Giustizia: Baccini (Pdl); proporremo al parlamento progetto contro sovraffollamento Adnkronos, 28 dicembre 2011 “È necessario ripensare urgentemente al sistema carcerario italiano. Il sovraffollamento degli istituti di pena è un problema umanitario primario: non solo per i detenuti che sono rinchiusi e che in queste condizioni non maturano alcuna riabilitazione, ma anche per coloro che operano per la loro sorveglianza, sicurezza e cooperazione”. Lo afferma Mario Baccini presidente dei cristiano popolari del Pdl dopo aver visitato, stamane, il carcere di Rebibbia dove sono rinchiusi 1.712 detenuti mentre la capienza massima sarebbe di 1.200. “Proporremo al Parlamento - conclude Baccini - un nostro progetto alla fine del tour all’interno degli istituti penitenziari italiani. Un viaggio che abbiamo deciso di intraprendere per tastare la reale condizione della situazione carceraria”. Giustizia: Osapp; a Natale -2,4% detenuti; misure governo inefficaci Agi, 28 dicembre 2011 Le nuove misure decise dal governo sono “scarsamente influenti sull’emergenza penitenziaria”. Ad affermarlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, secondo cui, “il calo di solo il 2,4% della popolazione detenuta registrato in questi ultimi giorni conferma la necessità, per il nostro sistema penitenziario, di interventi strutturali di ben altra portata rispetto a quelli contenuti nel decreto legge 211 e nel disegno di legge per il recupero dell’efficienza penale varati lo scorso 16 dicembre”. Per Beneduci, “le 66.442 presenze registrate ieri 27 dicembre, paragonate alle 68.050 delle due settimane precedenti, risultano confortanti solo all’apparenza, tenuto conto che di regola, durante le festività natalizie, maggiore è il numero dei detenuti in permesso e minori gli ingressi in carcere, come confermano i decrementi in Toscana (-312 detenuti) e nel Lazio (-224)”. Non solo: resta “costante il superamento di qualsiasi presenza detentiva tollerabile, nei 45.700 posti disponibili, in 8 regioni su 20 (Calabria, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle D’Aosta e Veneto) e con punte di sovraffollamento del 79% in Puglia, del 71% in Lombardia, del 64% in Calabria e del 60% in Liguria”. “Anche da punto di vista del personale - attacca il leader dell’Osapp - e, in particolare, per la polizia penitenziaria, la situazione non risulta migliorata, nonostante i trionfalismi persino in sede parlamentare visto che nel 2011 sono state assunti solo 754 agenti per 1.500 pensionamenti e 990 agenti saranno assunti nel 2012 per quasi 2.000 pensionamenti”. “La realtà del perdurante disastro carcerario, sulla quale avranno influenza pressoché nulla la detenzione domiciliare con 18 mesi di pena residua e il mantenimento nelle camere di sicurezza degli arrestati fino all’udienza davanti al giudice - conclude Beneduci - sarà visibile solo dalla seconda settimana di gennaio, dopodiché il governo e il Parlamento dovranno dimostrare se intendono o meno affrontare, concretamente e senza pregiudizi, le attuali emergenze attraverso rimedi realmente efficaci e a partire da quel provvedimento di amnistia che permetterebbe al sistema penitenziario di ripartire nella legalità”. Giustizia: Sappe; ok misure governo, non si possono pretendere risultati in una settimana Adnkronos, 28 dicembre 2011 “Fa sorridere leggere le dichiarazioni di taluni sindacalisti minoritari della Polizia Penitenziaria che lamentano l’inefficacia dei provvedimenti varati dal Governo in materia di contrasto del sovraffollamento penitenziario meno di una settimana da quando sono stati introdotti. Ridurre la gravità del problema a semplice e sterile polemica a prescindere è sbagliato, così come pretendere di vedere i risultati di atti legislativi importanti in meno di una settimana”. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). Il Sappe sottolinea di “avere apprezzato i provvedimenti assunti dal Ministro della Giustizia Severino e dal Governo, a cominciare dalla previsione che la custodia cautelare in carcere sia disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale”. E rilancia su un nuovo impiego operativo dei Baschi Azzurri: “da tempo il Sappe sostiene che è necessaria è una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia e potenzi il ricorso alle misure alternative alla detenzione per i reati con bassa pericolosità sociale”. “In questo contesto - osserva ancora la nota - il ruolo della Polizia Penitenziaria dovrebbe essere anche quello di svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza”. Giustizia: intervista a Roberto Giachetti (Pd); questa è una politica dell’insicurezza di Lanfranco Palazzolo Voce Repubblicana, 28 dicembre 2011 Il carcere di Regina Coeli dovrebbe essere chiuso. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” il deputato del Pd Roberto Giachetti. Onorevole Giachetti, il giorno di Natale lei ha visitato il carcere di Regina Coeli. Che situazione ha trovato? Ritiene che questo. istituto si trovi in una situazione di illegalità? “Basterebbe entrare in questo carcere per capire che non esiste alcuna forma di legalità in questo spazio. In questo istituto si vive in condizioni peggiori di quelle degli animali. Credo che sia molto difficile spiegare a parole la situazione di questo carcere. È difficile immaginare in che situazione si viva. Non è la prima volta che entro in un carcere e non è la prima volta che visito questo istituto. Conosco molto bene il livello di stress che c’è nelle carceri italiane. Non c’è dubbio che Regina Coeli rappresenti una particolarità nel quadro delle pessime condizioni del sistema carcerario italiano. Prima che di legalità parlerei di assenza di umanità nella condizione carceraria. Nel carcere di Regina Coeli manca qualsiasi forma di umanità nelle condizioni in cui vivono i detenuti. Condivido le critiche che sono state formulate da Pannella sul sistema carcerario italiano che vive in una situazione di totale illegalità”. Pannella critica anche il Presidente della Repubblica, sostenendo che nel nostro paese è assente ogni forma di legalità. “Pannella imputa a Napolitano di aver fatto delle dichiarazioni sulla situazione delle carceri e, poi, di non aver fatto seguire nulla a quelle parole. Io non credo che si possa imputare al Presidente della Repubblica questa mancanza. Il problema non è certo il Capo dello Stato. È la classe dirigente italiana che si deve sentire responsabile per quello che sta accadendo nel nostro sistema carcerario. Il Parlamento potrebbe mettere in campo quei provvedimenti necessari per dare almeno un segno di discontinuità”. Il carcere di Regina Coeli dovrebbe essere chiuso? “Sono d’accordo. Ma questo non è il solo carcere che andrebbe chiuso. In questo istituto penitenziario si vive in totale insicurezza. Inoltre, per questo carcere si spendono tanti soldi inutilmente. Appena fatto un investimento da una parte si apre una falla dall’altra. Sono soldi assolutamente persi che non portano alcun beneficio”. Il provvedimento svuota carceri del ministro Severino è utile? “Penso che possa servire, ma da solo non è efficace”. Il deputato del Pdl Alfonso Papa è tornato libero. Voterebbe ancora per il suo arresto? “Voterei di nuovo per il suo arresto. Nessuno di noi può pensare di essere privilegiato perché parlamentare rispetto ai comuni detenuti. Se si vuole evitare quello che è accaduto a Papa è necessario evitare che altri vivano la condizione di Papa. Io sono qui per questo”. Giustizia: Alfonso Papa… dopo il carcere l’impegno civile di Dimitri Buffa L’Opinione, 28 dicembre 2011 “Io dopo quello che ho vissuto a Poggioreale penso che passerò tutto il resto della mia vita da deputato e uomo politico alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi della giustizia e delle carceri e in questo senso penso che sarò spesso se non sempre a fianco di Marco Pannella di cui condivido questa battaglia per l’amnistia, anche perché in Italia il vero colpo di spugna sui reati è la prescrizione”. Alfonso Papa, deputato del Pdl per cui venne chiesto e ottenuto l’arresto per reati di corruzione sulla parola di un imprenditore pentito, dopo mesi di carcere e arresti domiciliari, proprio alla vigilia di Natale è tornato un uomo libero. Da politico dice di volere ripensare tutte le leggi come la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull’immigrazione, “che si sono rivelate criminogene ma che alla sicurezza della gente comune hanno portato ben poco”, mentre da magistrato ammette di “volere ripensare i convincimenti di una cultura giuridica che prevedeva il pm e il giudice come promananti da uno stesso ordine giudiziario e da una stessa carriera. .una magnifica utopia che nella prassi si è rivelata impraticabile..” Tutto questo dopo la allucinante vicenda passata nell’inferno di Poggioreale. Lei ha passato molte settimane a Poggioreale e in un’intervista a Radio Radicale ha detto che “quando la gente sotto Natale si irrita perché nello shopping viene urtata continuamente da altre persone, dovrebbe fare un pensierino ai carcerati di prigioni come quella in cui sono stato detenuto dove ci si comincia a intruppare l’un l’altro sin da quando ci si sveglia”. Come si sente un politico, già magistrato, dall’altra parte della barricata? “Il problema non può e non deve essere affrontato in termini demagogici e forse nemmeno politici. Ma squisitamente tecnici. Noi abbiamo un sistema carcerario e di custodia cautelare che coinvolge il 42% della popolazione carceraria, cioè presunti innocenti, che a causa delle caratteristiche strutturali che ha non può non coinvolgere a una riflessione di responsabilità rispetto al problema del sovraffollamento. Io lì dentro queste cose ho cominciato a viverle sulla mia pelle. L’Europa ci ha condannato perché stipavamo nei camion le pecore e i maiali in spazi troppo esigui, presto potrebbero arrivare delle condanne per tortura rispetto alle condizioni dei detenuti nei penitenziari italiani. Indubbiamente i parametri medi di spazio per i detenuti italiani sono persino inferiori a quelli che l’Europa vorrebbe che noi rispettassimo per i suini. Sarebbe tecnicamente possibile da parte di un magistrato di sorveglianza ma anche di uno di quelli che emettono i mandati di cattura su richiesta del pm che prima o poi venga emessa un’ordinanza che non conceda l’emissione di un ordine di custodia cautelare o che non ne autorizzi la continuazione viste le condizioni del carcere a cui il detenuto è destinato? “Già oggi il codice di procedura penale prevede che la custodia cautelare in carcere possa essere autorizzata solo quando non sia possibile o efficace qualsivoglia altra misura cautelare per proteggere le indagini in corso. In questo concetto di “efficacia” non po’ non venire ricompresa la consapevolezza della estrema e probabilmente spaventosa afflittività della condizione detentiva come si viene a maturare oggi in quasi tutte le carceri italiane. Già oggi più che rendere possibile quello che lei diceva lo prevede espressamente, magari in maniera implicita, ci deve essere una proporzione tra la afflittività della custodia cautelare e lo scopo a cui essa tende, che non può essere una forma di pressione indebita sull’indagato e neanche una forma di espiazione anticipata della pena”. Esagera Pannella quando parla di “stato criminale” e di “illegalità delle carceri italiane”? “Guardi che se lei legge le sentenze della Corte europea si accorgerà che Pannella è un fotografo della realtà quotidiana”. E parlare di amnistia, oltretutto condizionata alla riparazione del danno ove esista, come chiede Pannella da mesi anche attraverso digiuni di dialogo continui ed estenuanti è un tabù così grave per la politica italiana? “Non per quanto mi riguarda, anzi io affermo che è mia intenzione passare il resto della mia vita da deputato e politica in genere proprio per affrontare questo nodo cruciale per il rilancio della giustizia in Italia. Non è l’amnistia il problema, ma anzi la precondizione per ristrutturare la giustizia penale in questo momento in Italia. Il vero colpo di spugna sui reati si chiama prescrizione”. Da politico del Pdl non ritine di dovere affrontare un percorso di autocritica rispetto a campagne elettorali demagogiche e urlate, specie in tv, sulle tematiche della sicurezza? E sulle leggi come la Cirielli, quella sulle droghe e sugli extra comunitari? “È un percorso che ho già iniziato. Proprio a Poggioreale ho maturato la convinzione che queste tre normative che lei ha elencato di fatto si sono dimostrate leggi criminogene e per nulla efficaci per la sicurezza pubblica”. E da magistrato non ha ripensato la propria convinzione rispetto alla separazione delle carriere? “Purtroppo, e sottolineo purtroppo, sì. Io sono nato, cresciuto, allevato e ho studiato nella convinzione che il pm e il giudice dovessero provenire dalla stessa cultura giuridica e giurisdizionale. In altre parole non ritenevo che il nostro sistema potesse prevedere l’avvocato dell’accusa. In Italia il pm è obbligato a ricercare la verità processuale e anche le prove favorevoli all’imputato, un unicum nel suo genere in tutto il mondo occidentale. Nei fatti tutto ciò si è rivelato solo un’utopia, a volte pericolosa, quindi sarei ipocrita se non le dicessi che ho ripensato anche questa mia convinzione”. Se uno volesse essere un po’ cinico direbbe che ai politici, forse, una certa dose di “galera” può persino far bene se poi ne escono così forti e rinnovati nello spirito come lei sembra essere. Non mi voglio spingere a tanto, però un’ultima domanda su quello che lei può avere immagazzinato dal raffronto tra l’ambiente del carcere e quello della politica mi permetta di fargliela: dalla sua esperienza lei cosa imparato? “La realtà carceraria è oggi, nella mia esperienza, strutturalmente preordinata in termini afflittivi per l’essere umano. Il paradosso è che chi la subisce, cioè i detenuti che subiscono e sopportano il sovraffollamento e il personale che vi lavora malpagato e che cerca di migliorarla come può, con mezzi scarsissimi, è anche chi la umanizza. Da questo punto di vista una riflessione non secondaria per la politica, rispetto all’amnistia di cui si parlava prima, è che se in Italia non siamo ancora arrivati all’esplosione sociale e alle rivolte nelle carceri è proprio grazie alla sopportazione cristiana e alla pazienza di chi soffre nel carcere, sia esso detenuto sia esso personale amministrativo, di polizia penitenziaria e quant’altro. La politica? Come la società italiana, che oggi si dimostra del tutto indifferente a queste cose, ha oggi molto se non tutto da imparare dagli esempi che danno in questo momento coloro che la società vuole punire perché hanno commesso reati. In questo momento i reati, anche molto gravi, si stanno consumando proprio ai danni di coloro che la società pretende di punire”. Lettere: anche giudici provano pietà… e non mi scandalizzo di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 28 dicembre 2011 Secondo il diritto processuale il giudice è e deve essere senza cuore, è tutto cervello, tutta ragione e niente sentimento. La sentenza deve essere frutto esclusivamente di una ricostruzione fredda e disincantata del fatto e di una valutazione il più possibile asettica della condotta del giudicabile alla luce delle regole della legge. Ma chi, come me, è stato tante volte in Corte d’Assise come pubblico ministero, e ha invocato in più occasioni l’applicazione fredda e precisa della legge, ha dovuto constatare che il giudice non è mai senza cuore, e che, a volte, ne subisce palesemente l’influenza. Ho citato, non a caso, la Corte d’Assise dove la presenza dei giudici popolari, ben sei su otto, estratti a sorte tra i cittadini comuni, ancorché dotati di particolari requisiti di cultura e di educazione, favorisce più che in Tribunale o in Corte d’Appello, dove ci sono solo giudici di professione, l’influenza delle passioni. Ultimamente è accaduto a Treviso dove una madre brasiliana è stata giudicata colpevole di avere provocato la morte della sua bimba Giuliana di soli due anni, lasciandola cadere in acqua dove è annegata. Il P.M. aveva chiesto l’ergastolo, cioè l’applicazione rigida della legge penale, senza attenuanti o diminuenti, moti- vando che una madre che si comporta come l’accusata merita solo la reclusione a vita. La difesa aveva parlato di mero incidente, di assenza di dolo e perfino di carenza della semplice colpa. La Corte ha escluso il dolo dell’omicidio e ha condannato per abbandono di minore incapace con l’aggravante della morte, sorprendendo tutti. Fin qui si potrebbe dire che la Corte ha seguito la logica giuridica, ma è evidente che la pena applicata (il massimo previsto per il reato) suggerisce che il giudice è stato assai vicino alla tesi del Pm, non ritrovandosi però nella determinazione in concreto della pena da infliggere. Se avesse seguito fino in fondo l’impostazione dell’accusa la condanna sarebbe stata assai più pesante, anche senza arrivare all’ergastolo, ma per il reato di abbandono la pena poteva e forse doveva essere molto più lieve. In definitiva, sembra avere detto il giudice, verosimilmente l’accusata voleva uccidere, ma è stata comunque la più punita dal fatto stesso, e inoltre si è amaramente pentita. Di conseguenza la pena per l’omicidio è eccessiva e quella normale per l’abbandono troppo lieve. Da qui la scelta della tesi intermedia, sicuramente discutibile, e vedremo che cosa ne dirà il giudice d’appello. Il cuore ha quindi dettato una sentenza, forse arbitraria, ma che merita rispetto. L’uomo non è solo cervello, ma anche cuore, passione, pietà, e il giudice non fa eccezione. Nella mia carriera ho visto molte altre decisioni discutibili (spesso in Assise di cui non a caso i giuristi puri chiedono da sempre l’abolizione) ma devo dire che, tutto sommato, non mi sento di abbandonarmi ad una critica radicale. Anche il cuore, la pietà, l’emozione possono ispirare le decisioni, suggerirle e motivarle. Un giudice senza cuore, freddo e disincantato, pronuncerà sentenze assolutamente impeccabili, perché in tutto rispettose della legge. Ma” non mi sento di scandalizzarmi per un giudice che si lascia prendere dalla pietà. In un certo senso è più umano e quindi più rassicurante. Lettere: il Ministro e le carceri di Giulio Petrilli (Responsabile giustizia Pd L’Aquila) L’Unità, 28 dicembre 2011 Il Pdl, per quattro anni ha sbandierato la cultura della presunzione di innocenza fino al giudizio, ha attaccato la magistratura definendola repressiva solo quando indagava sul ceto politico e imprenditoriale e mai ha preso le difese di tutti e anche delle fasce più deboli, tanto che ci siamo ritrovati con il massimo di affollamento nelle carceri con 67.00 detenuti a fronte di una capienza di 45.000. Oggi su proposta del ministro della giustizia Paola Severino, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge che prevede di scontare gli ultimi 18 mesi di pena agli arresti domiciliari e di applicare la detenzione domiciliare per pene che non superano i 4 anni. Dopo anni di critica feroce all’indulto, la Ministra Severino ha avuto il coraggio di affermare che lei non è contraria per principio all’amnistia e che quest’ipotesi va valutata. Un bel segnale contro il forcaiolismo del centrodestra e anche verso coloro nel centrosinistra che sono stati critici sull’indulto e sul garantismo. Lazio: diritto alla salute dei detenuti; firmato protocollo Garante - Ospedale San Camillo Il Velino, 28 dicembre 2011 Garantire il diritto alla salute degli oltre 6.800 detenuti reclusi nelle 14 carceri del Lazio, attraverso il monitoraggio costante e la promozione di progetti volti al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro negli istituti e alla prevenzione e cura della popolazione detenuta. Sono questi gli obiettivi del protocollo d’intesa firmato dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e dal direttore generale dell’Azienda Ospedaliera “San Camillo - Forlanini” Aldo Morrone. “Il drammatico sovraffollamento - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - aggravato dalla carenza di personale e di risorse finanziarie, ha creato una vera e propria emergenza nelle carceri. In questo contesto, è molto difficile tutelare il diritto alla salute di chiunque frequenti il carcere. Detenuti, agenti di polizia penitenziaria e volontari sono quotidianamente alle prese con condizioni igieniche precarie, rischi di epidemie sempre più alti e difficoltà nel garantire ogni tipo di prestazione sanitaria. Abbiamo firmato questo protocollo con l’azienda ospedaliera “San Camillo - Forlanini” perché siamo convinti che ciò consentirà di migliorare la quantità e la qualità delle prestazioni sanitarie offerte nelle carceri della regione”. Il “San Camillo - Forlanini” ha già in corso di realizzazione il progetto “Salute nelle carceri”, promosso dalia Regione Lazio, per la prevenzione della salute in carcere attraverso iniziative a carattere informativo e formativo, visite dermatologiche, oculistiche, pneumologiche, cardiologiche, odontoiatriche ed ecografie tirodee, oltre che attraverso visite specialistiche ambulatoriali ed analisi cliniche a persone ristrette negli Istituti Penitenziari. Il Protocollo d’Intesa firmato prevede che l’azienda ospedaliera “S. Camillo - Forlanini”, su sollecitazione del Garante, assicuri la consulenza e l’informazione sanitaria specialistica, promuovendo e attuando progetti sanitari specifici a favore dei detenuti delle carceri del Lazio. Dal canto suo il Garante, nell’ambito delle funzioni che la legge regionale gli conferisce, segnalerà al “S. Camillo - Forlanini” le priorità relative a questioni sanitarie meritevoli di eventuali progetti di intervento. Il Garante si impegna, inoltre, ad agevolare i rapporti di collaborazione tra il l’azienda ospedaliera, il Provveditorato Amministrazione Penitenziaria del Lazio, le Carceri e le Asl del territorio. Lazio: la consigliera regionale Isabella Rauti visita l’Istituto penale minorile di Casal del Marmo Il Velino, 28 dicembre 2011 Questa mattina una rappresentanza dell’associazione “Noi X Roma” ha consegnato nel carcere minorile romano di Casal del Marmo alcuni panettoni nell’ambito del programma “Natale solidale” che l’associazione ha predisposto e che si concluderà il 6 gennaio nel carcere femminile di Rebibbia. Nella circostanza verranno consegnati computer e televisori, recuperati grazie alla rottamazione promossa da Ama, con la quale “Noi X Roma” ha sottoscritto un protocollo di collaborazione. L’Associazione, che oltre le finalità di solidarietà e sussidiarietà ha quelle di intervento di decoro urbano e di educazione ambientale, dedicherà parte del programma 2012 ad azioni nel sociale. “Il tema della carceri è parte del mio impegno in Consiglio regionale - ha detto la consigliera regionale del Lazio, Isabella Rauti, questa mattina in visita presso il carcere minorile di Casal del Marmo con “Noi X Roma”. Non è la prima volta che visito Casal del Marmo, ma sono voluta tornare con i volontari dell’associazione per condividere con i ragazzi detenuti e con gli agenti di Polizia penitenziaria questo momento di festa ma anche di riflessione. Le attività trattamentali e l’impegno dei volontari aiutano a migliorare le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena e, in particolare, nel caso della detenzione minorile contribuiscono a offrire strumenti di reinserimento sociale e a far svolgere al carcere non una funzione punitiva ma di rieducazione. Inoltre - ha concluso Rauti - le attività trattamentali e la formazione lavoro danno un senso di prospettiva di vita dopo la scarcerazione e il recupero dei detenuti abbatte le forme di recidiva”. Caltanissetta: detenuto di 46 anni si impicca in cella, ci aveva già provato altre quattro volte La Sicilia, 28 dicembre 2011 Stavolta, dopo quattro tentativi di uccidersi, c’è riuscito. Impiccandosi nella cella del carcere “Malaspina” dov’era detenuto dal 9 gennaio 2010 dopo l’arresto e la condanna definitiva a 4 anni per detenzione illegale d’armi, mentre un’altra pena a 17 anni era pendente in secondo grado per avere abusato di una minorenne. Il nisseno Giuseppe Di Blasi, 46 anni ex dipendente del canile privato, ieri pomeriggio s’è tolto la vita annodandosi un cappio attorno al collo. In pochi minuti il detenuto - recluso nella divisione di media sicurezza del carcere di via Messina - è morto soffocato. Era già troppo tardi quando un agente di custodia addetto alla sorveglianza s’è accorto che Di Blasi era penzoloni: ha provato a rianimarlo così come subito dopo hanno tentato, invano, gli infermieri del “118”. Che si tratti di un suicidio non dovrebbero esservi dubbi. Un dramma interiore, profondo, che Di Blasi non è riuscito a superare. Il sostituto procuratore Elena Caruso che ieri ha effettuato un sopralluogo in carcere, ha aperto un’inchiesta delegata alla Polizia penitenziaria. Appena il 22 dicembre scorso, la Corte d’Appello che stava processando Di Blasi per le presunte violenze su una ragazzina e aveva disposto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per sottoporla a perizia psicologica, aveva rigettato l’istanza di affievolimento della misura cautelare presentata dagli avvocati Massimiliano Bellini e Vincenzo Ferrigno, dopo i variegati tentativi di suicidi. Due volte Di Blasi ingerì un eccessivo dosaggio di farmaci, poi tentò di impiccarsi, un’altra volta ingoiò le lenti rotte degli occhiali da vista. Tant’è che i legali, attraverso il consulente medico Carla Ippolito, avevano ribadito che Di Blasi era un soggetto affetto da una sindrome depressiva che lo rendeva incompatibile col regime carcerario e per questo andava curato in un ambiente familiare dove aveva la possibilità di sottoporsi “ad adeguati trattamenti psicoterapeutici”. Nella perizia redatta dal dott. Vito Milisenna, nominato dalla Corte, si sosteneva che Giuseppe Di Blasi “poteva superare le problematiche in una struttura dell’Amministrazione penitenziaria dotata di servizi di psichiatria in cui il detenuto, affetto da disturbi psichici, poteva essere seguito e sorvegliato”, e la Corte aveva disposto la trasmissione degli atti al Dap per individuare una struttura idonea. Di Blasi - che prima di finire in cella abitava al villaggio Santa Barbara - venne arrestato due anni fa quando la Polizia trovò una carabina, una pistola e alcuni munizioni dentro un borsone. Tre mesi dopo arrivò l’ordine d’arresto in cui era accusato di abusi sull’adolescente. E in primo grado, il Tribunale gli inflisse 17 anni di reclusione. Il suo destino adesso era legato alla valutazione dei giudici d’appello. “Questa morte è una sconfitta per la nostra giustizia - dice amareggiato e addolorato l’avvocato Bellini. Spesso la carcerazione preventiva è un’ingiusta anticipazione della pena. Ricordiamoci che vale sempre il principio di presunzione d’innocenza. Sono davvero amareggiato perché la Corte d’Appello, decidendo di riaprire il processo, voleva approfondire la vicenda nella sua globalità. Purtroppo non ci siamo riusciti. Di Blasi s’è protestato sempre innocente e fin dal primo giorno aveva manifestato segni di cedimento. Molte volte abbiamo chiesto misure meno restrittive che i giudici di primo e secondo grado hanno rigettato”. Nel luglio del 2010 il gelese Rocco Manfrè si tolse la vita nel bagno del carcere È sempre difficile venire a conoscenza di ciò che accade all’interno di un carcere, per cui anche i tentativi di suicidio spesso riescono a restare circoscritti tra le mura della struttura di pena. Non è così invece per i casi che si risolvono nella morte del detenuto. Nella Casa circondariale “Malaspina” di via Messina (secondo la denuncia fatta all’inizio di quest’anno dalla Uil-Pa Penitenziari) nel 2010 s’è registrato un solo suicidio ed è quello di Rocco Manfrè, avvenuto a metà luglio. Aveva 65 anni. L’uomo, indicato come esponente della famiglia gelese di Cosa Nostra capeggiata dagli Emmanuello, si impiccò nel bagno del carcere dove era stato rinchiuso 48 ore prima a seguito della operazione “Mantis religiosa” con l’accusa di essere stato, nel giugno del 1992, uno degli artefici dell’omicidio e dell’occultamento del cadavere di Agostino Reina, 32 anni, presunto esponente della “Stidda”. Manfrè aveva trascorso due notti in carcere. Non attese nemmeno l’incontro con il Gip di Caltanissetta che qualche ora dopo lo avrebbe dovuto sottoporre all’interrogatorio di garanzia. Alle 9,30 - dopo avere fatto colazione con altri sei detenuti con cui divideva la cella - Manfrè disse che sarebbe andato a fare la doccia. Utilizzando i manici di una borsa termica, l’uomo di impiccò legandoli al braccio della doccia. Firenze: Sollicciano a quota 1.015 detenuti, trascorrono in cella 22 ore Redattore Sociale, 28 dicembre 2011 Nel carcere fiorentino ci sono oltre il doppio dei detenuti previsti dalla capienza regolamentare. L’allarme dell’associazione Pantagruel: “Sollicciano è un luogo illegale, i reclusi escono più cattivi di quando sono entrati” Ancora sovraffollamento nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove i detenuti ammontano a 1.015 (a fronte di una capienza regolamentare di 500). Nell’istituto di pena sono dunque presenti più del doppio dei reclusi che potrebbero essere ospitati in base alle norme penitenziarie. I volontari dell’associazione Pantagruel, associazione storica che tutela i diritti dei detenuti, lanciano l’allarme, sottolineando come il carcere di Sollicciano sia tutt’altro che un luogo di rieducazione: “Quasi tutti i detenuti che conosco escono dal carcere più cattivi di quando sono entrati e spesso finiscono col tornare a delinquere” dice Salvatore Tassinari, presidente dell’associazione. Il motivo? “Sollicciano è un luogo illegale che contraddice la legge penitenziaria, un luogo disumano dove le persone si perdono, un luogo dove le persone restano rinchiuse nelle proprie celle per 20/22 ore al giorno, un luogo formato da celle sovraffollate nelle quali l’area calpestabile si aggira attorno ai 3 metri quadrati e dove, se un detenuto è in piedi, gli altri sono costretti a stare sul letto per mancanza di spazio, un luogo dove le attività ricreative e lavorative praticamente non esistono”. E poi i tentati suicidi e gli atti autolesionistici: “Mi è capitato spesso di incontrare detenuti con avambracci dilaniati dalle lamette da barba, è straziante”. Tantissimi, racconta Tassinari, “i detenuti che mi dicono esplicitamente che intendono farla finita”. Roma: Alemanno visita mercatino “Evasioni romane”; dentro le carceri tante risorse importanti Dire, 28 dicembre 2011 Una ventina di stand tra mercatini biologici, abbigliamento (c’è anche la linea Rebibbia Fashion), cibi tradizionali italiani e romani, oggettistica, accessori, libri, e nel mezzo anche un’area bimbi con giochi gonfiabili e una piccola giostra. È “Evasioni romane”, il mercatino realizzato dalle cooperative dei detenuti a piazza Mastai, a Trastevere, e che stamattina ha ricevuto la visita del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, accompagnato dall’assessore all’Ambiente, Marco Visconti, dal delegato allo Sport, Alessandro Cochi e dal consigliere comunale Ugo Cassone. A visitare gli stand, aperti fino a questo sabato, anche Maria Laura Di Paolo, provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, e Filippo Pegorari, garante dei diritti dei detenuti di Roma Capitale. “Ringrazio tutti gli operatori, la struttura dell’amministrazione carceraria e tutti coloro provenienti dal carcere che hanno scelto questa strada”, ha detto Alemanno. Queste iniziative, ha sottolineato il sindaco, “non hanno solo una chiave solidaristica e sociale, ma anche un importante valore economico aggiunto per la città, mettendo insieme appunto solidarietà, valore umano ed economico”. Per il primo cittadino bisogna “fare in modo che chiunque abbia una possibilità di reinserimento, decisiva per dare un’opportunità e un’alternativa a chi ha vissuto l’esperienza del carcere ed evitare la reiterazione del crimine da parte di chi non ha alternative per trovare da vivere”. Secondo Alemanno “dobbiamo moltiplicare questo tipo di iniziative. Dentro le carceri italiane ci sono tantissime risorse utili alla comunità e al Paese, dobbiamo investirci. Roma Capitale- ha concluso il sindaco- crede in questa esperienza non solo in termini di aiuto e solidarietà, ma anche come partner”. In prossimo bilancio tornei e corsi di ginnastica per detenuti “Il mercatino di piazza Mastai è un’iniziativa vincente, e la visita di questa mattina del sindaco di Roma è una conferma della vicinanza delle istituzioni al mondo delle carceri”. Lo ha dichiarato Alessandro Cochi, delegato allo Sport di Roma Capitale durante la visita alla mostra-mercato “Evasioni romane” dei prodotti realizzati dalle produzioni carcerarie, allestita a piazza Mastai a Roma fino al 31 dicembre. Presenti anche il garante dei Diritti dei detenuti di Roma Filippo Pegorari e il presidente Asi, Claudio Barbaro. “Da sempre lo sport per i detenuti è un motivo di incontro con l’esterno e un’occasione per scaricare la tensione dovuta alla dura vita sedentaria e allo stress psicologico che i carcerati vivono negli istituti penitenziari. Nel prossimo bilancio, per i detenuti, - ha aggiunto Cochi - inseriremo nuovi tornei di calcio e corsi di ginnastica con docenti Isef”. “La presenza del sindaco Alemanno è stato un suggello di quello che c’eravamo prefissati: avvicinare il lavoro disagiato nelle carceri alle istituzioni. Questo mercatino, che ospita i prodotti di cinque regioni, Piemonte, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna - spiega il garante Pegorari - è stato un esperimento che è ampiamente riuscito, spero che dall’anno prossimo, ogni tre mesi, si possa ripetere una simile operazione. Si potrebbe fare sempre a piazza Mastai soprattutto se il sindaco avvierà il recupero architettonico di questa piazza nell’ambito del progetto Cento piazze”. Cagliari: Sdr; per aprire il nuovo carcere serve personale in numero adeguato ed infrastrutture Agenparl, 28 dicembre 2011 “Il nuovo Istituto Penitenziario di Cagliari, che sta sorgendo in una desolata landa nel territorio del Comune di Uta e già tristemente noto per l’inadeguatezza di diversi locali e per il mancato rispetto di alcune norme relative alla vita degli operatori e dei detenuti, difficilmente potrà essere agibile nel primo semestre del 2012”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” dopo aver denunciato i forti ritardi nella realizzazione della struttura. Con la consegna dei lavori e degli arredi al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il nuovo carcere, per un corretto funzionamento - sottolinea l’ex consigliera regionale socialista - avrà bisogno non solo di un contingente di agenti di Polizia Penitenziaria adeguato alle necessità di sicurezza di un Istituto di pena previsto per oltre 700 detenuti molti dei quali in regime duro, ma di una migliore rete viaria e di una vasta area attrezzata per accogliere i familiari dei detenuti, i magistrati, gli avvocati, i volontari e gli operatori. Per questo, come abbiamo richiesto ripetutamente, è indispensabile convocare all’inizio del nuovo anno, una conferenza dei servizi che coinvolga tutti i soggetti istituzionalmente responsabili per trasformare un territorio isolato in un zona accogliente, con apposite strutture ricettive, servita da collegamenti pubblici. In caso contrario verranno ulteriormente compromessi l’umanizzazione della pena ed il diritto all’affettività nonché quello alla salute considerata la distanza dalla città di Cagliari e quindi dagli ospedali. Si sta realizzando in Sardegna, con la costruzione delle nuove carceri pensando esclusivamente ai problemi di sicurezza, il disegno di chi vuole accrescere le servitù penitenziarie nell’isola e al tempo stesso allontanare la realtà carceraria dai centri urbani puntando all’ulteriore isolamento dei detenuti. “In realtà la logica dominante nella nuova struttura di Uta - sostiene ancora la presidente di Sdr - è di massimo contenimento e di totale spersonalizzazione del detenuto. Basti pensare all’assenza di spazi per gli educatori e all’utilizzo delle telecamere e dei sistemi di videosorveglianza per limitare la presenza degli Agenti di Polizia Penitenziaria ridotti a “tastieristi” . Significativo che non esista una sala colloqui ma un lungo corridoio e che le celle di un Istituto di nuova generazione non siano dotate di prese per i fornelli elettrici. I continui cambiamenti che vengono apportati in corso d’opera all’edificio - conclude Caligaris - provocheranno delle storture difficilmente sanabili. Il risultato di interventi “tappabuchi” sarà un pasticcio edilizio i cui costi saranno notevolmente lievitati ma senza garanzie di razionalità. Sarebbe quindi più che mai opportuno sciogliere il nodo della sua secretazione ormai fuori luogo per provvedere a ridisegnare la struttura secondo norme di ragionevolezza e convenienza”. Vicenza: con il decreto svuota-carceri fuori il 30% dei detenuti e meno agenti in strada Il Giornale di Vicenza, 28 dicembre 2011 Due i punti cruciali: il primo riguarda i detenuti che stanno scontando condanne inferiori ai quattro anni e ai quali sarà concesso di trascorrere gli ultimi 18 mesi di pena ai domiciliari (nella propria abitazione o in un’altra dimora). Si tratta di un’estensione di una norma già approvata da Alfano e che consentiva i domiciliari per gli ultimi dodici mesi. “Dobbiamo ricordare che saranno esclusi dai benefici della pena alternativa i condannati per reati gravi e di particolare allarme sociale. - ha considerato il procuratore Paolo Pecori - perciò ritengo che questa misura possa essere positiva. Anche a Vicenza la situazione è drammatica e il carcere è al collasso. In questo modo il problema non potrà dirsi risolto ma si potrà sparare in un miglioramento”. Il secondo punto prevede che gli arrestati possano essere trattenuti per 48 ore nelle celle di sicurezza di caserme e questure. Entro tale termine il giudice dovrà confermare l’arresto. Si eviterà il passaggio in carcere, spesso inutile, e si eviterà di aggravare il lavoro degli uffici giudiziari e penitenziari. “Si è parlato di una misura temporanea e spero che questo provvedimento non permanga troppo a lungo - ha sottolineato il questore Angelo Sanna -. Naturalmente siamo ben disponibili ad offrire il nostro contributo per risolvere i problemi ma i compiti della polizia sono già molteplici, con un organico limitato. Il nostro obiettivo principale è sempre quello di avere agenti in strada, per garantire sicurezza”. L’avvocato Paolo Mele senior, responsabile dell’Osservatorio sul carcere per la camera penale di Vicenza, parla di “palliativo che è in realtà un’amnistia controllata”. Quanto al San Pio X “la situazione è critica, anche se le condizioni sono migliori di altri istituti di pena italiani. Chi uscirà? Soprattutto i detenuti stranieri, che sono l’80 per cento. Almeno chi ha il permesso regolare. Tra carcerati in attesa di sentenza definitiva, quelli destinati all’affidamento e chi ha condanne inferiori a 1 anno, ci sarà un certo decongestionamento”. Ma Mele non si illude: “È un provvedimento che non risponde alla certezza della pena. E per chi torna a casa serviranno controlli di polizia, costosi e impegnativi. Poi lo stanziamento per nuovi istituti è misero. Una cifra buttata se pensiamo che si sono 27 strutture costruite o non finite e mai utilizzate”. Infine il problema dei suicidi: “Negli ultimi 6-7 anni sono centinaia i detenuti che si sono tolti la vita dietro le sbarre, e molti di questi sono agenti di polizia penitenziaria. Perché è l’ambiente che è degradato”. Il Garante Federica Berti: “Primo passo ma non certo risolutivo” Al San Pio X si stanno preparando ad adottare il nuovo decreto “svuota carceri” entrato in vigore il 23 dicembre scorso, insieme ad una legge delega sulla depenalizzazione e messa in prova. Dopo l’Epifania così ci sarà un quadro più preciso su quante persone potranno uscire dall’istituto di pena di Vicenza. “Un aggiornamento sarà possibile solo nei prossimi giorni - spiega il garante per i detenuti Federica Berti eletta dal consiglio comunale nel settembre scorso. Ma una cosa che andremo a fare è quella di stabilire un codice per ogni carcerato, in modo da identificare una valutazione giuridica del singolo, così come prevede una circolare precedente al decreto firmato dal ministro Paola Severino. Ad esempio esiste il codice bianco che corrisponde alla cosiddetta sessione aperta. In sostanza il detenuto può circolare all’interno del carcere e andare a dormire in cella alla sera. Questo tipo di figure potrebbero rientrare nel decreto firmato nei giorni scorsi. Una fotografia precisa però l’avremo tra qualche settimana - aggiunge Federica Berti -. Va esaminata infatti ogni singola pratica e capire quale può accedere al decreto”. Il punto è se il decreto serve a rendere vivibile il carcere vicentino. “Do un parere positivo - continua il garante dei detenuti - ma certamente il decreto non è risolutivo. È come svuotare il mare con un cucchiaino, di buono però c’è che il governo ha preso a cuore la questione e finalmente qualcosa si muove su questo fronte”. Sono i numeri del resto a dare il quadro del problema. Tremila carcerati in meno a livello nazionale, su una popolazione detenuta di circa 65 mila persone contro una tolleranza di 45mila. Al 15 dicembre i detenuti al San Pio X erano 327, su questi però bisognerà calcolare quanti stanno scontando condanne inferiori ai 4 anni. A questi infatti sarà concesso di trascorrere gli ultimi diciotto mesi di pena ai domiciliari nella propria abitazione o in altra dimora. La misura scadrà nel dicembre 2013 e solo allora si potrà fare un primo bilancio. Intanto il lavoro del garante dei detenuti che ha iniziato la sua attività questo mese prosegue. Un lavoro fatto di colloqui con chi sta scontando la pena oltre ad un confronto quotidiano con il direttore del carcere Fabrizio Cacciabue: “Quello che emerge è il problema di sempre, i detenuti sono costretti a vivere in tre nelle celle da nove metri quadri. Una situazione insostenibile. Ma non è il solo problema che ho riscontrato. Sono in tanti nel carcere di Vicenza a chiedere di essere impiegati con nuovi lavori all’interno. Sia chiaro - spiega Federica Berti - il carcere vicentino è ricco di attività, cooperative, mondo della scuola e associazioni collaborano in modo esemplare con i carcerati, ma servirebbe qualcosa in più. Penso ad esempio a lavori di assemblaggio semplice, lavori non qualificati a cui però i detenuti potrebbero accedere ed essere utili. Vedremo, è un obiettivo che si può raggiungere”. Cosenza: Talarico (Idv); nelle carceri sovraffollamento e carenze Asca, 28 dicembre 2011 Il consigliere regionale della Calabria e commissario provinciale di Idv, Mimmo Talarico, si è recato in visita presso la casa circondariale di Cosenza, dove ha incontrato il direttore dell’istituto, Filiberto Benevento, e il comandante della polizia penitenziaria, commissario Pietro Romano, i quali hanno accompagnato il consigliere nelle varie sezioni, presso gli ambulatori, nei laboratori e illustrato le varie attività educative e di socializzazione della struttura cosentina. Al termine dell’incontro il consigliere ha dichiarato che “la casa circondariale di Cosenza presenta le negatività comuni a tutte le strutture penitenziarie del Paese: sovraffollamento e carenza di personale di Polizia. Basti dire che la struttura dovrebbe ospitare 209 persone, mentre ve ne sono ospitate 359 con conseguenze gravi di coabitazione in celle inevitabilmente troppo piccole”. Reggio Calabria: i detenuti si “tassano” per salvare bimbi africani Gazzetta del Sud, 28 dicembre 2011 La direttrice Longo: abbiamo accolto l’appello di una suora reggina in missione nel continente nero. La solidarietà arriva anche dal di là delle sbarre, dal mondo dei reclusi, da chi sta espiando la pena. Il nobile gesto sboccia proprio il giorno di Natale. Ma andiamo con ordine: di prima mattina regna il silenzio nella casa circondariale di via San Pietro. La dottoressa Maria Carmela Longo, direttrice delle carceri, è alle prese con i problemi di routine dopo un Natale che lei definisce “diverso e umano”. Nella sezione “detenuti comuni” proseguono i lavori di ristrutturazione che dovrebbero essere ultimati entro la fine di febbraio mentre per la sezione “alta sicurezza” si attende l’arrivo del finanziamento. “Si spera - dice - che questo 2012 porti bene. Gli ambienti vanno infatti risistemati”. Non è una novità: le carceri italiane sono affollate tanto che si ritorna a parlare o di indulto o di un provvedimento che possa applicare i domiciliari a chi deve scontare reati cosiddetti “leggeri”. Anche la casa circondariale reggina è stracolma: sono 320 allo stato attuale i detenuti: “Ospitiamo 100 in più - sottolinea la dottoressa Longo - dei posti disponibili, considerando che la metà della sezione “detenuti comuni” è chiusa per il restauro. Certo quando alla fine di febbraio l’opera sarà completa ci sarà un doppio sollievo: sia perché ci sono più posti disponibili sia perché nelle celle si starà meglio, ci sarà pure l’acqua calda. Certo il problema dell’esubero resta. Vuol dire che continueremo a fare acrobazie”. Mentre non si hanno notizie delle nuove carceri di Arghillà dove il cantiere è chiuso da tempo immemorabile (questa è davvero una vergognosa incompiuta), nella casa circondariale di via San Pietro si devono fare miracoli. Tra l’altro è carente anche l’organico della Polizia penitenziaria. Ci sono 40 in meno. Quindi: detenuti in eccesso, poliziotti in difetto. La dottoressa Longo deve fare i conti con questa situazione. In questi giorni di festività anche all’interno delle carceri germogliano pensieri di pace. “Abbiamo fatto di tutto - ricorda la dottoressa Longo - per rendere questi giorni, compatibilmente con il luogo, più sereni possibili. Posso dire con soddisfazione che è stato un caldo Natale e che tutti i detenuti hanno collaborato affinché potesse regnare la serenità”. Ma come è trascorsa la giornata? “Di solito - spiega il direttore - dopo la messa ogni anno si svolgeva un concerto o uno spettacolo, questa volta abbiamo preparato un percorso operativo che si è concluso proprio il 25 dicembre. Tutti i detenuti, uomini e donne, hanno scelto di creare qualcosa, seguendo la loro attitudine: sculture, quadri, oggetti, canti, poesie. E il giorno di Natale ognuno ha potuto presentare la sua opera, illustrandola. Eravamo veramente in tanti e così ho organizzato questo evento nel corridoio. Posso dire che è stato un successo perché sia gli uomini che le donne si sono impegnati. Ma ripeto: sono rimasta commossa per la voglia di partecipare. Tutti si sono sentiti coinvolti in questo progetto che ha riscosso successo”. Nel carcere reggino sono ospitate 24 donne detenute. “Con una novità - rivela Maria Carmela Longo - c’è una mamma con una bambina di otto mesi. La bimba è diventata la mascotte di tutto il gruppo femminile”. Una storia tenera in un ambiente dietro le sbarre che solitamente ospita... i “duri”. E anche per la piccola è stato un caldo Natale. Il clima natalizio ha messo in moto la solidarietà. Spiega la dottoressa Longo: “Abbiamo deciso di lanciare una colletta per contribuire alla realizzazione di un pozzo di acqua in Africa. Abbiamo anche stabilito un minimo e un massimo per dare il giusto indirizzo umano all’iniziativa. Abbiamo raccolto una somma significativa. Tutti, dico tutti, hanno dato il loro obolo”. L’idea di questa raccolta parte un po’ da lontano. “Tempo fa - ricorda la direttrice - è venuta a farci visita suor Patrizia Cannizzaro, una missionaria reggina che opera nella Guinea Bissau, una delle regioni più povere dell’Africa. E ci ha detto che tantissimi bambini muoiono perché sono costretti a prendere il latte con acqua non potabile. E che lei era impegnata a reperire fondi per far costruire dei pozzi. I nostri detenuti non hanno avuto esitazione a raccogliere l’appello e hanno dato la loro offerta con generosità”. Una conferma che dietro le sbarre non ci sono anime dannate, ma gente che ha sbagliato ed lì per pagare il proprio debito con la Giustizia, senza dimenticare però che fuori da quelle mura c’è tanta gente che ha bisogno e così scatta la molla della generosità. Una bella storia natalizia ci ha raccontato Maria Carmela Longo. Come canta Morandi “sui monti di pietra può nascere un fiore”, così dentro le carceri di via San Pietro è nata la solidarietà. Potenza: convegno su “emergenza carceri e diritti umani” www.basilicatanet.it, 28 dicembre 2011 Il movimento politico “Io Amo la Lucania”, con il consigliere regionale Alfonso Ernesto Navazio, ha promosso, presso la sala Inguscio della Regione Basilicata, l’incontro sul tema “Emergenza carceri e diritti umani”. Un incontro - ha spiegato Navazio - che non vuole essere l’ennesima iniziativa di denuncia della condizione carceraria. Un incontro che vuole, invece, discutere delle carceri nel suo complesso non come fatto specialistico. L’incontro ha visto la partecipazione di Rita Bernardini, on. radicale componente della II Commissione permanente Giustizia della Camera dei deputati, di Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa penitenziari, dei direttori generali dell’Asl di Potenza e Matera, Pasquale Amendola e Vito Gaudiano, e del il magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Potenza, Paola Stella. Presenti Maurizio Bolognetti dei Radicali italiani, l’assessore regionale alla Sanità, Attilio Martorano, i consiglieri regionali del Movimento per le Autonomie, Francesco Mollica e del Partito socialista, Rocco Vita, il sindaco di Melfi, Livio Valvano e il già sottosegretario di Stato, on. Mario Lettieri. Il convegno si è aperto con la proiezione di un reportage realizzato all’interno della casa circondariale di Potenza che, ad oggi, ospita 177 detenuti a fronte di 116 posti, tenuto conto della chiusura del reparto penale, osservazione ed infermeria. L’onorevole Rita Bernardini è intervenuta sul “tema delicato dell’emergenza carceraria e sui provvedimenti in discussione per risolverla, in primis il sovraffollamento che rende invivibili le carceri sia per i detenuti che per il personale che vi opera con grande difficoltà”. Maurizio Bolognetti, ha ricordato come “i Radicali da anni si battono per una riforma necessaria a tutto il Paese per uscire dall’illegalità. Con Marco Pannella - ha ribadito Bolognetti - esigiamo che il nostro Stato interrompa la flagranza di reato contro i diritti umani e contro la Costituzione italiana”. “Fatto estremamente drammatico - ha sottolineato Navazio - è che in giro per il Paese abbiamo, sempre più, la richiesta del carcere, l’invocazione del carcere, l’apologia del carcere. Non l’invocazione della giustizia, la rivendicazione della giustizia, l’apologia della giustizia, quasi una sorta di trasformazione in forma legalitaria del sentimento del rancore, della frustrazione. In un tempo di smarrimento - ha aggiunto - tornano a funzionare i capri espiatori e i luoghi ideali per il contenimento dei capri espiatori: istituti sovraffollati, diritti umani calpestati, il triste e crescente elenco dei suicidi, in cui non rientrano solo detenuti disperati ma anche agenti di custodia ed operatori in depressione, il disagio di tante famiglie”. Il sistema carcerario in Italia è un’autentica emergenza nazionale, così come sottolineato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, che, a fine luglio 2011, intervenendo sulla situazione della giustizia e delle carceri ha parlato di “un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. È evidente - secondo Napoletano - l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona”. “Nello scorso mese di settembre - ha ricordato Navazio - dopo l’autorevole intervento del Capo dello stato, si è svolto in Senato un ampio dibattito sulla questione carceraria: la relazione di apertura presentata dal Ministro della giustizia si è risolta in un sostanziale riconoscimento della gravità della situazione carceraria, limitato alla mera enunciazione di dati, ma privo di qualsiasi seria prospettiva di intervento e nell’ammissione della scarsa incidenza delle misure previste dai cosiddetti pacchetti sicurezza. Il decreto legge in materia di giustizia, di alcuni giorni fa, voluto dalla ministra Severino va certamente salutato con favore, allo stesso tempo però è indispensabile ricordare che per vedere gli effetti delle norme previste nel provvedimento servirà tempo mentre la situazione di totale illegalità in cui lo Stato costringe il sistema carcerario permane in tutta la sua drammaticità ed urgenza”. “La condizione carceraria ha raggiunto il punto più alto di disumanità e di inciviltà. Il sovraffollamento ha raggiunto vette che non hanno precedenti nella storia repubblicana. Lo stato di degrado in cui vivono detenuti, agenti di custodia, direttori ed operatori delle carceri non è più accettabile per un paese che voglia definirsi civile: 68mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45mila, solo quest’anno 64 suicidi tra i detenuti e 7 tra gli agenti di custodia. Celle che costringono a vivere in due metri quadri a testa ed in cui si devono fare i turni per stare in piedi, letti a castello a due o tre piani addirittura, dove per dormire probabilmente ci si deve legare per non rischiare di cadere, strutture fatiscenti che spesso hanno pesanti carenze in servizi basilari come quelli igienici o sanitari, mancanza di fondi per l’acquisto di prodotti per la pulizia delle celle, diffusione di malattie che sembravano dimenticare. Agenti in drammatica carenza di organico costretti a turni massacranti e che rendono impossibile una corretta sorveglianza ed assistenza ai detenuti, psicologi ed educatori impossibilitati ad operare professionalmente”. “Le norme del Ministro, dunque, sono ancora insufficienti per rispondere alla ‘prepotente urgenzà di ripristino della legalità nelle carceri denunciata, anche, dal Presidente Napolitano. L’amnistia invocata da Marco Pannella appare sempre più necessaria per compiere subito un primo passo sulla strada della legalità e del rispetto dei diritti umani, per porre fine ad una situazione che come ci ricorda il Presidente della Repubblica: “ci umilia di fronte all’Europa”. Il carcere non è una vendetta, non può essere una tortura. Alla privazione della libertà personale si cumula una sequenza impressionante di violazioni della dignità delle persone. Allora spero - ha concluso Navazio - che l’annunciato provvedimento del Governo Monti e del neoministro della Giustizia sia l’occasione non per un provvedimento tampone ma per una riflessione di fondo su come cambiare, e riformare radicalmente la pena carceraria”. Porto Azzurro (Li): droga in carcere, patteggiano in 9, due sono agenti Ansa, 28 dicembre 2011 Nove persone hanno patteggiato nel processo per spaccio di droga che, secondo l’accusa, arrivò fino al carcere di Porto Azzurro (all’Isola d’Elba). Tra gli imputati che hanno chiesto e ottenuto l’applicazione della pena dopo l’accordo con il pm anche due agenti di polizia penitenziaria. Gli altri sarebbero stati, secondo l’accusa, i fornitori dello stupefacente (hashish e marijuana). L’indagine tra il 2009 e il 2010 aveva coinvolto 21 persone tra cui sei agenti di polizia penitenziaria ed era partita da un’operazione contro lo spaccio di hashish e marijuana. I poliziotti Michele Fois e Andrea Rabagliati hanno patteggiato rispettivamente un anno e 2 mesi e 2 mila euro di multa e un anno e 6 mesi e 4 mila euro di multa con pene sospese per la condizionale. Il giudice per l’udienza preliminare Beatrice Dani ha accolto anche le richieste di patteggiamento come formulate dopo l’accordo tra avvocati e pm per David Castells (2 anni), per Jessica D’Ospina e Massimiliano Di Maio (un anno e 8 mesi ciascuno), per Roberta Anoffo (9 mesi), per Roberto Alibrando (2 anni), per Federico Bertolone (un anno e 3 mesi) e per Simone Mellini (un anno e 4 mesi). Nello stesso processo l’ex direttore del carcere elbano e attuale direttore del penitenziario di Massa Marittima (Grosseto), Carlo Mazzerbo, era stato rinviato a giudizio per rivelazione di segreti d’ufficio. Tre agenti penitenziari avevano scelto il rito abbreviato ed erano stati condannati con pene da un anno e 6 mesi a 2 anni e 11 mesi, mentre un sesto poliziotto è stato rinviato a giudizio. Napoli: il Cardinale Sepe partecipa al pranzo della comunità di Sant’Egidio a Secondigliano Ansa, 28 dicembre 2011 Stecche di sigarette e l’abbonamento alla pay tv per le partite del Napoli. Il cardinale Crescenzio Sepe non si è presentato a mani vuote all’appuntamento con i detenuti dell’Opg di Secondigliano, in occasione del pranzo organizzato, per il secondo anno consecutivo, dalla Comunità di Sant’Egidio di Napoli. “Le sigarette sono per i detenuti dell’Opg, le partite per tutte”, ha affermato Sepe per il quale il pranzo di oggi è la prova che la solidarietà non dura solo un minuto, ma va avanti. È un modo per dire loro che non sono soli - ha sottolineato - va rispettata la loro dignità perché il fatto che siano reclusi non significa che devono essere esclusi. Per i 118 internati dell’Opg, la Comunità di Sant’Egidio ha preparato riso, polpette, contorni e alla fine del pranzo, per tutti sono stati pensati dei regali personalizzati, per lo più capi d’abbigliamento. Gli Ospedali psichiatrici giudiziari, ha spiegato Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, dovrebbero chiudere. La legge c’è e risale al 2008 - ha precisato - ma manca la volontà di attuarla. La norma, ha continuato, prevede che gli internati vengano riabilitati oppure accolti in strutture come le case famiglia. Anche se lentamente si sta facendo - ha detto - ma questo non basta. L’Opg di Secondigliano, fa sapere il direttore Stefano Martone, è al limite della capienza. Abbiamo 118 internati - ha dichiarato - ma la capienza regolamentare è per 100 persone. Nella struttura di Secondigliano, per il responsabile Michele Pendino, psichiatra della Asl Napoli 1, si sta facendo uno sforzo immane per l’umanizzazione delle carceri. Siamo arrivati qui nel novembre del 2008 - ha concluso - e da allora, per esempio, le misure di contenimento sono state azzerate. L’ultima risale al giugno del 2010, poi niente più, a fronte delle 39 circa che avvenivano prima ogni anno. Roma suonano i “Presi Per Caso”… la musica è una ventata di libertà Adnkronos, 28 dicembre 2011 “La musica? Una ventata di libertà, ti rimette in sintonia con te stesso e con gli altri. Uno strumento di comunicazione per dar voce, in questo momento, a coloro che vorrebbero far sentire le loro ragioni”. È quanto dichiara all’Adnkronos Stefano Bracci, insieme al fratello Claudio tra i componenti e fondatori della band musicale “Presi Per Caso” che questa sera si esibisce a Piazza Mastai, nell’ambito della manifestazione “Evasioni romane”, il progetto realizzato dal garante dei detenuti di Roma Capitale Filippo Pegorari con il patrocinio di Roma Capitale, la Provincia di Roma e la Regione Lazio. La rock band è nata tra le mura del carcere romano di Rebibbia nel 1996 ed è formata da ex detenuti che, da liberi, hanno deciso di continuare a suonare insieme. Oltre ai fratelli Bracci, ci sono Armando Bassani, Massimo Cecchini, Arnaldo Giuseppetti e Salvatore Ferraro, che, condannato per favoreggiamento nell’omicidio di Marta Russo, è il più chitarrista del gruppo, e forse il componente che involontariamente ha contribuito di più a far conoscere la band. Cantautori e compositori, Stefano e Claudio Bracci, traggono ispirazione per le loro canzoni dal proprio vissuto. “Il carcere, se non hai una famiglia alle spalle che ti supporta - ha continuato Stefano Bracci - tende ad escluderti, ad isolare gli individui. Dopo la detenzione non c’è alcun futuro, per nessuno. Forse per questo motivo, quando si esce dal carcere, i recidivi sono molti”. “La musica è per noi una passione - ha spiegato ancora - uno strumento utile, necessario per dar voce a quegli uomini e a quelle donne che nella realtà esistono. Troppo spesso il carcere crea muri, distanze, difficili da abbattere”. Attraverso la loro musica, che trasforma le esperienze di una vita in spettacolo, Claudio Bracci chiede in particolare “mezzi, maggiori riconoscimenti al nostro lavoro. Le nostre canzoni parlano della vita dei detenuti, delle condizioni del carcere ma, a volte, in modo ironico, sdrammatizzando le situazioni per far emergere l’umanità che c’è in ognuno di noi”. Riguardo poi all’amnistia chiesta da Marco Pannella e dai Radicali italiani, Stefano Bracci è molto chiaro: “Sono convinto che la società abbia bisogno di salvaguardarsi - ha detto - Chi sbaglia, paghi. Ma occorre più credibilità e una giustizia più equa e corretta”. Cuba: Simone Pini, Luigi Sartorio e Angelo Malavasi…. i prigionieri scomodi di Flavio Bacchetta Notizie Radicali, 28 dicembre 2011 Sono più di 20 giorni che Simone Pini, rinchiuso dal 30 giugno 2010 nel carcere duro di Combinado dell’Este insieme con Luigi Sartorio all’Havana capitale di Cuba, si sta consumando lentamente in uno sciopero della fame che ha deciso di protrarre fino alle estreme conseguenze. Non troppo lontano da loro, nel carcere degli stranieri di La Condesa, è detenuto anche un terzo italiano di Modena, Angelo Malavasi. Insieme a Daniele Fallani, fiorentino come Pini, attualmente latitante e processato in contumacia, i quattro sono stati accusati e condannati dal sistema giudiziario cubano, dopo una lunga detenzione ed un processo-farsa iniziato il 26 settembre 2011 e durato 5 giorni appena, a delle pene pesantissime che oscillano dai 20 ai 30 anni di detenzione ciascuno. L’accusa principale è quella di aver partecipato ad un’orgia insieme a un gruppo di cubani il 14 maggio 2010 durante la quale una prostituta minorenne di appena 13 anni è deceduta a causa di un infarto provocato dall’abuso di sostanze stupefacenti mescolate all’alcool. Inoltre gli italiani sono accusati di complicità nell’occultamento del cadavere della ragazzina ad opera principalmente del gruppo di cubani che era con loro. Lilian Ramirez Espinosa, la vittima, era una studentessa della scuola media di Bayamo, cittadina storica dell’Oriente cubano, a circa 900 Km dall’Havana. Era “impiegata”, insieme ad un gruppo di coetanee che studiavano nella stessa scuola, in un racket che si occupava di fornire giovani prostitute a stranieri e locali facoltosi appartenenti alla burocrazia di regime. Alcuni esponenti di questo racket, Ramos Cedeno detto “El Nano” e Leonel Gamboa, detto “El Pincho”, sono stati anch’essi condannati insieme ad alcune “mamane” loro complici per le stesse imputazioni. Questi “galantuomini” facevano parte del “comitato di ricevimento” che accoglieva i turisti appena sbarcati all’aeroporto di Santiago, a pochi km da Bayamo, e i loro festini, culminati con l’ultimo fatale a Lilian, rinomati nella zona. Purtroppo il grave stato di indigenza in cui versa il Sud di Cuba, che usufruisce in minima parte degli introiti turistici maggiormente riservati alla Capitale e alla città-albergo di Varadero, fa si che questi traffici costituiscano una fonte di sopravvivenza per la gente. Fin dal principio sia Pini che Sartorio hanno basato la loro linea difensiva sul fatto che non fossero a Cuba durante il periodo in cui sono avvenuti i misfatti. Il primo ricostruisce in un lungo memoriale rilasciato agli avvocati e poi girato al sottoscritto gli alibi che corroborano la sua difesa. Operato all’ospedale di Careggi per un problema agli occhi sarebbe stato in convalescenza a casa del padre dal 30 marzo fino al 24 maggio 2010. A riprova di ciò testimoniano le cartelle cliniche dell’intervento subito e le chiamate fatte dall’Italia alla moglie cubana attraverso la linea Cubacel. Inoltre verso metà maggio avrebbe ricaricato proprio a Careggi la sua carta PostePay. Tutte queste affermazioni facilmente controllabili non sono mai state oggetto di attenzione da parte delle autorità cubane. Inoltre la linea aerea Blu Panorama conferma l’avvenuta presenza del Pini sul volo del 24 maggio da Roma destino Santiago de Cuba, ovvero dopo la morte della minorenne. Nel caso di Luigi Sartorio gli alibi sono ancora più “schiaccianti” è proprio il caso di dire… infatti il giorno del 14 maggio è a colloquio con l’avvocato Alberto Maule che conferma ed il 17 maggio convocato dalla Guardia di Finanza al Tribunale di Vicenza per una causa di usura. Lo stesso comando della Guardia di Finanza conferma ed invia ai difensori la copia del verbale. Inoltre il commercialista Giorgio Beggio dichiara che il 10 e 14 maggio il Sartorio si fosse recato nel suo studio per una consulenza. Ora è difficile immaginare che Pini possa aver alterato dei tabulati telefonici e convinto una linea aerea a rilasciare false dichiarazioni ed ancora più irreale che la Guardia di Finanza e ben due professionisti abbiano voluto falsificare la loro testimonianza a favore di un “carneade” come Sartorio. Ma il Dti (Departamento Tecnico Investigativo) cubano al momento dell’arresto dei due alla fine di giugno 2010 li accusa di falsificazione dei timbri di ingresso sul passaporto e di corruzione di pubblico ufficiale. È curioso il fatto che questo fantomatico ufficiale corrotto rimanga tale, così come rimane improbabile la possibilità di far passare dei timbri falsi in un regime di controllo ossessivo che chiunque vada a Cuba anche solo per turismo può facilmente constatare. Angelo Malavasi è l’unico dei 4 che ammette di essere stato a Bayamo la notte del 14 maggio ma la sua fidanzata, la cui madre tra l’altro pare essere una “rata” (informatrice) della polizia, testimonia insieme a una coppia di italiani che dalle 20 alle 23 circa il Malavasi fosse a cena con loro, cioè durante il periodo del decesso della bambina. Comunque sia tutto ciò viene ignorato dal Dti che isola i tre italiani (il 4,° Fallani, era e rimane latitante) sottoponendoli per settimane a torture psicologiche quali privazione del sonno, celle infestate da topi e oscuramento delle stesse per due giorni consecutivi, il tutto alternato a minacce e schiaffoni. Nel frattempo i testimoni a favore vengono fatti sparire e al momento della loro ricomparsa cambiano totalmente la versione accusando i detenuti. Una tattica questa sperimentata con successo sui dissidenti politici, come denuncia la “bloggera” Yoani Sanchez che è stata la prima a raccogliere il disperato appello del Pini. I tre comunque pur di porre fine all’incubo confessano quello che vien loro suggerito con la promessa di essere rilasciati, cosa che ovviamente non avverrà mai. Grazie a un anonimo del laboratorio vengo in possesso dei resoconti delle perizie mediche eseguite sul cadavere della bambina e dei risultati delle prove sul Dna delle fibre e peli ritrovati sul corpo. Che sono: 1) Gli esami ginecologici eseguiti sulle due minorenni compagne di scuole di Lilian risultano negativi: entrambe sono ancora vergini e non presentano lesioni anali. Cade quindi l’accusa di rapporti sessuali con queste. 2) L’esame del Dna eseguito sui 4 capelli trovati sopra il corpo di Lilian risulta negativo per i 3 italiani e positivo invece per il cubano Gamboa. 3) L’esame dei peli ritrovati nel condizionatore della casa dove sarebbe avvenuta l’orgia risulta negativo con il confronto del Dna di Malavasi. 4) Secondo la perizia altri peli “potrebbero” avere delle caratteristiche morfologiche simili a quelle di Pini e Sartorio ma non è possibile avere riscontro certo perché troppo vecchi. La deduzione più logica è che i residui ritrovati nel condizionatore fossero dovuti alla scarsa manutenzione degli impianti e anche ammesso e non concesso che appartenessero ai due (impossibile da provare come ammette la perizia) potrebbero risalire a passate frequentazioni non attinenti ai fatti, dato che il posto era un noto puttanaio della zona. Malgrado l’inesistenza di prove e la presenza di solidi alibi, il processo del 26 settembre si svolge in un clima di condanna prestabilita durante il quale solo Sartorio viene sollevato dalle accuse relative al festino ma al posto di queste viene incolpato per altri eventi simili. Il verdetto viene emesso ai primi di novembre: 20 anni per Sartorio, 25 per Malavasi, 30 per Pini e pene dai 25 ai 30 anni per i lenoni cubani e le loro “maitresse”. Malgrado venisse negato successivamente un processo di appello ai difensori (che comunque secondo la procedura cubana non è dovuto) una decina di giorni fa uno dei giudici rivedendo il fascicolo giudiziario si accorge delle enormi falle prima elencate e in queste ore sta valutando di accogliere le proteste dei familiari e comandare un nuovo procedimento. Ma Pini per ora insiste nello sciopero della fame che potrebbe essere fatale causa il suo fisico debilitato. E dal suo canto Sartorio è convinto che questo dell’appello sia solo una scusa per spillare nuovi quattrini alle famiglie, le quali al momento tra avvocati italiani e cubani e spese procedurali hanno già sborsato oltre 15.000 euro a cranio, somma che a Cuba costituisce una vera fortuna. Ma sullo sfondo di questa squallida vicenda “brilla” la latitanza sia delle istituzioni che della stampa nostrana. Malgrado ben tre interrogazioni parlamentari (Marcazzan dell’Udc, Sbrollini del PD e Poretti dei Radicali) il sottosegretario Mantica finora (risposta all’interrogazione di Donatella Poretti del 13 settembre 2011) non è riuscito ad andare oltre le assicurazioni di aver “svolto passi formali” presso il governo cubano con lo scopo di far accedere al processo le prove ed alibi necessari ai fini di una sentenza equa. Quale risultato abbiano portato questi passi formali si è visto dall’esito del processo avvenuto due settimane dopo… E la “grande stampa” nazionale? Finora gli unici media che si siano occupati della vicenda in maniera più o meno esauriente sono stati “La Stampa” nella penna di Gordiano Lupi (da tempo referente di Yoani Sanchez), e il sottoscritto attraverso il magazine online “Caffè News” (articoli del 27 aprile e 21 settembre 2011). Nient’altro, tranne brevi trafiletti pubblicati al momento della sentenza da parte del Messaggero e del Corriere senza tentativi di approfondimento. Settimanali cartacei e magazine online “prestigiosi” malgrado vane promesse si sono prudentemente ritirati nel guscio. Perché? Probabilmente i 3 italiani hanno avuto nei confronti dei temibili membri della polizia cubana atteggiamenti perlomeno arroganti prima dei fatti, cosi da venir coinvolti nella retata punitiva con i papponi. Ma la loro colpa maggiore è quella di rappresentare la coda di paglia del Bel Paese, il quale detiene il poco invidiabile primato europeo nel turismo sessuale. Senza dimenticare i recenti fasti e festini erotici di bunga bunga memoria perpetrati dall’ex Premier, zimbello planetario a 360°. Per cui questa vicenda cade per loro sfortuna nel momento cronologicamente meno adatto alla difesa da parte della lobby nazionale dei “benpensanti” più preoccupata ora di rimuovere la propria cattiva coscienza. Brasile: detenuti-operai in semilibertà per lavori stadio mondiali 2014 Ansa, 28 dicembre 2011 Tra i circa 1.500 operai impegnati nei lavori di ammodernamento in uno degli stadi per i mondiali di calcio del 2014 in Brasile c’è anche un gruppo di una ventina di detenuti in semi-libertà. Lo scrive la stampa locale, ricordando i lavori in corso presso lo stadio “Mineriao” della città di Belo Horizonte, sud-est del paese, che sarà pronto alla fine dell’anno prossimo. “Grazie alla loro partecipazione ai lavori, i prigionieri hanno, oltre al salario, anche la possibilità di vedere la propria pena ridotta”, ricorda la stampa locale, che in questi giorni ha raccontato la storia di alcuni dei detenuti-operai. Tra i più noti del gruppo c’è per esempio, Francisco das Chagas Queiroz, conosciuto dai suoi colleghi come Chiquinho, 52 anni, che ormai ha fatto più di 15 di carcere con l’accusa di aver partecipato a una rapina in banca. Negli ultimi tempi, Chiquinho è stato designato quale impiegato del mese, visto il suo attaccamento al lavoro. Tale riconoscimento “è per me un onore”, sottolinea, ricordando che pochi giorni dopo il suo arrivo allo stadio sono subito stato scelto per coordinare dei lavori. “Per me è importante essere preso in considerazione da una società così grande”, dice, riferendosi all’impresa responsabile dei lavori di ammodernamento del Mineriao, precisando che nei prossimi giorni completerà la sua pena, ed ha quindi la speranza di poter continuare a lavorare nello stadio. Proprio quello del Mineriao, rileva la stampa locale, è uno dei cinque stadi in altrettante città brasiliane scelto dalla Fifa e dal comitato organizzatore locale quale sede delle partite della Confederations Cup del 2013, “prova generale” dei Mondiali 2014. Siria: Human Rights Watch; prigionieri trasferiti a siti off-limits per osservatori internazionali Asca, 28 dicembre 2011 L’organizzazione Human Rights Watch ha accusato il governo siriano di aver trasferito centinaia di detenuti da Homs a siti militari off limits per gli osservatori della Lega Araba, in questi giorni in Siria. La Lega Araba - sottolinea Human Rights Watch - dovrebbe insistere per il pieno accesso a tutti i siti siriani usati per la detenzione, conformemente all’accordo siglato con il governo siriano. Secondo l’organizzazione di difesa dei diritti dell’uomo, un funzionario della sicurezza di Homs ha rivelato che tra il 21 e il 22 dicembre tra i 400 e i 600 detenuti sono stati spostati verso altri luoghi di detenzione, come, ad esempio, un centro militare per la fabbricazione di missili a Zaidal, vicino a Homs. L’ordine di trasferimento dei prigionieri è arrivato dopo la firma da parte del governo di Damasco, il 19 dicembre, del protocollo della Lega Araba per la fine delle violenze e la visita degli osservatori nei luoghi di detenzione. Dopo essere stata ieri ad Homs, la delegazione della Lega Araba visiterà altri centri caldi delle proteste anti-regime: tra stasera e domani gli osservatori saranno a Idlib e Hama, nel nord e a Daraa, nel sud.