Giustizia: sovraffollamento e suicidi, dalle carceri un bilancio di guerra di Alessandro Da Rold www.lettera43.it, 23 dicembre 2011 Le carceri italiane sono tra le più affollate d’Europa. Ormai l’emergenza è cronica e, ogni mese, si aggiorna il bollettino dei suicidi da entrambe le parti delle sbarre. Gli ultimi casi, in ordine di tempo, sono datati 19 dicembre: un 40enne rinchiuso nel carcere di Monza si è ucciso inalando il gas di una bomboletta mentre a Pordenone Antonio Caputo, 43 anni assistente capo nel carcere friulano ha scelto di farla finita sparandosi un colpo con la pistola d’ordinanza. Il suo è stato il quinto suicidio tra le guardie carcerarie da inizio 2011. Strutture congestionate. Come ogni fine dell’anno è sempre impietosa la relazione dell’Associazione Antigone sul sistema carcerario italiano: quest’anno i morti sono stati 65 e i problemi rimangono sempre gli stessi, tra sovraffollamento e difficoltà di gestione anche psicologica dei carcerati. Il nuovo ministro dell’Interno Paola Severino ha annunciato un decreto legge in materia, attraverso il quale nel 2012 usciranno dai penitenziari circa 3.303 detenuti. Un intervento decisivo o un semplice palliativo per evitare un collasso annunciato? 68mila detenuti per 44mila posti. Secondo i calcoli dell’organizzazione che si batte per i diritti e le garanzie del sistema penale in Italia, nel nostro Paese ci sono circa 68 mila detenuti - di cui il 42% è in attesa di giudizio, mentre il 65% dei detenuti sconta una pena o un residuo pena inferiore ai tre anni - a fronte di 44 mila posti a disposizione. È una tragedia nella tragedia, che riguarda non solo chi deve scontare una pena per aver commesso un reato, ma soprattutto chi deve gestire la vita all’interno del carcere. Per il Sappe, il sindacato autonomi di polizia penitenziaria, solo nel 2010 gli agenti “hanno sventato ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti e hanno impedito che degenerassero 5.703 atti di autolesionismo”. Le critiche dei Radicali al decreto svuota-carceri. Secondo una ricerca dell’associazione Granello di Senape dal 2000 a oggi sono deceduti oltre 1.800 detenuti, di cui un terzo appunto per suicidio: la media è di 180 morti all’anno. Quasi fosse una guerra In ogni caso, il decreto legge per decongestionare le carceri, che deve ancora essere firmato dal capo dello Stato, è un provvedimento “tampone” che da solo non può risolvere il problema. A sostenerlo è stata la stessa Severino, anche perché la norma del dl che ha provocato più polemiche è quella secondo cui gli arrestati in attesa di processo per direttissima non andranno più dietro le sbarre, ma resteranno in custodia delle forze di sicurezza. Illusione per la comunità penitenziaria. “Per questo parlare di svuota carceri è letteralmente fuorviante”, ha spiegato la deputata radicale Rita Bernardini. “Significa illudere la comunità penitenziaria che è sottoposta da anni alla violenza di uno Stato fuorilegge incapace di rispettare le sue stesse regole”. “Occorre poi precisare”, ha aggiunto Bernardini, “che tutte le richieste di poter scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di detenzione dovranno essere vagliate dai magistrati di sorveglianza già oberati di lavoro, lavoro che non riescono a smaltire penalizzando chi dovrebbe poter accedere a pene alternative, a permessi, a liberazioni anticipate”. Da Monza a Roma, emergenza continua. Il dramma che si è consumato nella casa circondariale di via San Quirico a Monza è solo l’ultimo di una lunga serie. Per le guardie carcerarie del Sappe, “il suicidio in carcere è sempre, oltre che una tragedia personale, una sconfitta per lo Stato” e dello stesso sistema penitenziario. Aggressioni e violenza. Nel corso del 2011 sono stati registrati 11 tentativi di suicidio, 87 episodi di autolesionismo, due aggressioni subite dagli agenti della polizia penitenziaria, 84 scioperi della fame. Alla base di questa protesta continua c’è sempre il sovraffollamento del carcere monzese, che conta oggi 713 detenuti a fronte di una capienza massima stimata in 405 unità. Per questo, la prigione potrebbe essere una delle prime a essere interessata dal decreto svuota-carceri. Da diversi anni, poi, i consiglieri regionali della zona cercano - senza successo - di risolvere l’emergenza. Lo scorso novembre, per esempio, alcuni settori del carcere erano stati persino chiusi perché dichiarati inagibili. E 150 detenuti furono trasferiti in altri penitenziari lombardi. Rebibbia, misure insufficienti. Ma quello di onza non è un caso isolato. A Rebibbia, a Roma, un cittadino tunisino lotta tra la vita e la morte: è in sciopero della fame perché sostiene che la sua pena sia ingiusta. Con lo svuota carceri, il nuovo complesso romano si alleggerirebbe di circa 100 unità (su 1.770 detenuti). “Meno di 100 detenuti in un anno”, ha messo in chiaro Bernardini, “saranno destinati a scontare a casa la loro pena residua: una goccia nel mare se pensiamo che la capienza del carcere romano è di 1.200 posti”. Giustizia: cosa intende fare l’Anm di fronte alle violazioni del diritto nelle carceri? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 23 dicembre 2011 “Il problema del carcere è un problema grave, in relazione al quale - dal punto di vista del diritto penale e sostanziale - occorre procedere ad una seria depenalizzazione”. È l’opinione del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara, secondo il quale “dal punto di vista procedurale e sostanziale bisogna incentivare le misure alternative alla detenzione, mentre non riteniamo che l’amnistia sia la soluzione del problema. Noi riteniamo necessari interventi di carattere strutturale per risolvere il problema, altrimenti si finirebbe solo per svolgere un intervento tampone che a distanza di anni riproporrebbe le medesime problematiche”. Sulla stessa lunghezza d’onda il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini: “Penso che l’amnistia non serva a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Fenomeno legato prevalentemente alle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, ovvero ai cosiddetti pacchetti sicurezza. I quali hanno portato a un rilevante aumento di persone che devono transitare in carcere. L’amnistia, quindi, non servirebbe a risolvere il problema del numero dei detenuti e accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale, che già rappresenta un problema grave per la giustizia italiana”. Il sordo peggiore è quello che ha deciso di non sentire, insegna la saggezza popolare; si farebbe offesa a Palamara e a Casini se si ritenesse che non conoscano i termini della proposta radicale di amnistia. Marco Pannella, Rita Bernardini, i radicali, sia pure con i limitati mezzi a loro disposizione - “Radio Radicale”, i siti radicali, qualche fugace apparizione televisiva - hanno detto chiaramente che l’amnistia non è la soluzione, piuttosto la premessa indispensabile per avviare quel processo di riforme che tutti, a parole, invocano, auspicano e dicono di volere, salvo poi procrastinare. Palamara e Cascini sanno. E se, sapendo, dicono quello che dicono, non possono che essere in evidente malafede; e che dicano che, per risolvere non in modo estemporaneo, il fenomeno del sovraffollamento nelle carceri occorrono quelle radicali modifiche a normative criminogene varate negli ultimi anni, è qualcosa che strappa un amaro sorriso. Nell’attesa che il Parlamento riveda quelle che il responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando individua come “frutto della politica della paura”, vale a dire la cosiddetta ex Cirielli, la Bossi-Fini sugli extracomunitari, e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, cosa suggeriscono di fare Palamara e Cascini? Perché nel frattempo, e chiediamo all’Anm di spendere ogni tanto anche su questo una parola, solo nel 2011 che ancora non si è concluso, si sono suicidati una settantina di detenuti, e un altro migliaio hanno tentato di farlo e sono stati salvati all’ultimo minuto dagli agenti della polizia penitenziaria; e sono stati oltre cinquemila gli episodi di automutilazione; solo nel 2011 che ancora non si è concluso si sono uccisi cinque agenti della polizia penitenziaria, e in dieci anni se ne sono suicidati un’ottantina. Il problema che Pannella, Bernardini, i radicali pongono a voi e al paese è questo: nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Una situazione, solo per quel che riguarda il caos regnante nella giustizia civile, che costa al contribuente - lo stima un rapporto della Banca d’Italia - qualcosa come 20 miliardi di euro l’anno. Di fronte a questa “prepotente urgenza” (Giorgio Napolitano), a questo “abisso tra la realtà carceraria e la legge” (Benedetto XVI), che si fa, che si vuole fare, ora, non domani, presidente Palamara, segretario Cascini? Dite, con un italiano che rivela assai più di quanto non dica, che l’amnistia “…accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale”. E invece, quello che accade, e che un cittadino che ha la sventura di trovarsi impigliato in cose di giustizia tocca e patisce con mano, che sentimenti provoca e accentua? Marco Pannella sostiene che “ci troviamo dinanzi a una violazione gravissima, ultra-decennale, criminale dal punto di vista tecnico, dei diritti umani”; contro questa violazione insorge, ed esige (e lotta) perché questa flagranza di reato si interrompa. Presidente Palamara, segretario Cascini, che dite su questo? Giustizia: storia dei 65 detenuti che nel 2011 hanno preferito la morte al carcere di Valentina Ascione Il Foglio, 23 dicembre 2011 Roma. L’ultimo a essersi tolto la vita non è un detenuto, ma una guardia carceraria, travolta dalla stessa disperazione. Prima di lui, solo nell’ultimo mese, quattro detenuti si sono suicidati. “Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, così l’aveva definita il capo dello stato, intervenendo lo scorso luglio al Senato al convegno sui temi della giustizia e delle carceri organizzato dai radicali. Eppure, a ormai quattro mesi da quel drammatico allarme, l’emergenza carceri non è arretrata di un passo. Anzi, continua ad aggravarsi, come dimostrano i numeri. Numeri insostenibili, a cominciare dal sovraffollamento. Sono infatti oltre 68 mila le persone attualmente recluse nelle patrie galere, di cui il 42 per cento in attesa di giudizio, costrette a spartirsi poco più di 45 mila posti regolamentari. A vivere in spazi ridottissimi, di gran lunga inferiori a quelli previsti dall’ordinamento penitenziario, a dormire su letti a castello di tre o quattro piani e in alcuni casi perfino sul pavimento. Condizioni di degrado tali da infliggere, come ha denunciato domenica scorsa Papa Benedetto XVI davanti ai detenuti di Rebibbia, una “doppia pena”, in violazione dei principi costituzionali, che sanciscono la finalità rieducativa della pena, ma anche dei diritti umani universalmente riconosciuti. Ma il dato più allarmante è quello delle morti che si consumano dietro le sbarre: quasi duemila negli ultimi undici anni, secondo l’osservatorio di Ristretti orizzonti, di cui oltre 600 suicidi. Da gennaio a oggi si sono registrati nelle carceri italiane circa 180 decessi, mentre sono 65 i detenuti che si sono tolti la vita; 61 in base ai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che però esclude dalla lista dei lutti coloro che, pur avendo cercato la morte in cella, spirano fuori dalle mura di cinta. Una lista che si allunga con cadenza quasi quotidiana e che quindi rende difficile tirare le somme di un anno che già si conferma drammatico quanto i precedenti, se non di più. Il disagio non risparmia ovviamente il personale, vittima insieme ai detenuti delle conseguenze del grave stato di crisi”. Tra i più esposti, gli agenti di polizia penitenziaria che stando alle statistiche si suicidano quattro volte in più rispetto ai loro colleghi degli altri corpi di polizia. Sono cinque i baschi blu che si sono tolti la vita quest’anno, circa 80 in dieci anni. Ultimo in ordine di tempo l’assistente capo Antonio Caputo, di 43 anni, in servizio presso il carcere di Pordenone. “Quando nel 2001 fu decretata la pianta organica - fa sapere il segretario generale della Uil Penitenziari Eugenio Sarno - erano in servizio circa 42 mila unità, con una popolazione detenuta attestata intorno alle 45 mila. Dieci anni dopo, con una popolazione detenuta che ha sfondato quota 68 mila, con molti istituti nuovi e qualche decina di padiglioni attiva ti, la polizia penitenziaria conta 37.784 unità. In sintesi, negli ultimi dieci anni la popolazione detenuta è aumentata del 51 per cento, mentre l’organico della polizia ha subito un decremento di circa il 9 per cento”. Sottodimensionati e provati da condizioni di lavoro sempre più difficili, i poliziotti devono far fronte al malessere dei detenuti che solo quest’anno si è tradotto in oltre 5 mila atti di autolesionismo e un migliaio di tentativi di suicidio. E in focolai di rivolta, come quelli scoppiati nelle scorse settimane nel carcere di Montacuto, ad Ancona, e a Parma, dove alcuni reclusi hanno tentato di dare fuoco alle lenzuola per protestare contro il sovraffollamento e la mancanza di riscaldamenti. Più numerose, fortunatamente, le manifestazioni non violente, come lo sciopero della fame che nel corso dell’anno moltissimi detenuti hanno messo in atto insieme a Marco Pannella, capofila dei sostenitori di un provvedimento di amnistia, che proprio due giorni fa ha riproposto al presidente della Repubblica l’emanazione di un messaggio alle Camere (ex art. 87 Cosi), perché il Parlamento sia portato a conoscenza dell’amnistia “quale proposta di riforma strutturale dell’amministrazione del sistema giudiziario italiano, sovraffollato oltre che nelle immonde carceri, anche e soprattutto da 10 milioni di procedimenti civili e penali pendenti”. Il Guardasigilli Paola Severino ha dichiarato che non si opporrebbe a un’amnistia, se di iniziativa parlamentare. La politica si divide. Tra i favorevoli la presidente del Lazio Renata Polverini, l’ex ministro Altero Matteoli e il deputato Pdl Gaetano Pecorella, che la ritiene “l’unica vera soluzione”. Tra i contrari la capogruppo dei deputati Pd in commissione Giustizia Donatella Ferranti, la Lega e l’Idv. Giustizia: la Severino ha compreso che il carcere è un lusso di Enrico Sbriglia (Segretario Nazionale del Si.Di.Pe.) Il Riformista, 23 dicembre 2011 “Giustizia senza rancore”, questo è il mio primo pensiero nel-lo scorrere il comunicato del Consiglio dei Ministri dove si affronta il tema dell’ emergenza penitenziaria. È un passo avanti, forse tutto non è ancora perduto. Trasformare la sanzione carceraria in risorsa preziosa ed estrema, liberandola dall’essere la banale risposta ad ogni criticità sociale, arginando una concezione invasiva ed espansiva di quella che i “dotti” indicano come “panpenalismo”, mi sembra una sferzata di razionalità di cui c’era bisogno. Dopo quasi 30 anni di galera, sono stanco di vedere sanzionato tutto affinché non si sanzioni un bel niente; l’abbrevio di un codice penale “essenziale” sembra quasi essere divenuto il desiderio dei tanti operatori penitenziari: da tempo si è fatta strada la folle visione di chi come me, vedendo il carcere da dentro, nelle sue viscere, nei brontolii di intestini e destini sempre più tenui che si incrociano, si aggrovigliano e talvolta si stritolano a vicenda, non di rado avvinghiando le esistenze “al chiuso” degli stessi operatori penitenziari, calati in un lavoro difficile, che poco fa sorridere, spinti nei casi estremi ad emulare, con la cancellazione dalla matricola dei vivi, quella stessa disperazione di quanti, detenuti, sollevano bandiera di resa alla vita (solo ieri l’altro, infatti, v’è stato l’ennesimo caso di suicidio di un poliziotto penitenziario a Pordenone...). Potrà apparire strano che uno come me, la cui banale storia personale sembrerebbe dover condurre a considerazioni che richiamino i principi di “Tolleranza zero”, “Law and order”, sembri al contrario precipitare in affermazioni che sanno di preti-operai che sorridono al male e/o di gracchianti voci di organizzazioni non governative che già per esser tali desterebbero sospetto all’ordine-disordine precostituito, ma è così. Acuta questa Ministro della Giustizia, sembra subito voler toccare uno dei santuari dei problemi della Giustizia: l’attualità di una ostinata e pilatesca concezione che la pena principale debba essere anzitutto “detentiva”, dentro un carcere, vecchio o nuovo che sia, in luogo di misure sanzionatorie più moderne e che costino meno al contribuente, ricordandoci forse garbatamente che i soldi pubblici sono il tesoro della Comunità! La Severino mostra di avere ben compreso che il Carcere è un lusso di uno Stato “Grasso e Distratto”: costa, è antieconomico e, soprattutto, non cancella i problemi sociali. Inoltre questa Ministro va oltre, pretende addirittura di rovinare i weekend dei magistrati e dei policemen, “il sabato non verrebbe prima dell’Uomo”, costringe i primi a convalidare l’arresto entro le 48 ore ed i secondi ad assicurare, presso le camere di custodia, all’interno delle questure, delle stazioni dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo forestale, della polizia locale, ma anche della capitaneria di porto e ovunque uno dei tanti, forse troppi, corpi di polizia di un’Italia che si fa forte in sicurezza polverizzando le risorse umane, le persone che verranno tratte in arresto. Subito, e giustamente, si scatenano però le polemiche: “come faremo, dove prenderemo gli uomini per la sorveglianza, gireranno meno pattuglie sul territorio, dovremo sacrificare i riposi settimanali, dovremo spendere in vitto, in luce, in acqua, in assistenza, dovremo e come potremo?” Non sono lagnanze fuori luogo, anzi! Ma finora, sarebbe anche giusto da chiedersi, quantomeno per onestà intellettuale, come hanno fatto “quegli altri” pure poliziotti, che operano nelle carceri, perché mai gli stessi bisogni, le stesse richieste, le stesse esortazioni non sono state negli anni scorsi prese in considerazione, non mettendo a loro disposizione quando fosse necessario? Perché continuiamo ad ospitare detenuti che dopo qualche giorno ritorneranno alla libertà, semmai innocenti, costretti a dormire per terra, in stanze luride ed affollate, e portandosi appresso, ove fossero degli incensurati, uno strascico di infamia e di paure che mai più l’abbandoneranno? Insomma, Cara Ministro, non so se riuscirà davvero negli intenti, però ha smosso le acque del putrido stagno, forse, finalmente, si sta per avviare una nuova stagione della sicurezza, che non segue più gli umori della folla e le follie di un sistema sempre a caccia di un nemico, ma di una sicurezza che poggi sulla rivitalizzazione di una concezione di Giustizia: rassicuri perché non odia, non vendica, non umilia, ma porta pace ed induce ad un ripensamento di scelte, rispettando il dettato costituzionale. Mi pare una rivoluzione... Giustizia: Giuliano Amato; nostri detenuti peggio di polli in batteria, io sto con Pannella Ansa, 23 dicembre 2011 “Io ho sempre giudicato la condizione delle carceri come la considerano i radicali. Considero inaudito che un vecchio combattente come Marco Pannella sia costretto a sottoporsi a questi stress, facendo scioperi della fame e della sete, ma so che lo fa per una ottima causa, e so che se non lo facesse la causa sarebbe ancora meno visibile”. Lo ha detto Giuliano Amato, intervistato da Radio Radicale sulle carceri e la giustizia. “Banalmente penso che la condizione delle carceri è uno degli specchi della civiltà di un Paese, e non si capisce che senso ha tenere sull’altare Beccaria se poi finisce nel cesso quello che scriveva”, ha detto Amato. “Tutti sanno che la Costituzione è fermissima nel dire che il carcere non può essere privazione di tutti i diritti essenziali della persona, e che deve limitarsi a privare della libertà. Tutti sanno delle condizioni impossibili in cui si trovano i reclusi in cella, che è una condizione che gli animalisti ritengono intollerabile per i polli in batteria. Ecco: i nostri carcerati sono polli in batteria”. Eppure, ogni volta che si parla di amnistia, c’è chi dice “si vogliono i delinquenti in libertà”. A volte viene voglia di dire “vorrei che ci finissi tu là dentro, così ti accorgeresti di quanto è ingiusto”. In alcuni Paesi non si porta in carcere un condannato sino a quando non c’è spazio sufficiente per ospitarlo. Noi invece abbiamo le condizioni che sappiamo, ha detto Amato. “A noi basta mandare in visita il Papa per farci sentire a posto. È una di quelle ipocrisie di fronte alle quali verrebbe voglia di urlare. Ha ragione la Severino, quando dice: io non posso proporre l’amnistia. Perché sa in questo modo la seppellirebbe. Ma se lo propone il Parlamento...”. Giustizia: intervista a Eugenio Sarno, segretario Uil Penitenziari “se un agente si toglie la vita…” di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 23 dicembre 2011 I suicidi degli ultimi giorni non devono ripetersi mai più, Ecco perché l’organico della polizia penitenziaria deve crescere. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” il segretario della Uil Penitenziari Eugenio Sarno. Eugenio Sarno, alcuni giorni fa un’altra guardia penitenziaria si è tolta la vita. In questo grave atto c’è tutta la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane…. “Nelle ultime settimane sono stati due i suicidi di guardie penitenziarie, questi due agenti erano definiti da tutti come dei bravissimi lavoratori, disponibili con tutti. Questi due agenti avevano svolto sempre il loro lavoro con grande professionalità e stima da parte di tutti. Una vita professionale irreprensibile, che certo non faceva presupporre questo epilogo”. Cosa farete? “Noi abbiamo detto con grande chiarezza che non intendiamo strumentalizzare queste morti. Non vogliamo puntare l’indice accusatore verso nessuno. Ciò non toglie che le persone e le istituzioni devono accelerare necessariamente le iniziative per trovare un percorso o una via d’uscita a questa condizione. È anche vero che il capo del Dap ha istituito un gruppo di lavoro per approfondire le condizioni delle nostre carceri ed è vero che studi universitari hanno accertato che le condizioni di disagio lavorativo tra le guardie penitenziarie sono superiori rispetto ad altre società di lavoro. Sono anni che denunciamo condizioni infamanti nel luogo di lavoro e le condizioni dei diritti soggettivi degli agenti e le carenze di organico a cui devono sopperire. Il contratto di lavoro dovrebbe garantire condizioni migliori di lavoro per gli agenti che lavorano negli istituti penitenziari”. Chi è il responsabile di questa situazione? In un comunicato di lunedì avete detto che l’organico degli agenti è diminuito del 9 per cento e che ci sono troppi agenti che vengono utilizzati nei servizi all’esterno. La responsabilità di questa condizione può essere individuata? “Le colpe e il dolo e le responsabilità attengono ad un profilo processuale. Noi siamo favorevoli al dialogo e al confronto con i nostri interlocutori. Parlare solo di vacanze organiche potrebbe non fornire il quadro di quella che è la catastrofe organica della polizia penitenziaria. Nel 2001 erano in servizio 43mila agenti di polizia penitenziaria. I detenuti superavano appena le 45mila unità. A distanza di 11 anni, dopo l’apertura di altri istituti penitenziari, l’organico della polizia penitenziaria è sceso a 37mila unità, mentre la popolazione detenuta è aumentata del 51 per cento. In ragione ai nuovi compiti attribuiti alla polizia penitenziaria è evidente che i carichi di lavoro sono aumentati ed è sempre meno facile riuscire a lavorare nelle sezioni detentive. Ecco perché vogliamo che questi episodi non si ripetano mai più”. Giustizia: Fp-Cgil; al via confronto ministra Severino con i Sindacati di Polizia penitenziaria Agenparl, 23 dicembre 2011 Stamane si terrà il primo confronto tra le organizzazioni sindacali della Polizia Penitenziaria e la nuova Ministra della Giustizia Paola Severino. Un appuntamento importante nel quale cercheremo di capire come la neo Ministra voglia portare avanti quanto anticipato alla stampa. Molte delle proposte che abbiamo letto vanno nella giusta direzione, incrociando le nostre rivendicazioni. Attendiamo di capire quale sia la strada che il nuovo Governo intende percorrere, ma le premesse ci fanno sperare in un cambio di rotta radicale rispetto alla precedente gestione. Sono urgenti misure deflattive che diminuiscano le presenze in carcere, soprattutto per il transito dei detenuti in attesa di giudizio, 100mila uomini e donne che ogni anno trascorrono brevissimi periodi di detenzione ingolfando le carceri e aumentando a dismisura i carichi di lavoro della Polizia Penitenziaria per poi essere in gran parte assolti e scarcerati. Allo stesso modo vanno previste pene alternative come ad esempio la messa alla prova per gli incensurati direttamente nella fase processuale e, come proposto già dalla Ministra, fermi che permettano di evitare il trauma della carcerazione. La Fp-Cgil ha lanciato più di un anno fa le proprie “10 proposte per uscire dall’emergenza”. Le presenteremo alla Ministra e cercheremo convergenze. Siamo aperti al confronto. Vanno certamente affrontati alcuni nodi mai sciolti: stanziamenti economici, edilizia penitenziaria, dotazioni organiche e mezzi in uso alla Polizia Penitenziaria. Ma bisogna andare oltre. Vanno rimosse alla radice alcune delle ragioni dell’esplosione delle presenze, leggi liberticide come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulle droghe, vere e proprie norme sulla reclusione del disagio, e i vari sciagurati pacchetti sicurezza. Bisogna sforzarsi affinché il sistema penitenziario ritorni a occuparsi del recupero e del reinserimento sociale dei detenuti, con particolare attenzione alla qualità e alla sicurezza del lavoro nelle carceri, perché oggi sono luoghi di tortura per chi vi è recluso e per chi vi lavora. Lo rende noto la Fp Cgil. Giustizia: un anno a Rebibbia… Totò Cuffaro ha imparato a fare il detenuto Live Sicilia, 23 dicembre 2011 È passato un anno. Un anno in cui Totò Cuffaro ha imparato a fare il detenuto. L’ex governatore accetta di raccontarsi in una lunga intervista rilasciata a Riccardo Lo Verso per il prossimo numero del mensile S, acquistabile da oggi in edicola o in formato pdf. Il ricordo parte dal giorno del suo arresto, dal dramma delle manette che gli hanno “avvolto come un filo spinato il cuore” alla presa di coscienza che il “carcere va vissuto, perché devi reagire con la forza della fede”. Cuffaro sta scontando sette anni per aver favorito la mafia. È un uomo diverso dal potente politico che abbiamo conosciuto. E non solo per i trenta chili persi. Racconta la sua vita a Rebibbia, dalle prime ore del mattino trascorse a fare jogging fino alla sera, quando un rotolo consumato di carta igienica indirizza la piccola luce sui libri per non disturbare i compagni di cella. Provato dal carcere, ma non fiaccato nello spirito, Cuffaro non ha perso la passione per la politica. La sua analisi, confluita anche in una videointervista della quale Live Sicilia vi offre oggi un’anticipazione, non fa sconti. Parla di Raffaele Lombardo e della maggioranza che lo appoggia, diversa da quella uscita dalle urne (“Quando non si fa quello che i siciliani ti hanno chiamato a fare non c’è rispetto per le Istituzioni”). Parla pure dell’inchiesta che ha visto coinvolto il suo successore. Lombardo ha avuto un trattamento giudiziario diverso? “Lo hanno detto altri illustri parlamentari di sinistra, non li contraddico. Ma sono contento che i siciliani non debbano rivivere l’onta che hanno vissuto per le mie vicende”. Immagina un grande futuro per Angelino Alfano, “un ragazzo bravissimo che è cresciuto molto”, e critica chi prende le distanze dal cuffarismo dopo averne condiviso il percorso: “Uno deve avere il coraggio di difendere la proprio storia”. Già, il Cuffarismo. L’ex governatore non rinnega il suo modo di fare politica, ma ammette di avere commesso degli errori. Sa che in carcere sarà dura, lo conforta il fatto che fuori ad attenderlo ci sono i parenti e tanti amici. Nel frattempo studia giurisprudenza e scrive. Presto pubblicherà un suo libro. Il candore delle cornacchie, si intitola. Parla dei detenuti “che la giustizia ha imbrattato, proprio come gli uccelli, ma che in fondo conservano questo candore”. Lettere: partiamo dal Natale, per portare in carcere più dignità e diritti di Francesco Ceraudo (Direttore Centro regionale per la salute in carcere della Toscana) Il Tirreno, 23 dicembre 2011 Il giorno di Natale bussa ormai alle porte. Per i detenuti delle 20 carceri toscane è una festa che rimane solo oltre le sbarre, il ricordo di un giorno in compagnia delle persone più care. Un giorno quindi di serenità ma anche di amarezza perché si frappongono delle barriere insuperabili al desiderio dei detenuti di essere vicini ai propri cari. Però il Natale tratteggia anche risvolti positivi. Il Natale è anche il momento centrale di un periodo che predispone alla riflessione. In quanto Natale in carcere è anche il momento dei rimpianti e soprattutto dei propositi di rinnovamento. E chi si vede preclusa questa possibilità come i detenuti di essere accanto ai propri cari può facilmente abbandonarsi a quel vittimismo che costituisce il più fertile terreno per l’incalzare di sentimenti negativi: acredine, rabbia, frustrazioni fino agli atti di autolesionismo. Allora il cerchio si chiude: la pena del carcere perde ogni possibile efficacia rieducativa per diventare la causa determinante di un processo di continuo deterioramento morale. Per il carcere si sta delineando negli ultimi tempi una stagione di oscurantismo che rafforzerà la separatezza, l’emarginazione, recidendo anche quei flebili legami con il mondo esterno, così importanti per alleviare il senso della solitudine. Il dramma dei tossicodipendenti si coniuga con la disperazione dei sieropositivi per Aids. E tutto ciò diventa ancora più palpabile con il Natale. Al 31 ottobre 2011 erano presenti nelle carceri toscane 4.525 detenuti di cui 206 donne, 35 minori, 119 internati e 7 bambini. Mancano circa 1.500 posti-letto. Prevaricano condizioni di grave, disumano sovraffollamento, un sovraffollamento inaccettabile che lede diritti e dignità, un degrado strutturale che rende ancora più complicata l’esistenza quotidiana e che rende agevoli percorsi di ulteriore marginalizzazione. La Regione Toscana si sta adoperando con tutti i mezzi per allestire servizi sanitari adeguati alla tutela della salute della popolazione detenuta. Il carcere è una medicina amara, ma non può essere somministrato quando il detenuto è seriamente malato. È anche questa una seria forma di medicina preventiva. Taranto: detenuto ritrovato morto in cella, un altro grave dopo il tentativo di impiccagione Gazzetta del Sud, 23 dicembre 2011 È il settimo detenuto trovato morto dall’inizio dell’anno nelle carceri pugliesi. L’uomo, Cosimo Rizzo, un tarantino di 40 anni che stava scontando reati di droga, è stato trovato agonizzante nella cella che divideva con un altro recluso intorno a mezzogiorno di oggi. Inutili i soccorsi del personale del 118 fatto intervenire dalla direzione del penitenziario. Il magistrato di turno, il pubblico ministero Mariano Buccoliero, ha già disposto l’autopsia che sarà eseguita del medico legale Marcello Chironi. L’esame sul cadavere fatto dallo specialista non avrebbe rilevato segni di violenza. Si ipotizza un suicidio con il gas anche se non si escludono cause naturali. Appena nove giorni fa nello stesso carcere, ma in una sezione diversa da quella interessata da quest’ultimo caso, un altro detenuto di 40 anni, Vincenzo Angelillo, barese, è stato trovato morto nel suo letto. L’autopsia in quel caso ha stabilito la morte per patologie naturali. Il carcere di Taranto potrebbero contenere 315 detenuti ma oggi ce ne sono ammassati più di 680. Secondo l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, sempre oggi un altro detenuto ha tentato il suicidio impiccandosi nello stesso carcere. È stato salvato grazie all’intervento degli agenti di polizia penitenziaria ed ora è ricoverato nel carcere di Taranto. L’Osapp denuncia inoltre che nei giorni scorsi nel carcere di Foggia un agente penitenziario è stato aggredito da un detenuto che era in isolamento. L’agente ha riportato una forte tumefazione ad un occhio. Si tratta della terza aggressione del genere nello stesso carcere in pochi giorni. Firenze: Corleone e Margara bocciano il dl Severino; “detenuti senza casa, domiciliari a rischio” di Francesco Trippitelli La Repubblica, 23 dicembre 2011 Il carcere di Sollicciano “scoppia”. Il direttore Oreste Cacurri non nasconde !a “profonda tensione” che attraversa la vita dietro le mura del carcere fiorentino: a fronte di una capienza di 476 unità i detenuti presenti a Sollicciano sono 1050. Cacurri ricorda i numerosi tentativi di suicidio - è il carcere che denuncia il tasso più elevato in Italia nel 2011 - di atti autolesionisti e di aggressioni. Durante la presentazione libro al Giardino degli incontri del penitenziario del libro “Il corpo e lo spazio della pena” a cura di Stefano Anastasia, Franco Corleone e Luca Zevi, edito da Ediesse, il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze Corleone sottolinea come nel sistema penitenziario la distanza fra principi e loro attuazione sia massima. Il carcere, a suo avviso, impone “forme di tortura per il corpo: gli spazi ed i modi di vita possibili sono solo quelli della sopravvivenza”. Sulle nuove misure annunciate dal ministro Paola Severino è piuttosto scettico: “Ha pensato di allungare la pena residua da 12 a 18 mesi per avere la detenzione domiciliare. Però il problema è che, per applicarla, bisogna trovare una sistemazione per i detenuti che non hanno una casa. Gli stranieri e i poveri non hanno un domicilio e perciò rimangono in carcere”. Il nuovo provvedimento, secondo Corleone, non solo rischia di essere inutile, ma anche non facilmente realizzabile. Ciò che serve, dice invece, sono “misure coraggiose”, come ad esempio - continua - abrogare la legge Cirielli che prevede aumenti di pena per i recidivi, e rivedere la legge sulla droga. Il garante dei diritti del detenuto per la Regione Toscana Alessandro Margara, a margine dell’incontro, è ancora più netto. I benefici derivanti dalle misure adottate dal governo “sono minimi”, il ministro della giustizia Paola Severino “rivela di non conoscere le materie che affronta”. Roma: il Garante Marroni; chiudere Regina Coeli a nuovi ingressi, non c’è più posto nelle celle Dire, 23 dicembre 2011 Chiudere temporaneamente ai nuovi ingressi il carcere di Regina Coeli, visti i livelli di sovraffollamento e le penose condizioni di vita che sono costretti ad affrontare i detenuti e coloro che lavorano nella struttura. È questa la proposta del Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, l’estremo tentativo per evitare che una situazione critica possa divenire “una catastrofe umanitaria”. “Oggi a Regina Coeli erano reclusi 1.280 detenuti a fronte di una capienza di 724 posti. È un livello record di presenze da 5 anni a questa parte; numeri impressionanti che, per fornire un paragone, sono superiori anche alla capienza tollerabile usata dal Dap per minimizzare il sovraffollamento- spiega Marroni- In questo contesto, vista l’impossibilità di trovare una soluzione anche perché tutte le carceri della Regione sono nella stessa situazione, e in attesa delle decisione che assumerà il governo, quella di chiudere la matricola ai nuovi ingressi è l’unica strada per fermare una situazione ai limiti dell’esplosione, riportando livelli di vivibilità minima nel carcere”. Regina Coeli è il carcere dove sono trasferiti tutti coloro che vengono arrestati a Roma. Secondo i dati, da mesi, ormai dalla struttura di via della Lungara si riescono a trasferire solo 25 detenuti a settimana mentre, solo nei week end, vengono arrestate almeno 30 persone. Nonostante l’impegno della Direzione e del personale, sovraffollamento e cronica carenza di risorse finanziarie e umane fanno sì che anche la gestione della quotidianità a Regina Coeli sia fonte di problemi: dall’acquisto di materassi e letti nuovi, alla manutenzione ordinaria di una struttura del 1600 fino all’acquisto di materiali per l’igiene e la pulizia. In questo contesto l’Ufficio del Garante, pur non essendo una propria competenza istituzionale, ha acquistato una notevole quantità di lenzuola monouso per il settore sanitario, necessarie a far fronte al freddo e a fronteggiare l’emergenza. Nella struttura i collaboratori del Garante hanno rilevato diverse situazioni critiche. Visto il numero di ristretti, il turn over dalla Sezione transito alle Sezioni comuni avviene con tempi molto più lunghi; di fatto i detenuti vengono trattenuti nel transito per settimane (mentre in precedenza non si superavano i 4 giorni). Attualmente il Transito conta più di 150 persone che, viste le condizioni, possono contare solo su 20 minuti di aria al giorno. Le Sezioni comuni sono sovraffollate. I detenuti sono spesso costretti a dormire in 6 o 8 in celle che dovrebbero contenerne la metà o su materassi gettati in terra in spazi destinati alla socialità. Le sale socialità infatti da mesi sono adibite a celle; in questi giorni saranno chiuse anche le sale scuola, che oltre alla didattica dovrebbero ospitare anche attività ricreative, formative culturali e di sostegno. La conseguenza più grave del sovraffollamento è il peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti e di quelle di lavoro degli operatori penitenziari, in particolar modo degli agenti di polizia penitenziaria. Un discorso a parte merita la tutela della salute. Il Ser.T. interno non è più in grado di garantire risposte terapeutiche continuative e strutturate visto che si è anche persa la dimensione del fenomeno tossicodipendenza mancando, nell’emergenza, la rilevazione strutturata dei dati. “Il Centro Clinico- ha concluso Marroni- è stracolmo di ammalati e molti detenuti con problemi di salute sono stati ospitati nelle sezioni comuni per carenza di spazio. I sanitari prevedono rischi di contagi di malattie come la tubercolosi e perfino la scabbia, che si stanno diffondendo”. Bologna: rimossi i vertici dell’Ipm, la Procura indaga su presunta violenza sessuale in cella Redattore Sociale, 23 dicembre 2011 Aperte due indagini legate a una presunta violenza sessuale di due detenuti su un compagno di cella, rimossi i vertici dell’istituto dopo un’ispezione del Ministero. Laganà (Garante diritti detenuti): “Fatti di estrema gravità. La Procura indaghi”. “Una notizia di estrema gravità, è importante che la Procura indaghi e che emerga ogni responsabilità”. Anche se l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti di Bologna, presieduto da fine ottobre da Elisabetta Laganà, non sapeva nulla dell’indagine aperta in settembre dalla Procura dei minori su un presunto stupro avvenuto all’interno del carcere minorile del Pratello da parte di due detenuti ai danni di un compagno di cella. Ieri, la vicenda ha portato il ministro della Giustizia Paola Severino a rimuovere dai propri incarichi il direttore dell’istituto penale minorile del Pratello Lorenzo Roccaro, il direttore del Centro Giustizia Minorile di Bologna Giuseppe Centomani e il comandante della Polizia Penitenziaria Aurelio Morgillo con un provvedimento in cui si parla di “diffusa e persistente violazione di obblighi di correttezza gestionale”. Roccaro era in carica solo dallo scorso agosto, quando era stato chiamato a sostituire Paola Ziccone, rimossa a sua volta e non senza polemiche proprio da Centomani. Per il garante, le notizie che arrivano dal carcere minorile sono una doccia fredda. “Non abbiamo ricevuto segnalazioni riguardanti questi fatti o episodi simili, neppure in passato”. Ovvero, neppure quando era in carica la Garante precedente, Desi Bruno, che attualmente ricopre lo stesso incarico di garante per l’Emilia-Romagna. Una ventina di giorni fa Laganà ha visitato l’istituto del Pratello in occasione di una rappresentazione teatrale: “Ho visitato anche le celle - racconta - ma in una visita ufficiale di quel tipo difficilmente si possono cogliere le situazioni di tensione. Ora è importante che la Procura indaghi”. L’ufficio del garante “cercherà, nell’ambito del proprio ruolo, di agire nel miglior modo possibile”. All’origine della vicenda ci sarebbe un presunto abuso sessuale compiuto da due giovani detenuti su un loro compagno di cella. La violenza, avvenuta nel settembre di quest’anno, sarebbe maturata in un clima di tensione costellato da episodi di bullismo. Verso la fine di settembre, la Procura minorile coordinata da Ugo Pastore ha aperto un’indagine per accertare i fatti. L’ipotetico stupro sarebbe stato segnalato, attraverso una lettera spedita da alcuni assistenti sociali, anche a Roccaro e Centomani, i quali però non ne avrebbero dato alcuna comunicazione al Dipartimento della Giustizia Minorile. Insomma, i due avrebbero omesso di comunicare a Roma le segnalazioni sulle presunte violenze consumate tra le mura del carcere, fingendo che andasse tutto bene. Roccaro e Centomani non avrebbero comunicato nulla neppure alla Procura dei minori, la cui indagine è stata aperta sulla base della segnalazione arrivata dal giudice tutelare. Il mancato passaggio di informazioni sarebbe stato a sua volta segnalato dal capo della Procura minorile, Ugo Pastore, alla Procura ordinaria, che nei giorni scorsi ha aperto a sua volta un’indagine con l’ipotesi di omissione di rapporto, per la quale al momento non ci sono indagati. La stessa Procura dei Minori avrebbe messo a parte dei fatti il Ministero della Giustizia, che dal 6 all’8 dicembre ha mandato i propri ispettori al carcere del Pratello: proprio a questa ispezione sarebbe legata la decisione di rimuovere i tre dirigenti dai loro incarichi con un provvedimento che dispone il loro trasferimento d’urgenza. Roccaro rimarrà al Centro della giustizia minorile di Bologna, ma al momento senza alcuna mansione. Centomani, invece, manterrà la direzione del Centro della giustizia minorile di Firenze e avrà un incarico a Roma presso il Dipartimento della Giustizia Minorile. Bologna: stupri, pestaggi, risse e terrore; le verità taciute del carcere minorile del Pratello di Luigi Spezia La Repubblica, 23 dicembre 2011 Venticinque ragazzi protagonisti di episodi di bullismo verso i coetanei, gli agenti lasciavano correre senza fare rapporto: è quanto ha stabilito l’ispettore ministeriale dopo la segnalazione della Procura dei minori. Episodi annotati sul registro disciplinare ma mai comunicati all’autorità giudiziaria. Il ministro Severino ha rimosso i direttori. Francesco Cascini si è fatto aprire le celle del Pratello alle otto e mezzo. Otto di sera, non di mattina. Un orario strano, fuori ordinanza. L’hanno preso per un padre, un confessore, un salvatore, quell’ispettore spedito d’urgenza a Bologna. Lui stava a sentire le sofferenze di ragazzi che non avevano fino a quel momento trovato o la forza o le persone giuste per confidarsi. Per qualche detenuto, dopo quell’incontro, forse l’ennesima notte chiuso in cella sarebbe stata meno terribile. La relazione finale del super-ispettore, inviata sia alla Procura ordinaria sia a quella dei Minori, è la storia di un clima di terrore e di sopraffazione al carcere minorile di Bologna in cui erano immersi alcuni degli ospiti del Pratello, già provati dalla privazione della libertà. Episodi che però non sono mai stati comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo il ministro Severino ha rimosso i direttori dell’istituto carcerario. Sono trenta i casi di abusi presi in esame dalla Procura dei Minori negli ultimi due anni. Sono venticinque i ragazzi che di volta in volta - anche più di una volta - sono stati protagonisti di azioni di bullismo e di violenza nei confronti di altri ragazzi magari più piccoli o più deboli o di un altra etnìa (ci sono stati anche scontri tra slavi e nordafricani). Se un caso di estorsione capita davanti a una scuola, se una baby gang sequestra il telefonino di un ragazzo per strada, ci si indigna, si fa una denuncia e si apre un’inchiesta. Ma se un ragazzo che magari aveva già compiuto 18 anni e costringeva un compagno di cella a cedergli sotto minaccia di botte il poco cibo che conservava per sé perché aveva mangiato solo un piatto di minestra alla mensa, questo passava inosservato. Al massimo, si segnava l’infrazione sul libro disciplinare, ma nulla trapelava all’esterno. La vittima che pativa la fame perché passava il suo cibo all’altro non meritava considerazione diversa dal suo “nemico”. E anche se è un aspetto apparentemente secondario, gli ispettori hanno rilevato che alla mensa non veniva seguita nessuna regola alimentare precisa. In celle che sono state trovate sporche e dove si accovacciavano anche quattro ragazzi - perché un intero piano dell’istituto dopo la ristrutturazione veniva lasciato vuoto ufficialmente per carenza di personale - le estorsioni erano ancora più odiose, nell’ambiente chiuso di un carcere, senza nessuno cui chiedere aiuto. Dalla somma degli episodi, emerge il quadro di una situazione in cui “nonnismo” e “bullismo” venivano tollerati pensando che un atteggiamento “morbido” fosse educativo. L’episodio più grave - ma si indaga anche per altri fatti gravi, non sessuali, ancora segreti - è una violenza sessuale che secondo l’accusa è stata compiuta su di un ragazzo di sedici anni da parte di due diciassettenni, entrambi trasferiti. Uno era già uscito dal carcere e l’hanno arrestato di nuovo. Ma prima di questo episodio di settembre ci sono stati altri due tentativi di violenza, uno dei quali annunciato e sventato. Quattro i tentativi di suicidio, nemmeno questi segnalati alla Procura dei Minori. Neppure quando qualche ragazzo più violento si scagliava contro le guardie ferendole si veniva a sapere nulla. Non risultano invece - almeno questo è un fatto positivo - sotto inchiesta sorveglianti che abbiano picchiato i detenuti. Ma l’ispettore scrive anche che le misure di isolamento venivano decise in modo improprio, senza per esempio spiegare le motivazioni delle misure. Quattro agenti penitenziari hanno patteggiato la pena per non aver verbalizzato che un ventenne, Bright Ofori, prima della fuga avvenuta nell’estate del 2009, aveva sequestrato una donna delle pulizie. Vennero denunciati dall’allora direttrice Paola Ziccone. Quel pasticcio, oltre ad essere stato raccontato dagli organi di informazione, giunse quella volta anche sul tavolo della Procura ordinaria. Un evento-spia che, dopo le indagini effettuate in questi mesi con le conseguenze del caso, possono far pensare all’esistenza di un vero e proprio “sistema”. Milano: ragazzi ex detenuti dell’Ipm “Beccaria” regalano alla città una giornata proprio lavoro Adnkronos, 23 dicembre 2011 Una giornata del proprio lavoro: questo è il regalo che i ragazzi della comunità Kayros, fondata da don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria, doneranno alla città di Milano come ringraziamento per l’opportunità di collaborazione tra Amsa e Kronos, la cooperativa gestita da Kayros. Dallo scorso giugno i ragazzi usciti dall’istituto penitenziario milanese contribuiscono alla pulizia di alcuni cimiteri e spazi verdi del capoluogo milanese. Grazie a questo accordo stipulato con Amsa, i giovani della cooperativa Kronos possono continuare il proprio percorso formativo e lavorativo dopo un periodo di detenzione. ‘Siamo onorati di collaborare con Kayros, che offre occasioni di riscatto ai ragazzi ex detenuti del carcere minorile Beccaria - ha detto il presidente di Amsa Sonia Cantoni - e siamo anche soddisfatti del lavoro svolto in questi mesi dalla cooperativa Kronos presso i cimiteri e alcune aree verdi di Milano. Accogliamo con piacere il dono di Natale di una giornata di lavoro per la nostra città, da parte di questi ragazzi, che interpretiamo come un atto di riconoscenza nei confronti di Milano e delle sue innumerevoli espressioni di solidarietà”. “Volevamo ringraziare la città di Milano e il Sindaco in modo concreto e tangibile offrendo l’unica cosa che possiamo: una giornata del nostro lavoro - ha aggiunto don Claudio Burgio - Amsa ha offerto ai nostri ragazzi una grande opportunità non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche personale. Nel loro percorso personale, il lavoro è lo strumento che meglio responsabilizza, permettendo loro di crescere e maturare più velocemente”. Cagliari: lettera dei detenuti di Buoncammino “non dimenticare le parole del Papa” Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2011 “Le parole di Papa Benedetto XVI non possono e non devono essere dimenticate. Ogni giorno che passa dentro le pareti del carcere invece vediamo ridursi a lumicino quella speranza che ha animato i sentimenti dei detenuti durante l’incontro di Rebibbia”. Sono le parole affidate da un gruppo di cittadini privati della libertà di Buoncammino ai volontari dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” nel corso dei colloqui a poche ore dal Natale. “Nelle celle di questa Casa Circondariale - afferma la presidente di Sdr Maria Grazia Caligaris - si trovano mediamente 540 detenuti. Molti ammalati e anziani costretti perfino nei letti a castello del Centro Diagnostico Terapeutico. Ai numerosi detenuti vecchi e privi di mezzi si aggiunge un consistente numero di cittadini extracomunitari lontani dagli affetti familiari”. “Tra tutte le ricorrenze, il Natale - sottolinea l’ex consigliera regionale socialista - è quella che pesa più di ogni altra festa dell’anno. Pesa sui familiari che hanno subito il reato, specialmente quando si tratta di gravi fatti di sangue, così come per chi sconta la pena. Le donne condannate soffrono in particolare per la distanza dai figli. La festività diventa insopportabile per quanti sono in attesa di giudizio generando condizioni di forte sofferenza”. “In questa situazione rischiano di moltiplicarsi - conclude Caligaris - i gesti di autolesionismo con conseguenze non sempre controllabili. È indispensabile, quindi, creare le condizioni per contenere il disagio favorendo il più possibile i permessi e le occasioni di vicinanza con i familiari. Tra le iniziative del Ministro della Giustizia Paola Severino è urgente quella di rafforzare i Tribunali di Sorveglianza permettendo di smaltire le pratiche in modo da rendere effettivi i provvedimenti di accesso alle misure alternative e quindi più vivibili le strutture detentive”. Firenze: una delegazione Pd visiterà Sollicciano alla vigilia di Natale www.nove.firenze.it, 23 dicembre 2011 “Le condizioni delle carceri sono uno dei grandi problemi italiani e, come dimostrano i numeri del sovraffollamento, purtroppo la Toscana e Firenze non fanno eccezione. Noi vogliamo andare a vedere la situazione con i nostri occhi, anche per poter avanzare proposte con piena cognizione di causa”. Così il segretario metropolitano del Pd di Firenze, Patrizio Mecacci, spiega il senso della visita al carcere di Sollicciano che compirà il 24 dicembre, insieme ai senatori Silvia Della Monica e Achille Passoni, il responsabile del forum PD Giustizia Massimiliano Annetta e quello del forum Politiche Sociali Antonio Pala. Durante la visita, la delegazione del Pd regalerà alcuni giochi destinati all’asilo nido interno al penitenziario: un dono per i bambini delle detenute, che vivono a Sollicciano insieme alle madri. “È urgente affrontare il problema carceri per motivi umanitari e per garantire la sicurezza fuori e dentro i penitenziari”, dice il segretario Mecacci. “Una pena detentiva che non rieduca alla legalità e alla vita civile non è soltanto in contrasto con la Costituzione, ma rischia di creare nuove marginalità e quindi allarme sociale. Per questo auspichiamo che il governo e il Parlamento facciano atti concreti per migliorare la situazione”. Palermo: nuovo corteo di ex detenuti davanti a Regione, ma governatore Lombardo non li riceve La Sicilia, 23 dicembre 2011 Città paralizzata e traffico in tilt lungo le vie del centro storico fino a piazza Indipendenza. È il bilancio della giornata di ieri, caratterizzata dall’annunciato corteo di protesta della cooperativa sociale “Palermo Migliore”, formata da ex detenuti. I manifestanti hanno protestato fin davanti la sede della Presidenza della Regione dove hanno chiesto un incontro col governatore Lombardo per risolvere la querelle che si protrae da mesi con l’assessorato regionale Territorio e Ambiente, “reo - a detta del presidente di “Palermo Migliore”, Fabrizio Sanfilippo - di averci promesso 50 milioni di euro dai fondi Fesr per il nostro progetto di recupero e valorizzazione del territorio, prima approvato dall’ex assessore Sparma e poi non più firmato dal neo-assessore Di Betta”. Il corteo, formato da 700 soci della cooperativa, è partito da piazza Croci ed ha attraversato via Libertà, bloccando per circa mezz’ora anche piazza Politeama e gli incroci con via Dante e via Ruggero Settimo. La viabilità è andata il tilt anche in corso Vittorio Emanuele fino a piazza Indipendenza. Lì, gli ex detenuti non sono stati ricevuti dal presidente della Regione. “Abbiamo deciso così di prendere contatti con il dirigente generale del dipartimento Formazione, Ludovico Albert - ha concluso Sanfilippo - per avere un incontro a gennaio che possa portare a un corso di formazione per inserire finalmente nel mondo del lavoro i nostri soci”. Napoli: Comunità di Sant’Egidio; festa e pranzo in carcere per i 115 detenuti poveri La Repubblica, 23 dicembre 2011 “Il Natale arriva anche in carcere, festeggiamo per sentirci liberi”. Sono felici i detenuti di Poggioreale mentre gustano il pranzo di Natale offerto dalla Comunità di Sant’Egidio nella cappella dell’istituto di pena. Centoquindici su 2800 persone partecipano al banchetto servito da 40 volontari per l’ottavo anno consecutivo. Ai tavoli siedono composti i più poveri del carcere, quelli che non hanno famiglie su cui contare. Si respira l’aria della gita fuoriporta: i detenuti chiedono una foto, salutano le telecamere sperando che qualcuno li riveda in tv. “Il pranzo rende meno dura la pena in un istituto che è sovraffollato - dice Cosimo Giordano, direttore del penitenziario - Poggioreale ha il doppio delle persone che può ospitare, è terribile. Aspettiamo di vedere il decreto “svuota carceri” del governo. Credo vada nella direzione giusta: con la metà delle persone potremo lavorare meglio sul recupero”. I detenuti sciolgono l’imbarazzo quando arrivano le portate: dal timballo di pasta alla norma alla mozzarella di bufala, agli involtini. Seguono vino, dolci e frutta secca. E il cibo della tradizione, offerto da ristoratori e aziende campane. Banchetta nella cappella anche l’attore Maurizio Casagrande: “Molti detenuti mi hanno raccontato le loro storie - dice il comico. Noi artisti dobbiamo far sentire a chi è qui dentro che non è scomparso dal mondo”. Casagrande poi sale sul palco. Strappa risate con una poesia, lancia battute al Babbo Natale che distribuisce i regali ai detenuti: ricevono una felpa, cioccolatini, sigarette e carta da lettere. “Dobbiamo garantire la vivibilità indicata dalla Costituzione - ribadisce Carmine Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza -. Lavoreremo anche a Natale per attuare il decreto”. Fa gli auguri dal palco anche monsignor Lemmo, vescovo ausiliare di Napoli. Poi i detenuti donano alla Comunità di Sant’Egidio panettoni per i poveri che il 25 pranzeranno col cardinale Sepe nella chiesa di San Pietro Martire (già cappella universitaria). Sepe il 23 assisterà allo spettacolo offerto agli indigenti da Nino D’Angelo al Bellini, mentre il 29 ospiterà “gli ultimi” nel palazzo arcivescovile. “La solidarietà non è in crisi - spiega Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio. Festeggeremo in tutti gli istituti, i volontari non mancano”. Il 27 ci sarà un pranzo all’ Opg di Aversa; il 29 sarà la volta di Secondigliano; il 30 ci sarà una tombolata a Pozzuoli; il 5 chiuderà un pranzo al centro clinico di Secondigliano. Bergamo: il vescovo Francesco Beschi; la dura vita del carcere rispetti la dignità umana di Laura Arnoldi L’Eco di Bergamo, 23 dicembre 2011 “Le vostre parole, attraverso di me, prenderanno il volo: le porterò a quanti incontrerò per far conoscere la situazione di chi vive in carcere. Nel rispetto della dignità umana, la detenzione non deve diventare una doppia pena, a causa delle dure condizioni di vita”: così il vescovo Francesco Beschi, citando le parole di Papa Benedetto XVI, recentemente a Rebibbia, si è rivolto ieri ai detenuti e alle detenute della Casa circondariale di Bergamo. Il vescovo ha ricordato che la visita del pontefice ai detenuti di Rebibbia è stata particolarmente significativa “per il modo in cui si è svolta: il Papa ha ascoltato le richieste dei detenuti e ha risposto loro in modo spontaneo; in secondo luogo l’incontro ha avuto una grande risonanza sull’opinione pubblica”. Il vescovo Beschi ha ascoltato con attenzione quanto scritto nella lettera delle detenute della sezione femminile che hanno ringraziato “per il conforto e sostegno morale dato dalla sua presenza”. “Non nascondiamo - continua lo scritto - di aspettare con ansia l’amnistia di cui tanto si parla, anche se non risolverà il problema del sovraffollamento nelle carceri, problema meno pressante nella sezione femminile dove le celle sono aperte durante il giorno con maggiori spazi di movimento”. Sulla questione legata alle novità legislative introdotte recentemente si sono espressi il direttore della Casa circondariale di Bergamo Antonino Porcino e il magistrato di Sorveglianza Monica Lazzaroni: “Il prolungamento da 12 a 18 mesi della detenzione domiciliare, come residuo della pena da espiare, è poco significativo: spesso i detenuti non soddisfano il criterio richiesto dell’idoneità alloggiativa”. Secondo Porcino, infatti, “potrebbero essere un centinaio i detenuti a Bergamo interessati a questo provvedimento, ma molti di loro non dispongono di un domicilio”. Per il magistrato Lazzaroni la vera innovazione legislativa dovrebbe riguardare le pene alternative al carcere, non per “buonismo, ma perché la detenzione in alcuni casi non è di alcuna utilità sociale”. La posizione è condivisa da Porcino, per il quale nella situazione attuale si deve lavorare per “migliorare la qualità di vita nel carcere”, intessendo rapporti virtuosi con il mondo esterno per preparare anche il reinserimento nella società. “Un lavoro, un’abitazione sono i bisogni di chi torna libero - spiega Valentina Lanfranchi del comitato Carcere e territorio -. Ma sono necessari fondi”. Un appello diretto è stato lanciato al vescovo perché “telefoni a Roberto Formigoni per invitarlo a rifinanziare la Legge regionale 8”, che sostiene interventi negli ambiti dei servizi sociosanitari e della formazione professionale per persone detenute. Lo scambio di auguri è stato occasione per ringraziare le realtà del territorio che collaborano con la Casa circondariale: oltre a Carcere e territorio, l’Asl, rappresentata dal direttore sanitario Giorgio Barbaglio, i Riuniti con il direttore sanitario Laura Chiappa, l’Opera Pia Caleppio Ricotti con Augusto Medolago, l’Università con Ivo Lizzola, gli educatori e i docenti della scuola, tutti i volontari oltre al personale della polizia penitenziaria. Particolarmente caloroso e affettuoso il saluto rivolto a don Virgilio Balducchi che lascia l’incarico di cappellano dopo vent’anni per andare a ricoprire il ruolo di ispettore generale dei cappellani a Roma. “Sono io che vi ringrazio - ha detto commosso ai detenuti -. Mi avete aiutato a fare il prete”. Voghera (Pv): Babbo Natale nel carcere… accolti i figli dei detenuti La Provincia Pavese, 23 dicembre 2011 Il Natale, al supercarcere di Voghera, è arrivato in anticipo. L’altro giorno i figli dei detenuti arrivati per i colloqui mensili hanno trovato ad accoglierli un Babbo Natale pronto a scortarli all’interno della struttura e ad intrattenerli durante l’attesa precedente l’incontro. In una sala appositamente decorata per l’occasione dagli educatori della cooperativa Abete e dai volontari dell’associazione “Famiglia di famiglie”, i bambini hanno ricevuto doni e sono stati coinvolti in vari giochi. L’iniziativa, sostenuta sia dal commissario Stefania Cucciniello, comandante del reparto, sia da Maria Gabriella Lusi, direttore dell’istituto, si poneva come obiettivo quello di costruire un ponte tra il carcere e Voghera. “Quella che abbiamo voluto lanciare - ha detto Antonio Floro, presidente dell’associazione “Famiglia di famiglie” e assistente della polizia penitenziaria - è una piccola sfida all’integrazione. Nel progetto sono stati coinvolti insegnanti, operatori sociali e semplici genitori volontari della nostra associazione”. Bahrain: attivisti chiedono rilascio minori arrestati durante proteste Aki, 23 dicembre 2011 Alcuni attivisti per i diritti umani hanno chiesto la scarcerazione di decine di minori arrestati durante le proteste anti-governative che hanno avuto luogo in Bahrain nei mesi scorsi. Lo ha reso noto l’emittente Press Tv. Secondo quando denunciato da alcuni attivisti, molti minori sarebbero rinchiusi in carcere e avrebbero subito abusi sessuali e psicologici. “Mio cugino è tra quelli - ha detto l’attivista Asma Darwish - Non aveva nemmeno preso parte alle proteste, semplicemente si è trovato coinvolto. Tra gli arrestati ci sono anche molti studenti prelevati dalle forze governative mentre erano nei campus universitari” ha aggiunto Darwish. Le maggioranza sciita in Bahrain chiede la caduta della famiglia reale sunnita al-Khalifa. Le forze governative, che godono del sostegno saudita e di altri Paesi del Golfo, dall’inizio delle proteste, che risalgono alla metà di febbraio, hanno ucciso decine di oppositori secondo quanto rivela un rapporto di novembre dalla Commissione di indagine indipendente del Bahrain.