Giustizia: Napolitano; è emergenza per condizioni disumane delle carceri e dei carcerati Asca, 31 dicembre 2011 Il sistema penitenziario italiano rappresenta “un’emergenza”, considerando “la condizione disumana delle carceri e dei carcerati”. Lo afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo intervento di fine anno. Il capo dello Stato coglie l’occasione per parlare anche di altre emergenze come “quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio o quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare”. Giustizia: Sappe; bene monito di Napolitano sulle carceri, ora il Governo agisca Tm News, 31 dicembre 2011 “Esprimiamo vivo apprezzamento per i contenuti del discorso pronunciato ieri sera dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Un discorso di alto profilo in cui, come da noi auspicato, è stato pure fatto cenno al grave sovraffollamento penitenziario”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, dopo il discorso di fine anno del Capo dello Stato. “Come Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, auspichiamo che Governo e Parlamento trovino con urgenza soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano”, continua. “Dopo le nobili parole del Presidente Napolitano, auspichiamo che si prenda finalmente atto del momento di estrema gravità del sistema carcerario, che i nostri 39 mila colleghi e le loro famiglie sono costretti a vivere, sopportare, subire, per le indifferenze mostrate fino ad oggi. Il Corpo di Polizia Penitenziaria - sottolinea Capece - ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni ed aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento e da politiche repressive che non hanno avuto il coraggio e l’onestà politica ed intellettuale, di riconoscere i dati statistici e gli studi Universitari indipendenti, su come il ricorso alle misure alternative e politiche di serio reinserimento delle persone detenute attraverso il lavoro, siano l’unico strumento valido, efficace, sicuro ed economicamente vantaggioso, per attuare il tanto citato quanto non applicato articolo 27 della nostra Costituzione”. “Alla vigilia dell’indulto del 2006 dicemmo che quell’iniziativa sarebbe stata un autentico suicidio politico se alla stessa non si fosse aggiunta una profonda rivisitazione delle politiche della Giustizia e dell’assetto dell’Amministrazione penitenziaria. E questo vale anche per una ipotetica amnistia. Come Sappe auspichiamo dunque che in tempi brevi si possano trovare soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano”, conclude Capece. Giustizia: l’ultimo giorno dell’anno 1 detenuto suicida, 2 tentano suicidio e 1 muore per malattia Ansa, 31 dicembre 2011 Un suicidio nel carcere di Torino, un altro morto in quello di Trani e due tentativi di suicidio in quelli di Vigevano e Messina. L’emergenza carceri permane e il sindacato Sappe invita la politica a trovare con urgenza soluzioni “politiche e amministrative” al problema del sovraffollamento penitenziario. Un rumeno si suicida a Torino - Un , detenuto nel carcere delle Vallette, a Torino, si è tolto la vita impiccandosi in cella con un lenzuolo. Un detenuto rumeno di 37 anni si è tolto la vita nel carcere delle Vallette, a Torino, impiccandosi in cella con un lenzuolo. Il suicida è C.A., un romeno in attesa di giudizio. Era recluso nella sezione “Rugby” del blocco E. Un altro detenuto, un leccese di 34 anni, è morto invece nel carcere di Trani per cause in corso di accertamento. La scoperta è stata fatta dagli agenti della polizia penitenziaria nel corso di un giro di ispezione. Il 34enne era detenuto per reati contro la persona e il patrimonio. I parenti sostengono che l’uomo non era in condizioni fisiche tali da poter sopportare il regime carcerario e chiedono chiarezza sulle circostanze della morte. L’Osapp: “La polizia penitenziaria è sola” - Il segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci, lancia l’allarme: “La polizia penitenziaria è sempre più sola nel fronteggiare questo tipo di emergenze e, purtroppo, sempre meno in grado di risolverle. Avremmo voluto che nel 2012 il governo avesse varato misure veramente risolutive, e non i palliativi che lasciano le cose come stanno. Comprese le morti nelle carceri”. Il Sappe: “Ora soluzioni politiche e amministrative” - La politica trovi con urgenza soluzioni “politiche e amministrative” al problema del sovraffollamento penitenziario, sempre più grave, e che lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha segnalato nel suo discorso di fine anno tra le nuove emergenze della vita civile. È l’auspicio di inizio 2012 espresso dal Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) che ha espresso in una nota “vivo apprezzamento” per le parole del capo dello Stato. “Governo e Parlamento trovino con urgenza soluzioni politiche e amministrative per evitare il tracollo del sistema penitenziario italiano”. Detenuto tenta suicidio a Vigevano, salvato dagli agenti Un detenuto del carcere di Vigevano ha tentato di suicidarsi nella propria cella intorno alla mezzanotte ma è stato salvato dal tempestivo intervento di un agente della polizia penitenziaria. A darne notizia è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, secondo cui l’uomo, 37enne di nazionalità italiana, ha tentato di impiccarsi con una striscia di stoffa ricavata dalle lenzuola in dotazione. Dopo averlo liberato dal cappio, il personale di polizia gli ha prestato le prime cure con interventi di rianimazione strappandolo alla morte. “Il bilancio registrato nelle carceri italiane nel 2011 - denuncia Sarno - riporta 66 suicidi di detenuti, circa 1.000 tentati suicidi (con almeno 395 vite salvate in extremis dalla polizia penitenziaria), circa 430 agenti aggrediti e feriti da detenuti e 5.400 atti di autolesionismo grave. Questi numeri sono la cifra esatta della disperazione che alberga negli istituti di pena. Per questo non possiamo non apprezzare l’ulteriore richiamo del presidente Napolitano alla questione penitenziaria, con l’auspicio che l’ennesimo monito che giunge dal capo dello Stato sia raccolto da chi detiene la responsabilità della gestione politica della giustizia in Italia. La situazione nelle carceri - conclude il segretario generale - è ben oltre il livello di allarme rosso e non può certo essere risolta con i palliativi individuati dagli ultimi governi. Occorre una svolta vera, con riforme strutturali ed interventi che consentano l’azzeramento dell’emergenza e la pianificazione di riforme incisive. Analogamente è necessario individuare un percorso di soluzioni al grave disagio lavorativo della polizia penitenziaria derivante soprattutto dalla grave, quanto cronica, deficienza degli organici”. Detenuto tenta d’impiccarsi a Messina, salvato da agente Sventato la notte scorsa il tentativo di suicidio di un detenuto ricoverato al centro clinico della casa circondariale Messina. Si era impiccato all’interno del bagno della propria cella, utilizzando la cinta di un accappatoio. Appena in tempo è intervenuto l’assistente di polizia penitenziaria in servizio nel reparto, aiutato da altro personale. Il detenuto era già privo di sensi, ma è stato scongiurato il peggio. Il Sappe evidenzia le difficoltà esistenti nella struttura carceraria con una presenza di 370 detenuti a fronte di una capienza di circa 200, e una carenza di almeno 100 agenti, cui vanno aggiunte le ulteriori 23 unità necessarie per l’apertura del reparto detentivo presso l’azienda ospedaliera “Papardo” di Messina, “a tutt’oggi chiuso proprio per la “diffida all’apertura” che dovrà avvenire solo ed esclusivamente dopo l’invio di adeguato numero di personale”. Il Sappe denuncia ancora che il Dap, tra il 2006 e il 2007, aveva previsto, con apposite lettere circolari, l’invio di 32 unità presso la casa circondariale, “unità che misteriosamente non sono mai pervenute, mentre si sono avute almeno dieci unità poste in quiescenza”. Giustizia: Detenuto Ignoto; da politica occorre “scatto”, conceda amnistia e indulto Notizie Radicali, 31 dicembre 2011 Dichiarazione di Irene Testa Segretaria dell'Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto: “Sul fronte carceri, purtroppo, il 2012 si apre in maniera quanto mai tragica da Nord a Sud del Paese. Si registrano infatti nella sola notte di S. Silvestro, già due detenuti morti a Torino e a Bari (uno suicida, l’altro per “cause in corso d’accertamento”) e un tentato suicidio a Vigevano. Il Presidente Napolitano, oggi giustamente applaudito dai più per il suo messaggio di fine/inizio anno, non ha mancato di ricordare ieri al Paese, tra le altre considerazioni, quella che lui stesso definì nel luglio scorso al Senato una “prepotente urgenza” che deve investire la politica nella definizione e tempestiva attuazione di opportune soluzioni, per stroncare lo stato di illegalità pluriennale, criminale e criminogeno, della giustizia e delle carceri italiane. È una realtà che si configura sempre più ripetutamente come vera e propria strage, certo, non più sconosciuta, anche perché messa in luce da tempo da Marco Pannella e dai Radicali, ma non solo, al cui grido, invece, gran parte della politica continua a fare orecchie da mercante pur di non assumersi le proprie responsabilità, mentre chi si mostra sensibile al diritto, ai diritti e anche a quelli di chi sconta una pena da recluso, continua a non trovare il coraggio (o la convenienza) di fare quel passo radicale, decisivo e indispensabile quale lo schierarsi per un provvedimento di amnistia e di indulto, unici strumenti in grado ora di porre termine in modo istantaneo alla immane violenza di uno Stato, l’Italia, che viola e continua a violare sempre più le sue stesse leggi a tutela del diritto di ogni suo cittadino. Occorre nel modo più assoluto, come ricordava il Capo dello Stato, avere uno “scatto”, intervenire urgentemente e senza alcun ulteriore indugio”. Giustizia: Lele Mora ha tentato il suicidio in carcere, probabilmente è stato “gesto dimostrativo” La Repubblica, 31 dicembre 2011 Il manager dei vip è in cella dal 30 giugno, ha avuto problemi di salute: “Chiedo scusa, ma non ce la faccio più”. Gli agenti di sorveglianza parlano di un gesto dimostrativo. Protestano i legali: “Non ci hanno avvisato”. Nella tarda mattinata Lele Mora ha tentato il suicidio per asfissia. Lo riferisce Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa Penitenziari. “Lele Mora - spiega Sarno - è ristretto nel reparto Nuovi Giunti del carcere milanese di Opera, ed era già sottoposto a particolare sorveglianza. Il tentativo è stato posto in essere con dei cerotti, regolarmente detenuti in cella, che Mora ha applicato su naso e bocca. Ovviamente l’intervento dell’agente di sorveglianza è stato efficace ed immediato. Considerate le modalità più che ad un reale tentato suicidio - sottolinea il sindacalista - è forse più appropriato riferirsi a un gesto dimostrativo, che non è escluso possa essere stato messo in piedi per attirare l’attenzione sulla sua vicenda processuale”. “Chiedo scusa per quello che ho fatto, ma non ce la faccio più”, avrebbe detto Mora al direttore del carcere di Opera, Giacinto Siciliano, poche ore dopo il suo gesto. Il creatore di “vip” è recluso dal 20 giugno a Opera, salvo una parentesi di un paio di settimane in ospedale dopo il ricovero per un collasso: aveva perso 30 chili ed era sulla sedia rotelle, ma le sue condizioni - spiegavano i difensori Luca Giuliante e Nicola Avanzi pochi giorni fa - erano leggermente migliorate. Il tribunale del riesame di Milano si è riservato di decidere sulla richiesta di scarcerazione presentata dai legali e ha fissato la data della decisione per il prossimo 4 gennaio. “Siamo furibondi, nessuno dal carcere ci ha avvisato e siamo venuti a sapere del tentato suicidio dalla stampa”. Sono le prime parole di Luca Giuliante. Il legale ha inoltre chiarito che stamani è rimasto nel carcere di Opera per circa un’ora, dalle 12.30 alle 13.30, per aspettare di parlare con Mora per un colloquio che era stato fissato, ma il personale del penitenziario gli ha fatto sapere che il talent scout non stava bene e quindi non ha potuto incontrarlo. “È inaccettabile”, ha ribadito l’avvocato Giuliante. Mora, che ha patteggiato 4 anni e tre mesi di reclusione per bancarotta, ha chiesto nelle scorse settimane al tribunale del riesame di Milano di poter uscire dal carcere e di continuare le detenzione agli arresti domiciliari, ma i giudici non si sono ancora pronunciati. la decisione, attesa dalla difesa prima della fine dell’anno, non arriverà in realtà prima del 4 gennaio. Già il tribunale del riesame e anche il gup avevano respinto in precedenza analoghe istanze di arresti domiciliari. I difensori denunciano da tempo che Mora è in condizioni critiche di salute, sia dal punto di sita psicologico che dal punto di vista fisico, anche perché è dimagrito di 30 chili. Il giudice Elisabetta Meyer nelle scorse settimane ha disposto una perizia medica che è tuttora in corso per accertare la compatibilità delle condizioni del manager con il carcere. Papa (Pdl): custodia cautelare moderna tortura “In Italia c’è chi interpreta la custodia cautelare come un’istigazione al suicidio. Chi ha vissuto sulla propria pelle situazioni identiche non può non denunciare con sgomento che non esiste né legge, né diritto, nè giustizia dove non esiste pietà”. Lo afferma il deputato Pdl Alfonso Papa. “Questa moderna tortura, che si chiama custodia cautelare, è una vergogna per l’intero Paese ed è una vergogna che un’intera classe politica - sottolinea Papa - non si mobiliti per i tanti Mora, che marciscono nelle carceri, e si renda colpevole del genocidio legalizzato che sta attuando ogni giorno chi si oppone all’amnistia. Intervenga subito il presidente della Repubblica per mantener fede all’impegno assunto quest’estate come garante della Costituzione e per evitare che il Paese piombi in un baratro fatto di torture e di suicidi di Stato”. Sgarbi: tengono ancora Lele Mora in carcere perché vogliono dichiarazioni su Berlusconi? “Tengono ancora in carcere Lele Mora sperando di fargli fare dichiarazioni su Silvio Berlusconi?”. È l’interrogativo posto da Vittorio Sgarbi sulla detenzione del noto agente dei Vip, dallo scorso giugno sottoposto a custodia cautelare nel carcere di Opera in condizioni che lo hanno provato fisicamente e psicologicamente. “La vicenda di Lele Mora - denuncia il critico d’arte e sindaco di Salemi - è un ulteriore esempio di carcere come tortura, una barbarie tutta italiana. La custodia cautelare trasformata in una punizione senza che ci sia stata una sentenza di condanna. Qual è la colpa di Mora? Avere dato dei soldi a dei ragazzi? O, peggio, essere un omosessuale? È chi ci dice che non sia proprio una vittima di atteggiamenti omofobi? Si vogliono forse colpire i costumi di Mora? La sua condotta di vita?”. Sgarbi conclude appellandosi alle associazioni gay perché si mobilitino e facciano sentire la propria indignazione. Giustizia: c’è chi è “dispiaciuto” perché Lele Mora non si è suicidato di Dino Amenduni Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2011 Due giorni fa Lele Mora ha tentato il suicidio in carcere, almeno secondo un comunicato stampa di Uil-Pa, sindacato dei penitenziari. Lo stesso sindacato ha inoltre aggiunto che probabilmente lo scopo del gesto (l’uso di cerotti piazzati su naso e bocca) non fosse realmente togliersi la vita, ma piuttosto compiere un gesto dimostrativo. Questa è la ricostruzione dei fatti per come la conosciamo. I fatti, però, possono generare opinioni ed è questo il lato interessante della vicenda. La notizia è arrivata intorno alle 21 e ha portato molti italiani a dire immediatamente la loro sui social media. Inizialmente si era semplicemente parlato di tentato suicidio. In quei venti minuti è già stato possibile capire quale fosse l’orientamento prevalente di chi ha voluto esprimersi: erano scontenti. Non perché una persona in carcere abbia tentato il suicidio, ma perché non fosse riuscito a raggiungere il suo obiettivo. È un comportamento che mi ha fatto sentire in profondo imbarazzo. Persone che si autodefinirebbero “progressisti”, “liberali”, “tolleranti”, “aperti” “di sinistra”, “contro la pena di morte”, “antifascisti”, “non razzisti” si sono dispiaciute per il mancato suicidio di un personaggio le cui fortune sono dipese da altri italiani che hanno ritenuto interessante ciò che faceva. Sia chiaro: in queste settimane non ho provato alcuna emozione per i bollettini che giungevano dal carcere di Opera, dove Mora è recluso. “Chi sbaglia paga” è una regola semplice quanto di buon senso, purtroppo non attuata con costanza e rigore nel nostro Paese. Lele Mora merita di essere in carcere e di scontare la sua pena. Non ci possono essere sconti o trattamenti di favore legati alla popolarità, la legge è uguale per tutti e questo è così tanto vero da rendere per certi versi incoerente l’attenzione dei media, in questi mesi, per le fatiche della carcerazione di un singolo uomo. Il quale però è personaggio pubblico e dunque fa vendere giornali, genera click e quindi è appetitoso per chi vive di copie e introiti pubblicitari. Ma se lo scopo del carcere è rieducativo (o almeno educativo per la società), c’è qualcosa che non va nello sperare nella morte (suicida) di una persona che, restando alle regole civili e democratiche, paga per le sue colpe giudiziarie attraverso una pena. Se qualcuno dei “dispiaciuti” ritiene che Lele Mora debba scontare la sua pena in altri modi, sarebbe interessante capire cosa pensano che sia giusto che faccia. Bisogna essere molto lucidi in questi casi e bisogna dividere le responsabilità penali da quelle morali e culturali. Lele Mora è ritenuto (a ragione) simbolo di una certa cultura che ha imperato in questi anni in Italia, la cultura del velinismo, del lusso ostentato, dell’ammiccamento all’estrema destra come forma di superomismo, del maschilismo inconfessabile e un po’ omofobo, della riduzione degli spazi di democrazia rappresentativa a vantaggio delle logge, dei clan, delle lobby non esplicite. Quella cultura si batte sul campo, offrendo un’alternativa a tutto questo. Gli italiani hanno deciso di cedere al fascino di certe cattive abitudini, hanno spesso ammiccato ad alcune di queste ricette, hanno sostenuto politici che hanno incarnato questa idea di Italia, di rapporti tra uomo e donna, tra cittadino e potere, tra ricchi e poveri. Hanno deciso liberamente, in un sistema le cui anomalie non risiedono certamente nell’assenza di regole democratiche quanto, piuttosto, nello scarso pluralismo dell’informazione e in un certo disimpegno sociale (effetto, molto probabilmente, di anni di esposizione alla “cultura di Mora”). Quando è emersa la teoria del gesto dimostrativo e sono arrivati i primi commenti critici nei confronti della “speranza del suicidio” abbiamo assistito a un altro movimento che se possibile è peggiore del precedente. In molti hanno sostenuto che la loro rabbia era nei confronti di chi, Lele Mora in questo caso, aveva ridotto il carcere e il suicidio a una sceneggiata personale. Chissà dove sono stati e cosa hanno fatto quando hanno letto (se hanno letto) dei sessantasei suicidi e dei mille tentativi in carcere nel 2011, chissà se hanno letto le storie di chi ha preso questa decisione e chissà se hanno diviso i tentativi di suicidio in legittimo e illegittimo sulla base della biografia del carcerato. Chissà se conoscono la situazione delle carceri italiane (Lele Mora a Opera è trattato bene e non ha problemi di vivibilità, come testimoniato da alcuni vip che sono andati a trovarlo, come Iva Zanicchi). C’è chi spera nei suicidi di qualcuno. Io non sono tra loro, anche se il soggetto in questione fosse la persona più odiosa del mondo. Giustizia: intervista a Totò Cuffaro, da un anno detenuto a Rebibbia; “una prova dura ma bella” di Massimo Martinelli Il Gazzettino, 31 dicembre 2011 Dice di averlo compreso pochi mesi fa, cosa significa non avere nulla. Mentre si rigirava nelle mani un ovetto di Pasqua, nel cortile di Rebibbia. “Quando ero presidente della Regione Sicilia ne mandavo migliaia e non sapevo cosa significasse riceverlo per chi non aveva niente”. Poi quel giorno Salvatore Cuffaro ha capito: “La Caritas ne aveva portato uno ad ogni detenuto; ho pensato che qualcuno si era ricordato di me”. Cuffaro lo sta comprendendo ancora, insieme ad altri che hanno sbagliato e che stanno pagando con una vita scandita dall’ora d’aria, dal giorno del colloquio, dai sorrisi o dalle lacrime della moglie a seconda delle settimane. Dalla pasta al sugo cucinata in cella, dallo scopone scientifico con i “compagni”, dai libri con la copertina rigida ricevuti in regalo che non superano il controllo di sicurezza. E da altre cose minime, che nel microcosmo di una prigione assumono un’importanza vitale. Tra pochi giorni, l’ex enfant prodige della politica siciliana avrà trascorso il primo anno da detenuto, dopo che la Cassazione gliene ne ha confermati sette per aver favorito la mafia, con una formula che annulla qualsiasi beneficio, fatta eccezione per i 45 giorni di sconto per ogni sei mesi di “condotta irreprensibile”. Potrebbe uscire a giugno 2015, a 56 anni. Non potrà più fare politica e nemmeno il medico, perché lo hanno radiato dall’Ordine. Che farà? “Forse l’agricoltore. In Sicilia abbiamo la terra. Farò il vino”. Come Calogero Mannino, uno dei suoi maestri? Anche lui condannato, ma poi prosciolto. “Mannino fa un vino meraviglioso. Non credo che riuscirei a farne di quel livello”. Non ha risposto. “Se vuole le rispondo. Le istituzioni mi stanno mettendo alla prova. E dopo che i siciliani, un milione e ottocentomila siciliani, mi hanno chiamato a rappresentarli in quelle istituzioni, io ho il dovere e anche il diritto di continuare a rispettarle”. Le istituzioni sono anche la Cassazione. Che dice che lei ha favorito la mafia. “La mafia mi fa schifo. L’ho anche scritto sui miei cartelloni elettorali. Sono stato il primo a creare un sistema di assegnazione degli appalti in Sicilia che toglieva discrezionalità ai politici. Ho speso i fondi europei, anche finanziando progetti per diffondere la cultura antimafia nelle scuole”. Da politico stringeva molte mani, baciava tutti. “Vero. Totò vasa-vasa. Se andavo a una convention di cinquemila persone, la metà me li vasavo. Sapevo anche che non mi sarei ricordato di nessuno di loro. Era il mio modo di fare politica, essere a disposizione. Io ricevevo centinaia di persona al giorno, dalle otto di mattina a casa mia, fino all’una di notte in ufficio”. Che volevano? “Parecchi chiedevano favori. Moltissimi non volevano nulla. Un giorno alle due di notte c’era un tale che aspettava da ore. Mi salutò e basta. Io domandai: ma ti sei fatto sei ore di anticamera per dirmi cosa? E quello: Niente, ma vuole mettere la soddisfazione di dire a mia moglie che ho preso il caffè col presidente Cuffaro? Ecco, la politica in Sicilia è anche questo. Io ero a disposizione dei miei elettori, era rischioso, ma sapevo farlo solo in quel modo”. E adesso? “Di notte scrivo, ho appena finito un libro. La mattina corro un’ora al giorno”. Un’ora al giorno. “Intorno al campetto di calcio. L’ho fatto fin dall’inizio; appena entrato facevo trenta giri, stamane ne ho contati 67”. Ma è dimagrito facendo sport o per stress? “Ho perso 28 chili correndo e mangiando alle sei di sera, con i compagni di cella. Prima uscivo dall’ufficio all’una di notte, mi abbuffavo e andavo a dormire” Con chi divide la stanza? “Due romani e un sardo. Sono i miei compagni di vita. Di questa stagione della mia vita. Che è durissima, da non augurare a nessuno. Talmente dura da poter essere compresa solo da chi l’ha vissuta. Ma che al tempo stesso, in qualche modo è anche bella”. Bella? “Questo è il posto in cui il senso di giustizia è al massimo livello. Così come il rispetto per gli altri e la solidarietà. Il carcere esalta tutte le emozioni, quelle negative e quelle positive. All’inizio avevo paura anche di uscire per l’ora d’aria, poi ho capito che questo è un posto di grande umanità. I detenuti perdonano tutto, tranne l’indifferenza”. Il momento più brutto? “Il giorno della sentenza. Era un sabato, avrei potuto aspettare il lunedì che venissero a notificarla, invece andai alla stazione dei Carabinieri più vicina, a piazza Farnese qui a Roma, e chiesi di portarmi in carcere. Il Ros di Palermo mi seguiva da qualche giorno, e uno di loro volle mettermi le manette. Mi portarono a Rebibbia ammanettato, ricordo la vergogna, quei trecento metri per la strada, e il senso di oppressione, come se mi avessero impacchettato con il filo spinato”. Il più bello? “La visita del Papa e del ministro Severino. Il Pontefice ha detto quella cosa bellissima, che il carcere è una pena, ma se non è vivibile la pena è raddoppiata. Il ministro Severino ha evitato di dire frasi di circostanza ma ha letto una lettera ricevuta da uno di noi; quel giorno i detenuti l’hanno amata come se fosse una mamma”. La sua famiglia? “È la cosa che mi dà forza. Ho quattro ore al mese. Mia moglie le ha divise, una a settimana. Di venerdì. Parte alle sei da Palermo, viene con mio figlio e con mia figlia, che nonostante tutto vuole ancora fare il magistrato. Qualche volta sono tristi, altre volte sereni. E dal loro stato d’animo dipende il mio dolore. Perché la preoccupazione di ogni detenuto, ho imparato qui dentro, è per le persone care che aspettano fuori. Molti lavorano in carcere, e riescono a mandare i soldi alle famiglie che li aspettano. Altri non hanno nessuno che li attende a casa; alcuni sanno addirittura che non usciranno mai. Eppure anche loro, gli ergastolani e i senza famiglia, continuano a sperare. Se lo fanno loro, come posso non farlo io?”. Milano: appello da San Vittore; situazione “disperata e disperante, in cella il doppio dei detenuti La Repubblica, 31 dicembre 2011 Due reparti chiusi, che vuol dire settecento posti in meno: ma a San Vittore il posto, anche se non c’è, si crea. Così nel carcere su cui da anni incombono progetti di chiusura il 2011 finisce con una situazione “disperata e disperante”, detto con le parole di Giuliano Pisapia, che ieri ha fatto la sua prima visita da sindaco in piazza Filangieri. Sono 1.500 i detenuti, quasi il doppio degli 800 posti letto previsti, in condizioni normali. Uno su quattro almeno ha problemi di tossicodipendenza, più della metà sono stranieri senza possibilità di scontare fuori dal carcere pene anche lievi, e il turn over costante rende molto difficile impostare progetti lavorativi a medio termine. Ma è in questa situazione “disperata e disperante, pur nella serenità con cui la polizia penitenziaria cerca di rendere migliore la vita in istituto”, appunto, che il provveditore regionale alle carceri Luigi Pagano e il sindaco Pisapia hanno deciso di unire le forze per cercare di dare un futuro a chi, scontata la sua pena, esce dalle mura di San Vittore “perché se non ci pensiamo noi alla rieducazione e al reinserimento del detenuto, ci pensano a modo loro le organizzazioni criminali”, ricorda Pagano. La novità, allora, è un tavolo permanente sulle carceri (anche Opera e Bollate) tra provveditorato e Comune, con tutti gli assessori coinvolti. “Negli anni passati c’è stata una eccessiva frammentazione degli interventi, e questo comporta spreco di risorse ma soprattutto risultati inferiori a quelli che si potrebbero avere”, spiega l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino. I progetti riguarderanno soprattutto il sostegno al lavoro - all’interno e fuori dal carcere - anche in chiave Expo (per questo c’è già un accordo firmato) e serviranno a pensare anche a nuove sistemazioni abitative per i detenuti che possono lasciare il carcere. Il decreto svuota-carceri del governo, infatti, stabilisce che si possono scontare ai domiciliari gli ultimi 18 (e non più 12) mesi di arresti, “ma molti di quelli che potrebbero farlo non hanno un domicilio, per loro serve housing sociale”, conclude Pagano. Nel suo giro tra le celle, Pisapia ha visto il 36enne che, a maggio, era stato arrestato mentre rubava un’auto proprio grazie al suo intervento: “Ricordavo un ragazzo dagli occhi spiritati, disperato, mi ha ringraziato per avergli dato la possibilità di cambiare”. Storie di disperazione e di speranza, insomma, nel carcere che doveva migrare in una ipotetica Cittadella della giustizia e che proprio in vista di quel trasloco non ha avuto soldi dal ministero neanche per mettere a posto il secondo e quarto raggio, chiusi perché vetusti. Un carcere dove le donne sono un centinaio e dove si contano anche i 13 bambini sotto i tre anni dell’Icam, la struttura a custodia attenuata per mamme detenute. Storie lontane, spesso, dai riflettori ancora accesi su detenuti celebri come Patrizia Gucci, Franco Nicoli Cristiani, Pier Paolo Brega Massone, che lavora nel laboratorio che assicura lavoro a pochi carcerati. Ferrara: il carcere dell’Arginone scoppia, ma nelle sezioni “speciali” ci sono molti posti vuoti di Daniele Predieri La Nuova Ferrara, 31 dicembre 2011 I numeri ingannano: presenti 476 detenuti per una capienza di 466 Ma nelle sezioni “semiliberi” e “pentiti” sono decine i posti non occupati. Il pranzo è quasi pronto. Oggi nel menù del carcere ci sono spaghetti aglio e olio e per i musulmani fesa di tacchino con salsa di verdure e tonno con insalata di pomodori. “Attenti che si scivola”, avverte l’addetto alle cucine. È tutto lindo, pulito, lavato: “Non perché siete voi in visita!” ironizzano per rimarcare la normalità della pulizia negli ambienti. Se qualcuno non ti dicesse che sei dentro il carcere dell’Arginone, non ci crederesti. Ma ti riporta alla realtà l’agente di turno, in cucina: “Debbo metter via i coltelli?” chiede al direttore che ci accompagna nella visita, pensando alla sicurezza di chi viene a ficcare il naso. Quella de “la Nuova Ferrara” è una visita programmata, autorizzata dal Ministero. Ammesse riprese fotografiche, ma nessuna parola coi detenuti dell’unica sezione visitabile, la 7a Reclusione, “definitivi”, quelli che sanno di dover star qui fino a fine pena. I detenuti, già una 50ina di loro, hanno avuto colloqui con il garante dei detenuti, Marcello Marighelli, che ne ha raccolto testimonianze e lamentele. Quella di A., che i carceri italiani li ha girati tutti, è quella di tutti: il vero problema è il sovraffollamento. Che a Ferrara si gestisce meglio che da altre parti, spiegano il direttore Francesco Cacciola e il comandante Paolo Teducci. “Ma è un problema cronico”, dicono i detenuti. E allora che fare? “Basterebbe abolire la legge Cirielli” è il coro dei detenuti perché questa legge ha di fatto annullato i benefici delle pene alternative. Tanti dei “definitivi” potrebbe usufruirne. Anche lo stesso A. che di anni da scontare ne ha ancora 15, e a 60 di età non sono pochi. Nella 7a sezione quasi tutti i detenuti sono all’aria. Pochi giocano a carte “alla nostra età è meglio stare qui”, uno prepara il pranzo, “non è ragù ma lenticchie in umido”, un altro aspetta quello che passa il convento, dentro la cella. Una cella tre metri per quattro, ad occhio, piena dei due letti, i mobiletti, il cucinino con le pentole e il bagno: quasi una suite rispetto la realtà delle carceri italiane con l’emergenza sovraffollamento: e dire che quando venne costruito oltre 20 anni, la previsione in Arginone era che queste celle dovessero essere singole, oggi doppie e per fortuna non ancora triple. Ma qui siamo ai “definitivi”. Il problema serio, quello grave, sono le sezioni di “frontiera”. Quelle dei comuni dove c’è una concentrazione di problemi. Dove entrate ed uscite sono all’ordine del giorno. E questo ti dà l’idea di come funziona un carcere, visto che si è abituati a pensarlo come a una macchina ferma: invece è sempre in movimento 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. E ogni giorno entra ed esce qualcuno: a novembre, sono stati 180 i nuovi ingressi e 183 le uscite. Insomma, la quota in carcere resta sempre la stessa. E così il carcere scoppia, anche se i numeri non lo fanno vedere. All’Arginone, a ieri erano 476 i detenuti presenti, a fronte di una capienza di 466. E allora l’esubero non è solo di 10 persone? Perché parlare di sovraffollamento? Il carcere invece scoppia perché di quei 466 posti, 74 non sono utilizzati, perché all’interno di sezioni speciali. “Il numero di 476 detenuti non è spalmato su tutte le sezioni”, la spiegazione. Quella dei semiliberi, ad esempio, è pressoché vuota: solo 4 i presenti, a fronte di 33 posti non occupabili da altri. Così come la sezione collaboratori giustizia: un carcere dentro il carcere, che vive di regole e autonomia proprie. Sono 34 i collaboratori con decine di posti vacanti, che non possono essere occupati da altri. Vale lo stesso per la sezione protetta, dove ci sono pedofili, violentatori, ex appartenenti forze di polizia, dove detenuti normali non possono essere ospitati. E allora, se i numeri non fanno accendere la spia rossa, la realtà è che il carcere comunque scoppia. A Ferrara come in tutta Italia. Meno a Ferrara, ma scoppia ugualmente. “Non siamo in vacanza” la battuta di un detenuto dei “definitivi”, quando gli chiediamo come si stia, in due in quella cella, e ti risponde “Come vuole che si stia, siamo in un carcere”. Nel carcere, però, bisogna riempire il tempo. Rendere concreto e realizzato il “dettato costituzionale” come pomposamente si accenna parlando della funzione rieducativa del carcere. E allora, ecco la sala computer, donata da un benefattore (Fabio Falchetti) ai detenuti. Ecco le aule di scuola, dalle elementari alle medie, “per alfabetizzare gli stranieri, ma anche gli italiani”, spiega uno degli addetti nell’area pedagogica. Perché chi arriva dentro il carcere è povero, in tutti i sensi. Una povertà culturale e materiale. “Anche i grandi spacciatori - ad esempio, spiega come paradosso il comandante Teducci - dopo i primi tempi non hanno più soldi e chiedono di lavorare”. Ma lavoro e soldi non ci sono per tutti. C’è don Antonio, il cappellano del carcere, che aiuta tanti, e per questo “è riuscito a far battezzare anche i musulmani”. E non è solo un miracolo dell’uomo di Chiesa. Il lavoro aiuta, ma non c’è per tutti Un fiore all’occhiello del carcere dell’Arginone è il laboratorio Raee, recupero e riciclaggio di elettrodomestici. In questo caso lavatrici e altro. Il direttore Francesco Cacciola e il comandante Teducci credono fermamente in questo progetto, perché dà lavoro, risorse e soldi e speranze ai detenuti. “I detenuti ammessi al lavoro sono una 50ina qui nell’istituto, c’è una rotazione ma non per tutti i ruoli. Ad esempio questo del laboratorio Raee ha previsto un corso di formazione per detenuti che lavorano qui all’interno. Al momento - spiega Cacciola - sono 5 i detenuti impegnati, e quindi c’è una graduatoria per tutti gli altri”. Gli altri sono in lista, per un’attesa di 10 mesi, per lavorare poi un mese. E sono una 90ina i detenuti in attesa di poter accedere al lavoro. Perché lavorare significa guadagnare qualcosa, dentro al carcere, spesso significa imparare un lavoro. E costruirsi un futuro. “La mancanza di lavoro all’interno è un problema - spiega Tuderti - che può anche innescare episodi di autolesionismo”. In ogni reparto ci sono i “lavoranti”. La cucina, ad esempio, è gestita da personale interno del carcere coi detenuti. E tutti i detenuti sono fidati (perché ci sono coltelli in giro, che possono essere usati, impropriamente, non per cucinare). Altri lavoranti sono occupati negli aiuti domestici, vuol dire la pulizia dei luoghi comuni, mentre ogni cella viene pulita da chi la occupa. E quando non c’è il lavoro, c’è tanto altro con cui occupare il tempo. Il tanto tempo che si ha a disposizione in carcere. A parte la scuola, i corsi di informatica, di teatro c’è anche il giornale del carcere Astrolabio, che viene pensato e redatto dagli stessi detenuti. Una piccola finestra del carcere aperta verso l’esterno. Che resta aperta anche grazie alla presenza degli educatori, ai quali i detenuti si rapportano in tutte quelle attività di rieducazione: sei quelli in servizio, due quelli presenti all’interno. “Vengono garantiti colloqui e attività - spiega la dottoressa Di Stefano - il sovraffollamento è un dato di fatto, ma con il nostro lavoro e quello di tanti altri qui all’interno rendiamo questo elemento negativo il più vivibile possibile”. I problemi maggiori tra i detenuti comuni Il sovraffollamento dell’istituto visto dall’osservatorio del garante Marighelli “Chi è dentro è estremamente povero e ha bisogno di occhiali e protesi ai denti”. I presepi sono dappertutto. Gli alberi di Natale pure. Luci e ancora luci, di festa e auguri. “Ma fare gli auguri ad un detenuto, qui dentro, è diverso, anche per noi”, riflette il direttore del carcere Francesco Cacciola, che ci accompagna nella visita, quasi a voler rimarcare l’estrema difficoltà con cui si lavora e si vive qui dentro. Qui dentro, ogni settimana, arriva il garante dei detenuti, Marcello Marighelli, presente alla visita su richiesta del direttore Cacciola. Marighelli dà una lettura meno fredda ai problemi, ai numeri e alle statistiche del sovraffollamento dell’Arginone. “Sono critico sui numeri delle presenze nell’istituto, perché i numeri parlano di flussi, dimenticando che entrano ed escono delle persone”. Marighelli ringrazia la direzione “per non aver trovato nessun ostacolo nella mia attività”. Ricorda di aver avuto colloqui con una 50ina di detenuti, e dal suo osservatorio fotografa la situazione. Mette a fuoco che “sui detenuti comuni c’è una concentrazione fortissima”, spiega leggendo il dato delle 476 presenze in carcere, detenuti che non occupano gli spazi disponibili, poiché alcune aree sono aperte solo a certi detenuti, mentre i normali vengono compressi. “Dai detenuti ho raccolto una serie di lagnanze, e tra queste il difficile accesso alle misure alternative al carcere”. Domiciliari, ad esempio, che spesso le nuove norme impediscono. Ma ulteriori problemi vengono dal fatto che vi è mancanza di soldi e risorse per i detenuti. “La popolazione carceraria - aggiunge Marighelli - è estremamente povera, ha bisogno di aiuti, il volontariato sopperisce, non del tutto”. E quando non ci sono risorse, i problemi di salute diventano insormontabili. Le sanità interna al carcere ora è gestita dalla Usl, ma se vi sono difficoltà per chi, all’esterno, chiede prestazioni e cure, immaginate per un detenuto cosa significhi trovare risorse per protesi ai denti, occhiali e altro. “Debbo dire che il volontariato e la stesse farmacie comunali ci hanno dato una mano - sottolinea Marighelli, che può essere contattato alla casella mail: garantedetenuti @ comune.fe.it - stiamo lavorando per poter garantire servizi di assistenza odontoiatrica e altro”. Il problema resta che dentro si è più poveri dei poveri che sono fuori. Una realtà drammatica che la direzione non nasconde: “L’80% dei detenuti chiede di essere ammesso al lavoro (e guadagnare) ma ci sono liste d’attesa di oltre 10 mesi prima di potere accedere al lavoro, che dura appena un mese”. Ma basta per sopravvivere. Siamo agenti con funzioni rieducative Don Antonio ricorda ancora oggi “Ciuco”, un detenuto di colore che dipinse il murales dietro l’altare della cappella all’interno del carcere: “Purtroppo tra i detenuti non ci sono più artisti, ne aspetto altri”. Scherza Don Antonio Bentivoglio, cappellano del carcere, perché in realtà li aspetta tutti, i detenuti. Di tutte le religioni e i colori della pelle. “È uno dei referenti principali per loro. Anche dal punto di vista religioso”, spiegano dalla direzione. E Don Antonio contraccambia: “debbo dire che proprio perché ci sono rapporti buoni con la direzione, problemi non ci sono qui all’interno. Con gli stessi musulmani, riusciamo a far fronte alle tante richieste ci vengono da loro”. Spesso si riesce a far fronte grazie ad un volontariato attivo e all’associazione “Noi per loro” che gestisce un negozio in via Adelardi all’interno del quale vengono venduti manufatti creati e lavorati dai detenuti, artisti. “Purtroppo - ribadisce sempre con ironia - artisti tra i detenuti ora non ce ne sono”. Ma ce ne saranno ovviamente. È il ciclo della vita del carcere. Che deve contenere. Pur con tutti i limiti possibili. “Anche se noi - spiega il comandante Tuderti - cerchiamo di rendere meno afflittiva possibile la permanenza all’interno dell’istituto”. “L’agente di polizia penitenziaria - rammenta - oggi partecipa alla rieducazione, ne è una pedina fondamentale. Non è più il custode di una volta, si relaziona col detenuto. Vi è un reciproco rispetto tra i due, perché se si dà, si riceve rispetto, si svolge meglio il proprio lavoro. E nessuno di noi agenti di polizia, giudicherà mai un detenuto”. Un “buco” di 50 agenti e nuovi furgoni per le traduzioni I nuovi furgoni sono parcheggiati nel cortile dell’istituto: sono mezzi che hanno sostituito i vecchi furgoni cellulari che avevano anche 500mila chilometri nel motore. Mezzi che servono al personale del servizio “Traduzioni” per fare su e giù per lo stivale, trasferendo i collaboratori di giustizia nelle sedi dei processi o degli interrogatori. Gli addetti della polizia penitenziaria all’interno del carcere dell’Arginone, secondo i numeri resi noti dal nuovo comandante il commissario Paolo Teducci, a Ferrara da 8 mesi, sono di 184 unità a fronte di un organico di 236 uomini: quindi una carenza di oltre 50 unità. Di questi 14 sono del Nucleo traduzioni, quello dei cellulari su e giù per l’Italia, che fino a ieri partivano non sapendo se tornavano(visto i mezzi che avevano). Un servizio fondamentale in un carcere (tutti i detenuti verso il tribunale di Ferrara o in altre sedi) ma soprattutto impegnativo: tanto per dare l’idea, la scorta di un collaboratore di giustizia comporta l’impiego di 5 agenti. Dunque, numeri risicati, per una coperta sempre più corta. “Si sopperisce a tutto questo - spiega il comandante Teducci - grazie agli sforzi che fa il nostro personale”. “Ma non vogliono essere parole di circostanza - spiega. Il mio elogio va al personale interno poiché lavorando bene con i detenuti questi ci danno una mano, riducendo i problemi che si possono creare in una situazione difficile come quella di un carcere”. Libri per evadere… due biblioteche all’interno La biblioteca interna fornisce testi di ogni tipo e ogni lingua. E quando non ci sono i libri richiesti in carcere, ecco che gli operatori li prenotano all’esterno, presso le biblioteche comunali, grazie ad una convenzione speciale. È una delle tante attività pedagogiche all’interno dell’istituto di via Arginone. E la curiosità sta nel fatto che le biblioteche, in realtà, sono due. Una nella sezione dei detenuti normali, la seconda in quella dei collaboratori di giustizia, un carcere dentro al carcere separato fisicamente da un muro (era la vecchia sezione femminile, oggi trasferita a Bologna). I libri arrivano dentro. Ma chiunque volesse donarli può contattare la direzione del carcere o gli educatori dell’area pedagogica. Reggio Calabria: con Rita Bernardini… in visita al carcere di Castrovillari www.ntacalabria.it, 31 dicembre 2011 “Un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”, così Marco Pannella definisce la realtà delle immonde carceri italiane. Il carcere come luogo dove quotidianamente viene tradito l’art. 27 del dettato costituzionale. Negli ultimi giorni dell’anno ecco la realtà di Castrovillari. Il carcere, luogo in cui viene vilipeso e calpestato l’art.3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. Il carcere, tanto per citare la mozione del IX congresso di Radicali italiani, luogo di tortura per detenuti e agenti di Polizia penitenziaria. Il carcere specchio e riflesso di un paese dove ogni giorno muore lo stato di diritto e la costituzione scritta viene sostituita dalla costituzione materiale. Il 20 dicembre, nel corso di una puntata di “Radio Carcere”, Marco Pannella ha scandito in maniera didascalica: “Esigiamo che il nostro stato interrompa la flagranza di reato contro i diritti umani e la costituzione”. Il leader radicale ha invocato l’intervento delle procure della repubblica e nel ricordare l’ennesimo suicidio di un agente ha parlato di “omicidi istituzionali”. Ci sono numeri che dovrebbero far riflettere e sono quelli che ratificano la bancarotta della giustizia in questo nostro paese. E se emergenza, in una delle accezioni proposte dal vocabolario della lingua italiana Treccani, è una “circostanza imprevista e accidentale”, va da sé che di imprevisto in un sistema la cui cifra è rappresentata da oltre 10 milioni di procedimenti pendenti tra civile e penale non c’è nulla. Anzi, i Radicali avevano lanciato l’allarme e messo sull’avviso quando gli arretrati sul fronte del penale erano decisamente meno consistenti. Nessuna emergenza se da tempo assistiamo ad una irragionevole - verrebbe da dire intollerabile - durata dei processi, con il corollario di una amnistia clandestina e quasi sempre di classe che produce ogni anno quasi 200.000 prescrizioni. Dov’è, verrebbe da chiedersi, il rispetto dell’art. 5 comma 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali? “Ogni persona arrestata o detenuta… ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”. La questione che poniamo è quella della bancarotta della giustizia, di cui il carcere è un un’appendice, o se volete putrido percolato. Ci sono numeri che dovrebbero far riflettere e sono quelli che raccontano dell’inferno vissuto quotidianamente dalla “Comunità penitenziaria” e di cui ci parlano i direttori del Si.di.pe in una straordinaria lettera, nella quale tra l’altro scrivono: “non ci pongono in condizione di svolgere il nostro lavoro con dignità, nell’effettivo rispetto delle leggi solennemente enunciate e quotidianamente violentate…siamo stati, in verità, ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni ed alle promesse celebrate nelle sue leggi”. Numeri, cifre, e dietro ogni dato, ogni statistica, emerge il dramma figlio di uno stato che non riesce a rispettare la sua propria legalità. In Italia, le statistiche dicono che ogni anno si registra un suicidio ogni 20.000 abitanti; nelle patrie galere, invece, abbiamo un suicidio ogni 924 detenuti. Dal 1990 al 2010 si sono tolti la vita 1093 detenuti e sono stati 15.974 i tentati suicidi. Solo quest’anno registriamo 66 suicidi tra i detenuti e 5 suicidi tra gli agenti di Polizia penitenziaria. Raccontano qualcosa queste cifre? Sì, raccontano della strage di legalità che, per dirla con Marco Pannella, si traduce in strage di popoli. Da Potenza a Castrovillari Se è vero - e lo è - che la strage di legalità ha per inevitabile corollario la strage di popoli, la visita al carcere di Castrovillari ce lo ha confermato. Giovedì 29 dicembre, con Rita Bernardini stiamo attraversando quell’autentico percorso ad ostacoli che è la Salerno-Reggio. La nostra meta è Castrovillari (Cs), dove ci aspetta Salvatore Moscato Tesoriere dell’Associazione Calabria Radicale. Rita parla di giustizia e carcere, e non posso fare a meno di pensare che se una piccola scintilla del fuoco che le arde dentro contaminasse il Parlamento, forse potremmo assistere ad un benefico incendio, all’esplosione di un dibattito negato, vietato, che non c’è e che è alimentato quasi quotidianamente dalle frequenze di Radio Radicale, che solo poche ore fa ha diffuso la conversazione tra Marco Pannella e l’on. Alfonso Papa. Conversazione riservata a pochi fortunati (gli ascoltatori di RR). In macchina parliamo del carcere calabrese e di un dato inquietante: 9 suicidi negli ultimi dieci anni. Ore 11.00 - Con Rita, Salvatore e Maria Antonietta entriamo nel carcere e siamo accolti dal sorriso e dalla cortesia di un agente del “nucleo traduzioni”, che affranto ci mostra il decadente parco macchine. Ci dicono che il carcere è stato aperto nel ‘95: ben 11 anni dopo la sua costruzione. Un altro agente, nel corso della visita, quasi sussurra: “Castrovillari è dimenticato da tutta la Calabria”. Entriamo e iniziamo il nostro giro accompagnati dal Commissario Grazia Salerno e dalla educatrice presente al momento della visita, che tiene a sottolineare che “tutti i permessanti sono regolarmente rientrati”, e poi aggiunge: “Qui trovate solo reati connessi alla miseria”. Appena entriamo, i nostri accompagnatori non mancano di sottolineare le evidenti infiltrazioni d’acqua nel corridoio del piano terra. Le celle, i “cubicoli” di due metri per tre, sono decisamente anguste e sprovviste sia di doccia che di acqua calda; nate per ospitare una sola persona, nella stragrande maggioranza dei casi attualmente ne ospitano 3, alloggiate in letti a castello. Un detenuto ci racconta di essersi rotto l’omero precipitando dal letto. Complessivamente 3 ore e mezzo d’aria e due di socialità. Qualche detenuto, riferendosi allo spazio passeggio, arriva a dire che preferisce rimanere in cella. In effetti, di lì a poco verifichiamo che lo spazio destinato alle ore d’aria deve essere stato concepito da una mente disturbata. Nell’istituto sono presenti due reparti: una sezione maschile e una femminile. Complessivamente 260 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 128 posti. Tra le sezioni, una dedicata ai cosiddetti “sex-offender” e una definita mista, destinata ai “casi problematici”. I detenuti tossicodipendenti sono al momento 25, una percentuale di gran lunga inferiore alla media nazionale. Nel carcere risultano in servizio due educatori, di cui una in maternità (ne occorrerebbero tre); uno psicologo in servizio tutta la settimana, ma carenze e difficoltà vengono denunciate sul fronte dell’assistenza psichiatrica. Sempre sul fronte sanitario da registrare la presenza di un infermiere per turno e la necessità di incrementare il numero di ore. L’apparecchiatura dentistica presente nell’istituto è in attesa di riparazione da due anni e al momento è possibile solo estrarre i denti. A parere del personale infermieristico, sarebbe utile poter disporre di un ecografo. Il medico presente parla di 40 casi psichiatrici. I detenuti che riescono ad accedere ad attività lavorative sono una trentina (poco più del 10 per cento) e a questi bisogna aggiungere 7 art. 21, che lavorano come operatori ecologici (raccolta differenziata). Nel corso della visita e dei colloqui tra Rita e i detenuti emerge tutto il disagio di una detenzione in una struttura sovraffollata e soffocante. Cosimo, 67 anni, ha subito un intervento al cuore e gli è stato installato un peacemaker; da luglio è in attesa di un esame per verificare un’insufficienza respiratoria. In un’altra cella c’è chi lamenta problemi per una visita odontoiatrica: negli occhi di tutti il disagio di dover vivere in celle lontanissime dalla legalità. L’educatrice che, al pari degli agenti, si danna l’anima per mantenere la baracca, ci racconta che sono circa 60 i detenuti che vanno a scuola tra elementari, media, alberghiero e Itis. Un lampo, quando racconta fiduciosa che il comune dovrebbe dare al carcere due ettari di terreno in comodato d’uso e, chissà, forse partiranno dei corsi. Ma il disagio di un carcere, che è ghetto, esplode nel triste elenco dei suicidi. Nel 2009, a togliersi la vita a distanza di pochi giorni sono stati in due: il 10 settembre un detenuto cileno; il 19 C.N. Italiano. E ancora, il 13 ottobre 2011, come riportano le cronache e come ci viene confermato dal Commissario, dottoressa Salerno, si è suicidato un detenuto rumeno di 37 anni. Pochi mesi prima, a febbraio, si era suicidato Vasile Gavrilas, anche lui rumeno e anche lui trentasettenne. Una scia di morte nella quale trova posto anche una vicenda piuttosto inquietante: il suicidio dell’Agente di Polizia Penitenziaria Fabrizia Gravinese, accusata di spaccio di sostanze stupefacenti, impiccatasi in cella nel maggio del 2008. A sconcertare, il fatto che la Gravinese sia stata tradotta nello stesso penitenziario presso il quale aveva lavorato fino al momento dell’arresto. Nel commentare la vicenda, l’Osappe ebbe a dichiarare che “Normalmente gli addetti alle forze di polizia sono trasferiti in carceri militari proprio per evitare il contatto con la popolazione detenuta”. Nella sezione femminile del carcere calabrese, come abbiamo potuto verificare, la cella teatro del suicidio è tutt’ora sotto sequestro. Una cella ubicata a pochi passi dalla cella numero 3, dove abbiamo incontrato una mamma che da cinque mesi vive la detenzione in compagnia del suo bambino. Il personale del carcere ci ha riferito che il piccolo, che ha due anni e mezzo, da quando è entrato in carcere ha subito un regresso linguistico. Il bambino attende da mesi una visita pediatrica che non arriva e da agosto alcune vaccinazioni. Istantanee, quelle che ricaviamo dalla visita a Castrovillari, che danno corpo a quella frase: “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”. La visita è quasi terminata quando chiediamo alla dottoressa Salerno e al direttore a scavalco notizie di un progetto, sulla carta rivoluzionario: vogliamo visitare il canile del carcere, destinato alla cosiddetta “pet-terapy”. Del progetto, denominato Argo, si inizia a parlare nel 2007, per dare concreta applicazione ad uno studio condotto dal Dap che evidenziava l’utilità di iniziative volte ad affidare ai detenuti la cura degli amici a quattro zampe. Il progetto viene inaugurato nel novembre del 2009 e su strilli.it viene annunciato: “I detenuti si dedicheranno da oggi, nella stessa area penitenziaria, alla cura di alcuni cani randagi, appositamente sistemati in un canile, costruito dal Comune. L’iniziativa, denominata “Argo”, è stata, infatti, resa possibile da una sinergia tra Comune, Casa Circondariale ed Azienda Sanitaria, e presentata questa mattina, con l’inaugurazione del “canile”, in una conferenza stampa, nella sala convegni del penitenziario del capoluogo del Pollino”. Fatto sta, che due anni dopo, il progetto Argo per ammissione della stessa direzione sembra essere miseramente fallito. Arrivati davanti alle gabbie, dove sono malamente alloggiati una 15 di animaletti letteralmente disperati, e tra questi anche uno azzoppato, ci è sembrato di leggere nei loro occhi solo la disperazione di una vita in cella e senza speranza. Quasi una metafora delle nostre patrie galere. Ancona: i senatori marchigiani plaudono al reintegro a Montacuto della direttrice Lebboroni Corriere Adriatico, 31 dicembre 2011 I senatori marchigiani del Pd, Pdl e del Gruppo misto Marina Magistrelli, Silvana Amati, Francesco Casoli e Luciana Sbarbati, ringraziano il ministero della Giustizia per aver reintegrato nelle loro funzioni la direttrice del carcere di Montacuto Santa Lebboroni e il comandante della polizia penitenziaria, sospesi con un provvedimento del Dap dopo le proteste dei detenuti dei primi di dicembre. Una “risposta immediata” al problema che i senatori avevano sollevato in una lettera al ministro Paola Severino. I parlamentari marchigiani le avevano anche rappresentato in un colloquio le difficoltà del carcere anconetano per mancanza di personale e per il sovraccarico di detenuti, e chiesto misure urgenti per migliorare la qualità di vita dei detenuti “costretti a vivere in una situazione di assoluta difficoltà”. “Ci piace - commentano i senatori - un ministero che sa analizzare i problemi con prontezza e che sa intervenire subito, con decisioni che evitano lo stallo e che migliorano il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni”. Intanto, anche il personale del carcere di Montacuto ringrazia il ministro della Giustizia Paola Severino per “l’atto di giustizia” che ha fatto facendo rientrare in sede la direttrice Santa Lebboroni e il comandante della polizia penitenziaria Gerardo D’Errico, sospesi dal Dap dopo gli incidenti dell’8 e 9 dicembre scorso che avevano visto protagonisti alcuni detenuti. Secondo il personale, il provvedimento era “immotivato, ingiustificato e del tutto illegittimo”. “Non era possibile pensare che l’l’alto valore mediatico degli eventi, che, per di più, non si sono mai verificati nei termini in cui sono stati riportati dai mass media, potesse determinare la vita professionale di un dirigente penitenziario e di un funzionario direttivo e di conseguenza l’andamento di un’intera struttura penitenziaria come quella di Ancona-Montacuto che ospita 400 detenuti”. Resta la pesante situazione che i detenuti devono sopportare tutti i giorni nel carcere di Montacuto, dove il sovraffollamento continua ad essere un nodo irrisolto. Roma: per Pannella e Giachetti notte di Capodanno a Rebibbia Ansa, 31 dicembre 2011 Marco Pannella e il deputato del Pd Roberto Giachetti passano la notte di Capodanno con la comunità penitenziaria e i detenuti del carcere di Rebibbia. Marco Pannella seguirà il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insieme ai detenuti, per non dimenticare quanto da lui stesso dichiarato sulla “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” riguardo la situazione delle carceri. È quanto si legge in una nota dei due esponenti politici. Roma: Polverini; dal prossimo gennaio una scuola di musica a Casal del Marmo Adnkronos, 31 dicembre 2011 “Speriamo che il 2012 sia migliore. siete troppo giovani per rimanere qui, troppo giovani per tornarci”. È quanto ha dichiarato oggi il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, che ha assistito, nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma a un concerto, tenuto da Federico Zampaglione dei Tiromancino, davanti agli oltre 50 ragazzi dell’istituto di pena. Un istituto modello, quello di Casal del Marmo con i suoi 52 ospiti, di cui 10 ragazzi, che la Regione Lazio sostiene con numerosi progetti formativi e di reinserimento sociale. Accanto alla scuola di musica, che partirà il prossimo gennaio, nell’istituto ci sono laboratori di sartoria teatrale, corsi per tecnici del suono, decoupage, la possibilità di frequentare le scuole primarie e medie, corsi di inglese, da frequentare attraverso lezioni singole o di gruppo. I giovani detenuti possono avere inoltre la possibilità di frequentare la palestra. A Casal del Marmo ci sono campi di calcio e di pallavolo. “Non era scontato che Federico e Stefano dei Tiromancino, due artisti così importanti, fossero tra di noi oggi - ha aggiunto la Polverini - Apprezziamo la loro musica, che va per la maggiore soprattutto tra i giovani. Ma noi oggi - ha proseguito - non vogliamo essere qui solo per compiere gesti, ma per condividere con voi emozioni, esse qui con il cuore e con la testa e non soltanto come impegno istituzionale”. “Dal prossimo gennaio sarà attiva nel carcere minorile di Casal del Marmo una scuola di musica”. È quanto ha dichiarato oggi il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, che ha assistito, nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma a un concerto davanti agli oltre 50 ragazzi dell’istituto di pena tenuto da Federico Zampaglione dei Tiromancino. Accanto al presidente l’assessore alla Sicurezza Giuseppe Cangemi, il direttore uscente di Casal del Marmo Maria Laura Grifoni. “L’idea di una scuola di musica - ha ricordato il presidente della Regione - è nata lo scorso anno quando abbiamo deciso di portare nelle carceri, per la prima volta, gli artisti. Insieme a loro abbiamo visto che c’era un grande coinvolgimento da parte dei detenuti. Siamo partiti in via sperimentale in alcune carceri nel 2011 - ha proseguito la Polverini - abbiamo visto che ha funzionato e oggi lo stiamo riproponendo. Ci sembra giusto iniziare anche da qui oggi, da Casal del Marmo dove ci sono proprio dei ragazzi”. Il presidente della Regione Lazio ha ricordato ancora che prestano il loro servizio, a titolo gratuito e volontario “molti artisti importanti che offrono il loro impegno. È uno stimolo soprattutto per i ragazzi, un gesto di attenzione nei loro confronti che è molto apprezzato”. Bari: avvocato in manette, portava hashish ai detenuti del penitenziario di Turi Ansa, 31 dicembre 2011 Un avvocato penalista del Foro di Bari, Pasquale L., di 38 anni, è stato arrestato dalla polizia penitenziaria nel carcere di Turi dopo che un cane antidroga degli agenti di custodia gli ha trovato indosso una sostanza stupefacente sulla quale non si sono appresi particolari. L’episodio, del quale danno notizia i sindacati di polizia penitenziaria Osapp e Sappe, è avvenuto oggi dopo che il professionista aveva superato la portineria ed era in procinto di essere immesso nella sala destinata ai colloqui con i reclusi. Il pm di turno della Procura di Bari ha convalidato l’arresto dell’avvocato che è stato rinchiuso in isolamento nello stesso penitenziario. Indagini sono in corso per stabilire se la droga fosse destinata al cliente del legale. I sindacati di polizia penitenziaria esprimono apprezzamento per l’operazione condotta dal nucleo cinofilo del Corpo impegnato oggi in minuziosi controlli a causa del rientro da licenze premio di detenuti dopo le feste di Natale. Sassari: colloquio in carcere… tra cane e padrone La Nuova Sardegna, 31 dicembre 2011 Fra qualche giorno nella saletta dalle pareti scrostate, dove c’è un misero tavolino di legno per i colloqui con l’avvocato, si troverà di fronte occhi vispi e una coda frenetica, impazzita per la gioia. La coda di un bastardino che potrà incontrare il suo padrone, dopo tanta lontananza. Perché il padrone è recluso nel carcere di San Sebastiano, condannato definitivo per rapina, fine pena 2015. Da tempo il detenuto quarantenne - dal penitenziario di via Roma è stato mantenuto riserbo sull’identità - è chiuso dietro le sbarre di uno degli istituti di pena peggiori d’Italia, dove la rotonda centrale dalla quale partono i vari bracci ricorda infaustamente i penitenziari benthamiani di fine Settecento, quando il controllo era l’unico concetto associato alla detenzione. Se c’è spazio per qualche scampolo di umanità, nonostante gli sforzi degli educatori, allora, il detenuto amante degli animali ha provato a sfruttarlo. E ha chiesto al direttore Francesco D’Anselmo di incontrare il suo bastardino, uno dei quattro cani che ora vivono assieme alla sua compagna. Quello che - ha spiegato - “è come se fosse un componente della mia famiglia”. Se avesse potuto forse avrebbe utilizzato le parole estasiate di Thomas Mann per descrivere quel rapporto padrone-cane comprensibile solo a chi lo ha provato. Da recluso magari avrebbe apprezzato i passi in cui l’autore della Montagna Incantata decanta le passeggiate nel bosco col suo Bauschan. In questi mesi al detenuto non sono bastati i colloqui con gli altri familiari o con la compagna. Ha spiegato alla direzione del carcere che gli manca proprio lui, il bastardino, il suo affetto incommensurabile. E che un incontro con il cane favorito tra i quattro che possiede gli renderebbe più tollerabile il tempo dentro la cella non passa mai. La richiesta al direttore, che non rilascia dichiarazioni in merito, è giunta da poco. Permesso accordato. E sembra che il dirigente non sia rimasto sorpreso, sebbene si tratti della prima volta che un ospite di San Sebastiano faccia una domanda simile. Era già accaduto invece a Verona e a Pontedecimo (Genova) lo scorso autunno. E sulla scia di quegli incontri sporadici, dovuti alla comprensione di singoli direttori, i Radicali hanno annunciato un’iniziativa per istituzionalizzare i colloqui padrone-cane, attraverso la presentazione di un ddl. “Sappiamo che nella scala delle priorità di quello che serve in un carcere, questa non è in cima alla lista - hanno ammesso i senatori Donatella Poretti e Marco Perduca e Alessandro Rosasco del comitato nazionale di RI - ma potrebbe essere una piccola rivoluzione a costo zero per aiutare alcuni detenuti a vivere meglio una pena che spesso si trasforma in tortura”. Siria: i corpi di 4 prigionieri, torturati e uccisi in carcere, restituiti alle famiglie Ansa, 31 dicembre 2011 In Siria tre civili sono stati uccisi da proiettili delle forze di sicurezza, mentre i cadaveri di quattro civili, arrestati e poi uccisi in carcere, alcuni con evidenti segni di tortura, sono stati restituiti ai loro familiari, annuncia l’opposizione, che parla anche di manifestazioni spontanee per il Capodanno e contro il regime inscenate simultaneamente la scorsa notte a Idleb, Aleppo, Zabadani (non lontano da Damasco), Deraa e Qameshli. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani (Osdh), un’organizzazione dell’opposizione al regime di Bashar Al Assad, due civili sono rimasti uccisi dai tiri di cecchini nascosti nella cittadina di Qusseir, nel distretto di Homs, e un terzo è morto dopo essere stato colpito da un proiettile “vagante” a Kafarnubol, nella regione di Idleb, nei pressi della frontiera turca. L’Osdh - che non precisa quando ci sono stati i morti - dice anche che i cadaveri dei quattro oppositori uccisi in carcere sono stati restituiti ai familiari a Wadi Iran, nel distretto di Homs, e a Ariha, nella provincia di Idleb. In un comunicato i Comitato locali di coordinamento, che organizza sul terreno le manifestazioni anti-regime, azzardano un bilancio di 5.862 civili uccisi nel 2011 dalle forze di sicurezza nella repressione delle manifestazioni. Siria: arrestato figlio fondatore Jihad islamica palestinese Adnkronos, 31 dicembre 2011 Le forze della sicurezza siriana hanno arrestato ieri Ibrahim Shiqaqi, figlio del fondatore del movimento della Jhihad islamica. Lo riferisce oggi l’emittente satellitare al-Jazeera precisando che Shiqaqi è attualmente detenuto in un carcere di Damasco. Suo padre, Fathi Shiqaqi, è stato il fondatore e segretario generale del movimento della Jihad islamica in Palestina. Fathi Shiqaqi è stato ucciso da agenti del Mossad nel 1995. Iran: rilasciata dopo 287 giorni di carcere donna convertita al cristianesimo Adnkronos, 31 dicembre 2011 È stata rilasciata dopo 287 giorni di reclusione Shahla Rahmati, cittadina iraniana convertita al cristianesimo. Lo riferisce oggi il sito d’informazione attivo nell’ambito dei diritti umani Herana, spiegando che Rahmati era stata condannata in primo grado, lo scorso ottobre, a due anni e mezzo di carcere perché riconosciuta colpevole di “aver fatto propaganda religiosa nella Repubblica islamica”. La donna è stata poi assolta in appello dal Tribunale di Teheran e di conseguenza rilasciata. Rahmati era stata arrestata lo scorso anno, insieme ad altre decine di neo-cristiani, nella capitale iraniana. Come spiega Herana, Rahmati avrebbe trascorso circa tre mesi in cella di isolamento nel carcere di Evin. Secondo i siti d’opposizione, nell’ultimo anno, oltre duecento iraniani convertiti al cristianesimo sarebbero stati arrestati su ordine dell’autorità giudiziaria iraniana. Negli ultimi anni sono aumentate in modo considerevole le conversioni, soprattutto dei giovani, dall’Islam ad altre religioni quali il cristianesimo, il zoroastrismo e la fede bahai, suscitando le dure reazioni delle autorità politico-religiose della Repubblica islamica. Cina: il noto dissidente Gao Zhisheng è in carcere nello Xinjiang Agi, 31 dicembre 2011 Gao Zhisheng, uno dei più noti dissidenti cinesi, si trova in carcere nella remota regione occidentale dello Xinjiang. Lo ha reso noto il fratello, Gao Zhiyi, che ha ricevuto una lettera del 44enne avvocato e attivista per i diritti umani dal penitenziario di Shaya, nella prefettura di Aksu. Gao, impegnato in battaglie a favore dei cristiani e dei minatori, era stato arrestato nel febbraio 2009 per “sovversione” e da allora è detenuto in regime di totale isolamento a parte un breve rilascio nel marzo del 2010. Dall’aprile dello stesso anno se ne erano perse completamente le tracce, finché il mese scorso la Xinhua non ha riferito del nuovo arresto per violazione del regime di libertà vigilata. Lo Xinjiang è considerata la regione dei gulag cinesi, in quanto fin dagli anni 50 e 60 vi venivano incarcerati i dissidenti.