodia (improprio, quindi, anche definirli ancora agenti di custodia) ed ha istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria, equiparato a tutti gli effetti alle altre quattro Forze dell’Ordine (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato).” Giustizia: Manganelli (Capo Polizia); per braccialetto elettronico serve approfondimento tecnico Adnkronos, 6 dicembre 2011 L’uso del braccialetto elettronico per il controllo dei detenuti “deve superare ancora esami tecnici, perché se ne possa riconoscere l’adeguatezza”. Lo ha sottolineato il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, in occasione del congresso nazionale del Siulp. Il braccialetto, ha aggiunto Manganelli, “può essere proposto per combattere il sovraffollamento delle carceri, ma per farlo è necessario un approfondimento tecnologico e un adeguamento normativo”. Dunque, in via sperimentale, ha concluso il capo della Polizia, “se ne possono mettere in funzioni un certo numero, assistiti da tecnologia avanzata”. Basilicata: si è riunito l’Osservatorio regionale per la sanità penitenziaria Ansa, 6 dicembre 2011 Aggiornare il protocollo d’intesa sottoscritto nel 2010 dalla Regione con il sistema delle Amministrazioni penitenziarie e della Giustizia minorile, per renderlo più corrispondente alle reali esigenze poste dall’assistenza medica per i detenuti. È il primo passo deciso oggi nella riunione dell’Osservatorio per la sanità penitenziaria costituito, all’indomani del passaggio delle funzioni dal ministero della Giustizia alle Regioni, per verificare l’efficacia degli interventi effettuati dalle Aziende sanitarie regionali a tutela della salute degli oltre 500 detenuti negli istituti lucani. La revisione sarà attuata in tempi strettissimi e già nella prossima riunione, fissata per il 21 dicembre, l’Osservatorio potrà esprimersi sul nuovo schema, su cui, subito dopo, dovrà pronunciarsi la Giunta regionale. Nell’incontro, convocato dall’assessore alla Sanità Attilio Martorano e presieduto dal dirigente generale del Dipartimento Pietro Quinto, sono state affrontate le questioni più urgenti per la sanità penitenziaria nelle tre case circondariali di Potenza, Matera e Melfi e nell’Istituto penale per i Minorenni, rappresentati dai direttori Michele Ferrandina, Giuseppe Altomare, Maria Teresa Percoco e Cristina Festa. Un confronto utile con i relativi responsabili di Asp e Asm, che ha dato risposte operative per l’adeguamento dei locali e degli impianti, la fornitura di attrezzature, le visite specialistiche e il servizio di guardia medica per i detenuti. A giudizio dei partecipanti, l’Osservatorio “in pochi giorni ha fatto fare passi da gigante” alla sanità penitenziaria in Basilicata. Si è ottenuto così “un miglioramento sensibile dell’assistenza medica dei detenuti”, nato proprio “dall’interesse comune” di garantire la tutela della salute e il recupero sociale dei reclusi, conciliandoli con le esigenze di sicurezza. Piemonte: Radicali; la proposta Pdl di abolire il Garante dei detenuti è populista e demagogica Notizie Radicali, 6 dicembre 2011 Appresa la notizia che oggi il Capogruppo del Pdl in Regione Piemonte, Luca Pedrale presenterà in una conferenza stampa un progetto di legge per abolire il Garante dei detenuti, finalmente approvato con legge regionale del 2 dicembre 2009 (ma mai attivato) il Segretario e il Presidente dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta Salvatore Grizzanti e Igor Boni hanno rilasciato la seguente dichiarazione. La scusa dei costi addotta per abolire il Garante dei Detenuti è francamente risibile. Intanto invece di abolire la figura sarebbe sufficiente prevedere esigui compensi e rimborsi spese; in secondo luogo vorremmo chiedere a Luca Pedrale qual è il costo per la Comunità di carceri dove abbondano suicidi tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria, qual è il costo di strutture che esplodono per il sovraffollamento e qual è il costo sociale di galere che tra i reclusi hanno circa la metà delle persone in attesa di giudizio, quindi innocenti per la nostra Costituzione. Il Garante dei detenuti, come dimostrato in Regioni guidate da Centro-destra e Centro-sinistra ha il gravoso e fondamentale compito di fare da collegamento tra gli operatori penitenziari, i detenuti e le loro famiglie, la società e la politica: un modo concreto per dare voce a chi voce non ha. Per questo giudichiamo l’iniziativa illogica, populista e demagogica: se di risparmi vogliamo parlare, si risparmierebbe molto di più se riducessimo del 5% gli stipendi dei consiglieri regionali, degli Assessori e del Presidente della Regione. Liguria: Consiglio regionale approva Odg per ispezioni semestrali delle Asl in tutte le carceri Ansa, 6 dicembre 2011 All’unanimità è stato approvato oggi dal Consiglio regionale un ordine del giorno - con primo firmatario Lorenzo Pellerano, Liste civiche per Biasotti presidente - sul diritto alla salute nelle carceri. Il documento impegna la Giunta: a disporre che le Asl effettuino ispezioni semestrali, rilevando anche le patologie dei detenuti presenti, anche in relazione alle effettive condizioni di abitabilità della cella; a disporre che la rilevazione delle caratteristiche delle celle sotto il profilo igienico sanitario sia rapportata ai parametri stabiliti dai regolamenti; a disporre che, all’atto dell’ispezione, siano rilevate le presenze effettive di detenuti, non limitandosi a riportare di volta in volta le dimensioni delle celle e il numero degli occupanti previsti. Bologna: per la direttrice della Dozza servono “depenalizzazione e meno custodia cautelare” Redattore Sociale, 6 dicembre 2011 La direttrice della casa circondariale bolognese non crede all’ipotesi di suicidio per la morte del detenuto marocchino. Contro il sovraffollamento serve “una depenalizzazione, maggiore ricorso alle misure alternative e meno custodia cautelare”. Non crede all’ipotesi del suicidio la direttrice della Dozza Ione Toccafondi, riferendosi alla morte del detenuto di origine marocchina avvenuta domenica sera nel carcere bolognese. “Personalmente l’idea che mi sono fatta è che non sia stato un tentativo di suicidio”, spiega la direttrice a margine della presentazione del progetto di apicoltura all’interno della casa circondariale. L’uomo, che si era dichiarato tossicodipendente, è morto dopo aver inalato il gas di una bomboletta: più plausibile che si trattasse di un’alternativa alla droga, di un modo di cercare “lo sballo”. Impossibile però togliere le bombolette dalle celle, come ha chiesto il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. “I detenuti hanno bisogno di un minimo di autonomia per cucinare qualcosa o semplicemente prepararsi un caffè in cella”, continua Toccafondi, “purtroppo l’impianto elettrico della Dozza è troppo vecchio per permettere l’installazione di piastre elettriche”. Che si sia trattato o meno di suicidio, è certo però che quella di domenica è una morte di troppo. Sovraffollamento, presenza di tossicodipendenti e di troppi detenuti in attesa di giudizio rimangono le emergenze da risolvere con urgenza. Come? “Serve una depenalizzazione”, spiega la direttrice, “un maggiore ricorso alle misure alternative al carcere e un minore uso della custodia cautelare”. Sui due decessi ravvicinati avvenuti nel giro di pochi giorni nel carcere bolognese interviene anche il dottor Vito Totire, psichiatra e portavoce del circolo Chico Mendes. “La Dozza è una struttura inagibile dal punto di vista igienico sanitario”, scrive Totire in una nota, “se fosse presa in esame dal punto di vista delle norme di igiene edilizia dovrebbe essere chiusa subito”. Anche la presenza di fornelli a gas all’interno delle celle, secondo lo psichiatra, “è assolutamente connessa col tema dell’inagibilità igienico-edilizia. La distribuzione dei fornelli viene giustificata e avallata dall’incapacità di gestire i pasti e l’alimentazione della popolazione detenuta. Viceversa i pasti devono essere consumati in locali appositi e adeguati e non in cella, con una commistione tra l’area per l’alimentazione e i servizi igienici che determinerebbe immediatamente la chiusura di qualsiasi struttura ricettiva. Perché alla Dozza è consentita?”. Il circolo invita infine la magistratura a intervenire: “Ci aspettiamo una svolta californiana (il riferimento è a una sentenza della Corte suprema degli Usa, che ha imposto alle carceri della California di ridurre il numero dei detenuti, ndr). Facciano come i loro colleghi magistrati che hanno sancito la non superabilità degli indici di affollamento compatibili con una condizione di vita civile”. Bologna: Camera Penale; ennesima morte alla Dozza, bisogna ridurre utilizzo custodia cautelare Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2011 Un giovane uomo in attesa di giudizio ha cessato di vivere all’interno di una cella della casa circondariale di bologna. Poco importa a chi scrive se ciò sia accaduto per scelta o per disgrazia. Ciò che allarma, addolora ed indigna è che, nel giro di 15 giorni, due persone custodite nel carcere cittadino - per di più entrambe in attesa di primo giudizio e quindi, è bene ribadirlo, costituzionalmente presunti non colpevoli - abbiano preferito togliersi la vita piuttosto che continuare a sopportare condizioni di vita inumane ed illegali. A quante altre morti dovremo ancora assistere - ad oggi nell’anno 2011 nelle carceri della Repubblica italiana si sono tolte la vita 61 persone - prima che la politica, incapace fino ad ora, nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza intervenuta ormai due anni orsono, di interventi organici ed efficaci, appronti un progetto organico volto, da un lato, a diminuire il numero delle persone detenute attraverso la rimozione di norme nocive ed inutili anche sul piano della prevenzione del crimine e, dall’altro, a rendere civili le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari? A quante altre morti dovremo ancora assistere prima che la magistratura passi dalle riflessioni e dalle dichiarazioni di intenti circa l’opportunità di disporre l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere solo in casi estremi nonché circa la necessità di incrementare le misure alternative, alla concreta attuazione di questi principi? La Camera penale “Franco Bricola” di bologna, auspicando che anche il Consiglio dell’ordine degli avvocati di bologna faccia sentire la propria voce su questo delicato tema, continuerà a denunciare l’uso eccessivo e pressoché esclusivo della custodia cautelare estrema, così come continuerà a denunciare l’eccessivo rigore, anche nelle ipotesi in cui non si verta in divieti ex lege, nell’applicazione delle misure alternative e nella concessione dei permessi premio. Invitiamo i colleghi penalisti a denunciare anche attraverso i quotidiani locali, che siamo certi non mancheranno di prestare la dovuta e consueta attenzione, situazioni di denegata giustizia affinché anche i cittadini bolognesi comprendano che il carcere non è quasi mai la miglior risposta alle esigenze di tutela della collettività. Per il Consiglio direttivo Il presidente, Avv. Elisabetta D’Errico Cagliari: Giunta comunale approva convenzione su lavori di pubblica utilità per i condannati Redattore Sociale, 6 dicembre 2011 Cagliari ospita il lavoro di pubblica utilità per i detenuti. Ieri la Giunta comunale ha approvato una convenzione in modo da accogliere le richieste dei condannati a pene lievi disponibili a svolgere lavori per la collettività in sostituzione della pena. Su proposta dell’assessore al Personale Luisa Sassu è stato approvato lo schema di convenzione sul lavoro di pubblica utilità. È un istituto previsto a livello nazionale per cui sarà necessaria la sottoscrizione del sindaco e del presidente del tribunale di Cagliari. In sostanza, il Comune potrà accogliere le richieste dei condannati per pene lievi (in particolare per quanto riguarda le violazioni del Codice della Strada) disponibili a svolgere mansioni per il bene della collettività in sostituzione della pena o della sanzione. Il lavoro di pubblica utilità non prevede alcun compenso: le uniche spese per l’amministrazione riguardano l’assicurazione Inail e quella nei confronti di terzi. Il numero massimo di condannati da destinare ai lavori di pubblica utilità per ogni anno sarà stabilito in base alle risorse finanziarie disponibili per il pagamento dei contributi a carico dell’ente. I servizi interessati dalla convenzione saranno quelli dell’assistenza zooiatrica e dei cimiteri (lotta al randagismo e manutenzione e decoro). Firenze: Poretti (Radicali); all’Opg di Montelupo pronti i nuovi locali, ma ancora inagibili Redattore Sociale, 6 dicembre 2011 La senatrice radicale ha presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri di Giustizia e Salute: “Terminati i lavori delle nuove celle, ma non si è ancora provveduto al collaudo per il loro utilizzo”. “Nello scorso mese di settembre dovevano essere consegnati i nuovi padiglioni dell’Opg di Montelupo, ma ad oggi, pur essendo terminati i lavori, la ditta che li ha realizzati e l’amministrazione penitenziaria non hanno ancora provveduto al collaudo necessario per la loro agibilità e quindi per il loro uso”. È quanto denuncia la senatrice Donatella Poretti (radicali), che ha presentato oggi un’interrogazione parlamentare ai ministri della Giustizia e della Salute e nel contempo interesserà la Commissione d’Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. “Anche se venissero ritenuti strutturalmente agibili - spiega Poretti - non potrebbero comunque essere utilizzati in questo periodo invernale, poiché i tubi installati per l’approvvigionamento di carburante all’impianto di riscaldamento hanno una sezione troppo piccola per la quantità di carburante necessaria a riscaldare a sufficienza gli ambienti, e questo per il semplice fatto che nel progetto questa caratteristica non è stata minimamente presa in considerazione”. Firenze: intervista a Riccardo Gatteschi… l’Opg di Montelupo nei ricordi di un volontario di Cristina Galasso http://pluraliweb.cesvot.it, 6 dicembre 2011 Tredici anni di volontariato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo, direttore di “Spiragli” la rivista nata nel 1998 all’interno dell’Opg e, adesso, autore del libro “La gabbia dei matti cattivi”, il racconto della sua esperienza di volontario attraverso memorie e appunti. È molto raro che un volontario decida di narrarsi in prima persona, per iscritto e in un libro. Cosa l’ha spinta a farlo? Per tredici anni ho tenuto (e tengo tuttora) un diario dei miei incontri bisettimanali con gli internati che frequentano la redazione di Spiragli. Spiragli è, infatti, una rivista creata e costruita nella sua interezza grazie alla collaborazione, volontaria e gratuita, degli internati stessi. Sono loro che scrivono gli articoli, le poesie, le riflessioni, le denunce, gli appelli. Ma il mio impegno all’interno dell’Opg di Montelupo non è solo questo. Non è infrequente il caso che la direzione mi chieda di accompagnare un internato in qualche località per un colloquio, per un trasferimento, per la sopraggiunta libertà. Di queste mie esperienze ho tenuto un diario che tre anni fa ho fatto leggere al magistrato di sorveglianza, il dottor Massimo Niro, il quale mi disse che, in caso di pubblicazione, sarebbe stato felice di scrivere la prefazione. Così il libro è uscito nel marzo 2010 e sta avendo un certo successo, tanto che ho in cantiere una nuova pubblicazione con un editore di più ampio respiro. Come è cambiato l’Opg in questi anni? In questi 13 anni molto è cambiato nell’Opg di Montelupo, anche se rimangono le tante difficoltà di qualsiasi istituto di pena: tempi lunghi, impedimenti nel portare avanti iniziative alternative, problematicità nei rapporti, specialmente con gli internati con patologie più complesse.. Innanzitutto è calato il numero degli ospiti che è passato dagli oltre 200 agli attuali 120. E poi negli anni 90 l’attività di volontariato quasi non esisteva; oggi, invece, grazie anche all’impegno dell’Associazione di Volontariato Penitenziario, è una realtà radicata, anche se il numero dei partecipanti è ancora contenuto. Quale storia o episodio tra i molti che ha vissuto ricorda oggi con più emozione? È difficile estrapolare un ricordo che abbia lasciato tracce più profonde nella mia esperienza di volontario. Ogni persona che incontro ha una sua storia, un suo percorso. Certo, il lungo rapporto, che poi è diventato anche un legame di amicizia, con Enrico (ne parlo nel libro), il cui epilogo è stato la sua morte su un marciapiede di Roma, ha segnato in maniera forte la mia esistenza. Dopo la recente inchiesta parlamentare sugli Opg promossa dal senatore Ignazio Marino, sono sempre più numerosi quelli che pensano che gli Opg siano un fallimento e vadano chiusi. Lei che ne pensa? In linea teorica non ritengo che un Ospedale Psichiatrico Giudiziario sia un istituto strutturalmente negativo e fallimentare. Guardando, però, alla realtà dei fatti e sulla base della mia esperienza, credo che l’Opg di Montelupo sia del tutto inadeguato alle finalità che dovrebbe perseguire. È inadatto architettonicamente: la sezione più affollata si trova all’interno di una struttura seicentesca, nata in origine come stalla per i cavalli della corte medicea. È inadeguato anche come luogo di cura e riabilitazione: i servizi medici e psichiatrici sono ridotti al minimo, gli ambienti dove dormono e vivono gli internati non sono camere, come dovrebbero essere in un ospedale, ma vere e proprie celle con porta blindata, spioncino, sbarre, gabinetto a vista. I ripetuti interventi del senatore Marino sono stati importanti e hanno prodotto alcuni effetti positivi: la chiusura di alcune celle fatiscenti, la messa in opera di un seppur minimo impianto anti-incendio, una maggiore attenzione alla manutenzione degli ambienti e alla cura dei suoi abitanti. Ma c’è ancora molto fa fare. Bologna: i detenuti diventano apicoltori, ecco il miele della Dozza Redattore Sociale, 6 dicembre 2011 Da domani in vendita i 1.400 barattoli di miele prodotti da 18 detenuti grazie a un progetto di Conapi, Alce Nero & Mielizia e della provincia di Bologna. Il ricavato servirà a ingrandire l’alveare installato all’interno del carcere. Circa 680 chili di miele di tiglio e millefiori, per un totale di 1.440 barattoli: è il frutto del lavoro di 18 detenuti del carcere di Bologna, che nel corso del 2010 sono diventati apicoltori. E da domani “il miele della Dozza” è in vendita, grazie a un progetto che ha visto la collaborazione di Conapi, Alce Nero & Mielizia, insieme alla provincia di Bologna e alla direzione del carcere. L’apiario all’interno del carcere, che ora conta 20 alveari con 50 mila api ciascuno, è stato allestito da Conapi, che ha fornito anche tutta l’attrezzatura necessaria agli apicoltori. Dieci detenuti, a cui poi se ne sono aggiunti altri otto (tutti uomini), “hanno dato la disponibilità volontaria per partecipare al progetto”, spiega la direttrice della Dozza Ione Toccafondi, “sono stati selezionati fra quelli che davano la maggiore affidabilità, ma in totale le richieste sono state una quarantina”. Gli aspiranti apicoltori sono stati formati grazie ai corsi organizzati da Cefal e provincia di Bologna, e per tutta l’estate si sono presi cura delle api, affiancati dagli apicoltori di Conapi e delle associazioni Le nostre api e Apicoltori Felsinei. Il miele, raccolto dalle api nei campi all’esterno del carcere, è stato poi estratto e confezionato dalla cooperativa sociale Anima. Sottoposto ad analisi di controllo, il miele è risultato di ottima qualità. Da domani “il miele della Dozza” sarà in vendita nell’Alce Nero Caffè di Bologna (via Petroni 9/b), nel punto vendita Conapi di Monterenzio (a Bisano via del Lavoro 20) e nella Locanda Smeraldi di Bentivoglio (in via Canali e Crociali 5/a). Il prezzo? Quattro euro per un barattolo da 400 grammi di miele di tiglio o millefiori, 5 euro per uno da 500 grammi di miele millefiori. Il ricavato servirà ad ampliare l’apiario della Dozza e a proseguire il progetto anche nel 2012. L’intenzione è di trasformare l’esperienza in un lavoro vero e proprio, con una piccola retribuzione, almeno per i detenuti che si occuperanno della manutenzione degli alveari. Prendersi cura delle api, secondo la Toccafondi, “per i detenuti ha significato fare un percorso educativo, perché attraverso la cura delle api hanno imparato che ci sono regole e tempi da rispettare, e che il lavoro si fa in maniera solidale gli uni con gli altri”. Secondo Desi Bruno, che da garante dei detenuti di Bologna aveva contribuito a lanciare il progetto, “è la dimostrazione il lavoro in carcere si può fare, e si può fare molto bene”. Avellino: vanno a trovare detenuto in carcere, due parenti scoperti con alcuni grammi di droga Il Mattino, 6 dicembre 2011 Brillante operazione della Polizia Penitenziaria presso il Carcere di Ariano Irpino. Gli uomini della Polizia Penitenziaria, al Comando dell’Ispettore Francesco Giannattasio e dell’Ispettore Nicola Limone, dopo un’intesa attività investigativa condotta con l’ausilio del Reparto Antidroga coadiuvato dal Sovrintendente Pace responsabile antidroga della Casa Circondariale di Benevento, dell’assistente capo Claudio Riccardi e del cane Pulko hanno colto in flagranza due soggetti di cui uno minore, l’altro maggiorenne, giunti presso il Carcere del Tricolle per effettuare il colloquio con i rispettivi familiari ristretti presso la Casa Circondariale. Il minore è stato trovato in possesso di 1,50 gr. di droga, nella fattispecie di hashish, di cui il minore ne è assuntore così come lo stesso ha dichiarato. L’altra droga è stata rinvenuta dagli Agenti in possesso del maggiorenne, nello specifico due involucri di 1,46 grammi di hashish già confezionata e pronta per l’uso e l’altro di 1,20 gr: la droga era stata abilmente occultata all’interno dell’auto del maggiorenne che è stata perquisita con cura sia dal cane Pulko che dall’unità antidroga. Dopo i formali riti di merito i due sono stati deferiti all’Autorità Giudiziaria Competente quali assuntori abituali di droga. Siracusa: il cantautore Franco Battiato incontrerà i detenuti di Brucoli Adnkronos, 6 dicembre 2011 “Solo una grande persona, un grande artista dice sì senza esitare”. È stata commentata così al carcere di Brucoli, nel siracusano, la notizia della partecipazione di Franco Battiato che il 15 dicembre incontrerà i detenuti. A Brucoli, si legge in una nota, “non sarà solo musica, ma confronto culturale e performance teatrali”. Uno scambio di canzoni intonate dalla corale di Brucoli “The Swing Brucolìs Brothers” diretta dalla professoressa Silvana Laudicina insieme, naturalmente a Franco Battiato” che canterà “I treni di tozeur”, “Centro di gravità permanente” e “La cura”. Battiato intonerà una canzone a sorpresa che sarà l’omaggio del cantautore al mondo carcerario. Il carcere di Brucoli, diretto da Antonio Gelardi, con “immensa gioia accoglie l’omaggio natalizio di Franco Battiato”. Ragusa: tra detenuti e politici una sfida sul campo di calcio La Sicilia, 6 dicembre 2011 Uno spazio fisico, quello del centro sportivo Aurnia di Modica, che diventa, per una partita di calcio particolare, spazio della solidarietà, dove il pallone è l’elemento di raccordo tra due contesti umani lontani e separati. Giorno 9 dicembre prossimo, infatti, alle ore 10, due squadre si incontreranno per accaparrarsi la vittoria: da una parte i politici della Provincia regionale di Ragusa e dall’altra una rappresentanza della comunità carceraria della città di Modica. “Abbiamo pensato di organizzare quest’ iniziativa - spiega Piero Mandarà, assessore provinciale ai Servizi sociali - per due motivazioni. La prima è da rintracciare nel fatto che ci troviamo vicini al Natale ed è quindi importante dare segnali di vicinanza a gente che, essendo reclusa, vivrà queste feste in modo diverso. In secondo luogo, abbiamo voluto dedicare questa partita all’ingegnere Maurizio Nicastro, scomparso due anni fa, che credeva molto nella riabilitazione dei soggetti in stato di detenzione”. Saranno sei i detenuti, cosiddetti definitivi, a cui sarà concessa l’occasione speciale di incontrarsi e misurarsi sul piano sportivo con alcuni rappresentanti della politica locale, nei panni, stavolta di calciatori provetti. Presente alla conferenza stampa, anche il direttore della casa circondariale di Modica, Giovanna Maltese, che ha sottolineato la valenza formativa dell’evento. “La partita della solidarietà rappresenta la conclusione del progetto Stelle iblee sull’attività motoria - afferma - iniziato nel mese di giugno di quest’anno. Questo progetto ha mirato ad allentare le tensioni del detenuto, rinchiuso in cella per diverse ore, ma ha mirato anche all’integrazione con altri detenuti all’interno dello stesso carcere, appartenenti anche a nazionalità diverse. Oggi, mediante la partita, è la comunità carceraria a portarsi all’esterno, mediante un permesso speciale di cui i nostri giocatori usufruiranno”. L’ingresso, ovviamente, è gratuito. Francia: Corte Ue; sì al reato di clandestinità, no al carcere durante rimpatri Ansa, 6 dicembre 2011 No alla carcerazione degli immigrati clandestini durante la procedura di rimpatrio, ma sì a norme nazionali che puniscono anche con la detenzione chi soggiorna irregolarmente in un Paese dell’Unione: è quanto ha stabilito oggi la Corte di giustizia Ue in una sentenza emessa su un caso che riguarda la Francia. Israele: ex presidente Katsav condannato a sette anni, domani entra in carcere per scontare pena Adnkronos, 6 dicembre 2011 L’ex presidente israeliano Moshe Katsav si presenterà domani mattina davanti ai cancelli del carcere di Masayahu, nei pressi di Ramla, per scontare la pena a sette anni di carcere per i due casi di stupro dei quali è stato giudicato responsabile. Lo ha riferito una portavoce dell’amministrazione penitenziaria, spiegando che Katsav sconterà la pena in una speciale ala del carcere destinata ai detenuti osservanti. I media israeliani hanno anticipato che l’ex presidente dividerà la cella con l’ex ministro della Sanità, Shlomo Benizri, che sta scontando una condanna a quattro anni per corruzione. La circostanza non è però stata confermata dall’amministrazione penitenziaria. Katsav è stato condannato un anno fa per due casi di violenza sessuale ai danni di una donna, identificata in tribunale solamente come “A”, che prestava servizio come dirigente del suo ufficio quando Katsav nel 1998 ricopriva l’incarico di ministro del Turismo. L’ex presidente, condannato lo scorso marzo a sette anni di reclusione, sarebbe dovuto entrare in carcere a maggio, ma la misura era stata sospesa in attesa dell’appello. A novembre la Corte suprema di Gerusalemme ha confermato sia la sentenza di condanna che la pena.