Giustizia: dalla Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti, la svolta per carceri più civili? di Paolo Graldi Il Messaggero, 1 dicembre 2011 Il segnale può apparire piccolo, quasi un dettaglio che si sperde nel mare magno delle criticità del pianeta giustizia e perfino inavvertibile nell’universo dietro le sbarre. Eppure l’idea del Guardasigilli Paola Severino di confezionare al più presto una Carta dei diritti e dei doveri per chi “abita” nelle carceri italiane, non importa con quale ruolo, è un evento dalle potenzialità dirompenti. Una rivoluzione silenziosa annunciata dal ministro durante le audizioni alla Camera e al Senato di ieri e dell’altro ieri, che si iscrive in una visione riformatrice di tutto il sistema con un connotato fortemente garantista. È probabile che l’ispirazione sia venuta a Paola Severino, una lunga e scintillante carriera di penalista, dalla conoscenza diretta di una realtà complessa e cangiante, sempre dolorosa. Si dirà: ma ci sono già le leggi che fissano in articoli e commi questa materia. Certo, le regole, le deroghe e le sanzioni non mancano. Ma qui si tratta d’altro. Si tratta di andare oltre. Si tratta di immaginare un libretto del quale il detenuto che varca il portone del carcere viene fornito, un vademecum di comportamento che elenca ciò che è lecito a norma di regolamento e ciò che non lo è e del quale potranno disporre anche i familiari che da quel portone saranno divisi dal congiunto. L’arresto, la cella, lo spazio che improvvisamente si annulla, la forzata convivenza con altri, il rigore imposto dalla necessità di assicurare l’ordine e la sicurezza producono, sempre, qualunque sia la provenienza del recluso uno choc, un senso di totale smarrimento. Le condizioni oggettive di questa nuova vita producono spesso ferite incancellabili. Ferite prodotte dalla perdita improvvisa di identità, dall’assenza di una bussola per orientarsi, dall’angoscia per lo strappo con l’esterno, dall’assenza di un qualsiasi conforto effettivo e dall’esplodere di un contesto afflittivo. E va appena ricordato che la stragrande maggioranza dei detenuti italiani viene scaraventata in carcere in attesa di un giudizio e non va sottaciuto neppure che una percentuale altissima (al confronto con i dati europei) esce da questa esperienza con un giudizio di assoluzione. Di qui, pensa il ministro che ha posto il dramma delle carceri tra i primissimi punti del suo impegno di governo, la necessità di orientare i comportamenti attraverso una Carta che possa rappresentare, ovviamente per i detenuti ma anche per il personale di custodia o amministrativo, un riferimento certo. Episodi di ogni genere, alcuni clamorosi altri scandalosi e penalmente perseguiti, ci raccontano di una sorta di annientamento della persona dietro le sbarre, spogliata non solo della libertà ma spesso anche della dignità, del diritto al rispetto che si deve alla persona. Una carta che sappia contemplare anche nei dettagli più minuti la linea di demarcazione tra il rispetto delle regole e gli abusi. “Qui si fa come diciamo noi!”, gridò il secondino al detenuto appena privato della libertà. Fare come, fare che cosa? Potrà sembrare semplice, perfino banale ma in quella condizione (e fatte salve le norme imposte dalla particolarissima condizione e indotte dal luogo del tutto speciale) è importante sapere come vestire, quali oggetti personali poter tenere con sé e quali non consentiti, come poter accedere allo spaccio, per poter acquistare che cosa, con quale denaro, come amministrare la propria corrispondenza personale e anche come aiutare i familiari a confezionare i pacchi di alimentari e altre cose di stretta necessità, oppure quando poter pretendere o cambio della biancheria. Insomma, un cambio di vita tanto repentino e squassante si presta, in tutta evidenza, a interpretazioni discutibili, o troppo restrittive o troppo elastiche, nelle quali può influire persino il carattere di chi è chiamato alla difficile gestione dei reclusi. Assieme al cuscino, alle lenzuola e alla coperta da qui a poco chi sarà costretto a vivere l’avventura traumatizzante della reclusione, anche solo per pochi giorni, saprà di poter contare su un libretto che avrà anche la funzione di deterrente di fronte agli eventuali abusi e soprusi. Non è la Carta dei diritti, questo è sicuro, quel che taglia alla radice lo scandalo carcerario italiano, che l’Unione Europea, a tutti i livelli, continua a contestarci come una vergogna che assieme alla libertà toglie anche la dignità al carcerato. E tuttavia è un segno, un lampo di volontà riformatrice che va ad aggiungersi all’esame in corso per il ripristino del braccialetto elettronico, strumento adottato e poi abbandonato ma adesso ripreso in esame perché la tecnologia degli ultimi anni ha fornito soluzioni e condizioni di spesa accettabili. Non uno “svuota carceri” purchessia ma, semmai si procederà in questa direzione, un altro segnale che l’afflizione delle sbarre non è sempre e comunque necessaria se non è imposta da più alte e insormontabili ragioni di sicurezza, conclamate da chi ha questa delicata responsabilità. Dunque, la Carta non è tutto quel che serve, ma certamente serve a stracciare il velo di silenzio che tante storie racchiuse tra alte mura dove si calpesta la dignità ci raccontano, in una interminabile sequenza che va spezzata. E lo stesso dovrà valere per chi approda sulla nostra terra da Paesi vicini e lontani: quegli uomini, quelle donne, quei bambini saranno forse costretti dalle leggi a tornare da dove sono venuti ma, com’è nel caso della Carta per i detenuti e il personale di custodia, potranno leggere nella loro lingua che cosa il nostro Stato di diritto prevede per loro. E l’amnistia che i radicali primi fra tutti invocano a gran voce tenendo viva una infinita battaglia su questo fronte? Non è il governo, semmai è il Parlamento, viene detto da via Arenula, che deve muoversi. Giustizia: se l’amnistia si fa strada in Parlamento di Alessandro Calvi Il Riformista, 1 dicembre 2011 “Noi un testo ce lo abbiamo”, dice Rita Bernardini. E si riferisce alla amnistia. Ciò significa che, se Paola Severino ripete da giorni che questa non è materia alla quale possa metter mano il governo bensì il Parlamento e, con ciò, sembra lasciare aperto uno spiraglio, ebbene: i radicali in quello spiraglio hanno tutta l’intenzione di infilarcisi. E infatti: “Ritengo, dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia di ieri, che occorre riprendere l’agitazione. Armi della nonviolenza, dunque. Entro due giorni tornerò ad uno sciopero della fame”, spiegava Marco Pannella ai microfoni di Radio Carcere, rubrica di Radio Radicale, dopo aver preso atto di quanto il Guardasigilli aveva affermato nel corso della audizione in commissione Giustizia del Senato, l’altro ieri. Ieri, poi, è stata la volta della Camera e la Severino è tornata a battere sugli stessi tasti: efficienza e risparmio. Quanto ai cardini del lavoro del suo ministero, saranno quelli annunciati: le carceri, il processo civile, la geografia delle circoscrizioni giudiziarie. È però soprattutto sulle carceri che il nuovo governo ha deciso di fare le prime uscite pubbliche. Si tratta di una materia delicata ma trasversale e sulla quale nessuno, se davvero vi fosse una iniziativa politica seria, potrebbe legittimamente voltarsi dall’altra parte, né il centrodestra post berlusconiano né il centrosinistra, per quanto sempre più smarrito sulla giustizia. Altro sarebbe iniziare dai temi più controversi, come le leggi ad personam ancora giacenti alle Camere. La Severino lo sa bene, tanto da averlo messo a verbale già da qualche giorno: “Iniziare da lì sarebbe tatticamente sbagliato”. Ecco, dunque, il discorso sul braccialetto elettronico, che tanto successo ha ottenuto sulla stampa, e sul quale il Guardasigilli è tornata anche ieri precisando che, però, “non lo considero una soluzione finché non sarà provato che sia meno costoso del carcere e che funzioni”. Ed ecco anche una riflessione sull’allargamento della “platea di applicazione della detenzione domiciliare in chiave preventiva” o ad “istituti già sperimentati come quello della messa in prova”. Infine, l’amnistia. “La domanda è posta al soggetto sbagliato”, ha fatto notare il ministro a chi le chiedeva cosa farà il governo. D’altra parte, è da giorni che la Severino ripete che la materia è di competenza del Parlamento. E se il Parlamento “troverà la maggioranza qualificata richiesta, nulla quaestio”. A fine audizione, il Pdl Enrico Costa ha invocato una necessaria “continuità” con il lavoro degli esecutivi precedenti, ma per il resto è stato tutto un coro di “apprezzabile”, “condivisibile” e via così, da maggioranza e opposizione. Ed ecco che, come spesso accade, la sveglia alla politica, che la si condivida o meno, arriva ancora una volta dai radicali. “Quella del ministro mi è parsa una relazione sottotono”, dice la deputata Rita Bernardini, che si dice contenta di vedere che la questione carceri sia tornata al centro del dibattito ma dispiaciuta per alcune mancate risposte a una situazione “di totale illegalità che non riguarda soltanto le carceri” ma anche la mole di procedimenti penali e civili che rendono la giustizia ciò che è in Italia oggi. “Invece, con la nostra proposta sulla amnistia diciamo che, riducendo drasticamente i procedimenti penali destinati alla prescrizione, si possono liberare risorse da impiegare in modo più razionale, oltre a riparare alla flagrante violazione di leggi e principi che, dal nostro punto di vista, sono la dimensione della autorevolezza di uno Stato”. Ebbene, “non abbiamo ascoltato - dice la deputata radicale - risposte che abbiano la stessa efficacia di una amnistia”. Ed ecco, allora, Pannella e il suo annuncio sulla ripresa di “una iniziativa non violenta”. “Noi - ha detto ancora a Radio Carcere - riteniamo che abbiano avuto ragione tutti coloro che il 28 luglio, proprio a partire dal Capo dello Stato, hanno denunciato senza nessun dubbio questa condizione criminale di questa nostra Repubblica, del nostro regime repellente nei confronti dei diritti umani. Il problema di interrompere questa flagranza, che non riguarda solo le carceri, riguarda la giustizia, è il problema che continuiamo a porre”. Giustizia: Dap; detenuti a rischio suicidio saranno presi in carico da staff multidisciplinare Adnkronos, 1 dicembre 2011 L’obiettivo è prevenire il rischio di suicidi in cella con un nuovo metodo di lavoro che punta sulla condivisione degli obiettivi e sull’integrazione delle reciproche competenze: la filosofia è riassunta nella circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, emanata il 25 novembre scorso, secondo cui “deve essere superato il concetto di sorveglianza, oggi alla base delle misure utilizzate per prevenire gesti auto soppressivi; a questo deve sostituirsi quello di sostegno”. Nel documento firmato dal capo del Dap, Franco Ionta, il modello di trattamento deve comprendere sicurezza, accoglienza e rieducazione. Si raccomanda che “i soggetti ritenuti a rischio” vengano “presi in carico dallo staff multidisciplinare, che pertanto non sarà più denominato Staff di accoglienza bensì Staff di accoglienza e sostegno. In altri termini, tale organo collegiale - rimarca la circolare - oltre a continuare a svolgere la sua funzione originaria nei confronti dei nuovi giunti, dovrà mantenere ovvero riprendere in carico tutti quei soggetti che, pur se da tempo ristretti, manifestino i sintomi un intento auto aggressivo”. Lo Staff multidisciplinare dovrà agire in modo integrato con i servizi psichiatrici e sociali del territorio, avendo come riferimento un modello di intervento di comunità, secondo piani di trattamento individuali che, quando possibile, “devono tendere a un forte coinvolgimento anche dei familiari dei detenuti ed essere sottoposti a periodiche valutazioni multidisciplinari strutturate”. Nella circolare si raccomanda inoltre la massima attenzione nella scelta dell’ubicazione del detenuto: ‘Tale delicata decisione dovrà avvenire tenendo conto delle indicazioni dello staff multidisciplinare, in ogni caso evitando tassativamente ogni forma di isolamento del soggetto a rischio, ma semmai, per quanto possibile, individuando compagni di detenzione umanamente e culturalmente più idonei a instaurare un rapporto proficuo con la persona in difficoltà”. All’interno della nuova normativa di riforma della sanità penitenziaria, infatti, è espressamente previsto che i presidi sanitari presenti in ogni istituto penitenziario e servizio minorile debbano adottare procedure di accoglienza che consentano di attenuare gli effetti potenzialmente traumatici della privazione della libertà e mettere in atto gli interventi necessari a prevenire atti di autolesionismo. Tra gli Obiettivi di salute e i Livelli essenziali di assistenza, infine è presente la riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio. “Lo strumento da utilizzare in questi casi - spiega la circolare - risulta essere quello dell’intervento partecipato tra operatori della sanità ed operatori penitenziari, fondato su un Accordo tanto a livello centrale che a livello periferico”. L’Amministrazione penitenziaria, tramite le proprie articolazioni territoriali, le regioni e le altre pubbliche amministrazioni interessate, “si impegneranno a costruire (entro tre mesi dalla pubblicazione dell’Accordo) in ogni regione, all’interno di ciascun Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, un gruppo di lavoro tecnico-scientifico, composto anche da operatori penitenziari e sanitari, che avrà il compito di elaborare, sulla base delle linee guida esistenti e tenendo conto delle indicazioni degli organismi europei e dell’Oms, un programma operativo di prevenzione del rischio autolesivo e suicidario in carcere”. Per il Dap, il sistema necessita di essere affinato attraverso l’introduzione di tre aspetti di novità, peraltro strettamente interconnessi. Anzitutto la nuova operatività delle attività rese in staff, con particolare riguardo alla sinergia tra operatori penitenziari e sanitari; in secondo luogo l’estensione a tutta la popolazione detenuta delle iniziative mirate alla prevenzione del suicidio. E ancora la sostituzione della tradizionale attività di sorveglianza con le nuove attività di sostegno, assicurate in accordo tra le componenti dello staff, per la prevenzione del suicidio e la stretta collaborazione con altri Enti sanitari e sociali del territorio competenti in materia (Dipartimenti salute mentale, Province, Comuni, case famiglia, volontariato sociale). L’Amministrazione penitenziaria, da parte sua, dovrà facilitare le attività riabilitative e di risocializzazione, il coinvolgimento dei familiari e la ricerca di “un sostegno, non necessariamente lavorativo, ma quanto meno consistente in attività motivanti, quali la formazione certificato”. Giustizia: madri detenute; per Associazioni la nuova legge non ha portato nessun beneficio Redattore Sociale, 1 dicembre 2011 Le associazioni “Legale nel Sociale”, “A Roma, Insieme” e la Consulta permanente per i problemi Penitenziari a convegno a Roma per fare il punto sulla problematica. Carlizzi: “Una legge che in realtà non risolve il problema alla fonte”. “La nuova legge sulle detenute madri non porta nulla di nuovo per i circa 54 bambini sotto i 3 anni reclusi con le loro mamme in Italia”. È quanto affermano le associazioni “Legale nel Sociale”, “A Roma, Insieme” e la Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi Penitenziari che insieme ad altre realtà impegnate sul tema si sono incontrate questo pomeriggio presso l’Università di Roma Tre per il convegno “La nuova legge sulle detenute madri: riflessioni critiche e proposte”. A distanza di pochi mesi dalla promulgazione della legge n. 62 del 21 aprile 2011, per le associazioni non sembra che il futuro possa portare novità. “Non stiamo andando da nessuna altra parte rispetto al passato - spiega Lillo Di Mauro, della Consulta -. Questa legge di fatto non risolve i problemi di fondo che caratterizzavano la detenzione delle madri con i bambini e non fa altro che sancire che devono essere realizzate strutture a custodia attenuata, cosa a cui noi ci siamo sempre opposti in audizione in Commissione giustizia della Camera perché non sono altro che delle carceri vestite di nuovo”. Dello stesso parere Marco Carlizzi, presidente di Legale nel Sociale. “Si tratta di una legge che ha aspetti innovativi e positivi - spiega -, ma che in realtà non risolve il problema alla fonte. I bambini subiscono dei danni psicologici e relazionali enormi. Noi speravamo in un legge diversa, cioè che fosse impedito ad una mamma con un bambino di stare in carcere. Andavano create delle modalità alternative che invece nella legge sono solo accennate in maniera molto confusa”. Per Di Mauro, inoltre, una struttura di quelle previste dalla legge c’è già. È a Milano, ma non convince. “A Milano - spiega - vi hanno messo donne senza fare una cernita rispetto alla tipologia di reato”. Altro problema quello delle risorse economiche richieste dalla legge. Secondo Di Mauro, i fondi per realizzare le strutture indicate non ci sono. “Per realizzare quanto prevede la legge servono fondi che non ci sono - spiega -. Dall’approvazione della legge, infatti, ancora non si sa neanche dove realizzeranno queste strutture e quando”. L’alternativa “economica” e rispettosa dei diritti dei bambini, spiega Di Mauro, era stata proposta in sede di Commissione dalla stessa Consulta, senza successo. “La nostra proposta prevedeva che per le donne dovevano essere previste da subito case di accoglienza gestite dagli enti locali e dai servizi sociali - spiega Di Mauro -, solo in questo modo avremmo potuto consentire al bambino di vivere una vita normale e alla madre di essere recuperata e avviata anche a un lavoro. Queste strutture già oggi esistono. A Roma ce ne sono tre e questa soluzione avrebbe consentito di risparmiare, ma la proposta non è stata accolta”. Giustizia: Schifani; coniugare rigore e vivibilità nelle strutture penitenziarie Agi, 1 dicembre 2011 “Non c’è dubbio che occorre coniugare rigore, controllo del territorio, contrasto all’illegalità ma nello stesso tempo vivibilità all’interno delle carceri”. Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, parlando con i giornalisti a Palazzo Giustiniani a margine del congresso “Per un mondo senza la pena di morte”. “La nostra Costituzione - ricorda Schifani - affida alla pena una funzione rieducativa e rieducare significa anche consentire al detenuto di poter vivere dignitosamente all’interno di uno stato di detenzione”. Nel corso del suo intervento davanti ad una delegazione dei ministri della Giustizia, Schifani ha sottolineato che “l’Italia vanta un primato per l’abolizione della pena di morte” mettendo in evidenza che “il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato”. “La tutela del valore della vita - ha proseguito - deve essere un imperativo categorico e assoluto in linea con lo spirito e il significato più profondo del termine democrazia”. Infine, il presidente del Senato ha sostenuto che “l’efficienza di un paese si misura attraverso un sistema giustizia che sappia possedere e utilizzare strumenti di equa severità non disgiunta da umanità”. Giustizia: Ferri (Mi); servono soluzioni urgenti a sovraffollamento Adnkronos, 1 dicembre 2011 I temi e le questioni sollevate dal Ministro della Giustizia nel corso della sua prima audizione alla Commissione Giustizia del Senato “sono di centrale importanza e devono stimolare un dibattito e una seria riflessione anche in seno alla Magistratura. Il tema del sovraffollamento carcerario sollevato da più parti e il successivo dibattito che si svilupperà deve stimolare tutti gli operatori a trovare soluzioni urgenti e concrete”. Lo sottolinea Cosimo Maria Ferri, Segretario generale di Magistratura Indipendente. È quindi “necessario, affrontare il problema con pragmatismo, immaginando e quindi proponendo nelle opportune sedi soluzioni praticabili anche nell’attuale congiuntura economica, tempestive e veramente efficaci, avendo ben presente che la situazione è grave e complessa e che non può essere risolta in breve tempo”. L’attuale sistema penitenziario “non garantisce, purtroppo, condizioni di vita in linea con i principi di umanità e dignità della persona, e mancano le risorse economiche, strutturali e umane per rendere il sistema carcerario adeguato e finalizzato all’attuazione del processo rieducativo del condannato ed al suo graduale reinserimento nella società, come esige una concezione moderna della pena e come stabilito dalla nostra Carta Costituzionale”. “Sul piano dei numeri della popolazione detenuta - prosegue - occorre agire in tempi rapidi sul fronte della massiccia depenalizzazione, valorizzando il sistema delle sanzioni di tipo alternativo alla pena detentiva”. “Dal momento che non può essere in alcun modo ulteriormente minato il principio di certezza della esecuzione della pena e non possono essere erose le garanzie per la sicurezza dei cittadini, appare necessario arrivare ad un significativo ridimensionamento della popolazione carceraria attraverso strumenti di natura ordinaria e non indulgenziale. A tale risultato - rileva Ferri - si può giungere attraverso il progressivo aumento del numero di condannati in grado di accedere a misure alternative alla detenzione”. “È necessario inoltre prevedere una manovra di ampio respiro che ponga al centro anche la revisione dei limiti edittali della pena. Misure di depenalizzazione, sicuramente benefiche e necessarie a nulla servirebbero se non accompagnate da una revisione dell’entità delle pene comminate. Basti pensare ad un reato come la ricettazione, oggi punita dai due agli otto anni, tuttavia non sempre il giudice riesce a riconoscere la lieve entità”. “La magistratura, infine, deve mostrare coraggio sul tema della carcerazione preventiva. I tempi sono maturi per attribuire la competenza ad irrogare le misure cautelari personali ad un organo collegiale, purché per tale previsione sia accompagnata da concrete ed efficaci misure organizzative (ad esempio la revisione delle circoscrizioni giudiziarie) e dalla eliminazione del tribunale del riesame. La ricerca di tempestive ed efficaci soluzioni in merito a questo delicato tema - conclude - non può prescindere dalla ripresa del dialogo delle Istituzioni con gli operatori chiamati ad applicare concretamente le norme, in un clima di costruttiva collaborazione”. Giustizia: Osapp; il prossimo anno 3.000 agenti in meno, a fronte di sole 1.140 assunzioni Comunicato stampa, 1 dicembre 2011 “Probabile che per le carceri, con 67.828 detenuti per 45.636 posti, con 8 regioni (Calabria, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) che malgrado letti a castello e materassi per terra hanno superato, da tempo, qualsiasi capienza massima tollerabile e altre 11 regioni che hanno superato la capienza regolamentare, occorra fare qualcosa di più e di meglio che i braccialetti elettronici o l’ampliamento della detenzione domiciliare”. È quanto afferma il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) Leo Beneduci riguardo all’audizione scorso 29 novembre al Senato del Guardasigilli Paola Severino. “Come sindacato abbiamo preferito non commentare nell’immediato alcune delle dichiarazioni del Ministro della Giustizia - prosegue il sindacalista - nel rispetto di chi è Ministro della giustizia da pochi giorni e deve comprendere ed entrare nei meccanismi che hanno causato l’inarrestabile disagio e l’assoluta disorganizzazione dell’attuale sistema penitenziario italiano”. “Ma le notizie disastrose che abbiamo ricevuto dal territorio riguardo al personale, soprattutto dopo le prime avvisaglie di una nuova possibile riforma del sistema pensionistico, ci hanno indotto a parlare sin d’ora.”. “Solo per la polizia penitenziaria la cui età media è molto più alta di quella delle altre forze di polizia, per la scarsità delle assunzioni e per un organico bloccato al 1992 - indica ancora il leader dell’Osapp - nel 2012 si prospettano oltre 3.000 richieste di pensionamento a fronte di sole 1.145 assunzioni e già oggi il corpo difetta di 6.000 unità rispetto alle 45mila previste, mentre non si sa più nulla delle ulteriori 1.600 assunzioni vantate dagli ex Guardasigilli Alfano e Palma e anche per quanto riguarda il personale dei profili tecnici e amministrativi, a parte i futuri pensionamenti, la carenza è di oltre 2.300 unità per un organico di sole 8.700”. “Per tali ragioni non riteniamo possano costituire effettive soluzioni, né il fallimentare, mai utilizzato e ciò nonostante costosissimo braccialetto elettronico, né il potenziamento delle misure alternative gestite dagli Uffici per l’Esecuzione Penale sul territorio che già provvedono per 45mila soggetti e sono privi di personale e di mezzi, né tanto meno un innalzamento dei limiti di pena per la detenzione domiciliare già accolta con sfiducia dalla magistratura di sorveglianza e non utilizzabile né per i detenuti extracomunitari pari al 30% della popolazione detenuta, né per gli oltre 1.800 internati e neanche per i 9mila detenuti ad alto indice di pericolosità e classificati AS,”. “Infine riteniamo inutile sottolineare - conclude Beneduci - che da un Ministro della Giustizia di cui apprezziamo l’alta competenza tecnica, qual è la Professoressa Paola Severino, attendiamo anche per le carceri proposte di alta competenza tecnica e di portata definitiva, più che riferimenti a iniziative, quali appunto quella dei braccialetti, a suo tempo da altri dettate più da esigenze elettorali che pratiche”. Giustizia: sul “braccialetto” 10 anni di fallimenti… più che una soluzione, un tormentone di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2011 Si susseguono i ministri, ma le idee non cambiano: il braccialetto elettronico potrebbe essere lo strumento da utilizzare per svuotare le carceri. Lo ha ribadito anche ieri, nel corso dell’audizione presso la commissione Giustizia della Camera, il neo Guardasigilli Severino, che ha posto però dei paletti: “Non la considero una soluzione finché non sarà provato che sia meno costoso del carcere e che funzioni”. Già, perché - come il Fatto ha raccontato a settembre - in tanti anni di sperimentazioni, ne hanno beneficiato soltanto quei pochi detenuti che sono riusciti a scappare. E il danno alle tasche degli italiani è stato invece enorme. Se ne cominciò a parlare nel lontano 1994, con gli allora ministri dell’Interno e della Giustizia Napolitano e Flick. D primo a volerlo testare fu Enzo Bianco: un decreto legge del 2 febbraio 2001 istituì la sperimentazione del “Personal identification device”. Sembrava la panacea di tutti i mali carcerari e invece Augusto Cesar Tena Albirena, detenuto peruviano di 43 anni, condannato a 5 anni e 8 mesi per traffico di droga, fece beatamente perdere le proprie tracce. Con una semplice mossa, tagliò i fili del braccialetto, il cui allarme non suonò, e fuggì. Un altro detenuto sottoposto alla sperimentazione chiese dopo poco di poter rientrare in carcere: il braccialetto difettoso suonava ogni cinque minuti. Costo dell’operazione, sessantamila delle vecchie lire per ogni apparecchio. Passarono due anni e il nuovo ministro dell’Interno, Beppe Pisanu, rilanciò. Stavolta, però, si fecero le cose in grande. A novembre 2003 venne firmato un contratto con un gestore unico, la Telecom, che avrebbe dovuto garantire l’installazione dei braccialetti e l’assistenza tecnica, ovvero una centrale operativa 24 ore al giorno, situata alle porte di Roma e collegata con tutte le Questure d’Italia. Valore del contratto, poco meno di 11 milioni di euro all’anno: in totale quasi cento milioni di euro, cui vanno aggiunti gli altri dieci della prima sperimentazione. E non importa se di 400 Personal identification device ne sono stati utilizzati appena sei e gli altri sono rimasti a marcire negli armadi del ministero: il contratto con Telecom, che scade tra pochi giorni, a dicembre, va comunque onorato. Ecco perché il ministro Severino annuncia di volerci vedere chiaro e soprattutto di non voler rinnovare al buio la convenzione. “Dalle primissime proiezioni - ha spiegato ieri - sembra che se riuscissimo ad applicare il braccialetto a un numero significativo di persone, che altrimenti dovrebbero essere detenute in carcere, allora ci sarebbe una convenienza economica”. Per quanto riguarda il tema degli ostacoli tecnici che impedirebbero la ricezione del segnale del braccialetto, il ministro ha aggiunto che “dalle prime verifiche sembra che sia possibile localizzare sempre la persona sotto controllo nei suoi movimenti e che i tentativi di rimozione sono rilevabili a distanza”. Questo, in teoria. Il braccialetto elettronico viene usato all’estero per reati minori, come la violenza negli stadi. In Gran Bretagna serve a tenere i minorenni fuori dai riformatori. In Spagna lo hanno adottato nel 2009 per i mariti violenti, in Francia viene usato per controllare gli spostamenti degli stalker. Non proprio una misura svuota-carceri”. Giustizia: ministro Severino; uso braccialetto elettronico solo se costa meno del carcere Dire, 1 dicembre 2011 Paola Severino precisa che il rilancio del braccialetto elettronico come una delle misure per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri non la considera “una soluzione finché non sarà provato che sia meno costoso del carcere e che funziona”. Il giorno dopo la sua audizione in commissione Giustizia al Senato, il ministro parla delle linee programmatiche del suo dicastero anche nell’omologa commissione della Camera. E fa delle precisazioni sul tema che, dopo le parole di ieri, come dice lei stessa, “ha suscitato più interesse”, anche con reazioni di scetticismo visti i flop dopo la sua introduzione nell’ordinamento italiano. “Prima che come ministro - spiega Severino - io da cittadino mi sono chiesta perché non provare. E non capisco se il fallimento del braccialetto elettronico è stata la conseguenza di cause tecniche, o per mancanza di abitudine oppure per un pregiudizio culturale. Sto cercando di fare questo approfondimento”. E ricorda che “c’è una convenzione” con la Telecom “che scade a dicembre 2011” e che “non sarebbe mia intenzione incentivarne il rinnovo prima di aver verificato che sia più economica la riattivazione de braccialetto e il suo uso”. In pratica, continua il guardasigilli, nulla è ancora deciso, ma dipenderà dalla valutazione sui “costi-benefici” che può portare e se ci saranno reali “risparmi”. Ma dai “primi rilievi- sottolinea- tra il costo della detenzione giornaliera e il braccialetto, il risultato andrebbe già a favore di quest’ultimo”. Una volta appurato che il braccialetto elettronico conviene dal punto di vista dei risparmi nell’affrontare l’emergenza carceri, occorrerà, aggiunge Severino in audizione in commissione Giustizia alla Camera, “passare alle valutazioni sugli aspetti tecnici”, ossia capire se dal punto di vista della tecnologia “ci sono impedimenti”. Certo, continua, “con le innovazioni tecnologiche sembra che sia più facile poter seguire e monitorare” se la persona che lo indossa non esca dal perimetro di spazio che gli è concesso. “Le prima verifiche - spiega il ministro - dimostrano che il braccialetto non sarebbe rimovibile e che i tentativi di rimozione farebbero scattare l’allarme”. Il ministro sottolinea dunque che “ci sono delle condizioni” da verificare (ossia i risparmi nei costi e l’affidabilità tecnologica) prima di introdurre il braccialetto elettronico come “misura alternativa o congiunta alla detenzione domiciliare”. Infine, dice il guardasigilli, un’ulteriore cosa da tenere in considerazione per il rilancio del braccialetto sono i dati sul tasso di recidiva. “Mi sono stupita - conclude - nel vedere in quanti Paesi che hanno adottato la tecnologia la recidiva si abbassi in maniera vertiginosa. È un forte deterrente rispetto alla commissione di altri reati durante il suo utilizzo”. Giustizia: Rita Bernardini; i “braccialetti”?… parliamo dei veri problemi delle carceri! Agenparl, 1 dicembre 2011 “L’attenzione dei media si è concentrata su questa storia del braccialetto elettronico che in Italia si è trasformata in una delle tante storie della partitocrazia italiana”. Lo dice l’on. Rita Bernardini dei Radicali Italiani in un’intervista rilasciata a radio 24 mattina a proposito dell’intenzione del neo Ministro della Giustizia, Paola Severino, di intervenire con un uso estensivo del braccialetto elettronico per risolvere il problema delle carceri che vede 69 mila detenuti a fronte di 48 mila posti. “Sono anni che si parla di questo braccialetto, sono stati spesi 115 mln di euro per avere 400 braccialetti dei quali sono stati utilizzati solo 10 e con effetti che non sono ancora soddisfacenti” - spiega l’on Bernardini - “sono stata a Regina Coeli qualche giorno fa, dove abbiamo in 6 mq 3 detenuti che hanno quindi a disposizione circa 2 mq, in una condizione in cui restano per 23 ore e 40 minuti al giorno e con solo 20 minuti d’aria, parliamo di persone - sottolinea la deputata dei Radicali - che sono malate e versano in condizioni igieniche disastrose perché non gli forniscono nemmeno i detergenti. C’è una direttiva europea che invece, parlando di suini, - dice con un filo d’ironia - stabilisce per gli allevatori che ogni suino debba avere a disposizione almeno 6 mq pena una sanzione all’allevatore e la liberazione del suino. Il problema delle carceri - sottolinea la Bernardini - è l’appendice di una giustizia che non funziona perché non può funzionare un paese dove ci sono 5 mln e 200 mila procedimenti penali sospesi dei quali 200 mila all’anno cadono in prescrizione, come si può parlare di giustizia in un paese dove ci sono altrettanti procedimenti civili. Purtroppo il problema non è stato ancora affrontato dal nuovo Guardasigilli”. Giustizia: Francesco Maisto; braccialetto elettronico? un costo, dal risultato imprevedibile Redattore Sociale, 1 dicembre 2011 Maisto (Presidente Tribunale Sorveglianza a Bologna) pensa a soluzioni economiche e a leggi ferme. “Far funzionare i tribunali di sorveglianza in rete con l’amministrazione penitenziaria”. E propone modifiche alle leggi che limitano l’uso delle misure alternative. Sono circa 67 mila i detenuti nelle carceri italiane. Circa 20 mila in più rispetto alla capienza regolamentare. Di questi circa il 40% ha una condanna definitiva, mentre quasi il 50% è in attesa di giudizio. In questa situazione il carcere non può funzionare. “Perché l’istituzione carcere possa andare avanti in una prospettiva di razionale ed economica gestione - dice Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna - è necessario abbassare notevolmente il numero dei detenuti”. Ma in che modo? Il neo ministro della Giustizia, Paola Severino, ha proposto tra le possibili soluzioni per affrontare il sovraffollamento anche l’utilizzo del braccialetto elettronico, già sperimentato in passato in Italia (senza molto successo) e utilizzato oggi in alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti. Sull’uso del braccialetto, Maisto si limita ad augurare “buon lavoro” a chi deciderà di ripercorrere una via già percorsa in passato da altri, sempre in un’ottica deflattiva, ma senza grandi risultati. Insomma, secondo Maisto, “con il braccialetto elettronico, ci si accinge a un costo dai risultati imprevedibili”. Ecco perché il magistrato pensa, piuttosto, ad altre soluzioni che possano essere attuate a “leggi ferme”, ovvero senza interventi del Parlamento trattandosi di atti amministrativi, come far funzionare a pieno regime i Tribunali di sorveglianza e farli lavorare in rete con l’Amministrazione penitenziaria. Ma propone anche la modifica delle ultime leggi che hanno portato rallentamenti nell’applicazione delle misure alternative. Di utilizzare il braccialetto elettronico in Italia si parla dal 1994. E nel 2001 c’è anche stata una sperimentazione. Ma non andò a buon fine: un detenuto fuggito e uno che chiese di tornare in carcere perché il braccialetto suonava in continuazione. Poi nel 2003 venne firmato un contratto da 100 milioni di euro con Telecom per gestire braccialetti e assistenza tecnica, ma dei 400 dispositivi acquistati, ne sono stati utilizzati meno di 10. “L’attuale ministro non è il primo a esordire con il rilancio del braccialetto elettronico - spiega Maisto - ma bisognerebbe chiedersi, in un momento di recessione come quello che stiamo vivendo, se è il caso di implementare uno strumento tecnologico che serve solo al controllo, perché per quello scopo basta la detenzione domiciliare”. La prospettiva non può essere solo il controllo del detenuto, ma deve esserci qualcosa di più. Quali soluzioni, dunque? Far andare a pieno regime i Tribunali di sorveglianza e farli lavorare in rete con l’Amministrazione penitenziaria. Sono questi i primi due interventi da attuare secondo Maisto. “Abbiamo una marea di arretrati sulle liberazioni anticipate, che, tra l’altro, riducendo la pena permettono il ricorso alle misure alternative - spiega - e capita spesso che il personale dei tribunali di sorveglianza venga distaccato in altri uffici, bloccando di fatto il lavoro”. Come accadrà a Modena, dove dal primo dicembre nell’ufficio di sorveglianza (che dipende dal Tribunale di Bologna e ha la competenza su 2 case lavoro e 1 casa circondariale) non ci sarà più la cancelleria ma solo il magistrato. “Altro passo importante è creare un’interfaccia, oggi inesistente, con l’amministrazione penitenziaria - continua Maisto - Se mi arriva una richiesta di liberazione anticipata senza la relazione sul comportamento del detenuto, dovrò richiederla, aspettare la risposta della direzione del carcere e nel frattempo passa del tempo”. Deve esserci insomma la possibilità di un confronto diretto per “abbattere i tempi morti”. Negli ultimi anni ci sono state diverse leggi che hanno limitato il ricorso alle misure alternative. Se prima dell’indulto c’erano 40 mila detenuti in carcere e altrettanti in misura alternativa, oggi quelli in misura alternativa sono circa 18 mila. “È dimostrato che chi ottiene le misure alternative ha una recidività molto più bassa rispetto a chi esce dal carcere senza queste misure” precisa il magistrato. Tra le proposte ci sarebbe anche quella di prevedere che, ad esempio, nei giudizi per direttissima il giudice debba sentire le comunità o le cooperative sociali per decidere se l’imputato possa essere mandato, anziché in carcere, in comunità. In questo modo si eviterebbe il passaggio dal carcere (riducendo anche i costi). Tra le leggi “responsabili” di aver chiuso lo spettro di applicazione delle misure alternative ci sono la legge Cirielli, la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. “Bisogna rivedere ostatività e blocchi ma anche l’eccessiva burocratizzazione introdotta dalla Fini-Giovanardi per l’esecuzione penale - precisa Maisto - Pensiamo, ad esempio, alle relazioni complesse a cui sono costretti gli operatori dei Sert per non vedersi rigettare le istanze”. Anche la stessa legge Alfano 199/2010 (la cosiddetta “svuota carceri”) non ha sortito gli effetti sperati: in circa 1 anno di applicazione ha fatto uscire poco più di 3.000 detenuti in tutta Italia. “Non è servita ai fini deflattivi perché richiedeva la presenza di un domicilio per chi usciva e, spesso, queste persone un domicilio non l’avevano - conclude Maisto - Ma per fare in modo che il carcere faccia bene il suo mestiere, bisogna liberarlo dalla detenzione sociale: ma per farlo serve una testa non carcero-centrica”. Giustizia: Palamara (Anm); sul “braccialetto” serve progetto pilota in piccoli centri Ansa, 1 dicembre 2011 Il braccialetto elettronico potrebbe anche essere una parziale soluzione alla situazione di sovraffollamento delle carceri, che è “drammatica”, ma occorre dar vita, per applicarla, a “progetti pilota in piccoli centri”, per verificare il corretto funzionamento dello strumento e la sua reale efficacia. A dirlo il presidente dell’Anm, Luca Palamara, conversando con i cronisti a margine della III edizione del Salone della Giustizia. “Bisogna essere realistici - ha detto Palamara - la situazione delle carceri è drammatica, ma non si può risolvere con un provvedimento di amnistia”. Per quanto riguarda poi il ricorso al braccialetto elettronico, però, “bisogna fare prima un’analisi del rapporto costi-benefici e dare vita a qualche progetto pilota che coinvolga pochi elementi in piccoli centri”, in maniera da “testare l’efficacia dello strumento”. Commentando infine la relazione del ministro della Giustizia, Paola Severino, alle commissioni parlamentari, Palamara ha sottolineato che punti come la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie e i ragionamenti fatti sulle carceri “sono condivisibili. I magistrati - ha concluso il presidente dell’Anm - sono pronti a fare la loro parte, anche in ossequio a quello che ci chiede l’Europa a livello di Giustizia”. Giustizia: Garante detenuti Roma; collaboreremo con ministro per Carta diritti e doveri Adnkronos, 1 dicembre 2011 “Aderisco in pieno alla proposta del guardasigilli di realizzare una guida ai diritti e doveri da destinare alle persone recluse in quanto atto di trasparenza, legalità e rispetto dei diritti della persona da parte dello Stato. Non è infatti immaginabile che una persona che entra in carcere si trovi catapultata in una nuova vita fatta di molteplici regole da osservare senza che sappia come comportarsi se non con l’aiuto dei compagni di detenzione”. Lo ha detto il Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale per Roma Capitale, Filippo Pegorari. “Tra i compiti del Garante - spiega - dei diritti delle persone private della libertà personale, figura istituita con deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 90 del 14 maggio 2003, vi è proprio quello di promuovere, anche attivando iniziative congiunte o coordinate con altri soggetti pubblici, l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile da parte dei detenuti”. Lettere: i famigliari dei detenuti scrivono a Napolitano… intervenga su emergenza Notizie Radicali, 1 dicembre 2011 “A Lei ci rivolgiamo, disperati e fiduciosi al contempo, affinché di qui a breve si possa dire che in Italia, nella Repubblica, non soltanto le attività di prevenzione, controllo, investigazione ed il momento processuale, ma anche la successiva fase di esecuzione della pena torni ad essere legale, rispettosa cioè delle leggi e dei principi costituzionali che ne devono caratterizzare essenza e finalità”. Il “Comitato familiari dei detenuti” scrive così in una lettera per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, consegnata all’Associazione radicale Il Detenuto Ignoto affinché questa possa arrivare nelle mani del “Garante della Costituzione”. Il comitato rivolge un ennesimo appello al capo dello Stato affinché “voglia levare alta la Sua voce, ed il Suo monito, per far si che le Istituzioni rendano finalmente legale anche il momento, il luogo ed il modo con cui il cittadino-condannato patisce la propria detenzione, confidando che essa possa rappresentare una mano tesa dello Stato-Comunità e non più, come invece oggi accade, un castigo umiliante e medioevale”. “Lei sa - continua la missiva - che nelle carceri italiane non si insegna alcun mestiere, non si cura alcuna malattia, non si rispettano i cardini del contratto di legalità astrattamente concordato, oltre che nei principi costituzionali, anche nelle leggi sull’ordinamento Penitenziario”. E anzi “nelle carceri italiane si vive ammassati gli uni sugli altri, privi di spazi vitali, gettati per 23 ore al giorno all’interno di celle affollate, sporche e prive delle più elementari strutture di dignità per l’essere umano”. Oltre al fatto che negli istituti di pena italiani “si muore tanto, esattamente come nei cantieri insicuri, sulle strade battute dalla ineducazione civica, negli ospedali mal gestiti”. Infine, il comitato chiede un intervento di Napolitano “per dare voce e corpo all’ennesimo digiuno che Marco Pannella intende nuovamente intraprendere insieme ai detenuti e non” per protestare contro l’emergenza carceri. Lettere: pena di morte e pena fino alla morte di Gaetano Bonomi (Sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Potenza) Il Quotidiano della Basilicata, 1 dicembre 2011 Ben 70mila esseri umani detenuti - come animali - in spazi chiusi, dalle dimensioni esigue, in grado di accogliere tutt’al più 40.000 persone, ripartiti su appena 201 istituti di pena; sessanta suicidi nelle patrie galere d’Italia nel solo anno 2011; venti minuti di aria al giorno, dopo una convivenza di circa 23 ore al giorno per non meno di sei persone in celle della superfice di 2 metri per sei. Sono queste le cifre salienti ed i numeri del fallimento totale, del default di diritto, dell’assenza di umanità, del carattere quasi delinquenziale di uno Stato che violando palesemente l’articolo 27 della Costituzione, va ad accomodarsi, udite udite, alle celebrazioni avvenute per l’avvenuta eliminazione da parte di alcuni stati africani(Gabon e altri) della pena di morte, mentre in casa propria continua poi ad applicare una pena come la reclusione fino alla morte. La sensazione di nausea che affligge molti degli operatori del diritto chiamati ad occuparsi, nei vari ruoli di avvocato, magistrato, assistente sociale, agente di polizia penitenziaria, degli esseri umani da cui è popolato il pianeta carcerario è sicuramente di intensità pari se non superiore all’assoluto disinteresse pure manifestato per lka sorte di tali individui da parte di altri cosiddetti operatori della materia, da cui i detenuti sono verosimilmente considerati alla stregua di cave da laboratorio, suscettibili, in quanto tali, di “mera osservazione e valutazione scientifica”. Ma quando è che saremo tutti un po’ più seri, rinunciando ad atteggiamenti manichei e di puro perbenismo, per cui quell’amnistia che è chiesta da gente seria ed onesta qual è quella che milita nel Partito Radicale, va respinta o quantomeno guardata con sospetto, solo perché uno Stato incapace non solo deve continuare a far morire le persone in carcere, tra stenti e sofferenze, ma deve anche tentare di apparire (a chi?) come uno Stato munito di una cosiddetta etica, che in realtà non sembra possedere? Firenze: all’Opg internato tenta di impiccarsi, salvato dagli agenti La Nazione, 1 dicembre 2011 Altro tentativo di suicidio all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino: un recluso ha tentato di impiccarsi. A riferire il fatto è il sindacato di polizia penitenziaria Sappe in una nota. Il mese scorso un altro ospite dell’Opg toscano aveva tentato il suicidio, nella stessa cella, riferisce il Sappe. L’episodio è avvenuto lunedì scorso, 28 novembre, intorno alle 14: protagonista un 50enne italiano rientrato da alcuni giorni dopo essere stato in una comunità della Romagna dove non era però riuscito a integrarsi. “Fatalità o coincidenza - spiega il vicesegretario provinciale Sappe Giuseppe Pagano - il tentativo di suicidio è avvenuto nella stessa cella dove il mese scorso un altro internato aveva tentato l’insano gesto”. Il personale penitenziario e quello sanitario in servizio hanno salvato il 50enne per poi prestargli le prime cure. Successivamente l’internato è stato trasportato all’ospedale San Giuseppe di Empoli e piantonato sul posto. Ieri, martedì, il detenuto è stato dimesso ed è tornato all’Opg di Villa Ambrogiana. Margara: disattesi i progetti contro sovraffollamento E proprio ieri il Garante regionale dei detenuti, Alessandro Margara, ha visitato l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Margara ha denunciato che si sono portati avanti i lavori di ristrutturazione che, anziché superare il sovraffollamento dell’Opg, porteranno ancora altri detenuti. Il progetto, spiega Margara, si articolava su due punti: la creazione di una sezione ristrutturata - la Sezione Ambrogiana, che dovrebbe accogliere i soli internati toscani, con una gestione del tutto autonoma e incentrata sull’aspetto sanitario; e la definizione di una soluzione di accoglienza nelle regioni di appartenenza degli altri internati non toscani. “Quello che sta succedendo - ha detto il Garante - è che i lavori nella terza sezione, che non servivano, sono in buona parte conclusi. Mentre dei lavori nella Sezione Ambrogiana, che sarebbero serviti a portare avanti l’attuazione del programma, non se ne parla. Nel contempo mancano prospettive effettive per la sistemazione degli internati delle altre regioni”. Al contrario, ha concluso Marga, “una volta completati i lavori nella ex-terza sezione, la più grande, è molto probabile che ci sarà qualche dimissione e molti nuovi arrivi dagli altri Opg sovraffollati. E tutto resterà come prima”. Foggia: Sel; contro sovraffollamento abolire carcere per tossicodipendenti e clandestini Gazzetta del Sud, 1 dicembre 2011 Cambiare alcune regole sulle misure cautelari per evitare ai detenuti di vivere in carceri sovraffollate e in condizioni disumane. È quanto scrive in due lettere Lino Del Carmine, membro della segreteria foggiana di Sel, inviate al presidente della Regione Nichi Vendola e al ministro della Giustizia Paola Severino. A Vendola Del Carmine esprime la sua soddisfazione per la decisione presa dal governo pugliese di istituire la figura del garante per i diritti dei detenuti. Alla Severino, invece, presenta una serie di proposte per evitare l’eccessivo affollamento delle carceri che, come accade ad esempio a Foggia, è arrivato, secondo l’esponente di Sel, a livelli inumani. Tra queste, quelle di abolire il carcere come misura cautelare o trovare soluzioni alternative alla reclusione per tossicodipendenti, malati psichici e clandestini. In entrambe le lettere, Del Carmine ricorda che nella casa circondariale di Foggia ci sono circa 750 detenuti, invece dei 370 che la struttura può ospitare. Questo accade mentre in provincia, conclude, ci sono carceri inutilizzate o incompiute come quelle di Apricena, Castelnuovo, Accadia, Orsara, Bovino e Volturara. Teramo: detenuti chef in tv, nella rubrica “Penne e Calamari” Agi, 1 dicembre 2011 Per la prima volta, unica in Italia, la Casa Circondariale di Castrogno, a Teramo, ospita un’emittente televisiva nelle sue cucine, dove nove detenuti preparano ogni giorno più di 800 pasti. Menù differenziati, per ogni stato di salute, per esigenze e fedi religiose diverse, specializzandosi nel lavoro di cuoco. “I nostri progetti di reinserimento - ha spiegato il direttore dell’Istituto, Stefano Liberatore - vogliono far nascere nuove motivazioni ad imparare un mestiere, dimostrare con i fatti che un comportamento virtuoso e la buona volontà portano a sentirsi realizzati e, in qualche modo, a piccoli grandi successi. Il nostro scopo deve essere sempre la valorizzazione delle risorse umane in funzione del reinserimento sociale”, ha concluso. Dal mese di ottobre è attivo nell’Istituto un corso di scuola media secondaria per l’Istituto professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione. I detenuti coinvolti nel progetto avranno la possibilità di svolgere il loro tirocinio pratico nella cucina dell’Istituto. La trasmissione è realizzata dall’emittente Teleponte, nella sua rubrica quotidiana “Penne e Calamari”, mostra fedelmente il funzionamento del servizio mensa e racconta, con l’aiuto dei detenuti, la vita detentiva nella sua quotidianità. La puntata andrà in onda domani alle ore 12.30 ed in replica alle 22.45. Per il 20 dicembre è prevista la realizzazione di una seconda puntata, dal tema prettamente natalizio, che verrà trasmessa il 25 dicembre alle ore 12.45. La realizzazione della trasmissione ha rappresentato un momento di incontro importante che ha gratificato detenuti ed operatori. Arezzo: chiuso il vecchio carcere, bloccati i lavori per il nuovo, nessuna certezza sul futuro www.arezzoweb.it, 1 dicembre 2011 Chiusa la vecchia struttura, bloccati i lavori per la nuova, nessuna certezza sul futuro. Nel frattempo si moltiplicano i problemi per forze dell’ordine e magistrati nonché, ovviamente, per i detenuti. La lunga storia della casa circondariale di Arezzo si arricchisce di una nuova interrogazione parlamentare presentata dai deputati Pd, Donella Mattesini e Rolando Nannicini. “La situazione si sta progressivamente aggravando. L’11 novembre era la data prevista per la conclusione della prima fase dei lavori di ristrutturazione. In realtà è tutto fermo. La piccola sezione per 10 detenuti, denominata “accettazione”, è stata chiusa nell’aprile scorso nonostante che fosse distinta dall’area interessata dai lavori e quindi potesse continuare a funzionare. Per l’autunno avrebbero dovuto essere presentati gli elaborati del progetto di adeguamento strutturale e funzionale del muro di cinta, degli impianti di sicurezza e della manutenzione delle facciate. Non è stato presentato assolutamente nulla e non sappiamo quando questo accadrà. Sappiamo soltanto che i lavori sono stati interrotti da alcuni giorni e la motivazione sembra risiedere nel mancato pagamento di circa 750mila euro alla ditta appaltatrice”. Blocco totale, quindi. Con il moltiplicarsi di problemi che Mattesini e Nannicini sottolineano nella loro interrogazione: “con la chiusura dell’istituto, tutte le forse dell’ordine sono costrette a trasportare gli arrestati a Firenze o nelle carceri delle città limitrofe. Con grande spreco di risorse perché vengono determinate notevoli spese aggiuntive che devono essere sostenute dalla Procura, dal Tribunale, dagli organi di polizia giudiziaria. La chiusura della casa circondariale di Arezzo aumenta il sovraffollamento già drammatico del carcere di Sollicciano a Firenze, noto alle cronache per il gran numero di detenuti ospiti oltre il numero consentito”. Questi temi sono già stati oggetto di un’interrogazione che gli stessi parlamentari avevano presentato il 23 giugno scorso. “Ma da parte del Ministero non si è mosso assolutamente nulla. Con le gravissime conseguenze del blocco dei lavori, della mancata presentazione dei nuovi elaborati, con l’aggravamento delle condizioni di lavoro delle forze dell’ordine e dei magistrati che sono costretti a pagarsi di tasca propria la benzina per potersi recare alle varie carceri”. Mattesini e Nannicini hanno quindi chiesto al Ministero della Giustizia di conoscere gli elaborati relativi al completo assetto della struttura penitenziaria che, come affermato nella risposta alla precedente interrogazione di luglio, avrebbero dovuto essere predisposti entro l’autunno. Chiedono di essere informati sugli impegni economici previsti dal Ministero e quindi se esistono davvero le risorse necessarie alla ristrutturazione del carcere di Arezzo. Come dire: la struttura aretina avrà un futuro? Brescia: progetto carcere, le iniziative dell’Uisp http://quibrescia.it, 1 dicembre 2011 Venerdì 2 dicembre alle 14,30 presso la sala-teatro di Canton Mombello della Casa Circondariale di Brescia si svolgono le premiazioni del 34esimo Torneo di calcetto, svoltosi nel mese di novembre con 8 squadre di detenuti, con il concerto del gruppo musicale “Isaia e l’Orchestra di Radio Clochard”. Ad aggiudicarsi il Titolo del Torneo (dopo aver vinto le rispettive semifinali contro le compagini della Sud ) è stata la formazione della Sezione Nord N°4, che nel derby di finale ha battuto per 6-4 la Nord N° 3. Anche per il 3°/4° posto c’è stato un derby, vinto dalla sezione Sud N°4 per 9-4 sulla Sud N°1. Mentre è tuttora in svolgimento il corso di scacchi, nel pomeriggio di venerdì saranno presentate anche le prossime iniziative previste a Canton Mombello. Presso la Casa di Reclusione di Verziano , sabato 3 dicembre alle ore 14.00 sono in programma le gare della 9° giornata del 27° Campionato di calcio a 7 giocatori “Memorial Giancarlo Zappa”, con 11 squadre iscritte, 3 di detenuti e 8 esterne : Polisportiva Euplo Natali Brescia - Detenuti “C”; International Sos Edilizia - CSO Borgosotto. Il prossimo 2 dicembre presso il carcere Canton Mombello in via Spalti San Marco la band Isaia & l’Orchestra di Radio Clochard presenterà in anteprima il nuovo Cd dal titolo “Barcollo ma non crollo…live”. Il concerto è collocato all’interno di un programma educativo e di un torneo di calcetto, organizzato dalla Uisp di Brescia che vede la sua conclusione il prossimo venerdì proprio con il concerto. Le iniziative del “ Progetto Carcere” dell’Uisp di Brescia, sono realizzate in collaborazione con l’Associazione “Carcere e Territorio”, col patrocinio del Comune di Brescia (Assessorato allo Sport e Presidenza del Consiglio) e col sostegno della Fondazione Asm Brescia. Enna: Osapp; nuovo padiglione ad un paradosso La Sicilia, 1 dicembre 2011 “Ormai con cadenza settimanale siamo costretti a denunciare la fatiscenza delle strutture che ospitano gli Istituti Penitenziaria all’interno del territorio della regione siciliana. In alcuni casi siamo stati costretti a scontrarci con la dura realtà, che non offre alternative, che non permette la ricerca di potenziali immediate soluzioni. Discorso diverso, invece, ci spingiamo a fare per la Casa Circondariale di Enna”. Lo afferma il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, in una lettera indirizzata al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, al direttore generale del personale e al Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, al direttore della casa circondariale di Enna, Letizia Bellelli. Prosegue Nicotra: “L’attuale ubicazione, infatti, si scontra con tutti i parametri logici e normativi che ne garantirebbero la piena agibilità. Il paradosso è dettato dal fatto che da circa un anno, ad Enna, è pronto il nuovo padiglione penitenziario ed ancora, purtroppo, non si intravedono spiragli per la sua apertura. Per questo noi riteniamo improrogabile la necessità di dismettere gradualmente la struttura che ospita la vecchia casa circondariale facendo transitare, utenti e personale, all’interno dei nuovi locali che non solo sarebbero più funzionali - conclude Nicotra - ma che anche, con il tempo, potrebbero subire dei problemi strutturali dovuti al mancato utilizzo”. Rovigo: “Minore e reato, autore e vittima”, domani convegno Centro Francescano Ascolto Ristretti Orizzonti, 1 dicembre 2011 Quanti sono i minori autori di reato nel nostro territorio e quali problemi stanno alla base della devianza: numeri - età e dimensioni del fenomeno, saranno tra i dati che emergeranno nel corso del convegno organizzato dal Centro Francescano di Ascolto dal titolo “Minore e reato, autore e vittima” che si terrà venerdì 2 dicembre con inizio alle ore 18,00 presso l’Archivio di Stato di Rovigo. A fare il punto della mappa della devianza minorile in Polesine Monia De Paoli, assistente sociale dell’Ufficio di Servizio Sociale Minori di Mestre che opera nel nostro contesto e che racconterà delle criticità del territorio e del suo coinvolgimento nel progetto. Interverrà poi Maela Tumiati, studentessa universitaria e volontaria del Centro Francescano che presenterà il neonato “Sportello Pinocchio” un servizio rivolto ai minori autori di reato del territorio polesano, per aiutarli e sostenerli nei percorsi di crescita, al fine di favorire lo sviluppo delle condizioni di benessere individuali attraverso interventi diretti anche ai loro genitori, alla famiglia e agli adulti di riferimento. Ci sarà quindi la testimonianza di don Ettore Cannavera, psicologo, cappellano del carcere minorile di Quartucciu (Cagliari) e fondatore della Comunità La Collina di Serdiana (Ca) che porterà la sua ventennale esperienza nel mondo della devianza minorile. Infine Laura Rabesco, direttore dell’Ufficio di Servizio Sociale Minori di Mestre che parlerà della mediazione penale, cioè dei percorsi di riconciliazione nel contesto minorile. Un saluto lo porterà il presidente del Rotary Club di Rovigo Pietro Zonzin, che ha voluto sostenere con un contributo economico le necessità di questo nuovo servizio. A coordinare i lavori il direttore del Centro Francescano di Ascolto e Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo Livio Ferrari. Cosenza: telefonini in carcere, a giudizio un assistente della polizia penitenziaria Gazzetta del Sud, 1 dicembre 2011 L’inchiesta sul rinvenimento dei telefonini neI carcere di via Popilia approda in dibattimento. È stato il gup, Livio Cristofano, a disporre il processo nei confronti degl’imputati, come chiedeva il pm Giuseppe Casciaro. E così, il 29 maggio del prossimo anno, dovranno comparire in Tribunale: l’assistente della polizia penitenziaria Salvatore Gabriele, 44 anni, di Lattarico; e i presunti fruitori del “servizio telefonico”, Antonio Albanese, 51, di Rosarno; Erminio Mendico, 38, di Melito Porto Salvo; Vincenzo Ciriello, 51, di Napoli; Luigi Cozza, 33, di Cosenza; Giovanni Giannone, 42, di Cosenza; Fabio Bruni, 29, di Cosenza; Massimo Imbrogno, 49, di Cosenza; e Bruno Dimitri, 23, di Belvedere. Gl’imputati sono difesi dagli avvocati: Filippo Cinnante, Cesare Badolato, Liborio Bellusci, Luca Acciardi, Nicola Rendace, Roberto Loscerbo, Guido Contestabile, Antonio Ingrosso, Antonio Quintieri, Rossana Cribari, Giovanni Cadavero e Pietro Sammarco. La storia dei telefonini in carcere affiorò da una indagine che svilupparono i detective della polizia penitenziaria, che all’epoca erano guidati dal commissario Vincenzo Paccione. Gl’investigatori, seguendo una precisa rotta, si arrampicarono su una montagna che pareva invalicabile, trovando il sentiero che, alla fine, ha svelato un’ipotetica collusione già sospettata nel corso delle prime investigazioni. Una svolta che chiamò in causa proprio un agente. L’indagine partì dalla segnalazione d’un collega dell’imputato che s’accorse per primo che qualcosa non andava nel reparto di sicurezza della casa circondariale “Sergio Cosmai”. E immediatamente il commissario Paccione avviò una riservatissima indagine. I detective penitenziari passarono al setaccio varie piste prima di far convergere le loro attenzioni verso l’insospettabile collega. E dopo un percorso carsico, le investigazioni puntarono dritte su Gabriele. Le “divise azzurre” sequestrarono i telefonini e le sim utilizzate per le chiamate. Gli inquirenti inquadrarono la vicenda in un arco temporale compreso tra settembre e l’8 ottobre, giorno in cui ci fu il blitz nella casa circondariale e gli agenti penitenziari rinvennero i “corpi di reato”. Consapevole dell’errore, Gabriele ammise l’ipotetica condotta contraria ai doveri del suo ufficio. Sarebbe stato lui a far entrare i telefoni nel penitenziario. Apparecchi cellulari che sarebbero serviti ai detenuti finiti sott’inchiesta per comunicare col mondo esterno. Le conclusioni degl’investigatori vennero condensate nel voluminoso rapporto spedito in Procura e con il quale le divise azzurre denunciarono il collega. Il suo nome venne iscritto nel registro degl’indagati dal capo dei pm Dario Granieri e dal suo sostituto, Casciaro, titolare del fascicolo. Ieri, l’udienza preliminare definita col rinvio a giudizio degl’imputati. Per il gup Cristofano, infatti, il vaglio dibattimentale è indispensabile per definire i contorni della vicenda giudiziaria. Roma: milletrecento panettoni per i detenuti di Rebibbia, in omaggio dal Papa Il Tempo, 1 dicembre 2011 In vista della sua visita nel carcere in programma il 18 dicembre, Benedetto XVI ha infatti destinato ai reclusi dell’istituto di pena i panettoni che gli hanno consegnato ieri mattina, per le sue opere di carità, i rappresentanti della Federazione italiana panificatori e pasticceri, al termine dell’udienza generale. Il Papa, salutando i gruppi di pellegrini italiani al termine dell’udienza generale in Vaticano, si è rivolto “in particolare” ai rappresentanti della Federazione italiana panificatori e pasticcieri, esprimendo loro “riconoscenza per il gradito dono dei panettoni - ha detto - destinati alle opere di carità del Papa”. Un saluto anche ai volontari della Croce Rossa della Puglia impegnati nella assistenza ai “fratelli più bisognosi”.