Giustizia: domiciliari… ma non per tutti di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2011 Il decreto legge esclude gli autori degli illeciti più gravi dal beneficio per gli ultimi 18 mesi. Severino: la convalida del fermo non avverrà in cella di sicurezza. Saranno oltre 3.000 (per la precisione 3.327), ma tra questi nessun condannato per reati gravi. Il decreto legge sulle carceri approvato venerdì dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro della Giustizia Paola Severino e in attesa di pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” estende da 12 a 18 mesi il residuo di pena detentiva che potrà essere scontato agli arresti domiciliari. Una modifica che raddoppierà quasi la platea degli interessati, visto che sinora erano stati 3.800 i detenuti ad avere usufruito del beneficio. La modifica è però l’unica alla legge 199 del 2010 che, per tutto il resto viene confermata nell’impianto e nel dettaglio. A essere così esclusi dal beneficio saranno tutti i delinquenti abituali e i condannati per i reati più gravi e, tra questi, i delitti di associazione mafiosa, terrorismo, traffico di droga, violenza sessuale di gruppo, omicidio. Tutti i detenuti cioè per i reati considerati dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, ma anche tutti quelli sottoposti al regime di sorveglianza particolare perché protagonisti, in carcere, di atti di violenza. Inoltre, il decreto lascia mano libera al giudice per negare l’accesso agli arresti domiciliari a chi si ritiene possa tornare nell’illegalità appena uscito dalla cella e, disposizione che riguarda soprattutto i detenuti stranieri, non sia in possesso di un domicilio idoneo a trascorrere la parte residua di pena. La procedura prevede l’intervento del magistrato di sorveglianza: dovrà prendersi la responsabilità di decidere sulla scarcerazione, tenuto conto della relazione sul profilo dell’interessato, che dovrà essere compilata dalla direzione dell’istituto di pena e di un altro resoconto sull’idoneità del domicilio. Va però tenuto presente che, nel caso di detenuti tossicodipendenti, al posto del domicilio sarà possibile trascorrere i 18 mesi (o meno) in una struttura sanitaria, pubblica o privata. E ieri Paola Severino, nell’intervento tenuto al Senato, è tornata sul tema carceri e sulle misure del decreto, sottolineando che non sarà il giudice ad andare nelle celle di sicurezza a convalidare il fermo entro le 48 ore e a decidere su processo per direttissima o rimessione in libertà del soggetto fermato, ma sarà quest’ultimo a essere trasferito davanti al giudice monocratico competente. Sarà in altre circostanze - ha aggiunto il ministro Severino, previste dalle misure in tenia di carcere e giustizia approvate dallo scorso Consiglio dei ministri, che il magistrato farà la trasferta nel luogo di detenzione della persona detenuta. Il ministro ha inoltre spiegato che la scelta delle celle di sicurezza è stata fatta perché la detenzione domiciliare non sarebbe stata applicabile nei confronti di chi non ha un domicilio, o non ha documenti. Inoltre se si fosse scelta la strada della detenzione domiciliare, sarebbe sempre stato necessario interpellare il magistrato per valutare la pericolosità del soggetto fermato. Perplesse invece le Camere penali sull’utilizzo delle camere di sicurezza nei commissariati per trattenere i fermati. Il leader dei penalisti, Valerio Spigarelli, ribadisce i suoi dubbi sulle celle di sicurezza. Non solo “non garantiscono condizioni di vivibilità accettabili - afferma Spigarelli - ma è anche opportuno che le persone fermate vengano custodite in luoghi diversi da quelli nella disponibilità delle forze di polizia che eseguono l’arresto”. Ma queste scelte, conclude, “vanno applicate prevedendo la creazione di luoghi deputati al trattenimento di queste persone, istituiti presso i Tribunali o altre strutture, in modo anche da facilitare l’intervento dei magistrati per la convalida”. Giustizia: gli arresti domiciliari? una giusta soluzione che è anche conveniente di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 21 dicembre 2011 I critici dicono che si tratta della solita amnistia mascherata In realtà, almeno dal punto di vista tecnico, non si può parlare né di amnistia né di indulto. Reati e pene restano infatti in piedi, i primi perseguibili, le altre da espiare. Cambia solo il modo di dare esecuzione alle sanzioni restrittive della libertà personale, la reclusione e l’arresto; non più il carcere, ma il domicilio privato dell’interessato dove il condannato sconterà gli ultimi 18 mesi della pena inflittagli. Inutile domandarsi se sia giusto. Chi ha una concezione radicalmente etica della pena troverà assolutamente inaccettabile l’iniziativa del ministro della giustizia Paola Severino che, peraltro, segue a quella analoga di Angelino Alfano. Chi, al contrario, si basa sulla situazione attuale del carcere non troverà niente da ridire. I detenuti sono ormai molto oltre la capienza massima dei nostri istituti, e qualcosa per sdrammatizzare le condizioni generali degli stabilimenti va fatto al più presto prima che esploda una rivolta incontenibile. Dirò di più. Sono personalmente convinto che gli arresti e la detenzione domiciliare sono la soluzione più pratica ed efficace del problema. Ovviamente la misura va adottata solo nei confronti degli accusati o dei condannati per reati non particolarmente gravi e indice di spiccata pericolosità sociale. Un mafioso, un terrorista, uno spacciatore o un mercante di armi va tenuto in carcere senza se e senza ma, ma un imputato o condannato per reati occasionali non particolarmente gravi può essere custodito nella sua casa, dove evita, tra l’altro, il contatto con un ambiente spiccatamente criminogeno come è il carcere. Secondo me con riferimento alla custodia cautelare, gli arresti domiciliari dovrebbero essere la misura da privilegiare, oltre a tutto perché evitano l’impatto più crudo e scandalistico con la sempre possibile assoluzione di un detenuto in carcere magari da anni. Il codice va quindi riscritto prevedendo al primo posto tra le misure cautelari gli arresti domiciliari (se non si può applicare l’obbligo di firma o di dimora) e solo se motivatamente sconsigliabili per la comprovata pericolosità dell’accusato, la custodia in carcere. Con riguardo alia condanna definitiva la detenzione domiciliare va trasformata in pena principale, inflitta direttamente dal giudice per i reati non particolarmente gravi. Tutte le statistiche concordano sul fatto che le evasioni dal domicilio sono rarissime. Se poi si considera che arresti e detenzioni domiciliari hanno un’incidenza minima sui costi generali, ogni dubbio dovrebbe essere spazzato via. Resta il problema morale. Chi è convinto che la pena debba avere anche un significato etico e che debba essere per sua natura assolutamente afflittiva non può essere d’accordo. Ma va ricordato, almeno ai cultori del Nuovo Testamento, che gli arresti domiciliari erano ben noti e praticati anche in epoca romana imperiale. Paolo di Tarso rimase anni agli arresti domiciliari, inizialmente sorvegliato da un ufficiale romano, poi in casa nella capitale dove continuò a propagandare la nuova tede, la nostra. Niente di nuovo quindi sotto il sole. Infine c’è l’emergenza economica che innesca la fantasia e l’ingegnosità. Dovremmo costruire centinaia di nuovi stabilimenti, e con la crisi è un lusso che non possiamo più permetterci. Giustizia: svuota-carceri e amnistia, gli annunci non bastano di Valentina Ascione Gli Altri, 21 dicembre 2011 “Amnistia, amnistia, amnistia!”, hanno gridato in coro i detenuti di Rebibbia, salutando domenica scorsa Benedetto XVI al termine della sua visita all’istituto dell’estrema periferia romana. Stipato ben oltre il limite regolamentare proprio come tutte, o quasi, le altre carceri nel nostro Paese, dove, come ha denunciato anche il pontefice, sovraffollamento e degrado infliggono una pena supplementare, odiosa, che vìola la legge e i più elementari diritti umani. Così, dinanzi a quell’enorme platea di umanità sofferente, a quegli occhi - nonostante tutto - pieni di speranza, Papa Ratzinger ha espresso l’auspicio che governo e istituzioni facciano il possibile per migliorare le condizioni detentive. A pochi metri da lui il ministro della Giustizia Paola Severino, che solo due giorni prima aveva incassato il via libera del Consiglio dei Ministri al pacchetto di misure contro l’emergenza carceri. Un piano di provvedimenti urgenti su cui si erano posate le aspettative dei detenuti e di tutta la comunità penitenziaria. E che, pur andando nella giusta direzione, lascia sul tappeto diversi dubbi. Positiva è l’adozione del decreto legge come strumento per aggredire rapidamente una crisi che da tempo attende risposte, tuttavia le misure messe a punto dal governo sembrano ancora troppo timide rispetto alla pressante necessità di ricondurre le patrie galere, e l’intera macchina giudiziaria, sulla via della legalità. A cominciare dal potenziamento della cosiddetta legge “svuota carceri” che, innalzando da 12 a 18 mesi il residuo della pena detentiva da poter scontare presso la propria abitazione, dovrebbe consentire a circa 3300 di detenuti - secondo le stime di via Arenula - di lasciare il carcere e accedere agli arresti domiciliari. 3300 che si andranno a sommare ai 4 mila che fino ad oggi hanno già usufruito di questa legge voluta da Angelino Alfano. Una riforma che però non introduce automatismi, lasciando dunque ai magistrati di sorveglianza il gravoso compito il valutare ogni singola domanda. Né interviene sulle preclusioni che limitano fortemente il bacino di coloro che hanno diritto a scontare a casa l’ultimo anno e mezzo di pena. Il “pacchetto carceri” del ministro Severino si propone inoltre di arginare il fenomeno delle “porte girevoli”, che nel 2010 ha visto transitare nelle carceri italiane oltre 21 mila persone per un periodo non superiore a tre giorni; un’anomalia da correggere non solo per i costi e la congestione che comporta un così alto traffico di detenzioni lampo, ma anche alla luce di statistiche secondo cui è proprio nei primi giorni di carcerazione che si è più esposti al rischio di suicidio. Il decreto dispone che nei casi di arresto in flagranza di reato il giudizio direttissimo sia tenuto entro e non oltre le quarantotto ore dall’arresto. E che le persone fermate per reati di non particolare gravità vengano custodite nelle camere di sicurezza dei presidi di polizia, in attesa di comparire davanti a giudice per la convalida dell’arresto, invece di essere condotte in carcere. Una soluzione che tuttavia convince poco. Le camere di custodia di caserme e commissariati, oltre a non essere in molti casi strutture adeguate, sono infatti i luoghi dove “con più frequenza si consumano violenze e abusi”, come ha commentato il presidente di A Buon Diritto Luigi Manconi, e come dimostra la drammatica vicenda di Stefano Cucchi. La reclusione domiciliare e la sospensione del procedimento con messa alla prova, contenute invece nel disegno di legge che il ministro porterà in Parlamento, potrebbero ridimensionare in modo significativo la carcerazione nel quadro sanzionatorio. Ma riservarle ai soli condannati a pene detentive inferiori a 4 anni ne riduce notevolmente la portata. L’impressione è quindi che il governo, tracciata la strada, abbia scelto di procedere con il freno a mano tirato. Anche sull’ipotesi amnistia, alla quale il ministro della Giustizia non si è detta contraria, ma ha lasciato l’onere dell’iniziativa al Parlamento. Parlamento dove quasi dieci anni fa un altro Papa, Giovanni Paolo II, invocò un “segno di clemenza” verso i detenuti costretti a vivere “in condizioni di penoso sovraffollamento”; e dove oggi davanti al nuovo “svuota carceri” c’è già qualcuno, tra i soliti noti, che grida all’amnistia mascherata: gli stessi che hanno promosso e appoggiato le politiche securitarie a cui, in buona parte, si deve l’attuale crisi delle carceri e della giustizia. E che però voltano lo sguardo di fronte all’amnistia di fatto che ogni anno vede prescritti circa 170 mila procedimenti. Nelle condizioni in cui versano oggi le carceri italiane e il nostro sistema giudiziario, l’amnistia non sarebbe un atto di clemenza. Bensì uno strumento non negoziabile per porre fine da subito all’illegalità che fa di 68 mila detenuti delle vittime, insieme ai direttori e a tutto il personale che giorno dopo giorno è costretto a far fronte alla carenza di spazi, di risorse economiche e all’impossibilità di svolgere il proprio lavoro. Uno strumento indispensabile anche per i magistrati, sui quali pesa il carico di milioni di processi pendenti. Come ha dichiarato la radicale Rita Bernardini, la neutralità del Guardasigilli non è sufficiente. Serve più coraggio. Se nei propositi e nelle intenzioni le misure presentate dal governo rappresentano un passo in avanti - un passo da gigante, se rapportato all’indifferenza del precedente esecutivo - una riforma seria, strutturale della giustizia e della sua appendice carceraria non può che passare dall’amnistia. La sola via d’uscita da questa emergenza umanitaria. Giustizia: in 10 anni + 51% di detenuti e 10% di agenti destinato a strutture non operative Il Velino, 21 dicembre 2011 La popolazione carceraria ha sfondato quota 68mila persone, con molti istituti penitenziari nuovi e qualche decina di nuovi padiglioni attivati, mentre la polizia penitenziaria conta solo 37.784 unità. Lo rivela Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, che illustra i risultati di uno studio del Dap. Negli ultimi dieci anni la popolazione detenuta nelle carceri italiane è aumentata del 51% mentre l’organico della polizia penitenziaria ha subito un decremento di circa il 9%. Lo rende noto Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, che illustra i risultati di uno studio effettuato sulle vacanze organiche del personale rilevate dal Dap al 31 ottobre 2011. “Per comprendere appieno la reale portata delle deficienze organiche in seno al corpo di polizia penitenziaria occorre ricordare che nel 2001 - spiega Sarno - quando ne fu decretata la pianta organica, erano in servizio circa 42mila unità, con una popolazione detenuta attestata intorno alle 45mila presenze. Dieci anni dopo con una popolazione detenuta che ha sfondato quota 68mila, con molti istituti penitenziari nuovi e qualche decina di nuovi padiglioni attivati, la polizia penitenziaria conta 37.784 unità”. Al dato complessivo delle circa 3.800 unità mancanti all’organico decretato, ci sono 3.105 baschi blu che operano in strutture non penitenziarie (di cui circa 750 nei Prap, circa 300 nelle scuole, circa 160 negli Uepe, 45 al magazzino vestiario e circa 1100 al Dap), a cui occorre sommare le 231 unità che operano in altre amministrazioni o enti. “Noi riteniamo che di fronte alla desertificazione dei contingenti operativi - aggiunge Sarno - tutto ciò sia insostenibile e pertanto auspichiamo che il capo del Dap ma lo stesso ministro Severino vogliano aprire un confronto sulla questione. Di certo il prossimo 23 dicembre quando incontreremo il ministro della Giustizia questo sarà uno degli argomenti che vorremmo affrontare”. Di fatto, ad oggi, circa il 10% dell’intero organico della polizia penitenziaria è destinato a strutture non operative: sono circa 150 i poliziotti penitenziari applicati presso sedi giudiziarie, 37 quelli distaccati presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, 13 al ministero dell’Interno, 3 alla Corte dei Conti e così via. Eclatante il dato che emerge nel Lazio: a fronte di 5.044 poliziotti penitenziari in regione, solo 3.275 operano in carcere. Ben 1.769 sono quelli impiegati in strutture amministrative. Giustizia: per carceri più umane serve amnistia, ma anche costruzione nuove strutture di Carlo Federico Grosso (Avvocato e docente di Procedura Penale) La Stampa, 21 dicembre 2011 Oggi il sovraffollamento carcerario è diventato inaccettabile. Oltre 68 mila detenuti sono stipati in locali destinati a 42 mila, la vita in carcere è diventata disumana, sono aumentati i suicidi e i tentativi di suicidio, la tensione negli istituti di pena è ai limite della sostenibilità. Di qui, la necessità di affrontare anzitutto l’emergenza, assicurando in tempi brevi che un numero elevato di detenuti (almeno 10-15 mila) siano allontanati dal carcere. In questa prospettiva ritengo che l’unico strumento adeguato sia un provvedimento di clemenza (amnistia e indulto), attento a non assicurare impunità agli autori di reati socialmente gravi. Tale provvedimento di clemenza dovrebbe essere, tuttavia, l’ultimo. Ecco, allora, la necessità d’impostare, contemporaneamente, interventi strutturali in grado di evitare che si ripetano, in futuro, situazioni dì sovraffollamento: l’accelerazione del programma di costruzione di nuovi istituti di pena; la depenalizzazione degli illeciti di minore allarme sociale; la sostituzione del carcere con pene alternative quali le interdizioni da un’attività o da una professione, il lavoro gratuito a favore della collettività, gli arresti domiciliari. Garantire processi celeri e pene certe dovrebbe costituire un ulteriore obbiettivo primario. Bisognerebbe ritornare all’insegnamento di Beccaria, secondo cui non ve bisogno di pene terribili, ma di pene ragionevoli, purché esse siano irrogate in tempi brevi, siano certe, siano eseguite inflessibilmente. Giustizia: Palamara (Anm); amnistia non risolve problemi, serve una seria depenalizzazione Il Velino, 21 dicembre 2011 “Il problema del carcere è un problema grave, in relazione al quale - dal punto di vista del diritto penale e sostanziale - occorre procedere ad una seria depenalizzazione”. Lo afferma Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. “Dal punto di vista procedurale e sostanziale bisogna incentivare le misure alternative alla detenzione, mentre - come già abbiamo detto in altre occasioni - non riteniamo che l’amnistia sia la soluzione del problema. Noi riteniamo necessari interventi di carattere strutturale per risolvere il problema, altrimenti si finirebbe solo per svolgere un intervento tampone che a distanza di anni riproporrebbe le medesime problematiche”, conclude il presidente dell’Anm. “Penso che l’amnistia non serva a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Fenomeno legato prevalentemente alle modifiche normative intervenute negli ultimi anni, ovvero ai cosiddetti pacchetti sicurezza. I quali hanno portato a un rilevante aumento di persone che devono transitare in carcere. L’amnistia, quindi, non servirebbe a risolvere il problema del numero dei detenuti e accentuerebbe quel sentimento di ineffettività del sistema penale, che già rappresenta un problema grave per la giustizia italiana”. Lo dice il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini. Giustizia: Bernardini; il “Decreto Severino” non guarisce, né allevia il male di carceri fuorilegge Notizie Radicali, 21 dicembre 2011 Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata radicale, membro della Commissione Giustizia della Camera: “Parliamoci chiaro: con il decreto legge del Ministro Severino usciranno alla detenzione domiciliare 3.300 detenuti ma, se tutto andrà bene, ciò accadrà nell’arco di un anno. Perciò, parlare di “svuota carceri” è letteralmente fuorviante e affermarlo - questo sì! - significa illudere tutta la comunità penitenziaria sottoposta da anni alla violenza di uno Stato fuorilegge incapace di rispettare le sue stesse regole. Occorre, infatti, precisare che tutte le richieste di poter scontare ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di detenzione (con il ddl Alfano i mesi erano 12 e in un anno sono usciti poco più di 4.000 detenuti) dovranno essere vagliate dai magistrati di sorveglianza già oberati di lavoro, lavoro che non riescono a smaltire penalizzando chi dovrebbe poter accedere alla pene alternative, ai permessi, alla liberazione anticipata. Come per il Ddl Alfano, sono inoltre esclusi tutti i detenuti sottoposti all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Parlando stamattina con il dott. Carmelo Cantone, questi mi ha riferito che la platea di chi dovrebbe poter accedere ai benefici previsti nel decreto legge Severino a Rebibbia Nuovo Complesso è attorno alle 100 unità (su 1770 detenuti) e, da questi, occorre escludere coloro che hanno il 4-bis. Meno di cento detenuti in un anno, dunque, saranno destinati a scontare a casa la loro pena residua: una goccia nel mare se pensiamo che la capienza del carcere romano è di 1.200 posti. La portata di questo tipo di normativa è ben spiegata da una lettera che ho ricevuto proprio oggi da un detenuto di un istituto lombardo: “ma se tengono dentro me, con otto mesi da scontare e un’invalidità pressoché totale, nessuna aggravante né recidiva, chi scarcerano? La legge 199/90 è un’autentica buffonata perché impiegano mesi per decidere sulle istanze e chi ne ha diritto è già fuori prima della decisione!” E intanto, oggi, un altro agente penitenziario si è suicidato e in quest’anno che non si è ancora concluso il numero dei suicidi fra i detenuti ha raggiunto quota 65. Insomma, il decreto legge Severino è una dose omeopatica che però non guarisce, né allevia il male di carceri fuorilegge che da anni sequestrano l’intera comunità penitenziaria. Giustizia: Pannella; questo è uno Stato criminale, che viola diritti umani e Costituzione Dire, 21 dicembre 2011 Marco Pannella su Radio Radicale ha osservato un minuto di silenzio in memoria di Antonio Caputo, assistente capo della Polizia Penitenziaria in servizio al carcere di Pordenone, suicidatosi lunedì scorso. Pannella fra l’altro ha riproposto al Presidente della Repubblica l’emanazione di un messaggio alle Camere (ex art. 87 Cost.), perché il Parlamento sia portato a conoscenza dell’amnistia quale proposta di Riforma strutturale dell’amministrazione del sistema giudiziario italiano, sovraffollato oltre che nelle immonde carceri anche e soprattutto da 10 milioni di procedimenti civili e penali pendenti. “Chiedo a tutti i Procuratori della Repubblica (perché Radio Radicale si sente in tutte le Procure della Repubblica) di volere prendere atto che io affermo in questo momento che il nostro Stato, la nostra Repubblica - quella che abbiamo in comune il Presidente Napolitano ed io, l’ultimo dei cittadini - è responsabile dei 65 suicidati nelle carceri per quest’anno e dei 5 agenti di polizia penitenziaria che si sono suicidati (mentre in più di 80 in dieci anni lo hanno fatto), che sono assassinati, ma da che cosa? Dalla cattiveria? No! Dal fatto che il nostro Stato rispetto alla sua Costituzione, rispetto ai diritti umani è in una condizione tecnicamente di criminale professionale, non solo abituale com’era prima”. Giustizia: Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati) favorevole alle misure “svuota carceri” Ansa, 21 dicembre 2011 “Se aiuteremo la barca di nostro fratello ad attraversare il fiume, anche la nostra barca avrà raggiunto la riva”. Con queste parole, non evangeliche ma parafrasate dalla lettera di un detenuto, il Pontefice segue con fortunata coincidenza i recenti interventi programmatici annunciati dal Ministro della Giustizia in materia di sovraffollamento della popolazione carceraria e di misure di contrasto. L’Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati) valuta con estremo favore l’interesse manifestato dal nuovo Governo per un problema la cui soluzione appare oramai assolutamente improcrastinabile. L’ampliamento delle condizioni per l’accesso alle misure alternative alla detenzione, la limitazione nel ricorso agli strumenti precautelari detentivi e l’idea di una sorta di sanzione detentiva domiciliare sono strumenti di piena ispirazione costituzionale e di esecuzione di norme comunitarie interposte di immediata applicazione nel nostro ordinamento. Tuttavia è auspicabile che il procedimento di applicazione di questi strumenti deflattivi della disumana condizione della popolazione carceraria possa essere immediato, snello, non appesantito da inutili adempimenti burocratici e, soprattutto, svincolato da eccessive interpretazioni discrezionali. In attesa di una condivisione parlamentare che possa, nel confronto dialettico e democratico, porsi quale possibile approdo per la soluzione del problema del sovraffollamento delle carceri italiane, la tanto invocata amnistia. Approdo che ricorre non a caso nelle parole del disperato detenuto citate dal Papa, quale interesse dell’intera collettività. Giustizia: Osapp; giusto che chi solo arrestato non vada in carcere ma dal ministro solo palliativi Comunicato stampa, 21 dicembre 2011 “È assolutamente contrario a qualsiasi principio di civiltà e di legalità che chi non è detenuto venga portato in carcere, immatricolato e poi assegnato ad un reparto detentivo e se del caso dorma su di un materasso per terra, come fin troppo spesso accaduto negli ultimi mesi per colpa del sovraffollamento.” è quanto afferma in una nota Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) rispetto alle recenti polemiche sull’utilizzo delle camere di sicurezza nella disponibilità delle forze di polizia presso le proposto dal Guardasigilli Paola Severino. “Anche se il provvedimento ha scarsissima influenza sul sovraffollamento penitenziario, riguardando non più di 80/90 soggetti ogni giorno sull’intero territorio nazionale - prosegue il sindacalista - la misura si muove nella giusta direzione del rispetto dei diritti del cittadino e contemporaneamente evita che i già scarsi contingenti di Polizia Penitenziaria, già in carenza del 20% dell’organico, siano oberati di incombenze lavorative non proprie”. “Secondo norma è persino improprio, se non del tutto illegittimo, l’utilizzo della polizia penitenziaria nelle camere di sicurezza dei tribunali, come ad esempio avviene a Roma, a meno che non siano stati gli appartenenti al corpo ad avere operato l’arresto ed essendo la polizia penitenziaria principalmente la polizia dell’esecuzione penale”. “Perartro, non ci è difficile comprendere le riserve che le altre forze di polizia e non solo hanno espresso - indica ancora il leader dell’Osapp - ma non è più tempo che siano il carcere alle attuali condizioni in generale e la polizia penitenziaria, dalla riforma del 1990 ad oggi praticamente abbandonata a se stessa, dal punto di vista organizzativo come da quello operativo, in particolare (l’organico del corpo è fermo al 1992 quando i detenuti erano meno di 40.000) ad accollarsi e fare fronte alle difficoltà delle altre forze di polizia sul territorio”. “Infine, come sindacato - conclude Beneduci - non possiamo evitare di ribadire che il complesso delle misure proposte dal Ministro non serve e non servirà, se non in minima parte, a deflazionare il sistema penitenziario e a rendere più umane le condizioni della detenzione per chi sconta la propria pena e per chi, per il 90% poliziotti penitenziari, in carcere lavora”. Giustizia: Cassazione; scarcerazione senza prove, se ci sono solo indizi misura cautelare annullata di Debora Alberici Italia Oggi, 21 dicembre 2011 La ragionevole durata del processo va garantita a tutti i costi. Infatti la Corte tìi cassazione è tenuta ad annullare senza rinvio la misura cautelare nel caso di processo interamente indiziario e che renda l’appello bis ininfluente. È quanto affermato dalla quarta sezione penale di Piazza Cavour che, con la sentenza numero 46976 del 20 dicembre 2011, ha accolto il ricorso di un presunto pusher, uno straniero, che chiedeva l’annullamento senza rinvio della custodia cautelare in carcere perché le accuse si fondavano soltanto su meri indizi. I giudici hanno precisato che “l’art. 620, lett. I), codice di procedura penale prevede l’adozione di tale formula in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari”. D’altronde, l’annullamento della condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata. Questo principio è stato ora esteso anche alla custodia cautelare. I giudici lo dicono a chiare lettere: “tale principio”, si legge nelle motivazioni, “sufficientemente consolidato in tema di annullamento delle sentenze, può essere applicato anche alla materia delle impugnazioni delle misura cautelari, dove il principio della ragionevole durata deve armonizzarsi con il disposto dell’art. 13 della Costituzione laddove è previsto che il sacrificio della libertà personale è consentito solo per atto motivato della autorità giudiziaria e solo nei casi e modi previsti dalla legge”. Infatti, quando un provvedimento, come la custodia in carcere, che colpisce la libertà dell’indagato, si palesa totalmente carente dal punto di vista della motivazione e tale vuoto, dall’analisi degli atti svolta dal giudice di merito che ne ha determinato l’ostensione, non appare possa essere colmato, “l’ulteriore sacrificio delle libertà individuale, implicito in un annullamento con rinvio del provvedimento cautelare, appare ingiustificato alla luce dei parametri costituzionale dettati dall’art. 13 Cost. e legittima l’annullamento del provvedimento senza rinvio”. È quanto è successo a un 27enne di Firenze, indagato nell’ambito di un’inchiesta per spaccio di stupefacenti. Il ragazzo era stato sorpreso in macchina con un amico. Nell’auto erano state rinvenute sostanze stupefacenti e lui aveva avuto un atteggiamento particolarmente reticente. Per questo era scattata la misura cautelare, confermata dal Riesame del Capoluogo toscano. Ma si trattava pur sempre di meri indizi. Ecco perché la quarta sezione penale ha ordinato la scarcerazione del giovane. Giustizia: Cassazione; detenuto trapiantato cuore non incompatibile con detenzione in carcere Ansa, 21 dicembre 2011 Confermato, dalla Cassazione, il ripristino della custodia cautelare in carcere nei confronti di un detenuto, Tommaso P. (di 54 anni) al quale erano stati concessi gli arresti domiciliari dopo aver subito una operazione di trapianto del cuore. Senza successo l’uomo ha sostenuto che il rientro in carcere costituiva, nelle sue condizioni, “una violazione del precetto costituzionale sulla tutela della salute” ragione per la quale Tommaso P. ha fatto anche ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Inutile anche far presente, da parte della difesa del detenuto, che il reato commesso non era grave e ormai era passato tanto tempo dalla sua commissione. Con la sentenza 47053, i supremi giudici rilevano che alla data dello scorso 31 gennaio le condizioni di salute di Tommaso P., a un anno dall’operazione, si erano stabilizzate e non necessitavano più di un controllo serrato e periodico come risulta da una perizia. Pertanto è stata convalidata la decisione del Tribunale della libertà di Napoli che lo scorso febbraio aveva dato il via libera al trasferimento del detenuto dai domiciliari ad un “idoneo centro carcerario”. Lettera aperta degli ergastolani ostativi al Senatore Francesco Ferrante Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2011 Senatore, mentre in alcuni paesi come la Norvegia, Portogallo, Spagna, l’ergastolo è stato eliminato (Islanda mai avuto ergastolani) dando un segno di grande civiltà e umanità e in altri Paesi l’ergastolano può uscire: Irlanda dopo 7 anni, Olanda dopo 14 anni, Norvegia dopo 12 anni, Svezia dopo la commutazione della pena, Svizzera dopo 15 anni, Regno Unito varie possibilità, Austria dopo 15 anni, Belgio dopo 10/14 anni, Cipro dopo 10 anni, Danimarca dopo 10/12 anni, Francia dopo 15 anni, Grecia dopo 20 anni e, invece, la patria del Diritto romano, l’Italia, dopo 25 anni e, mai, proprio mai, unico paese in Europa, per le condanne all’ergastolo con la motivazione di avere agevolato l’attività dell’associazione criminosa (Divieto di concessione di benefici: art. 4 bis L. 26 luglio 1975, n. 354). Senatore, se lei è d’accordo che non si può chiedere la certezza della pena senza sapere quando finisce una pena; che la pena dell’ergastolo supera i limiti della ragione, perché una pena senza speranza diventa solo un’esecuzione e una vendetta; che con l’ergastolo non si vive, ma si sopravvive, perché la reclusione a vita, come pena, è peggiore della morte stessa; che il carcere per l’ergastolano è un cimitero, con la differenza che invece di morto sei sepolto vivo; che la pena deve rieducare, ma che rieducazione ci potrà mai essere per una persona che non potrà mai uscire dal carcere? Senatore, se lei è d’accordo che in uno Stato di Diritto la speranza di tornare liberi non può dipendere dalla scelta del diretto interessato di mettere in cella un altro al posto suo: se parli esci o se no rimani dentro; che la speranza non dovrebbe essere stroncata per sempre; che una pena che non finisce mai è compatibile solo con l’inferno dei dannati, Senatore, perché impedire la speranza di continuare ad esistere per condanne subite dieci, venti o trenta anni prima? Che senso ha aver sostituito la pena di morte con l’ergastolo? Non può una persona essere colpevole per sempre. Una società che non uccide i suoi simili perché preferisce tenerli murati vivi dentro una cella tutta la vita, è una società malata e cattiva alle radici. Senatore, se non è d’accordo che in Italia esista la “Pena di Morte Viva”, gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto chiedono a lei e al suo partito di presentare al Senato un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo, in subordine l’abrogazione dell’articolo 4 bis Ordinamento Penitenziario che rende l’ergastolo ostativo. Ricordano che nel 1998 al Senato era passata la legge per abolire l’ergastolo. Gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto Lettere: è di questi giorni la notizia di un altro clamoroso caso di errore giudiziario… di Giulio Petrilli (Responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2011 È di questi giorni la notizia di un altro clamoroso caso di errore giudiziario, questa volta della magistratura francese. La notizia viene da Parigi, dove la Corte d’Assise Speciale ha assolto la cittadina tedesca Christa Margot Fröhlich, dall’aver partecipato all’attentato di Rue Marbuef a Parigi che provocò un morto e 63 feriti. Quell’attentato fu attribuito al gruppo Carlos e la Fröhlich venne accusata di far parte di questa organizzazione. La sentenza di qualche giorno fa, ribalta totalmente l’accusa. La cittadina tedesca ha scontato per questo più di cinque anni di carcere. La vicenda diventa paradossale, se si pensa che Christa Fröhlich, nell’agosto di quest’anno è stata iscritta nel registro degli indagati della Procura di Bologna, per la strage della stazione di quella città, del 2 agosto del 1980, il tutto si presuppone per la connessione per i reati contestateli in Francia. Il 28 luglio 2005, ad esempio, in Italia ci fu una interpellanza parlamentare, i cui firmatari erano alcuni deputati di destra, che cercavano di attribuire la responsabilità della strage di Bologna ad organizzazioni palestinesi, nella quale - prima di un’eventuale sentenza di condanna - si sosteneva che la Fröhlich avrebbe fatto parte del “gruppo Carlos”, in quanto sarebbe stata responsabile del reperimento dell’autovettura usata il 22 aprile 1982 per l’attentato di rue Marbeuf contro il settimanale arabo Al Watan Al Arabi. Sulla base di tale ipotesi e di una serie di congetture interconnesse, si è poi giunti all’iscrizione della cittadina tedesca nel registro degli indagati per la strage di Bologna. Ora, che la Fröhlich è stata assolta dalla magistratura francese che farà quella italiana? Io spero che riconosca l’errore e la prosciolga immediatamente, confido poi che questi errori giudiziari vengano risarciti. Spero nella capacità della Francia di saper fare questo e anche qui in Italia una volta tanto gli accusati di reati di terrorismo, poi prosciolti o assolti, possano usufruire del risarcimento. Sinora ci sono sentenze incredibili delle corti d’appello di Milano e Roma, confermate anche dalla Cassazione che non riconoscono questa cosa. Un’ultima riflessione: indagare o arrestare una persona, senza una virgola di prova, denota un errore gravissimo e inconcepibile il cui risarcimento dovrebbe essere realmente illimitato. Marche: al via un progetto che mira a far crescere le biblioteche nelle carceri Redattore Sociale, 21 dicembre 2011 Progetto che mira a far crescere biblioteche nelle carceri, grazie alla donazione di libri e altri materiali documentari, nuovi e usati, agli otto Istituti penitenziari presenti sul territorio. Promuovere la lettura nelle carceri attraverso la donazione di libri e altri materiali nuovi e usati è l’obiettivo dell’iniziativa “Un libro per un’ora d’aria, dona un libro al carcere” promossa dall’AIB/Marche (Associazione italiana biblioteche), in collaborazione con Rotaract, con l’assessorato alla Cultura della Regione Marche e gli editori marchigiani. “Il progetto - spiega l’assessore regionale alla Cultura, Pietro Marcolini - nasce dalla volontà di far crescere le biblioteche degli istituti di pena delle Marche e sarà realizzabile grazie alla donazione di libri e altri materiali documentari, nuovi e usati, agli otto Istituti penitenziari presenti sul territorio. Si tratta di una piccola azione che cerca però di farsi carico della difficile situazione carceraria, al centro tra l’altro del dibattito nazionale in questi giorni, rispetto alla quale vogliamo dare un nostro contributo perché il carcere possa assolvere alla funzione costituzionale di recupero di chi si trova a viverlo”. “L’iniziativa - afferma Tommaso Paiano, presidente della sezione marchigiana dell’Aib - si inserisce nel piano delle attività previste dall’associazione per il 2012 e fa seguito a convegni e corsi di aggiornamento professionale per bibliotecari organizzati nel 2011 a sostegno del più ampio progetto sperimentale di sviluppo di una “Rete delle biblioteche carcerarie marchigiane”, promosso dal Dipartimento per la Salute e Servizi sociali della Regione Marche ed accolto positivamente anche dall’assessore Marcolini”. Nel Programma operativo 2011 per i Beni e le attività culturali è prevista l’attivazione di azioni di promozione alla lettura, in collaborazione con gli editori marchigiani, le biblioteche, le associazioni varie, gli enti locali, le scuole, in sinergia con alcuni assessorati regionali quali Sanità, Servizi Sociali, Pubblica Istruzione, per incoraggiare e promuovere la lettura sul territorio, con particolare attenzione alle fasce sociali deboli. Uno degli obiettivi prioritari è quello che riguarda la “Qualificazione del sistema degli Istituti e luoghi della cultura” attraverso cui si intende valorizzare il servizio bibliotecario con azioni dirette a favorire la funzione educativa e formativa delle biblioteche, nonché l’inclusione e la coesione sociale, anche in riferimento alla popolazione detenuta. I promotori dell’iniziativa hanno previsto una prima fase dedicata alla raccolta del materiale per almeno 4 mesi (da metà dicembre 2011 ad aprile 2012) in tutte le biblioteche e le librerie della regione aderenti all’iniziativa. Dei materiali recuperati verrà fatta un’adeguata selezione e saranno destinati ai vari istituti seguendo logiche non solo di risposta alle esigenze di lettura delle popolazioni detenute presenti ma anche nell’ottica di avviare fondi di specializzazione su tipologie di materiale o argomenti specifici. La seconda fase, invece, denominata “1 € per un’ora di libertà”, consentirà di sfruttare fino in fondo i documenti che saranno recuperati attraverso la vendita dei doppioni e del materiale ritenuto non idoneo. In alcuni luoghi prestabiliti, saranno allestiti banchetti o semplici scaffali, e ogni pezzo sarà venduto alla cifra simbolica di 1 euro. I fondi che verranno raccolti in questa occasione verranno poi utilizzati per acquistare documenti nuovi e mirati, per arricchire ulteriormente il patrimonio delle varie biblioteche d’istituto. L’Aib/Marche curerà il coordinamento dei vari soggetti coinvolti, i contatti con le istituzioni e la promozione dell’iniziativa, nonché il coordinamento con le biblioteche sul territorio, la realizzazione del mercatino “vendita libri” e la selezione dei materiali. Chi volesse donare un libro al carcere può trovare tutte le informazioni necessarie e l’elenco dei punti di raccolta visitando il portale www.bibliotecheaperte.it. Sardegna: presidente Consiglio regionale; pongo attenzione a problemi sistema penitenziario Adnkronos, 21 dicembre 2011 “Appena completato l’iter consiliare della manovra finanziaria sottoporrò all’esame della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi l’inserimento, all’ordine del giorno del Consiglio, dell’elezione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. La presidente del Consiglio regionale della Sardegna Claudia Lombardo ha inviato stamani una lettera al presidente della Commissione Diritti civili, Silvestro Ladu che, nei giorni scorsi, le aveva scritto per portare alla sua attenzione la situazione estremamente precaria in cui versano le strutture penitenziarie della Sardegna. “Seguo con particolare attenzione - assicura la presidente nella lettera - la gravissima situazione esistente nel sistema carcerario sardo e condivido la necessità di dare integrale attuazione alla Legge regionale 7 febbraio 2011 n. 7 che prevede interventi a favore dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e l’istituzione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale”. La Presidente ha altresì evidenziato che, per una completa applicazione della normativa, è necessario provvedere alla definizione dei necessari assetti organizzativi delle strutture consiliari per dotare il Garante degli strumenti necessari per l’espletamento delle funzioni che è chiamato a svolgere. Abruzzo: il Consigliere Gino Milano chiede maggiore impegno contro sovraffollamento carceri www.primadanoi.it, 21 dicembre 2011 Il consigliere regionale, Gino Milano, ha portato all’Emiciclo il problema del sovraffollamento delle carceri, chiedendo maggiore impegno da parte della Regione Abruzzo per risolvere questo disagio. “Qual è il livello di consapevolezza dell’organo di governo regionale circa la situazione delle carceri in Abruzzo”, ha scritto Milano nella sua interrogazione, “Intorno a questo argomento si snoda la nuova interpellanza che il consigliere regionale Gino Milano, coordinatore in regione di Alleanza per L’Italia, presenta al presidente della Regione Chiodi e all’Assessore competente, per riportare l’attenzione sulla difficilissima situazione in cui versa la popolazione carceraria nella regione abruzzese, complessivamente molto superiore rispetto a quella che le strutture potrebbero accogliere In particolare, Milano lega il suo intervento alla necessità di richiamare un’azione della Regione presso il Governo affinché questo adotti “urgenti provvedimenti finalizzati al potenziamento degli organici della Polizia penitenziaria, alla riduzione dei detenuti presenti nelle carceri, incentivando il ricorso alle misure alternative alla detenzione nonché all’attuazione immediata del piano carceri, presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con l’indicazione delle reali coperture finanziarie”. Si legge nel testo che “tra il mese di luglio 2010 ed il mese di gennaio del 2011 sono state concluse quattro Intese istituzionali tra il Commissario delegato all’emergenza carceri, le Regioni ed i Comuni interessati, per “la realizzazione degli interventi carcerari con le deroghe e le varianti ai vigenti strumenti urbanistici che si rendono necessari, il tutto secondo tempistiche e procedure di massima celerità e snellezza”. Si chiede conto dello stato dell’arte delle stesse e dell’effettivo proposito della Regione a “realizzare e finanziare progetti tesi a creare, all’interno del mondo penitenziario, opportunità lavorative per i detenuti, che possano in tal modo acquisire una preparazione professionale che ne agevoli il reinserimento sociale, attingendo alla cosiddetta “cassa delle ammende”. Al centro dell’ argomento viene posta poi la delicata questione delle condizioni assistenziali delle carceri abruzzesi nelle quali, sottolinea il consigliere Milano, “si registra una rilevante problematica sanitaria, con molti detenuti sieropositivi, con gravi disturbi mentali, con morti per overdose e con frequenti casi in cui il diritto alla salute non è salvaguardato e manca il soccorso adeguato delle persone in attesa di giudizio”. Il penitenziario di Avezzano, ad esempio, che ha una capienza di 52 posti , ma una effettiva detenzione di 88 persone, ha visto verificarsi 2 tentativi di suicidio e 16 atti di autolesionismo con 16 scioperi della fame. Un presupposto che rende di prioritaria importanza sapere se i tagli relativi al rientro regionale dal deficit sanitario abbiano reso necessario” sottoporre a restrizioni i fondi destinati alla sanità in carcere” e se la Giunta intenda o meno assumere provvedimenti che chiamino le Asl a controlli periodici che mettano in evidenza lo stato psico-fisico dei malati, le condizioni igienico-sanitarie delle celle in rapporto ai parametri stabiliti dai Regolamenti, così come la numerazione effettiva dei detenuti in esse presenti. Il consigliere Milano, inoltre, chiede alla Giunta di: 1) - affrontare, con urgenza e decisione, le cause dell’elevato numero di morti e di suicidi in carcere ed i fenomeni di autolesionismo e di violenza in genere, ricorrendo alla stipula di eventuali accordi con enti, associazioni e cooperative; 2) - prevedere una relazione annuale sullo stato di salute dei cittadini abruzzesi da presentare al Consiglio regionale con la previsione di un capitolo dedicato alla situazione sanitaria nelle carceri della Regione; 3) - favorire, mediando con le varie amministrazioni comunali, l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, in locazione ai dipendenti della polizia penitenziari in quanto personale impegnato e coinvolto nella lotta alla criminalità organizzata; 4) - dar vita ad un nucleo di monitoraggio che tenga costanti rapporti con le direzioni delle carceri al fine di rilevare e prevenire l’insorgere di criticità all’interno del carcere e attuare progetti formativi per il personale, finalizzati anche all’apprendimento delle lingue straniere”. Sulmona (Aq): dieci detenuti ottengono attestato di panificatori Il Centro, 21 dicembre 2011 Dieci detenuti del supercarcere sulmonese una volta liberi potranno provare ad intraprendere la professione dei fornai. Per una decina di loro, infatti, sono arrivati oggi pomeriggio gli attestati di frequenza al coso per addetti alla panificazione e alla pasticceria. Alla cerimonia hanno partecipato Laura Longo, presidente del Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, il direttore del carcere Sergio Romice e il direttore del Cescot Angelo Pellegrino. Con loro anche il vescovo di Sulmona-Valva Angelo Spina, che ha ringraziato i detenuti “per il grande gesto di solidarietà compiuto: il pane e i dolci realizzati durante le esercitazioni, infatti, sono stati donati alla Caritas di Sulmona, ai diversamente abili dell’Unitalsi e a 54 anziani bisognosi. Giovanni, a nome dei detenuti del corso, ha letto un ringraziamento per “coloro che hanno permesso la realizzazione dell’iniziativa, dando loro la possibilità di essere utili per la comunità bisognosa e capaci di imparare un mestiere faticoso ma ricco di soddisfazioni”. L’iniziativa, dal titolo “Pane e Solidarietà”, promossa dalla Provincia e che ha visto la collaborazione del Cescot, prevedeva 100 ore di corso presso i laboratori della Confesercenti. Foggia: Sappe; ancora violenza in carcere, pericolo sovraffollamento Il Lavante, 21 dicembre 2011 Secondo episodio di violenza in pochi giorni all’interno della Casa Circondariale di Foggia. E scatta, a questo punto, l’allarme. A quel che sembra, a causare le violenze, sarebbe stato un detenuto appena giunto dal carcere di Lecce, ora in isolamento. La polizia penitenziaria dauna ha in un primo momento avuto la peggio e più d’un agente è stato trasferito, causa ferite, all’ospedale del capoluogo. Il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, è ben cosciente che i rischi di aggressione per un poliziotto penitenziario sono da mettere anche in conto poiché il lavoro non si svolge certo presso un convento, ma non può accettare che le carceri possano diventare terreno di scontro e di violenza poiché non si vuole affrontare, benché più volte denunciato, il grave problema di sovraffollamento dei detenuti che ha raggiunto livelli del 90% dei posti disponibili,(in Puglia 4.500 presenze a fronte di 2.350 posti) di cui moltissimi con seri problemi psichiatrici, nonché la cronica carenza di organico che, costringe il personale a lavorare da solo nelle sezioni detentive in balia di decine e decine di detenuti ormai sul punto di esplodere. I riflettori accesi sul pianeta carcere a seguito della visita del Papa presso il carcere di Rebibbia ed il decreto “svuota carceri”(che le carceri non svuoterà considerato che circa 3.300 uscite in Italia ed un paio di centinaia in Puglia) del nuovo Ministro Severino, anche se coraggiosi ed innovativi se guardiamo i predecessori, non risolvono il problema, poiché servono provvedimenti più incisivi che la politica ha paura di prendere in questo momento. Parliamo di un gesto di clemenza che consenta di azzerare la situazione e di far partire di pari passo quelle riforme che prevedano un sistema di detenzione duro e concreto per quei reati socialmente pericolosi, mentre per tutto il resto un maggiore ricorso alle misure alternative alla carcerazione. Si vuole ricordare che se la politica con l’Amnistia del 2006, invece di pensare a ripulire qualcuno, avesse avviato anche le riforme sopra citate, ora non ci troveremmo in questa situazione, e non sarà certo costruire nuove carceri che risolverà il problema. Il Sappe è convinto che spenti i riflettori tutto tornerà nell’oblio, le carceri continueranno ad essere le discariche umane, i detenuti a protestare ed a suicidarsi, i poliziotti penitenziari a lottare, anche prendendo le botte per assicurare e difendere la presenza delle Istituzioni all’interno dei penitenziari. Asti: vessazioni in carcere, nuova udienza del processo a cinque agenti di polizia penitenziaria Gazzetta di Asti, 21 dicembre 2011 Ad Asti, ieri, cinque agenti della polizia penitenziaria del carcere di Quarto compariranno in tribunale per la nuova udienza del processo a loro carico. Pesanti le accuse, quelle di lesioni personali nei confronti di due detenuti. I fatti risalgono al 2004. Secondo l’accusa i detenuti Claudio Renne ed Andrea Cirino, oltre ad essere stati picchiati, sarebbero state vittime di soprusi, come il fatto di rimanere in celle di isolamento senza materassi o quelle di essere tenuti a pane e acqua. I maltrattamenti sarebbero proseguiti fino a quando una educatrice che pretese di incontrare Renne per un colloquio, vedendolo malconcio, segnalò il caso alla direzione. Gli imputati sono Cristiano Bucci, Marco Sacchi, Gianfranco Sciamanna, Davide Bitonto ed Alessandro D’Onofrio. L’indagine della magistratura astigiana è partita quando un ex agente, finito nei guai per una questione di droga, ha raccontato tutto alla polizia. Il motivo che avrebbe spinto i cinque ad inveire contro il Renne ed il Cirino sarebbe da ricercarsi nel fatto che i reclusi in precedenza avrebbero aggredito un agente carcerario entrato nella loro cella per un controllo. Ieri sono stati sentiti diversi testimoni, però non è stato possibile sentire Domenico Minervini direttore della casa di pena astigiana all’inizio degli anni Novanta. Attualmente Minervini è direttore del carcere di Aosta e non ha potuto lasciare la città per importanti impegni familiari. La prossima udienza è stata perciò fissata per l’undici gennaio. Roma: Isabella Rauti; il mercatino “Evasioni Romane” dà possibilità di reinserimento ai detenuti Adnkronos, 21 dicembre 2011 Allestito fino al 31 dicembre a piazza Mastai a Roma il mercatino di Natale con i prodotti fatti in carcere e chiamato Evasioni Romane” è stato visitato oggi da Isabella Rauti, consigliere regionale del Lazio accompagnata dal Garante per i detenuti di Roma Capitale, Filippo Pegorari. L’iniziativa, promossa dal Garante dei detenuti di Roma Capitale Filippo Pegorari, dall’assessore capitolino all’Ambiente Marco Visconti e dall’associazione di promozione di economia carceraria ‘Recuperiamoci” è il primo evento del genere a Roma. L’iniziativa che vede impegnate 40 cooperative sociali, “vuole creare un circolo virtuoso -ha spiegato all’Adnkronos Isabella Rauti, consigliere regionale del Lazio - perché in questo modo si può investire sulla formazione lavoro dei detenuti e significa anche autosostenere l’attività di formazione e di avviamento al lavoro all’interno dell’istituto. Tutto ciò per creare una prospettiva, un orizzonte, una finalità all’indomani della scarcerazione. È un’iniziativa - ha aggiunto - che rientra nell’ambito dell’impegno della Regione Lazio per quanto riguarda la vita dei detenuti nelle undici carceri della regione. E credo anche che rientri un’ottica per la quale il carcere non deve essere punitivo ma educativo e deve consentire a chi sta scontando la pena di acquisire quegli elementi necessari per il reinserimento nella società”. “La settimana scorsa ho visitato il carcere della Giudecca di Venezia - ha concluso Rauti - dove le detenute lavorano e vendono all’esterno i loro prodotti e tra l’altro sta per nascere l’istituto di custodia attenuata per le detenute madri che sarebbe il secondo in Italia e mi auguro, anzi, sono sicura che il terzo sarà nel Lazio”. Rauti ha riferito poi che il 26 dicembre visiterà Regina Coeli e il 27 a Casal del Marmo. A accompagnare Isabella Rauti c’era il garante dei detenuti per Roma Capitale, Filippo Pegorari che ha sottolineato come questa “è un’iniziativa per mettere in contatto la popolazione con il lavoro realizzato negli istituti penitenziari, per far sapere all’opinione pubblica che negli istituti si lavora e si studia. Sono i due percorsi suggeriti dalla Costituzione per un recupero di chi ha sbagliato e per il suo reinserimento nel tessuto sociale. Volterra (Si): dal carcere a Shakespeare, l’utopia del teatro di Adriano Sofri La Repubblica, 21 dicembre 2011 Armando Punzo ha fatto la Compagnia della Fortezza: recitano i detenuti e vincono premi prestigiosi. Qui, tra pubblico e attori si genera un’atmosfera speciale. E da nessun’altra parte si è fondato uno Stabile in un penitenziario. Armando Punzo, c’è qualcosa di donchisciottesco in lui. Bisogna essere matti per figurarsi di costruire un Teatro Stabile dentro un mulino a vento. Mattissimi a proporsi di costruirlo dentro un carcere tetro come la Fortezza di Volterra. Lui se lo propone da tanti anni che non sa più contarli, come un vecchio prigioniero. Ha 52 anni, l’età dell’hidalgo, e chissà se sia vicino a toccare il traguardo, o a scendere dal ronzino e arrendersi. Dunque è il momento di dargli una mano, invece di commuoversi, battergli le mani, a lui e ai suoi, e rincasare. “Ma come, nelle galere si dorme in terra, si incendiano lenzuoli, ci si disputa il gas di una bomboletta, e tirate fuori il teatro?”. Ah, non sapete che cosa dite. Non sapete che cosa vuol dire una pianticella abusiva nella cella di un condannato, una rosa sul davanzale di una città assediata cui manchi il pane. Quest’anno la Compagnia ha messo in scena Giulietta e Romeo - Giulietta era il detenuto Yang, cantava una dolce canzone cinese. Ma aveva un altro titolo, Mercuzio non vuole morire. Le cose potevano andare diversamente, e possono ancora. Ecco un modo più semplice di dire l’articolo costituzionale così citato e tradito: “le pene… devono tendere alla rieducazione”. Le cose possono andare in un altro modo, e, quanto agli eventi irreparabili, il teatro, dunque la vita, può provare a risarcirli. Maria Grazia Giampiccolo dirige il carcere di Volterra. Sa che Mercuzio muore, prima che della spada di Tebaldo, dell’intimazione di Romeo a smettere di parlare di sogni: “di niente”. È in tempi come questi, dice, che bisogna raddoppiare gli sforzi per difendere la poesia. La bellezza è una imprevedibile intrusa in quel culmine murato di Volterra, da dove, quando il vento pulisce, si vede la Corsica. Punzo sta da 24 anni, incensurato, in quella galera, che era di sardi e napoletani, e ora chiude tutti i sud del mondo. E ha fatto della Compagnia della Fortezza una delle più prestigiose imprese teatrali d’Europa, e di Volterra la sede di un festival importante. Il teatro è un modo meraviglioso di rifarsi una vita, di rifarsene mille. Rifarsi una vita è la promessa e la negazione del carcere: non succede, e quando rarissimamente succede non è grazie alla galera, ma nonostante. Punzo non è un assistente sociale, è uno votato al teatro che ha capito che lì dentro si trovano vocazioni formidabili. E che il carcere stesso è una scena d’eccezione, e far incontrare lì dentro attori e pubblico sprigiona un’emozione speciale. (Ho scritto sprigiona quasi senza volere). “Siamo in un castello, come Amleto, abbiamo il camminamento di ronda”. Volterra è insieme quintessenza e contraltare della Toscana graziosa, una nobile vetusta città di palazzi e arte e alabastro e una cittadella impervia di corvi e intemperie. Qui Punzo e i suoi hanno messo casa, da quando un direttore di mente e cuore spalancati radunò agenti e dirigenti entusiasti di cambiare quella cupezza. Si chiamava Renzo Graziani, morì assurdamente nel 1997, schiacciato da una motocicletta. Ora, a volte, i superstiti di quella impresa e i nuovi aggiunti sono stanchi e sconfortati. Volterra accoglie e respinge, alternamente. E le regole di dentro, e persone e risorse che mancano sono fatte per rendere estenuante il lavoro, gli orari, la fiducia reciproca. Però il sogno è troppo grande. Esperienze affini esistono in Europa, ma mai si è fondato e riconosciuto un Teatro Stabile dentro un penitenziario. Una coincidenza (le galere furono affare maschile, a lungo) mette oggi delle donne in posizioni cruciali: a Volterra, al provveditorato e alla presidenza del tribunale di sorveglianza, e finalmente al ministero. I responsabili del comune e della provincia, dell’Amministrazione penitenziaria, dei beni culturali, dopo aver visto coi loro occhi, sono stati entusiasti. Enrico Rossi è un fervido ammiratore del teatro, e la Regione Toscana lo sostiene. Sono passati dalle mura di Volterra - che trasudavano sangue tradimento e congiura - Beckett e i ritratti di Francesconi, ali d’angeli e fogli volanti, 1.500 ore di filmati d’archivio, 150 studenti all’anno che vengono a formarsi, l’elogio alla libertà dall’impegno di Pasolini e i versi di Majakovskij, il Marat-Sade, premio Ubu ‘93, e I pescecani, “miglior spettacolo” del 2004, Macbeth e Orlando - e Alice e Amleto, che “nei secoli, mentre il pubblico li guardava, hanno guardato l’umanità che non migliorava e hanno deciso di salvare se stessi”. Due anni di lavoro, l’Hamlice, 50 persone per l’allestimento dentro e poi fuori, i tir, gli incassi a pagare la tournée. Per anni i detenuti-attori spesero così i permessi premio, finché ottennero il lavoro esterno, e sono assunti, recitano e vanno a dormire nelle prigioni di quella notte. Altrettante occasioni per dire cose che li riguardano intimamente senza parlare di sé: con le parole di quei testi, sotto quelle maschere. Alcuni detenuti sono diventati attori di professione, altri imparano mestieri, costumi, scene, costruzioni. Teatro stabile (“senza maiuscola, mi raccomando, in carcere non si corre quel rischio!”) il Mastio volterrano è di fatto già, ma il punto è un altro, di affrancarsi dalla provvisorietà annuale (e quasi quotidiana), di veder riconosciuta un’esperienza preziosa e costruire il bellissimo e sobrio teatro disegnato da architetti amici. Di restituire all’ora d’aria lo spazio che i detenuti prestano eroicamente quando si avvicina il debutto, e dare un nuovo primato alla fortezza medicea e a tutti i suoi abitatori. Verona: la Garante; iniziative per le festività natalizie all’interno del carcere di Montorio Ristretti Orizzonti, 21 dicembre 2011 Si è tenuto nel pomeriggio di oggi, mercoledì 21 dicembre, nella Casa Circondariale di Montorio, il concerto offerto dal “Coro degli Avvocati dell’Ordine veronese” alle persone detenute, in occasione delle festività natalizie. L’iniziativa è promossa dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan, dalla Direzione della Casa circondariale e dalla dirigente dell’area pedagogica Enrichetta Ribezzi, in collaborazione con l’associazione “Progetto Carcere 663”. Il coro, diretto dal maestro Francesco Pagnoni e accompagnato dal maestro organista e compositore Francesco Bellomi, si è esibito in una selezione di canti classici, sacri, gospel e brani tratti da celebri colonne sonore. “Questo concerto è la condivisione delle celebrazioni che si svolgono in città - ha detto Forestan - e dalle quali la Casa Circondariale non può essere esclusa. Nei prossimi giorni, tutte le persone detenute del carcere di Montorio riceveranno in dono dei prodotti dolciari offerti dall’azienda Bauli per festeggiare il Natale e San Silvestro. Un ringraziamento doveroso quindi a tutti i volontari - ha concluso la Garante - al Coro degli Avvocati, al Gruppo Bauli e a quanti collaborano, a titolo gratuito, per far sentire la vicinanza dell’intera città di Verona alle persone detenute, anche durante il periodo natalizio”. Parma: note di libertà dentro il carcere di via Burla Gazzetta di Parma, 21 dicembre 2011 Tra la cinta muraria e i bracci, il silenzio è angosciante, il grigio del cemento deprimente. Dentro, però, è tutta un’altra musica, quella della Corale Verdi, entrata ieri nel carcere di via Burla per regalare un’ora di gioia, spensieratezza e cultura ad una cinquantina di detenuti. Nel piccolo teatro dell’istituto penitenziario fa freddo, ma ci pensa il coro a riscaldare l’ambiente, insieme alle mani dei carcerati, in movimento continuo per l’irrefrenabile desiderio di rendere grazie ai 52 cantanti e al Maestro, Fabrizio Cassi. Ad un tratto, spontanea, una standing ovation, quando il tenore Eugenio Masino, accompagnato al pianoforte da Claudio Cirelli, regala l’ultima nota di “La donna è mobile” del Rigoletto. Tanti i “bravi, bravi” che arrivano dalla platea; forte la commozione durante l’esecuzione de “La vergine degli angeli” da parte del soprano Azusa Kinashi. Manca solo il contatto fisico tra il coro e la platea di detenuti, per il resto, la riconoscenza reciproca è palpabile: è proprio vero che il volontariato (di questo infatti si parla, con la Corale Verdi intervenuta a titolo gratuito) fa bene soprattutto a chi lo fa. Peccato solo per quella fila di sedie vuote, tra i carcerati e le istituzioni; sono le regole, però: come tali, vanno rispettate. Evidentemente il cordone di agenti di polizia penitenziaria (“Non chiamateci guardie”, dicono) non basta. L’idea di portare la Corale Verdi dentro il carcere è dell’assessore provinciale alle Politiche Sociali, Marcella Saccani: “Il Natale può essere un periodo di grande turbamento, se non è possibile trascorrerlo in famiglia - spiega -. La Corale è qui per rendere il vostro Natale meno triste e per dirvi che Parma c’è ed è una città disponibile”. La musica unisce e, se non le disintegra, almeno assottiglia le sbarre: “Occasioni come queste servono per mantenere vivo il contatto con la comunità esterna - commenta Lucia Monastero, reggente, con le funzioni di direttore, del penitenziario - e per portare un momento di serenità e tranquillità”. E la musica, come ricorda il presidente della Corale Verdi, Andrea Rinaldi “è lo strumento che abbiamo a disposizione per farvi pensare alla vostra redenzione”. Tra il pubblico, anche il Comandante della Polizia Penitenziaria, Andrea Tosoni, e le parlamentari, Carmen Motta e Albertina Soliani. Chiusura con “Astro del Ciel” e l’acclamato bis “Libiamo nè lieti calici” della Traviata. Viterbo: “È Natale per tutti”, al Mammagialla c’è Enrico Ruggeri Il Tempo, 21 dicembre 2011 Continua “È Natale per tutti”, la manifestazione di solidarietà nelle carceri del Lazio, voluta dalla Giunta Polverini, in occasione delle festività natalizie. L’Assessore regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, ha assistito oggi, insieme ai detenuti della casa circondariale di Viterbo, agli operatori di polizia penitenziaria e alla dott.ssa Teresa Mascolo, direttore del carcere Mammagialla, all’esibizione di Enrico Ruggeri. “Enrico Ruggeri è un artista completo - ha detto l’assessore Cangemi, dopo aver portato a tutti i presenti il saluto della Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini - lo ringrazio davvero per aver aderito alla nostra iniziativa in favore dei detenuti del Lazio. Già l’anno scorso avevo avuto il piacere di ascoltarlo, ma quest’anno ha regalato a me e ai detenuti di Viterbo un concerto veramente emozionante. “È Natale per tutti” si sta dimostrando anche nel 2011, e siamo solo all’inizio, un’iniziativa che riscuote il consenso di tutto il mondo penitenziario: detenuti e personale di polizia”. Più di 200 detenuti hanno assistito al concerto, durante il quale, l’artista milanese ha cantato le più famose canzoni del proprio repertorio. Al termine, a grande richiesta, standing ovation sulle note di Mistero. Il concerto di Ruggeri è il secondo di 14 appuntamenti che caratterizzano “È Natale per tutti”. Mercoledì 4 gennaio 2012, ancora Enrico Ruggeri si esibirà in concerto presso la casa circondariale di Latina. Queste le altre date in programma: giovedì 22 dicembre (ore 15), spettacolo di cabaret dal vivo con Marcello Cirillo e Martufello presso il carcere di Civitavecchia; il duo Franco Califano e Mario Zamma (il Califfo e il comico del Bagaglino) si esibiranno in due occasioni, il 23 dicembre a Rebibbia (ore 16) e il 24 alle ore 11 a Regina Coeli. Venerdì 30 dicembre, alle 11, concerto dell’Howard Gospel Choir presso il carcere femminile di Rebibbia. Il 31 dicembre, alle 10 e 30, i Tiromancino allieteranno i giovani ospiti dell’istituto penale minorile di Casal del Marmo. Ancora i Tiromancino, lunedì 2 gennaio alle15, in concerto presso la casa circondariale di Frosinone. Il 3 gennaio alle 15, Manuela Villa al carcere femminile di Latina e il 5 (ore 11) Luisa Corna a Rebibbia. Per finire, Marco Masini si esibirà, il 5 gennaio, alle ore 15, a Rebibbia femminile e il 6 (ore 15) presso la casa circondariale di Rieti. Cinema: “Il loro Natale”… le donne dei reclusi si raccontano di Vito Miraglia www.dazebaonews.it, 21 dicembre 2011 Con il detenuto, in carcere, ci finisce tutta la sua famiglia. Mogli e figlie, madri e sorelle che portano la croce della detenzione oltre le sbarre, fuori la cella. Sono loro le protagoniste del documentario Il loro Natale di Gaetano Di Vaio che racconta la solitudine e la sofferenza dei parenti dei carcerati di Poggioreale, Napoli. La loro esistenza ruota attorno ai colloqui di 50 minuti che la direzione del penitenziario concede loro una volta a settimana. Preparare quell’incontro è un rituale che per alcune di loro si trascina identico a sé da 10 anni e che per tutte si conclude con una fila di ore davanti ai cancelli del carcere. Di Vaio racconta tutto questo con partecipazione, restituendoci il senso di costrizione che soffoca le vite delle donne dei detenuti nelle loro case di Scampia. Nel rapporto dell’osservatorio dell’associazione Antigone, a proposito del penitenziario napoletano, si parla di “attese infinite per i colloqui” e addirittura di segnalazioni “anche da parte di organismi internazionali di episodi di perquisizioni corporali invasive sui familiari”, proprio in occasione degli incontri con i detenuti. Nel Loro Natale si vedono per lo più donne, pressate come carne in scatola contro la piccola porta d’ingresso di Poggioreale, controllate da guardie a volte distratte, giustamente arrabbiate contro uno Stato che non esaurisce la sua autorità esclusivamente privando della libertà i detenuti ma anche impedendo loro una vita dignitosa in prigione. Attese che partono anche dalla sera prima per poter solo parlare con i propri cari. “Si guarda ma non si tocca”, sembra dir loro lo Stato, impedendo qualsiasi contatto fisico tra detenuti e parenti, ancora separati dai vetri e guardati a vista dai secondini. Una pratica illegale da più di dieci anni, come denuncia Alessio Scandurra di Antigone. Nell’ultima parte del documentario emerge dunque il problema del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni di disagio in cui versano i detenuti, veicolato dai racconti degli stessi carcerati e consegnati alle bocche dei loro cari. Il loro Natale è stato presentato con successo in numerose rassegne cinematografiche nazionali e internazionali, a partire da Venezia, passando per Londra, Milano (riconoscimento speciale all’Ive seen films-International film festival) e Napoli (miglior documentario al Napoli Film Festival, sezione Schermo Napoli), per finire a Cagliari, dove si è aggiudicato pochi giorni fa il premio per il miglior film al Babel film festival. Il loro Natale Di Gaetano Di Vaio Montaggio di Giogiò Franchini Prodotto da Figli del Bronx Dal 22 dicembre in Dvd, distribuito dal gruppo editoriale Minerva Raro Video Iran: impiccato narcotrafficante in un carcere a sud di Teheran Adnkronos, 21 dicembre 2011 Un detenuto iraniano condannato per spaccio di droga e identificato solo con le iniziali N. Y., è stato impiccato nel carcere di Saveh, a sud-ovest di Teheran. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Isna, precisando che l’uomo era stato arrestato per la detenzione di 800 grammi di eroina. La nuova impiccagione in Iran giunge a pochi giorni dalla pubblicazione di un dossier di Amnesty International, in cui viene denunciato il “drammatico aumento del numero delle persone, molte delle quali povere, messe a morte per reati di droga” nella Repubblica Islamica. Dall’inizio dell’anno, secondo i dati citati da Amnesty, “le esecuzioni per reati di droga sono state almeno 488, quasi tre volte di più rispetto a due anni prima”, quando l’organizzazione per i diritti umani aveva registrato almeno 166 esecuzioni del genere. In totale, nel 2011, mettendo insieme dati ufficiali e non ufficiali, Amnesty International ha contato circa 600 esecuzioni, di cui quelle per reati di droga costituiscono l’81%. Pakistan: il Natale dei cristiani nelle carceri www.korazym.org, 21 dicembre 2011 Vivere in una prigione pachistana è una vera punizione: le torture sono all’ordine del giorno e le condizioni di vita terribili. Ogni lavandino è utilizzato da più di cento persone e le celle sono strette e sovraffollate. Alcuni detenuti muoiono per dei semplici colpi di calore o per insufficienza cardiaca: settantadue nel solo 2010. E per i cristiani, già svantaggiati e oppressi in libertà, la situazione è davvero insostenibile. Grazie al frate domenicano Iftikhar Moon e ai suoi confratelli, anche questo Natale i detenuti di Faisalabad trascorreranno un momento di gioia. Semplici stelle e ghirlande di carta colorata doneranno luce alle grigie mura, restituendo per qualche giorno l’atmosfera natalizia. E in una piccola stanza sarà celebrata la Santa Messa, officiata lo scorso anno dal vescovo della città, monsignor Joseph Coutts. Dopo la funzione saranno distribuiti dei piccoli regali - per lo più cibo, coperte e medicine - e i secondini musulmani riceveranno in dono biscotti e limonata. “Purtroppo non tutti gli agenti sono brave persone - racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Iftikhar, responsabile della pastorale carceraria - e tra i sorveglianti c’è chi pretende soldi per consentire le visite ai detenuti cristiani”. Chi non può permettersi di “corrompere” i secondini è costretto a passare la prigionia senza vedere i propri cari, osservando i compagni di cella musulmani ricevere l’affetto dei familiari. “E pensare che la maggior parte di loro è in carcere proprio perché non ha i mezzi per pagare l’ammenda stabilita dal giudice”. Acs sostiene l’opera del frate domenicano che visita regolarmente tutti i detenuti della prigione centrale di Faisalabad. La struttura ospita circa 5mila persone - tra cui un centinaio di cristiani - arrestate in maggioranza per crimini legati alla droga o al traffico illegale di alcolici. Vi sono anche dei condannati a morte, generalmente costretti a condividere in sei o in sette un’angusta cella. “Appena entro il secondino chiude immediatamente la porta di ferro dietro di me” dice padre Iftikhar che negli anni ha incontrato numerosi assassini. “Mi ricordo un killer professionista. Non sapeva neanche lui quanti uomini aveva ucciso, ma davanti a me si è pentito e ha chiesto perdono a Dio”. Ovviamente non tutti si ravvedono e ad ACS il religioso esprime preoccupazione per la presenza di bande criminali intramurarie. Altri detenuti, invece, portano avanti gli affari ordinando via telefono perfino degli omicidi. Con l’arresto del capo famiglia, moglie e figli non hanno spesso di che vivere. Una problematica ben presente ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che nel luglio scorso ha stanziato 20mila euro per le famiglie dei cristiani pachistani accusati ingiustamente di blasfemia e vittime d’intimidazioni, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati. La Fondazione di diritto pontificio sostiene inoltre la Commissione Nazionale di Giustizia e Pace, che fornisce assistenza legale gratuita ai detenuti, e la pastorale carceraria. Recentemente - in seguito ad un tentativo di evasione - la prigione di Faisalabad ha rafforzato le misure di sicurezza, consentendo le visite di padre Iftikhar solo durante le festività. “Ho provato a convincere il direttore - si rammarica il religioso - ma senza alcun risultato. Ma, almeno a Natale, riusciremo a portare Gesù Bambino ai fedeli in carcere”.