Giustizia: meglio l’amnistia mascherata o alla luce del sole? di Valter Vecellio Europa, 22 dicembre 2011 Carceri, ok ma si può fare di più, dice sostanzialmente Andrea Orlando su Europa; che suggerisce di accompagnare i primi provvedimenti varati dal governo rivedendo “alcune leggi frutto della politica della paura, a partire dalla cosiddetta ex Cirielli”; si potrebbero aggiungere anche la Bossi-Fini sugli extracomunitari, e la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze. Vincenzo Muccioli, che certo non era antiproibizionista, su una cosa almeno concordava con Marco Pannella: “Marco su questo siamo d’accordo: il tossicodipendente in carcere, mai”. Le misure adottate accolte con favore dal Pd, lasciano perplessi il PdL, fanno gridare allo scandalo la Lega; e in singolare coincidenza, sono più o meno le stesse parole pronunciate dagli esponenti dell’Italia dei Valori. Tutto questo perché si sta studiando un provvedimento che consentirebbe a tremila detenuti circa, che hanno scontato ormai quasi tutta la loro pena in carcere, di scontare il residuo nientemeno che agli arresti domiciliari! Bossi e Di Pietro sono già in campagna elettorale, e non nascondono di voler fare leva sulla pancia e gli istinti primordiali della pubblica opinione, gridano allo scandalo e suonano la grancassa dell’allarmismo sociale, dimentichi che il precedente, analogo provvedimento ha dato risultati positivi; e che anche l’indulto non ha provocato i tanto temuti ed evocati sfracelli, come ben documentano le inchieste e gli studi specialistici condotti dall’università di Torino. Come dice il detto popolare, ogni botte dà il vino che ha. Nel frattempo, nelle nostre prigioni si continua a morire. Gli ultimi quattro casi di detenuti suicidi a Taranto, Busto Arsizio, Civitavecchia, Napoli. Uno sarebbe dovuto uscire tra un mese, ma non è riuscito ad aspettare il “fine pena” e ha così deciso di farla finita. Ma non solo il carcere e i suoi mille problemi. Al Corriere della Sera il neo-ministro della giustizia Severino svela quello che dice essere un suo “sogno nel cassetto: che un processo civile duri al massimo tre anni. Un termine ragionevole per risolvere controversie anche complesse. In questo modo l’Italia si adeguerebbe alla media dell’Unione europea. Solo così saremo in grado di dare certezze agli operatori economici e agli investitori stranieri che sono spaventati dall’assenza di regole e di tempi certi”. Il ministro tocca quello che è un pò il cuore del problema, perché, come non ci si stancherà mai di dire, non esiste solo il problema delle carceri. La questione (di cui le carceri, per usare l’espressione cara a Marco Pannella, è un’appendice) è quella della giustizia. La “prepotente urgenza” evocata dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano sono i circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Una sorta di impunità anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. La giustizia, i magistrati, stanno soffocando sommersi dai fascicoli, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. E le cose sono destinate a peggiorare. Per reati come la corruzione o la truffa, c’è ormai la certezza dell’impunità. Nel 2008, 154.665 procedimenti archiviati per prescrizione; nel 2009 altri 143.825. Nel 2010 circa 170mila. Quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mi1a prescrizioni. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono e c’è la quasi certezza di scamparla per corruzione, ricettazione, truffa, omicidio colposo. A Roma e nel Lazio, per esempio, quasi tutti i casi di abusivismo edilizio si spegneranno senza condanna, gli autori sono destinati a farla franca. A Milano nel 2010 l’accumulo è cresciuto del 45 per cento, significa più di 800 processi l’anno che vanno a farsi benedire. Nel solo Veneto si contano 83mila pratiche abbandonate in una discarica dove marciscono tremila processi l’anno. È un’amnistia mascherata, clandestina (perché si finge non ci sia) e di classe: perché ne beneficia solo chi ha un buon avvocato che sa come dribblare tra le leggi e i codici, o chi ha “amici”. Nella rete ci finiscono così i poveri diavoli, gente che si fa difendere dall’avvocato d’ufficio, come gli extra-comunitari. È giusto? Oppure, a questo punto, meglio non sarebbe fare un’amnistia alla luce del sole, con “paletti” certi, guadagnare sei-sette mesi, consentire ai magistrati di ricominciare da zero, e nel frattempo metter mano alle indispensabili riforme? Chi non è favorevole all’amnistia dovrebbe accompagnare questo suo NO con proposte concrete, a costo zero o quasi, e soprattutto di rapida adozione che consentano di conseguire lo stesso risultato. Perché la situazione ha oltrepassato da tempo il livello di guardia: è una situazione, solo per quel che riguarda il caos regnante nella giustizia civile, che costa al contribuente - lo stima un rapporto della Banca d’Italia - qualcosa come 20 miliardi di euro l’anno. Altro che Finanziaria! Per non parlare del fatto, come opportunamente osserva il ministro Severino, che in una situazione del genere, non c’è nessun imprenditore straniero che si azzarda a fare investimenti e “impresa” nel nostro paese. Giustizia: la parola amnistia non è più un tabù, obiettivo è fermare l’assurda strage di Dimitri Buffa L’Opinione, 22 dicembre 2011 Se non si capisce ora che l’amnistia è l’ultima spiaggia per ridurre lo “spread” tra le carceri come le vuole la Costituzione e quelle che esistono nella triste realtà italiana, allora diventa legittimo il sospetto di una certa malafede politica di fondo. L’ultimo suicidio in carcere, stavolta di un agente di polizia penitenziaria a Pordenone, l’assistente capo Antonio Caputo di 43 anni, quinto dall’inizio dell’anno e numero 85 negli ultimi dieci (i detenuti morti per essersi tolti la vita sono stati nell’ultimo decennio circa settecento) ha di fatto contribuito a sdoganare la parola “maledetta”. Perché ormai è chiaro che anche lo “svuota carceri” con il quale la ministra Paola Severino crede di mandare ai domiciliari circa 20 mila persone, quelle che avrebbero ancora un residuo pena da un anno e mezzo da scontare - cifra contestata tanto dai sindacati della polizia penitenziaria quanto dalla deputata radicale Rita Bernardini (che parla invece di “cura omeopatica”) - da solo non basta più. Ed è altrettanto certo che queste carceri sovrappopolate, con la cifra dei detenuti che si avvicina pericolosamente a quota 70 mila, contro i meno di 45 mila disponibili, fanno morire di angoscia non solo chi vi è suo malgrado detenuto, ma anche chi vi lavora. E infatti se il tasso dei suicidi di detenuti è di sei o sette volte superiore in Italia alla media europea, quello di chi tra gli agenti di polizia penitenziaria si toglie la vita e a sua volta tre volte superiore al tasso medio di quello degli appartenenti alle altre armi delle forze dell’ordine in Italia. Ieri un appello deciso verso l’amnistia, oltre che verso la riforma del codice penale in senso di depenalizzazione dei reati bagatellari e di previsione di pene alternative per episodi irrilevanti anche nei reati più grandi, oltre che di riforma di leggi come la Cirielli sulla recidiva, della Fini-Giovanardi sulle droghe e della Bossi-Fini sull’immigrazione, è venuto proprio da Gaetano Pecorella, deputato del Pdl, avvocato di chiara fama, giurista esperto e un tempo anche capogruppo di Forza Italia nella commissione giustizia alla Camera. Pecorella dai microfoni di Radio radicale ha detto che “il sistema di allungare la detenzione domiciliare ad un anno e mezzo è un meccanismo che può essere anche ingiusto: i magistrati lo concederanno ad alcuni, non ad altri, e poi non si può scaricare sulla famiglia il problema della detenzione e quindi l’unica soluzione radicale, vera, è quella dell’amnistia”. Secondo Pannella, da tempo in sciopero della fame per un provvedimento in tal senso che serva soprattutto al ripristino della legalità costituzionale in Italia, alla giustizia e alla deflazione dei fascicoli sui tavoli dei magistrati, la situazione va inquadrata così: “chiedo a tutti i Procuratori della Repubblica (perché Radio Radicale si sente in tutte le Procure della Repubblica) di volere prendere atto che io affermo in questo momento che il nostro Stato, la nostra Repubblica - quella che abbiamo in comune il Presidente Napolitano ed io, l’ultimo dei cittadini - è responsabile dei 65 suicidati nelle carceri per quest’anno e dei 5 agenti di polizia penitenziaria che si sono suicidati (mentre in più di 80 in dieci anni lo hanno fatto), che sono assassinati, ma da che cosa? Dalla cattiveria? No! Dal fatto che il nostro Stato rispetto alla sua Costituzione, rispetto ai diritti umani è in una condizione tecnicamente di criminale professionale, non solo abituale com’era prima”. Tutto questo nella consueta trasmissione del martedì sera, “Radio carcere”, condotta da Riccardo Arena, durante la quale Pannella ha anche osservato un minuto di silenzio alla memoria dell’assistente capo suicidatosi a Pordenone. Una morte che deve avere sconvolto non poco anche la stessa ministra Severino che ieri nella sede del Dap ha commemorato con una lapide tutti i caduti di questa assurda guerra creata da leggi demagogiche e forcaiole con cui i partiti di destra, di centro e di sinistra si sono fatti a costo zero, e sulla pelle degli altri, le ultime due campagne elettorali. La Severino ha precisato di comprendere bene “le situazioni di disagio quotidiano nell’ambito del mondo carcerario, che conosco e che porto con me in ogni ora della mia giornata”. Rispetto però alla cura dello “svuota carceri” va registrata la presa di posizione polemica anche della suddetta deputata radicale eletta nelle liste del Pd, Rita Bernardini. “La portata di questo tipo di normativa - sostiene Rita Bernardini- è ben spiegata da una lettera che ho ricevuto proprio oggi da un detenuto di un istituto lombardo: ‘ma se tengono dentro me, con otto mesi da scontare e un’invalidità pressoché totale, nessuna aggravante né recidiva, chi scarcerano? La legge 199/90 è un’autentica buffonata perché impiegano mesi per decidere sulle istanze e chi ne ha diritto è già fuori prima della decisione”. E per favore basta anche con i piani di edilizia carceraria che poi non possono andare avanti per mancanza di fondi e per l’impossibilità di assumere altri agenti per gestire carceri già pronte da anni e poi lasciate come tante cattedrali nel deserto. Impressionante a tale proposito l’elenco fatto proprio ieri mattina a Radio radicale da Walter Vecellio, nostro collaboratore oltre che direttore della “Agenzia radicale”: Lecce, Caltanissetta, Bologna. La trafila è sempre la stessa: ogni nuovo ministro di giustizia che arriva taglia un nastro, officia un collaudo e poi il carcere non può aprire per mancanza di fondi e personale. Giustizia: su decreto legge Severino il Senato accelera, Commissione il 4, voto il 10 gennaio Agi, 22 dicembre 2011 Non perde tempo il presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli, sul dl carceri arrivato all’esame della commissione da lui presieduta a Palazzo Madama. Convoca per il 4 gennaio, subito dopo Capodanno, la prima riunione, cui ne seguirà un’altra il 5. Subito le audizioni: il 4 mattina ci saranno il capo della Polizia, il comandante generale dell’Arma e il comandante della Guardia di Finanza sulla vicenda “celle di sicurezza” che il ministro Paola Severino pensa di poter utilizzare per i soggetti fermati che aspettano la convalida in loco entro 48 ore. Subito, a seguire le audizioni per il civile: alle 11,30 l’audizione del Cnf e quella dell’Anm. Quindi la discussione generale. Il termine per gli emendamenti è alle ore 9 del 5 di gennaio. La commissione viene quindi convocata dopo l’Epifania il 10 gennaio per il voto sugli emendamenti e per i pareri. “Abbiamo solo 60 giorni per convertire il decreto e se questo viene cambiato a seguito dell’esame della Camera dovremo riesaminarlo”, spiega Berselli che dice ancora, con una battuta, “voi parlate sempre delle indennità“, io punto sulla questione della “produttività“. Giustizia: Ascierto (Pdl); le “camere di sicurezza” siano allestite direttamente nei tribunali Adnkronos, 22 dicembre 2011 Il deputato Pdl Filippo Ascierto ha inviato una interrogazione ai Ministri dell’Interno e della Giustizia per chiedere “una più puntuale e giustificata installazione delle camere di sicurezza presso i tribunali”. Nell’interrogazione è spiegato che “presso gli Uffici territoriali della Polizia di Stato risultano disponibili 706 camere di sicurezza di cui 379 non idonee e che 33 questure non dispongono di idonea camera di sicurezza, mentre ulteriori 5 non ne possiedono affatto (come Caltanissetta, Chieti, Macerata e Siracusa). Poiché le persone arrestate, in media 150 al giorno, vengono trattenute nelle suddette camere di sicurezza per un periodo di ore che vanno dalle 48 fino ad un massimo di 60, e che la spesa giornaliera relativa all’attività di vigilanza presso una o più camere di sicurezza varia, a seconda dell’attività operativa adottata nelle varie circostanze, può prevedere in un giorno intero l’impiego tra 10 e 15 dipendenti aggiungendo che il costo giornaliero, comprensivo di vitto e pulizie, riferito al singolo dipendente è di circa 100 euro per una spesa complessiva di circa 1.500 euro per 15 dipendenti. Giustizia: Pecorella (Pdl); amnistia è l’unica soluzione per risolvere problemi dele carceri Ansa, 22 dicembre 2011 “Se vogliamo risolvere il problema delle carceri, l’unica vera soluzione è quella di una amnistia”. Lo ha detto il deputato del Pdl Gaetano Pecorella, intervistato da Radio Radicale. Pecorella, parlando del decreto varato dal governo, ha spiegato che “il sistema di allungare la detenzione domiciliare ad un anno e mezzo è un meccanismo che può essere anche ingiusto: i magistrati lo concederanno ad alcuni, non ad altri, e poi non si può scaricare sulla famiglia il problema della detenzione. L’unica soluzione radicale, vera, è quella dell’amnistia”. Lettere: dei delitti e delle pene… di Paolo Cirino Pomicino Il Tempo, 22 dicembre 2011 Tra i ministri di questo governo chi si è mosso con maggiore serenità e prudenza mista ad efficacia è stato il ministro della giustizia Paola Severino. L’ultimo consiglio dei ministri, infatti, ha approvato, su sua proposta, un provvedimento che avvia una graduale riduzione dell’affollamento carcerario che ha raggiunto punti di oscenità non degna della nostra tradizione giuridica e umanitaria. La responsabilità di questo stato di cose è in misura paritaria della politica e della magistratura. Da vent’anni, infatti, la politica è talmente fragile che basta un urlo di un talk-show o di uno dei grandi organi di informazione per farla intimidire annullandone ogni potenzialità. In economia come nella giustizia salvo, naturalmente, quando si tratta di provvedimenti ad personam o di registrare parentele fantastiche (vedi Ruby e Mubarak) o di tutelare interessi forti come sta dimostrando anche questo governo. Nel caso della giustizia, poi, alla fragilità della politica si è aggiunta in questi anni la irresponsabilità di una parte della magistratura inquirente e degli uffici dei giudici per le indagini preliminari che hanno, ormai, una predisposizione all’arresto preventivo sconosciuta in altri Paesi occidentali. La custodia cautelare, com’è noto, è possibile solo davanti a tre rischi: la fuga, la reiterazione del reato e i tentativi di depistare le indagini. Tre rischi che devono essere concreti e non solo nella mente degli inquirenti e quant’anche fossero concretamente presenti potrebbero essere eliminati rapidamente con una carcerazione preventiva di pochi giorni. In meno di una settimana, infatti, si può ritirare il passaporto, si possono applicare misure interdittive capaci di impedire la reiterazione dei reati, ad esempio, di tipo societario e attivare perquisizioni a tutta birra in grado di sequestrare tutto quanto possa avere valore probatorio. L’andazzo, invece, di alcuni ambienti della magistratura inquirente ha trasformato la carcerazione preventiva in una pena anticipata senza avere, cioè, alle spalle alcuna sentenza e spesso è stata trasformata in uno strumento di tortura e di estorsione di confessioni spesso interessate solo ad ottenere la libertà. Lo sa bene il ministro Severino che è un avvocato di grido, lo sanno i magistrati giudicanti e gli stessi pubblici ministeri. Spiace dirlo ma questo andazzo, perché di andazzo si tratta, non contrastato organicamente da una politica seria ci espelle dal novero dei paesi con civiltà giuridica avanzata. La testimonianza di ciò che diciamo sta nelle statistiche dello stesso ministero di grazia e giustizia che parlano di assoluzioni di poco meno del 50% dei detenuti in attesa di giudizio. E stiamo parlando del 15% circa della popolazione carceraria. Non siamo né folli né incoscienti e sappiamo bene che la carcerazione preventiva è necessaria nei casi sospetti di criminalità organizzata, di fatti di sangue e di altre concrete pericolosità sociali. Ma quando vediamo arresti che si prolungano per mesi e mesi nell’indifferenza dei magistrati, della politica e della stessa informazione, restiamo smarriti perché viene violata la carta dei diritti dell’uomo per decine di migliaia di persone ogni anno. Bene ha fatto il ministro Severino ad immaginare lo sconto degli ultimi mesi di pena legati a sentenze definitive nel proprio domicilio. A maggior ragione le custodie cautelari, in assenza cioè di una sentenza fosse anche di primo grado, dovrebbero essere, con le dovute eccezioni, scontate nella propria abitazione e per il solo tempo necessario a fugare i tre rischi di cui parlavamo all’inizio. Negli ultimi 20 anni l’Italia è stata attraversata da uno tsunami di violenza verbale e comportamentale e da tangentopoli in poi spesso ha cessato di essere uno Stato di diritto. È auspicabile che un governo cosiddetto tecnico trovi quel coraggio e quella sapienza che è mancata alla politica per perseguire i reati difendendo, conia stessa forza e nello stesso tempo, i diritti e i doveri dei cittadini e che gli stessi magistrati capiscano che il valore costituzionale della loro autonomia passa attraverso una grande responsabilità civile onde evitare che l’autonomia si trasformi in un arbitrio intollerabile. Giustizia: carceri, un problema urgente di Manlio Rizzo Il Riformista, 22 dicembre 2011 Le misure che il nuovo Ministro della Giustizia ha presentato al Consiglio dei Ministri per affrontare la gravissima situazione della giustizia civile, penale e penitenziaria meritano attenzione. Mi soffermo su quelle che si rivolgerebbero al tentativo di deflazionare il sovraffollamento carcerario, arrivato a punte inaccettabili in uno stato di diritto e su cui occorre intervenire con urgenza. Preso atto che provvedimenti, comunque per vari aspetti discutibili e controversi come quelli da tempo invocati dai Radicali e da certe Associazioni (amnistia o indulto), debbono, eventualmente, incontrare il necessario consenso parlamentare, si è tornati a parlare del cosiddetto braccialetto elettronico, ma pare che anche questo strumento non abbia ancora dimostrato la sua efficacia ed economicità (è possibile che se ne parli da qualche anno ed ancora sì debba valutarne la praticabilità?). All’estensione della detenzione domiciliare, potrebbe prospettarsi in avvenire l’istituto della messa alla prova anche per i condannati adulti, sull’esempio delle opportunità previste per i rei minorenni e la depenalizzazione di certi reati. Decisioni non sufficienti, ma condivisibili, se ed insisto sul se, si garantissero adeguate risorse, innanzitutto costituite da personale competente, a quei Servizi specialistici preposti ad occuparsi delle misure alternative e sostitutive alla detenzione (Uffici di Esecuzione penale esterna, in collaborazione con i Servizi territoriali e specialistici, Uffici di Sorveglianza e Forze dell’ordine, ognuno per la propria parte di competenza). Anche autorevoli editorialisti del Riformista (domenica Emma sulle Ragioni), della Stampa e di altri quotidiani chiedono giustamente che si affronti il gravissimo problema del sovraffollamento delle carceri (molti altri non se ne occupano minimamente, invece), ma pochi, nell’indicare delle alternative al carcere, si preoccupano di segnalare con forza che occorre investire in risorse, innanzitutto umane, affinché tali benefici possano essere elficamente sostenuti e monitorati dai Servizi sociali. Non basta affermare che vanno potenziate le pene alternative, occorre prevedere che vi siano organici, mezzi e risorse, altrimenti i problemi si spostano (dal carcere al territorio) e non si affrontano in maniera adeguata. Le persone con condanne penali non sono pratiche da sbrigare o pacchi da spostare, come è doveroso ricordare sempre: sono persone con cui instaurare un rapporto di fiducia (attento, responsabile, professionale e non collusivo) volto ad aiutarli, verificandone il comportamento e l’adesione ai programmi, nel rivedere criticamente le loro condotte devianti e formulare, laddove ve ne siano i requisiti e le condizioni, percorsi di reintegrazione sociale, specie attraverso il lavoro (sempre più difficile ad essere reperito). Sarebbe oltremodo opportuno, inoltre, dedicare le dovute attenzioni alle vittime dei reati, troppo spesso dimenticate. Di questi tempi, è oltremodo difficile immaginare assunzioni o potenziamento di risorse ai Servizi, di qui la preoccupazione anche a tutela degli operatori, del loro lavoro spesso logorante e dell’efficacia, rispetto alle persone condannate, delle misure volte alla loro risocializzazione, nel rispetto del dettato costituzionale, quando difettano risorse. Di tutto ciò leggo e sento ancora poco. Veneto: magistrati in visita nelle carceri, questa mattina prima tappa a Padova Redattore Sociale, 22 dicembre 2011 Prima tappa a Padova questa mattina. Bortolato (magistrato di sorveglianza): “Intollerabile che alla negazione della libertà si sovrappongano altre privazioni”. Quindici tra pm, giudici e magistrati minorili hanno varcato questa mattina le porte del carcere di Padova per sondare in presa diretta la condizione detentiva. Prima al circondariale, poi alla casa di reclusione, la delegazione proveniente da tutto il Veneto ha potuto fare visita alla struttura, parlare con gli agenti di polizia penitenziaria e con i detenuti e guardare le esperienze di lavoro attive nel carcere. Non sarà un caso isolato: la delegazione ha in previsione visite anche ad altri istituti di pena veneti: “Questa esperienza nasce dalla volontà di vedere il carcere da dentro, perché descriverlo da fuori è davvero difficile” ha detto Marcello Bortolato, magistrato di sorveglianza di Padova introducendo l’incontro con i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti. “Abbiamo constatato che questo è un carcere aperto - ha aggiunto -, come è giusto che sia, perché tutto deve essere orientato alla rieducazione, deve essere un’officina trasparente”. Il magistrato descrive il carcere come “una grande conquista di civiltà, perché prima le pene erano corporali”. Ma aggiunge che “non è tollerabile la doppia punizione, cioè il fatto che alla negazione della libertà personale si sovrappongano altre privazioni”. Una situazione che determina una “evidente compressione dei diritti dei detenuti”. Nel corso dell’incontro che ha concluso la visita della delegazione, la direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero ha ribadito che “oggi anche un carcere aperto come quello di Padova non riesce a gestire l’elevato numero di detenuti”. E ha ricordato che al momento su circa 850 ristretti, solo 350 sono impegnati in attività: “Tutti gli altri 500 sono in cella senza fare niente dalla mattina alla sera”. Sardegna: presto Consiglio regionale deciderà su elezione Garante dei diritti dei detenuti Ansa, 22 dicembre 2011 “Appena completato l’iter consiliare della manovra finanziaria sottoporrò all’esame della Conferenza dei capigruppo l’inserimento, all’ordine del giorno del Consiglio, dell’elezione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. Questo un passaggio della lettera inviata stamane dalla presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo al presidente della commissione Diritti civili Silvestro Ladu che, nei giorni scorsi, le aveva scritto per portare alla sua attenzione la situazione estremamente precaria in cui versano le strutture penitenziarie della Sardegna. “Seguo con particolare attenzione - assicura la Lombardo nella lettera - la gravissima situazione esistente nel sistema carcerario sardo e condivido la necessità di dare integrale attuazione alla legge regionale del 7 febbraio scorso che prevede interventi a favore dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e l’istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. La presidente ha inoltre evidenziato che, per una completa applicazione della normativa, è necessario provvedere alla definizione degli assetti organizzativi delle strutture consiliari per dotare il Garante degli strumenti necessari per l’espletamento delle funzioni che è chiamato a svolgere. Abruzzo: Uil penitenziari; auspichiamo nel nucleo di monitoraggio per le carceri Ansa, 22 dicembre 2011 "Apprendiamo con favore dell'interpellanza avanzata dal capogruppo dell'Api, Gino Milano, circa le problematiche correlate alle carceri abruzzesi e delle richieste dallo stesso avanzate tese al superamento delle criticità che insitono negli istituti di pena. Auspichiamo che l'impegno del consigliere regionale Milano si traduca nel dare vita a un nucleo di monitoraggio che tenga costanti rapporti con le direzioni delle carceri al fine di rilevare e prevenire l'insorgere di criticità all'interno del carcere e attuare progetti formativi per il personale". Lo afferma Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil Penitenzari, che aggiunge: "Oltre ai problemi relativi al sovraffollamento delle carceri e alla carenza di organici, rileviamo quelle di carattere igienico-ambientale e seguiamo con preoccupazione l'evolvere della situazione legata ai casi di legionella verificatisi nel carcere dell'Aquila, dove un poliziotto penitenziario è stato affetto dal morbo ed è in preoccupanti condizioni di salute". Dal punto di vista delle vertenze la situazione presso il carcere di Pescara è al centro dell'attenzione della Uil Penitenziari. "Unitamente alle altre sigle di categoria - continua Nardella - dichiareremo lo stato di agitazione di tutto il personale di stanza nel carcere pescarese qualora l'Amministrazione penitenziaria dovesse dar luogo all'apertura del nuovo padiglione penale senza un'adeguata assegnazione di personale di polizia penitenziaria. Non lasceremo passare un provvedimento sul quale il provveditore si era in precedenza espresso in una delle prime riunioni con le OO.SS. e durante il quale aveva asserito che non avrebbe provveduto all'apertura del neo padiglione pescarese e del nuovo complesso di Sulmona senza che vi fosse stata prima l'integrazione di nuovo personale. Se non basterà lo stato di agitazione - conclude Nardella - non saranno escluse manifestazioni di protesta ancor piu' eclatanti". Belluno: non arrivano fondi per il centro di reinserimento e formazione degli ex carcerati Corriere delle Alpi, 22 dicembre 2011 I tempi, o meglio i fondi regionali da mettere a disposizione, non sono ancora maturi per il centro di reinserimento e formazione degli ex carcerati che sarebbe dovuto sorgere a Feltre, primo in provincia e fra i pochi in regione. Il progetto che ha come target ex carcerati o chi è interessato da una misura alternativa al carcere, è stato presentato dalla cooperativa Portaperta su sollecitazione del direttore dei servizi sociali dell’Usl 2, Alessandro Pigatto. Alla Regione è piaciuto molto. E piacerebbe anche di più allo Stato alle prese con carceri sovraffollate. Ma del milione di euro previsto nella finanziaria del 2011 per iniziative di questo tipo, sono stati liberati solo trecentomila euro divisi fra vari progetti. A Feltre sarebbero toccati ventimila euro che non bastano nemmeno per pagare l’affitto di un anno. Il presidente di Portaperta, Marco Slongo non si perde d’animo: “Il nostro progetto viene messo solo provvisoriamente da parte. È piaciuto molto alla Regione per il suo carattere innovativo. Il problema è che per quest’anno Venezia non ha i fondi sufficienti e una struttura di questo tipo è delicata e complessa e non può prescindere dallo standard di un’assistenza ventiquattro ore su ventiquattro, per un corrispettivo di oltre settecento ore di stipendio al mese. Siamo fiduciosi che il progetto tornerà attuale nella prossima finanziaria. Noi siamo pronti con la struttura già individuata, e abbiamo il via libera da parte del provveditorato alle carceri del Triveneto e di altri organi contattati nella prospettiva di un’apertura nel medio periodo”. L’attenzione della Regione nei confronti del reinserimento lavorativo di ex detenuti è massima, come ha avuto modo di sottolineare l’assessore al sociale Remo Sernagiotto che in estate aveva incontrato a Feltre i vertici di Portaperta. E il consigliere Dario Bond, presente all’incontro, aveva ribadito che la detenzione di una singola persona costa allo Stato mediamente trecento euro al giorno. Nella struttura alternativa, su progetto di Portaperta, ne basterebbero cento al giorno. Bologna: abusi non denunciati al carcere minorile, la procura indaga Ansa, 22 dicembre 2011 La Procura di Bologna ha aperto un’inchiesta contro ignoti per omesso rapporto dopo la segnalazione da parte della Procura dei Minori del capoluogo emiliano relativa a decine di episodi di risse, lesioni, tentati suicidi, danneggiamenti e abusi, anche di natura sessuale, che sarebbero avvenuti tra i detenuti nel carcere minorile del Pratello. Reati che sarebbero stati annotati nel registro disciplinare della struttura ma mai comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo motivo i magistrati ipotizzano il reato di omesso rapporto, eventualmente a carico di ufficiali di polizia giudiziaria e pubblici ufficiali che per legge erano tenuti a segnalare le notizie di reato alle autorità competenti. I colleghi della Procura dei minori hanno avviato le indagini da mesi, dopo essere venuti a conoscenza in modo non ufficiale dei tanti episodi avvenuti nella struttura. Il più grave sarebbe avvenuto lo scorso settembre, quando un detenuto quindicenne sarebbe stato violentato in cella da altri due ragazzi di poco più grandi, poi arrestati e trasferiti. Un episodio gravissimo di cui il procuratore capo dei minori, Ugo Pastore, è venuto a conoscenza per vie indirette e non dopo una formale denuncia del personale del carcere. Parallelamente all’ inchiesta, la Procura dei minori ha inviato una segnalazione al ministro della Giustizia Paola Severino che ha deciso di mandare gli ispettori a Bologna. Valutato l’esito dei controlli, il ministro ha praticamente azzerato i vertici della struttura rimuovendo d’urgenza dall’incarico il direttore del carcere Lorenzo Roccaro, il direttore del centro di giustizia minorile Giuseppe Centomani e il comandante della polizia penitenziaria Aurelio Morgillo. Napoli: medici delle carceri preoccupati per posto di lavoro Il Mattino, 22 dicembre 2011 Una comunicazione dell’Asl Napoli 1 con la quale si sosteneva che “il rapporto di lavoro è prorogato fino al 31 dicembre” ha gettato nella preoccupazione una quarantina di medici che operano nelle carceri napoletane che ricadono nel territorio della Asl Napoli 1 la più importante del Mezzogiorno e che vedono “a rischio il posto di lavoro”. I 40 professionisti si sono rivolti ad un legale, l’avvocato Patrizia Kivel Mazuy che ha spedito nei giorni scorsi due diffide all’Asl Napoli 1, l’ultima tre settimane fa, con la quale rivolgendosi all’Azienda sanitaria scrive di “tenere presente che la data del 31 dicembre è significativa solo per la regolamentazione del rapporto economico ma non per la durata”. L’avvocato Kivel Mazuy sostiene ancora che “è consacrata la stabilità del rapporto, che in molti casi dura anche da circa 20 anni”. I medici in rivolta operano nelle carceri di Poggioreale e Secondigliano ma anche presso il carcere minorile di Nisida. Spiegano in un documento che “le loro prestazioni sono regolate dalla legge 740 del 70, una legge che consentiva attribuzione di incarichi e convenzioni con medici per prestazioni sanitarie in carcere”. Ricordano i professionisti che “l’assistenza sanitaria nelle carceri è passata alle Asl dal 23008 allo scopo di evitare disparità di trattamento tra il malato ristretto e il libero cittadino, quindi per una unicità del rapporto sanitario”. I medici delle carceri guadagnano mediamente intorno ai 1.500 euro mensili e devono garantire 120 ore di lavoro ma lamentano “il mancato pagamento delle ore di straordinario”. Qualcuno adombra il sospetto che dopo il 31 dicembre potrebbero essere sostituiti dalle “guardie mediche tradizionali, chiamate eventualmente a ricoprire un ruolo per il quale non hanno alcun tipo di esperienza”. Bologna: Sappe; protesta dei detenuti della Dozza per chiedere l’amnistia o l’indulto Adnkronos, 22 dicembre 2011 Protesta “pacifica” dei detenuti del carcere bolognese della Dozza per ottenere l’amnistia o l’indulto. A raccontare dinamica e ragioni della protesta dei detenuti reclusi nell’istituto penitenziario bolognese, Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. “I detenuti del carcere bolognese della Dozza - spiega in una nota - oggi hanno inscenato una protesta, sbattendo con oggetti metallici contro le inferriate, tanto da provocare un rumore assordante per tutto il tempo, e rifiutando il vitto dell’Amministrazione che è stato riportato indietro senza essere consumato”. Alla protesta ha partecipato il 90% dei detenuti. “I detenuti - ragguaglia ancora la nota - hanno chiesto l’amnistia o l’indulto, perché temono che, con l’estensione da 12 a 18 mesi della possibilità di espiare in detenzione domiciliari l’ultimo periodo di pena, saranno in pochi ad usufruirne, considerato che molti di loro sono stranieri e non hanno un alloggio o chi li ospita fuori”. “La protesta, seppur pacifica, ha creato apprensione tra il personale di polizia penitenziaria, il cui numero, in questo periodo, è ulteriormente ridotto per il piano ferie in atto. Il reparto di polizia penitenziaria di Bologna - registra ancora la nota - è già carente di circa 200 unità; infatti, gli uomini a disposizione sono 370, a fronte di un organico previsto di 570 unità. I detenuti, invece, sono circa 1.200, a fronte di una capienza di 470 posti disponibili”. Padova: una cella di fronte al Caffè Pedrocchi, per denunciare la condizione nelle carceri Padova Oggi, 22 dicembre 2011 La provocazione arriva anche da camera Penale di Padova e Cgil che con questa singolare iniziativa vogliono sensibilizzare il cittadino sulla situazione precaria delle carceri italiane, soprattutto sul sovraffollamento e la mancanza di agenti. È questa la provocazione che arriva da Camera Penale di Padova, Ristretti orizzonti, Cgil Fp Padova, Magistratura Democratica veneta, Acli, Giuristi democratici, Beati i costruttori di Pace e Antigone. La cella, che riproduce esattamente quelle del carcere cittadino Due Palazzi, con 4 letti in pochi metri, è stata posizionata proprio in Piazza, di fronte al Caffè Pedrocchi. L’iniziativa nasce per denunciare la situazione delle carceri in Veneto. In regione i detenuti sono quasi il doppio della capacità normale: 3.500 (in aumento rispetto a qualche mese fa dove si contavano poco più di 3.200 detenuti) a fronte dei 1.900 previsti. Non solo. Il Segretario Regionale Cgil Settore Penitenziario, Gianpietro Pegoraro, denuncia lo scarso numero di agenti penitenziari: il rapporto sarebbe di 1 a 100. Una situazione che rischia di scoppiare, e che non sembra migliorare con l’ultimo decreto del Governo “svuota-carceri”, in cui gli stessi detenuti vivono male: pasti pensare alle centinaia di casi di autolesionismo che accadono ogni anno. Bologna: fuga dal Sant’Orsola; scappa un detenuto del Cie, la procura apre un fascicolo Sesto Potere, 22 dicembre 2011 La procura ha aperto un fascicolo sulla fuga dall’ospedale Sant’Orsola di un tunisino di 28 anni, già detenuto al Cie. Il giovane nordafricano aveva ingoiato una lametta e per questo era stato ricoverato all’ospedale Sant’Orsola, piantonato dai poliziotti delle volanti. Ieri sera alle 18, approfittando dell’orario di vista, alcuni suoi connazionali si sono presentati con la scusa di andarlo a salutare. Aveva già provato a scappare venerdì, scagliandosi contro i due agenti che lo sorvegliavano. Ieri pomeriggio c’è riuscito, con l’aiuto di un gruppo di 5-6 amici fra cui un paio di donne, che hanno strattonato i poliziotti e gli hanno permesso di allontanarsi. Una ragazza di 20 anni magrebina, compagna del fuggito, è stata identificata e denunciata per violenza a pubblico ufficiale in concorso con ignoti. Il procuratore aggiunto Valter Giovannini, portavoce della Procura, ha dichiarato: “È un fatto assai grave che verrà perseguito con la massima determinazione” Padova: il panettone del carcere scala le classifiche Padova Oggi, 22 dicembre 2011 Scala le classifiche, trova spazio fra i nomi d’eccellenza a livello internazionale, regala il sorriso, dignità e orgoglio a chi lavora, ovvero ai detenuti pasticceri che preparano un panettone da Gambero Rosso. La prestigiosa rivista ha infatti alzato la posizione de I dolci di Giotto che sono arrivati così al quinto posto nella top ten che già li aveva consacrati un paio di anni fa. Mentre i numeri sulle carceri italiane raccontano una situazione troppo difficile - ieri un sit-in centro città con l’allestimento di una cella - dal Due Palazzi di Padova arrivano anche le belle notizie. I pasticceri della struttura padovana già il 23 novembre erano stati ospiti alla festa per i 25 anni del Gambero Rosso. E così per tutto il 2012 panettoni e colombe carcerari potranno sfoggiare il logo dei 25 anni del Gambero. Papa Benedetto XVI anche quest’anno ha voluto i dolci del carcere, con una confezione personalizzata da un chilo e mezzo. Insomma, il panettone delle sofferenze sta diventando sempre più un panettone di premi e speranze. I dolci carcerari hanno partecipato quest’anno a diverse e importanti manifestazioni enogastronomiche. Recentemente alla rassegna “Golosaria a Milano” di Paolo Massobrio partecipando anche allo Show Cooking “Il Pan de Toni da Sud a Nord” con i maestri italiani del panettone. Mentre il 26 e 27 novembre scorso I Dolci di Giotto esponevano alla rassegna “Re Panettone” a Milano insieme ai migliori produttori di Panettone italiani ed esteri. Anche quest’anno la Pasticceria artigianale del carcere aiuterà a sostenere le iniziative dell’Associazione Giuseppe e Margherita Coletta e del Banco Alimentare. Torino: l’Arcivescovo Cesare Nosiglia; nei penitenziari condizioni di vita troppo dure La Stampa, 22 dicembre 2011 “Il carcere non deve essere un luogo di diseducazione e di pena detentiva, ma di redenzione”, anche se oggi le condizioni di vita nei penitenziari “sono sempre più dure e vanno in senso contrario a questo obiettivo”. Lo ha detto l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, durante la messa che ha celebrato nella casa circondariale Lorusso e Cotugno, alle Vallette, secondo cui, per chi commette “determinati reati”, bisogna cercare “vie alternative al carcere”. La reclusione, ha detto Nosiglia, deve offrire al detenuto la “possibilità di tornare a sperare in una vita nuova e a prospettive di riscatto e di reinserimento nella società con dignità di persona e con spirito di solidarietà”. “Tale riscatto - ha aggiunto l’arcivescovo - comincia già dentro il carcere mediante un ambiente in cui la persona sia messa in grado di dignità insieme agli altri”, ma “purtroppo le condizioni di vita in carcere, oggi, causa anche il sovraffollamento nelle celle, sono sempre più dure e vanno in senso contrario a questo obiettivo”. Nosiglia, in proposito, si è allacciato a quello che ha detto papa Benedetto XVI, che ha “richiamato tutti, governo, politici e amministrazione, a trovare vie di soluzione al grave problema”. Il carcere, per Nosiglia, deve essere “una realtà estrema, riservata a chi deve pagare un grave debito di giustizia alla società e necessita di un percorso prolungato nel tempo per sanarlo”. Insieme ai pasticceri, a Padova lavorano in vari settori oltre 120 detenuti. Roma: Cappellano Rebibbia; doni e gara presepi, ma dietro sbarre al Natale manca anima Adnkronos, 22 dicembre 2011 La tradizionale gara dei presepi, alberi di Natale da addobbare e doni in arrivo per i detenuti di Rebibbia. Ma dietro le sbarre “al Natale manca l’anima, perché il carcere non consente di vivere la magia che investe le famiglie in questi giorni di festa”. Ciò che viene meno “è l’affettività”. Così il giorno in cui si celebra la nascita di Gesù bambino si trasforma “senz’altro in uno dei più tristi dell’intero anno”. A raccontare all’Adnkronos il Natale nel penitenziario capitolino è il cappellano di Rebibbia Sandro Spriano. “Le celebrazioni - racconta don Sandro - sono iniziate lunedì scorso e si intensificheranno tra sabato e martedì“. E hanno luogo “nei vari reparti, in tutte le 17 cappelle” del maxi-penitenziario romano. I tanti doni arrivati ai cappellani “sono stati girati ai detenuti”, si tratta per lo più “di dolci della tradizione”, soprattutto panettoni, torroni e pandori. “Lo stesso pontefice”, in visita al carcere di Rebibbia domenica scorsa, “ha donato 2.000 panettoni ai detenuti”, ricorda il cappellano. Ma si tratta “di palliativi, nel tentativo di scacciare la malinconia di questi giorni”. Giorni in cui anche le visite dei familiari e delle persone amate finiscono per ridursi al lumicino. “I turni ridotti degli agenti, che giustamente devono condividere il Natale con i cari - spiega don Sandro - non consentono di garantire gli abituali turni dei colloqui. Così finiscono per ridursi le possibilità per i detenuti di vedere amici e familiari”. Molti di loro in questi giorni sono intenti a costruire le tradizionali statuette “in vista della gara che, come ogni anno, decreterà il presepe più bello nel giorno dell’Epifania. Ma certo non basta questo a dare un’anima al Natale che qui, dietro le sbarre, sembra quasi smarrita”. Milano: clima natalizio a San Vittore, 1.300 panettoni ai detenuti raccolti dai volontari Redattore Sociale, 22 dicembre 2011 Un gruppo di volontariato li ha raccolti con la campagna “Il male si vince con il bene” coinvolgendo gli alunni di alcune scuole di Milano e hinterland, assessori comunali, ex detenuti, madri di ragazzi reclusi, associazioni e oratori. Clima natalizio a San Vittore, antico carcere nel cuore di Milano. Oggi vengono distribuiti ai detenuti 1.300 panettoni che un gruppo di volontariato, “Giovani per un mondo unito”, ha raccolto con la campagna “Il male si vince con il bene” coinvolgendo gli alunni di alcune scuole di Milano e hinterland, assessori comunali a titolo personale, ex detenuti, madri di ragazzi reclusi in altre carceri, associazioni e oratori. “Ai ragazzi delle scuole abbiamo spiegato che se il lupo della favola rimane chiuso in gabbia, non diventerà più buono”, racconta Valeria, una delle promotrici dell’iniziativa. “Sotto Natale i detenuti sentono ancora di più il peso della lontananza dalle proprio famiglie -sottolinea don Pietro Raimondi, cappellano di San Vittore. È una festività che segna il tempo e la distanza”. Tanto più che nel giorni festivi, per carenza di agenti della Polizia penitenziaria, non sono previsti colloqui con i parenti. Sia il cardinale Angelo Scola, attuale arcivescovo di Milano, sia il cardinale Dionigi Tettamanzi, fino all’8 settembre alla guida della diocesi ambrosiana, visiteranno le carceri milanesi in questo periodo. Il cardinale Scola celebrerà la Messa a San Vittore il 24 dicembre alle ore 15. Il cardinale Tettamanzi, invece, è atteso nell’istituto di Bollate per il primo dell’anno.